MASTER IN BUSINESS MANAGEMENT Dispense modulo: “ AMMINISTRAZIONE DEL PERSONALE”

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MASTER IN BUSINESS MANAGEMENT Dispense modulo: “ AMMINISTRAZIONE DEL PERSONALE Relatore: Dott.ssa Circhetta Maria Cristina Consulente del Lavoro Lunedì 13 Maggio 2013 e Martedì 14 Maggio 2013

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MASTER IN BUSINESS MANAGEMENT

Dispense modulo:

“ AMMINISTRAZIONE DEL

PERSONALE”

Relatore: Dott.ssa Circhetta Maria Cristina Consulente del Lavoro

Lunedì 13 Maggio 2013 e Martedì 14 Maggio 2013

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INDICE

1. LE FONTI DEL DIRITTO DEL LAVORO

La Costituzione……..………………………pag. 1

Il Codice Civile …………………………….pag. 3

2. IL CONTRATTO DI LAVORO

A. IL LAVORO SUBORDINATO,

AUTONOMO,

PARASUBORDINATO, LO STAGE

Il lavoro subordinato………………pag. 7

Il lavoro parasubordinato……...…..pag. 9

Il lavoro autonomo…………….…pag. 10

Lo stage…………………………..pag. 10

B. LE VARIE TIPOLOGIE

CONTRATTUALI

Il contratto di lavoro subordinato...pag. 11

Il lavoro a tempo determinato……pag. 11

Il lavoro a regime di

somministrazione………………..pag. 13

Il contratto di apprendistato……...pag. 15

Il lavoro intermittente……………pag. 16

Il lavoro ripartito…………………pag. 17

Il lavoro occasionale accessorio....pag. 18

L’appalto…………………………pag. 19

Il distacco ………………………..pag. 20

Il lavoro a progetto……………….pag. 20

3. L’ASSUNZIONE:GLI ADEMPIMENTI

AMMINISTRATIVI

Il collocamento: ordinario e obbligatorio….pag. 22

Rapporti con gli enti previdenziali………...pag. 24

Gli assegni familiari………………….........pag. 26

I libri obbligatori…………………………..pag. 26

4. SVOLGIMENTO DEL CONTRATTO

Il TFR……………………………………...pag. 28

Le ferie ……………………………………pag. 28

Permessi e congedi ………………………..pag. 29

Cause di estinzione del rapporto di lavoro...pag. 32

Il lavoro dei minori ……………………….pag. 32

La disciplina dell’orario di lavoro ………...pag. 34

Il lavoro straordinario ……………………..pag. 35

La malattia ………………………………...pag. 36

L’infortunio ……………………………….pag. 37

La tutela della genitorialità delle persone che

lavorano ...…………………………………pag. 38

Il patto di non concorrenza ………………..pag. 40

5. LA RETRIBUZIONE E LA BUSTA PAGA

Il concetto di retribuzione diretta e

differita…………………………………….pag. 41

6. GLI ASPETTI CONTRIBUTI E FISCALI

I contributi previdenziali per il lavoro dipendente

(generalità dei rapporti)...…………..……...pag. 42

Il soggetto assicuratore: l’INAIL………….pag. 42

7. IL POTERE DISCIPLINARE E LA

RISOLUZIONE DEL RAPPORTO DI

LAVORO

La regolamentazione del licenziamento …..pag. 43

Il licenziamento disciplinare …...…………pag. 43

8. LA GESTIONE DEL PERSONALE IN

ECCEDENZA

Le integrazioni salariali …………………...pag. 45

L’intervento ordinario: CIG ………...…….pag. 45

L’intervento straordinario: CIGS ………....pag. 46

L’indennità di mobilità ……………………pag. 46

9. RAPPORTI SINDACALI

Lo Statuto dei Lavoratori …………………pag. 48

La rappresentanza dei lavoratori a livello aziendale

(RSA e RSU)………………………………pag. 49

L’autotutela sindacale: lo sciopero ………..pag. 51

Il diritto di informazione e consultazione delle

rappresentanze sindacali dei lavoratori …...pag. 51

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1. LE FONTI DEL DIRITTO DEL LAVORO

COSTITUZIONE

Art. 4 DIRITTO AL LAVORO

La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.

Art. 35 TUTELA DEL LAVORO NELLE SUE FORME ED APPLICAZIONI

La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Cura la formazione e l'elevazione professionale dei lavoratori. Promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro. Riconosce la libertà di emigrazione, salvo gli obblighi stabiliti dalla legge nell'interesse generale, e tutela il lavoro italiano all'estero.

Art. 36 DIRITTO ALLA RETRIBUZIONE E ORARIO DI LAVORO

Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia una esistenza libera e dignitosa. La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge. Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi.

Art. 37 PARITÀ UOMO DONNA NEL LAVORO E NELLA RETRIBUZIONE

La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione. La legge stabilisce il limite minimo di età per il lavoro salariato. La Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce ad essi, a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione.

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Art. 38

DIRITTO ALL’ASSISTENZA PER I CITTADINI INABILI Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. Gli inabili ed i minorati hanno diritto all'educazione e all'avviamento professionale. Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato. L'assistenza privata è libera.

Art. 39 LIBERTÀ DI ORGANIZZAZIONE SINDACALE

L'organizzazione sindacale è libera. Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme stabilite dalla legge. È condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un ordinamento interno a base democratica. I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce.

Art. 40 ESERCIZIO DEL DIRITTO DI SCIOPERO

Il diritto di sciopero si esercita nell'ambito delle leggi che lo regolano.

Art. 41 LIBERTÀ DELL’INIZIATIVA ECONOMICA PRIVATA

L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perchè l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.

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CODICE CIVILE

Art. 2094 PRESTATORE DI LAVORO SUBORDINATO

E' prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell'impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore.

Art. 2095 CATEGORIE DEI PRESTATORI DI LAVORO

I prestatori di lavoro subordinato si distinguono in dirigenti, quadri, impiegati e operai . Le leggi speciali e le norme corporative), in relazione a ciascun ramo di produzione e alla particolare struttura dell'impresa, determinano i requisiti di appartenenza alle indicate categorie.

Art. 2096 ASSUNZIONE IN PROVA

Salvo diversa disposizione delle norme corporative, l'assunzione del prestatore di lavoro per un periodo di prova deve risultare da atto scritto. L'imprenditore e il prestatore di lavoro sono rispettivamente tenuti a consentire e a fare l'esperimento che forma oggetto del patto di prova. Durante il periodo di prova ciascuna delle parti può recedere dal contratto, senza obbligo di preavviso o d'indennità. Se però la prova è stabilita per un tempo minimo necessario, la facoltà di recesso non può esercitarsi prima della scadenza del termine. Compiuto il periodo di prova, l'assunzione diviene definitiva e il servizio prestato si computa nell'anzianità del prestatore di lavoro.

Art. 2099 RETRIBUZIONE

La retribuzione del prestatore di lavoro può essere stabilita a tempo o a cottimo e deve essere corrisposta nella misura determinata dalle norme corporative, con le modalità e nei termini in uso nel luogo in cui il lavoro viene eseguito. In mancanza di norme corporative o di accordo tra le parti, la retribuzione è determinata dal giudice, tenuto conto, ove occorra, del parere delle associazioni professionali. Il prestatore di lavoro può anche essere retribuito in tutto o in parte con la partecipazione agli utili o ai prodotti, con provvigione o con prestazioni in natura.

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Art. 2103 MANSIONI DEL LAVORATORE

Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione. Nel caso di assegnazione a mansioni superiori il prestatore ha diritto al trattamento corrispondente all'attività svolta, e l'assegnazione stessa diviene definitiva, ove la medesima non abbia avuto luogo per sostituzione di lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto, dopo un periodo fissato dai contratti collettivi, e comunque non superiore a tre mesi. Egli non può essere trasferito da una unità produttiva ad un'altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive. Ogni patto contrario è nullo.

Art. 2104 DILIGENZA DEL PRESTATORE DI LAVORO

Il prestatore di lavoro deve usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta, dall'interesse dell'impresa e da quello superiore della produzione nazionale. Deve inoltre osservare le disposizioni per l'esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall'imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende.

Art. 2105 OBBLIGO DI FEDELTÀ

Il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l'imprenditore, né divulgare notizie attinenti all'organizzazione e ai metodi di produzione dell'impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio.

Art. 2106 SANZIONI DISCIPLINARI

L'inosservanza delle disposizioni contenute nei due articoli precedenti può dar luogo all'applicazione di sanzioni disciplinari, secondo la gravità dell'infrazione e in conformità delle norme corporative.

Art. 2107 ORARIO DI LAVORO

La durata giornaliera e settimanale della prestazione di lavoro non può superare i limiti stabiliti dalle leggi speciali o dalle norme corporative.

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Art. 2108 LAVORO STRAORDINARIO E NOTTURNO

In caso di prolungamento dell'orario normale, il prestatore di lavoro deve essere compensato per le ore straordinarie con un aumento di retribuzione rispetto a quella dovuta per il lavoro ordinario. Il lavoro notturno non compreso in regolari turni periodici deve essere parimenti retribuito con una maggiorazione rispetto al lavoro diurno. I limiti entro i quali sono consentiti il lavoro straordinario e quello notturno, la durata di essi e la misura della maggiorazione sono stabiliti dalla legge o dalle norme corporative.

Art. 2109 PERIODO DI RIPOSO

Il prestatore di lavoro ha diritto ad un giorno di riposo ogni settimana di regola in coincidenza con la domenica. Ha anche diritto, dopo un anno d'ininterrotto servizio, ad un periodo annuale di ferie retribuito, possibilmente continuativo, nel tempo che l'imprenditore stabilisce, tenuto conto delle esigenze dell'impresa e degli interessi del prestatore di lavoro. La durata di tale periodo è stabilita dalla legge, dalle norme corporative, dagli usi o secondo equità. L'imprenditore deve preventivamente comunicare al prestatore di lavoro il periodo stabilito per il godimento delle ferie. Non può essere computato nelle ferie il periodo di preavviso indicato nell'art. 2118.

Art. 2110 INFORTUNIO, MALATTIA, GRAVIDANZA, PUERPERIO

In caso d'infortunio, di malattia, di gravidanza o di puerperio, se la legge o le norme corporative non stabiliscono forme equivalenti di previdenza o di assistenza, è dovuta al prestatore di lavoro la retribuzione o un'indennità nella misura e per il tempo determinati dalle leggi speciali, dalle norme corporative, dagli usi o secondo equità. Nei casi indicati nel comma precedente, l'imprenditore ha diritto di recedere dal contratto a norma dell'art. 2118, decorso il periodo stabilito dalla legge, dalle norme corporative, dagli usi o secondo equità. Il periodo di assenza dal lavoro per una delle cause anzidette deve essere computato nell'anzianità di servizio.

Art. 2113 RINUNZIE E TRANSAZIONI

Le rinunzie e le transazioni, che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi concernenti i rapporti di cui all'art. 409 del codice di procedura civile, non sono valide.

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L'impugnazione deve essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dalla data di cessazione del rapporto o dalla data della rinunzia o della transazione, se queste sono intervenute dopo la cessazione medesima. Le rinunzie e le transazioni di cui ai commi precedenti possono essere impugnate con qualsiasi atto scritto, anche stragiudiziale, del lavoratore idoneo a renderne nota la volontà. Le disposizioni del presente articolo non si applicano alla conciliazione intervenuta ai sensi degli articoli 185, 410, 411, 412-ter e 412-quater del codice di procedura civile.

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2. IL CONTRATTO DI LAVORO

A) IL LAVORO SUBORDINATO, AUTONOMO, PARASUBORDINATO, LO STAGE

IL LAVORO SUBORDINATO

La subordinazione

La subordinazione consiste nella sottoposizione dei prestatori di lavoro alle direttive del datore di

lavoro nonché, in sua vece, degli altri prestatori gerarchicamente sovraordinati nell’organizzazione

dell’azienda. Al datore di lavoro spetta di determinare le modalità di esplicazione dell’attività

lavorativa, entro i limiti fissati dalla legge e dal contratto.

E’ proprio la subordinazione ad essere il più importante e imprescindibile elemento qualificatorio

del lavoro subordinato, che deve essere sempre accertata ai fini della sussistenza di un rapporto di

lavoro di tale natura.

Tradizionalmente la subordinazione è stata intesa come eterodeterminazione della prestazione

lavorativa (il cui contenuto viene determinato dal datore di lavoro) o subordinazione tecnico-

funzionale, basata sostanzialmente sulla previsione dell’art. 2086 c.c. in base al quale il lavoratore

subordinato esegue la prestazione dedotta in contratto secondo ordini, direttive ed impostazioni

impartite dal datore di lavoro o dai suoi collaboratori gerarchici.

Nozione di datore di lavoro

E’ datore di lavoro chi dà ad altri un lavoro alle proprie dipendenze in cambio di una retribuzione.

Anche se il codice civile usa il termine imprenditore (art. 2094), per rivestire la qualifica di datore

di lavoro non è necessario svolgere un’attività organizzata nella forma d’impresa: pertanto ogni

soggetto di diritto che operi nel campo economico o sociale può assumere la veste di datore di

lavoro (persone fisiche, imprenditore, società, persone giuridiche, Stato etc.) .

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Il prestatore di lavoro subordinato

Rispetto alla nozione dell’art. 2094 c.c. si può più correttamente definire lavoratore subordinato

“colui che si obbliga, dietro retribuzione, a prestare il proprio lavoro alle dipendenze e sotto la

direzione di un altro soggetto”.

Gli effetti della natura subordinata del rapporto di lavoro

La qualificazione del rapporto di lavoro come lavoro subordinato è determinante sotto il profilo

degli effetti giuridici. Infatti i rapporti di lavoro subordinato sono regolati da una disciplina

caratterizzata da una marcata finalità protettiva e nettamente distinta da quella applicata al lavoro

autonomo.

La disciplina del lavoro subordinato è costituita in gran parte da norme inderogabili che regolano

tutti i principali eventi ed aspetti del rapporto di lavoro (inquadramento del lavoratore, retribuzione,

orario di lavoro, diritti del lavoratore, sospensioni, estinzione del rapporto etc.). Da essa scaturisce

un determinato trattamento economico e normativo che deve essere applicato al lavoratore

subordinato, ed in particolare:

- all’atto della instaurazione del rapporto di lavoro, il datore di lavoro ha l’obbligo di registrare i

lavoratori nella documentazione aziendale obbligatoria, comunicando preventivamente, agli

uffici competenti l’avvenuta assunzione, e per tutta la durata del rapporto, di provvedere alle

denunce obbligatorie al fine di documentare l’esistenza del rapporto di lavoro nei confronti

dell’ente previdenziale.

- il lavoratore deve essere inquadrato e cioè, all’atto dell’assunzione, devono essere determinate,

in base all’accordo contrattuale, sue capacità professionali e alle mansioni che dovrà svolgere, la

qualifica e la categoria. Egli deve essere, poi, adibito alle mansioni per le quali è stato assunto

(art. 2103 c.c.);

- il datore deve corrispondere al lavoratore una retribuzione non inferiore agli importi previsti dal

contratto collettivo di categoria in base alla qualifica attribuita al prestatore e alle mansioni da

questi svolte e comunque proporzionata alla qualità ed alla quantità del lavoro prestato.

- nell’organizzazione dell’attività lavorativa il datore di lavoro deve osservare le limitazioni in

materia di durata del lavoro accordando al prestatore i riposi giornalieri, settimanali e annuali

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- (ferie) stabiliti dalla legge e dalla contrattazione collettiva, a salvaguardia del suo benessere

psico-fisico e della vita affettiva e sociale;

- il lavoratore subordinato beneficia di una speciale tutela previdenziale che si realizza mediante

le cd. assicurazioni obbligatorie e che fa sì che i lavoratori dipendenti siano sollevati dal rischio

di eventi, connessi o meno con l’attività lavorativa, in grado di incidere però sulla capacità di

lavoro o di guadagno (malattia generica e professionale, infortunio sul lavoro e non, riduzione

dell’attività lavorativa e disoccupazione, invalidità, vecchiaia, carico familiare etc.) ;

- il datore di lavoro è obbligato a provvedere al finanziamento delle assicurazioni sociali,

mediante il pagamento dei contributi previdenziali e dei premi assicurativi previsti dalla

normativa vigente.

IL LAVORO PARASUBORDINATO

La collaborazione nell’attività produttiva, che si realizza attraverso forme di lavoro autonomo

caratterizzate dalla natura prevalentemente personale della prestazione, dalla continuatività e dalla

coordinazione, è stata tradizionalmente inquadrata dalla dottrina e dalla giurisprudenza nella cd.

parasubordinazione.

Sotto il profilo della tutela previdenziale, al lavoro parasubordinato si applica l’assicurazione contro

gli infortuni e le malattie professionali al verificarsi dei presupposti previsti dall’art. 5 D.Lgs.

38/2000.

Il lavoro a progetto

Riconduzione delle collaborazioni coordinate e continuative nel contratto di lavoro a progetto

Il D.Lgs. 10/09/2003, n. 276 ha introdotto un nuovo contratto di lavoro entro cui ricondurre i

rapporti di collaborazione diversi dalla subordinazione: il lavoro a progetto (artt. 91-69). Il suddetto

decreto stabilisce infatti che i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente

personale e senza vincolo di subordinazione, devono essere riconducibili ad uno o più progetti

specifici determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del

risultato, indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione della prestazione (cd. co.co.

pro.) (art. 61). L’apparato di sanzioni, predisposto dal legislatore al fine di reprimere sia la

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trasgressione del divieto di co.co.co. atipiche, sia l’abuso della forma giuridica del lavoro a progetto

per dissimulare rapporti di lavoro subordinato, prevede che:

- in difetto di uno specifico progetto, il rapporto di lavoro del collaboratore si trasforma in lavoro

subordinato a tempo indeterminato sin dalla origine (art. 69 co. 1);

- in caso di accertamento giudiziale di un rapporto di natura subordinata, il rapporto di lavoro a

progetto (simulato) si trasforma in un rapporto di lavoro subordinato “corrispondente alla

tipologia negoziale di fatto realizzatasi tra le parti” (art. 69, co. 2).

IL LAVORO AUTONOMO

Nozione e caratteristiche

Il lavoro autonomo, in base alla disposizione di cui all’art. 2222 c.c., si realizza quando una persona

si obbliga a compiere, verso corrispettivo, un’opera o un servizio, con lavoro prevalentemente

personale e senza vincolo di subordinazione, nei confronti di un committente.

Il lavoratore autonomo si trova in una posizione di indipendenza nella gestione dei tempi, dei luoghi

e delle modalità di organizzazione della propria attività che deve essere diretta alla realizzazione di

un risultato finale. Un altro elemento caratteristico è che il compenso è stabilito direttamente dalle

parti che non devono necessariamente rifarsi a dei minimi tariffari.

LO STAGE

I tirocini formativi e di orientamento

I tirocini formativi e di orientamento, o stage, sono definiti come periodi di formazione on the job, e

si sostanziano in forme di inserimento temporaneo all’interno dell’azienda, senza costituire però

dei rapporti di lavoro, con l’obiettivo di consentire ai soggetti coinvolti di conoscere e di

sperimentare in modo concreto la realtà lavorativa attraverso una formazione professionale e un

addestramento pratico direttamente sul luogo di lavoro. I criteri e le modalità di svolgimento sono

fissati dal D.M. 25/03/1998, n. 142. In particolare, il rapporto di tirocinio è regolato da un’apposita

convenzione e vede coinvolti 3 soggetti:

- il soggetto promotore che procede all’attivazione dello stage (Università, istituzioni scolastiche,

Enti di formazione ecc.);

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- l’azienda ospitante;

- il tirocinante quale beneficiario dell’esperienza formativa.

B) LE VARIE TIPOLOGIE CONTRATTUALI

IL CONTRATTO DI LAVORO SUBORDINATO

La dottrina maggioritaria riconduce il contratto di lavoro alla categoria dei contratti di scambio

(nella fattispecie: prestazione lavorativa contro retribuzione), caratterizzata dalla sussistenza di

reciproche posizioni di supremazia e di soggezione delle parti. Ciò risulterebbe, in particolare, dalla

previsione degli artt. 2104-2106 c.c. che configurano, rispettivamente, il potere gerarchico

dell’imprenditore quale manifestazione del potere direttivo derivante dal contratto (potere di

conformazione dell’obbligazione lavorativa), cui è strettamente correlato il potere disciplinare, e la

posizione di soggezione (cd. subordinazione tecnico-funzionale) del lavoratore.

In difetto di una disciplina speciale, al contratto di lavoro si applica la normativa generale sul

contratto contenuta nel codice civile (artt. 1321 ss. c.c.).

IL LAVORO A TEMPO DETERMINATO

Le ragioni che legittimano l’apposizione del termine

La disciplina del contratto a tempo determinato è contenuta nel D.Lgs. 06/09/2001 n. 368 che ha

recepito la Direttiva 99/70/CE relativa all’Accordo Quadro sui contratti a tempo determinato

concluso il 18/03/1999 fra le organizzazioni intercategoriali di livello europeo (CES, CEEP,

UNICE). Il D.Lgs. 368/2001 pone una clausola generale di legittimazione del contratto a tempo

determinato che può essere stipulato “ a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo,

organizzativo o sostitutivo” (art. 1 D.Lgs. 368/2001). Il suddetto decreto, richiede inoltre, per

l’apposizione del termine la forma scritta con espressa indicazione delle ragioni su indicate che

legittimano il ricorso a tale tipologia di contratto.

E’ stabilito che “ l’apposizione del termine è priva di effetto se non risulta, direttamente o

indirettamente, da atto scritto” (art. 1, co. 2) e che copia dell’atto scritto deve essere consegnata dal

datore di lavoro al lavoratore entro 5 giorni lavorativi dall’inizio della prestazione.

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Scadenza del contratto e recesso prima del termine finale

La principale peculiarità del contratto a tempo determinato è rappresentata dal fatto che esso si

risolve automaticamente alla scadenza e che il recesso, prima di detto termine è disciplinato dall’art.

2119 c.c.. In base al richiamato articolo, il recesso (prima della scadenza del termine) è ammesso

solo qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria del rapporto

(cd. giusta causa).

Qualora il datore, prima della scadenza del termine, abbia intimato illegittimamente il recesso,

perché mancante la giusta causa, non potendo applicare le norme di tutela contro i licenziamenti

illegittimi (previsti solo per i rapporti a tempo indeterminato ex art. 1, L. 604/1966) , al lavoratore

spetterà un risarcimento del danno commisurato all’ammontare delle retribuzioni non percepite dal

momento del processo alla prevista scadenza del rapporto.

Il limite alla reiterazione dei contratti di lavoro a termine ex L. 247/2007

La L. 247/2007 ha stabilito una durata massima complessiva pari a 36 mesi per il rapporto a tempo

determinato tra uno stesso datore di lavoro e lavoratore (identità delle parti del rapporto di lavoro)

per lo svolgimento di mansioni equivalenti (equivalenza delle mansioni).

Per il computo di 36 mesi devono essere presi in considerazione i rinnovi del contratto (nuove

assunzioni successive alla prima) e le eventuali proroghe, mentre sono esclusi i periodi di

interruzione intercorrenti tra un contratto e l'altro, in quanto rilevano soltanto i mesi o i giorni di

svolgimento effettivo del rapporto di lavoro ( il limite di durata di 36 mesi si applica in aggiunta

all’obbligo di osservare intervalli temporali tra un contratto e l’altro). Tuttavia, va tenuto presente

che per effetto del D.L. 112/2008 (art. 21, co. 2), conv. in L. 133/2008, sono fatte salve eventuali

“diverse disposizioni” contenute nei contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o

aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale

(art. 5, co. 4 bis, D.Lgs. 368/2001).

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IL LAVORO IN REGIME DI SOMMINISTRAZIONE

Il contratto di somministrazione di lavoro

Mediante il contratto di somministrazione di lavoro viene regolata la fornitura di lavoratori

dall’agenzia di somministrazione all’utilizzatore. Il contratto di somministrazione, per essere valido,

deve essere stipulato in forma scritta riportando i seguenti elementi (art. 21, co. 1, D.Lgs.

276/2003):

- gli estremi dell’autorizzazione rilasciata al somministratore;

- il numero dei lavoratori che vengono richiesti, le mansioni cui devono essere adibiti e il loro

inquadramento;

- la data di inizio e la durata del contratto di somministrazione;

- le causali della somministrazione, cioè le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo

o sostitutivo;

- l’indicazione della presenza di eventuali rischi per l’integrità e la salute del lavoratore e delle

misure di prevenzione adottate;

- il luogo e l’orario della prestazione;

- il trattamento economico e normativo cui avranno diritto i lavoratori richiesti;

- l’impegno da parte dell’impresa di somministrazione a pagare direttamente al lavoratore la

retribuzione spettante e ad effettuare il versamento dei contributi previdenziali;

- l’obbligo dell’impresa utilizzatrice di comunicare all’impresa di somministrazione i trattamenti

retributivi e previdenziali applicabili ai lavoratori comparabili;

- l’obbligo dell’impresa utilizzatrice di rimborsare all’impresa di somministrazione gli oneri

retributivi e previdenziali da questa effettivamente sostenuti in favore del prestatore di lavoro;

- assunzione da parte dell’impresa utilizzatrice, in caso di inadempimento dell’impresa di

somministrazione, dell’obbligo del pagamento diretto al lavoratore del trattamento economico e

del versamento dei contributi previdenziali, fatto salvo il diritto di rivalsa verso l’impresa di

somministrazione.

La mancanza della forma scritta è sanzionata con la previsione della nullità del contratto di

somministrazione con la conseguenza che i lavoratori saranno considerati a tutti gli effetti alle

dipendenze dell’utilizzatore (art. 21,co. 4, modificato dal D.Lgs. 351/2004).

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Disciplina del rapporto di lavoro

Il rapporto di lavoro che si realizza a seguito della somministrazione (art. 20, co. 2, D.lgs 276/2003)

presenta le seguenti peculiarità:

- i lavoratori sono assunti dall’impresa di somministrazione che figura come datore di lavoro;

- per tutta la durata della somministrazione i lavoratori svolgono la loro attività nell’interesse,

nonché sotto la direzione e il controllo dell’utilizzatore.

L’agenzia di somministrazione può soddisfare la richiesta di una fornitura di lavoro assumendo

lavoratori sia a tempo indeterminato sia determinato: nella somministrazione a tempo determinato.

Trattamento normativo ed economico del lavoratore

L’art. 23 del D.Lgs. 276/2003 stabilisce l’importante principio di parità di trattamento dei lavoratori

assunti dall’impresa di somministrazione, i quali hanno “diritto ad un trattamento economico e

normativo complessivamente non inferiore a quello dei dipendenti di pari livello dell’utilizzatore, a

parità di mansioni svolte”.

Ripartizione dei poteri e degli obblighi datoriali

La suddivisione dei poteri e dei doveri datoriali, desumibile dalle disposizioni del provvedimento è

la seguente:

- il potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori è esercitato dall’utilizzatore al fine

di conformarne la prestazione alle concrete esigenze della propria organizzazione aziendale. La

legge infatti prevede espressamente che, per tutta la durata della somministrazione, “ i lavoratori

svolgono la propria attività nell’interesse nonché sotto la direzione e il controllo

dell’utilizzatore” ( art. 20, co. 2, D.Lgs. 276/2003).

- il potere disciplinare è riservato al somministratore, cui l’utilizzatore deve comunicare le

infrazioni commesse dai lavoratori direttamente al somministratore;

- la retribuzione e ogni altra spettanza, compresa l’indennità di disponibilità, deve essere pagata ai

lavoratori direttamente dal somministratore;

- l’utilizzatore deve rimborsare al somministratore le retribuzioni erogate ai lavoratori che siano

stati assegnati presso la sua impresa ed è obbligato in solido con il somministratore per

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l’effettiva corresponsione ai lavoratori dei trattamenti retributivi e per il versamento dei contributi

previdenziali.

IL CONTRATTO DI APPRENDISTATO

L’apprendistato è attualmente disciplinato dal D.Lgs. 14/09/2011, n. 167, come modificato dalla cd.

riforma Fornero (L. 92/2012) che ha individuato proprio in tale rapporto lo strumento contrattuale

per l’accesso al lavoro dei giovani, di particolare importanza per la sua funzione formativa.

In base al D.Lgs. 167/2011, l’apprendistato è articolato nelle seguenti tipologie:

- apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale, con cui possono essere assunti i

giovani dai 15 anni di età compiuti e fino al compimento dei 25 anni di età. Tale tipologia è

attuabile in tutti i settori di attività e può essere utilizzata anche per l’assolvimento dell’obbligo di

istruzione. La sua durata è in funzione della qualifica o del diploma da conseguire, nel limite di 3

anni (o 4 anni nel caso di diploma quadriennale regionale) relativamente agli aspetti formativi;

- apprendistato professionalizzante o contratto di mestiere, con cui possono essere assunti

giovani di età compresa dai 18 ai 29 anni di età (per i soggetti già in possesso di una qualifica

professionale, l’assunzione può avvenire anche a partire dai 17 anni di età). Tale tipologia è

attuabile in tutti i settori di attività ed è finalizzata al conseguimento di una qualifica professionale a

fini contrattuali. La sua durata è in funzione dell’età dell’apprendista e della qualifica professionale

da conseguire, nel limite di 3 anni ( o 5 anni per le qualifiche professionali dell’artigianato)

relativamente agli aspetti formativi. La formazione ti tipo professionalizzante e di mestiere è svolta

sotto la responsabilità dell’azienda ed è integrata dall’offerta formativa pubblica, interna o esterna

all’azienda, finalizzata alla acquisizione di competenze di base e trasversali, per un monte

complessivo non superiore a 120 ore;

- apprendistato di alta formazione e di ricerca, con cui possono essere assunti i giovani di età

compresa dai 18 ai 29 anni di età (per i soggetti già in possesso di una qualifica professionale,

l’assunzione può avvenire anche a partire dai 17 anni di età). Tale tipologia è attuabile in tutti i

settori di attività privati e pubblici ed è finalizzata al conseguimento di un diploma di istruzione

secondaria superiore, di titoli di studio universitari e dell’alta formazione, compresi i dottorati di

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ricerca, per la specializzazione tecnica superiore, nonché per il praticantato per l’accesso alle

professioni ordinistiche o per esperienze professionali.

L’assunzione di apprendisti comporta per il datore di lavoro il vantaggio economico di una ridotta

contribuzione previdenziale e assicurativa. L’erogazione degli incentivi economici è subordinata

all’effettività della formazione. In caso di inadempimento nell’erogazione della formazione di cui

sia esclusivamente responsabile il datore di lavoro e che sia tale da impedire la realizzazione delle

finalità del contratto di apprendistato, il datore di lavoro è tenuto a versare la differenza tra la

contribuzione versata e quella dovuta con riferimento al livello di inquadramento contrattuale

superiore che sarebbe stato raggiunto dal lavoratore al termine del periodo di apprendistato,

maggiorata del 100%.

IL LAVORO INTERMITTENTE

La nozione e l’evoluzione legislativa

Il lavoro intermittente (cd. lavoro a chiamata o job on call) è un contratto di lavoro subordinato, a

tempo determinato o indeterminato, mediante il quale un lavoratore si pone a disposizione di un

datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione lavorativa quando ne ha effettivamente

bisogno, nei limiti e alle condizioni fissate dagli artt. 33 – 40 D.Lgs. 276/2003.

Lo schema negoziale del lavoro intermittente può assumere una delle seguenti tipologie:

- lavoro intermittente con espressa pattuizione dell’obbligo di disponibilità del lavoratore in cui

questi è obbligato a restare a disposizione del datore di lavoro per effettuare prestazioni

lavorative quando il datore stesso le richiede;

- lavoro intermittente senza obbligo di disponibilità del lavoratore in cui il prestatore non si

impegna contrattualmente ad accettare la chiamata del datore di lavoro (e libero di accettare ed

eseguire la prestazione o no).

La disciplina del rapporto di lavoro

Elemento peculiare del contratto di lavoro intermittente è che la prestazione non è effettuata con

continuità, come accade in un normale rapporto di lavoro subordinato, ma solo su richiesta del

datore: infatti il contratto determina la facoltà per il datore di chiamare una o più volte il lavoratore,

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per lo svolgimento della prestazione, nel rispetto di un termine minimo di preavviso (non inferiore

ad 1 giorno lavorativo).

Il contratto intermittente non genera automaticamente e sempre un obbligo del lavoratore di

rispondere positivamente alla chiamata del datore eseguendo la prestazione. Perché tale obbligo

sussista è necessario che sia oggetto di apposita ed espressa previsione da parte del contratto

individuale, a fronte della quale deve essere corrisposta al lavoratore una indennità di disponibilità.

Per tutta la durata del contratto di lavoro intermittente, il lavoratore ha diritto a due distinte

fattispecie di compenso, a seconda se egli svolga la propria prestazione di lavoro presso il datore di

lavoro, ovvero resti “in attesa di chiamata”.

Per il periodo di attività, il lavoratore intermittente ha diritto al normale trattamento economico e

normativo previsto dai contratti collettivi di settore per il lavoratore comparabile, riproporzionato in

ragione della prestazione lavorativa effettivamente eseguita.

IL LAVORO RIPARTITO

La nozione e la finalità

Gli artt. 41-45 del D.Lgs. 276/2003 disciplinano il lavoro ripartito (cd. job sharing ) definendolo

“uno speciale contratto di lavoro mediante il quale due lavoratori assumono in solido

l’adempimento di un’ unica e identica obbligazione lavorativa”.

In sostanza, il lavoro ripartito, è una particolare figura contrattuale di lavoro subordinato che si

fonda sulla condivisione del medesimo posto di lavoro da parte di due lavoratori, i quali restano

sostanzialmente liberi di organizzare tra loro la prestazione di lavoro, ripartendosi l’orario di lavoro,

con il vincolo di sostituirsi a vicenda in caso di impedimento di uno dei due.

Il contratto di lavoro

A norma dell’art. 42 del D.Lgs. 276/2003, il contratto di lavoro ripartito è stipulato in forma scritta

ai fini della prova, e deve contenere i seguenti elementi:

- la misura percentuale e la collocazione temporale del lavoro giornaliero, settimanale, mensile o

annuale che si prevede venga svolto da ciascuno dei lavoratori co-obbligati secondo le intese tra

loro intercorse, ferma restando la possibilità per gli stessi lavoratori di determinare

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discrezionalmente, in qualsiasi momento, la sostituzione tra di loro ovvero la modificazione

consensuale della distribuzione dell’orario di lavoro;

- il luogo di lavoro, nonché il trattamento economico e normativo spettante a ciascun lavoratore;

- eventuali misure di sicurezza specifiche necessarie in relazione al tipo di attività dedotto in

contratto.

Le dimissioni o il licenziamento di uno dei lavoratori co-obbligati comportano l’estinzione del

rapporto di lavoro anche nei confronti dell’altro, eccetto che, su richiesta del datore di lavoro, questi

sia disponibile ad adempiere per intero o parzialmente l’obbligazione lavorativa. In tal caso il

contratto di lavoro ripartito si trasforma in un normale contratto di lavoro subordinato.

IL LAVORO OCCASIONALE ACCESSORIO Il lavoro occasionale di tipo accessorio è una particolare modalità lavorativa disciplinata dal D.Lgs.

276/2003, non riconducibile né al lavoro subordinato né al lavoro autonomo, introdotta dal

legislatore allo scopo di contrastare forme di lavoro nero e irregolare.

Le modalità di svolgimento dell’attività lavorativa nell’Ambito del lavoro accessorio sono del tutto

peculiari:

- la prestazione di lavoro viene “acquistata” dall’utilizzatore mediante l’attivazione di una

procedura, telematica o cartacea, basata sull’acquisto di buoni lavoro o voucher, da consegnare

poi al lavoratore a titolo di compenso;

- chi vuole avvalersi di prestazioni di lavoro accessorio deve rivolgersi ad apposite concessionarie

ed acquistare i suddetti buoni per il valore delle prestazioni desiderate;

- eseguita la prestazione, il lavoratore riceve dal committente, come compenso, uno o più buoni

che poi dovrà rendere al concessionario del servizio che provvede al pagamento materiale.

In origine, il lavoro accessorio era limitato allo svolgimento di una serie di attività, saltuarie e

marginali, quali giardinaggio, pulizia, insegnamento privato supplementare etc. (cd. limite

oggettivo), e a specifiche categorie di soggetti, quali studenti, pensionati etc. (cd. limite soggettivo).

Il duplice limite – oggettivo e soggettivo – è stato eliminato dalla riforma Fornero, con la

conseguenza che è possibile ricorrere al lavoro accessorio per qualsiasi attività lavorativa di natura

occasionale e con qualsiasi soggetto, dovendosi rispettare un unico limite di natura economica.

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Per prestazioni di lavoro accessorio devono intendersi le attività lavorative di natura meramente

occasionale che non danno luogo, con riferimento alla totalità dei committenti, a compensi superiori

a € 5000 nel corso di un anno solare, annualmente rivalutati sulla base della variazione dell’indice

ISTAT intercorsa nell’anno precedente. Se le attività sono svolte nei confronti di imprenditori

commerciali o professionisti, oltre al predetto limite complessivo di € 5000, vi è anche il limite di

€ 2000 all’anno nei confronti di uno stesso committente.

DISPOZIONI A TUTELA DEI LAVORATORI DIPENDENTI DA UN APPALTATORE

Il legislatore ha individuato i requisiti dell’appalto (art. 1655 c.c.):

- nell’organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore, che però può anche risultare,

in relazione alle esigenze dell’opera o del servizio dedotti in contratto, dall’esercizio del “potere

organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto”;

- nell’assunzione del rischio di impresa da parte dell’appaltatore.

Se tali caratteristiche mancano, si configura una illecita fornitura di prestazioni di lavoro, e oltre alle

sanzioni per la somministrazione irregolare o fraudolenta, ai sensi degli artt. 27,28 del D.Lgs.

276/2003, il lavoratore potrà agire in giudizio per la costituzione di un rapporto di lavoro alle

dipendenze “del soggetto che ne ha utilizzato la prestazione”, da intendersi come appaltante (art. 29,

co. 3 bis e 3 ter, D.Lgs. 276/2003 introdotti ex D.Lgs. 251/2004).

Un’ulteriore potenziamento degli strumenti a perseguire il fenomeno dei pseudo appalti che celano

soltanto forniture di lavoro e/o impiego di lavoratori in nero è avvenuto con la L. 123/2007.

Tale provvedimento aveva previsto che in tutti i casi di svolgimento di attività in regime di appalto

o subappalto, i lavoratori impiegati nell’impresa appaltatrice o subappaltatrice dovessero essere

muniti di apposita tessera di riconoscimento, corredata di fotografia, contenente le generalità del

lavoratore e l’indicazione del datore di lavoro.

Questa previsione è stata trasposta, successivamente nel T.U. della Sicurezza sul Lavoro che

prevede anche la sanzione, per ogni lavoratore, da € 100 ad € 500.

A tutela dei dipendenti dell’appaltatore nonché di eventuali subappaltatore opera il regime di

solidarietà, in base al quale rispondono dell’effettiva corresponsione dei trattamenti retributivi e del

versamento dei contributi previdenziali tutti i soggetti coinvolti nella catena dell’appalto. La

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solidarietà non opera quando l’appaltante sia una persona fisica che non esercita attività di impresa

o professionale.

IL DISTACCO DEL LAVORATORE

La disciplina del distacco nel D.Lgs. 276/2003

Il D.Lgs. 276/2003 interviene a disciplinare per la prima volta l’istituto del distacco del lavoratore

da un’impresa ad un’altra per l’esecuzione di una determinata attività lavorativa.

I requisiti del distacco sono (art. 30, D.Lgs. 276/2003):

- esistenza di uno specifico interesse del datore di lavoro distaccante che deve sussistere per tutta

la durata del distacco;

- temporaneità del distacco, che comunque può essere anche non breve, purché non coincidente

con tutta la durata del rapporto di lavoro.

IL LAVORO A PROGETTO

Riconduzione delle collaborazioni coordinate e continuative nel contratto di lavoro a progetto

Il D.Lgs. 10/09/2003, n. 276 ha introdotto un nuovo contratto di lavoro entro cui ricondurre i

rapporti di collaborazione diversi dalla subordinazione: il lavoro a progetto (artt. 91-69).

Il D.Lgs. 276/2003 stabilisce infatti che i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa,

prevalentemente personale e senza vincolo di subordinazione, devono essere riconducibili ad uno o

più progetti specifici determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in

funzione del risultato, indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione della prestazione

(cd. co.co. pro.) (art. 61).

L’apparato di sanzioni, predisposto dal legislatore al fine di reprimere sia la trasgressione del

divieto di co.co.co. atipiche, sia l’abuso della forma giuridica del lavoro a progetto per dissimulare

rapporti di lavoro subordinato, prevede che:

- in difetto di uno specifico progetto, il rapporto di lavoro del collaboratore si trasforma in lavoro

subordinato a tempo indeterminato sin dalla origine (art. 69 co. 1);

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- in caso di accertamento giudiziale di un rapporto di natura subordinata, il rapporto di lavoro a

progetto (simulato) si trasforma in un rapporto di lavoro subordinato “corrispondente alla

tipologia negoziale di fatto realizzatasi tra le parti” (art. 69, co. 2).

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3. L’ASSUNZIONE: GLI ADEMPIMENTI

AMMINISTRATIVI

IL COLLOCAMENTO: ORDINARIO E OBBLIGATORIO

La comunicazione anticipata ex L. 296/2006

Nel sistema vigente di assunzione diretta del lavoratore, l’unico adempimento che permane per i

datori di lavoro è quello di effettuare una comunicazione agli uffici pubblici, cioè al Centro per

l’Impiego Territoriale competente.

A partire dal 01/01/2007, per effetto della L.296/2006, è entrata in vigore la nuova comunicazione

anticipata di assunzione.

La legge stabilisce infatti che la comunicazione deve essere effettuata entro il giorno antecedente

l’instaurazione del rapporto di lavoro, anche se trattasi di giorno festivo. La scadenza del termine è

fissata alle ore 24 del giorno antecedente a quello di effettivo inizio del rapporto di lavoro.

L’obbligo di informare il lavoratore sulle condizioni del rapporto di lavoro

L’art. 96 delle disposizioni di attuazione del Codice Civile prevede espressamente che

l’imprenditore deve far conoscere al prestatore di lavoro, al momento dell’assunzione, la categoria e

la qualifica che gli sono assegnate in relazione alle mansioni per cui è stato assunto.

L’obbligo contenuto in questa norma piuttosto obsoleta è stato riformulato con il D.Lgs.

26/05/1997, n. 152 che sancisce l’obbligo del datore di lavoro di informare il lavoratore delle

condizioni applicabili al contratto o al rapporto di lavoro .

Le informazioni che devono essere fornite al lavoratore sono le seguenti:

- identità della controparte contrattuale;

- luogo di lavoro;

- la data di inizio del rapporto e la durata, precisando se si tratta di rapporto di lavoro a tempo

determinato o indeterminato (nonché la durata del periodo di prova se prevista);

- l’inquadramento, il livello e la qualifica attribuiti al lavoratore.

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Inoltre, deve essere indicato l’importo iniziale della retribuzione ed i relativi elementi costitutivi,

con l’indicazione del periodo di pagamento, la durata delle ferie retribuite, orario di lavoro e i

termini del preavviso in caso di recesso (alcune informazioni possono essere sostituite da rinvii al

Contratto Collettivo). L’importanza dell’obbligo in questione è sottolineata dalla previsione di

misure di tutela per il lavoratore che può rivolgersi alla DPL affinché intimi al datore di lavoro a

provvedere entro 15 giorni e di apposite sanzioni amministrative in capo al datore inadempiente.

Il D.L. 112/2008 (art. 40, co. 2), conv. in L. 06/08/2008 n. 133, con lo scopo di semplificare gli

adempimenti connessi alla gestione del rapporto di lavoro, ha previsto che l’obbligo informativo in

questione possa essere adempiuto con la consegna al lavoratore, all’atto dell’assunzione prima

dell’inizio dell’attività di lavoro, di copia della comunicazione preventiva di assunzione effettuata al

centro per l’impiego.

Il provvedimento prevede inoltre che l’obbligo può essere adempiuto anche con la consegna al

lavoratore, prima dell’inizio dell’attività lavorativa, di copia del contratto individuale di lavoro (che

deve contenere però tutte le informazioni previste dal D.Lgs. 152/1997).

L’assunzione delle persone disabili

Al raggiungimento della soglia dimensionale (numero di addetti) cui la legge connette l’obbligo di

assumere una certa quota di disabili, il datore di lavoro deve provvedere a presentare agli uffici

competenti la richiesta di assunzione (art. 7 D.P.R. 333/2000).

Circa le modalità di assunzione, la L. 68/1999 (art. 7) prevede la richiesta nominativa per:

- tutte le assunzioni cui sono tenuti i datori di lavoro privati che occupano da 15 a 35 dipendenti

nonché i partiti politici, le organizzazioni sindacali e sociali e gli enti da essi promossi;

- il 50% delle assunzioni cui sono tenuti i datori di lavoro, che occupano da 36 a 50 dipendenti;

- il 60% delle assunzioni cui sono tenuti i datori di lavoro, che occupano più di 50 dipendenti.

La restante parte della quota deve essere coperta con avviamento da parte del centro per l’impiego

degli iscritti nella graduatoria regionale. Il datore di lavoro del settore privato (per le pubbliche

amministrazioni valgono particolari modalità applicative) è tenuto a presentare agli uffici

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competenti (centri per l’impiego) la richiesta di assunzione entro 60 giorni dal momento in cui

scatta l’obbligo di assumere lavoratori disabili.

RAPPORTI CON GLI ENTI PREVIDENZIALI

I soggetti erogatori delle prestazioni

Si tratta degli Enti previdenziali che costituiscono i soggetti attivi del rapporto.

Il nostro ordinamento è caratterizzato dalla pluralità degli enti previdenziali, fenomeno dovuto al

fatto che il sistema delle assicurazioni sociali è organizzato in base sia alla natura del rischio

assicurato (ciascun ente è competente ad una determinata assicurazione) sia alla natura della attività

espletata (lavoro subordinato, autonomo, parasubordinato, libera professione, ecc.) e talvolta anche

in base alla tipologia di attività (lavoro giornalistico, sportivo, ecc.). Esistono quindi numerosi enti e

casse previdenziali, anche se tra essi assumono particolare rilievo, in quanto enti assicuratori per la

generalità dei lavoratori:

- INPS (Istituto Nazionale della Previdenza Sociale) per i lavoratori dipendenti del settore privato

(assicura circa 13 milioni di lavoratori);

- INAIL (Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro).

Soggetti obbligati alla contribuzione

Sono principalmente i datori di lavoro ai quali l’onere del pagamento dei contributi è stato

progressivamente addossato in misura sempre maggiore.

Soggetti obbligati sono talvolta, anche i lavoratori dipendenti. Alcune assicurazioni sociali,

pongono a carico di questi ultimi determinate percentuali di contribuzione.

I lavoratori autonomi, invece assumono insieme, la figura dell’assicurante e del beneficiario e

sono integralmente responsabili per il versamento dei propri contributi.

Per i lavoratori parasubordinati l’obbligo contributivo grava sui committenti per una quota e

sugli stessi lavoratori per la parte restante.

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Soggetti protetti

Attualmente, sono protetti non solo tutti i lavoratori subordinati pubblici e privati, ma anche la quasi

totalità dei lavoratori autonomi, sia professionisti (ivi compresi quelli per cui non è obbligatoria

l’iscrizione ad albi, registri o elenchi professionali, come invece avviene per avvocati, medici,

geometri ecc), sia artigiani, piccoli commercianti, pescatori, sia titolari di rapporti di collaborazione

coordinata e continuativa (cd. parasubordinazione), i rapporti contrattuali a progetto, le

collaborazioni occasionali (cd. mini co.co.co.) e gli associati in partecipazione. Tra i soggetti

protetti rientrano altresì i superstiti dei lavoratori deceduti, nei casi previsti dalla legge (coniuge,

orfani minorenni o inabili al lavoro, altre categorie di familiari a carico).

L’oggetto del rapporto previdenziale

L’oggetto del rapporto giuridico previdenziale è costituito dallo stato di bisogno che si viene a

creare al verificarsi di determinati eventi che sono indicati, in modo non tassativo, nell’art. 38,co. 2

Cost. che menziona l’infortunio, la malattia, l’invalidità, la vecchiaia e la disoccupazione

involontaria.

Gli eventi contemplati sono distinti, sotto il profilo del tipo di danno che arrecano, in:

- quelli che agiscono prevalentemente sulla capacità lavorativa, intesa come idoneità fisica allo

svolgimento dell’attività lavorativa;

- quelli che influiscono sulla capacità di guadagno intesa come possibilità per il datore di lavoro

di assorbire manodopera, o garantire continuità di lavoro ai propri dipendenti (disoccupazione,

riduzione dell’orario di lavoro);

- quelli che comportano un aumento dei bisogni dell’assicurato (carichi familiari).

Obbligatorietà

L’obbligo contributivo trova la sua fonte nella legge che ne determina altresì l’ammontare con

criteri variabili a seconda delle categorie, dei soggetti e dei rischi protetti. L’obbligo del pagamento

sorge al verificarsi delle condizioni previste, cioè generalmente, all’atto dello svolgimento di una

qualunque attività lavorativa, ma talvolta è subordinato al verificarsi di eventi ulteriori (ad es. per

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la tutela infortunistica solo quando, in circostanza di rapporto di lavoro, si svolga una delle attività

specificamente protette).

GLI ASSEGNI PER IL NUCLEO FAMILIARE

Gli elementi per determinare il diritto e la misura dell’assegno sono:

- la composizione del nucleo familiare;

- il reddito del nucleo stesso.

Il nucleo familiare è composto dal richiedente l’assegno, dal coniuge che non sia legalmente ed

effettivamente separato, dai figli equiparati e dai fratelli, sorelle e nipoti collaterali sulla base dei

criteri indicati dalla prassi amministrativa.

Il reddito del nucleo familiare è costituito dall’ammontare dei redditi complessivi, assoggettabili

all’IRPEF, conseguiti dai suoi componenti nell’anno solare precedenti al 1° luglio di ciascun anno

e ha valore per la corresponsione dell’assegno fino al 30 giugno dell’anno successivo.

Si ha diritto all’assegno solo se la somma dei redditi da lavoro dipendente, da pensione o da altra

prestazione previdenziale derivante da lavoro dipendente, ammonti almeno al 70% del reddito

complessivo del nucleo familiare.

L’erogazione degli assegni

Per ottenere il pagamento dell’assegno, il lavoratore deve presentare apposita domanda utilizzando

il modulo disposto dall’INPS e corredandola della documentazione necessaria.

In generale, la domanda deve essere presentata al datore di lavoro, il quale provvede a pagare

l’assegno per conto dell’INPS, alla fine di ogni periodo di paga.

I LIBRI OBBLIGATORI

Il Libro Unico del Lavoro

Uno dei principali adempimenti del datore di lavoro, sia ai fini della regolarità del rapporto di

lavoro sia ai fini della gestione del rapporto assicurativo con gli enti previdenziali, è stato a lungo

rappresentato dall’obbligo di registrare i lavoratori assunti nei cd. libri obbligatori.

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Tali libri erano previsti e disciplinati in relazione dal D.P.R. 1124/1965 che prevedeva per tutti i

datori di lavoro soggetti all’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali

l’obbligo di tenere un libro matricola e un libro paga ai fini di documentare l’esistenza del rapporto

di lavoro nei confronti dell’istituto assicuratore (INAIL).

La descritta documentazione è stata sostituita dal libro unico del lavoro, introdotto dagli artt. 39 e

40 della cd. manovra economica e disciplinato compiutamente dal D.M. 09/07/2008.

Funzioni e caratteristiche del libro unico

Mentre i tradizionali libri obbligatori hanno rappresentato il mezzo più importante per attestare la

regolarità del lavoratore, la funzione del nuovo libro unico è, invece, quella di uno strumento

gestionale per il corretto adempimento degli obblighi retributivi, assicurativi, previdenziali e fiscali,

documentando a ogni singolo lavoratore lo stato effettivo del proprio rapporto di lavoro e agli

organi di vigilanza lo stato occupazionale dell’impresa.

Come per i precedenti libri aziendali, l’istituzione del libro unico è obbligatoria per tutti i datori di

lavoro privati di qualunque settore, soggetti o meno all’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro

e le malattie professionali, ad eccezione del datore di lavoro domestico.

Luogo di tenuta del libro

Le regole concernenti le modalità di tenuta del libro unico, pur ricalcando quelle prescritte in

relazione ai precedenti libri, presentano non pochi elementi di novità in specie per ciò che concerne

l’attività di consulenza del lavoro.

Con la nuova normativa, infatti, il luogo di conservazione della documentazione obbligatoria

aziendale non è più obbligatoriamente il “luogo in cui si esegue il lavoro”.

Attualmente il datore di lavoro può decidere liberamente di tenere la documentazione aziendale o

presso la propria sede legale o, in alternativa, direttamente presso lo studio del professionista

incaricato (consulenti del lavoro o altro professionista abilitato ex L.12/1979).

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4. SVOLGIMENTO DEL CONTRATTO

L’ATTUALE DISCIPLINA DEL TFR (art. 2120 c.c.)

Secondo l’art. 2120 c.c., nel testo vigente dal 01/06/1982 a seguito della riforma della L. 297/1982,

il prestatore di lavoro ha diritto ad un trattamento di fine rapporto (TFR) in ogni caso di cessazione

del rapporto di lavoro subordinato, e quindi indipendentemente dalle motivazioni che l’hanno

determinata.

Esso matura durante lo svolgimento del rapporto di lavoro ed è di importo variabile in quanto è in

funzione dell’ammontare della retribuzione percepita dal lavoratore.

Il TFR è escluso dalla contribuzione ed è soggetto al regime della tassazione separata.

Il calcolo della quota annua di TFR

Il TFR si calcola accantonando, al termine di ciascun anno di servizio, una quota pari, e comunque

non superiore, all’importo della retribuzione dovuta per l’anno stesso, costituita dalla somma di

tutte le retribuzioni mensili, diviso per il 13,5.

La retribuzione che si deve prendere in considerazione è quella lorda erogata al lavoratore durante

l’anno, che poi si divide per il numero fisso di 13,5. All’importo annuo così ottenuto il datore di

lavoro deve sottrarre la somma derivante dall’applicazione dell’aliquota contributiva dello 0,50%.

LE FERIE

Le ferie annuali

L’art. 36 della Costituzione sancisce il diritto del lavoratore a fruire di ferie annuali retribuite.

La funzione delle ferie è quella di tutelare la salute del lavoratore consentendogli di recuperare le

energie psico-fisiche usurate dal lavoro nonché di partecipare più incisivamente alla vita familiare e

sociale. Per tale motivo il diritto alle ferie annuali è irrinunciabile ed ogni accordo in senso

contrario sarebbe radicalmente nullo.

Ulteriore fonte è l’art. 2109 c.c. per il quale “il lavoratore ha diritto a un periodo annuale di ferie

retribuite, possibilmente continuativo”.

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La materia è oggi disciplinata dal D.Lgs. 66/2003 (art. 10) che introduce importanti innovazioni,

determinando direttamente il periodo minimo di ferie e formulando espressamente il principio della

effettività delle ferie nel senso di promuoverne, a beneficio del lavoratore , la loro effettiva

fruizione nell’anno di maturazione.

Il periodo di ferie spettante per legge o per contratto collettivo

Per la durata delle ferie il codice civile rimanda alla legge, ai contratti collettivi, agli usi o all’equità.

Fino all’emanazione del D.Lgs. 66/2003, la durata delle ferie era disciplinata solo dai contratti

collettivi. Attualmente il decreto quantifica direttamente il periodo minimo feriale, stabilendo che

“il prestatore di lavoro ha diritto a un periodo annuale di ferie retribuite non inferiore a 4

settimane”. La contrattazione collettiva ha però facoltà di derogare in senso più favorevole,

prevedendo più giorni di ferie l’anno.

Le ferie si maturano anche se nel mese si verificano determinati eventi sospensivi del rapporto

come la malattia, l’infortunio, astensione obbligatoria dal lavoro per maternità, secondo le

previsioni del contratto collettivo.

PERMESSI E CONGEDI

I permessi o congedi previsti dalla legge si distinguono a seconda che i relativi periodi siano o meno

retribuiti.

Permessi o congedi retribuiti

L’attuale disciplina dei permessi retribuiti prevede che:

- i donatori di sangue e di emocomponenti hanno diritto di astenersi dal lavoro per l’intera

giornata in cui effettuano il prelievo (L. 584/1967, D.M. 8-4-1968 e art. 18 L. 219/2005);

- i donatori di midollo osseo hanno diritto a permessi per lo svolgimento degli atti preliminari

alla donazione (effettuazione dei prelievi necessari ad individuare i dati generici e la

compatibilità con i pazienti in attesa di trapianto, accertamento dell’idoneità della donazione),

per la donazione e per i giorni successivi di convalescenza (L. 52/2001);

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- i lavoratori-studenti, oltre a particolari agevolazioni nei turni di lavoro e sul lavoro

straordinario, hanno diritto a permessi giornalieri per sostenere prove di esame presso ogni

ordine e grado di scuole (art. 10 L. 300/1970);

- i lavoratori in genere hanno la possibilità di utilizzare le ore di permesso per l’aggiornamento

professionale o per il conseguimento del titolo di istruzione della scuola dell’obbligo il cui

ammontare è determinato dalla contrattazione collettiva;

- i lavoratori mutilati ed invalidi civili (con riduzione dell’attitudine lavorativa superiore al

50%) possono usufruire di un congedo straordinario per cure non superiore ai 30 giorni ogni

anno, previa autorizzazione di un medico della struttura sanitaria pubblica e sempre che le cure

siano connesse alla infermità invalidante riconosciuta (art. 26 L. 118/1971 e art. 10 D.Lgs.

509/1988). Tale congedo è a totale carico del datore di lavoro e può essere usufruito anche da

lavoratori invalidi affetti da patologia tumorale come un ulteriore periodo di astensione dal

lavoro non computabile nel periodo di comporto per malattia (circ. INPS 40/2005 e Min. Lav.

risposta ad interpello 5-12-2006, n. 25/I/0006893);

- le lavoratrici gestanti hanno diritto a permessi retribuiti per l’effettuazione di esami prenatali,

accertamenti clinici ovvero visite mediche specialistiche, nel caso in cui questi debbano essere

eseguiti durante l’orario di lavoro (art. 14, D.Lgs. 151/2001);

- i dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali, di cui alla L. 300/1970, hanno diritto a

permessi (art. 23) in misura proporzionata alle dimensioni dell’azienda; a permessi analoghi

nella misura prevista dai contratti collettivi hanno diritto (art. 30) i dirigenti sindacali provinciali

e nazionali;

- i consiglieri comunali e provinciali hanno diritto (art. 32 L. 300/1970) a permessi per il tempo

necessario allo svolgimento delle loro funzioni;

- in occasione di elezioni politiche ed amministrative e dei referendum i lavoratori chiamati a

svolgere funzioni presso gli uffici elettorali (presidente, segretario, scrutatore, rappresentante

di lista o di candidato) hanno diritto di assentarsi dal lavoro per tutto il periodo corrispondente

alle operazioni elettorali e a riposi compensativi o maggiorazioni retributive per i giorni festivi o

non lavorativi compresi in tale periodo (L. 53/1990 e 59/1992);

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- al lavoratore che contragga matrimonio deve essere consesso, a sua richiesta, un periodo di

congedo (di durata variabile a seconda delle qualifiche e del settore produttivo) la cui

retribuzione è interamente a carico del datore di lavoro per gli impiegati (R.D.L. 1334/1937)

mentre per gli operai i primi 7 giorni sono a carico dell’INPS (c.d. assegno per congedo

matrimoniale).

Permessi o congedi non retribuiti

La disciplina normativa prevede che:

- i dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali hanno diritto, oltre ai permessi previsti

dall’art. 23 L. 300/1970, a non meno di 8 giorni annui di permesso (non retribuito) per

convegni, congressi e iniziative sindacali in genere (art. 24 L. 300/1970);

- i sindaci e gli assessori comunali oltre ai permessi spettanti quali consiglieri, hanno diritto a

permessi non retribuiti per almeno 30 ore mensili;

- il lavoratore ha diritto a permessi, non retribuiti, per adempiere a doveri civili (es. votazioni,

comparizioni in giudizio come parte o come teste etc.);

- i lavoratori tossicodipendenti assunti a tempo indeterminato e sottoposti ad un trattamento

riabilitativo, e i lavoratori familiari di un tossicodipendente (qualora sia necessaria la loro

partecipazione al programma di recupero), hanno diritto ad un periodo di aspettativa non

retribuita per tutta la durata della terapia ma non superiore ai 3 anni (art. 124 D.P.R. 309/1990);

- i lavoratori chiamati a funzioni pubbliche elettive hanno diritto, secondo il principio dell’art.

51, co. 3 Cost., «di disporre del tempo necessario al loro adempimento e di conservare il posto

di lavoro». In attuazione del dettato costituzionale sono previsti, a richiesta, periodi di

aspettativa non retribuita per tutta la durata del mandato, per i lavoratori eletti al Parlamento

nazionale o europeo o in assemblee regionali (art. 31 St. Lav.) e per i lavoratori eletti alle

cariche di consigliere comunale e provinciale, sindaco, presidente della provincia etc. (art. 32 St.

Lav., D.Lgs. 267/2000).

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LE CAUSE DI STINZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO

Pluralità di cause

Il rapporto di lavoro può estinguersi per una pluralità di cause previste dall’ordinamento. In

particolare:

a. per scadenza del termine, se trattasi di rapporti di lavoro che prevedono una scadenza

finale;

b. per morte del lavoratore. Non produce, invece, l’estinzione del rapporto di lavoro la morte

del datore di lavoro in quanto l’attività produttiva continua, di regola, con chi succede nella

titolarità dell’impresa;

c. per accordo delle parti, in base al principio civilistico del cd. mutuo consenso (art. 1372

c.c.) che però trova scarsa applicazione in ambito lavoristico;

d. per altre specifiche cause previste dalla legge;

e. per impossibilità sopravvenuta della prestazione o per forza maggiore.

LA TUTELA DELLE CONDIZIONI DI LAVORO DEI MINORI

Il legislatore ha inteso tutelare l’integrità psico-fisica del lavoratore minore d’età, attraverso una

normativa protettiva speciale, per lo più derogatoria di quella ordinaria in ragione delle peculiari

esigenze di tutela accordata a tale categoria di lavoratori.

La normativa protettiva contenuta nella L. 977/1967, come riformata dal D.Lgs. 345/1999, si

applica ai minori di 18 anni, che hanno un contratto di lavoro, anche speciale (e pertanto anche nei

casi di minori occupati con contratto di apprendistato e di lavoro a domicilio).

Il livello di protezione è graduato a seconda che si tratti di (art. 1 L. 977/1967):

- bambini, cioè minori che non hanno compiuto i 15 anni o che sono ancora soggetti all’obbligo

scolastico.

- adolescenti, cioè minori di età compresa tra i 15 e i 18 anni compiuti, non più soggetti

all’obbligo scolastico.

Non trova invece applicazione nei confronti degli adolescenti addetti a lavori occasionali o di breve

durata concernenti servizi domestici prestati in ambito familiare o, comunque, prestazioni non

nocive e non pericolose rese in imprese a conduzione familiare.

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Per effetto poi della L. 27-12-2006, n. 296 (art. 1, co. 622), a decorrere dall’anno scolastico

2007/2008, l’istruzione, finalizzata a conseguire un titolo di studio di scuola secondaria superiore o

di una qualifica professionale di durata almeno triennale entro i 18 anni, è obbligatoria per almeno

dieci anni.

L’età per l’accesso al lavoro è di conseguenza pari a 16 anni. (art. 1 co. 623).

I bambini (nei casi in cui sono eccezionalmente autorizzati a lavorare) e gli adolescenti possono

essere ammessi al lavoro solo se sono riconosciuti idonei all’attività lavorativa cui saranno adibiti a

seguito di visita medica preassuntiva (art. 8 co. 1, L. 977/1967).

L’idoneità all’attività lavorativa dei minori deve permanere per tutta la durata del rapporto, per cui

essi devono essere sottoposti a visite mediche periodiche ad intervalli non superiori ad un anno

(art. 8 co. 2 L. 977/1967).

Per quanto concerne l’orario di lavoro, non trova applicazione il D.Lgs. 66/2003 che disciplina la

materia per la generalità dei lavoratori, ma la norma speciale dell’art. 18 della L. 977/1967.

Pertanto, l’orario di lavoro non può superare, per i bambini, le 7 ore giornaliere e le 35 ore

settimanali, mentre per gli adolescenti, le 8 ore giornaliere e le 40 ore settimanali.

I minori hanno altresì diritto ad un periodo di riposo settimanale di almeno 2 giorni, se possibile

consecutivi e comprendenti la domenica.

Particolare è anche il regime delle pause giornaliere giacché è stabilito che l’orario quotidiano non

possa durare senza interruzioni più di 4 ore e mezza; in caso contrario, esso deve essere interrotto da

un riposo intermedio di almeno un’ora (che può essere ridotto a mezz’ora dalla contrattazione

collettiva).

L’art. 15 della L. 977/1967 vieta di adibire al lavoro notturno i minori, introducendo all’uopo

una nozione speciale di lavoro notturno (differente da quella del D.Lgs. 66/2003 applicabile alla

generalità dei lavoratori): con il termine notte si intende «il periodo di almeno 12 ore consecutive

comprendente l’intervallo tra le ore 22 e le ore 6, o tra le 23 e le 7».

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LA DISCIPLINA DELL’ ORARIO DI LAVORO

L’orario di lavoro è il cardine del contratto di lavoro in quanto consente di stabilire, da un lato, la

durata della prestazione lavorativa e, dall’altro, la retribuzione dovuta.

Inoltre, ponendosi come limite massimo della prestazione lavorativa, ha anche la funzione di

tutelare l’integrità psico-fisica del lavoratore.

La disciplina dell’orario di lavoro è stata completamente riformata dal D.Lgs. 8-4-2003 n. 66, con

cui sono formalmente recepite nell’ordinamento le direttiva 93/104/CE e 2000/34/CE, «concernenti

taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro», e che, in un’ottica di semplificazione e

razionalizzazione, coordina in un unico testo normativo le previdenti disposizioni in materia (orario

notturno, lavoro straordinario etc.).

L’orario settimanale (normale o contrattuale)

Il concetto di partenza nella disciplina dell’orario di lavoro è quello dell’orario normale di lavoro

che corrisponde alla durata normale della settimana lavorativa e che la legge stabilisce in 40 ore

settimanali (art. 3 D.Lgs. 66/2003).

I contratti collettivi possono però stabilire una durata inferiore dell’orario settimanale, rispetto alla

durata legale (40 ore), e/o riferire l’orario normale alla durata media delle prestazioni lavorative in

un periodo non superiore all’anno (cd. orario multiperiodale).

L’orario di lavoro giornaliero e le pause intermedie

Il lavoratore deve osservare un periodo di riposo di 11 ore ogni 24 ore (cd. riposo giornaliero).

In considerazione dell’esistenza di tale obbligo, posto a tutela dell’integrità psicofisica del

lavoratore, ed in conformità alla Costituzione (art. 36 co. 2), la durata massima della giornata

lavorativa deve ritenersi pari a 13 ore.

Durante la giornata lavorativa, i lavoratori hanno diritto a fare delle pause ai fini del recupero delle

energie psicofisiche, di attenuare il lavoro monotono e ripetitivo e, eventualmente, per la

consumazione del pasto (art. 8).

La pausa deve essere osservata solo se l’orario di lavoro stabilito dal contratto collettivo prevede

che debbano svolgersi più di 6 ore al giorno di lavoro.

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La durata della pausa giornaliera non è astrattamente fissata dalla legge ma è la contrattazione

collettiva (nazionale, provinciale,aziendale) a determinarla.

In assenza di alcuna previsione collettiva al lavoratore deve essere concessa una pausa di minimo

10 minuti compresi tra l’inizio e la fine di ogni periodo giornaliero di lavoro.

Il riposo obbligatorio settimanale

Un ulteriore elemento importante da considerare nell’organizzazione dell’orario di lavoro è

l’obbligo di osservare il riposo settimanale.

Il D.Lgs. 66/2003 stabilisce (art. 9) che il lavoratore ha diritto ogni 7 giorni a un periodo di riposo

di almeno 24 ore consecutive, di regola in coincidenza con la domenica.

La norma risponde al principio generale stabilito dall’art. 36, co. 3, Cost. secondo cui: «Il

lavoratore ha diritto al riposo settimanale e non può rinunziarvi». Detto principio è, poi,

specificato dall’art. 2109 c.c. in cui è stabilito che esso, di regola, debba coincidere con la

domenica.

Il diritto al riposo settimanale è irrinunciabile, come è espressamente previsto dall’art. 36 co. 2

Cost.: una eventuale pattuizione contraria di un contratto collettivo o di un contratto individuale

sarebbe radicalmente nulla.

IL LAVORO STRAORDINARIO

Nozioni e limiti

Il lavoro straordinario è «il lavoro prestato oltre l’orario normale di lavoro», cioè oltre la

quarantesima ora (art. 1, co. 2 D.Lgs. 66/2003).

Principio del contingentamento

Il D.Lgs. 66/2003 stabilisce in via generale che il ricorso a prestazioni di lavoro straordinario deve

essere contenuto (art. 5 co. 1).

E’ il contratto collettivo che deve, poi, provvedere a stabilire specificamente la disciplina del lavoro

straordinario in un determinato settore o azienda. Se mancano previsioni da parte del contratto

collettivo, il ricorso al lavoro straordinario è legittimo soltanto sulla base dei seguenti requisiti:

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- previo accordo tra datore di lavoro e lavoratore;

- per un periodo che non superi le 250 ore annuali.

LA MALATTIA

L’esecuzione del rapporto di lavoro subordinato può essere sospesa nell’ipotesi di impossibilità

temporanea della prestazione per cause che riguardano il lavoratore ma che non sono a lui

imputabili a titolo di colpa.

Mentre la disciplina generale dei contratti a prestazioni corrispettive prevede che, nel caso in cui la

controparte non può effettuare la prestazione a cui è tenuta, la parte è liberata dalla propria

obbligazione e può recedere dal contratto, per il contratto di lavoro vigono norme speciali che,

ispirate alla tutela del prestatore di lavoro, producono effetti diversi.

Infatti l’art. 2110 c.c. stabilisce che:

- il lavoratore ha diritto alla conservazione del posto di lavoro per un certo periodo di tempo,

la cui durata è determinata dai contratti collettivi. Durante tale periodo, denominato periodo

di comporto, il lavoratore assente non può essere licenziato;

- i giorni di assenza del lavoratore sono computati nell’anzianità di servizio;

- il lavoratore ha diritto alla tutela economica per i giorni di assenza, in forza di retribuzione o

di indennità sostitutiva della stessa a carico degli enti previdenziali, ove sussista la relativa

copertura assicurativa.

Ai sensi dell’art. 6 del R.D.L. n. 1825 del 1924, le retribuzioni da corrispondere ai lavoratori

ammalati aventi qualifica impiegatizia nel settore industria sono interamente a carico del datore di

lavoro. Sono invece, a carico dell’INPS, le indennità giornaliere di malattia per i seguenti lavoratori

subordinati:

- operai e categorie assimilate dell’industria, dell’artigianato e dell’agricoltura;

- operai e impiegati nel settore del commercio e del terziario;

- lavoratori soci di società ed enti cooperativi.

L’ente previdenziale eroga un’indennità giornaliera a partire dal quarto giorno di malattia fino ad un

massimo di 180 giornate nell’anno solare. I primi tre giorni di malattia (cd. periodo di carenza) sono

invece a carico del datore di lavoro. Quasi tutti i contratti di categoria comunque prevedono a carico

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del datore di lavoro quote aggiuntive ed integrative alla indennità economica di malattia corrisposta

dall’INPS.

L’INFORTUNIO SUL LAVORO

Tanto per i lavoratori dell’industria, quanto per quelli dell’agricoltura, la legge (artt. 2 e 210 del

T.U.) dispone che il diritto alle prestazioni assicurative sorge in tutti i casi di “infortunio avvenuto

per causa violenta in occasione di lavoro, da cui sia derivata la morte o un’invalidità permanente al

lavoro, assoluta o parziale, ovvero un’invalidità temporanea assoluta che importi l’astensione dal

lavoro per più di tre giorni”.

Partendo da questa formulazione legislativa si può definire l’infortunio sul lavoro come “ogni

lesione originata, in occasione di lavoro, da causa violenta che determini la morte della persona o ne

abolisca o comunque ne menomi permanentemente o temporaneamente la capacità lavorativa”.

Analizzando tale definizione vengono in rilievo i seguenti elementi caratterizzanti l’infortunio: la

lesione, la causa violente e l’occasione del lavoro che debbono sussistere contemporaneamente per

configurare un infortunio indennizzabile.

La lesione

Per lesione si intende ogni alterazione legata all’organismo fisiopsichico del lavoratore. Le

conseguenza della lesione rilevanti ai fini assicurativi sono:

- la morte del lavoratore;

- la inabilità al lavoro; L’inabilità al lavoro può essere temporanea o permanente, a seconda

che le conseguenze dell’infortunio siano o meno sanabili nel tempo. L’inabilità permanente,

a sua volta, può essere:

o assoluta quando pregiudichi completamente le attitudini lavorative;

o parziale quando riduca, senza eliminarle, tali attitudini.

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La causa violenta

Per causa violenta si intende ogni fatto esterno che agisca rapidamente sulla persona e costituisca

pertanto, un nesso di causa ed effetto con la lesione. Un eventuale concorso di concause (per

condizioni morbose preesistenti o sopravvenute) non impedisce il riconoscimento dell’esistenza

dell’infortunio sul lavoro.

L’infortunio in itinere

L’assicurazione comprende “gli infortuni accorsi alle persone assicurate durante il normale percorso

di andata o di ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro, durante il normale percorso che

collega due luoghi di lavoro e, qualora non sia presente un servizio di mensa aziendale, durante il

normale percorso di andata e ritorno dal luogo di lavoro a quello di consumazione abituale dei pasti

”.

Adempimenti del lavoratore e del datore di lavoro

Il lavoratore cui sia occorso un infortunio in occasione di lavoro deve informarne immediatamente

il proprio datore di lavoro.

La sanzione per la violazione di questo obbligo è la perdita dell’indennità per i giorni antecedenti a

quelli in cui il datore di lavoro ha avuto notizia dell’infortunio (non si subisce la perdita

dell’indennità quando il datore sia venuto altrimenti a conoscenza dell’infortunio e abbia fatto la

denuncia all’INAIL nei termini legali).

Il datore di lavoro è tenuto a denunciare all’INAIL gli infortuni occorsi ai dipendenti con prognosi

superiore a tre giorni, indipendentemente da ogni valutazione circa la ricorrenza degli estremi per la

loro indennizzabilità (art. 53 T.U. e art. 18, co. 1, lett. r, D.Lgs. 81/2008).

LA TUTELA DELLA GENITORIALITA’ DELLE PERSONE CHE LAVORANO

A. Fondamento

Il nostro ordinamento ha da sempre tutelato l’assolvimento dei compiti di maternità e cura dei figli

ritenendo “essenziale” la funzione familiare svolta dalla donna. Per evitare però che attraverso una

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normativa protezionistica speciale possano derivare per la madre lavoratrice conseguenze

discriminatorie e penalizzanti, la Costituzione ha sancito all’art. 37 la parità normativa e retributiva

(quest’ ultima a parità di lavoro) fra lavoratori e lavoratrici.

Allo stesso tempo la norma richiede che le condizioni di lavoro devono essere tali da consentire alla

lavoratrice “l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al

bambino una speciale adeguata protezione”.

La Costituzione dunque afferma, da un lato, la specialità della tutela riguardante la lavoratrice

madre, e, dall’altro, sancisce il (generale) principio fondamentale di uguaglianza fra i due sessi.

Le disposizioni in materia di tutela del ruolo socio-familiare della lavoratrice, contenute

originariamente nella L. 30/12/1971, n. 1204 e nella L. 08/03/2000, n. 53 (cd. legge sui congedi

parentali), sono state trasfuse nel Testo Unico per la tutela ed il sostegno della maternità e della

paternità, emanato con D.Lgs. 26/03/2001, n. 151.

Il T.U. , ribadendo quanto già previsto dalla L. 53/2000, ha riconosciuto anche al padre lavoratore

la possibilità di fruire delle forme di tutela previste dalla legge per le lavoratrici madri favorendo,

dunque, anche grazie ad una più equa ripartizione dei carichi familiari, pari possibilità di carriera tra

lavoratori e lavoratrici.

B. Congedo di maternità e di paternità

L’art. 16 del T.U. disciplina il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro, cd. congedo di

maternità, in cui è fatto divieto assoluto di adibire al lavoro delle donne. Il congedo di maternità

comprende il periodo relativo ai 2 mesi precedenti la data presunta del parto e i 3 mesi successivi al

parto.

C. Congedi parentali

L’art. 32 del T.U. ha riformulato, in aderenza con quanto già previsto dalla L. 53/2000 in materia di

congedi parentali, le previdenti disposizioni relative alla cd. astensione facoltativa.

Attualmente è previsto un congedo della durata massima cumulativa di 10 mesi, fruibile per ogni

figlio, in alternativa dal padre o dalla madre, nei primi 8 anni di vita del bambino. In particolare, il

diritto di astenersi dal lavoro compete:

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- alla madre lavoratrice, trascorso il periodo di congedo obbligatorio di maternità, per un periodo

continuativo o frazionato non superiore a 6 mesi;

- al padre lavoratore , dalla nascita del figlio, per un periodo continuativo o frazionato non

superiore a 6 mesi , elevabile a 7 mesi se ne usufruisca (in modo continuativo o frazionato) per

almeno 3 mesi.

Per i periodi di congedo parentale alle lavoratrici e ai lavoratori è dovuta fino al terzo anno di vita

del bambino, un’indennità pari al 30% della retribuzione, per un periodo massimo complessivo tra i

genitori di 6 mesi e senza condizioni reddituali; invece, per i periodi successivi, l’indennità spetta

soltanto se il reddito dell’interessato sia inferiore ad un certo importo.

Il versamento dei contributi figurativi è effettuato per l’ intero per le astensioni facoltative entro i

primi 3 anni di vita del bambino, in misura ridotta per congedi fruiti dai lavoratori nel periodo

compreso tra i 3 e gli 8 anni di vita del bambino.

IL PATTO DI NON CONCORRENZA

Il datore di lavoro e il lavoratore possono eventualmente stipulare un patto di non concorrenza, con

cui il secondo si obbliga a non svolgere attività concorrenziali con quelle del primo per un

determinato periodo di tempo successivo alla fine del rapporto di lavoro.

L’art. 2125 c.c. sancisce la nullità del patto di non concorrenza se non risulta da atto scritto, se non

è pattuito un corrispettivo a favore del prestatore di lavoro e se il vincolo non è contenuto entro

determinati limiti di oggetto, di tempo e di luogo. In particolare, la durata del vincolo non può

essere superiore a cinque anni, se si tratta di dirigenti, e a tre anni negli altri casi: pertanto, se è stata

pattuita una durata maggiore, essa si riduce nella misura su indicata.

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5. LA RETRIBUZIONE E LA BUSTA PAGA

Il concetto di retribuzione diretta e differita

La retribuzione costituisce, secondo la definizione generale desumibile dagli artt. 2094 e 2099 c.c.,

la prestazione fondamentale cui è obbligato il datore di lavoro nei confronti del lavoratore. Secondo

l’art. 36 della Costituzione, infatti, essa deve essere proporzionata alla quantità e qualità del lavoro,

nonché in ogni caso sufficiente a garantire al lavoratore ed alla sua famiglia una esistenza libera e

dignitosa: la norma individua nella proporzionalità e nella sufficienza i requisiti essenziali della

retribuzione (inderogabili cioè non solo dall’autonomia individuale e collettiva ma anche dal potere

legislativo).

Di conseguenza, la retribuzione deve essere determinata secondo un criterio obiettivo di

equivalenza alla quantità e qualità del lavoro prestato (requisito della proporzionalità) tenendo cioè

presenti tutti gli elementi di valutazione della prestazione (orario di lavoro, tipo di mansioni, etc.).

La corrispettività è il carattere tradizionalmente attribuito alla retribuzione poiché questa costituisce

la prestazione del datore strutturalmente e funzionalmente correlata alla prestazione di lavoro.

Vero è, però, che il principio della corrispettività subisce significative deroghe nel rapporto di

lavoro, tutte tassativamente previste, nelle quali la disciplina legale o contrattuale impone al datore

di corrispondere la retribuzione anche in assenza di prestazione (malattia, infortunio, richiamo alle

armi, puerperio, etc.) o in misura non strettamente correlata al lavoro effettivamente svolto.

Si è distinto in tal modo tra:

- retribuzione diretta, strettamente corrispettiva e cioè correlata alla prestazione eseguita dal

lavoratore quale compenso per il lavoro prestato;

- retribuzione indiretta, che ricomprende le attribuzioni corrisposte a titolo previdenziale,

indipendentemente dalla esecuzione della prestazione lavorativa (artt. 2108 c.c.: riposo

settimanale; 2019 c.c.: ferie annuali; 2110 c.c.: malattia infortuni, gravidanza, puerperio), o

differite nel tempo (l’esempio tipico è il trattamento di fine rapporto).

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6. GLI ASPETTI CONTRIBUTIVI E FISCALI I contributi previdenziali per il lavoro dipendente (generalità dei rapporti)

L’importo totale della contribuzione è dato dalla applicazione di varie aliquote, differenziate in base

alla tutela assicurativa al cui finanziamento esse sono destinate.

Tali tutele corrispondono ad altrettanti fondi o gestioni che riguardano, principalmente, le

prestazioni per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti (IVS), l’assicurazione contro la disoccupazione

involontaria (DS), il Fondo di garanzia per il trattamento di fine rapporto (TFR), l’assicurazione

contro la tubercolosi (TBC), la Cassa integrazione guadagni (CIG e CIGS), la Cassa unica per gli

assegni familiari (CUAF), la gestione per i trattamenti economici di malattia e di maternità.

Il soggetto assicuratore: l’INAIL

Ente competente è l’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL)

che opera sotto la vigilanza del Ministero del Lavoro.

Ai sensi dell’art. 27 T.U. ”la spesa dell’assicurazione è a esclusivo carico del datore di lavoro”.

La contribuzione che deve essere versata all’INAIL è denominata premio ed il relativo meccanismo

di calcolo riflette il rischio della lavorazione o delle lavorazioni esercitate in modo che, quanto più

una lavorazione è ritenuta pericolosa, tanto più alto è il premio da corrispondere all’Istituto.

Nell’industria il premio è determinato in percentuale delle retribuzioni percepite dai lavoratori in

forza presso l’azienda.

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7. IL POTERE DISCIPLINARE E LA

RISOLUZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO

La regolamentazione del licenziamento

Il recesso del datore di lavoro dal rapporto a tempo indeterminato è regolato dalla L. 604/1966,

dall’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori e dalla L. 108/1990. Questi testi normativi fondamentali

regolamentano in modo completo il fenomeno del licenziamento ponendo dei requisiti sostanziali e

procedurali per la legittimità dello stesso e apprestando un regime di tutela per il lavoratore

illegittimamente licenziato.

E’ bene sottolineare che, per espressa previsione di legge, le garanzie poste da tale complesso di

norme operano a favore unicamente dei lavoratori che siano parte di un contratto di lavoro a tempo

indeterminato (art. 1 L. 604/1966).

I requisiti sostanziali si traducono nell’obbligo di una causa giustificatrice del recesso: in merito

l’art. 1 della L. 15-7-1966, n. 604 dichiara chiaramente che “il licenziamento del prestatore di

lavoro non può avvenire che per giusta causa ai sensi dell’art. 2119 c.c. o per giustificato motivo”.

Il licenziamento disciplinare

Il licenziamento motivato dall’ inadempimento degli obblighi contrattuali da parte del lavoratore

può anche qualificarsi come disciplinare: si tratta, in questo caso, della più grave sanzione

disciplinare adottabile dal datore di lavoro.

In tal caso, la legittimità del licenziamento è subordinata all’osservanza sia dei requisiti stabiliti

dalla L. 604/1966 (procedura per il licenziamento individuale) sia di quelli dell’art. 7 dello Statuto

dei Lavatori (L. 300/197) (adozione di sanzioni disciplinari).

In pratica, la procedura prevista dalla L. 64/1966 è integrata con il regime più garantistico dell’art. 7

St. La. (co. 1, 2, 3): il datore di lavoro deve preventivamente contestare al lavoratore l’addebito

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dargli il tempo di presentare e sue difese e di essere

sentito, eventualmente anche con l’assistenza di un membro sindacale. Poi potrà intimargli il

licenziamento.

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8. LA GESTIONE DEL PERSONALE IN

ECCEDENZA Le integrazioni salariali

Le integrazioni salariali si suddividono in un intervento ordinario, anche denominato Cassa

Integrazione Guadagni (CIG), e un intervento straordinario, anche denominato Cassa Integrazione

Guadagni Straordinaria (CIGS).

La gestione delle integrazioni salariali è affidata all’INPS, tramite l’apposita Gestione prestazioni

temporanee ai lavoratori dipendenti, in cui confluiscono tre Casse (agricoltura, industria, edilizia),

autonome tra loro, preposte alla gestione dei trattamenti integrativi nei diversi settori.

Il finanziamento dell’assicurazione si basa sia sull’apporto finanziario dello Stato, sia sul contributo

degli imprenditori differenziato a seconda che si tratti di intervento ordinario (CIG) o straordinario

(CIGS) e commisurato all’ammontare complessivo delle retribuzioni pagate ai dipendenti.

In più, a carico delle imprese che si avvalgono degli interventi di integrazione salariale, vi è un

contributo addizionale in misura percentuale dell’importo delle integrazioni stesse.

L’intervento ordinario (CIG)

A) Applicazione

Sono soggette alle disposizioni relative alle integrazioni salariali (CIG) tutte le aziende

industriali, ivi comprese le cooperative di produzione e lavoro.

Beneficiano dell’integrazione tutti i lavoratori dipendenti con la qualifica di operaio, impiegato

e quadro.

I presupposti consistono nella contrazione o sospensione dell’attività produttiva dipendenti da

situazioni aziendali, siano esse dovute ad eventi transitori e non imputabili all’imprenditore o

agli operai ovvero siano determinate da situazioni temporanee di mercato.

B) L’indennità

La CIG assicura ai dipendenti una indennità (l’integrazione salariale) nella misura dell’80%

della retribuzione globale che ad essi sarebbe spettata per le ore di lavoro non prestate,

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comprese fra lo zero ore e il limite dell’orario contrattuale, ma comunque non oltre le 40 ore

settimanali.

L’intervento straordinario (CIGS)

A) Applicazione

La CIGS si applica alle imprese industriali che hanno occupato in media 15 dipendenti nel

semestre antecedente la richiesta.

L’intervento straordinario opera sul presupposto di una sospensione o riduzione di attività

causata da:

- ristrutturazione, riorganizzazione o riconversione aziendale;

- crisi aziendale di particolare rilevanza sociale in relazione alla situazione occupazionale

locale ed alla situazione produttiva del settore;

- procedure concorsuali, comprese le ipotesi di concordato preventivo e di ristrutturazione del

debito (nota Min. Lav. 17-3-2009, n. 4314).

Presupposto necessario per l’erogazione del trattamento è la presentazione di un programma

mirato al rilancio dell’attività ed alla salvaguardia, anche parziale, dei livelli occupazionali.

Possono usufruire del trattamento di integrazione tutti i dipendenti in possesso si anzianità di

servizio di almeno 90 giorni alla data della richiesta.

B) L’indennità

Il trattamento di CIGS consiste in una indennità pari all’80% della retribuzione globale che

sarebbe spettata al lavoratore per le ore di lavoro non prestate fino ad un massimo di 40 ore.

L’indennità di mobilità

Di regola i lavoratori iscritti nelle liste di mobilità hanno diritto a fruire dell’indennità di mobilità

che, tuttavia, è subordinata a ben determinati requisiti soggettivi ed oggettivi e cioè:

- i lavoratori devono essere stati collocati in mobilità a seguito di licenziamenti collettivi e

devono possedere un’anzianità aziendale di almeno 12 mesi, di cui 6 di lavoro

effettivamente prestato, con un rapporto a carattere continuativo e comunque non a termine;

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- i lavoratori devono essere stati collocati in mobilità da parte di imprese rientranti

nell’ambito applicativo della CIGS (art. 16, co. 1 L. 223/91) ovvero appartenenti a

determinati settori produttivi ed aventi specifiche dimensioni occupazionali.

L’indennità è corrisposta, pertanto, previa iscrizione nelle liste di mobilità, ai lavoratori subordinati

con qualifica di operaio, impiegato e quadro, assunti a tempo indeterminato, per i quali venga a

cessare il rapporto di lavoro nell’ambito di un licenziamento collettivo o dopo un periodo di CIGS .

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9. RAPPORTI SINDACALI Lo Statuto dei Lavoratori

La fonte normativa più importante dopo la Costituzione, in materia di libertà ed attività sindacale, è

ancora oggi la L. 20-5-1970, n. 300, nota come Statuto dei Lavoratori, che, recependo i principi

costituzionali, è diretta a garantire l’esercizio della libertà sindacale onde renderlo effettivo e

determinante all’interno delle unità produttive, predisponendo, al riguardo, anche un pregnante

apparato sanzionatorio.

Alla libertà sindacale in senso stretto è dedicato il titolo II dello Statuto.

In particolare:

- l’art. 14 prevede il diritto a svolgere liberamente attività e propaganda sindacale nei luoghi

di lavoro;

- l’art. 15 vieta patti ed atti discriminatori in relazione all’attività sindacale dei prestatori e

contro la propria personalità e dignità;

- l’art. 16 vieta, per le medesime ragioni sottese all’art. 15, i trattamenti economici

discriminatori;

- l’art. 17 vieta espressamente la costituzione ed il sostegno da parte dei datori ( e le loro

organizzazioni sindacali) di sindacati e “comodo” ossia controllati, anche occultamente, dai

datori;

Il titolo III (artt. 19-27) concerne l’attività sindacale (cd. diritti statutari collettivi).

In particolare:

- l’art. 19 prevede la possibilità di costituire rappresentanze sindacali aziendali (cd. RSA) per

i sindacati firmatari dei contratti collettivi di categoria applicati all’unità produttiva;

- gli artt. 20 e 21 prevedono e disciplinano, rispettivamente, il diritto di assemblea e di

referendum dei lavoratori nell’ambito dell’azienda;

- l’art. 22 subordina il trasferimento dei dirigenti delle RSA al previo “nulla osta ” delle

associazioni sindacali di appartenenza;

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- gli artt. 23 e 24 disciplinano il diritto dei dirigenti delle RSA a godere di permessi,

rispettivamente, retribuiti e non retribuiti, per svolgere l’attività sindacale, anche al di fuori

della azienda;

- l’art. 25 prevede il diritto di affissione di comunicati di “interesse sindacale e del lavoro”;

- l’art. 26 regola i contributi sindacali riconoscendo al lavoratore il diritto di raccogliere fondi

e di fare proselitismo per le loro organizzazioni sindacali all’interno dei luoghi di lavoro;

- l’art. 27 impone ai datori con più di 200 dipendenti, di assicurare la disponibilità di idonei

locali per svolgere attività sindacale;

- l’art. 28 prevede in via ordinaria una particolare forma di tutela della libertà sindacale che va

sotto il nome di repressione della condotta antisindacale.

La rappresentanza dei lavoratori a livello aziendale (RSA e RSU)

A) La rappresentanza dei lavoratori in azienda

Una prima espressione della struttura rappresentativa aziendale fu costituita dalle Commissioni

Interne (1919), in seguito sostituite da altre strutture rappresentative unitarie (consigli di

fabbrica, delegati, etc.) (1969).

Ai sensi dell’art. 19 St. Lav. la rappresentanza sindacale aziendale si può definire come

“qualunque tipo di organizzazione attraverso cui il sindacato è presente nell’azienda, purché

derivi dall’iniziativa dei lavoratori ed abbia qualificazione sindacale, cioè sia riferibile alla

struttura sindacale”.

Precisamente l’art. 19, nel testo modificato a seguito di referendum popolare (ex D.P.R. 28-7-

1995, n. 312) risulta oggi così formulato: “rappresentanze sindacali aziendali possono essere

costituite ad iniziativa dei lavoratori in ogni unità produttiva nell’ambito delle associazioni

sindacali che siano firmatarie di contratti collettivi di lavoro applicati nell’unità produttiva.

Nell’ambito delle aziende con più unità produttive le rappresentanze sindacali possono istituire

organi di coordinamento”. Ne consegue che i requisiti per la costituzione delle RSA e, quindi,

per fruire della relativa normativa di sostegno sono la necessità di una struttura associativa e la

sottoscrizione di un contratto collettivo nazionale o provinciale (purché applicato nell’unità

produttiva) oppure anche soltanto aziendale.

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B) Le rappresentanze sindacali unitarie (RSU)

Il Protocollo d’intesa siglato dalle parti sociali , CGIL, CISL e UIL, e dal governo il 23-7-1993

riconosce le rappresentanze sindacali unitarie (RSU) come rappresentanze sindacali sulla base

dell’accordo tra le suddette confederazioni (1-3-1991), stabilendo, altresì, che i contratti

nazionali di lavoro deleghino a tali organismi la titolarità della contrattazione di secondo livello

(cioè quella aziendale o territoriale).

Il successivo Accordo interconfederale del 20-12-1993 ha disciplinato la costituzione, i compiti

ed il funzionamento delle RSU, dando in tal modo attuazione ai principi dell’accordo del luglio

1993.

Le RSU, che si sono diffusamente sostituite alle RSA, possono essere costituite ad iniziativa:

- delle associazioni sindacali firmatarie del Protocollo del luglio 1993 (CGIL, CISL, UIL);

- di quelle firmatarie del contratto collettivo nazionale di lavoro applicato nell’unità

produttiva;

- degli altri sindacati abilitati alla presentazione delle liste.

Le RSU hanno durata triennale, al termine della quale decadono automaticamente, sicché,

almeno tre mesi prima della scadenza, le associazioni sindacali devono indire le elezioni

mediante comunicazione da affiggere nell’apposito albo messo a disposizione dell’azienda.

Hanno diritto di votare tutti i lavoratori (operai, impiegati e quadri non in prova) addetti

all’unità produttiva (elettorato attivo), così come gli stessi possono essere eletti, purché la loro

candidatura risulti dalla lista elettorale (elettorato passivo).

Il termine per la presentazione delle liste è di 15 giorni dalla data di pubblicazione dell’annuncio

delle elezioni. Le elezioni sono valide se alle stesse abbia preso parte più della metà dei

lavoratori aventi diritto al voto (salvo la facoltà di considerare le elezioni comunque valide

anche se detto quorum non sia stato raggiunto “in relazione alla situazione venutasi a

determinare”).

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L’autotutela sindacale: lo sciopero

Lo sciopero, tipico metodo di lotta sindacale, può considerarsi la principale forma di autotutela dei

lavoratori. Esso si configura come una astensione totale e concertata dal lavoro da parte di più

lavoratori subordinati per la tutela dei loro interessi collettivi.

Lo sciopero oggi è un vero e proprio diritto soggettivo fondamentale ed irrinunciabile concesso al

solo prestatore di lavoro (la Costituzione non prevede, infatti, alcun analogo riconoscimento per i

datori di lavoro). Si può affermare, anche alla luce di numerose pronunce sull’argomento da parte

della Corte Costituzionale, che lo sciopero, inteso come totale astensione dal lavoro, si legittima

pienamente tutte le volte che sia finalizzato alla tutela degli interessi economici dei lavoratori che

non vanno riferiti alle sole rivendicazioni contributive, ma (secondo quanto ha precisato la stessa

Corte con sentenza n. 1 del 14-1-1974) coinvolgono e ricomprendono quel vario complesso di beni

riconosciuti e tutelati nella disciplina costituzionale dei rapporti economici (artt. 35-47 Cost.).

Effetti dello sciopero sul rapporto di lavoro

L’effettuazione di uno sciopero, stante la garanzia costituzionale, costituisce un fatto giuridicamente

lecito. L’assenza da lavoro dovuta alla partecipazione ad uno sciopero non costituisce, una ipotesi di

inadempimento contrattuale e non può dar luogo ad alcuna responsabilità disciplinare. Unico effetto

dell’esercizio del diritto di sciopero è la sospensione bilaterale delle due prestazioni fondamentali

del rapporto di lavoro e cioè della prestazione del lavoro da parte dei dipendenti e della

corresponsione della retribuzione da parte dei datori di lavoro.

Il diritto di informazione e consultazione delle rappresentanze sindacali dei lavoratori

La disciplina del diritto di informazione e consultazione è contenuta nel D.Lgs. 6-2-2007, n. 25 che

ha istituito un quadro generale in tale materia in attuazione delle direttiva 2002/14/CE.

La legislazione nazionale in materia di informazione e consultazione si è prodotta su impulso

dell’ordinamento comunitario, che è intervenuto prevedendo anche istituti appropriati a garantire il

diritto di informazione e consultazione per i lavoratori delle imprese di dimensioni comunitarie e

delle Società Europee. Il D.Lgs. 25/2007 prevede che in tutte le imprese pubbliche e private situate

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in Italia, che impiegano almeno 50 dipendenti, i datori di lavoro sono tenuti a d informare i

rappresentanti sindacali delle notizie aventi ad oggetto:

- l’andamento recente e quello prevedibile dell’attività dell’impresa, nonché la situazione

economica;

- la situazione, la struttura e l’andamento prevedibile dell’occupazione nella impresa, nonché,

in caso di rischio per i livelli occupazionali, le relative misure di contrasto;

- le decisioni dell’impresa che siano suscettibili di comportare rilevanti cambiamenti

dell’organizzazione del lavoro e dei contratti di lavoro.

Si deve intendere per informazione ogni trasmissione di dati da parte del datore di lavoro ai

rappresentanti dei lavoratori, finalizzata alla conoscenza ed all’esame di questioni attinenti

all’attività d’impresa; mentre la consultazione comprende ogni forma di confronto, scambio di

opinioni e dialogo tra rappresentanti dei lavoratori e datore di lavoro su questioni attinenti

all’attività d’impresa (art. 2 D.Lgs. 25/2007).

L’effetto pratico del D.Lgs. 25/2007 è quello di estendere i diritti di informazione e consultazione

all’andamento dell’impresa in generale senza che sia necessario un rischio specifico per la stabilità

dei posti di lavoro.

Il diritto di informazione e consultazione trova però un limite nelle notizie a contenuto riservato.

I rappresentanti dei lavoratori, infatti, nonché gli esperti che eventualmente li assistono, non sono

autorizzati a rilevare né ai lavoratori né a terzi, informazioni che siano state loro espressamente

fornite in via riservata e qualificate come tali dal datore di lavoro o dai suoi rappresentanti, nel

legittimo interesse dell’impresa. Tale obbligo di riservatezza, fermo restando la disciplina in materia

di privacy contenuta nel D.Lgs. 196/2003, permane per un periodo di 3 anni successivo alla

scadenza del termine previsto dal mandato. I contratto collettivi possono tuttavia autorizzare i

rappresentanti sindacali e eventuali loro consulenti a trasmettere informazioni riservate ai lavoratori

o a terzi vincolati da un obbligo di riservatezza, previa individuazione delle relative modalità di

esercizio. Il datore di lavoro, inoltre, non è obbligato a procedere a consultazioni o a comunicare

informazioni che, per comprovate esigenze tecniche, organizzative e produttive siano di natura tale

da creare notevoli difficoltà di funzionamento dell’impresa o da arrecarle danno.

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Master in “Business Management” Dispense Modulo “Amministrazione del Personale”

Lunedì 13 Maggio 2013 e Martedì 14 Maggio 2013 Relatore: Dott.ssa Circhetta Maria Cristina

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Master in “Business Management” Dispense Modulo “Amministrazione del Personale”

Lunedì 13 Maggio 2013 e Martedì 14 Maggio 2013 Relatore: Dott.ssa Circhetta Maria Cristina

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Dott.ssa Maria Cristina CIRCHETTA (Consulente del Lavoro) ____________________________________

Iscritta all’Ordine dei Consulenti del Lavoro della Provincia di Lecce Recapiti:

Tel. 0836.901766 Fax 0836.904366 Cell. 339.3381433 – 339.3435515 www.studiocarlcucciocirchetta.it