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mente M SSONICA Rassegna quadrimestrale n.16 Set.-Dic. 2019 Laboratorio di storia del Grande Oriente d'Italia ISSN 2384-9312 Speciale Sardegna massonica Saggi Fra Garibaldi il sardo universale e Goffredo Mameli martire della Repubblica Romana Frammenti della vita del Gran Maestro Armando Co- rona

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menteM SSONICA

Rassegna quadrimestrale

n.16 Set.-Dic. 2019 Laboratorio di storia del Grande Oriente d'Italia

ISSN 2384-9312

Speciale

Sardegna massonica

Saggi

Fra Garibaldi il sardo universale e Goffredo Mamelimartire della Repubblica Romana

Frammenti della vita del Gran Maestro Armando Co-rona

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Sommario n.16 Set.-Dic. 2019

Speciale Sardegna

Noi siamo sardi..............................................................1

di Giovanni Greco

Fra Garibaldi il sardo universale e Goffredo Mameli

martire della Repubblica Romana .................................4

di Gianfranco Murtas

Frammenti della vita del Gran Maestro

Armando Corona .........................................................18

di Gianfranco Murtas

Il riordino della memoria

Corrado Mastrocinque

Gran Maestro pro tempore

dal 29/04/1961 al 16/07/1961 ....................................26

di Flaviano Scorticati

Iscrizione Tribunale Roman.177/2015 del 20/10/2015

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Laboratorio di storiadel Grande Oriente d'Italia

n.16 Set.-Dic. 2019

menteM SSONICAISSN 2384-9312 (online)

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SARDEGNA 1

La prima volta che mi recai in Sardegna funel 1973 perché dopo la prima laurea do-vevo assolvere il servizio militare e fare il

Car presso la caserma Monfenera di Cagliari, evi-tando a stento di andare a Macomer.Allora sapevo solo ciò che nel 1841 aveva scrittoCarlo Cattaneo nella sua Geografia e storia della Sar-degna allorquando diceva: “Abbonda il selvag-giume e il pesce e tutti hanno caro di mettere grantavola, e ponno dirsi popolo mangiatore. La danzasi ama assai nelle campagne e amano la caccia, learmi, i cavalli, le corse perigliose e le lutte a calci.Concordi nel seno delle famiglie, si fanno reli-gione della vendetta”. Accompagnato dalla preoccupazione dei familiarie di amici che dipingevano i sardi come personedifficili, corrusche e scontrose, amanti della soli-tudine (forse non è un caso che la grande GraziaDeledda, autrice anche del romanzo Stella d’Oriente,ora riposa a Nuoro nella chiesa della Solitudine),sin da subito mi resi conto che, ancorché confinatoin una caserma, ero stato catapultato in un altromondo.Penso ai colori straordinari della Sardegna, pensoal mare più bello che ho mai visto, penso al ventoche ti avvolge, a tramonti intramontabili col soleche plana nel mare, al freddo secco e potente dellemontagne (la bellezza a basse temperature è bel-lezza): ha proprio ragione D.H. Lawrence che laSardegna è fuori dal tempo e dalla storia. Pensoche la splendida città di Cagliari con la sua spiag-gia del Poetto proprio dalla storia è stata dimenti-cata e bistrattata, al punto che persino quando siricordano le capitali del nostro paese, vengonomenzionate Torino, Firenze, Roma, Brindisi, Sa-lerno e non Cagliari, la prima irripetibile capitaledel Regno d’Italia. Penso soprattutto alle persone,

ai miei compagni commilitoni, ad un capitano chemi diede modo ogni giorno di star comodo perstudiare, penso ad un ristoratore che vedendomipallido ed emaciato e fuori da ogni contesto, ognivolta che andavo lì, mi donava un pezzotto di for-maggio parmigiano, penso ad un giovane tenentemedico che prese a volermi bene e a “proteg-germi” e che mi invitò sinanco a pranzo una do-menica nella sua piccola abitazione, omaggiatocon cura e con rispetto da tutta la famiglia cheaveva saputo della mia passione per la storia e cosìmi trattarono come uno … storico, non come unsemplice apprendista stregone quale appena ap-pena ero. La mamma del tenente nel congedarmimi diede dei biscotti sardi e il padre stringendomiforte le mani, con le parole e con gli occhi, midisse: ce la farete, prussò! Sa domo est pittica su coruest mannu: la casa è piccola, ma il cuore è grande.Non li rividi più perché poi venni mandato aMontorio Veronese, ma quell’incontro ha fatto unnido nel mio cuore.

Una casetta a Liscia di Vacca

Memore di questa esperienza poi negli anni sonotornato molte volte in Sardegna, ammaliato dallabellezza dei paesi ricreati dall’Aga Kan, sino adacquisire in multi proprietà una casetta a Liscia diVacca nei pressi dei magnifici giardini di PortoCervo. In quella zona ho apprezzato particolar-mente Cala di Volpe, la spiaggia di Capriccioli,l’isola di Mortorio. E così via via ho conosciuto ilgestore del complesso residenziale il signor Do-nato, una deliziosa famiglia di pescivendoli, ne-gozianti, baristi, ristoratori, medici, gente seria,tendenzialmente silenziosa, capace di relazionarsicon assoluta schiettezza, al tempo affidabile più di

NOI SIAMO SARDI

CON LA SARDEGNA NEL CUORE di Giovanni Greco

Carta geografica dell'Isola di Sardegna di Albrizzi Giovambattista. Venezia, 1740.

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un familiare tant’è che compresi cosa intendeva ilpresidente Cossiga quando sosteneva che tanti ab-bandonano l’amico in disgrazia, ma non il sardo,neanche se l’amico va in galera perché nutrono af-fetti che non tramontano dinanzi alle avversità.Il mitico Gigi Riva, il più grande calciatore sardodi tutti i tempi, e non solo, racconta che i sardi glivogliono ancora talmente bene che lo coccolanocome se da lì a poco dovesse scendere in campoper aiutare il suo Cagliari a vincere per l’ennesimavolta. Ma i sardi che lì ho conosciuto mi parlavanosempre di un’altra Sardegna, di luoghi forti e sel-vaggi non contaminati dal turismo di massa, diuna terra che abbisognava di autentici viaggiatorie non di turisti usa e getta. E così ho cominciato arecarmi anche in altre realtà capendo allora che,per esempio, il territorio barbaricino non potràmai diventare un parco di divertimenti, che glistazzi galluresi sono l’essenza di un’antica Sarde-gna - domos prò habitare e binza prò mandigare - che ipaesi dei pastori sembrano ancora avvolti in unalone magico e lontano, col sapore delle cose giu-ste e con una freschezza quasi virginale, e comeavesse ragione Mazzini quando, parlando della Si-cilia e della Sardegna, sosteneva che erano comegemme cadute da un diadema dove “palpitod’anime parlan d’italia”. E perciò ho preso adamare il faro di Capo Testa, il villaggio nuragicodi Barumini e le dune di Baia di Chia, Arbatax, legrotte del bue marino a Cala Gonone, la giara diGesturi e il paese di Fonni perla della Barbagia.Non è certo un caso che un uomo straordinariocome il poeta Fabrizio De Andrè, sardo ad hono-rem, sosteneva che la vita in Sardegna fosse la mi-gliore che un uomo si potesse augurare, chilometria dismisura di campagne, di foreste, “di coste im-merse in un mare miracoloso, dovrebbero coinci-dere con quello che io consiglierei al buon Dio diregalarci come Paradiso”.

Il sardo e il massone

Negli anni novanta, entrato in massoneria, poi hocominciato a capire quante consonanze vi sono frail sardo e il massone, in fatto di cura e di tuteladell’amico, in fatto di rispetto sincero dell’altruisensibilità, in fatto della capacità unica di unascolto paziente e produttivo, ascoltare consizos est desos sabios, ascoltare i consigli è dei saggi, in fatto dilunghi silenzi operosi carichi di senso. Del restolo stesso Garibaldi, pur così immerso nel vociodella gente e nelle grida della battaglia, adoravail silenzio che attorniava la sua famosa casabianca, gustandosi il silenzio mentre ammirava la

natura seduto sotto il pino piantato per la nascitadella figlia Clelia e che è ancora forte e rigoglioso.In effetti un bravo sardo è una persona per bene,un galantuomo, un buon padre di famiglia, un la-voratore ammirevole, un patriota, e quindi sottoquesto profilo in che cosa differisce da un appar-tenente alla massoneria?Anche di recente ho partecipato ad Olbia allaConferenza mondiale delle logge Garibaldi, av-vinto, come il G.M. Stefano Bisi, dalla generosaospitalità del presidente Giancarlo Caddeo e ditutti i fratelli sardi, dai racconti dei sardi tornati acasa per l’occasione, dalle tempestose e coloratedanze locali che differiscono da paese a paese, mo-strate ai partecipanti al convegno, durante unamagnifica cena, unitamente ad una superba statuadi Garibaldi che ora campeggia su una mia scri-vania.Lavorando poi a Maestri per la città, tre volumi suisindaci massoni italiani, grazie ai buoni ufficidello stimato G. Oratore Michele Pietrangeli, hoconosciuto il più grande esperto della storia dellamassoneria sarda, il caro amico Gianfranco Murtasche ora sta lavorando alla bella figura di Armando

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Armando Corona

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Corona, G.M. del Goi, all’interno del volume inpreparazione per Mimesis Gran maestri d’Italia1805-2020. Il diritto e il rovescio della storia del Goi at-traverso i suoi massimi esponenti. Armando Corona diVillaputzu (Cagliari), medico, fu G.M. del Goi dal1982 al 1990, appartenne prima al partito d’azionee poi al partito repubblicano. Era stato iniziato nel1969 nella loggia “Giovanni Morin” di Carboniae poi divenne affiliato alla “Hiram n. 657” di Ca-gliari. Nel 1987 aveva pubblicato un bel libro Dalbisturi alla squadra, Milano, maturando molti meritinei periodi più bui.

Lo stato e gli intrecci criminali

Proprio Murtas ribadisce “la storica e geograficamarginalità della Sardegna e tanto più la sua de-bolezza demografica in rapporto al sistema-Italia”.Cento e cento volte dimenticata la Sardegna dallostato italiano, ma non quando si è trattato di ri-chiedere l’intervento alle centrali del crimine e albanditismo, e non solo al fine di raggiungere la li-berazione di qualche ostaggio, come nel 1992 peril piccolo Faruk, quando si incoraggiava la colla-borazione del cosiddetto re del Supramonte, delbandito Mesina, il cui ruolo sarebbe risultato es-senziale. Dopo essersene servito, lo stato era poipronto a minimizzarne o ridicolizzarne gli inter-venti. Del resto risale a quindici anni prima l’in-treccio camorra, stato, terrorismo, nel caso di CiroCirillo a Napoli e quarant’anni prima forse che lostato non si era servito della mafia siciliana per eli-minare il bandito Salvatore Giuliano e poi il suobraccio destro Gaspare Pisciotta?

Antonio Gramsci e Francesco Cossiga

In questa occasione desidero anche ricordare altridue sardi di notevole profilo. Antonio Gramsci che nacque ad Ales in provinciadi Oristano il 22 gennaio 1891 e che nel 1921 fufra i fondatori del Pcd’I, segretario di quel partitodal 1924 al 1927, deputato del Regno dal 1924 al1926 allorquando venne ristretto nel carcere diTuri, uno dei più acuti pensatori e uomini politicidella nostra storia. Era il 16 maggio 1925 quandonel suo celebre discorso pronunziato alla camera,con numerosi deputati fascisti che per ascoltaremeglio, dato il tono di voce molto contenuto, sierano collocati nell’emiciclo, diede vita ad una lu-cida denunzia contro la deriva liberticida. Il GranMaestro Onorario il prof. Santi Fedele assai op-portunamente lo ha definito un “gigante del no-vecento italiano ed europeo” e in quellacircostanza Gramsci espresse la sua ben nota con-vinzione che “la massoneria è stata l’unico partito

reale ed efficiente che la classe borghese ha avutoper lungo tempo”. Inoltre prese spunto dalla leggecontro la massoneria per ribadire che rappresen-tava uno strumento letale per colpire qualunqueforma di libero pensiero.Francesco Cossiga nato a Sassari il 26 luglio 1928(deceduto nel 2010), uno dei politici italiani piùlongevi e prestigiosi, dopo tanti incarichi di ri-lievo, fu presidente della repubblica dal 1985 al1992, cugino di un altro sassarese, Enrico Berlin-guer, ben nota figura di altissimo spessore morale,segretario comunista, figlio di Mario, avvocato,politico, antifascista, iniziato nel 1924 nella loggiasassarese Giovanni Maria Angioy che nel 1943 di-rigerà cinque numeri del giornale sardista AvantiSardegna invitando a combattere contro i tedeschi.Francesco Cossiga, nei tanti anni di militanza po-litica nella DC, ha sempre difeso la massoneria ita-liana, denunciando la caccia alle streghe contro imassoni e manifestando molta stima verso tantimassoni, militari e non, fra cui il ministro AntonioMartino di piazza del Gesù. Non a caso nella suabiblioteca vi era una intera parete di libri dedicataal latomismo anche perché il nonno Antonio Zan-farini era stato M.V. di una loggia sassarese. In unaintervista a Concita De Gregorio nel 2010, settemesi prima della morte, ribadì che “la massoneriafiorisce come da tradizione, dopo l’epurazioneoperata da Armando Corona: fra le forze armate,soprattutto marina, nella magistratura, al mini-stero dei lavori pubblici e molto altro”.

Speciale Sardegna

Per questo complesso di ragioni oggi si è decisodi dedicare a questa terra, a queste persone, unoSpeciale Sardegna con particolare riferimento allamassoneria sarda che oltretutto, in rapporto allapopolazione, è una delle realtà più cospicue delGoi con i suoi 1600 appartenenti. Basti solo rife-rire che secondo Murtas, oltre a cinque figuresarde a livello apicale nella storia della massone-ria, già solo i sindaci massoni individuati sonostati ben sessantadue, di cinquanta dei quali sonostati approfonditi i profili e non pochi sono attual-mente apprezzatissimi sindaci in carica e massonimilitanti.Dobbiamo perciò ripartire anche dalla Sardegnaper proseguire per il nostro perfezionamento in-teriore, per imparare uno stile di vita e “per conti-nuare a fare l’Italia” (Claudio Bonvecchio).Per parafrasare un grande “inquilino involontariodel mondo”, Gesualdo Bufalino, migliaia di sardivivono una struggente isolitudine, il luttuoso lussodi essere sardi. NOI SIAMO SARDI.

SARDEGNA 3

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L’ospedale intitolato a un massone, a La Mad-dalena

Il nome di Giuseppe Garibaldi ritornò a La Mad-dalena ancora nel 1946 (prima dello… scippo po-litico social-comunista), con un allestimentomaterializzatosi attorno all’industriale GiacomoMordini, carismatico imprenditore di anima libe-rale e generosa filantropia. Nel 1970, proprio a LaMaddalena – e seguendo il doppio esempio ca-gliaritano (del Binaghi e del Businco) –, ad unmassone di antiche simpatie garibaldine fu inti-tolato anche l’ospedale tuttora in funzione, ilPaolo Merlo. Merlo era stato, negli anni ’90 del-l’Ottocento, il medico provinciale di Sassari; morìancora giovane, nel 1896, lasciando il migliore ri-cordo di sé sotto tutti i punti di vista. Proprio gra-zie alla sua iniziativa ed abilità organizzativa, treanni prima, nel 1893, aveva innalzato le proprieColonne, nel capoluogo della provincia (Valle delBunnari e del Turritano), la loggia Gio.Maria An-gioy. E andrebbe così ricordato – spostando adessoil focus da Garibaldi alla composita onomasticadei Templi fra Logudoro e Gallura, riviera e mon-tagna del Sassarese – che quella intitolata all’Al-ternos e quella maddalenina intitolata alGenerale, esordienti nello stesso anno e destinatea capitolazione soltanto nel 1925 per la violentaprepotenza fascista, costituirono allora, insiemecon la Vincenzo Sulis algherese e la Andrea Leonitempiese, l’asse latomistico che attraversò l’interospazio del primissimo Novecento, la tempestadella grande guerra – quando anche quelle com-pagini patirono gli stessi lutti sofferti dalle conso-relle del Cagliaritano –, le inquietudini dellasmobilitazione nel “biennio rosso” 1919-20,quelle ancora maggiori dettate dalle volgarissimesfide delle squadre dark e poi dall’affermazionedel regime di dittatura. La Vincenzo Sulis recupe-rava una tradizione che, subito dopo la presa diRoma, aveva visto associate ad Alghero non sol-tanto due logge entrate nell’infuocata polemicadel vescovo Giovanni Maria Filia – la Antro diNettuno e la Giuseppe Dolfi – ma anche la Fratel-lanza Artigiana (di mutuo soccorso); l’Andrea

Leoni, da parte sua, oltre che celebrare un giovanebersagliere tempiese caduto nella storica breccia,idealmente si rifaceva alla Spartaco, la formazioneripetutamente omaggiata dal famoso e dotto (e po-tente) sen. Giuseppe Musio, intimo di Asproniparlamentare d’opposizione. Erano i tempi, quellidella Spartaco e del Musio (e magari del Villama-rina), in cui la guida della diocesi era stata affidataad un certo nobilissimo can. Tommaso Muzzettoil quale aveva avuto l’evangelico coraggio di invi-tare Pio IX alla volontaria rinuncia del regno pon-

FRA GARIBALDI IL SARDO UNIVERSALE E GOFFREDO MAMELI

MARTIRE DELLA REPUBBLICA ROMANA.APPUNTI PER UNA STORIA DELLA LOGGIA SASSARESE INTITOLATA AL POETA DELLA

FRATERNITÀ ITALIANA

di Gianfranco Murtas

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Caprera. Tomba di Garibaldi.La Maddalena. Credits: Becciu.

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tificio… Adesso si preparava, l’Andrea Leoni, aconvocare, insieme con la locale sezione dellaGiordano Bruno, il primo congresso regionale delLibero Pensiero (sarebbe avvenuto nel 1908, pre-sente Sebastiano Satta, secondo alcuni ancheFrancesco Ciusa). Anche la loggia sassareseavrebbe avuto un suo ampio campo di iniziativa,fra l’ideologico ed il sociale, in quell’inizio di se-colo, non senza patire – bisogna dire anche questo– lacerazioni e rappacificazioni. Perché, cionfra onon cionfra – quella cionfra su cui si è sempre fattamolta gustosa letteratura e che tende a confinarnei portatori nel limbo quasi giocoso del disincantoantiretorico –, i sassaresi sanno coltivare in pro-fondità, quando viene il momento, i loro umori esoprattutto malumori, e così non fu caso raro cheanche nella lunga e complessa stagione fra post-risorgimento e giolittismo, grande guerra e vigiliadella dittatura, essi abbiano fiorettato e anche scia-bolato fra di loro perfino all’interno di assembleefiltrate da rigorismi e aplomb. Tanto più magari,o da quando la grande area democratica erededella sinistra risorgimentale, aveva conosciuto lesue prime fratture, dividendosi fra transigenti eintransigenti, i radicali propensi al ministeriali-smo e alla corona dai repubblicani di più fedele econtinuativa ortodossia mazziniana… Vennerocosì nel 1903, come prima gemmazione dellaGio.Maria Angioy, la loggia Roma, e nel 1911, laloggia Efisio Tola (altro nome simbolo della Sas-sari democratica)… Dopo la guerra 1915-18 fiori-rono le formazioni scozzesi obbedienti allaComunione di Piazza del Gesù (che a La Madda-lena, come ho già riferito, avevano intanto enu-cleato una Leone di Caprera dal più anzianoensemble giustinianeo): sbocciarono l’Aurora, laHumanitas, la Caprera (scivolata, quest’ultima, insgrammaticate simpatie fasciste), fiorirono ancheCapitoli ed Areopaghi, accolte rituali invero forseanch’esse più sensibili, nella maggioranza degliappartenenti, alla mobile scena politica del tempoingrato che non alle figurazioni esoteriche rimbal-zate dalla tradizione misteriosofica o alchemica…Sarebbe stato nel secondo dopoguerra, nell’aprile1945 precisamente, il ritorno definitivo e stabiledei giustinianei sassaresi: allora essi riattivaronole proprie dinamiche fraternali e rilanciarono ilnome glorioso dell’Alternos di fine Settecento. Inoccasione del censimento svoltosi nel 1947, allaGio.Maria Angioy venne assegnato il numerod’ordine 355 (la conta era partita da Torino e, sci-volando lungo lo stivale e risalendo per la Siciliae Cagliari, era arrivata finalmente a Sassari, ap-punto 355.a tappa e capolinea della rete nazionale.E 355 è il numero che distingue ancora oggi l’en-

semble sassarese, benché più volte, nel corso so-prattutto degli anni ’50, essa abbia dovuto proce-dere a radicali riassestamenti passando, secondo…habitus invalso! per abbattimenti e reinnalza-menti delle Colonne. Sempre nella conferma,però, delle antiche fedeltà). Quasi immediata-mente, dai sassaresi venne allora lo spunto per ri-lanciare, come per un’abbinata necessaria, anchela Giuseppe Garibaldi maddalenina: appuntocome si volessero ripristinare i contenuti fraternalidell’antico privilegiato asse logudoro-gallurese.

Nel 170° compleanno della Repubblica Ro-mana

La celebrazione della ricorrenza molte volte giu-bilare della Repubblica la cui costituzione, cheaveva riconosciuto il suffragio universale ed abo-lito la pena capitale e quella di confisca – era il1849 e nello Stato Pontificio la mannaia del boiaera pratica ordinaria da secoli (e tale avrebbe ri-preso presto ad essere, con il ritorno sul trono delpapa Pio IX adesso fatto beato!!) –, ha riportatoalla memoria e anche al rinnovato sentimento, ov-viamente, il nome del nostro Goffredo Mameli, ca-duto in un’azione di difesa repubblicana, colpitodal fuoco francese. Aveva 22 anni, era figlio diGiorgio Mameli, ufficiale regio di nascita e originicagliaritane. L’anno prima aveva licenziato il testodell’“Inno degli italiani”, noto come “Fratellid’Italia” (insegna fatta propria oggi – che vergognaper i senza-vergogna! – dagli eredi del MovimentoSociale Italiano erede a sua volta dei repubbli-chini di Salò alleati del Fuhrer e di quanta ditta-tura fascio-monarchica aveva soppresso, lungodue interi decenni, ogni libertà e la stessa LiberaMuratoria, portando la patria alla distruzionedella guerra).

Della leggenda mameliana in Sardegna e del“caso Lullin”

Una curiosità. Il piedilista della prima loggiasarda dell’Ottocento – la Vittoria all’Or. di Cagliari– comprendeva una personalità ricollegabile, aleggere le biografie del poeta, al mondo mame-liano: era Giuseppe Lullin, ingegnere e uomo d’af-fari pressoché quarantenne, cagliaritano, ingioventù compagno di studi di Goffredo, a Ge-nova. Un compagno-coetaneo, direi, certo amicoma anche concorrente o avversario in amore, nel-l’amore adolescenziale, e per questo andato incontrasto con lui. Piccole cose, ma simpaticheanche soltanto a richiamarle. Chissà, poi l’episo-dio della loro disfida non andrebbe neppure clas-sificato come contenzioso amoroso in senso stretto.

SARDEGNA 5

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Gli è che entrambi – al tempo iscritti al primoanno del corso di Filosofia all’università dellaLanterna – si erano scazzottati per una infelice bat-tuta pronunciata da Goffredo su una ragazza, Ma-nuela, che Lullin aveva vantato essere la propriafidanzata. «Fidanzata di Lullin e di quanti altri?»sarebbe stata la spiritosaggine di Goffredo, mossodalla voglia di ridimensionare l’apparente boriadel collega. Ne era venuta la reazione violenta diquest’ultimo, e Goffredo era rimasto a terra. L’in-domani però, adocchiato l’avversario in strada, gliaveva restituito pan per focaccia. Colpi molti eforti, troppi forse per venire da un poeta, pochi apensarli dispensati da un soldato guerriero(quello del Gianicolo). Un drappello delle Guar-die nazionali aveva assistito alla scena e separatoi due. Ne era seguito un rapido interrogatorio euna segnalazione al censore dell’università: «Lul-lin Giuseppe. Nato a Cagliari il tre luglio milleot-tocentoventiquattro. Sono studente del primocorso di filosofia». «Mameli Goffredo. Nato a Ge-nova il cinque settembre milleottocentoventisette.Sono anch’io studente del primo corso di filoso-fia… E’ stata una lite da ragazzi. Lullin mi avevadato uno schiaffo, e poi è scappato. Io ho volutovendicarmi. La colpa è mia, perché l’avevo offeso.Mi dispiace». Giorgio Mameli, colonnello del-l’esercito regio, aveva giudicato l’episodio più conla severità dello sguardo che non con il fuoco delleparole. E subito s’era però attivato per evitare chequella «stupida faccenda» facesse perdere l’annoal figlio e al collega del figlio. Aveva scritto al mi-nistro dell’istruzione, a Torino, e ottenuto che lasospensione comminata ai ragazzi, ridotta a duesoli mesi, fosse scontata durante le vacanze estive.Era il 1843. I Lullin venivano, come famiglia,dalla Savoia, da Chambery, proprio dalla città chenel 1833 – giusto dieci anni prima della scazzot-tata mameliana – aveva visto il sacrificio di EfisioTola, imputato di adesione alla mazziniana Gio-vine Italia. Fatti gli studi, Giuseppe se ne era tor-nato a Cagliari. Fattosi impresario dalle millerelazioni era stato eletto, nel 1867, forse prima, nelconsiglio della Camera di Commercio, fondata direcente da quell’Enrico Serpieri che con Mameliora 22enne aveva condiviso le ansie politiche e lefatiche militari in difesa della gloriosa Repub-blica. In quegli anni ’60 e primi ‘70, a Cagliari, ilconsiglio camerale includeva diversi massoni oprossimi tali: oltre a Serpieri ecco infatti GaetanoRossi Doria, Stefano Rocca e Luigi Dedoni Orrùed altri ancora se ne sarebbero aggiunti presto, daGiorgio Asproni jr. a Francesco Napoleone e LuigiCheirasco, da Emanuele Schivo a Luigi FrauSerra, ecc. per non dire del segretario generale,

stabile permanente, Giuseppe Palomba. Fra tantimassoni – i primi incardinati tutti nella Vittoria –non fu dunque cosa strana che anche Lullin fossein partita. Egli fu anche consigliere comunale, ecompì anche l’esperienza amministrativa civicainsieme con diversi altri liberi muratori entrati poinel mirino dell’autore dei famosi  Goccius del1865… In quella temperie insieme patriottica emodernista, democratica e scientista, di cui lastessa loggia costituiva spesse volte il luogo di ela-borazione, una parte, ancorché modesta o margi-nale, l’ebbe naturalmente anche lui, Lullin, e fucome relatore oltreché come sottoscrittore, insiemecon altri Fratelli (da Serpieri stesso a Rocca, daThermes a Scano ad altri ancora, soprattutto aEmanuele Ravot, magistrato e futuro sindaco dellacittà) della proposta d’istituzione di un “gabinettoanatomico Marini” – del Fratello Marini il notopietrificatore, potrebbe dirsi –, da sostenere con ibilanci di Comune e Provincia. Certo fu altro l’ap-proccio dei sassaresi con Mameli o con il suo mito.Anche se, andrebbe subito precisato, qui può ten-tarsi nulla più di un viaggio per ipotesi od atten-dibilità.

Da Mameli ad Angioy, la storia nei ripassisassaresi

Cosa possa aver legato, nel concreto, la memoriamameliana alla democrazia locale e, più in gene-rale, al sentimento dei sassaresi è difficile da im-maginare anche se taluni elementi – dalla maggiorcorrentezza delle relazioni di Sassari con Genovaalla cittadinanza onoraria offerta dal capoluogo alGenerale che era stato il capo delle forze di difesadella Repubblica del ’49, e alla stessa residenza inprovincia del Generale (residenza familiare a Ca-prera e rappresentanza politica in quel d’Ozieri:ecco Garibaldi che ritorna!) – potrebbero spiegare.Chissà. Mameli come orgoglio sardo e simbolo ri-conosciuto della corrispondenza isolana alla de-mocrazia risorgimentale. Giusto in quel 1867 cheera l’anno di Mentana, con quel che Mentana si-gnificava riguardo a Roma capitale sognata, sep-pure – per causa d’eventi – non più repubblicanama predicata Savoia. Se le due logge coeve sortead Oristano ed a Nuoro facevano richiamo al sen-timento nazionalitario svegliato ed alimentatodalle pergamene d’Arborea ed onoravano Ma-riano IV d’Arborea e sua figlia Eleonora la giudi-cessa, trovando il giusto terzo a Cagliari nellacompagine dettasi Gialeto, Sassari optava per lastoria sofferta e celebrava l’autore dell’“Inno degliitaliani” immolatosi per la causa repubblicana,confermando la linea ancora mezzo secolo dopo,

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ed indicando nell’Alternos il suo santo civile. En-rico Costa ignorava la cosa, non gli era giuntaesatta la notizia relativa a quella loggia, peraltroda collocare precisamente nel 1867 e non, comescrisse, nel 1860. La cosa forse bisognerebbe dirlacosì… prendendola proprio dalla fine. Perché fu-rono senz’altro le benemerenze civiche della sopracitata Gio.Maria Angioy e il buon ricordo che neera rimasto quando l’autore concluse la sua fatica(fu nel 1909, anche se la maggior parte del lavorovenne pubblicata postuma, nel 1937, da Gallizzi)a testimoniare la sua capacità di resistere, perquanto possibile, ad ogni difficoltà interna oltreche esterna, così come lo sarebbe stato in futuro,anche alla crescente pressione del fascismo. Fuquesto ad indurre tutti quanti a ritenere che l’“in-tera” Massoneria della Valle del Bunnari e del Tur-ritano si identificasse in quella formazione di tantastoria: la loggia di Antonio Zanfarino (il nonno delpresidente Cossiga) e Pompeo Calvia (il grandepoeta dialettale, repubblicano anche lui), di PaoloCamboni e Giovanni Boeddu, ecc. (poi anche diMichelino Conti ed  Annibale Rovasio, e di queglialtri trenta, cinquanta e più del loro stesso valorecivile e professionale). Nell’equivoco era caduto,appunto, l’antico e diligente archivista comunale

di Sassari, che era poi anche padre di un massoneattivo, attivissimo anzi, nella cagliaritana loggiaSigismondo Arquer (il professor Guido Costa, do-cente di inglese e notissimo fotografo d’arte): inuno dei libri del suo monumentale Sassari avevacollocato la fondazione della Gio.Maria (o Giom-maria, come voglia scriversi) Angioy prima ancoradell’unità nazionale, sostenendo anche che essa«morì e rinacque parecchie volte, sempre peropera dei continentali». Aggiunse allora il Costa:«i sassaresi in generale ebbero per essa [la loggia]una qualche ripugnanza, non già per la istituzionein se stessa, ma perché per indole sdegnavano esdegnano di vincolarsi a società disciplinate dauna legge segreta e misteriosa».Dunque non sitrattò del 1860 né si trattò della Gio.Maria Angioy,ed anche il riferimento ai “continentali” andrebbepreso con qualche cautela, pur se pare indubita-bile la presenza qualificata, fin dagli inizi, di qual-che continentale; sul punto anche il professorManlio Brigaglia tenne a precisare, nel suo ot-timo  Classe dirigente a Sassari, da Giolitti aMussolini (Cagliari, edizioni della Torre, 1979), che«il predominio dei continentali nella prima fasedella vita della Loggia [era] legato al semplicefatto della “importazione” della nuova società; in

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una seconda fase, invece, esso può essere stato ilfrutto di una deliberata scelta dei sassaresi, cheprobabilmente, pur senza «sdegnare la segre-tezza», per dirla col Costa… preferivano tenersi insecondo piano lasciando ad altri il compito di fi-gurare come dirigenti dell’associazione, ma sfrut-tandone ugualmente i vantaggi». Neppure questachiave di lettura sembrerebbe a me, per la verità,pienamente rispondente alla realtà cittadina, né aquella della belle époque, del passaggio di secolocioè, né a quella antecedente e tanto meno a quellaseguente: ciò nonostante, diversi spunti di purvaga memoria del Costa, ripuliti dalle sovrappo-sizioni forse inevitabili, meriterebbero acco-glienza. Una qualche attenzione dovrebbecomunque averla il riferimento alla radice conti-nentale non tanto però dei massoni, quanto in ge-nerale delle famiglie più in vista per attivitàprofessionali o d’azienda. Brigaglia, riferendosialle conte dell’Angius e di altri, ne enumerò unacinquantina, con provenienza soprattutto dalla Li-guria e dal Piemonte… Nel fenomeno complessivoben poteva entrare quello particolare della loggiaapripista! L’apripista sassarese fu dunque una for-mazione di ritualità e giurisdizione fraternalescozzese cui venne allora assegnato, per scelta deifondatori, il titolo distintivo di Goffredo Ma-meli.Di data certa ne è la fondazione, il 30 novem-bre 1867, e, sempre nello stesso torno di anni, al15 dicembre 1871 è da ascrivere l’esordio del So-vrano Capitolo Rosa+Croce (destinato ad esseresuccessivamente intitolato al Fratello GavinoSoro-Pirino).

Come due polmoni d’uno stesso organismo

Andrebbe intanto spiegato, in breve, il contestoin cui ciò avvenne, così diverso, anche e soprat-tutto sul piano corporativo, dal quadro statutarioed organizzativo attuale. Nell’Ottocento e in tuttoil primo quarto del secolo XX le logge all’obbe-dienza del Grande Oriente d’Italia erano incardi-nate in uno dei due riti che reciprocamente siriconoscevano come corpi costitutivi della Comu-nione nazionale: quello prevalente per dimensioni– lo Scozzese Antico e Accettato, o di perfezione,a schema gerarchico fino al 33° grado – e quellocosiddetto Simbolico, orizzontale, che in sostanzasi identificava nei tre gradi iniziali della Masso-neria azzurra (Apprendista, Compagno d’arte,Maestro). Quel che distingueva (e distingue) l’unrito dall’altro, a parte alcuni aspetti della ritualitàagita nel Tempio, era soprattutto il governo obbe-dienziale che, nel concreto, doveva combinarsi conquello “terzo” del Gran Maestro e del Consiglio

dell’Ordine – il nostro Asproni fu consiglieredell’Ordine! –, con giurisdizione sull’intera Co-munione, quota scozzese e quota simbolica. Va dasé che negli organi generali i due riti confluentifunzionavano sì come polmoni d’uno stesso orga-nismo, ma anche come vere e proprie correnti, olobbies, indirizzando o guidando orientamenti epuntando ad obiettivi sostanziali d’interesse.Detto in altre parole e guardando alla storia: ilGrande Oriente d’Italia nacque a Torino nel 1859da una iniziativa dei simbolici, connessi alla pra-tica rituale francese (data la prossimità territorialee le influenze francofone) dei tre gradi, e con unasensibilità politica liberal-conservatrice e monar-chica; già dal ’60 ed a Torino stesso (e poi altrove)si costituirono comunque anche logge di ritualitàscozzese caratterizzate da maggiori propensionidemocratiche e tendenzialmente (o dichiarata-mente) repubblicane, radicali e federaliste, non-ché da più marcate aperture alla questione sociale(da cui la promozione del mutualismo, delle so-cietà operaie ecc.). Lo sguardo volto da un lato alpartito dei cavouriani, dall’altro al partitod’Azione mazziniano e alle sue evoluzioni, lungiperò dal determinare… un improprio strabismo,configurava invece una sorta di circolarità, di com-prensività ecumenica sul piano civile e politico,tale da legittimare un protagonismo vero e proprionelle vicende nazionali le quali, dopo l’unità ter-ritoriale, imposero grandi sforzi per nuovi ordina-menti amministrativi, giudiziari, scolastici, ecc.Sotto una comune legislazione e in parallelo alsuo pur problematico o contraddittorio rinforzointerno (in taluni momenti perfino autoritario),l’Italia consolidava una propria soggettività inter-nazionale, convergendo con quant’altro sul conti-nente europeo andava costituendo l’articolatarealtà socio-politica affacciatasi poi nel secolo delmodernismo tecnologico e industriale. Fu detta, laMassoneria, “il partito della borghesia” – cosìanche Gramsci – o “il partito della nazione”. Entrò,quel partito sui generis, con le sue sensibilità mo-derate e con quelle avanzate, nella letteratura,coinvolgendo Carducci e Pascoli, d’Annunzio eQuasimodo, Collodi e De Amicis…, entrò nell’artefigurativa e plastica, entrò nel teatro e nella mu-sica, nel melodramma, entrò indirettamente nelcostume… Entrò nelle minoranze religiose, so-prattutto battiste, entrò nell’imprenditoria e ancorpiù nella docenza liceale e universitaria, entrò allagrande nella ufficialità delle forze armate, di eser-cito e marina, nerbo della difesa (allora chiamata,nella declinazione ministeriale… guerra!) espres-sione della continuità nazionale. Talvolta, biso-gnerebbe ricordarlo, gli stessi sodalizi nati con

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un’impronta conobbero mutazioni profonde e ro-vesciamenti ripetuti d’indirizzo, come capitò fragli anni ’50 e gli anni ’60 all’affollata Società dimutuo soccorso… Quanti furono i circoli, le asso-ciazioni, i sodalizi in generale in cui gli stessi sas-saresi, negli anni un po’ prima dell’unità e un po’dopo, collocarono o sfogarono la loro volontà dipartecipazione! il Nazionale, la Gioventù Sarda, eprima i Buoni Fratelli e i gremi, la Società Costi-tuzionale, la Progressista, il circolo Efisio Tola el’Aurelio Saffi… Enrico Costa ci impegna alcunepagine del suo Sassari soltanto ad elencarle, senzaneppure diffondersi troppo: e nel mezzo ecco coo-perative e leghe, sodalizi militari o patriottici,commerciali e ginnici, studenteschi e agricoli, ar-tigianali ed operai… Sarebbe venuta poi, inse-diata nella mitica Frumentaria, l’Unione Popolare,che qualche parentela, per alcuni aspetti anche av-versativa, avrebbe avuto con la loggia nuova diSassari, la Gio.Maria Angioy destinata a chiudereil secolo e balzare al nuovo… La loggia del 1867entrava in questo ribollire, in quest’alternanza dialte e basse maree sociali e sentimentali…, cosìanche quella del 1893 che in Soro Pirino avrebbeavuto il collegamento personale più autorevole. Idue capoluoghi di provincia della Sardegna – Sas-sari al pari di Cagliari dunque –, come terminaliperiferici delle amministrazioni pubbliche, furonostazioni di rete quanto gli omologhi centri del con-tinente e della Sicilia, nelle scuole e nelle caserme,negli uffici, nelle accademie, nelle procure e lo fu-rono, in quanto a spazi di vitalità civica e di cul-tura, e così anche nelle chiese, nei partiti, nelleaziende e negli ambulatori, nei laboratori artigia-nali o negli esercizi commerciali, negli studi d’arteo professionali privati… La loggia intitolata a Gof-fredo Mameli, al pari della subentrante Gio.MariaAngioy, e delle altre consorelle cagliaritane od ori-stanesi, iglesienti o maddalenine, nuoresi o tem-piesi, ecc., rivelò nel suo organico fondativo e inquello sviluppatosi nel tempo – un decennio circa– un arco largo (o relativamente tale) di matrici so-ciali e professionali, dall’insegnamento all’avvo-catura, dalla clinica all’architettura, dallaburocrazia all’esercito al commercio… fissandosi,per il più, nel ceto di mezzo acculturato e civica-mente (o politicamente) impegnato. Il tendenzialeprogressismo della maggioranza dei suoi affiliatigiustificava l’appartenenza al filone scozzese, perlarga parte condiviso con il resto del circuito ob-bedienziale isolano (in un cinquantennio furonosoltanto quattro o cinque le compagini simboli-che, estranee cioè alla Piramide scozzese ed a queipregnanti giri internazionali da essa derivati). Sitenga conto anche di questo, per dire di Sardegna

e d’Italia lungo il viaggio temporale da Cavour aCrispi e Giolitti, fino a Mussolini: che nella con-vivenza dialettica fra le due anime e/o le due or-ganizzazioni associate nel Grande Oriente unpassaggio importante avvenne nel 1865 quando –trasferitasi intanto a Firenze la capitale del regno– la maggioranza espressasi (in sede di Costi-tuente, dell’assemblea nazionale dei Maestri Ve-nerabili o delegati cioè) nella votazione per la granmaestranza e per il Consiglio dell’Ordine fu ap-pannaggio degli scozzesi, quindi della parte pro-gressista della Massoneria italiana. Questa lineacaratterizzerà, con maggiori o minori accentua-zioni, molti decenni, fino alla capitolazione al dik-tat fascista e a quanto lo preparò fra perquisizionidi questurini, assalti di facinorosi e incendi appic-cati a sedi e biblioteche, violenze personali e per-fino assassini. Il nostro Melkiorre Melis, alloragiovane poco più che ventenne, montò la guardiaarmata a Palazzo Giustiniani entrato esso stessonel mirino delle squadracce. Precisato il contestonormativo e ambientale e per rimanere in campodi loggia sassarese, resta chiaro che ogni officinaliberomuratoria doveva allora, alla sua costitu-zione, ricevere il placet sia del Gran Maestrodell’Ordine che, in precedenza, del capo del Ritodi appartenenza, del cosiddetto Sovrano GranCommendatore per gli scozzesi, il Presidente peri simbolici. Questa fu perciò la trafila burocratico-amministrativa cui si sottopose anche l’ensembledella Goffredo Mameli nel 1867: il 25 agosto ot-tenne il nulla osta preventivo del Supremo Con-siglio dei 33 (il summit scozzese) e quattro mesidopo la bolla a firma del nuovo Magister Maxi-mus Lodovico Frapolli (bella e tragica  figura didemocratico che rinunciò al comando del GrandeOriente d’Italia quando decise di confluire con ivolontari garibaldini in difesa della Francia re-pubblicana dopo la sconfitta di Sedan ad operadella Prussia, nel 1870). Operò di buona lena dasubito, la loggia, e nel 1871 ricevette l’autorizza-zione all’impianto di un Capitolo R+C, vale a diredi un corpo sovraordinato riunente i Fratelli insi-gniti dei maggiori gradi (dal XVIII Rosa+Croceagli altri. Soltanto per curiosità si consideri che ilCapitolo R+C cagliaritano, quello in capo alla Vit-toria, venne deliberato dal Supremo Consiglionella stessa seduta in cui si votò il nulla osta aisassaresi: la loggia cagliaritana, nata simbolica nel1861, era così passata, sei anni dopo, alla ritualitàe alla giurisdizione scozzese, ancor più marcandola sua impronta sociale e da subito ispirando, nelconcreto, la fondazione di un Ricovero di Mendi-cità).

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Il chiaroscuro della Valle del Turritano

Quando vennero innalzate le Colonne della log-gia, Sassari assommava 30mila residenti. Dal cen-simento del 1861 marcava uno sviluppodemografico piuttosto sensibile, destinato poi arallentare e quindi riprendersi all’inizio del No-vecento. Era sindaco l’avv. Stefano Usai, un libe-ral-moderato cui sarebbe succeduto un altroliberal-moderato, il comm. Nicolò Pasella. Perqualche mese, nel 1878, l’ufficio sarebbe stato te-nuto, in turno virtuoso, da un Fratello, e un Fra-tello proprio della Goffredo Mameli: il turno diGavino Soro Pirino, repubblicano sodale e amicodi Giuseppe Mazzini e anima grande di Sassari.Vacante la sede episcopale, dopo la morte (avve-nuta nel 1864) dell’arcivescovo Alessandro Dome-nico Varesini – a suo tempo ostile a GiorgioAsproni ancora prete del clero di Nuoro (perché,per qualche anno, il presule venne incaricatoanche dell’amministrazione apostolica della dio-cesi barbaricina) – la città viveva il sentimento cat-tolico in frequentissima associazione familiare conaltre contrarie pulsioni, tanto più scettiche quandocombinata con un impegno scoperto, ora nel mu-tualismo operaio ora nei circoli di democrazia tuttiantipatizzanti del papa-re… (Del 1865 è l’opu-scolo firmato da Gavino Cugia-Pilo Un ministro pro-testante in Sassari…, tentativo di primacatechizzazione battista da parte della concorrenzaanticattolica). Con un’economia d’impianto agri-colo piuttosto (o relativamente) fiorente, quelladell’agro, fra grano, vino e olio, capace di dar la-voro a un numero imponente di braccianti – que-gli zappatori analfabeti che un giorno avrebberotrovato soccorso civico nelle sale dell’Unione Po-polare, per alfabetizzarsi e conquistare il diritto divoto –, Sassari della seconda metà dell’Ottocentoviveva il suo lento progredire verso gli standardcivili del tempo nuovo: con nuove infrastruttureora di servizio pubblico – dall’acquedotto alle fer-rovie –  ora di accompagno al gusto teatrale o mu-sicale dei ceti non soltanto alti, ma anchepopolari… Autorevole, nonostante le scarse dota-zioni finanziarie, l’università, in specie le facoltàdi medicina e giurisprudenza, cospicuo natural-mente il ceto professionale, in specie degli avvo-cati – una cinquantina gli avvocati accreditati nelforo locale – e quello dei pubblici impiegati, se-condo i bisogni di un capoluogo di provincia sededi prefettura e questura, intendenza, provvedito-rato ecc. Aveva conosciuto, Sassari, o conoscevanegli anni in cui la loggia Goffredo Mameli av-viava, con successo o meno, le sue attività, qual-che momento d’ottimismo per lo sviluppoeconomico in generale, con un bello sviluppo del

credito (nel tempo, poi, non sempre al meglio im-piegato fra commerci e agricoltura): giusto tra lafine degli anni ’60 ed i primi anni ’70 – dopo l’im-pianto della Banca Nazionale nel regno (quellache sarebbe diventata un giorno la Banca d’Italia,istituto di emissione), di banche e banchi ne eranozampillati quasi una decina, piccoli sì e forse nontutti eccellenti, ma prova provata di uno spiritoprogressivo degno di menzione. Aveva dato lastura, dopo la Banca del Popolo, quella AgricolaSarda, fondata da Giovanni Antonio Sanna, il pa-drone delle miniere di Montevecchio ed editorein continente, deputato al Parlamento, sassaresedi nascita ma… cittadino del mondo, e con unsenso democratico importante, massone dal 1844,iniziato a Marsiglia, nella loggia “de St. Jean”. Alui un giorno sarà intitolato il museo archeologicocittadino. Le banche erano nate copiose, allora:s’erano presto aggiunti il Credito Agricolo e laCassa di Risparmio, e il Banco di Sassari, e laBanca Commerciale Sarda, e quella Commissio-naria, s’era aggiunto anche lo sportello del Bancodi Cagliari, l’istituto cioè fondato nel 1869 dal Fra-tello Enrico Serpieri… Come capoluogo di provin-cia, come centro demograficamente rilevante nelcapo settentrionale dell’Isola, come antica sedeuniversitaria, teatro di disputa civica e politica permille relazioni intrattenute con partiti e movi-menti o gruppi d’opinione della penisola, Sassariancora e soprattutto dopo l’unità d’Italia cono-sceva anche una ricchezza pubblicistica di pri-m’ordine, pressoché pari a quella cagliaritana. Avoler limitare il discorso soltanto al decennio circadi vita della Goffredo Mameli, a scavalco appuntodi anni ’60-’70, saranno stati quindici, venti eanche più le testate, ora di serie ora una tantum (ifamosi numeri unici d’occasione), politiche odamministrative, religiose od umoristiche, profes-sionali od accademiche e letterarie che ne avevanopopolato l’ideale edicola. Uscirono allora ovvia-mente  gli Atti del Consiglio provinciale (in cui nonmancavano di certo i massoni) o, dalla tipografiaDessì, il Bollettino del Comizio agrario circondariale equello della Prefettura, così come, dalle macchinedella tipografia Azara, Il Popolano,  oppure La Di-scussione (d’area liberale, polemico con la pressionefiscale governativa) o  Il Folchetto (d’ambizioniumoristiche) o L’operaio (con intento di promo-zione mutualistica)… Nei giorni della presa diRoma uscì La Stegghia («Pulisce cavalli, asini edaltre bestie tutte le domeniche»), pochi annidopo Il sigaro («Si fuma ogni domenica al prezzodi centesimi 10. Castigat ridendo mores»)… Assaipiù qualificato il profilo di La Cosa Pubblica, rimon-tante agli anni 1874-75, bisettimanale repubbli-

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cano diretto da Giuseppe Giordano Sanna, cosìcome La Donna e la civiltà, mensile affidato alle curedi Caterina Berlinguer, repubblicanissima anchelei come Edoarda, sua sorella mazziniana che fir-mava ne La Giovine Sardegna (ed era letta, si disse,dallo stesso Mazzini)… Apparvero ebdomadarid’ogni tipo, apparve  Lingua di miele, a sostegnodella causa associazionista in campo sia rurale cheoperaio e sperava nelle colonie agricole da im-piantare nel nord isolano. Uscì, dalla tipografiaTurritana, un periodico di medicina e chirurgia daltitolo Il Farina, da Dessì La Provincia di Sassari (po-litico-amministrativo e letterario) d’orientamentoanch’esso progressista; soprattutto apparve, comein un cielo d’attesa, La Stella di Sardegna, un setti-manale popolare destinato a lunga vita ed a rac-cogliere molte e importanti firme isolane enazionali. Fu poi la volta di La Riscossa ed anchedi La Squilla, giornali d’impostazione e interesse oidealità opposte, il primo avversario e il secondosostenitore della sinistra e anche dell’Amministra-zione Soro-Pirino… Ci fu La Gazzetta di Sassari, cifu La Strenna sassarese e ci fu La Temperanza… il vo-cabolario offrì nella lunga stagione i migliori sug-gerimenti al lancio delle testate…

Un decennio di grande storia (e di piccola cro-naca) a Tattari mannu

Nelle trecento strade e piazze della topografia cit-tadina, spalmata pressoché equamente fra rioneLevante e rione Ponente, s’animava la vita localefotografata dai versi dei poeti dialettali, servivanola popolazione in larghi orari i pubblici uffici e lescuole, il mercato, le caserme, i ricoveri e gli ospe-dali (ancora fresca era la memoria dell’ecatombedel 1855: oltre cinquemila i morti di colera!)… Al-lestita o allestenda la Normale Femminile in viaArborea, così la Ginnastica Sassarese al Giardinopubblico, dove anche ricadeva il regio Orfanotro-fio ed il Convitto femminile… In via Carra Piccolasi stringevano la Camera di Commercio e il Comi-zio agrario (vi sarebbe presto stato anche il regnocommerciale del Fratello Margelli!), nella viaMercato l’Agenzia Imposte e il Ricevitore dema-niale, anche l’Ufficio del Registro – per il marchiodi Stato! – e l’Ordine degli avvocati ed anche poiil Circolo Sassarese… La regia Procura era riparatanel nuovo Municipio, a palazzo Ducale cioè, cosìcome il Provveditorato agli studi nel palazzo dellaProvincia, al pari della Prefettura e dell’Ufficio te-

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Cavalieri guidati da Giovanni Maria Angioy. Pietro Antonio Manca, 1970. Collezione d'arte Fondazione di Sardegna.

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legrafico, ecc. in piazza d’Italia… In via Firenzel’Intendenza di Finanza, in via Manno il Conser-vatore delle ipoteche, in via del Teatro l’Istitutotecnico, naturalmente in via Canopolo il liceo e ilginnasio, il club di scherma e ginnastica in viaCarlo Alberto… Ponente e Levante si distribui-vano il carico e gli onori dell’ospitalità. Certo, aSassari come a Cagliari, fra anni ’60 e ’70 (e poiancora nei primi ’80) si andava per sistemazioniprogressive, razionalizzando per il possibile. C’erapoi la gran quantità di sodalizi a crescere, imple-mentandosi e spegnendosi e ancora implementan-dosi come una fisarmonica… La città prendeva lasua misura, riscopriva i microquartieri disegnatianticamente secondo i perimetri parrocchiali (quiSan Sisto là Santa Caterina, o San Nicola, o SanDonato, o Sant’Apollinare…). Nel largo Azuni sisarebbero concentrati i repubblicani (con la loroconsociazione o il circolo Doveri dell’uomo) edanche i radicali, così qualche società o lega operaiacome quella dei coltivatori, o dei muratori, o deifabbri, lattai e calderai, dei vermicellai e dei con-ciatori… i sarti in via Rosello, gli agricoltori in viaVittorio Emanuele… l’Operaia femminile in viaArborea (presidentessa donna Edoarda Berlin-guer!), l’Operaia di mutuo soccorso in via Buiosa,assieme agli ex militari di bassa forza… Tutti pro-tagonisti a Sassari. Certo, della città si potrebberaccontare anche ogni minima vicenda inseren-dola in un contesto magno, fra coordinate spazio-temporali perfino epocali, e cercare i nessipossibili, gli influssi, le cause e gli effetti… E dieventi più o meno significativi occorsi nell’Isola emagari nel Sassarese e nel suo capoluogo in par-ticolare, nel decennio circa di vita della GoffredoMameli, se ne potrebbero elencare, ovviamente,numerosi… Restringendo al massimo se ne po-trebbero segnalare almeno una decina: morì a Sas-sari il sacerdote Salvatore Sassu che istituì concenso testamentario lo storico Orfanotrofio delleFiglie di Maria (poi allargatosi a scuola-convittoper sordomute); compì la sua visita la Commis-sione parlamentare d’inchiesta sulle condizionisocio-economiche della Sardegna e Sassari ne fuinvestita in pieno; sorse in città una Società baco-logica, speranza anche economica di una filieratessile; s’inaugurarono i tronchi ferroviari Sassari-Porto Torres e Sassari-Ploaghe; prese possessodella sua diocesi l’arcivescovo Diego MarongiuDelrio, destinato a lunga vita raggiungendo addi-rittura il 1905!; morì quel Pasquale Tola (fratellodi Efisio martire di Chambery) che fu giurista eletterato venerato in vita tanto più per le sue ab-bondanti produzioni storiografiche (nel ’70 erascomparso l’altro grande, il barone Giuseppe

Manno); scomparve anche Giovanni AntonioSanna nel 1875 (e l’anno dopo cadde GiorgioAsproni); s’avviò la demolizione del Castello ara-gonese nel cuore di Sassari… Ad Ozieri venneeletto e rieletto deputato Giuseppe Garibaldi (erail 1867), a Nuoro scoppiarono i moti di “su con-nottu” (era il 1868, e la loggia Eleonora ne fu co-protagonista per il bene o per il male), a Cagliariiniziò le sue pubblicazioni L’Avvenire di Sardegna,il quotidiano del Fratello Giovanni De Francescoche avrebbe voluto collegare gli interessi sardi aquelli della colonia italiana in Tunisia (era il1871)… Le campagne isolane s’infestarono di ca-vallette facendosi teatro di azioni banditesche a ri-petizione…

Nasce una loggia

Importa dire qui – ancorché si tratti di una lineainterpretativa piuttosto debole, supportata da unadocumentazione che andrà rinfoltita – che fin dalsettembre 1862 si era ipotizzata la fondazione, aSassari, di una loggia massonica all’obbedienzadel Grande Oriente Italiano (questa la denomina-zione ufficiale iniziale): da un anno quasi funzio-nava quella cagliaritana, intitolata allacelebratissima Vittoria, impiantata da Pietro Fran-cesco de Lachenal, magistrato di Corte d’appello.Ne sarebbe stato dato incarico al professor Anto-nio Pansa, Oratore della loggia Ausonia, operativain quel di Torino e forte di molte decine di perso-nalità di primissimo livello nella società profes-sionale, giornalistica ed amministrativa,diplomatica ed accademica o militare della capi-tale al tempo dell’unità, un po’ prima e un po’dopo. La cosa, chissà perché (forse per l’improv-visa scomparsa di Pansa), non andò a buon fine, eSassari dovette aspettare che maturassero le con-dizioni per entrare anch’essa, al pari di Oristanoe Nuoro – che nel 1867 avevano battezzato le lorologge riferendosi alla casa d’Arborea –, nel noverodella Massoneria nazionale. Due nomi tra i fonda-tori della Goffredo Mameli segnano con la loroumanità l’originale esperienza che gradualmentecoinvolgerà fino ad una trentina di attori: tale G.Vergara e Bartolomeo Ortolani. Entrambi antici-pano e spiegano, con la propria storia personale, ilineamenti ideali e programmatici della compa-gine liberomuratoria di cui deterranno il Ma-glietto. Vergara, il primo della serie, è il direttoredelle carceri sassaresi, ed il suo nome (con quellodi Ortolani) figura, in quanto rappresentante dellaloggia, nell’elenco dei Maestri Venerabili in caricanel lasso temporale 1864-1871 pubblicato daLuigi Polo Friz in diversi suoi studi, rifluiti in una

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sintesi pubblicata da Massoneria Oggi, n. 4/ 1998.Alcune iniziative sociali, e specificamente quelleche riguardano il reinserimento lavorativo degliex detenuti, rimanda intuitivamente all’ufficio eal sentimento civico del Venerabile. Egli è alla di-rezione dello stabilimento penale proprio neglianni in cui avanzano i lavori del nuovo carcere –quello di San Sebastiano, che dovrà sostituirequell’altro secolare e indegno di Carra manna, in-titolato a San Leonardo –, a ridosso delle mura e aun passo dalla nuova piazza d’Italia, che è an-ch’essa novità di questi tempi, nel riordino e ri-lancio edilizio che coinvolge tutta Sassari daglianni seguiti all’unità nazionale e che arriverannoall’abbattimento (scriteriato?) del Castello arago-nese per ammodernare poi l’intero nucleo urbano,con palazzi privati e palazzi pubblici. Monumen-tale e moderno, certo sempre doloroso e ideolo-gico, progettato dal celeberrimo Polani. Del 1869,quando la loggia è ormai operativa da un biennioquasi, smantella la sua penosa struttura il patiboloin funzione da secoli davanti alla chiesa di SanPaolo. Due anni dopo, o press’a poco, San Seba-stiano entra in sistema. Il Fratello Ortolani, exprete, è un benemerito precursore dell’istruzionetecnica in Piemonte, venuto nell’Isola come rettoredel Convitto Nazionale (prima a Cagliari – nelbiennio 1862-63 –, quindi a Sassari). Professoredi lettere, egli opera intanto per separare netta-mente il collegio dal ginnasio liceo (il che sarà for-malizzato nel 1865 nello stesso stabile dell’anticoe prestigioso Canopoleno). Autore di un drammateatrale ispirato alle epiche e tragiche gesta di Am-sicora – capo dei sardi pelliti alleati dei punicicontro l’invasione romana dell’Isola – si segnaleràanche per una performance d’azzardo positivistaalla Costituente massonica fiorentina del 1869…Circa la sua prova letterario-teatrale –l’Amsicora cioè, sottotitolata  Supremo sforzo per lasarda indipendenza – dramma tragico, rappresentatoal teatro Civico il 27 febbraio 1867 – potrebbe es-sere utile acquisire alcune notizie che, spiegan-done intenzioni e modalità espressive, rivelinol’autore. L’opera venne dedicata «Ai deputati dellaSardegna» e specificamente a «il Barone GiuseppeManno che diede luce ed autorità di vera storiaagli incerti racconti delle gloriose gesta di un po-polo armigero insofferente di servitù e sdegnososempre di essere posseduto» ed a «il CavaliereGiovanni Siotto-Pintor che con elegante e fina cri-tica dettata da patrio affetto illustrò le sparse operedei sardi scrittori bella gloria di questo paese riccodi canti e di nobili ingegni». A muovere l’autore,in quanto interprete di «un glorioso fatto dellastoria sarda», fu uno scopo didattico: «per la sarda

gioventù». Un intento meglio spiegato nella pre-fazione («Ragione del dramma e della via seguitanel suo sviluppo»): «Quello di scrivere per attoriadolescenti un dramma il quale, illustrando unfatto glorioso della storia, innamorasse la gioventùallo studio delle cose patrie; un dramma che la-sciasse a parte lo sviluppo dei caratteri menodegni e delle passioni che avrebbero potuto essereintrodotte, quando si fosse scritto per attori giàfatti adulti; un dramma che rendesse più facile epiù gradita la scenica produzione, e che doman-dando ad altre fonti, fuori delle colpevoli passioni,la varietà dei contrasti, e la vivacità del dialogonulla producesse di basso, d’ignobile, di prodito-rio; ma tutto ne risultasse rispettivamente buono,commendevole, eccitando solo la commozione diquegli affetti che ci studiamo di promuovere nellagioventù». Muovendo da queste prime militanze– di Vergara e di Ortolani –, colpisce dunque su-bito che la loggia sassarese nasca in un solco cheè insieme pubblico, di caratterizzazione ideolo-gica, e filantropico. La Massoneria italiana di ra-dicamento post-risorgimentale – tanto nellaversione liberale quanto in quella democratica –punta a modellare il nuovo cittadino, l’italiano cheriporta la sua matrice territoriale, provinciale o re-gionale, alla consapevolezza nazionale, ed a que-sto contribuisce essenzialmente la scuola, e inaccompagno l’amministrazione pubblica in tutti isuoi segmenti, in testa a tutto l’esercito chiamato,come detto, in difesa dei confini tanto faticosa-mente conquistati… Nel mezzo, in attesa che sicreino le condizioni per una larga legislazione so-ciale, ecco il soccorso volontario, una prossimitàforse ancora ingessata nelle gerarchie di ceto macomunque ricettiva di input solidaristici… In talecontesto e sotto la guida di Luci come quelle sopramenzionate, la Goffredo Mameli s’impegna da su-bito a soddisfare l’esigenza, da tutti avvertita, diuna proiezione pubblica, fuori della Porta d’Occi-dente, sul piano essenzialmente umanitario e so-ciale: essa realizza perciò, s’è detto, un efficacepatronato finalizzato al rapido e duraturo reinse-rimento lavorativo degli ex detenuti; promuove(come a Cagliari) l’istituzione di un ricovero dimendicità; avvia le procedure per l’apertura di unabanca a largo azionariato popolare. Lo scrive il Bol-lettino del Grande Oriente d’Italia nel suo fascicolo dimarzo-luglio 1869: «Fra le sei Logge di Sardegnasi distinsero per opere particolari la Vittoria, Or.di Cagliari, la quale non paga di moltiplicare gliatti di beneficenza, istituì Letture mass., pubbli-cate dipoi con la stampa a luce universale. La Log-gia Goffredo Mameli, Or. di Sassari, che riuscì acostituire una società di patronato per gli infelici

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che escono dalle carceri, provvedendo al loro mi-glioramento morale e procurando il più possibiledi fornire loro mezzi di lavoro. Per sua cura venneanche istituito un ricovero di mendicità, e iniziatala banca popolare – ed è questa la terza opera emi-nentemente benefica cui diede vita in soli undicimesi». Chi partecipa all’impianto della GoffredoMameli e al suo sviluppo per lo meno nei primianni in cui essa dà affidamento di potersi stabiliz-zare nella Valle delBunnari e del Tur-ritano? E’ piuttostodifficile, per le notelacune documenta-rie, ricostruire inpieno il piedilista,ma ciò nonostantepuò tentarsi un av-vicinamento chepossa dare una ideacredibile della fa-tica fraternale spie-gata in una fasedella vita nazionaleassai complessa eproblematica: fraMentana e PortaPia, fra la primaziarivendicata dal go-verno rispetto al-l ’ e s e r c i t ovolontario di Gari-baldi, anche nellaguida delle azionimilitari volte ad ac-quisire Roma e ilLazio – quanto cioèè rimasto delloStato Pontificio – alregno d’Italia. Vi-gile e avversariosempre e comun-que il ministerofrancese di Napo-leone III (quellostesso Luigi Napo-leone che, non an-cora imperatore,aveva sconfitto sulcampo la Repub-blica del 1849 eportato a morte ilgiovane GoffredoMameli…).

Girovagando nel piedilista

Un prospetto rimontante agli ultimi anni di atti-vità della loggia enumera diciassette nominativifra i quali non sono compresi più né Vergara néOrtolani, né è compreso Gavino Soro Pirino chesarà invece della partita e poi fra gli attivi dellaGio.Maria Angioy e suo Maestro Venerabile. Nep-pure sono compresi nominativi che per più ra-

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Goffredo Mameli ritratto dal vivo da Roberto Bompiani, 1849.Museo Centrale del Risorgimento

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gioni – dall’estrazione sassarese alla tempisticadelle loro maggiori attività pubbliche, all’impe-gno ufficiale nella Fratellanza – potrebbero accre-ditarsi all’organico: il riferimento particolare è aiparlamentari Pasquale Umana (medico e docente,futuro rettore dell’Università di Cagliari) e Raf-faele Garzia (magistrato e prossimo sindaco diSassari). All’uno e all’altro capiterà di dover rap-presentare questa o quella loggia in occasionedelle Costituenti: così, ad esempio, nel 1872 la ca-gliaritana Gialeto o l’ozierese Leone di Caprera…I Fratelli segnalati con più remoti brevetti di Mae-stro sono Gaspare Marzola, palermitano di nascita,usciere di prefettura, e Giuseppe Cavanna (diLuigi), sassarese classe 1840, proprietario. Se-guono, registrati tutti come impiegati, VittoreGiunti, modenese classe 1829, Leonardo Carta Pes(di Sebastiano), sassarese classe 1837; RaimondoPilo, pure sassarese classe 1836; e inoltre Gio-vanni Alasia (di Giuseppe) professore di retorica,nativo di Racconigi classe 1832; Salvatore Calvia(di Mauro), originario di Mores classe 1822, ar-chitetto; Gaetano Passino (di Gavino), cagliaritanoclasse 1843, avvocato; Gio.Nicola (o Nicolò) Si-mula (di Salvatore), medico chirurgo e docenteuniversitario. Di più recente ammissione sareb-bero Salvatore Delogu, insegnante e funzionarioministeriale alla Pubblica Istruzione, e SalvatoreMusina Dore, avvocato: saranno entrambi Vene-rabili. Senza specifiche di calendario (in quantoall’affiliazione) sono elencati altresì MicheleAmico (forse Amic), siciliano di Caltanisetta, se-gretario di Prefettura; Giacomo Pieroni, sassareseclasse 1844, avvocato; Gavino Pintus, pure sassa-rese classe 1841, qualificato ufficiale (forse del-l’esercito); Salvatore Sigurani (di Giuseppe),toscano di Prato classe 1840, impiegato; GavinoSolinas (di Antonio), sassarese classe 1837, capi-tano dell’esercito. Se di alcuni è al momento piut-tosto difficile ricostruire i tratti sociali oprofessionali, di altri invece – per generosità dellecarte a supporto (e ricerca più o meno impegna-tiva) – la cosa è possibile ed anche gustosa. Di Sal-vatore Calvia Unali, sposato con Antonia DianaCasabianca (figlia del noto pittore G. VittorioDiana) e padre del poeta Pompeo – che sarà cele-bratissimo autore di  Sassari Mannu e numerosealtre pubblicazioni nonché Artiere della futuraGio.Maria Angioy – si dirà che, abbandonati glistudi di legge, si iscrisse ventenne all’accademianazionale di San Luca e quindi alla Sapienza, quiconseguendo i titoli di architetto e geometra. Ar-ruolatosi nel 1848 con altri universitari fra letruppe garibaldine, partecipò anche alla legionedei volontari romani accorsi – come ricorda Dino

Manca – «alla squilla dell’“universal chiamata”»in aiuto dell’Eroe dei due mondi. Fu aiutantemaggiore di Garibaldi a Luino e Morazzone,venne ferito ad un piede e curato da Ugo Bassi, ilbarnabita cappellano della legione e destinato amorte per fuoco austriaco nel 1849, dopo la fugadalle rovine della Repubblica. Assunto per qual-che anno nel genio militare come docente di ma-tematica nel collegio di Cherasco, rientrò nella suacasa sassarese, al civico 2 di piazza Tola, per rice-vere nel 1855, forse inaspettata e certo onorevole,la visita di Garibaldi. Al Generale rimase semprefedele e non mancò d’essere alla guida dei suoivolontari così come dei vari sodalizi patriottici chenel giugno 1882 raggiunsero Caprera per i fune-rali di chi per tutti fu fratello e padre, non soltantocondottiero. Allievo dell’Antonelli, il grande ar-chitetto al quale si deve la celebre Mole Antonel-liana in Torino, svolse l’attivitàliberoprofessionale come architetto fino al 1869(all’epoca cioè della sua iniziazione fra le Colonnedella Goffredo Mameli), fra l’altro firmando ilcampanile, in stile neoclassico, della secentescaparrocchiale di Mores intitolata a Santa Caterina,in cui sarebbe stato sepolto alla morte intervenutanel 1909 ad Alghero. S’impiegò anche come inse-gnante di disegno presso la scuola tecnica gover-nativa di Ozieri, seppure non si trattò diun’esperienza lunga, perché l’istituto venne sop-presso – si disse – «per mene clericali e per l’igna-via dei maggioraschi». Nuovamente tornòall’insegnamento nel 1881, all’istituto tecnico delcapoluogo e ad un parallelo corso professionale.Per gran parte degli anni ’70 dunque attese agliimpegni professionali, nel suo studio di architetto.Lavorò anche alla facciata della chiesa di Ittiri edal cimitero di Usini. Diversi altri progetti rimaserosulla carta o tradotti soltanto in parte nei monu-menti (così, fra i primi, per la parrocchiale diOschiri e anche, a Sassari, per il monumento ai ca-duti nelle guerre d’indipendenza, come, fra i se-condi, per la chiesa di Santa Croce di Ozieri).Ilfiglio Pompeo ne ricorderà l’esempio patriottico emorale in più composizioni, da Pinsendi a Due date:«E hai lassaddu a to’ figliori / l’ideali d’un grancori, / ed un pezzu di mitraglia / la to’ più beddamidaglia». Di Alasia sappiamo che ebbe cattedraal ginnasio Azuni, come documenta l’Annuariodella Istruzione Pubblica del Regno d’Italia pel 1867-1868; di Giuseppe Cavanna Sannia, invece, chepartecipò, nel 1869, alla fondazione anche dellaloggia ozierese intitolata al Leone di Caprera(mentre altri suoi congiunti furono coinvolti nelleattività delle logge cagliaritane). Di Gaetano Pas-sino è nota la partecipazione fra gli abozziani della

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nuova generazione, cioè fra quei liberal-monar-chici più impegnati nel rimbalzo delle maggio-ranze a Palazzo Ducale nel passaggio di secolo. InConsiglio comunale ebbe una presenza piuttostoprolungata, comunque sempre nello stesso tornotemporale, anche Gavino Pintus, solide proprietàa suo conforto, esponente pure egli del partito li-beral-moderato. Qualche incertezza investe Gia-como Pieroni, che potrebbe essere quell’avv. SechiPieroni, a lungo consigliere comunale anch’egli –buon terzo nel partito di Passino e Pintus – e poipresidente della Casa di riposo di Sassari. Se così,la sua sassareseria resterebbe certificata dai riferi-menti antichi di una famiglia di facoltosi commer-cianti orefici. Anche di Gio.Nicolò Simulapossono ricordarsi i successi elettorali in quantoesponente politico e consigliere ora comunale oraprovinciale, nonché le parallele carriere profes-sioni ed accademiche. E a proposito di rappresen-tanza politico-amministrativa. Già dal 1860 iFratelli (o prossimi tali) presenti nell’aula delConsiglio provinciale (comprensivo dei circondarianche di Nuoro oltreché di Alghero, Ozieri e Tem-pio) erano piuttosto numerosi, da Gavino Soro-Pi-rino (all’inizio perfino presidente) a GiorgioAsproni, da Antonio Giuseppe Satta-Musio aCarlo Costa, da Pasquale Umana a Salvatore MariaPirisi-Siotto, e ancora da Domenico Cabella e poiFrancesco Maria Cabella a Gio.Nicolò Simula (ap-punto), ad Antonio Zanfarino, Francesco Carboni,Gavino Passino, Giacomo Leoni… Si diceva delFratello Simula. La sua produzione scientifica eragià abbondante quando venne iniziato, e ancorpiù copiosa e felice, apprezzata nell’ambiente cli-nico, si sarebbe rivelata successivamente. Al con-corso per l’aggregazione al collegio medicochirurgico dell’ateneo sassarese, nel 1864, avevadiscusso una tesi sulla  Cheratite e principali esiti;aveva fatto seguito con una Risposta al prof. di medi-cina Giacobbe Ravà e con altri lavori, tutti ovvia-mente centrati sulla disciplina chirurgica el’ostetricia, la sua superspecializzazione; il suo re-pertorio contò così, una dopo l’altra, le…storie, Storia di una ferita da punta e taglio penetrantenell’addome,  Storia di una cistovariotomia seguita daguarigione, e via continuando… Usinese di nascitaclasse 1836, egli fece carriera come assistente diclinica chirurgica, supplente di medicina operato-ria e clinica operatoria, quindi straordinario sta-bile di ostetricia e ginecologia ecc. (Quando andòa riposo, il rettore Angelo Roth, Fratello dellaGio.Maria Angioy e deputato al Parlamento, non-ché prossimo sottosegretario alla Pubblica Istru-zione, così si espresse: «L’Ateneo perde unvaloroso insegnante che, nella sua perenne e sem-

pre prospera maturità, poteva ancora diffonderedalla cattedra, nobilmente e a lungo occupata, te-sori di dottrina e di pratica attività. Ma se la Fa-coltà perde l’insegnante, la Società conserva ilpratico zelane e provetto: a lui l’augurio fervido diancora lunga vita, rallegrata dalla stima che dureràimmutata di noi a cui fu venerato collega, e dei di-scepoli suoi, che avranno motivo frequente per ri-cordarne la dottrina, lo zelo indefesso e le virtùeducative della scuola, nella quale crebbero e siaddestrarono ai cimenti dell’esercizio professio-nale». In politica conquistò posizioni sul fronte li-berale con qualche successivo avanzamento (emesse di preferenze personali) con i garavettiani,in età ormai matura, addirittura nel 1905: nel par-tito moderato fu consigliere comunale ed ancheassessore (della giunta Pitzorno); fu eletto altresìin Consiglio provinciale (dal 1872 e per oltre unlustro) per il collegio Osilo/Ossi. Personalità cer-tamente centrali, nella compagine, furono Salva-tore Delogu e Salvatore Musina-Dore. Il primo,già segretario particolare del ministro dell’Istru-zione Michele Coppino (pure lui massone) e ca-podivisione alla Minerva, preposto giusto allascuola primaria (e dal 1877 segretario del Consi-glio superiore di Pubblica Istruzione), fu anche trai fondatori della loggia capitolina Rienzi, unita-mente al Gran Maestro Giuseppe Petroni (che aRoma, nelle segrete pontificie, aveva trascorsoanni e anni di patimenti!): in quella stessa loggiasarebbe stato iniziato, un giorno, anche un futuroMagister Maximus dell’Ordine, Publio Cortini(1953-1956) e prima di lui quel Meuccio Ruiniche avrebbe presieduto la famosa commissionedei 75 alla Costituente repubblicana di Monteci-torio. Nel suo  Diario, Asproni lo menziona perquestioni d’interesse del Fratello Giovanni Anto-nio Sanna, qualificandolo ispettore scolastico (inmissione, nel febbraio 1871, a Roma), soggiun-gendo più oltre che della sua definitiva sistema-zione al ministero di P.I. si stava occupandopersonalmente trattandone con il ministro… Giàdirettore delle conferenze didattiche a Cagliari,egli concluse la sua carriera come provveditoreagli studi della provincia di Sassari e passò all’Or.Eterno nel 1895, quando la nuova officina locale,la Gio.Maria Angioy, aveva appena iniziato adoperare in città. Collaboratore di varie riviste let-terarie – e, nel novero, di Stella di Sardegna – fra le“glorie” di Delogu potrebbe forse ricordarsi unaelegante conferenza da lui tenuta su Dante nel600esimo anniversario della nascita (il testo vennepoi pubblicato a Firenze). Ne propose una propriarecensione Filippo Vivanet – che si ritiene appar-tenente alla loggia Vittoria cagliaritana – espri-

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mendosi in questi termini: «Percorrendo le paginedel Delogu scritte con senso di letterato e concuore di patriota si debbe riconoscerlo assai fami-gliare colle opere dell’Alighieri e tenero quant’al-tri mai di togliere alla figura più luminosa dellelettere italiane quelle macchie che la miopia deineoguelfi vi volle scorgere. Egli pose mente a chia-rire gl’intendimenti di Dante colla storia de’ suoitempi alla mano, e principalmente colla scortadelle sue opere maggiori e minori, né parci sipossa trovare critica più giusta e razionale di que-sta. Forse avremmo voluto qua e là maggioreeguaglianza nello stile, e meno divagazioni dal-l’altissimo subbietto per trarne argomento di con-sigli ai presenti, o pretesto d’invettive edeclamazioni ormai troppo ripetute ed intese. Gliatti di riverenza verso i nostri grandi debbonocompiersi con calma e serenità, vogliono a sensonostro andare immuni a quelli sfoghi puerili chepossono trovare il loro posto in meno solenni oc-casioni. Ciononostante il lavoro del Delogu è assaipregevole per una conoscenza approfondita delproprio tema e per una larga erudizione la qualenon sa divenire pedante. Egli trovò il modo diunire allo stesso tempo l’utile al dilettevole e co-loro che acquisteranno il suo opuscolo saprannodi concorrere ad una buona azione dacché il pro-

dotto che se ne ritrae è devoluto ai maestri ele-mentari del circondario di Nuoro» (cf. Rassegna bi-bliografica dell’Isola di Sardegna per 1866, estrattadall’Annuario statistico e calendario generale del cav. Pie-tro Amat di San Filippo). Il secondo dei personaggicitati, Salvatore Musina-Dore, anch’egli Venera-bile pro tempore, fu anch’esso nome piuttostonoto in città e specialmente nel foro. Originario diNuoro, fu autore di diverse opere, fra monografiegiuridiche e  Commenti al codice civile di CarloAlberto (così fin dal 1849), per arrivare a saggicome La Maledetta ossia la Provincia di Sassari: riflessiin risposta a tanti scritti anonimi che si dicono inspiratidalla Deputazione provinciale (datato 1881). Nel re-pertorio ulteriore delle sue opere andate a stampa,a parte una Storia della lite vertente nel tribunale di Sas-sari tra il governo ed i soci Salvatore Musina e ProtoTola (datato 1870), anche la monografia Ai signoriministri e deputati della Sardegna (datata 1854): unapubblicazione che rimanda alla esperienza poli-tico-amministrativa di Salvatore Musina Dore (inrapporti con Giorgio Asproni, di cui è traccianel Diario di quest’ultimo). Egli fu consigliere pro-vinciale dal 1869 (dunque nei migliori anni di vitadella Goffredo Mameli) e per un quindicennio ad-dirittura.

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I funerali di Garibaldi a Caprera. The Illustrated London News & Sketch Ltd.

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L’iniziazione nell’Oriente di Carbonia

Ha sulle spalle, Armando Corona, quasi unquarto di secolo di esperienza professionale, unabuona per non dire ottima situazione economicae patrimoniale, una larga e gratificante rete di re-lazioni sociali, un’avviata carriera politica e, nelprivato, una famiglia che marcia insieme quando– la sera di giovedì 23 ottobre 1969 – viene ini-ziato fra le Colonne del Tempio massonico intito-lato a Giovanni Mori, leader storico del RitoScozzese Antico e Accettato riconosciuto dalGrande Oriente d’Italia di Palazzo Giustiniani. LaRispettabile Loggia Giovanni Mori n. 533 al-l’Oriente di Carbonia, nella Valle del Cixerri e delPalmas, è una compagine rituale che nel 1969 hada poco superato i tre lustri di vita, passandoselipiù male che bene; ora pare in risveglio, in rilan-cio. Il Venerabile – Tiberio Pintor – è un galan-tuomo di stampo antico, nella vita privatainsegnante figlio di insegnante (che era anche luimassone, e per di più socialista e antifascista). IlTempio di via Gramsci 8, a Carbonia, in un con-dominio civile, è piccolo – due stanzette fra lequali è stato abbattuto il tramezzo – e stavoltadeve accogliere molte persone: 27 ne conta il re-gistro delle presenze e ne annota quella sera il Se-gretario chiamato a tracciare la tavolaarchitettonica della tornata, il verbale cioè; pres-soché la metà sono Fratelli ospiti provenienti dalleofficine cagliaritane, la Nuova Cavour, la Hiram,la Sigismondo Arquer che si è appena regolariz-zata dallo status di loggia coperta P. Azzurre le pa-reti, la volta punteggiata da piccole stelle, uncordone rosso con i sette nodi d’amore che gira peri quattro lati del parallelepipedo, carezzando la sa-goma di dodici Colonne e legandosi infine, sullaparete di Occidente, alle due maggiori Colonne Be J con i capitelli l’una dorico, e – a rappresentarel’universalità – il mappamondo sopra, l’altra co-rinzio con le tre melegrane semiaperte, a simbo-leggiare la sintesi delle individualità nella unità,o, se si vuole, il valore dell’unità in cui l’anticon-formismo non smentisce l’intento comunionale.All’Oriente campeggia il Delta affiancato dai lu-minari maggiori, in combinazione con il trinomiorivoluzionario; da qui s’alza la cattedra del Mae-

stro Venerabile, sui lati lunghi del rettangolo sonole file dei Fratelli. Quasi al centro del Tempioun’Ara con la menorah della tradizione ebraica eil Vangelo di Giovanni aperto alla pagina del suoPrologo… Luce e tenebra, i termini oppositividella storia della salvezza ma anche della condi-zione umana. Sul Vangelo il compasso è sovrap-posta la squadra. Una volta sbendato, vedrà, ilcandidato divenuto neofita, d’essersi mosso du-rante tutta la cerimonia su un pavimento di piantarettangolare, a caselle alternate bianche e nere, al-lusione anch’essa alla contraddittorietà della con-dizioni umana, ai limiti e alle virtù… Ha 48 anniil recipiendario, un carattere mite ed una bella ca-pacità di ascoltare, un approccio sociale compren-sivo e dialogico, interessato alle altrui ragioni, unavoce bassa e pacata, un vulcano in testa, obiettiviprecisi e anche ambizioni, abilità tattica, mano-vriera, ad un tempo inclusiva e selettiva, una in-telligenza furba (che è mille volte più e megliodella furbizia, aggettivo fattosi sostantivo senzameriti), con un senso della gradualità nelle con-quiste che è spiccatissimo, anche se questo nonpuò bastare ad evitare gli errori. Sta lasciandoAles, seconda tappa rilevante, dopo Senis, dellasua carriera medica nelle condotte di territorio; hapuntato su Cagliari, dove i figli ormai adolescentigià frequentano il liceo e si preparano all’univer-sità, chi a Matematica chi a Medicina. Guarda allaspedalità privata come a un settore in cui potrà ac-compagnare il suo sperimentato e indubitabile ta-lento professionale (che è anche una vocazione)ad una importante fonte di reddito capace di com-pensare trascorse difficoltà e insieme spingere lesue azioni nella politica in cui è attivo ormai davent’anni, anche se le responsabilità istituzionalisono venute soltanto alla fine del 1964: nelle filedel Partito Sardo d’Azione. Dopo essere statomembro dell’assemblea regionale del PartitoSardo, rappresentante nonché fiduciario di Senis,nel 1951 e successivamente, di Ales nel 1957, can-didato non eletto alle regionali nel 1953, 1957,1961, e alla Camera dei deputati nel 1963, ha con-quistato un seggio al Consiglio provinciale di Ca-gliari ricevendo poco dopo l’incarico di assessoreall’Ospedale psichiatrico (al tempo competenza

FRAMMENTI DELLA VITA DEL GRAN MAESTRO

ARMANDO CORONA

di Gianfranco Murtas

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della Provincia). Insieme è diventato segretarioprovinciale sardista, ed in tale veste ha guidato ilpartito per un anno esatto, per perdere alla contadel congresso del 1966. Ha già mancato per unpugno di voti l’elezione al Consiglio regionale nel1965; s’è ritratto per qualche tempo – 1966-67 –dalla politica attiva; è tornato sulla scena alla finedel 1967: per staccarsi dal Partito Sardo e costi-tuire con altri esponenti di rilievo un movimentopolitico autonomo alleato, in chiave antiseparati-sta, dei repubblicani. Dopo una prova generalenella primavera 1968, alle elezioni per il rinnovoparlamentare, ha conquistato l’anno successivo –appena quattro mesi prima dell’iniziazione – ilseggio al Consiglio regionale della Sardegna inuna lista concordata fra il Movimento Sardista Au-tonomista, appunto la corrente uscita dal PartitoSardo, ed il Partito Repubblicano Italiano a segre-teria nazionale di Ugo La Malfa. Sul piano profes-sionale, egli conduce da un anno, poco più, lagestione amministrativa e sanitaria di una casa dicura nel viale Merello di Cagliari, di proprietàdella vedova del professor Mario Aresu, già pre-side di Medicina e rettore dell’università di Ca-gliari. Confesserà lui stesso, parlandone conL’Espresso, di aver iniziato nel 1966, in società conun altro professionista, investendo larga parte delsuo capitale e il credito accordatogli dalle banche,in una nuova clinica specializzata in ostetricia eginecologia. Quell’impresa gli era costata mezzomiliardo di lire soprattutto per le opere edilizie;dopo un biennio un medico-imprenditore, il mag-giore del settore, acquistò immobile e avviamentoper quasi cinque volte tanto, fornendogli la liqui-dità per altri investimenti…Una vita certamentemossa da un dinamismo relazionale che è e saràpoi la carta vincente di molti avanzamenti. Sononumerosi e pesanti i “metalli” che armeggia nellagestione della casa di cura, e l’agiatezza che ne de-riva, per sé e la famiglia, porta significati eviden-temente rilevanti, ma non soffocano mai – quei“metalli” – quegli altri significati dell’umanità do-lente che affronta, con il ricovero, i suoi problemidi salute tante volte combinati alle difficoltà mo-rali e materiali del vivere quotidiano che cercanorimedio, a loro volta, nello Stato sociale. C’è (e cisarà) anche tanto paese, tanta Marmilla, a VillaVerde, nel viale Merello cagliaritano, e può dirsiche la relazione di residenza trascorsa e prolungatavent’anni giusti prosegua in un’altra forma. «Nonc’è la malattia, c’è il malato», continuerà a soste-nere sempre Corona, secondo la miglior scuolaalla quale è cresciuto. E anche quando andrà inpaese – nei paesi –, in campagna elettorale, lungotutti gli anni ’70 e un po’ prima e un po’ dopo, le

riunioni politiche finiranno sempre e comunquein un parlottio fitto fitto con questo e con quello,sulle cose di casa ben conosciute e memorizzate diquella famiglia e di quell’altra, con abbondanzaanche di consulenze mediche estemporanee maevidentemente pertinenti e preziose, su un indi-rizzo fiduciario. Ha una sponda collaborativa nelpatronato Ital della Unione Italiana del Lavoro, ilsindacato d’area socialista-socialdemocratica, maanche sardista-repubblicana, e non v’è mai chi,portatore di ragioni e da lui indirizzato, resti di-menticato. Calca quel pavimento-scacchiera, ri-flesso simbolico della sua vita e, in verità, dellavita di tutti quanti. Perché è il chiaroscuro adesprimere meglio la realtà esistenziale dell’uomoche è sempre contradditorio, anche quando è tesoal suo miglioramento. Anzi, proprio allora egli av-verte meglio, con maggiore nettezza, i suoi limiti,le sue infedeltà, la sua inadeguatezza. Ne è riscat-tato dall’ottimismo della volontà, dalle energieche dentro di sé egli sa scovare anche per lo sti-molo che il rapporto con il suo prossimo gli offresenza calcolo e senza misura. Ma il risultato non èmai garantito. Appartiene al patrimonio simbolicodella Massoneria ma poi è anche colto dalla intel-ligenza intuitiva delle cose il chiaroscuro al qualemi riferisco. Noi molte volte indulgiamo sulle fi-gure, e tralasciamo le persone. E dunque come perun copione ci adeguiamo alla rappresentazionequasi unilaterale delle convenzioni, rinunciandoa vedere nella compresenza di limiti e virtù la no-biltà stessa delle persone che cadono, che sba-gliano, e traggono però dalla esperienza occasioneper nuove messe a fuoco, per rettifiche, per ripar-tenze, per nuovi traguardi e magari altre oscilla-zioni o cadute. La bellezza della vita è in questacomplessità del percorso, non nella rappresenta-zione oleografica ed incredibile dell’eroe, e menoche meno è credibile – come anche s’è stoltamentefatto nel nostro caso una infinità di volte – un pro-filo tutto negativo, imprigionato negli stereotipidi una ideologia saccente e ignorante che, pre-sunta progressista, non ha letto il Bertold Brechtdella “Lode del dubbio”. In questa bipolarità del“normale” umano, in questa alternanza di paginenobili e pagine incaute o incoerenti bisognerebberintracciare la persona di Armandino Corona.

Sentire la vita come una conquista

«Moralità e costumi integerrimi», «medico moltoapprezzato», «ottimo padre di famiglia», «la suaposizione può considerarsi agiata», hanno riferitoi Fratelli informatori al Maestro Venerabile dellaLoggia carboniese alla quale era stato presentato.

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Cerimonia in tutta regola, guidata dalVenerabile Pintor, e con lui dai Sor-veglianti Efisio Maxia e Pietrino De-doni – due valorosi medici entrambilegatissimi alla gente del territoriosulcitano – e dominata dal Potentis-simo Silicani, il fondatore dell’en-semble. «Sono religioso ma nonpratico alcuna religione», ha scrittoCorona, autopresentandosi, nel mo-dulo di domanda che reca la data del28 maggio 1969. Di lui si sa che èpronipote di un vescovo – l’oglia-strino monsignor PaderiConcas (ungiorno da lui biografato in una con-versazione dai salesiani) –, e che èstato a lungo intimo di un altro pre-sule di eccezionale carisma – monsi-gnor Antonio Tedde –, del qualeconserva l’amicizia; si sa che nel suolaicismo, assolutamente morbido, haassorbito da sempre, facendosene ali-mento, la cordialità del rapportoumano con i suoi pazienti ed elettoriper la stragrande maggioranza catto-lici di messa e sentimento. Lui stessoha avuto una formazione religiosa,mai rinnegata e semmai rielaborata ecomunque intimamente goduta, nonsoltanto nel ginnasio frequentatopresso il convento dei minori france-scani di Bonorva (operativo dal 1931,l’anno dell’aggressione fascista ai cir-coli dell’Azione Cattolica e dellaFUCI) – a rischio perfino di pronun-cia dei voti –, ma anche nell’aposto-lato laicale del convento domenicanodi Cagliari negli anni liceali. Nel Ga-binetto di Riflessione ha vergato unTestamento morale che non declamaquell’eroismo di cui sono pieni tanti altri fogliconsimili, ma esprime un sentire certamente sin-cero. Gli hanno portato via, per l’iniziazione, tuttii “metalli”, preparandolo ad ascoltare gli ammo-nimenti del Venerabile. Quando sarà lui Venera-bile di loggia marcherà sempre l’importanza diquesto passaggio. I doveri dell’Uomo verso sestesso: «Affinamento di tutte le qualità morali espirituali – ha risposto il profano – che lo rendonodegno di vivere nel consorzio umano, stimato perla sua saggezza, bontà, giustizia ed onestà». Everso la Patria: «Contribuire con ogni mezzo alconsolidamento della libertà, della democrazia edella giustizia sociale». Infine, verso l’Umanità:«Contribuire in ogni modo al superamento delle

divisioni e delle barriere che ostacolino l’instau-rarsi della fratellanza universale e della libertà.Contribuire a liberare gli uomini dal bisogno edalla schiavitù morale e materiale». Letto dal Ve-nerabile Pintor, il Testamento è approvato all’una-nimità. Il Fratello Silicani, che siede all’Oriente,sembra però insoddisfatto. Per lui ogni iniziazioneè un affidamento che la Famiglia liberomuratoriaconcede all’onestà intellettuale ed al dinamismospirituale del profano che chiede di praticarequella speciale attività che ha preso il nome di“ars regia”: la ricerca del Vero attraverso l’ascolto,il dialogo, lo studio, la meditazione, l’interazioneche è ad un tempo dialettica e comunionale. Diformazione socialista – fu segretario della Camera

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Armando Corona

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del lavoro a vent’anni appena, alla vigilia dellagrande guerra – Alberto Silicani si è collocato poisul versante liberal-radicale nel secondo dopo-guerra. Ma è figlio della società postrisorgimen-tale e per lui, oltretutto di obbedienzaevangelico-battista, alcuni concetti valgono d’unvalore sacro. Fra essi la patria. Tutta la storia dellacomunità cristiano-evangelica locale, raccontaquesto. Quanto i cattolici hanno faticato ad accet-tare l’idea di uno stato liberale, tanto i protestantihanno incarnato i valori della patria risorgimen-tale e della laicità dell’ordinamento. Il Fratello Si-licani, neorisorgimentale e protestante, non ritieneesaustivo quanto annotato circa il secondo punto:«Il neofita si è limitato, nella compilazione del Te-stamento, a considerazioni di ordine politico e so-ciale, ma non [si è riferito] anche alla difesa dellaPatria, laddove ve ne fosse necessità». La cosa vaprecisata. La Loggia sembra spiazzata. Interven-gono in diversi, Artieri a piedilista ed ospiti, checonoscono Corona e lo stimano, gli sono amici. In-fine è il Segretario a proporre con successo unanuova e più stringente formulazione della do-manda: «Profano, abbiamo bisogno di un ulterioretuo chiarimento: se la Patria trovandosi in pericoloavesse bisogno del tuo aiuto, che cosa faresti?». Ecosì interrogato, il profano risponde: «Darei tuttoil mio contributo possibile per la sua difesa» econta più, forse, il tono della voce che nonl’espressione letterale che non aggiunge nulla aquanto scritto prima. Sovvengono forse memoriedegli anni tragici della guerra, sofferta a Cagliariquand’egli era universitario, e nella dispersionedello sfollamento, nella perdita delle cose e anchenella pena di un lutto giovane in casa. Si può pro-cedere secondo le linee del rituale: le prove sim-boliche, il giuramento, la proclamazione «Tu seimio Fratello!», la triplice batteria di gioia, il di-scorso dell’Oratore, il suo caro collega medico gi-necologo Renato Meloni.

Una famiglia tutta sarda e lo studio piacere-dovere

E’ medico da un anno esatto, Armando Corona,quando un ordigno esplode a Quirra ed un bam-bino rimasto orfano all’improvviso, Antonio,viene accolto nella vita della sua famiglia, com-pensando la perdita del piccolo Giorgio. Le quat-tro sorelle maggiori – Iolanda la primogenita(supererà i centodue e anche i centotre), Ginoa,Claudia e Immacolata (Zella cioè, scrittrice e col-laboratrice speciale per vent’anni di padre Mo-rittu) –, quattro sorelle tutte e quattro insegnanti,dalle elementari al liceo, vivacizzano l’ambiente

di casa: sono politicamente schierate a sinistra, dalPCI al Partito Socialista, a quello Socialproletariodi Lussu ultimo tempo. La personalità dei geni-tori, sposi dal 1907, l’ha ben descritta lo stesso Co-rona: il signor Maurizio, originario di Ierzu,carattere d’acciaio, ha sgobbato per mantenere lafamiglia, con il suo umile commercio dei vini – suun carro da paese a paese, fra Ogliastra e Gerrei eSarrabus – e dopo con l’esattoria; la signora ChiaraPaderi, origini in Villaputzu e qualche frazione diproprietà avita da mettere a frutto, di salda fedecattolica a compensare l’agnosticismo integrale delmarito. C’è l’uno e c’è l’altro, il bianco e il nero ingiusta miscela, nella educazione familiare. E l’unoe l’altro apporto entrano nella formazione di Ar-mando bambino; le elementari in paese, il ginna-sio – dal 1932 – al collegio serafico di Bonorva.Seminarista minore e fratino. Veste il saio france-scano anche, almeno al servizio delle messe do-menicali, nelle solennità ed alle processioni.Studia diligente e si fa apprezzare in convento.Forse troppo convento, tant’è che quando, un certovenerdì, riceve dal superiore e preside una letterad’invito a partecipare, la domenica successiva, aduna cerimonia che potrebbe essere – potrebbe –della professione semplice del figlio, il signorMaurizio, procuratosi il passaggio in vettura da unamico fortunatamente provvisto, sale su fino aquel cuore del Meilogu logudorese, a riprender-selo il figlio: «Intra in macchina, torrausu adomu». Il tempo di riaggiustare l’orientamento.Qualche mese di scuola ad Armungia, gli esamida privatista per la licenza ginnasiale e un corsointensivo di latino e greco con il professor Pitzalisin vista del triennio liceale a Cagliari, al Dettoriche ha la sua sede nel quartiere della Marina:Dante è di vigilanza all’ingresso, dal 1913, le aulee gli androni e le scale, tutto lì è figlio scomodo eaustero della lunga stagione gesuitica vissutadall’edificio. Lo accompagnano, in questa fasedella sua adolescenza, la madre e le sorelle. Il si-gnor Maurizio va e viene, compatibilmente con isuoi impegni di lavoro lontani dal capoluogo. Orail suo mestiere è quello di esattore, e il figlio piùvolte l’ha aiutato a compilare le cartelle delle im-poste: «ciò mi dava una certa maturità e la possi-bilità di portare il mio piccolo contributoall’economia familiare». E intanto sente, proprioad Armungia, i racconti delle gesta sempre miti-che di Lussu, fra la grande guerra, l’avversionealla dittatura, l’attentato subìto nel 1926, la deten-zione a Buoncammino, il confino e la fuga in Fran-cia… Salvato dal francescanesimo militante – maa ciascuno il suo! – e fattosi cagliaritano per la fre-quenza dei corsi al Dettori, Armando ragazzo di

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16-17-18 anni frequenta la chiesa-convento di SanDomenico. Vive a poche decine di metri soltantodall’antico compendio dei padri predicatori, fra imeglio organizzati nella pedagogia religiosa deiragazzi e giovani. Nel giro dell’Azione Cattolicagiovani, a San Domenico, egli ha pure un incaricoufficiale, quello di delegato allo sport. E’ il più di-sciplinato nell’ascolto delle lezioni, e pari rispettoe diligenza esige dai suoi, forse meno sensibili dilui al fascino della dottrina. Studia moltissimo, èconosciuto anche nelle altre classi e negli altricorsi. La notte studia con Tonino Usala, collega edamico di tutta una vita. Con lui frequenterà anchel’università – matricola nell’anno accademico1939-1940 –, ancora passando sui libri intere not-tate, cenando in fraternità con uova e uova, nellanuova casa di via XX Settembre. L’uno ripete al-l’altro, e vince sempre la parlata di paese: almenola ripetizione è in sardo variante campidanese.Libri e corsia d’ospedale, tutti i giorni; mai unavacanza, non sono tempi. Dal professor Aresu, dalprofessor Setzu, esami, esami… L’ateneo di Ca-gliari conta allora circa milletrecento iscritti, quellidi medicina centoottanta, le donne si contanosulle dita di una mano. Ha la fortuna di perderepoco tempo con la guerra: la situazione di famiglia– studente, è il solo figlio maschio in casa – gliscampa, se non sono che poche settimane, il ri-chiamo; molti suoi coetanei hanno dovuto dare dipiù, e nell’Isola e sul continente, alla patria in ca-tene. La laurea arriva nel 1946. Sono anche glianni degli innamoramenti. Qualcuno più impor-tante che non la semplice cotta giovanile. E il ram-marico, le lacrime perfino, per l’amore noncorrisposto. Fino a che arriverà la donna, liceale aCagliari, presto insegnante anche lei come le co-gnate, che gli darà, nei primi anni ’50, tre figli.Dopo la laurea, quell’esercizio ambulatoriale aVillaputzu per un anno e qualcosa, poi la primacondotta.

Il debutto professionale, la prima condotta, ela seconda

A Senis è arrivato con una Vespa 125, l’ultima no-vità industriale dell’Italia ripartita dopo le deva-stazioni della guerra. Indossa un vestito nuovo,porta la borsa da medico che affascina di per sé. Ilpaese conta meno di mille abitanti e con Assolo,Nureci ed Asuni si arriva a 2.600 anime. Povertàda tagliare a fette. A parte la mancanza di infra-strutture e servizi pubblici, c’è un diffuso analfa-betismo. La parrocchia vende il Quotidiano Sardo,dieci copie forse in tutto il circondario, non moltomaggiori sono le vendite dell’Unione Sarda, ogni

giorno puntualissima nel suo ritardo. L’agricolturaè estensiva e di sussistenza, i terreni sono asciutti.Quasi l’intera produzione cerealicola viene confe-rita all’ammasso al Consorzio Agrario che, a tassidi interesse molto alti, anticipa un 50 per centoche basta appena a pagare i debiti contratti l’annoprecedente per acquistare beni di prima neces-sità… Il giovane medico non si risparmia, si con-cede a tutti, matura esperienza professionale esoprattutto umana. All’inizio almeno non ha am-bulatorio suo, visita nei quattro paesi della con-dotta utilizzando una stanza messagli adisposizione da qualcuno presso la propria abita-zione. C’è poi il giro delle visite domiciliari che siconclude spesso, la sera, con una sosta conviviale,quel classico spuntino paesano che, magari ac-compagnato da una sana partita a carte, favoriscela confidenza reciproca e raccoglie le prenotazionidi comparaggio. Sempre compensato in natura, illavoro di cinque, sei, sette anni, a giornata piena,sovente sabato e domenica compresi, dà risultatianche nello standing personale e familiare del me-dico: che per le polverose strade marmillesi viag-gia ora su una Fiat 500 giardinetta. E con quellavettura arriva ad Ales. Benvoluto da chi è stato dalui assistito, sono numerosi i pazienti che conti-nueranno a farsi da lui seguire nella nuova con-dotta alerese. E’ qui che fa famiglia, qui nascono iprimi due suoi figli, amatissimi sempre. Nel 1955Corona ha 34 anni. Si è preparato al nuovo con-corso con il massimo di impegno, studiando sodoma anche solo. Ed ha avuto bisogno del confronto,come negli anni dell’università. Ha chiamatol’amico di sempre, già specialista: «Il cuore, do-mani, me lo ripeti?». Per dire: riportami alleoracce di sgobbo per l’esame, alla teoria, fisiologiae patologia del cuore… Hanno fatto conclave duegiorni interi: il primo è quello della lezione, un ri-passo generale ma minuzioso, con la casistica; ilsecondo, come da accordi, è lui, il dottor Corona,che ha ripetuto all’altro, il quale quasi sessan-t’anni dopo confida: «Era bello sentirlo parlare dimedicina», preciso e semplice negli enunciati,esposizione chiara e clinicamente pertinente, forseperfetta. Nella clientela della sua seconda condottaalerese, ha per paziente anche il vescovo: monsi-gnor Antonio Tedde. Il quale gli conserverà pienafedeltà anche quando i democristiani del paese,per contrastare il medico che ha fama di… laico,promuovono un altro ambulatorio per i coltivatoridiretti. Pronipote lui stesso d’un presule – monsi-gnor Giuseppe Paderi Concas, che ha governato alungo la diocesi di Ogliastra - Corona conserveràsempre per il vescovo Tedde, affettuosamente ri-cambiato, deferenza e amicizia.

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Nella politica provinciale e in quella del PSd’A

L’elezione al Consiglio provinciale, insieme conun altro sardista – l’avvocato oristanese EmanueleCau – è del novembre 1964, quella ad assessoreeffettivo di una giunta quadripartita di centro-si-nistra del gennaio 1965. Pochi mesi dopo, a giu-gno, un’altra partita elettorale: per il rinnovo delConsiglio regionale. L’obiettivo è mancato per unpugno di voti. Questa sconfitta è bruciante. Pro-babilmente contano, nella delusione o nel di-spetto del dopo, accordi non onorati e anche labatosta al congresso provinciale del partito chechiude la sua segreteria politica di un anno. Sta difatto che per lunghi mesi egli si estranea dallastessa militanza, limitandosi alla guida del suo as-sessorato provinciale, ed alla conduzione deglialtri suoi interessi professionali-imprenditorialicome vanno prendendo corpo in tale contesto tem-porale. Siamo nella seconda metà degli anni ’60,e anche qui si riappalesano in forma evidente itratti di chiaroscuro di una personalità determi-nata e insieme pragmatica, per taluni aspetti per-fino spregiudicata, pur sempre all’interno dicoordinate etiche riconoscibili. C’è forse, in lui,come un’ansia risarcitoria dei sacrifici paterni – ladura fatica dei viaggi commerciali fra paese epaese, in quegli anni ’10 e ’20, quando nella casaCorona-Paderi si sono affacciate al mondo ben un-dici vite! in parte non lieve tranciate dalla morta-lità infantile che è un mesto portato dell’epoca. Esacrifici anche di dopo, perché le ragazze avesserodiploma e laurea, e anche lui fosse dottore, un dot-tore realizzato, tanto bravo nel mestiere quantosoddisfatto nel compenso dell’impegno profuso,della competenza sudata: l’agiatezza da condivi-dere e trasmettere ai figli e ai figli dei figli, insiemecon l’ammonimento dell’esempio: studio e lavoro,sempre studio e lavoro, e relazioni mai passive.

Con i repubblicani, referente di quote di po-tere

Uomo di minoranza – solo repubblicano nellaprima delle tre legislature, solo anche nella se-conda (seppure s’aggiungerà poi l’on. BrunoFadda, subentrato all’on. Giovanni Battista Melisnel frattempo deceduto) – svilupperà una presenzapolitica di peso certo maggiore rispetto a quellache la forza (o la debolezza) numerica gli consen-tirebbe. La rappresentanza di un’area politica chenon potrebbe comunque essere misconosciuta edegli gioca con fantasia le carte che ha in mano, per-fino mediando fra le forze maggiori bloccate daveti reciproci in difesa ciascuna di un interesseparticolare: come avviene, ad esempio, nel ritaglio

delle cosiddette “zone omogenee”, proponendo un25° ed ultimo comprensorio, quello marmillese,che non a caso è quello che, elettoralmente, è ilpiù vantaggioso per le sue presenti e future can-didature… Intanto, nel 1975, ancora segretario re-gionale del Partito Repubblicano Italiano, Coronaè stato chiamato personalmente da Ugo La Malfaa presiedere il Collegio nazionale dei probiviri delpartito, dopo polemiche che hanno visto al centrodelle dispute uomini della Sicilia non del tuttotrasparenti, e, si dice, improprie interferenze mas-soniche. Corona offre all’on. La Malfa la propriadisponibilità, ma gli spiega anche che se eglivuole allontanare i massoni da quel collegio, nonlo può fare certamente assumendo lui, che mas-sone è, e per di più Venerabile! «Non è un pro-blema, credo nella tua imparzialità, voi sardi sietefuori dai giri viziati». Trasferitosi dalla Loggia car-boniese nel 1971, incardinato nella Hiram e presto– giugno 1976– divenutone Venerabile, al FratelloCorona è pervenuto naturaliter anche l’incarico dipresidente circoscrizionale sardo del GrandeOriente d’Italia: un essere primus inter pares chelo rimbalza, meno di tre anni dopo, in una com-missione nazionale costituita per presidiare il cor-retto svolgersi delle elezioni del nuovo GranMaestro della Obbedienza, dopo le dimissioni an-ticipate, fra le polemiche, del professor Lino Sal-vini. S’incontrano gli esponenti eletti dalle variecircoscrizioni, e la scelta del presidente cade, na-turaliter un’altra volta, in capo ad Armando Co-rona. «I sardi sono fuori dai giri viziati», si saràdetto – si è detto – anche in quel contesto; è ilmodo pacato di porsi già nei primi momenti, nellereciproche presentazioni, ad offrire al Venerabilesardo la nuova primazia. Glielo aveva anticipatoil Fratello Meloni, in quell’ottobre di nove anniprima.

Gran Giudice di Palazzo Giustiniani

E’ il generale Ennio Battelli il nuovo Gran Mae-stro. Il quale, formata la sua giunta, ottiene dallamaggioranza dei nuovi quadri dirigenti di PalazzoGiustiniani che ad Armando Corona, che così ef-ficacemente ha guidato, pur nel trambusto e nelletensioni, le operazioni elettorali, sia affidata lapresidenza della Corte Centrale, strutturata in se-zioni a mo’ della Cassazione. Primo presidente. Ilprimo presidente ha, fra le sue funzioni, quelle dicostituire i tribunali per lo svolgimento dei pro-cessi – così avverrà per giudicare Licio Gelli, es-sendo dunque presidente scelto il sardo PaoloCarleo – e convalidare con la sua firma le sentenze.E’ dunque presidente da alcuni mesi della CorteCentrale di giustizia del GOI – e conosciuto in

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questo incarico, per glasnost masso-nica, anche dalla opinione pubblica –quando diventa, Armando Corona,presidente del Consiglio regionaledella Sardegna. E’ il 9 luglio 1979, esiamo ad un mese dal rinnovo eletto-rale che ha triplicato i seggi repubbli-cani, grazie alla legge – ispirata dallostesso Corona, proporzionalista nato–che consente il recupero dei resti subase regionale. Si tratterà di una pre-sidenza difficile. Le forze del “pattoautonomistico” si sono fra loro divise,i radicali ci mettono del proprio, arri-vando a scaraventare sul banco delpresidente il regolamento che riten-gono violato. Ne verrà una sorta diimpeachment, con molte sessioni dilavoro per la Commissione Diritti Ci-vili e Informazione trasformatasi intribunale. Senza mai una sentenza.Corona, l’imputato, ne trae motivoper smettere la frequenza ai lavoriconsiliari. E per intanto è impegnatoa Roma, da una parte come vicesegre-tario nazionale dell’Edera repubbli-cana, in costanza di segreteriaSpadolini coesistente con l’interve-nuta nomina di questi a capo del go-verno, e dall’altra parte, fino al marzo1982, ancora come presidente dellaCorte Centrale di giustizia massonica,e dal marzo 1982 come Gran Maestro.L’equilibrio con cui ha condotto le at-tività della Corte, e forse ancora le sueradici sarde, vissute come un fattovirtuoso in sé, lo hanno segnalato allaattenzione dei più fino a portarlo alpieno successo.

S’affaccia al cantiere della ricostruzione

Siamo all’indomani della vicenda P2 e lui subitopromette chiarezza e riforma. Vuole ristabilire giu-sti rapporti fra la obbedienza massonica e ilmondo della politica. Ma inciampa subito. Va atrovare Roberto Calvi, che è indiziato di gravi reaticol suo Banco Ambrosiano – giustificando la cosa,presto scoperta, come una visita doverosa verso unFratello in difficoltà (Fratello poi della P2 e dun-que Fratello chissà se sì o se no); accetta di incon-trarsi, in semiclandestinità, con esponenti perfinodiscussi, e peggio che discussi, del business fac-cendiere, oltreché – e perché mai? – con politicidemocristiani sardi e nazionali (fra essi De Mita)

e monsignori finanzieri non teologi del Vaticano…Il nome di Flavio Carboni viene associato troppofrequentemente al suo, e non soddisfano per nullale spiegazioni. I riscontri smentiscono sovente ledichiarazioni che egli rende alla stampa: perfinosul possibile acquisto del Cagliari spa, negato epoi dimostrato dalla copia di un assegno. Taluneintercettazioni telefoniche rese pubbliche in unprocesso registrano frasi criptiche che chi ha fattobandiera della trasparenza non può permettersi.Non è questa l’immagine che ci si attendeva comeprima istantanea della riforma promessa. La pro-lungata assenza dai banchi consiliari inducono ladirigenza regionale del suo partito a chiedergliuna ripresa sollecita della rappresentanza politica,

MassonicaMente n.16 - Set./Dic. 201924

Ennio Batelli

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ancorché egli abbia rinunciato, dopo la nomina aGran Maestro e nel nome del dovere della impar-zialità, alla tessera. In difetto, gli si prospetta lanecessità delle dimissioni per il subentro delprimo dei non eletti, che è poi il suo antico amicoprofessor Achille Tarquini, clinico di gran nome emassima autorevolezza. La reazione, in quel pas-saggio fra 1982 e 1983, è collerica, contraddittoriarispetto alla natura dell’uomo e a tutta la sua storiapersonale, e sembra rivelare quel tanto di ingom-bro psicologico – a nessuno pienamente rivelato –che l’esperienza gravosissima di Gran Maestro el’irrisolta imputazione consiliare a Cagliari glihanno gravato sul capo. Da uomo di unità diventa,per una certa stagione almeno, uomo di divisione:mentre ha dichiarato la sua estraneità alla politica,non si perita di mobilitare i suoi fedeli acritici, im-pegnandoli nello scontro e nella conta all’ultimovoto e all’ultimo nome, così ai congressi di sezionecome a quelli provinciali e regionale; fiata su undiscusso giornale cosiddetto di controinforma-zione, ed accetta di essere difeso e anzi celebratoda questo, mentre egli lo utilizza contro i pretesiavversari; interviene negli andamenti elettorali,lacera molti rapporti personali con chiunque, purrispettandolo e volendogli bene, non si sia alli-neato alle sue decisioni più recenti… Veramentesembra che l’esperienza romana, per le ingestibilipressioni di vario segno e di ogni provenienza ri-cevute nell’amministrazione di un mandato su-scettivo sempre di connotarsi in termini lobbistici,profani dunque, l’abbia cambiato. Non ha nep-pure settant’anni, e conserva lucidità piena e an-cora salute sufficiente – nonostante qualchetrascorso – per riconoscerlo totalmente presente ase stesso e in grado di condurre interventi, e sulpiano strettamente associativo e su quello più lato,civile e pubblico, della formazione degli opinionleader e dei testimoni dei valori di un modernopatriottismo, ma appare ad un certo punto comeimpedito o limitato nell’applicazione delle sueconsolidate impostazioni di vita. E’ questo un ca-pitolo tutto da scrivere della sua biografia. Tuttosi complica dopo la fine del suo incarico di GranMaestro, rinnovatogli nel 1985 per un quinquen-nio, fino ad arrivare al 1990. Egli ha cercato di in-dirizzare la Fratellanza su un candidato che sentesuo potenziale continuatore, ma perde la gara inGran Loggia, il parlamento del Grande Oriente cuipartecipano i Venerabili di tutte le Officine d’Ita-lia; il suo successore ne trascura il talento e leesperienze, e anzi lo emargina; e quando il profes-sor Di Bernardo lascerà anche lui, ma per seces-sione, la presidenza del Grande Oriente d’Italia,lo scenario si farà crudo, o crudele, ancor più, per

Armando Corona perché il subentrante interinaleformalizzerà un fascicolo inquisitorio nei suoi ri-guardi con addebiti vari di gestione, consiglian-dogli, per opportunità, onde evitare unimbarazzante processo, l’ assonnamento, e cioèl’uscita dai corsi attivi della appartenenza. A tantopoi, in verità, si aggiungerà altro: la richiesta dirinvio a giudizio per falsa testimonianza nel pro-cesso sul crac del Banco Ambrosiano di RobertoCalvi. Circostanza questa che, per intese interve-nute con il capo della Polizia Parisi (riguardantiogni iscritto al GOI che fosse colpito da analogaazione giudiziaria), comporterebbe un provvedi-mento automatico di sospensione che si vorrebbeperò evitare, per sgradevolezza e clamore. Quandola conclusione del suo mandato granmagistrale alGOI (ora nella nuova sede di Villa Medici, così le-gata alla storia mazziniana della repubblica ro-mana del 1849 e dunque anche al sacrificio delnostro poeta 21enne Goffredo Mameli) s’è mutataaddirittura nella sua esclusione dal senato “di con-siglio” del vertice massonico italiano, egli ha com-piuto passi che ancor più l’hanno allontanato dasé e dalla sua storia. Ha promosso o sostenuto Ob-bedienze spurie e concorrenti, ovviamente senzapossibilità di accreditamenti nei grandi circuiti in-ternazionali. Le amarezze degli ultimi anni, fino alpenoso declino successivo al 2007, sono ricondu-cibili a cause di diversa natura, anche privata oprivatissima. Pare un modo giusto di onorarne lamemoria quello di lasciare, oggi, nella riservasanta della discrezione tali vicende della sfera piùpersonale o familiare. Certo è che molta partedella sofferenza che l’ha inchiodato in un autunnofattosi inverno presto è derivata altresì da una con-dizione di salute fattasi ogni giorno di più preca-ria, epilogo ingeneroso di una serie nonimmaginabile di gravi e gravissimi colpi, ed anchedi importanti interventi operatori subiti in Italiae all’estero. Ma fino a che ha potuto, egli è statoancora e sempre, e innanzitutto, medico obbe-diente al giuramento di Ippocrate. E chiunque,pur da lui non conosciuto e che a lui sì sia diretta-mente rivolto, o il cui caso di salute gli sia statoproposto, è entrato da subito fra i suoi scrupolosiinteressamenti e le sue fatiche, per la ricerca delcentro clinico giusto, dello specialista meglio at-trezzato e competente, in Italia e fuori. Per scon-figgere il male. Chi l’ha incontrato ed è statoammesso alla confidenza con lui può dire di que-sta irriducibile umanità dai potenziali enormi,contraddittoria e perciò autentica.

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MassonicaMente n.16 - Set./Dic. 201926

Corrado Mastrocinque nasce a Napoli il26 giugno 1892 in una famiglia vicinaalla Massoneria, essendo il padre li-bero muratore. Iniziato il 18 ottobre del

1916 nella stessa loggia del genitore, la Ora e Sem-pre all’Oriente di Napoli, viene elevato tre annidopo al grado di Maestro. La Ora e Sempre era unaloggia di Rito Simbolico Italiano, uno dei dueCorpi rituali (l’altro era lo Scozzese Antico ed Ac-cettato) a vantare il maggior numero di iscritti trai massoni del Grande Oriente d’Italia, altresì notocol nome della propria sede romana, Palazzo Giu-stiniani. All’epoca le logge giustinianee si dividevano insimboliche e scozzesi, il che poneva il GrandeOriente al di fuori della regolarità poiché, secondogli antichi Landmarks, ossia i principi identitaridella Massoneria Universale, i Corpi rituali nondevono interferire in alcun modo con l’attivitàdelle logge azzurre, le quali lavorano nei tre gradidi Apprendista, Compagno d’Arte e Maestro.Questo stato di cose fu superato soltanto nel 1922allorchè entrarono in vigore le nuove Costituzioni,con cui si stabiliva che le logge azzurre non eranosottoposte ad altra autorità che non fosse quelladel Grande Oriente d’Italia; in pari tempo il So-vrano Gran Commendatore del Rito Scozzese An-tico ed Accettato e il Presidente della SerenissimaGran Loggia del Rito Simbolico Italiano dichiara-vano, ciascuno in rappresentanza del proprioCorpo rituale, di rinunciare a tutti i privilegi e leprerogative finora riconosciute sulle logge azzurredi Palazzo Giustiniani. Delle molteplici attività svolte da Corrado Mastro-cinque durante il periodo bellico e nel primo do-poguerra siamo informati grazie al suo epistolariocon Felice Albani, che fu tra i principali esponentidel repubblicanesimo radicale romano tra la finedell’Ottocento e l’inizio del ventennio fascista.Giornalista e massone, Albani aveva sposato Ade-lina detta Alina, figlia del carbonaro e patriota vi-terbese Ermenegildo Tondi.1

Il giovane Mastrocinque è uno studente di Mate-matica prossimo alla laurea, assistente di Geome-

tria descrittiva all’Università di Napoli, un inca-rico noioso e poco remunerativo e tuttavia pre-zioso nella prospettiva di una futura carrieraaccademica. La sua passione predominante però èla politica: fervente repubblicano come il padre,si impegna a fondo per radicare il partito nel ca-poluogo campano, impresa certo non semplice pervia delle diatribe interne e della concorrenza so-cialista. Lo affratella ad Albani la comune fedemazziniana, di cui si fa interprete attraverso unaserie di conferenze che riscuotono unanime ap-prezzamento. Una di queste, dedicata al pensiero religioso diGiuseppe Mazzini, viene presentata da Mastrocin-que in consessi sia universitari che massonici.Dopo aver premesso che il Grande di Staglieno,convinto assertore dell’immortalità dell’anima,concepiva la religione come un fenomeno univer-sale, l’oratore rintracciava le fonti della religiositàmazziniana nel libero pensiero del XVIII secolo ein alcune suggestioni del primo Romanticismo te-desco. Passava poi ad illustrare il concetto di Uma-nità, intesa come la più vasta e generaleassociazione umana costituita dall’insieme di tuttele generazioni che si avvicendano nel corso dellastoria e attraverso il cui progresso Dio manifestase stesso. Tale progresso è indisgiungibile dallaLegge Morale, poiché essa soltanto può ricondurrel’umanità al suo fine, il quale ha nella Nazioneuna delle sue tappe fondamentali. Rilevato comei principi del mazzinianesimo possono essere sot-toposti ad una trattazione così razionale da rien-trare nel campo dell’Algebra della Logica – unaconsiderazione rivelativa della forma mentis mate-matica del Nostro – la conferenza si concludevacon la rievocazione del periodo in cui Mazzini ela-borò la propria concezione religiosa, quello suc-cessivo al tragico fallimento della spedizione inSavoia del febbraio 1834. Ma l’azione politica di Mastrocinque non si limi-tava alle conferenze. Gli stava particolarmente acuore la creazione a Napoli di una sezione mazzi-niana, la quale vide la luce nel 1921 e di cui eglidivenne il corrispondente. Da buon militante si

CORRADO MASTROCINQUE

GRAN MAESTRO PRO TEMPORE

DAL 29/04/1961 AL 16/07/1961

di Flaviano Scorticati

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occupava della distribuzione delle tessere di par-tito e degli abbonamenti a La Terza Italia, la rivistadi Albani, e spediva a Roma il denaro raccolto.Cercò di favorire il passaggio di fratelli massonitra le fila repubblicane e, per converso, di intro-durre in loggia compagni di partito con l’intentodi contrastare le spinte filomonarchiche e filoso-cialiste. Nel giugno del 1920, in occasione del rinnovodelle cariche della loggia Ora e Sempre, di cui Ma-strocinque e il padre sono rispettivamente Segre-tario e Maestro Venerabile uscenti, si guastanoirrimediabilmente i rapporti tra il Segretario e ifratelli. Corrado Mastrocinque critica la scelta diaffidare l’incarico di Oratore ad un fratello che èCompagno d’Arte e non Maestro, come inveceprevede il regolamento; dichiara tuttavia di nonopporsi all’elezione, ma pretende che si informidella cosa il Presidente regionale del Rito Simbo-lico affinché questi invii a Roma il verbale delleoperazioni di voto insieme alla richiesta di elevareil neo-Oratore al grado di Maestro per la necessa-ria regolarizzazione. Al rifiuto dei presenti, Ma-strocinque abbandona la sala per protesta. Alritorno scopre di non essere stato confermatoquale Segretario. Essendosi scusato per l’impulsi-vità della sua reazione, riceve rassicurazioni sulfatto che pace era già stata fatta, tanto più che ilnuovo Segretario gli promette che avrebbe rinun-

ciato all’incarico. In realtà non c’è alcun aggiusta-mento: qualche giorno dopo Mastrocinque scoprenon solo che il Segretario eletto al posto suo si èrimangiato la parola, ma anche che i fratelli di log-gia intendono sottoporlo a un processo massonicoper irregolarità amministrative. Le accuse appa-iono fin da subito pretestuose, dettate da mala-nimo; senza dubbio il giudizio della corte neavrebbe dimostrato l’infondatezza, ma non ve n’èbisogno, poiché tutto si risolve grazie all’inter-vento dei vertici del Grande Oriente e del RitoSimbolico Italiano. Mastrocinque padre e figlio la-sciano però la Ora e Sempre e si trasferiscono allaGiovanni Bovio, altra loggia partenopea di Rito Sim-bolico. A pochi anni da questi avvenimenti, che meritanodi essere narrati per la loro rilevanza biografica, siassiste alla progressiva conquista del potere daparte del partito Fascista. Tutte quelle realtà asso-ciative che il regime non può assimilare o subor-dinare in qualche modo alla sua visionetotalitaria, vengono messe al bando. Tra queste visono i sindacati, i partiti di opposizione – tra cuiquello Repubblicano – e la Massoneria. Primadello scioglimento delle logge del Grande Oriented’Italia nel novembre del 1925, Corrado Mastro-cinque è eletto Consigliere effettivo dell’Ordine,carica che conserverà durante la ricostruzione diquest’ultimo e nella quale sarà confermato fino al

IL RIORDINO DELLA MEMORIA 27

Medaglia massonica napoletana di epoca napoleonica

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1949.Ancor prima della Liberazione, nel 1943, egli èl’artefice della rinascita del Rito Simbolico nel na-poletano. Grazie a lui riprendono i lavori le trelogge simboliche Ora e Sempre, Caracciolo e Bovio,della quale diviene Maestro Venerabile dal 1945al 1949 e dal 1965 al 1969, anno della sua morte. Una delle questioni più delicate è quella del rap-porto con il Comitato di Gran Maestranza, creatonel 1944 allo scopo di ricostruire il GrandeOriente d’Italia. I massoni simbolici di Napoli ePalermo temono che il Grande Oriente prossimoa risorgere possa essere egemonizzato dal RitoScozzese Antico ed Accettato, a cui appartengonoi tre membri del Comitato: il consigliere di Cas-sazione Gaetano Varcasia e due futuri Gran Mae-stri di Palazzo Giustiniani, l’avvocato UmbertoCipollone e il Prosindaco di Roma Guido Laj. Me-more del massonico “riunire ciò che è sparso”,Mastrocinque si adopera per la ricomposizionedei Riti sotto la comune fedeltà all’Ordine. In unalettera datata 30 gennaio 1945, firmandosi Presi-dente della Loggia Regionale della Campania, an-nuncia al Comitato di Gran Maestranza che anchele logge simboliche di Palermo avrebbero aderitoal Grande Oriente d’Italia. La netta separazione traOrdine e Riti, già proclamata nel 1922, viene san-cita definitivamente nel marzo del 1949, quandoil Grande Oriente d’Italia approva il testo dellenuove Costituzioni. Nel dopoguerra e negli anni successivi Mastrocin-que è figura apicale della Libera Muratoria nazio-nale. Dal 1947 al 1949 presiede la SerenissimaGran Loggia del Rito Simbolico Italiano, mentrenel 1960 viene eletto Gran Maestro Aggiunto diPalazzo Giustiniani. Dimessosi per motivi di sa-lute il Gran Maestro Giorgio Tron, ne assume lefunzioni dal 29 aprile al 16 luglio 1961. Gli suc-cederà alla guida del Grande Oriente il ravennateGiordano Gamberini, che Mastrocinque affian-cherà in qualità di Gran Maestro Aggiunto in-sieme a Giovanni Bricchi. Ingegnere nella vita profana, è anche docente diCostruzioni presso l’Istituto Tecnico Commercialee per Geometri “G. B. Della Porta” di Napoli, fon-dato subito dopo la nascita dello Stato unitario; nétrascura i prediletti studi matematici: nel 1960partecipa ad un concorso bandito dall’AccademiaNazionale dei Lincei presentando un lavoro dal ti-tolo Relazioni intrinseche fra la clotoide ed i suoi cerchiosculatori. Sino alla fine dei suoi giorni continuò a profes-sarsi mazziniano e a venerare gli insegnamenti delMaestro, i quali avevano per lui la stessa assolu-

tezza, universalità ed evidenza delle verità mate-matiche. In un intervento del novembre 1961 sot-tolineò come tra i più profondi conoscitori diMazzini vi fossero gli Indiani, che ne tradusserole opere nei vari dialetti del loro Paese per diffon-derne il pensiero, e quanto vicino esso fosse aquello di Gandhi, poiché entrambi erano convintiche la politica dovesse sottomettersi alla morale.La storia, pur tra le oscillazioni dei suoi corsi e ri-corsi, tende a raggiungere uno stato di equilibrioche coinciderà con la realizzazione dei più elevatiideali umani. “Ma quando l’Umanità potrà rag-giungere il suo stato di equilibrio? Certo in un av-venire che per quanto non vicino, non è neppurforse tanto lontano: quando cioè si sarà compresoche a nulla valgono gli isterici conati dell’edoni-smo contro le richieste di una equa distribuzionedei beni e dei frutti del lavoro, lo spirito di sopraf-fazione eretto a fondamento d’una falsa, disonestanorma di vita dell’individuo e d’una nazione;quando cioè l’Umanità avrà compreso che solo la«Legge Morale», proclamata da Giuseppe Maz-zini, potrà salvarla dal baratro verso il quale oggiappare incamminata”2.

Note1 Le lettere inviate da Mastrocinque ad Albani sonoconservate presso l’Archivio del Museo Centrale delRisorgimento di Roma, Fondo ALBANI/B. 1064. 2 C. Mastrocinque, La «Legge Morale» base di ogni progresso,in S. Laghi (a cura di), Uomini da ricordare: dalla rubricaUomini e sistemi da ricordare apparsa sul Pensiero Romagnolodal dicembre 1961 all’aprile 1963, Perugia 1964, pp. X-XI.

MassonicaMente n.16 - Set./Dic. 201928

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Vincitori e vinti (particolare)Giuliano Giuggioli, olio su tela cm 80x120