MARZO 2012 zaffagnini architetto e docente · QUADERNO MONOGRAFICO DELLA RIVISTA DELLA FONDAZIONE...

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mario zaffa g nini architetto e docente AR CH I T E T T A R E 0 2 QUADERNI QUADERNI DI ARCHITETTARE NUMERO 2 - MARZO 2012. QUADERNO MONOGRAFICO DELLA RIVISTA DELLA FONDAZIONE DEGLI ARCHITETTI PIANIFICATORI PAESAGGISTI E CONSERVATORI DELLA PROVINCIA DI REGGIO EMILIA 27/02/2012 11.48.10

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mariozaffagniniarchitettoe docente

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I ARCHIT

ETTARE

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02QUADERNI

02

MARIO

ZAFFAGNIN

I ARCHIT

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MARZO 2

012

QUADERNI DI ARCHITETTARENUMERO 2 - MARZO 2012. QUADERNO MONOGRAFICO DELLA RIVISTA DELLA FONDAZIONE DEGLI ARCHITETTIPIANIFICATORI PAESAGGISTI E CONSERVATORI DELLA PROVINCIA DI REGGIO EMILIA

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minato assistente ordinario di Unificazione edilizia e prefabbricazione.Nel luglio 1976 vince il concorso a cattedra nel rag-gruppamento n. 235, e dal novembre 1976 è chiamato dalla Facoltà di Architettura di Firenze come professore straordinario di Tecnologia dell’Architettura 2.È professore ordinario di Tecnologia dell’Architettura 2 presso la Facoltà di Archi-tettura a Firenze nel decen-nio 1979/1989.In questo periodo è no-minato componente del Comitato Consultivo CUN per la ricerca scientifica n. 8 - Ingegneria e Archi-tettura (1984), fa parte della Giunta del Diparti-mento “Processi e metodi della produzione edilizia” dell’Università degli Studi di Firenze (1984-1992), è presidente della Com-missione Didattica della Facoltà di Architettura di Firenze e quindi presidente del Consiglio dell’Indirizzo tecnologico della stessa Fa-coltà (1985-1988).Nel novembre 1987 viene eletto Direttore del Diparti-mento “Processi e metodi della produzione edilizia” per il triennio 1988-90.Nel triennio accademico 1988/1991 fa parte del Consiglio di Presidenza del-la Facoltà di Architettura.Dal 1989 e per il triennio 1989/1992 è ordinario di Progettazione ambientale presso la Facoltà di Archi-tettura di Firenze.Parallelamente (dal 1971 al 1996) continua tuttavia a svolgere - compatibilmen-te con i ruoli accademici rivestiti -attività professio-nale a Bologna sia in forma singola che in collabora-zione (è co-fondatore della Società Edinricerche in Bo-logna), partecipando e vin-cendo numerosi concorsi e concorsi appalto.Nel marzo 1990 viene elet-to dai Docenti della Facoltà di Architettura di Firenze membro del Comitato Tec-nico Ordinatore della nuova Facoltà di Architettura di Ferrara.Dal 1990 all’ottobre 1992 è stato Presidente del Co-mitato per la biblioteca del-la Facoltà di Architettura .Dal novembre 1990 è elet-to Presidente del Consiglio dell’Indirizzo Tecnologico della Facoltà di Architettu-

MARIO ZAFFAGNINI ARCHITETTO E DOCENTE /1936-1996

Nato a Bologna l’11 mar-zo 1936, Mario Zaffagnini, dopo aver compiuto gli stu-di classici, si laurea presso la Facoltà di Architettura dell’Università di Firenze nel marzo 1961 discutendo con il Prof. Adalberto Libera la tesi “Centro turistico alle isole Tremiti” approvata con voti 110/110 e lode poi pubblicata sulla rivista “Ar-chitetti d’oggi” n. 5 (ottobre 1961).È abilitato all’esercizio del-la professione di Architetto nel marzo 1961.Nell’A.A. 1961-62 è nomi-nato assistente volontario presso l’Istituto di Compo-sizione Architettonica della Facoltà di Architettura di Fi-renze, diretto dal Prof. Adal-berto Libera. Dallo stesso anno e fino al 1969 svolge attività di assistente volon-tario presso la Cattedra di Composizione Architettoni-ca della Facoltà di Architet-tura di Firenze.Dal 1963 in poi, pur svol-gendo la normale attivita didattica sul tema in corso, cura seminari ed esercita-zioni che hanno per oggetto l’industrializzazione edilizia, argomento di continuo ap-profondimento e ricerca. È nell’A.A. 1965-66 che con-duce con l’architetto Piero Paoli, un seminario sulle “Problematiche dei mezzi e procedimenti industria-lizzati” al quale prendono parte il Prof. Ciro Ciccon-celli, il Prof. Giuseppe Ciri-bini, l’Ing. Nico di Cagno e il Prof. Pierluigi Spadolini.Nel 1961 è co-fondatore del Gruppo Architetti Urba-nisti Città Nuova a Bologna con cui svolge attività pro-fessionale per quasi un de-cennio. Nel 1970 infatti, al conseguimento dell’abilita-zione alla libera docenza in Elementi costruttivi, sceglie di separarsi dal Gruppo per abbracciare pienamente la carriera universitaria. Dall’A.A. 1970-71 è inca-ricato dell’insegnamento di Unificazione edilizia e prefabbricazione, quindi dell’insegnamento di Tec-nologia dell’Architettura 2 presso la Facoltà di Archi-tettura dell’Università degli Studi di Firenze.Nel febbraio 1972, in se-guito a concorso, viene no-

ra dell’Università di Firenze per il triennio 1991-93.Dal novembre 1992 si tra-sferisce a Ferrara come ordinario di Composizione architettonica (seconda an-nualità) presso la Facoltà di Architettura.Qui nel novembre 1994 di-viene Direttore dell’Istituto di Architettura della Facoltà di Architettura.Negli A.A. 1994-95 e 1995-96 gli vengono af-fidati il Laboratorio di Pro-gettazione architettonica 1 (A) e il corso di Analisi della morfologia urbana e delle tipologie edilizie.L’attività editoriale di Ma-rio Zaffagnini spazia dalla pubblicazione di una serie vastissima di volumi, saggi, articoli, alla co-fondazione di riviste scientifiche fino alla progettazione e realiz-zazione di audiovisivi didat-tici nei primi anni ‘90.Una ricchissima testimo-nianza di ricerche scien-tifiche - spesso applicate – prima nel campo dell’in-novazione tecnologica e del processo edilizio, poi, nell’ultima parte del suo percorso di affinamento scientifico, di una cieca fiducia nella ricerca archi-tettonica e nella sua ca-pacità di poter cambiare le disfunzioni della nostra società, soprattutto per quanto attiene il disegno dell’ambiente urbano e per ultimo di quello rurale, per un miglioramento della qualità complessiva di vita dell’uomo.In estrema sintesi si voglio-no ricordare Progettare nel processo edilizio (di cui è curatore e autore, Parma Ed., Bologna, 1981), Tec-nologie per la residenza in Europa (BE-MA Ed., Mila-no, 1982), il capitolo Edi-lizia residenziale all’interno del Manuale di progettazio-ne edilizia, Vol.1, Tipologie e criteri di dimensionamen-to (opera in sei volumi di cui è stato coordinatore generale e che rappresen-ta una fra le più importanti opere editoriali in campo architettonico degli ultimi cinquanta anni, U. Hoepli Ed., Milano 1992), Pro-gettare nel tessuto urbano (Alinea, 1993), Architettura a Misura d’uomo (Pitago-ra Ed.,1994), Morfologia urbana e tipologia edilizia con N.Marzot e A. Gaia-ni (Pitagora Ed. 1995) e

l’ultimo libro Le case della grande pianura (Alinea, 1997) di cui è curatore. Questa ultima fatica edito-riale postuma testimonia gli esiti dell’ultima passione scientifica in cui si cimenta. Riprendendo un tema a lui molto caro già toccato nei primi anni ‘70 nel testo curato dal Gruppo Urbani-sti Città Nuova affiancati da Raffaello Scatasta Pa-esaggio e struttura Urbana (Bologna,1970), affronta alle diverse scale possibili una puntuale analisi finaliz-zata al recupero e alla va-lorizzazione del patrimonio edilizio rurale della pianura emiliano-romagnola inteso come memoria storica delle nostre radici culturali.

Ci ha lasciati a Bologna il 12 novembre 1996 a ses-santa anni.

Theo Zaffagnini

In copertina ritrattodi Mario Zaffagnini a Parigi(© foto Clara CalicetiZaffagnini)

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mariozaffagniniarchitettoe docente

QUADERNI DI ARCHITETTARE 02 | MARIO ZAFFAGNINI ARCHITETTO2

ARCHITETTURA A MISURA D’UOMO /FOTO DI ELENA FARNÈ E ALBERTO MION

In basso. Residenze di via Beccadelli, Corticella, Bologna. 2012

A destra, sopra e sotto.Torri di Casteldebole,Bologna, 2012

QUADERNI DI ARCHITETTARE 02 | MARIO ZAFFAGNINI ARCHITETTO 3

QUADERNI DI ARCHITETTARE 02 | MARIO ZAFFAGNINI ARCHITETTO4

QUADERNI DI ARCHITETTARE 02 | MARIO ZAFFAGNINI ARCHITETTO 5

QUADERNI DI ARCHITETTARE 02 | MARIO ZAFFAGNINI ARCHITETTO6

QUADERNI DI ARCHITETTARE 02 | MARIO ZAFFAGNINI ARCHITETTO 7

In queste pagine.

A sinistra, sopra e sotto. Residenza privata.Mirandola, Modena, 2012

A destra, sopra. Fondazionedel Monte. Bologna, 2012

A sinistra, in basso. Edifici residenziali in linea,Casteldebole, Bologna, 2012

Sopra, a destra. Edificioresidenziale e terziario divia Michelino, Bologna, 2012

Pagine precedentI.

A sinistra, in alto.Ex autocommerciale,via Mazzini, Bologna, 2012

Elena Farnè, architetto,si occupa di pianificazionee di paesaggio.Alberto Mion, fotografo, si occupa di rappresentazione dell’architettura e delpaesaggio, con particolare attenzione alle trasformazionidel territorio e della città.

Entrambi allievi di MarioZaffagnini alla Facoltàdi Architettura di Ferraranel 1994

Sotto. Residenza privata.Mirandola, Modena, 2012

STAMPAMaggioli EditoreVia del Carpino 8/1147822 Santarcangelodi Romagna (RN)Febbraio 2012Supplem. alla rivista “Architetti”registrata presso il Tribunale di Rimini al n. 19 del 11/09/2002 Maggioli Editore

Via Franchi, 142100 Reggio EmiliaTel. e Fax 0522/454744 [email protected]

AVVISO AI LETTORIQuesta pubblicazione è stata inviata a tutti gli iscritti all’Ordine degli Architetti Pianificatori, Paesaggisti e Conser-vatori della Provincia di Reggio Emilia, oltre ad Enti Locali e Ordini Nazio-nali. L’indirizzo fa parte della Banca Dati del-l’Ordine degli Architetti Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Pro-vincia di Reggio Emilia e potrà essere utilizzato per comunicati tecnici o promozionali. Ai sensi della Lg.675/96, il desti-natario potrà richiedere la cessazione dell’invio e la cancellazione dei dati, con comunicazione alla Segreteria dell’Ordine de-

gli Architetti Pianificatori, Paesaggisti e Conser-vatori della Provincia di Reggio Emilia.Chiunque volesse ricevere una copia della rivista è pregato di farne richiesta presso la Se-greteria dell’Ordine degli Architetti Pianificatori, Paesaggisti e Conser-vatori della Provincia di Reggio Emilia: la rivista verrà inviata al domicilio richiesto dietro il versa-mento di un contributo spese di € 10,00.La rivista è aperta a tutti gli iscritti all’Ordine.Tutti coloro che volessero collaborare ai prossimi numeri di Architettare sono pregati di segnalar-lo alla segreteria.

CONSIGLIO DELLA FONDAZIONE E DELL’ORDINE DEGLI ARCHITETTIWalter Baricchi, presidenteSara Gilioli, segretarioAndrea Rinaldi, tesoriereAndrea BoeriDaniele Bondavalli, architetto juniorSilvia CostettiLuca GhiaroniMauro IottiSilvia ManentiGloria NegriAndrea Salvarani

ARCHITETTARE

DIRETTOREAndrea Rinaldi

ART DIRECTORElena Farnè

COMITATO SCIENTIFICOAndrea Boeri, Pietromaria Davoli, Emilia Lampanti, Luigi Pietro Montanari, Andrea Oliva, Giorgio Teggi, Sergio Zanichelli

Rivista della Fondazionee dell’Ordine Architetti Pianificatori Paesaggistie Conservatoridella Provinciadi Reggio Emilia

QUADERNIDI ARCHITETTARE / 02

A CURA DIAndrea RinaldiTheo Zaffagnini

CONTRIBUTI DIAlfonso Acocella, Marcello Balzani, Cosimo Carlo Buccolieri, Pietromaria Davoli, Elena Farnè, Alessandro Gaiani, Michele Ghirardelli, Giorgio Giallocosta, Gabriele Lelli, Alberto Manfredini, Alberto Mion, Nicola Marzot, Andrea Rinaldi, Michela Toni, Graziano Trippa, Theo Zaffagnini Immagini e disegni proven-gono dall’Archivio Zaffagni-ni, quando non diversamen-te specificato. Scritti e foto impegnano solo la responsabilità dell’autore di ogni articolo.

Copertina: Mario Zaffagninia Parigi (© foto ClaraCaliceti Zaffagnini, graficaIntercityLAB)

A fianco, ritratto diMario Zaffagnini(disegno a penna biro,autore ignoto)

REDAZIONEGiovanni Avosani, Laura Credidio, Maria Chiara Masini, Sebastiano Schenetti

IMPAGINAZIONE GRAFICADIGITALE IMAGINGIntercityLAB

con il contributo di

ASSOCIAZIONE CULTURALE“…DI ARCHITETTURA”

REGGIO EMILIA

con il patrocinio di

biografiaTHEO ZAFFAGNINI

architettura a misura d’uomoELENA FARNÈ E ALBERTO MION

la normalità come risorsaANDREA RINALDI

mario zaffagnini: le radici della scuola ferrareseGRAZIANO TRIPPA

maestri e allieviALFONSO ACOCELLA

cultura, tecnologia, progettoGIORGIO GIALLOCOSTA

la realizzazione dell’architetturaCOSIMO CARLO BUCCOLIERI

mario zaffagnini architetto e docenteALBERTO MANFREDINI

la ricerca tipologicaNICOLA MARZOT

la ricerca tecnologicaPIETROMARIA DAVOLI

la ricerca sostenibileMICHELA TONI

la ricerca progettualeALESSANDRO GAIANI

l’esperienza editorialeMARCELLO BALZANI

progetti e opereMICHELE GHIRARDELLI E GABRIELE LELLI

QUADERNIDI ARCHITETTARE/02MARIO ZAFFAGNINIARCHITETTOE DOCENTE

EDITORIALE

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II°COPERTINA

OSSERVATORIO

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QUADERNI DI ARCHITETTARE 02 | MARIO ZAFFAGNINI ARCHITETTO10

Proprio venti anni fa, freschissimo di laurea, Ma-

rio Zaffagnini mi chiese di seguirlo nella sua nuova

esperienza alla costituenda Facoltà di Architettura

di Ferrara. Solo quindici giorni prima, all’esame di

stato, alla domanda se avevo intenzione di conti-

nuare la mia esperienza professionale e culturale

all’interno dell’università risposi senza dubbi, assolu-

tamente no. La stima che riponevo nel mio maestro

e relatore di laurea, mi indusse a rispondere imme-

diatamente e senza esitazione alcuna, certamente

si. Non mi sono mai pentito di quest’ultima risposta.

Mario Zaffagnini non era un teorico, un fisico, un

sociologo, ma solo un architetto. La concezione

del progetto architettonico come espressione del-

la città, l’equidistanza tra tradizione e innovazio-

ne, tra permanenza ed emergenza, nel solco della

migliore espressione della cultura architettonica

italiana, la corrispondenza tra spazio, forma e tec-

nica, libera dalle esasperazioni linguistiche, tecno-

logiche, di tendenza, e una capacità quasi innata

di pensare a una scala umana dell’architettura,

rappresentano i punti fondamentali della lezione di

Mario Zaffagnini.

Uomo di profonda cultura e conoscenza, possede-

va la capacità di rendere semplici le cose compli-

cate e la naturalità di rendere normali le cose che

potevano sembrare straordinarie. In architettura

semplice non corrisponde a banale, così come

normale non corrisponde ad ordinario. Ricercare

la semplicità, intesa come sintesi della complessi-

tà, e la normalità, intesa come valorizzazione della

diversità, significa riuscire a riassumere in pochi

segni o concetti l’ordine complicato in cui si muo-

ANDREA RINALDI

EDITORIALE la normalità comerisorsa

Le case si comprano a metro quadrato

I materiali si comprano al metro cubo

I costi di costruzione si valutano al metro

quadrato o al metro cubo

L’architettura è spazio

La qualità dell’architettura è la qualità dello spazio

Qual è l’unità di misura dello spazio?

E quindi, qual è l’unità di misura della qualità

architettonica?

Probabilmente la sua rispondenza alle esigenze

dell’uomo.

Mario Zaffagnini

QUADERNI DI ARCHITETTARE 02 | MARIO ZAFFAGNINI ARCHITETTO 11

ve l’universo del progetto di architettura e a ridurre

quella distanza, che sembra incolmabile, della cultu-

ra progettuale e accademica, in Italia, dalla comuni-

tà. “L’architettura non è semplice, può diventare solo

semplice”1 ci ricorda Vittorio Gregotti. La semplicità

diventa una necessità e la normalità una risorsa.

“Le parole si concretizzano in progetti”, ripeteva Ma-

rio Zaffagnini agli studenti, che erano la sua prima

fonte di preoccupazione e di rispetto. Persona di po-

che parole usava spesso le espressioni del viso o i ge-

sti per esprimere le considerazioni in merito ai proget-

ti, concludendo con uno scarno schizzo chiarificatore.

Uno dei privilegi di fare il professore (o l’architetto)

è l’autonomia. Un privilegio che può condurre ad

un avanzamento di carriera (o ad una notorietà) in

base al contributo individuale più o meno signifi-

cativo fornito al proprio campo di ricerca. Ma l’au-

tonomia è contraria al concetto di appartenenza,

che spinge le persone dall’essere solo se stesse al

sentirsi parte di qualcosa di più importante, di una

scuola o di una categoria. Una scuola che inizia a

lavorare come una squadra può iniziare a vincere

le partite, anziché limitarsi a guardarle. Mario Zaf-

fagnini aveva la capacità di riuscire a consolidare

nelle persone l’idea di far parte di una squadra,

credendo nelle specificità individuali come risorsa

e nell’unità come forza. La Facoltà di Architettura

di Ferrara, da lui ordinata, e oggi considerata la

miglior facoltà di architettura in Italia, deve molto a

questo suo modo di intendere architettura e inse-

gnamento, anche grazie alle persone che dopo di

lui hanno portato avanti questa idea.

Questo quaderno di Architettare, strumento della

Fondazione Architetti di Reggio Emilia per la promo-

zione e diffusione della cultura architettonica, na-

sce dall’idea mia e di Pietromaria Davoli, di provare

a riassumere in un unico documento una lezione

quanto mai attuale, certamente conosciuta da chi

si è formato nell’ateneo fiorentino, nei primi anni

dell’esperienza ferrarese, o da chi avuto la fortuna di

frequentarlo, ma sconosciuta a tanti altri, certamen-

te ai più giovani e futuri architetti. I contributi che

seguono e l’illustrazione di alcuni dei suoi progetti

mostrano la poliedricità della figura di Mario Zaffa-

gnini, architetto e docente. Pur non privi di ricordi

affettivi, riescono a delineare molto bene una lezio-

ne che racconta un modo di concepire il progetto di

architettura in un’orizzonte temporale che supera il

breve periodo, tempo delle mode e delle novità, per

guardare ad un periodo più lungo, dove il progetto si

configura come ricerca della normalità come risorsa

capace di coniugare la teoria con la prassi, le esi-

genze umane con la qualità dello spazio, il piacere

dell’invenzione con la durata senza presunzioni.

Sono grato a Mario Zaffagnini per avermi insegna-

to l’importanza della normalità in architettura.

Un ringraziamento sentito va a Theo Zaffagnini, per

la disponibilità e la costanza dimostrata, e a tutti i

suoi allievi per aver raccolto con entusiasmo que-

sta proposta di pubblicazione. Un ringraziamento

anche all’associazione culturale “…di architettura”

per aver creduto in questo progetto.

NOTE

1 V.Gregotti, Dentro l’architettura, Bollati Boringhieri, Torino, 1991, pag. 86

Andrea Rinaldi, architetto, professore aggregato in Composizione Architettonica e Urbana, Facoltà di Architettura dell’Università di Ferrara

QUADERNI DI ARCHITETTARE 02 | MARIO ZAFFAGNINI ARCHITETTO12

ad affermare infine che non solo taluni luoghi era-

no depositari dell’insegnare e del fare architettura.

La costituzione di una nuova facoltà era allora af-

fidata ad un Comitato Tecnico Ordinatore (CTO), di

cui potevano fare parte i professori ordinari. Il CTO

veniva eletto dalla comunità accademica naziona-

le di architettura.

Gli ordinari di architettura, in regione, si contavano

sulle dita.

Mario Zaffagnini era nella Facoltà di Architettura di

Firenze uno dei professori più eminenti.

Allievo di Adalberto Libera, dal quale aveva acqui-

sito il rigore razionalista, si era avvicinato all’inizio

degli anni 70 a Pierluigi Spadolini, personalità sti-

molante proiettata verso l’innovazione ed il futuro.

Dalla collaborazione di queste due individualità

si formò un gruppo di docenti molto interessante

che costituì per anni, nel campo della tecnologia,

un punto di riferimento scientifico e metodologico.

All’interno della facoltà di Firenze questo gruppo

rappresentò un modo di fare didattica organizzato

e innovativo.

Di questo gruppo Mario Zaffagnini divenne, fin da

subito, l’alacre motore scientifico, il cardine di ri-

ferimento essenziale, l’organizzatore sapiente dei

percorsi didattici.

Didatta appassionato, rappresentava per gli stu-

denti l’approdo più ambito, l’interlocutore più at-

tento e rispettoso, la fonte più prodiga di sollecita-

zioni, consigli e acute intuizioni.

Quando dedicava il suo tempo, lo studente aveva

l’impressione, e così era, che la disponibilità fosse

totale e null’altro esistesse in quel momento se

Quando ero studente, poi anche dopo, si narrava

di un accordo non scritto tra l’Università di Bolo-

gna e l’Università di Firenze in ragione del quale

Bologna deteneva una facoltà d’ingegneria, aven-

do rinunciato ad una facoltà d’architettura, mentre

Firenze deteneva architettura ma non ingegneria.

In realtà non so se questo accordo sia mai esi-

stito, se le due parti si siano strette la mano per

aderire all’impegno reciproco. Quello che invece

so è che intere generazioni di studenti hanno sca-

vallato l’Appennino, gli uni per andare a studiare

architettura in Toscana, gli altri per studiare inge-

gneria in Emilia Romagna.

Questo quadro si ruppe quando venne istituita in-

gegneria a Firenze: i toscani rimasero a casa loro

mentre gli emiliano romagnoli continuarono a per-

correre i valichi dell’Appennino.

Questo stato di cose, la mancanza di una facoltà

di architettura in regione, era motivo di continue

doglianze.

Il grosso degli emiliano romagnoli si iscriveva a

Firenze, mentre i ferraresi gravitavano prevalen-

temente sullo IUAV ed i piacentini sul Politecnico

di Milano.

Finalmente, alla fine degli anni ottanta il Ministe-

ro, in seguito a istanze molto forti giunte da Ferra-

ra, città allora efficacemente rappresentata dalle

forze politiche locali, dispose la costituzione di una

facoltà di architettura.

Era l’evento tanto atteso.

Preludeva al rendere, per molti, economicamente

più accessibile l’iscrizione ad architettura, ad eli-

minare, per alcuni, gli affaticanti pendolarismi e

GRAZIANO TRIPPA

INTRODUZIONE

Graziano Trippa, architetto, già preside della Facoltà di Architettura di Ferrara

mario zaffagnini:le radici della scuola ferrarese

QUADERNI DI ARCHITETTARE 02 | MARIO ZAFFAGNINI ARCHITETTO 13

Proclamazione di laurea, Firenze, primi anni ‘90. Mario Zaffagnini con (in piedi a sinistra) Mauro Maccolini

QUADERNI DI ARCHITETTARE 02 | MARIO ZAFFAGNINI ARCHITETTO14

non quello studente ed il desiderio di capire i pro-

blemi sollevati oltre che essergli utile nel risolverli.

Possedeva la dote rara di estrarre dagli allievi gli

aspetti migliori; una sorta di rabdomante che in-

dividuava le vene più nascoste e preziose, per poi

portarle alla luce e valorizzarle.

Amava insegnare: ciò veniva immediatamente

percepito dagli allievi e contribuiva subito al loro

coinvolgimento.

Non credo esista un allievo che abbia avuto l’op-

portunità di un colloquio con lui senza averne ri-

portato un arricchimento.

Divenuto professore ordinario a quarantanni, alla

fine degli anni ottanta Zaffagnini era, a livello na-

zionale, la personalità di maggior spicco nel com-

parto disciplinare della Tecnologia dell’architettura.

La decisione del Ministero di costituire una facoltà

di architettura a Ferrara fu colta da Mario Zaffa-

gnini per tutte le valenze che essa rappresentava:

per i vissuti storici, per le prospettive che si di-

schiudevano.

La direttiva 85/384/CEE del Consiglio, del 10

giugno 1985 “Concernente il reciproco ricono-

scimento da parte dei Paesi Membri dei diplomi,

certificati ed altri titoli del settore dell’architettu-

ra e comportante misure destinate ad agevolare

l’esercizio effettivo del diritto di stabilimento e

di libera prestazione dei servizi sul territorio del-

la Comunità Europea” aveva appena iniziato ad

introdurre una riflessione sull’insegnamento nelle

scuole di architettura.

Senza ombra di dubbio il ruolo del CTO sarebbe

stato significativo nell’impostazione della nuova

facoltà, negli obiettivi, nei contenuti, nell’organiz-

zazione.

Mario Zaffagnini si attivò immediatamente usando

una procedura raramente utilizzata, stilò un pro-

gramma, lo inviò ai colleghi delle altre università

chiedendo loro, qualora il programma risultasse

condiviso, il voto per essere nominato membro del

CTO.

L’appello ebbe successo e Zaffagnini entrò nel

CTO, con un largo bottino di voti, insieme a Paolo

Ceccarelli e Carlo Melograni.

Credo che le motivazioni di tale iniziativa fossero

più da attribuirsi in senso lato all’impegno civile o

al senso di appartenenza regionale piuttosto che

all’intenzione di mettere radici a Ferrara poiché

erano in atto dei contatti per il suo trasferimento

alla Facoltà d’Ingegneria di Bologna.

Ferrara, motore silenzioso ma potente della cul-

tura italiana, con tutto il suo fascino storico ed

architettonico, integra nella pregnanza di grande

e potente città rinascimentale e orgogliosa di una

rinascita legata al recupero delle superbe mura,

apriva le porte ad una facoltà fortemente voluta.

Nel lavoro del CTO furono messe le prime signifi-

cative basi della Facoltà che troviamo oggi:

il numero chiuso, l’attenzione alla didattica fronta-

le, la progettazione in aula.

Soprattutto emerse una volontà comune di parti-

re, anche sulla scorta della direttiva 85/384/CEE,

su basi del tutto diverse rispetto a quelle che ave-

vano caratterizzato le facoltà italiane negli ultimi

trenta anni.

Come sempre era accaduto in tutto cìò che ave-

Il gruppo dei tecnologi fiorentini

QUADERNI DI ARCHITETTARE 02 | MARIO ZAFFAGNINI ARCHITETTO 15

va affrontato, Zaffagnini profuse tempo, energia,

esperienza e saggezza per contribuire alla realizza-

zione della nuova facoltà. Nell’impresa trovò una

particolare sintonia con Carlo Melograni, persona-

lità molto attenta alle problematiche della didatti-

ca e della formazione professionale.

Il CTO chiamò per trasferimento un primo nucleo di

docenti, due ordinari, Giuseppe Rebecchini, Com-

posizione architettonica e il sottoscritto, Tecnologia

dell’architettura, due associati, Daniele Pini, Urba-

nistica, e Sergio Polano, Storia dell’architettura.

La Facoltà diede inizio nel 1991 al primo anno

accademico e gli studenti vennero ammessi in nu-

mero di duecento tramite un test di ammissione.

Nel frattempo per Mario Zaffagnini l’ipotesi del

trasferimento ad Ingegneria di Bologna era for-

tunatamente sfumata; così Ferrara potè chiamar-

lo e annoverarlo come punta di diamante dello

schieramento.

Autore di numerose pubblicazioni di grande suc-

cesso era figura prestigiosa, largamente nota nel

mondo universitario e professionale.

Nella costituzione della Facoltà di Ferrara senti-

va e assaporava l’intera portata dell’evento sto-

rico: una sorta di rivalsa degli architetti emiliano

romagnoli rispetto alla situazione pregressa, una

volontà di mostrare quanto meglio poteva essere

rispondente la nuova scuola alle necessità di for-

mazione degli architetti rispetto a quanto mostra-

va la realtà delle facoltà di allora.

Iniziò tenendo un corso di Progettazione ambien-

tale, disciplina che risultava compresa sia nel set-

tore della Tecnologia dell’architettura che in quello

della Composizione architettonica.

L’attrazione verso le origini fu insopprimibile: que-

sta fu l’occasione per ritornare alla Composizione

architettonica lasciando quel settore – la Tecnolo-

gia dell’architettura - nel quale deteneva una lea-

derschip nazionale indiscussa.

Gli studenti subito lo amarono; non poteva essere

diversamente.

Mario Zaffagnini era un talent scout: aveva la ca-

pacità di individuare i migliori, i più capaci e affi-

dabili. Subito iniziò un’oculata semina.

Scelse e raccolse attorno a sè una schiera di gio-

vani promettenti i quali, sollecitati dalla sua per-

sonalità, iniziarono a profondere impegno e pas-

sione nella Facoltà.

La semina ha dato e continua a dare frutti copiosi

poiché quei giovani hanno costituito e costituisco-

no il nerbo operoso e generoso della Facoltà.

Queste sono le ragioni della riconoscenza; nell’in-

segnare di questi suoi allievi permane nella Facoltà,

costante nel tempo, il lascito del suo magistero.

Università di Firenze,riunione di lavoro di area tecnologica (anni ‘70).Mario Zaffagnini sulla sinistra

QUADERNI DI ARCHITETTARE 02 | MARIO ZAFFAGNINI ARCHITETTO16

traumi ed esperienze della prima infanzia incidono

sulla nostra modalità di fare esperienza. Abbiamo

infine una nostra visione del mondo che se da un

lato ci consente di orientarci, dall’altro ci limita.”1

Come per tutti noi, anche per Mario Zaffagnini i

vincoli identitari si presentano e interagiscono fra

loro negli anni giovanili forgiandolo e preparandolo

alle sue sfide: classe 1936, famiglia padana forte-

mente intrisa di valori cristani ed etici, studi classi-

ci a Bologna, università a Venezia e Firenze dove si

laurea nel 1961 nella disciplina dell’Architettura,

attraverso cui cerca la propria visione del mondo.

Appartiene, così, a quella “fortunata” generazione

di architetti che si sono formati alla fine degli anni

Cinquanta del secolo scorso ed hanno cominciato

ad operare durante gli anni Sessanta in un’Italia

che si apriva all’orizzonte dei paesi industrializzati

e all’ottimismo di una società spinta da un boom

economico attraverso cui si pensava di poter rifor-

mare su basi nuove - democratiche ed egualitarie

- la società, la città, la stessa architettura.

Il conseguimento della laurea avviene sotto la gui-

da di Adalberto Libera, fra i maestri ineguaglia-

ti del Moderno italiano, all’insegna del progetto

di Architettura e del suo ruolo civile che non lo

abbandonerà mai più, anche quando le vicende

della biografia accademica e professionale lo indi-

rizzeranno verso ambiti disciplinari più specialistici

(processo edilizio, tecnologie di costruzione, in-

novazione ed industrializzazione edilizia, normativa

prestazionale ecc.) entro cui svolgerà un ruolo di

riferimento e di protagonista per la Scuola tecno-

logica fiorentina e nazionale.

Il concetto di identità è, indubbiamente, tema

complesso e molteplice, articolandosi attraverso

variegati livelli di problematicità ed interpretabi-

lità. Identità è parola che evoca appartenenza a

una sfera psicologia individuale e a un contesto

culturale più ampio, ma anche a luoghi fisici e

topologici, oltre che ad una socialità relazionale

condivisa; è ricchezza (in quanto ci consegna ad

una totalità che di riflesso viene fatta nostra e

sembra appartenerci, arricchendoci) ma è anche

vincolo in quanto delinea orizzonti, definisce con-

fini, impone rispetto per convenzioni, restringendo

lo spazio delle libertà e condizionando a vivere,

in qualche modo, all’interno di valori riconosciuti.

Siamo tutti indirizzati a “costruire” una identità

personale che si inscrive e si modella inevitabil-

mente all’interno di una dimensione identitaria

collettiva legata all’idea di gruppo sociale, di lin-

guaggio, di Nazione.

Nel suo definirsi l’identità può essere valutata

come l’affermazione del sè individuale all’interno

dei vincoli più generali imposti alla nostra esisten-

za terrena: “Abbiamo un vincolo genetico – evi-

denzia Umberto Galimberti – dove in modo ine-

luttabile è scritta tutta la nostra vicenda biologica.

Abbiamo un vincolo morfologico per cui un brut-

to corpo non ha la stessa sorte di un bel corpo.

Abbiamo un vincolo culturale per cui l’essere nati

in Occidente non ci consegna allo stesso destino

di chi è nato in terre più diseredate. Abbiamo un

vincolo familiare da cui dipende la nostra educa-

zione, la nostra cultura che in gran parte decide il

nostro futuro. Abbiamo un vincolo psichico per cui

ALFONSO ACOCELLA

maestri e allievi

Alfonso Acocella, architetto, professore ordinariodella Facoltà di Architetturadi Ferrara

QUADERNI DI ARCHITETTARE 02 | MARIO ZAFFAGNINI ARCHITETTO 17

Proclamazione di laurea, Firenze, anni ‘80

QUADERNI DI ARCHITETTARE 02 | MARIO ZAFFAGNINI ARCHITETTO18

Tra i tratti identitari di Mario Zaffagnini - inscrivibi-

le nel corredo genetico prim’ancora che in quello

familiare, sociale o culturale - che più di altri han-

no contribuito al fecondo e poliedrico suo ruolo di

Docente, di Studioso, di Architetto e, soprattutto

di Maestro, inscriviamo quella sua predisposizione

molto speciale all’apertura, al dialogo, alla dispo-

nibilità intellettuale ed umana verso gli altri.

Questa qualità si è espressa attraverso il genero-

so rapporto che ha legato Mario Zaffagnini a tutti

coloro che progressivamente ha avvicinato - o che

autononomamente gli sono andati incontro - coin-

volgendoli in ricerche, progetti di architettura, atti-

vità ed eventi culturali, percorsi accademici; siano

stati essi studenti, giovani laureati, colleghi uni-

versitari, collaboratori di studio, allievi più diretti.

Alla base di questo suo essere vi è lo sprigionarsi

di quella dote genetica che si definisce empatia,

quale innata attitudine a relazionarsi con gli altri,

offrendo attenzione, ascolto, immedesimazione in

idee e visioni, interessi e ipotesi altrui.

I ricorrenti “lunghi silenzi” nei colloqui o nelle ri-

unioni di lavoro che caratterizzavano la presenza

- sempre sorridente, serena e ricettiva - di Ma-

rio Zaffagnini, dopo averli vissuti inizialmente con

qualche imbarazzo, nell’avanzare della frequenta-

zione e della familiarità ho capito che facevano

parte di quella generosa volontà di ascolto, di in-

teresse alla conoscenza delle idee degli altri. Era

parte di quel suo naturale bagaglio comportamen-

tale che lo portava ed aprirsi verso tutti, spesso

anche verso quelli che non conosceva ancora.

Conservo ancora la lettera di poche righe - vergata

a mano con una scrittura minutissima e lineare

- in cui veniva citata una mia piccola pubblica-

zione giovanile sui Complessi residenziali italiani

degli anni ‘70 e, allo stesso tempo, venivo invitato

a presentarmi presso l’Istituto di Tecnologia per

valutare insieme una proposta di una collabora-

zione.

Ho conosciuto, così, Mario Zaffagnini, nell’oramai

lontanto 1981, e nel tempo ho realizzato come

quella lettera - al di là dell’occasione specifica -

rappresentasse un implicita disponibilità ad acco-

gliere un giovane appena laureato all’interno di un

più vasto e consolidato gruppo di ricercatori che

già costituivano una scuola.

A Mario Zaffagnini, conscio del senso ineludibile

e vitale del susseguirsi delle generazioni, ritengo

sia stato sempre chiaro che la conoscenza cresce

quando ci sono Maestri con concezioni e visioni

da trasmettere e allievi disponibili a recepire, svi-

luppare, rilanciare, aprire anche a “nuovi” orizzonti

del sapere.

Interpretando a distanza di tempo quella sua par-

ticolarissima e non comune indole mite, genero-

sa, empatica e aperta al lavoro collaborativo sono

portato a pensare che - nel suo intimo - aspirasse

ad essere riconosciuto come una guida, un ma-

estro sia pur dotato di un carattere molto parti-

colare. Nel suo magistero si coglie l’intelligenza

del sapere che i veri Maestri devono aspirare ad

essere interpretati, rispettati - e anche amati - ma

mai essere “ripetuti”.

Ci ha fatto crescere cosi con grande libertà, dando

molto e chiedendo poco.

QUADERNI DI ARCHITETTARE 02 | MARIO ZAFFAGNINI ARCHITETTO 19

Tutti coloro che hanno contribuito alla redazione

di questo speciale ad memoriam di Architettare

ritengo si considerino allievi, in qualche modo, di

Mario Zaffagnini. Le biografie scientifiche - se ve-

nissero indagate - esprimerebbero una evidente

diversità, testimoniando proprio quella bio-diversi-

tà culturale che Mario ha generosamente consen-

tito di far sviluppare attraverso il suo impegno, la

sua dedizione, il suo insegnamento.

Di questo, a nome di tutti, penso di poter esprime-

re un ringraziamento alla figura di Mario che sale

dal cuore.

NOTE

1 Umberto Galimberti, “Come si costruisce l’identità di un indivi-duo...”, La Repubblica 13.2.2006, p. 37.

QUADERNI DI ARCHITETTARE 02 | MARIO ZAFFAGNINI ARCHITETTO20

e applicazione: le architetture per il grande nume-

ro, l’approccio sistemico, i Suoi apporti costante-

mente maturi ai temi dell’industrializzazione edili-

zia, e coerentemente con la lezione più autentica,

al riguardo, del Movimento Moderno (ancorché

talora da molti altri malintesa, o assunta con su-

perficialità, e/o disattesa), ecc. Altrettanto eviden-

te, nei Suoi studi e nei Suoi progetti, è la capacità

di governare e orientare collaborazioni complesse,

necessariamente ascrivibili alle ragioni empiriche

e tecniche non meno di quelle ideali, verso obiet-

tivi espliciti di reificazione dell’architettura; in tal

senso, sia nei Suoi contributi ai lavori di gruppo

che nelle opere messe a punto in forma autono-

ma, è costantemente rilevabile quella collocazio-

ne dell’architettura come posta sul crinale tra di-

scipline diverse. Né, appunto, ragioni empiriche e

tecniche possono denotarsi con minore rilevanza

di quelle ideali: da qui, le Sue esperienze e i Suoi

insegnamenti in tema di relazioni tra tecnologia e

progetto, laddove la prima, ovviamente da assu-

mersi come implementatrice ed esaltatrice delle

euristiche del secondo, ne prefigura diacronica-

mente e ne attua sincronicamente il compimento

in architettura realizzata.

Ma le stesse ragioni ideali, ispiratrici delle espe-

rienze e degli insegnamenti di Mario Zaffagnini,

appaiono saldamente ancorate a quella duplicità

fruitiva dell’architettura che Benjamin definisce in

maniera esemplare, nel suo saggio più famoso, in

termini di uso e percezione: 3 da qui, nei Suoi studi

e nelle Sue opere, l’assoluta insussistenza di ogni

rischio di deriva autoreferenziale, a cui anzi Ma-

In un saggio pubblicato nel 2008, a proposito

dell’identità disciplinare dell’architettura (anzi, in

sua difesa), Vittorio Gregotti afferma: l’architettura

“(...) ha a che fare con i problemi della costruzione

e dell’uso, lavora, cioè, all’interno del recinto di-

sciplinare della morfologia e della tettonica, ed è,

diversamente da altre arti, collocata, nel suo farsi,

sul crinale tra discipline diverse, frutto di collabora-

zioni complesse nelle ragioni empiriche e tecniche

non meno di quelle ideali del suo costituirsi (...)

Quindi i materiali con cui si costituisce provengo-

no naturalmente da aree e competenze vaste (...)

che il progetto deve orientare a uno scopo spe-

cifico”1. Nelle pagine precedenti, argomentando

intorno alla teoria del progetto, Gregotti propone

una citazione di Adorno che esplicita una contrad-

dizione fondamentale, e pur tuttavia da superare

nell’opera senza negarla: proprio perché l’architet-

tura, “(...) oltre che autonoma è anche legata a

uno scopo, non può negare gli uomini come sono,

anche se in quanto autonoma deve farlo”.2

La personalità di Mario Zaffagnini è chiaramente

contraddistinta da un profondo riconoscimento di

quell’identità disciplinare dell’architettura che qui

Gregotti ascrive a connotazioni di connessione

con i problemi della costruzione e dell’uso, e da

cui emerge, con ulteriori aspetti e problematiche,

lo scenario complesso di apporti e competenze

vaste che il progetto deve orientare a uno scopo

specifico. È quanto in effetti può immediatamente

evincersi dal costante impegno di Studioso, Archi-

tetto e Docente, proprio di Mario Zaffagnini, e ben

oltre gli specifici e pur importanti ambiti di ricerca

GIORGIO GIALLOCOSTA

cultura, tecnologia, progetto:esperienze e insegnamentidi mario zaffagnini

a Marida, anch’Essa Allieva di Mario Zaffagnini

Giorgio Giallocosta,architetto, professore ordinariodi Tecnologia dell’Architettura presso l’Università di Genova

QUADERNI DI ARCHITETTARE 02 | MARIO ZAFFAGNINI ARCHITETTO 21

1. Edificio industriale a Zola Predosa - Bologna 1968 (oggi demolito).M. Zaffagnini, U. Maccafer-ri e G.P. Mazzucato (Gruppo Architetti Urbanisti Città Nuova)L’edificio era caratteriz-zato planimetricamente dall’aggregazione di nove maglie strutturali di 16 m x 16 m e prevedeva una successiva espansione se-condo la medesima logica aggregativa. Sotto, dall’alto in basso in senso orario. Dettagli di prospetto e particolari costruttivi.

1

QUADERNI DI ARCHITETTARE 02 | MARIO ZAFFAGNINI ARCHITETTO22

rio accomuna l’esaltazione di ragioni dettate da

quelle istanze di duplicità fruitiva, sapientemente

interpretate in approccio esigenziale-prestaziona-

le evoluto e dunque comprensivo degli aspetti di

raccordo e di esplicitazione circa le dinamiche dei

diversi modi d’uso, modelli abitativi, stili di vita,

ecc., ma anche di quelli più propriamente ascrivi-

bili a esigenze e intenzionalità di altro tipo (mor-

fologico, simbolico, ecc.) e tuttavia rigorosamente

interconnessi (fra di essi, e con i primi). Esemplari,

in tal senso, sono gli esiti a cui perviene, sia per

quanto concerne le Sue architetture che i Suoi

contributi di studio e ricerca che appaiono co-

stantemente governati, nell’intero iter operativo,

da rigore metodologico e soprattutto da coeren-

za di intenti nella definizione dei nuovi assetti da

perseguire, in ordine alle relazioni fra bisogni da

soddisfare, fattori legati ai contesti di intervento, e

intenzionalità espressive:4 ne emergono, come co-

stante connotazione del Suo impegno, una prassi

e un senso profondo di etica delle responsabilità.

Poiché inoltre quelle stesse ragioni ideali richiedono

condizioni tendenzialmente ottimali per un soddi-

sfacente perseguimento delle finalità a cui condu-

cono, si rendono fra l’altro necessari atteggiamen-

ti che eludano (o minimizzino) possibili discrasie

con fattori contestuali agli scenari di intervento,

mirando piuttosto a efficacia ed efficienza nella

gestione delle risorse (umane, materiali ed econo-

miche), nell’organizzazione della produzione, nelle

istruzioni operative per l’attuazione del progetto:

si ripropone dunque, anche in tal senso, il ruolo

della tecnologia nei termini già precedentemen-

te espressi, e qui con particolare evidenza per gli

aspetti testé richiamati. Decisamente esemplari,

anche in questo caso, sono le elaborazioni origi-

nali, gli apporti, e gli autonomi contributi di Mario

Zaffagnini.

Nelle architetture, negli studi e soprattutto negli

insegnamenti in cui è costantemente impegnato,

i rapporti fra tecnologia e progetto assumono un

ruolo fondamentale, e con essi, le analisi e le ela-

borazioni inerenti gli aspetti tipologici dei manu-

fatti che vengono affrontati in sinergia con i primi

e in relazione ai differenti contesti di intervento (e

con notevoli competenze in termini storiografici, di

morfologia urbana, ecc.). Anche da tali connota-

zioni della Sua fisionomia di Studioso e Docente,

discende la Sua personale propensione a decli-

nare quell’attento equilibrio fra uso e percezione

dell’architettura (Benjamin) soprattutto in funzio-

ne delle responsabilità sociali del progetto: e così

risolvendo, pur senza negarla, quella contraddi-

zione fondamentale che Adorno ascrive al carat-

tere autonomo dell’architettura che pur tuttavia,

in quanto legata a uno scopo, non può negare

gli uomini come sono. L’etica delle responsabili-

tà, fortemente connaturata alla Sua personalità,

non gli consente (parimenti alle Sue architetture)

di negare gli uomini come sono: per questo, ogni

atteggiamento e attività di Mario Zaffagnini non

possono che porsi, come in parte già osservato,

in fisiologica insussistenza di ogni tentazione au-

toreferenziale. I segni della propria intenzionalità

espressiva (come ravvisabili nelle Sue architettu-

re), lungi peraltro da accondiscendenze circa as-

2. Convegno Cuore Mostra SAIE di Bologna 1990.Mario Zaffagnini relatore al Convegno “La città euro-pea. La nuova monumen-talità urbana”

2

QUADERNI DI ARCHITETTARE 02 | MARIO ZAFFAGNINI ARCHITETTO 23

sunti secondo i quali la forma segue la funzione,

assumono pregnanza olistica nella sapiente co-

struzione di quei rapporti fra composizione e qua-

lità di duplicità fruitiva dei manufatti (e degli in-

sediamenti), tipologie, tecniche e materiali, senso

dei luoghi: è quanto può evincersi da una lettura

appena attenta delle Sue opere. Mario persegue

tali esiti anche grazie a un’intensa attività di ricer-

ca e documentazione, al continuo affinamento di

un metodo che eredita e sviluppa coerentemente

con gli insegnamenti più genuini del Movimen-

to Moderno, ma soprattutto grazie alla notevole

Cultura di cui è depositario, che rappresenta lo

scenario di sfondo di ogni Sua attività e che gene-

rosamente cerca di trasferire ai suoi allievi.

Infine, e ancora citando Gregotti: “(…) la tradizio-

ne della modernità, almeno per quanto riguarda

l’architettura, aveva qualcosa di altro e di più da

offrire, oltre alla nascita di un nuovo linguaggio

(…): un progetto di funzionalizzazione della razio-

nalità e della tecnica alla liberazione dell’uomo, e

all’eguaglianza delle opportunità (…) Ma se pri-

ma l’obiettivo di liberazione collettiva poteva non

tener conto di quella personale con gravi danni

di quest’ultima (…) ora la liberazione persona-

le è diventata quasi sempre una competizione

(…) contro quella collettiva, divenuta difficile da

identificare (…)”;5 ne consegue, anche per l’ar-

chitettura “(…) la falsa convinzione della comple-

ta indipendenza dell’individuo nei confronti della

società(…)”.6 Risulta chiaro da quanto fin qui

esposto (e prescindendo da ambiti di altro tipo)

come Mario collochi la propria attività, attraverso

l’architettura, in funzione del soddisfacimento dei

bisogni della società, e anche in direzione del per-

seguimento di una eguaglianza delle opportunità

(ma assolutamente non a discapito, peraltro, del-

la libertà personale). Per questo, la Sua lezione è

oggi fondamentale e di straordinaria importanza.

NOTE

1 V. Gregotti, Contro la fine dell’architettura, Einaudi, Torino 2008 (pp. 103-104)2 Th. V. Adorno, Il funzionalismo oggi, 1965 (cit. in Gregotti, 2008, p. 28)3 W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica (1936), Einaudi, Torino, 2000 (p. 45)4 Né sembrino contraddittori con quanto qui rimarcato gli studi e le esperienze di Mario Zaffagnini relative al progetto di sistema. L’im-portanza dello stesso infatti, e anche le sue peculiari delimitazioni di campo (imprescindibili, nella Sua accezione e nell’interpretazione più autentica della Sua scuola di pensiero), derivano da necessità di ottimizzazione economica e costruttiva nei processi di produzione industriale dell’architettura, affrancandosi (nelle intenzioni e nelle esperienze di Mario) da prassi contestuali di banalizzazione stilistica e avviando piuttosto, anche in senso più generale, riflessioni ed ela-borazioni mirate alla ricerca di nuovi linguaggi5 Gregotti, 2008 (p. 124)6 Gregotti, 2008 (p. 125)

3. Edificio industriale a Zola Predosa. Sezione/prospetto dell’edificio

3

QUADERNI DI ARCHITETTARE 02 | MARIO ZAFFAGNINI ARCHITETTO24

catoria domanda. Furono chiamati sette bravi architetti

non tutti docenti universitari ma tutti navigati progettisti

con decenni di esperienza professionale e costruttiva alle

spalle. Essi portarono, tanto alla mostra quanto al dibat-

tito, immagini e opinioni che pur essendo differenti nella

forma, esprimevano nella sostanza una concorde indis-

solubilità tra tecnologia e architettura.

Lo stesso quesito, oggi, a chi potrebbe essere posto?

Lo iato tra i progressi scientifici sulle potenzialità proget-

tuali (coerenti con le attuali risorse tecnologiche) e le re-

centi costruzioni (frutto di mere scelte finanziarie che non

danno risposta alla domanda reale di alloggi) è ancora

elevato. Le realizzazioni che soddisfano al tempo stesso

esigenze di bassi costi e di alte prestazioni sono rare.

Ma la speranza, alimentata dall’uso appropriato della

conoscenza creativa e della divulgazione, è il filo rosso

del percorso che ha dato a Mario la capacità di operare

in differenti scenari, sempre con uguale incisività, verso

lo stesso obbiettivo: quello di accrescere il valore archi-

tettonico agendo sulla qualità degli ambienti, dentro e

fuori delle case, dentro e fuori delle città, con architetture

capaci di integrarsi alla complessa realtà dell’esistente

costruito secondo le necessità mutevoli della vita dell’uo-

mo, e realizzate con tecniche adeguate alle soluzioni.

Egli persegue questo obbiettivo agendo trasversalmente

in tanti ambiti: con gli studenti, sapendo cogliere negli

elaborati le istanze propositive di ognuno; con i colleghi,

che spesso non esitano a sceglierlo leader senza che egli

ne abbia manifestato il desiderio; con i committenti di

importanti lavori, che egli affascina per l’esclusività delle

proposte, per l’affidabilità dei contenuti, per la perfezione

esecutiva dei disegni di progetto e dei particolari costrut-

“Nel realizzare l’architettura la prassi segue affannosa-

mente la speculazione teorica con un ritardo che appare

sempre più incolmabile.

Mentre si disserta già di cultura post-industriale, la co-

struzione dell’architettura non è riuscita ancora a porsi

al passo dei tempi di una cultura autenticamente in-

dustriale.

E, come nella vita, aspettando qualcuno che è in ritardo

si è distratti da fatti occasionali, così gli architetti, in atte-

sa di una presa di coscienza delle potenzialità espressive

di un nuovo modo di costruire, … coerente con la realtà

del mondo della produzione, hanno riscoperto un reper-

torio di segni legato ad altri tempi.

… In particolare l’insieme delle tecniche e dei processi

di produzione sono sempre intervenuti come materiali

importanti del processo di formazione del valore archi-

tettonico.

Perché oggi dobbiamo rinunciarvi?

Perché dobbiamo, solo in questo aspetto della nostra

cultura, rinunciare a vivere coscientemente il nostro

tempo? …”

Questa domanda posta a tema della mostra-convegno

Architettura e industrializzazione al SAIEDUE del 1985

a Bologna definisce con chiarezza il modo e l’essere

dell’azione di Mario Zaffagnini nel campo della “realizza-

zione dell’architettura”. Questa stessa domanda, a ven-

ticinque anni di distanza e con qualche variazione di tipo

ambientale, possiamo porre ancora oggi al centro del

dibattito culturale tra l’uso di nuove tecnologie (risorse

energetiche) e l’innovazione dello scenario urbano.

Allora egli scelse oculatamente, insieme all’amico Gio-

vanni Klaus Koenig, i soggetti a cui rivolgere la provo-

COSIMO CARLOBUCCOLIERI

la realizzazione dell’architettura /officina edinricerche

Cosimo Carlo Buccolieri,architetto, professore ordinario di Tecnologia dell’Architettura

QUADERNI DI ARCHITETTARE 02 | MARIO ZAFFAGNINI ARCHITETTO 25

1. Progettare nel processo edilizio, a cura di Mario Zaffagnini, è uno dei primi saggi sull’applicazione progettuale del metodo Esigenziale-prestazionale. Il metodo è alla base dei corsi universitari di Tecno-logia dell’architettura della scuola fiorentina

2

1

2. Case popolari a Casteldebole, Bologna, anno di costruzione 1976.Progettisti: Mario Zaffagnini (capogruppo), Cosimo Carlo Buccolieri, Mauro Maccolini, Giuseppe Nicola Simonelli, Giuseppe Turchini.Un intervento di case in

linea (a tre piani) e case a torre (di quindici piani) per 225 alloggi da 30, 60, 75, 90 e 105 mq, con cantine e posti auto al piano terra e al piano seminterrato(foto A. Mion, 2012)

QUADERNI DI ARCHITETTARE 02 | MARIO ZAFFAGNINI ARCHITETTO26

tivi. Fra i committenti, oltre a privati cittadini, imprese

di costruzione, cooperative di abitazione, amministrato-

ri pubblici locali e regionali, c’erano anche produttori di

componenti edilizi che cercavano nuove prestazioni per

i loro prodotti, nell’epoca in cui gli operatori respiravano

fermento di innovazione in ogni fiera di settore.

Dalla ricerca alla divulgazione, tramite la verifica prati-

ca della progettazione e della costruzione, e dalla pra-

tica ancora alla ricerca e alla comunicazione, in ciclo

continuo, egli ha prodotto conoscenza e occasioni di

lavoro, molti progetti, metaprogetti, sistemi tipologici

e tecnologici, opere costruite, saggi tecnici, manuali e

ricerche scientifiche.

Grazie alla paziente capacità di ascolto del pros-

simo e alla generosa condivisione delle sue co-

noscenze Mario sapeva creare consenso. Special-

mente fra studenti e laureandi.

Non fu difficile al sottoscritto e a Mauro Maccolini, solo a

qualche anno dalla laurea, accettare la sua proposta di

collaborare alla progettazione di un grosso intervento per

la periferia bolognese in località Casteldebole. Si trattava

di un appaltoconcorso IACP, innovativo tanto nella orga-

nizzazione tipologica (225 alloggi in cinque diversi tagli)

quanto nelle soluzioni tecnologiche adottate dall’impresa.

Il progetto risultò vincitore. Noi due, giovani architetti, ap-

prezzammo la generosa proposta di partecipare al lavoro

non come semplici collaboratori ma come appartenenti a

pieno titolo al gruppo di progettazione. Da ciò è nata una

gratitudine e un’amicizia approdata nell’EDINRICERCHE

(1976), società di progettazione e ricerca per lo sviluppo

dell’industrializzazione edilizia riguardante specialmente:

il campo d’azione della committenza (per una migliore

organizzazione della domanda), il campo d’azione delle

imprese di costruzione e delle industrie di settore (per sti-

molare l’innovazione e la qualificazione dei prodotti edi-

lizi), l’intero processo della costruzione (per organizzare i

rapporti tra operatori).

Dei numerosi lavori svolti nella società due progetti

sono particolarmente significativi per l’appassionata ri-

cerca preparatoria, per la validità delle soluzioni, per il

successo ottenuto al concorso e dopo la realizzazione

delle opere. Si tratta del Sistema di modelli residen-

ziali, in varie tipologie, per diversi comuni della regione

Lombardia, e del Sistema di modelli per la scuola se-

condaria superiore per diversi comuni della provincia di

Milano. Tanto del primo quanto del secondo progetto

sono stati realizzati edifici facenti parte dei repertori che

hanno confermato la validità delle soluzioni proposte.

In ogni lavoro Mario era l’indiscutibile guida del gruppo.

Nelle riunioni di programmazione delle attività era mol-

to riflessivo, non tanto loquace, ma sempre accorto a

repertoriare gli input che nascevano dalla discussione

e, in ogni caso, a conclusione dei lavori, dava la sintesi

operativa più efficace. Io e Mauro generalmente contri-

buivamo con la fertilità inventiva delle idee, naturalmen-

te da verificare, con le mie più orientate verso il gioco

compositivo ambientale-tipologico e le sue più orientate

verso l’organizzazione dei processi tecnologici. Un quarto

membro dell’Edinricerche, Beppe Simonelli, ingegnere,

era determinante per l’equilibrio del gruppo. Lui sanci-

va con il calcolo la realizzabilità statica ed economica

dell’opera in gestazione. Da ciò avevamo imparato a

interpellarlo sulle opportunitunità statiche, realizzative

ed economiche dell’oggetto, prima di iniziare ogni fase

progettuale. Perciò ogni nuovo progetto nasceva sempre

3

3. Mario Zaffagninicon Cosimo Carlo Buccolieri

QUADERNI DI ARCHITETTARE 02 | MARIO ZAFFAGNINI ARCHITETTO 27

4. Cantiere degli edificiin linea, Casteldebole.Struttura a setti trasversali in CLS gettati in opera, con solai a pannelli laterocementizi prefabbricati a piè d’opera. Facciate principali in pannelli parapetto-veletta in cls prefabbricati ad andamento nastriforme, placcati all’interno da pareti in laterizio con interposto isolamento termico.

più ottimizzato del precedente nell’armonizzazione delle

parti. Il gioco compositivo oscillava tra la funzionalità fles-

sibile del sistema tipologico e le regole dimensionali dei

vincoli tecnologici.

Ben presto gli indirizzi procedurali individuati nel cor-

so dei lavori, si sono evoluti diventando vere e pro-

prie linee guida per nuove metodologie progettuali.

Con Mario molte idee sono diventate progetto e di

tanti progetti prima input per nuove ricerche poi libri.

Manuali per una progettazione consapevole del va-

lore di ogni operatore del processo produttivo, che

hanno arricchito la strumentazione formativa di molti

corsi universitari di architettura e di ingegneria.

Nel giro di pochi anni i concetti acquisiti con le ri-

cerche svolte per la programmazione e la raziona-

lizzazione dei procedimenti costruttivi hanno agito

positivamente anche sulla capacità della stessa Edin-

ricerche, tanto che spesso, nei grossi lavori, si rende-

va necessario ricorrere all’ausilio di esperti che entra-

vano a pieno titolo a fare parte del gruppo di lavoro,

incrementandone le capacità e la qualità del prodot-

to finale. Da Giuseppe Turchini a Nicola Sinopoli e

a Graziano Trippa, preziosi interlocutori nella ricerca

sulle nascenti tematiche del Processo edilizio e del

Ruolo degli operatori per la qualificazione del sistema

ambientale; e da Giorgio Giallocosta a Michela Toni,

instancabili compagni di lavoro nella classificazione

delle risorse tecnologiche innovative del paese, nella

stesura di saggi e articoli per riviste specializzate e

nella progettazione sistematica di spazi e tecnologie.

L’attività della società ha continuato la sua produzio-

ne, con qualche variazione degli associati, fino alla

dipartita di Mauro Maccolini (1997).

Il momento Edinricerche è stato per Mario una

delle fasi della carriera, quella delle verifica delle

ipotesi sul campo, ma prima e dopo egli ha gio-

cato con altrettanto impegno e produttività altri

ruoli, speciamente nella formazione universitaria al

progetto di architettura. Fra questi è fondamentale

l’impegno nel comitato tecnico per la fondazione

della facoltà di architettura di Ferrara. Dove, senza

cambiare metodo di lavoro e obiettivo, ha spostato

il suo interesse culturale dall’approccio ambientale-

tecnologico a quello compositivo.

Per la ricchezza delle tematiche affrontate e per l’in-

terazione agita nelle diverse fasi, non esiterei a con-

cludere dicendo che il percorso di Mario può essere

assimilato a un intreccio composito aperto al confron-

to e all’innovazione, centrato sulla dinamica evolutiva

della vita dell’uomo. Per lui niente era scontato e ogni

esperienza improntava il carattere di quella successi-

va in un continuo arricchimento del valore globale di

ciò che di volta in volta andava costruendo.

Probabilmente proprio questa transitorietà culturale,

che lega il fine dell’architettura ai mezzi strumen-

tali del momento, è la giusta risposta da traman-

dare “per vivere coscientemente il proprio tempo”,

accettando cioè le opportunità che le nuove risorse

offrono, facendole entrare nel millenario gioco della

componibilità dell’architettura.

Certo non è un caso se gli autori di questo Speciale

Zaffagnini di ARCHITETTARE cercano anch’essi, con

la ricostruzione di alcune tessere del suo messag-

gio, di trovarne il seguito verso nuove potenzialità

espressive del modo di costruire adottando, spesso,

il metodo di lavoro da lui insegnato.

4

QUADERNI DI ARCHITETTARE 02 | MARIO ZAFFAGNINI ARCHITETTO28

la Associazione Nazionale Centri Storici e Artistici

che ebbe peso e ruolo rilevante proprio in quegli

anni ’70 tipici per aver riportato l’attenzione, della

più avveduta militanza architettonica e urbanisti-

ca, sul recupero dei centri antichi in nome di quel-

la “conservazione” che doveva costituire, come in

realtà costituì, l’unica reale opposizione verso il

cosiddetto fenomeno delle “mani sulla città”.

In questo, Bologna fu certamente (grazie al pen-

siero e all’opera di Pierluigi Cervellati, amico di

sempre, e da sempre, di Mario Zaffagnini), nel

bene come nel male, protagonista indiscutibile.

La Felix Bononia Rubra riuscì in quegli anni a

mantenere “in maniera sbrigativa e ingenua (…)

una visione ottocentesca della conservazione, alla

Viollet le Duc” (nel centro antico) “e a un tempo

diffondere una visione ottocentesca della moder-

nità, alla Jules Verne” (nell’affidare a Kenzo Tange

il nuovo centro direzionale nei pressi dell’area fie-

ristica)2. Soprattutto in quegli anni c’era il deside-

rio di pervenire a un’architettura più sensibile e

prudente, più organicamente legata al luogo, che

sapesse anche diventare nuova struttura urbana

e che costituisse la naturale evoluzione dell’inse-

gnamento dei Grandi Maestri; che cioè fosse e

continuasse a essere architettura moderna.

Dopo il “nullismo” progettuale post-sessantotte-

sco, nel 1971 esce la Legge 865 sull’edilizia resi-

denziale pubblica e nel 1973 con la XV Triennale

di Milano vengono poste le basi per l’architettura

occidentale degli anni immediatamente successi-

vi. A quella importante rassegna prendono parte

giovani architetti, molti ancora non noti, che ca-

È molto difficile, per me, ricordare Mario Zaffa-

gnini architetto e docente, prima di tutto sogget-

tivamente, per quella strana e ingiusta forma di

pudore che ti impedisce di parlare diffusamente

di chi ti è stato particolarmente caro, poi, ogget-

tivamente per una serie di motivazioni legate allo

stato attuale dell’architettura da cui Mario sareb-

be sicuramente stato lontano.

Nel ripensare, oggi, a quegli inizi degli anni ’70 in

cui lo ho conosciuto a Bologna, grazie a mio pa-

dre, nella redazione della rivista “Parametro”, vien

fatto di considerare, prima ancora che le condizio-

ni strutturali e politiche, quale fosse la situazione

della cultura della città e il clima dell’architettura

per constatare quanto fossero, le persone e le

ideologie di allora, così distanti da quelle della

contemporaneità.

Sul finire degli anni ’60 e nei primissimi anni ‘70

si andava affievolendo sia l’impeto della cresci-

ta urbana, sia la fede o l’impressione che essa

fosse fenomeno strutturalmente inarrestabile e

non necessariamente preoccupante1. Le tensioni

intellettuali e progettuali che avevano animato i

cosiddetti “Piani della ricostruzione” (uno dei pri-

mi tradimenti dell’Italia democratica) e che aveva-

no finito per concentrare l’attenzione in maniera

quasi esclusiva sulla “città nuova”, finirono per

concentrarsi sulla consapevolezza che l’uomo non

può vivere “senza memoria” abbandonando le te-

stimonianze del proprio passato. Si cominciò a ri-

flettere nuovamente –a distanza di un decennio- in

maniera critica e costruttiva sull’ormai storicizzato

(1960) Convegno di Gubbio promosso da quel-

ALBERTO MANFREDINI

mario zaffagnini architetto e docente /il milieu culturale tra 1970,1990 e oltre

Alberto Manfredini,architetto e ingegnere, Professore Associatoin ComposizioneArchitettonica e Urbana all’Università di Firenze

QUADERNI DI ARCHITETTARE 02 | MARIO ZAFFAGNINI ARCHITETTO 29

ratterizzeranno poi il panorama architettonico per

diverso tempo (Stirling, Ungers, Reichlin, Rein-

hart, Meier, Rowe, Krier, ecc. e gli italiani Scola-

ri, Natalini, Thermes, Vitali, Bonicalzi, Bonfanti,

Cantafora, Braghieri, ecc.). Ma soprattutto a col-

pire è la presentazione del lavoro delle scuole di

progettazione architettonica italiane ed europee

(Milano, Pescara, Roma, Napoli, ecc. e Berlino,

Zurigo, ecc.) per la particolare tipologia comune

di approccio nei confronti della città consolida-

ta. “Insensibili agli scandali dei vecchi giornalisti

d’architettura e alle incertezze di ogni dilettante,

preoccupati solo delle difficoltà reali che la società

in cui viviamo pone all’architettura come a ogni

tecnica o arte, abbiamo raccolto questi esempi

come proposte che stanno all’interno dell’archi-

tettura razionale consci delle difficoltà che sor-

gono dal confronto e delle stesse contraddizioni

che il confronto suscita”3 rileverà Aldo Rossi nella

presentazione al catalogo della mostra.

Contestualmente comincia a fiorire l’editoria di

architettura (sono gli anni in cui, per esempio,

nasce la casa editrice Electa), proponendo un

numero sempre maggiore di riviste specializza-

te di settore. A questo incremento delle testate

corrisponde però, nel nostro paese, una forte di-

minuzione nella capacità di critica, con critici e

storici relegati alla narrazione e all’interpretazione

soggettiva delle opere con il conseguente e ne-

cessario sopravvento dell’antologia sull’ideologia4.

È anche per questo motivo che, in quegli anni,

pare non esserci più voglia, e sembra non esserci

più alcun interesse, da parte delle riviste di archi-

tettura, a indagare criticamente i fatti e i feno-

meni strutturali dell’architettura e dell’urbanistica.

Per certi versi solo “Controspazio” di Portoghesi

e “L’Architettura” di Zevi continuano a indagare

criticamente, seppure in modi sostanzialmente

differenti e opposti.

Fra le nuove riviste sorte in quegli anni, sarà so-

prattutto la rivista “Parametro”, sorta dalle ceneri

di un’altra importante e singolare rivista, “Chiesa

e Quartiere”, a portare avanti il desiderio di esplo-

razione critica, strutturale e politica, della cultura

della città e delle sue componenti sociali ancor

prima che architettoniche, testimoniando più di

ogni altra testata, la continuità con il moderno e

l’apertura decisa alle istanze della società. Sono

gli anni in cui molti architetti, e soprattutto quelli

legati direttamente o indirettamente alla redazio-

ne di “Parametro”, giocano “la carta dei riforma-

tori della società, degli ingegneri dell’anima che

attraverso lo studio e la costruzione delle periferie

urbane miravano a creare l’uomo nuovo, il citta-

dino di una conurbazione ordinata e razionale”5.

La rivista “Parametro” è fondata e diretta da Gior-

gio Trebbi e Glauco Gresleri e riunisce nella reda-

zione un gruppo di amici dalle forti affinità elettive

e tra questi, appunto, c’è Mario Zaffagnini che ha

sempre creduto a due princìpi che ho sempre ri-

tenuto fondamentali per un architetto del nostro

tempo. Credeva cioè nel lavoro di architetto come

impegno civile e credeva fermamente nella funzio-

ne sociale del progetto d’architettura. Esercitava

e praticava queste convinzioni con l’impegno e la

serietà che gli erano tipici attraverso un uso par-

1. Mario Zaffagninia Parigi, 1975 (foto Clara Caliceti Zaffagnini)

1

QUADERNI DI ARCHITETTARE 02 | MARIO ZAFFAGNINI ARCHITETTO30

ticolare e personale della tecnologia. Come Fer-

nand Braudel amava spesso ripetere che “tutto è

tecnica perché tutto è società” così come “tutto

è società perché tutto è tecnica”. È anche per

queste profonde convinzioni che partecipa con

entusiasmo alla costruzione e alla diffusione del-

la rivista “Parametro” condividendone le scelte

editoriali o pacatamente contestandole, quando

non le condivide appieno, tramite il “ricorso” o la

“fuga” nella propria rubrica tecnologica (System

Building) che volle creare all’interno della rivi-

sta e che la caratterizzò per un lungo numero di

anni. Grande amante e conoscitore profondo del

Regno Unito, dei suoi tipi edilizi come delle sue

morfologie urbane, e dei suoi sistemi costruttivi

tradizionali e industrializzati, offerse a “Parame-

tro” l’opportunità di pubblicare per prima, tra le

riviste italiane, l’esperienza londinese di una delle

ultime new towns: Thamesmead, costruita sulle

rive meridionali del Tamigi6, e ancor prima del

quartiere londinese di Foundling Estate7. Non

ricordo l’anno preciso (poteva essere l’autunno

del ‘69 o del ‘70) ma ricordo perfettamente, a

distanza di molti, troppi anni, le animate discus-

sioni, i commenti ma soprattutto la grande parte-

cipazione della redazione, nell’allora sede di via

delle Tovaglie a Bologna, all’illustrazione, da parte

di Mario Zaffagnini e di Nullo Bellodi e Carlo De

Angelis, delle diapositive inedite di questa città

nuova e dell’intervento londinese di Foundling,

delle sue peculiarità tipologiche e tecnologiche

(cantiere completamente industrializzato) e del-

le sue particolarità formali (analogie e differenze,

sul fronte verso Marchmont Street, con la città

“futura” di Antonio Sant’Elia). Come non ricordare

poi lo storico n. 7 della rivista, monografia sulla

“Metodologia del Performance Design” curata da

Mario Zaffagnini (con la collaborazione di Baglioni,

Baracchi, Foti e Macchi) che ben riassume, nella

parte introduttiva, quelle attitudini di “riformatore”

della società e di “ingegnere dell’anima” tipiche

dell’autore.

“Fine principale dell’edificazione del territorio è la

trasformazione dell’ambiente fisico affinché pos-

sa, nel migliore dei modi, consentire all’uomo di

svolgere le proprie attività. Il protagonista di que-

sto processo di trasformazione è quindi l’uomo,

sia in via diretta, in quanto attore, sia indiretta, in

quanto punto di riferimento per la definizione della

qualità dell’ambiente”8.

È di quell’epoca, e di quel periodo, la sua con-

vinzione che non avesse senso alcuno, all’inter-

no delle nostre scuole di architettura, mantenere

una alta distinzione tra discipline compositive e

discipline tecnologiche diversamente da quanto

accadeva nella cultura anglosassone. “Composi-

zione” e “Tecnologia” sono stati per lui, sempre, i

due aspetti complementari del progetto di archi-

tettura, assolutamente da non separare. Questo

convincimento unitamente al fatto che credeva

fermamente nel “progetto” come “mestiere”,

cioè come sistema di regole, soprattutto pratiche,

consolidate nel corso di anni, e che credeva alla

possibilità di discuterlo in maniera utile e quindi di

insegnarlo di modo che altri apprendessero quelle

stesse regole per esercitare, un giorno, quel me-

2. Mario Zaffagnini a un convegno di Tecnologia, SAIE, Bologna

2

QUADERNI DI ARCHITETTARE 02 | MARIO ZAFFAGNINI ARCHITETTO 31

desimo mestiere, orientarono decisamente il suo

insegnamento e le sue ricerche nella facoltà di ar-

chitettura di Firenze. Da quando vince la cattedra

a Firenze, attenua i rapporti con “Parametro” per

vivere intensamente l’esperienza universitaria fio-

rentina quale luogo privilegiato, per lui, del dibatti-

to architettonico. Perché in quegli anni “non più le

riviste, le associazioni di tendenza, la produzione

professionale, ma le Facoltà sono i luoghi dove

avanza, pur faticosamente, la discussione e persi-

no la progettazione dell’architettura italiana”9.

Convinto come pochi altri che una didattica im-

poverita e una carenza nella ricerca non avrebbe

mai generato l’eccellenza, operò sempre, all’in-

terno dell’università, per una didattica selettiva e

una forte ricerca. Questi principi, anzi questi alti

valori, riuscì a esprimere al meglio nella sua fa-

coltà di architettura di Ferrara. “Sua” perché la

fonda lui, con Carlo Melograni e Paolo Ceccarel-

li (unici membri del CTO di allora), “sua” perché

seppe prevederne l’evoluzione lungo le linee dei

propri convincimenti, condivisi dall’amico di sem-

pre, ancor prima che allievo e collega, Graziano

Trippa, sotto la cui presidenza la facoltà ferrare-

se raggiunge gli attuali livelli di eccellenza. “Sua”

perché coloro che andarono a lavorare a Ferrara

o che ancora vi lavorano oggi certamente crede-

vano allora, come credono ora, alla unitarietà del

progetto di architettura e alla inscindibilità della

fase compositiva da quella tecnologica. Elementi

sottolineati per esempio, in maniera diversa ma

simmetrica, dall’opera di Alfonso Acocella e di Ro-

berto Di Giulio e, in maniera autonoma ma egual-

mente coerente ed efficace, dal lavoro e dalla ri-

cerca di Michela Toni e dal lavoro, dentro e fuori

l’università, di tutti quei giovani (ora molto meno

giovani) che, a prescindere dal ruolo istituzionale

che poi riuscirono a conseguire, Mario Zaffagnini

e Graziano Trippa chiamarono, in tempi e in modi

differenti, a collaborare.

Questa situazione, certamente rara ma particolar-

mente felice, si riversa (come è giusto che sia)

nel lavoro degli studenti all’interno dei laboratori

di progettazione architettonica e tecnologica e si

esalta nelle loro tesi di laurea.

Come architetto Mario Zaffagnini non ricercava

mai l’innovazione a ogni costo, sosteneva che si

doveva essere distanti sia dalle mode che dai pro-

blemi di stile. Come Auguste Perret e Paul Valery,

che da regioni diverse e opposte sostenevano i

medesimi principi, pure Mario Zaffagnini avreb-

be condiviso l’affermazione che solo “(…) chi,

senza tradire i materiali né i programmi moderni,

avrà prodotto un’opera che sembri sempre esisti-

ta, (…) potrà ritenersi soddisfatto”10. È conscio,

Mario Zaffagnini, che il nostro lavoro si tradurrà

alla fine in una forma e che per tale forma ver-

rà soprattutto giudicato; ma egli non vuole mai,

e questo è molto difficile farlo comprendere agli

studenti dei primi anni, che si parta da dove si

vuol arrivare. Sono altre le ragioni da cui partire,

sociali, storiche, economiche, ecc. e sarà anche

su questi temi che lavorerà assiduamente nei

suoi corsi di progettazione ambientale a Firenze

e di composizione architettonica a Ferrara. Del

suo lavoro di architetto, e del suo impegno quale

3. Domus, in copertina e all’interno il progetto per l’edificio industriale Casor4. Gruppo Architetti e Urba-nisti Città Nuova, Progetti e Architettura 1961-1991, Electa

3 4

QUADERNI DI ARCHITETTARE 02 | MARIO ZAFFAGNINI ARCHITETTO32

progettista, mi piace ricordare due opere, elabo-

rate all’interno dello studio “Gruppo Architetti Ur-

banisti Città Nuova” : la prima volumetricamente

molto “piccola” e la seconda molto “grande”. La

più piccola è il riuso di tre livelli (interrato, terra

e ammezzato) di un immobile di via Testoni nel

centro antico di Bologna, destinato a laboratorio

eliografico e fotografico. Come evidenziato preli-

minarmente sono gli anni della conservazione a

ogni costo dei centri storici italiani e di quello di

Bologna in particolare. Zaffagnini, pur nel rispetto

generale del contesto e della volumetria esistente

non rinuncia al suo “essere moderno” e l’interven-

to che ne esce, garbato e raffinato, anche se ora

sommariamente compromesso, è ancora oggi un

esempio di come sia possibile intervenire nell’an-

tico, senza rinunciare al contemporaneo (a patto

però che lo si sappia fare). Penso al particolare

percorso pubblico meccanizzato ad anello che

penetra la quinta urbana senza turbare il preesi-

stente impaginato di facciata, e alla grande liber-

tà compositiva espressa nell’organizzazione degli

spazi interni pur nel rispetto degli elementi storici

da conservare.

Il secondo esempio, molto più “grande” e che cito

sempre volentieri, è lo stabilimento “Serenari e

Fiorentini” realizzato a Zola Predona di Bologna,

emblematico nell’ambito delle costruzioni per l’in-

dustria e riassuntivo di tutta una serie di tema-

tiche tipiche della progettazione architettonica.

è perfettamente percepibile la misurabilità dello

spazio con il ricorso a un modulo strutturale base,

ripetibile “n” volte; ed è chiaramente leggibile ciò

che è portato da ciò che è portante tramite una

sincerità e una onestà costruttiva che contribuiro-

no a fare di questo esempio di edificio industriale,

un modello unico e irripetibile11, ma soprattutto

una architettura “senza tempo”, testimonianza di

una linea interna di continuità nella storia dell’ar-

chitettura.

Il milieu architettonico, urbanistico e sociale,

descritto in precedenza e in cui Mario Zaffagni-

ni esercita con vigore e a tutto campo la propria

attività (didattica, ricerca, pubblicistica e profes-

sione) comincia a declinare, sul finire degli anni

’70, verso altri lidi e altre sponde. Le riviste d’ar-

chitettura (i cui redattori e direttori finiscono tutti

per essere amici-nemici di tutti) faticano, tranne

le solite eccezioni, a mantenere legami operativi

con la pratica professionale e cominciano a ca-

valcare la tendenza della cosiddetta “architettura

di carta”, costituita da progetti anche interessanti,

ma mai realizzati, su cui ci si dovrebbe intrattene-

re a lungo.

Ci si avvicina a una grande crisi che investe il pro-

getto modernista e che culmina nel 1980 alla

biennale di Venezia con l’allestimento della Stra-

da Novissima, nell’ambito della più generale mo-

stra che si intitola “La presenza del passato”, cui

partecipano molti architetti che, in parte, aveva-

no caratterizzato la XV Triennale del ’73 (Ungers,

Krier, Rossi, Scolari, ecc.) e moltissimi altri ancora

(Gehry, Bofill, Graves, Venturi, ecc.). C’è la riva-

lutazione in un’ottica particolare e, a distanza di

tanti anni potremmo dire anche forse supponente,

ma certamente strumentale, di Gardella e Ridolfi

5. Mario Zaffagnini all’ingresso dello studio, Bologna, 1991

5

QUADERNI DI ARCHITETTARE 02 | MARIO ZAFFAGNINI ARCHITETTO 33

(autori peraltro diversissimi). Una maniera tutta

italiana, ricorderà Pierluigi Nicolin, di giustificare il

nuovo grazie a una tradizione precedente.

Ebbene tutto quello che seguì, dal 1980 al 1990,

fu vissuto con distanza, da Mario Zaffagnini, al

punto che ne sospese il giudizio.

Si è assistito all’evolversi del moderno, del mo-

dernismo e della sua crisi, del postmoderno,

del decostruttivismo per giungere infine a una

sorta di oscillazione tra decostruttivismo e pa-

rametricismo.

L’architettura e l’urbanistica sempre più disatten-

dono gli obiettivi di carattere sociale che le ave-

vano contraddistinte in ogni epoca. Le ideologie

vengono sostituite progressivamente dalle ragioni

dell’immagine e del mercato.

Ogni città pare doversi rivolgere alla “firma impor-

tante” per entrare a buon diritto nel mondo della

moda subendo in tal modo il fascino discreto di

quella che Irace definì, sulle pagine del Sole 24 Ore

di qualche tempo fa, come la “sindrome di Bilbao”.

Da Form follow function siamo giunti a Form fol-

low fiasco e infine a Form follow market, ricorderà

Gregotti in uno dei suoi recenti volumi.

Il sistema della moda italiano ha veramente fatto

da volano alla brandizzazione della professione12.

Oltre a questa, il relativismo e l’indifferenza nel-

la globalizzazione delle conoscenze e dei sape-

ri, l’accentuazione di una sorta di fase nichilista

dell’architettura, l’incredibile serie di paradossi

che stravolgono i concetti di luogo e spazio, ma

soprattutto la triplice confusione, all’interno della

cultura architettonica odierna, “tra packaging e

progetto, tra creatività e inutile bizzarria, tra for-

malismo di consumo e forma”13 hanno portato ad

accentuare la autoreferenzialità dell’architettura

contemporanea, che deve stupire a ogni costo

perché, come ricorda La Cecla, la società di oggi

“non ha bisogno di edifici ma solo di messe in

scena di cui lo spettacolo ha bisogno per (poter)

andare avanti”.

Se a questo aggiungiamo che la cultura della città

soltanto ora pare occuparsi di anticittà quale fe-

nomeno che nasce non “dall’esacerbarsi estremo

delle condizioni di vita di una comunità, ma dal

trionfo della mediocrità e dell’ordinaria ripetizione

nello spazio di pochi modelli abitativi”14, ragione-

volmente potremmo concludere ponendoci una

domanda.

Quale atteggiamento assumerebbe, in un siffatto

contesto, un “riformatore” della società e un “in-

gegnere dell’anima” come Mario Zaffagnini ?

NOTE

1 G. M. Cusmano, Costruire tra due città: il piano di Madre di Dio, 1964 in AA.VV., Architettura a Genova: il Centro dei Liguri, ed. Foto-cromo Emiliana, Bologna, 1982, p.52 P. Nicolin, Notizie sullo stato dell’architettura in Italia, Bollati Bo-ringhieri, Torino, 1994, p.463 A. Rossi, Architettura razionale, ed. Franco Angeli, Milano, 1973, p. 224 F. Irace, Il Sole 24 Ore del 15 settembre 1996, p. 355 F. La Cecla, Contro l’ architettura, Bollati Boringhieri, Torino, 2008, p.496 “Parametro” n.10/1972, pp. 63 e ss.7 “Parametro” n. 8-9/1972, pp. 72 e ss.8 M. Zaffagnini, Performance, “Parametro” n. 7/1971, p. 59 V. Gregotti, Orientamenti nuovi nell’architettura italiana, Electa, Milano, 1969, p.10610 V. Magnago Lampugnani, Modernità e durata, Skira, Milano, 1999, p. 3211 Stabilimento a Zola Predona (Bologna)-Italia, in “Parametro” n. 5/1971, pp. 52 e ss.12 F. La Cecla, op. cit., p. 3613 V. Gregotti, Tre forme di architettura mancata, Einaudi, Torino, 2010, p. 11014 S. Boeri, L’anticittà, Laterza, Bari, 2011, p. XII

6. Manifesto del Premio PMZA, Premio MarioZaffagnini Architetto,indetto nel 2005 dalla Facoltà di Architetturadi Ferrara, prima edizione (design IntercityLAB)

6

QUADERNI DI ARCHITETTARE 02 | MARIO ZAFFAGNINI ARCHITETTO34

esiti del primo Settennio INA CASA si rivelano as-

solutamente coerenti alla congiuntura.

Le logiche produttive cominciano a registrare un

mutamento in atto verso la fine del decennio e

l’inizio della cosiddetta stagione del “boom eco-

nomico”. Complice l’avvicendamento generazio-

nale e la progressiva sostituzione degli impianti

produttivi, aggiornati secondo le più recenti teorie

fordiste d’importazione, allo spirito collaborativo

subentra drasticamente una netta separazione tra

momento ideativo ed esecutivo, e quindi di ruoli.

Al cosiddetto “operaio-massa” viene semplice-

mente chiesto di rispettare diligentemente una

consegna che non richiede alcuna competenza

specifica nella catena di montaggio. Il consolidarsi

di tale modello agisce simmetricamente, sul pia-

no delle relazioni socio-politiche, quale potente

stimolatore di logiche antagoniste, che trovano

nella vulgata “materialista” un potente vettore di

legittimazione ideologica. Parallelamente, l’avvia-

mento delle prime sperimentazioni di produzione

standardizzata di sistemi e componenti nel settore

edilizio, acuisce ulteriormente le divaricazioni, an-

che sul piano culturale, tra gli opposti partiti.

Il progressivo spostamento d’interesse verso l’in-

dustrializzazione del processo edilizio, dentro e

fuori l’Università, provoca una reazione veemente,

di cui si fanno soprattutto portatori l’Istituto Uni-

versitario di Architettura di Venezia e, in misura

minore, il Politecnico di Milano. È in questa fase

che si creano le condizioni da cui maturerà il co-

siddetto Neo- Razionalismo in architettura, che

proprio nel momento tipologico troverà una sua

Il rapporto che Mario Zaffagnini intrattiene con

le tematiche tipologiche risulta, in retrospettiva,

fortemente condizionato dalla specificità delle oc-

casioni accademiche e progettuali, mai disgiunte

dall’evoluzione del dibattito in corso, sia discipli-

nare che politico-economico. La sua formazione

universitaria e le prime esperienze nell’ambito del

Gruppo Architetti Urbanisti Città Nuova lo porta-

no a ricercare una relazione d’intima coerenza tra

momento ideativo ed esecutivo, tra teoria e pras-

si, tra processo edilizio e prodotto architettonico.

Tale atteggiamento, maturato dai primi anni ‘60,

non deve sembrare scontato, anche tra chi nutre

un sincero interesse per gli aspetti tecnologici del

mestiere, e va pertanto considerato in relazione a

quanto recentemente accaduto nel nostro paese.

Nel corso degli anni ’50, il prevalere di un sincero

spirito di collaborazione e solidarietà sociale, reso

necessario dall’urgenza della ricostruzione nel se-

condo dopoguerra, porta a interpretare politica-

mente il settore edilizio, quale potente volano del-

la crescita economica, in chiave dichiaratamente

“realistica”. La necessità di una strategia tesa a

garantire risposte a un’ampia offerta di manodo-

pera e il persistere di una diffusa cultura artigiana-

le di comprovata qualità giustifica la temporanea

rinuncia a un processo d’industrializzazione edili-

zia. Per altro, anche quando ciò accade, come nel

settore della meccanica, l’operaio interpreta an-

cora un ruolo fondamentale nella messa a punto

della filiera e dei suoi semilavorati, continuando

pertanto ad agire con spirito imprenditoriale. A

fronte di tali premesse, i criteri di gestione e gli

NICOLA MARZOT

la ricerca tipologica

Nicola Marzot, architetto, ricercatore in Composizione Architettonica e Urbana, Facoltà di Architettura dell’Università di Ferrara

QUADERNI DI ARCHITETTARE 02 | MARIO ZAFFAGNINI ARCHITETTO 35

1. Macromodulo,case a blocco

1

QUADERNI DI ARCHITETTARE 02 | MARIO ZAFFAGNINI ARCHITETTO36

compiuta, per quanto parziale, interpretazione e

una dimensione teorica totalizzante, in polemica

antitesi al cosiddetto “professionismo diffuso”. In

questa fase Mario Zaffagnini opta chiaramente

per un impegno a favore dell’industrializzazione

del processo edilizio, e delle relative implicazio-

ni, mostrando tuttavia una sensibilità che aspira

a superare la pericolosa contrapposizione tra pro-

duzione massificata e ripiegamento sul momen-

to tipologico del progetto, inteso quale fattore di

emancipazione intellettuale che contrappone al

tecnocratico anonimato della produzione indu-

striale l’impersonalità della produzione collettiva

derivante dall’esperienza condivisa della storia. Lo

fa rielaborando la lezione di Giuseppe Ciribini con

l’esperienza matura delle socialdemocrazie nordi-

che, in particolare quella olandese. Il suo interesse

per il Progettare nel processo edilizio1, parafrasan-

do un suo celebre volume, non può essere, infatti,

scisso dall’importanza tributata ai sistemi di coor-

dinazione modulare, mutuati dai lavori pioneristici

di John N. Habraken, affinché l’istanza progettuale

non risulti mai scissa dalla produzione. Quella ri-

cerca nasce infatti nello spirito neo-umanista di un

coinvolgimento del progettista e dell’utente finale

nel processo stesso, con l’obiettivo di conciliare

industrializzazione della filiera edilizia con la relati-

va disponibilità alla trasformazione secondo gradi

di libertà crescenti, dalla città all’architettura.

L’approfondita riflessione su questi temi porta così

Zaffagnini a rimanere fedele a un’idea del proget-

to quale momento di sintesi tra più saperi, che in

esso si coagulano direttamente attraverso la di-

sponibilità ad accogliere le molteplici istanze del

proprio tempo senza pregiudizi e riserve ideologi-

che, con un atteggiamento improntato a un sano

“realismo delle opportunità e delle occasioni“.

Nasce così la sperimentazione sul Macromodulo,

inteso come unità integrata di spazio, struttura e

volume, memore delle istanze dello “Strutturali-

smo” europeo, che garantisce il permanere del

carattere storicamente aperto del tipo edilizio, ca-

pace di risultare tanto “organico” allo spirito del

tempo, ovvero in accordo con esso, quanto in gra-

do di metabolizzarne gli esiti raggiunti all’insorgere

di mutate condizioni d’uso.

Negli anni ’80 appare ormai chiaro come la spin-

ta alla crescita, complice la grave crisi energetica

del 1974 e il conseguente diffondersi di un atteg-

giamento più responsabile nei confronti del pa-

trimonio ereditato, riconosciuto come risorsa non

riproducibile, sia giunta al termine. L’attenzione è

ora rivolta alla città esistente, da trasformarsi nel

rispetto di uno stile di vita sviluppatosi in manie-

ra autonoma rispetto ai condizionamenti materiali

originari. Tale attitudine riflessiva si consolida alla

approssimarsi del Postindustriale, che determina

le condizioni affinché aree strategiche poste a

ridosso dei centri storici si rendano disponibili a

seguito dei processi di redislocazione delle attività

produttive in funzione delle reti estese del mercato

globale. Ancora una volta Mario Zaffagnini registra

le mutate condizioni al contorno, accogliendone

in modo non pregiudiziale le implicite sollecitazio-

ni. L’industrializzazione del processo edilizio cede

il posto allo studio delle tecnologie tradizionali e

2

QUADERNI DI ARCHITETTARE 02 | MARIO ZAFFAGNINI ARCHITETTO 37

delle capacità produttive locali a supporto di po-

litiche di riuso più rispettose delle preesistenze,

mentre la riflessione sulla città nuova è sostituita

dallo studio del rapporto tra architettura e città

nella cultura edilizia preindustriale. Tale nuova

consapevolezza porterà a due importanti pubbli-

cazioni, Progettare nel tessuto urbano2, che nel ti-

tolo registra la sostituzione del processo, e Analisi

della Morfologia Urbana e delle Tipologie Edilizie3.

Coerentemente allo spirito che anima gli studi gio-

vanili, i tipi edilizi e le relative aggregazioni, alle

diverse scale di correlazione, vengono indagati in

una prospettiva dinamica e aperta alla società co-

eva, mantenendosi equidistante tanto rispetto alla

tradizione “continuista” di scuola muratoriana,

connotata dal primato dell’origine e condizionata

dalle relative ipoteche sul futuro, quanto dalla

modernità totalizzante che ancora permea di sé

la visione “rossiana” dell’architettura della città,

incapace di relativizzare la cultura del progetto al

proprio tempo storico. Quasi simultaneamente,

la capacità di sintonizzarsi sul persistente muta-

mento delle condizioni al contorno permetterà

inoltre a Zaffagnini di cogliere gli effetti collate-

rali del processo di riorganizzazione della città nel

crescente interesse per il recupero l’edilizia rurale,

il cui progressivo deterioramento è imputabile a

un malinteso progetto di emancipazione sociale,

risalente agli anni ‘60. I primi studi matureran-

no in un numero monografico della rivista Pae-

saggio Urbano4, mentre la prematura scomparsa

non permetterà al curatore di vedere consegnato

alla stampa l’ultimo lavoro, La casa della grande

pianura5. L’evoluzione dei tipi edilizi, mai disgiunta

dalla comprensione dei relativi condizionamenti

economici, sociali culturali, viene riletta attraverso

il fenomeno dilagante dell’urbanizzazione diffusa,

che ne garantisce la sopravvivenza a fronte di un

irreversibile mutamento di senso, per quanto ri-

spettoso. Quasi Zaffagnini voglia ricordare, in ul-

tima istanza, come non possa esistere conserva-

zione senza trasformazione, sopravvivenza senza

tradimento.

NOTE

1 Zaffagnini Mario (a cura di), Progettare nel processo edilizio, Edi-zioni Luigi Parma, Bologna, 19812 Zaffagnin i Mario (a cura di), Progettare nel tessuto urbano, Alinea Editrice, Firenze, 19933 Zaffagnini Mario, Gaiani Alessandro, Marzot Nicola, Morfologia ur-bana e Tipologia edilizia, Pitagora Editore, Bologna, 1995.4 Zaffagnini Mario (a cura di), Paesaggio Urbano, n° 1, Maggioli Editore, Rimini, 19955 Zaffagnini Mario (a cura di), La casa della grande pianura, Alinea Editrice, Firenze, 1997

2. Macromodulo,case a spina3. Macromodulo, casea corte

3

QUADERNI DI ARCHITETTARE 02 | MARIO ZAFFAGNINI ARCHITETTO38

del suo operato, vedo proprio in questi due fattori,

ovvero l’attenzione ai giovani e il rimettere in discus-

sione le posizioni acquisite, la direzione di una vita.

Per tutti noi dell’area della Tecnologia dell’Architet-

tura, compreso le generazioni precedenti, da Gra-

ziano Trippa a, tra gli altri, Giorgio Giallocosta, Mi-

chela Toni, Alfonso Acocella e al compianto Corrado

Latina, è stato non solo un talent scout, ma anche

un allenatore capace di formare talenti. Come fu

peraltro, per lui, il suo riferimento principale, quel

Pierluigi Spadolini di cui Zaffagnini si dimostrò de-

gnissimo erede come referente del gruppo istitutivo

del Dipartimento di Processi e Metodi della Produ-

zione Edilizia dell’ateneo fiorentino3.

Le prime esplorazioni di ricerca nell’ambito della

progettazione ambientale sul contesto della città

europea (condotte da Zaffagnini comunque entro il

perimetro dei contenuti propri dell’area tecnologica)

sono un esempio emblematico di questa sua fidu-

cia: per arrivare ai risultati pubblicati all’interno del

volume da lui curato Progettare nel tessuto urba-

no (Alinea, 1993) aveva inviato in giro per l’Europa

(1991) giovanissimi autori/ricercatori per raccoglie-

re rigorosamente materiale di “prima mano” e per

innescare a cascata nuove linee di ricerca.

Può sembrare strano, ma ho avuto sempre la per-

cezione che riuscisse il più delle volte a divertirsi

nelle indagini che affrontava. Questo atteggiamento

credo fosse per lui un’esigenza irrinunciabile: piutto-

sto imprevedibile e sempre originale, come i grandi

maestri, spronava spesso noi giovani a trovare argo-

menti e a misurarsi con studi in cui, al di là dell’indi-

viduazione di un contenuto disciplinare emergente,

Per non commettere errori nell’introdurre la figura di

Mario Zaffagnini si deve evitare in primis di presentare

il suo impegno suddividendolo in plurimi e diacronici

campi disciplinari e professionali1. La comprensione

dell’insegnante, dello studioso, del professionista e

dell’uomo dovrà avvenire, più che mai nel suo caso,

quasi in maniera “sinestetica”, incrociando contem-

poraneamente tutti i valori ed i risultati da lui semi-

nati sul campo ed accettando di buon grado qualche

ridondanza o sovrapposizione fra i saggi dei diversi

autori perché ciò serve a marcare con più vigore i ter-

mini di multidisciplinarietà e, si potrebbe dire oggi, di

“multitasking” che contraddistinguono il suo operato.

Il contributo che potrò qui dare è quello di un giova-

ne allievo2, non di un collega di lungo periodo. Per-

tanto, più che una trattazione del prolifico lavoro sul

piano della ricerca tecnologica in ambito nazionale,

dove Zaffagnini era diventato certamente uno dei

punti di riferimento maggiormente autorevoli, credo

opportuno provare a rileggere a posteriori l’impor-

tanza dei “semi” del suo sapere, ricevuti dalla mia

generazione. Che cosa essi hanno soprattutto rap-

presentato per un gruppo, allora, di giovani che ha

avuto la fortuna di avvicinarlo e di collaborare con

lui, attingendo al carisma della sua visione sempre

aderente alla realtà del processo edilizio. Perché,

è bene sottolinearlo, innanzitutto Mario Zaffagnini

amava circondarsi di giovani, dedicarvisi (aspetto

questo abbastanza raro, al di là di quello che si pos-

sa pensare, in ambito accademico) e con questi fare

ricerca, con un certo piacere e trasporto verso una

sfida fondata in primo luogo sul rimettere se stesso

ogni volta in gioco. Per individuare la bussola morale

PIETROMARIA DAVOLI

la ricerca tecnologica /un atteggiamento poliedrico e rigoroso, mai scontato, interdisciplinare

LA FIGURA

Pietromaria Davoli, Professore straordinario di Tecnologia dell’Architettura presso la Facol-tà di Architettura dell’Università di Ferrara

QUADERNI DI ARCHITETTARE 02 | MARIO ZAFFAGNINI ARCHITETTO 39

1. Mario Zaffagnini non aveva nulla del diffuso atteggiamen-to di ostentata superiorità che si riscontrava nelle figure di suo pari grado, ma faceva sca-turire e crescere le potenzialità di ciascuno, minimizzandone le carenze. Non sempre sceglieva come tratto distintivo dei suoi collaboratori solo i talenti già sviluppati in termini di eccellenza disciplinare e ca-pacità produttiva, ma sapeva leggere nelle diverse personali-tà le potenzialità e l’affida-bilità che avrebbero potuto fruttificare ed essere utili alla Scuola. Era una figura davvero di “peso”, anche se spesso sci-volava leggera ed inosservata, ma certamente non aveva con i giovani un atteggiamento autoritario, di tipo “baronale”. Non ha mai imposto percorsi obbligati, anche se tutti com-prendevamo come fosse uno studioso di spessore, coerente, rigoroso, a livello nazionale. Un uomo spesso di poche parole, che non amava spre-carle solamente per stare al centro della discussione e che quindi soppesava molto bene il momento in cui intervenire, specialmente all’interno dei gruppi di ricerca: a quel punto sintesi, genialità ed originalità, prendevano spesso, nel con-fronto, il sopravvento, fornendo interpretazioni del problema mai scontate. Dovrebbe essere ovvio nel mondo della ricerca, ma non lo è per niente nel campo dell’architettura: interveniva solo se aveva con-tenuti da esprimere, non per esserci e per affermare a priori una posizione o mantenere il presidio. (nell’immagine, Zaffagnini, a destra, in visita al Rettorato dell’Università di Modena, 1990)

2. Edifici residenziali a torre a Casteldebole (BO), 1976 (foto A. Mion, 2012).Gruppo di lavoro della Soc. Edinricerche: C.C. Buccolieri, M. Maccolini, G.N. Simonelli, G. Turchini, M. Zaffagnini.Il progetto tipologico e tecnolo-gico sono intesi come costante ricerca progettuale. L’uso di casseri rampanti (o cassa-forme automontanti, primo esempio in Italia dell’impiego integrale di questa tecnologia nella residenza per l’industria-lizzazione in opera delle fasi di cantiere) è certamente uno dei più forti limiti all’espressività del progettista e alla flessibili-tà tipologico spaziale. Eppure questi rigidi vincoli sono stati trasposti egualmente in un progetto di architettura. La società Edinricerche con sede a Bologna, di cui Mario Zaffagnini fu fondatore, ha rappresentato una struttura dove l’attività professionale sì è interrelata per anni, sotto la spinta ed il rigore della ricerca universitaria, con quella di indagini commissionate da diversi enti e soprattutto dal settore della produzione: un’applicazione sul campo leggermente differita nel tempo di tutto quel dibattito (da cui scaturì un bagaglio ricco e prezioso, per molti versi entusiasmante, inerente nuovi modelli di processo) sull’in-dustrializzazione edilizia, sul significato di innovazione tecnologica e sulla qualità, le dinamiche e gli obiettivi progettuali del processo edi-ficatorio; dibattito del quale Zaffagnini era stato attore in prima linea negli anni ‘70 e di cui fu poi esponente e studioso di riferimento a livello Italiano.

1

2

QUADERNI DI ARCHITETTARE 02 | MARIO ZAFFAGNINI ARCHITETTO40

fosse possibile appassionarsi a quello che si faceva,

trovando semmai un approccio diverso per scan-

sare la banalità e gli automatismi di un’indagine

o di un progetto scontati. D’altra parte la tesi fio-

rentina con Adalberto Libera (Centro turistico nelle

isole tremiti, 1961) è una testimonianza primigenia

di questa forma mentale: aveva deciso di riservarsi

un’esperienza speciale, inusuale, coinvolgente, che

raccontava sempre con entusiasmo.

L’ATTIVITÀ DI RICERCA NEL CAMPODELLA TECNOLOGIA DELL’ARCHITETTURA

Docente universitario autorevole, ma anche raffina-

to progettista, non esercitava la professione senza

che questa fosse permeata dalla ricerca progettua-

le e viceversa. Ogni progetto era dunque il prodotto

di una ricerca4. Lo contraddistingueva la volontà di

voler dar vita ad oggetti od organismi di architettura

in continuità con i saperi della tradizione, ma al con-

tempo con evidenti e sistematici contenuti di inno-

vazione propri della sua formazione universitaria e

culturale; primo fra tutti l’interesse verso le modalità

e le potenzialità di prefabbricazione dei componen-

ti edilizi quale strumento per l’innalzamento della

qualità nelle costruzioni5. Un architetto-insegnante

che credeva nella capacità di inventare continua-

mente modi e soluzioni per migliorare la vita dell’uo-

mo. L’uso della metaprogettazione tipologica e tec-

nologica era per lui il modo corretto per dichiarare la

centralità dei bisogni umani ancor prima del rispetto

delle logiche presenti nel mercato delle costruzioni

e nei modelli di processo edilizio. E tutto questo con

una curiosità d’animo ed una visione dei problemi

fortemente interdisciplinare6.

Il non essere un personaggio, mi si passi il termine,

“da rivista”7 era un altro aspetto di forte attrattivi-

tà che la sua figura esercitava: non ricercava mai

l’immagine apparente, anche se questo l’avrebbe

collocato forse nel gota dei progettisti eccellenti e di

“chiara fama”, ma la sostanza del fare architettura:

ci teneva a lasciare un segno duraturo, piuttosto

che immediatamente eclatante ed effimero al tem-

po stesso, fosse anche non necessariamente nel

progetto, ma, irrinunciabilmente, nei progettisti in

formazione.

D’altra parte, non è stato uno studioso che ama-

va fossilizzarsi sui cosiddetti cavalli di battaglia,

seppure prolifici; al contrario la propensione ver-

so l’approccio multitematico, uno spaziare denso

di curiosità, un ampio e talvolta inaspettatamente

integrato spettro di vedute con cui affrontava ogni

volta la ricerca tecnologica, l’aveva spesso condotto

ad aprire innovativi fronti di indagine: un esempio su

tutti i tipi edilizi affrontati sia dal punto di vista dei

minimi funzionali, sia della coordinazione modulare

per la loro aggregazione spaziale e per una corret-

ta ottimizzazione e semplificazione dei contenuti

tecnico-costruttivi; sia ancora dell’innovazione nel

campo del processo edilizio, dei suoi modelli e dei

sistemi costruttivi correlati, connotati da un elevato

livello di industrializzazione, fino al controllo ambien-

tale della qualità dei luoghi di vita. Ciò avveniva, in

particolate, attraverso l’interrelazione sinergica fra

le radici dell’architettura spontanea e la loro proie-

zione e reinterpretazione per il contesto contempo-

raneo, grazie all’implementazione degli strumenti di

34

QUADERNI DI ARCHITETTARE 02 | MARIO ZAFFAGNINI ARCHITETTO 41

controllo della Qualità Edilizia derivati dall’approccio

esigenziale-prestazionale. Una vera e propria forma

mentis, il modello esigenziale, dapprima elaborato

da Zaffagnini per la nuova costruzione in campo in-

dustrializzato, poi, verso gli ultimi anni del sua atti-

vità, traslato all’interno di una nuova proposta orga-

nica e sistemica per l’intervento sul tessuto urbano

a diverso livello di densificazione e storicizzazione8 e

per il recupero del paesaggio rurale, affrontato con

la logica della Progettazione Ambientale. Un tema,

quello del paesaggio, della percezione, della rico-

noscibilità delle sue forme che permea dunque sia

la struttura urbana densa, sia quella più rarefatta e

naturale della campagna.

Queste ricerche, le relative conclusioni e le prese

di posizione conservano inalterato il bagaglio tecni-

co e metodologico, gli strumenti e il rigore dell’ap-

proccio sistemico dell’indagine acquisiti nei lunghi

anni di ricerca nel campo della tecnologia dell’ar-

chitettura. Mario Zaffagnini amava poi ricordare

come alla terna vitruviana della firmitas, utilitas e

venustas occorresse oggi più che mai affiancare le

caratteristiche ambientali dell’architettura, legame

fra concezioni antiche e contemporanee, già insite

nel modo di costruire dei nostri avi, ma che devono

essere implementate attraverso i nuovi parametri e

le capacità di controllo della fisica tecnica e della

scienza bioclimatica.

Fu anche leader indiscusso di numerosi gruppi di

ricerca, spesso con il ruolo non scritto, ma eviden-

te, di discernere l’intuizione da mettere in campo,

il lampo di genialità che garantiva poi i crismi di

originalità per anticipare le dinamiche del settore

e rendere lo studio appetibile sul mercato. Studi

nazionali come quello per il PFE Progetto Fina-

lizzato “Edilizia”, sono stati possibili solo perché

nella pratica universitaria della Tecnologia era ma-

turato col tempo un dialogo evoluto con il settore

della produzione e perché, attraverso l’esperienza

dell’Edinricerche9, si era riusciti a stimolare l’im-

prenditoria dei costruttori ad investire sulla ricer-

ca, per individuare o meglio per inventare nuove

procedure e modelli costruttivi, contestualmente

alla progettazione di prodotti ad elevato livello di

innovazione10.

Le molte edizioni del SAIE Salone internazionale

dell’industrializzazione edilizia di Bologna rappre-

sentavano un altro strategico happening per l’in-

contro fra la ricerca universitaria, gli enti preposti

al governo dello sviluppo edilizio e le imprese. Una

lunga sequenza di avvenimenti cui Mario Zaffagni-

ni (membro del comitato tecnico) aveva dedicato

davvero tante energie, sia dal punto di vista delle

pubblicazioni collegate, sia della promozione conve-

gnistica che diventava anche opportunità di divulga-

zione dell’attività accademica.

La partecipazione a concorsi appalti con team di

progettazione qualificati e grandi imprese completa

questo stretto rapporto di trasferimento tecnologico

virtuoso: Mario Zaffagnini, assieme ad alcuni amici

e colleghi di lunga data come Carlo Cosimo Bucco-

lieri, Mauro Maccolini, Giuseppe Nicola Simonelli,

Nicola Sinopoli e Giuseppe Turchini, aveva capito

che il legame serrato con il mondo della produzio-

ne edilizia era il solo modo di riuscire a fare ricerca

scientifica seria in architettura.

3-5. Stabilimento industria-le a Castelmaggiore (BO), 1973-1978. M. Zaffagnini con la collaborazione di G.N. Simonelli. Sezioni e vista dell’esterno.Il modello progettuale ed esecutivo si basa su un “sistema edilizio aperto” (utilizzando la terminologia della ricerca tecnologica più innovativa di quel tempo), all’interno del quale i diversi componenti e le molteplici tecnologie disponibili sul mercato (dalle chiusure verticali con vetri U-glass color bronzo, ai setti e pilastri in c.a. a vista, dalle reticolari in ac-ciaio, al sistema di pareti attrezzate per l’articola-zione degli spazi) vengono inseriti in una matrice di riferimento (coordinazio-ne modulare, tolleranze, compatibilità fra differenti tecnologie e componenti e via dicendo). Tale matrice è se non la trasposizione sul campo dei principi elabora-ti nell’attività accademica di ricerca tecnologica sul fronte della possibilità di evoluzione dei sistemi di industrializzazione della produzione edilizia.(disegno 5 di Roberto Fe-del con Franca Evangelisti)

5

QUADERNI DI ARCHITETTARE 02 | MARIO ZAFFAGNINI ARCHITETTO42

Parafrasando “less is more”, gli si potrebbe attri-

buire un motto del tipo “fare meno cose, ma far-

le bene!” “Meno”, non “poche”. Questo è un altro

seme che ha connotato poi il modus operandi dei

suoi collaboratori, in particolare per quanto attiene

l’attività scientifica di ricerca e la sua trasposizione

comunicativa. Seppure Mario Zaffagnini ci lascia

un percorso lucido, denso e prolifico credo fosse

d’accordo con il fatto che l’università, in particolare

la facoltà di architettura, stesse iniziando ad attra-

versare un momento, “maturato” pienamente nel

periodo attuale, che può portare per molti versi alla

deriva se indirizzato alla iperproduzione di attività

che si possono facilmente documentare ed enfatiz-

zare, anche se non di grande spessore, attraverso

il potenziale estremamente accessibile e spesso

inebriante delle strumentazioni informatiche in tutte

le sue dinamiche rappresentative e comunicative11.

Era certamente un docente cui riusciva facile scri-

vere libri e coordinare gruppi per realizzare pubbli-

cazioni, quasi esclusivamente risultato di ricerche

scientifiche, che hanno costruito un rilevante corpo

di conoscenze critiche, su articolate e diversificate

tematiche, ma sempre con il medesimo rigore e la

stessa griglia metodologica: la serie di uscite edito-

riali collegate al salone dell’industrializzazione bolo-

gnese, il libro Progettare nel processo edilizio12, il

coordinamento generale a fine anni ‘80 e primi anni

‘90 del Manuale di progettazione edilizia13, solo per

citare tre fra le opere più conosciute, rappresen-

tano davvero grandi fatiche, lunghi coordinamenti,

ricerche personali per essere autore e non “solo”

curatore14.

6. Vista assonometrica della struttura tipo di una stalla fienile bolognese. Con lo studio del paesaggio rurale e del suo patrimonio costruttivo in progressivo abbandono, Mario Zaffagnini affronta un tema ancora poco esplorato, nel quale tenta, con un certo successo, di inserire, attraverso la pratica metapro-gettuale fondata sul sistema esigenziale-prestazionale, ele-menti nuovi e particolarmente delicati (giacché legati fino a quel momento a valutazioni esclusivamente soggettive): ci si riferisce alle richieste di prestazione in termini di riconoscibilità (e quindi di valorizzazione) dei caratteri tipici e testimoniali dell’archi-tettura (cfr. Zaffagnini M., Per un approccio esigenziale al recupero dell’edilizia rurale

del territorio della pianura bolognese, in “Paesaggio urbano”, n. 1/1995, pp. 78-92). Nello specifico i requisiti di riconoscibilità dei caratteri dell’ecosistema, dei caratteri tipo-morfologici, dei caratteri architettonico-decorativi, dei caratteri costruttivi, di riconoscibilità percettiva degli spazi, assieme ai requisiti di benessere microclimatico, di controllo del fattore solare e dell’accessibilità. Un campo di indagine che aveva rapito la sua attenzione nell’ulti-mo periodo di attività, già proiettata verso gli aspetti disciplinari della composi-zione architettonica, con l’intenzione di introdurre linee guida di intervento tipologico e tecnologico nel recupero e rifunzionalizzazione (in primis appunto del patrimonio delle

“case della grande pianura”) in grado di tutelare e valoriz-zare la memoria del costruito. Un’oggettivazione metodologi-ca, seppure sempre “umana”, che garantisse la scientificità dell’approccio.(fonte: Zaffagnini T., I materiali e le tecniche costruttive, in Zaffagnini M. (a cura di), Le case della grande pianura, Alinea, Firenze, 1997, p. 265) 7. Ricerca progettuale sulle tecnologie industrializzate per la realizzazione di gruppi di collegamento verticale ed oriz-zontale nel recupero e rifunzio-nalizzazione di edifici esistenti, 1978. Gruppo di lavoro: C.C. Buccolieri, M. Maccolini, G.N. Simonelli, M. Zaffagnini. Spac-cato assonometrico. Il sistema si fonda sul requi-sito di garantire collegamenti multi direzionali, adattabili ai

diversi contesti di intervento (pur se a forte componente di prefabbricazione fuori opera), in ordine soprattutto alla flessibilità dei livelli di sbarco e alla necessità o meno di integrare ascensori. Il “tubo attrezzato”, con diverse conformazioni planimetriche, ospita anche luoghi dedicati al passaggio dei montanti e delle dorsali impiantistiche. I tre componenti basilari sono l’in-volucro principale, realizzato con tecniche innovative come il coffrage glissant (cassafor-ma scorrevole), i rampanti fab-bricati in officina e assemblati in opera, gli elementi guscio tridimensionali e modulari, stampabili in materiale plasti-co ed aggregabili per formare le passerelle orizzontali.8. Ricerca per un sistema co-struttivo residenziale, basato

sull’impiego di diverse alterna-tive tecnologiche presenti sul mercato e realizzabile da pic-cole e medie imprese, 1982. Gruppo di lavoro: A. Gualandi, G. Inglese, M. Maccolini, M. Zaffagnini. Quadro sinottico.Il sistema è basato su una serie di opzioni aperte, integrabili fra loro, per la spe-rimentazione della Normativa Tecnica Regionale dell’Emilia Romagna. L’obiettivo è quello di individuare un repertorio di soluzioni tecnologiche in grado di soddisfare tutte i requisiti normativi. Le unità tecnologiche, i componenti ed i prodotti sono scelti in base alle capacità di impiego delle imprese coinvolte. Si tratta dunque di tecnologie piuttosto “leggere”.

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7

QUADERNI DI ARCHITETTARE 02 | MARIO ZAFFAGNINI ARCHITETTO 43

NOTE

1 Proprio come avviene in realtà, per evidenti esigenze di restituire un contributo a più voci, su questa rivista, ma così non è però nei fatti 2 Una nota personale. Mario Zaffagnini è stato molto semplicemen-te un Maestro per il sottoscritto. Dapprima come acuto e stimolante relatore di tesi (da cui scaturì, grazie al suo aiuto, il volume Davoli P., Architettura senza impianti, Alinea, Firenze, 1993), poi come do-cente al quale ho avuto l’opportunità di fare da assistente a Firenze già nella fase di un suo più forte interesse verso gli strumenti ed i metodi della Progettazione Ambientale (dal 1989 al 1992, con forte influenza degli studi anglosassoni sulla conformazione dello spazio antropico e dei parametri tecnici adottati nel Regno Unito), orientata al governo e all’evoluzione del fenomeno urbano. Il rappor-to prosegue come tutor nell’esperienza del dottorato di ricerca (sul tema a lui caro della rappresentazione con immagini dinamiche dei fenomeni costruttivi in architettura) e contestualmente come figura di riferimento durante la sua attività in Edinricerche, in cui il sotto-scritto muoveva i primi passi di giovane collaboratore professionale. Questo in un momento di passaggio fra la sua esperienza fioren-tina e la nuova sfida ferrarese (1990-1991), quando già la scelta di dedicarsi in toto alla formazione e alla governance accademica era maturata e di conseguenza in un periodo di allentamento forse definitivo sul fronte professionale, affidando sempre più il prosegui-mento dello spirito innovativo dell’Edinricerche ad altri, come Mauro Maccolini, Carlo Cosimo Buccolieri, Giuseppe Nicola Simonelli, Giu-seppe Turchini, come pure, nelle ultime fasi, l’architetto Gaspare Inglese. Era anche il momento di una stretta collaborazione con Graziano Trippa, futuro preside che sarà poi strategico, dopo la sua prematura dipartita, per il successo della nascente scuola ferrarese e a cui Mario Zaffagnini affidò la cura e la crescita dell’area disci-plinare della Tecnologia dell’Architettura, dal momento che l’espe-rienza ferrarese si era tradotta nel suo passaggio alla didattica e alla ricerca nel campo della composizione architettonica (1992) e alla direzione dell’Istituto di Architettura. Forse è proprio grazie a questo provenire da un settore per disseminare in un altro (si ricorda an-che che agli inizi della carriera fu nominato assistente volontario dei professori Adalberto Libera, Domenico Cardini e Giuseppe Gori in composizione architettonica) che egli iniziò ad incentivare a Ferrara (anticipando quella che sarebbe poi stata la logica dei Laboratori progettuali interdisciplinari e dei corsi integrati, con esami fortemen-te interrelati fra composizione e tecnologia) la metabolizzazione di una visione estremamente interdisciplinare. In essa la Tecnologia, area certamente di forte riferimento, iniziò a dialogare senza remore con le discipline e la ricerca del campo della progettazione architet-tonica, seppur sempre solo nella logica del “progettare per costrui-re” all’interno della quale egli si riconosceva appieno3 Dal 1988 al 1990 Zaffagnini fu anche direttore di questo pre-stigioso dipartimento, che aveva avuto per anni Pierluigi Spadolini come riferimento culturale 4 Cfr. ad esempio il processo di realizzazione degli edifici residenziali a torre di Casteldebole a Bologna (1976)5 Un’inclinazione palese già nel suo impegno all’interno del Gruppo Architetti Urbanisti Città Nuova). Nonostante le “contaminazioni” evidenti che questo interesse verso le dinamiche dell’industrializza-zione edilizia (sia di prefabbricazione fuori opera, sia di industrializza-zione del cantiere a pie’ d’opera o direttamente in opera) ha portato nella sua formazione e nel suo modo di pensare e di operare sul tavolo da disegno come parimenti dalla cattedra, Mario Zaffagnini è rimasto sempre, senza ombra di dubbio, un progettista “artigiano” con una predisposizione quasi maniacale verso il dettaglio, pur nella ricerca della soluzione semplice, essenziale, mai ridondante o gra-tuita, per nulla enfatica, ma non per questo povera o incompleta.

Un’architettura non di consumo e facile consunzione, ma pensata per “invecchiare” bene anche nei confronti del giudizio critico delle diverse generazioni 6 Non poteva dunque che esercitare un forte appeal nei confronti di neoricercatori che si accingevano a fare i primi passi nell’accade-mia e che vedevano spesso altri insegnanti già avviati nella carriera universitaria essere sì validi studiosi, ma fortemente monotematici e sovente scollegati dalla pratica professionale7 Nell’accezione negativo-contemporanea del termine, perché Zaf-fagnini fu in realtà spesso presente sulle riviste scientifiche nazionali ed internazionali di architettura con i suoi progetti e le sue ricerche.8 Inteso come fenomeno etico-morfologico, in una specie di ritor-no alle origini dei suoi primi interessi sulla tipologia della struttura urbana9 L’Edinricerche, Società di progettazione e ricerca per lo sviluppo dell’industrializzazione edilizia, opera a Bologna a partire dal 1976; era sorto al suo interno un rapporto osmotico e generatore di sane sinergie fra enti di ricerca progettuale e Accademia10 Tutto ciò avendo ben presente la necessità di una triplice carat-terizzazione delle soluzioni individuate: sistemi tecnologici di rapida esecuzione, elevata qualità del prodotto, capacità di soddisfare le nuove forme dell’abitare e della società umana di quel tempo11 Sfogliare a posteriori e per più volte il rapporto di una ricerca o la pubblicazione derivante da un lungo processo di indagine (atteg-giamento tipico di Zaffagnini) è un’abitudine sostenibile solo da chi sa di avere fatto con coscienza e passione il proprio mestiere ed è capace di trarne ogni volta stimoli e sensazioni positive per prosegui-re: se così non fosse, si metterebbero questi prodotti in un armadio in modo da imbattervisi il più raramente possibile! Questo rivedere, oltre ad una prefigurazione del successivo sviluppo, significa godere per il buon lavoro di ricerca svolto (come pure per un buon progetto); un risultato che anche a distanza di anni convince l’autore, compia-ciuto per avere lasciato un segno più indelebile di tanti altri livelli co-municativi più appariscenti, ma assolutamente transitori ed effimeri12 Edizione Luigi Parma, 1981. Un titolo di riferimento per molte generazioni di studenti a livello nazionale, dove la visione del fare architettura emergeva dalla consapevolezza di un’operazione corale e sistemica che coinvolgesse tutti gli operatori del processo attri-buendo a ciascuno eguale dignità, unico viatico per il buon esisto (elevata qualità) di opere complesse13 Edito da Ulrico Hoepli Editore, è una sorta di nuovo e molto più esteso manuale dell’architetto, che dava tuttavia anche spazio all’interpretazione critica dei fenomeni più recenti, frutto della finaliz-zazione ai massimi livelli soprattutto della ricerca in area tecnologica14 Altrettanto indicative per il forte contributo dato al settore delle costruzioni sono le pubblicazioni per le associazioni di produttori di laterizio e quelle che spingevano e “accreditavano” soluzioni avan-zate di industrializzazione edilizia per la ricostruzione post terremoto del Friuli (1976)

8

QUADERNI DI ARCHITETTARE 02 | MARIO ZAFFAGNINI ARCHITETTO44

fuori di essa, erano attivi numerosi gruppi di pro-

gettisti e sperimentatori radicali.

Si trattava di anni in cui era emerso in tutta evidenza

il problema energetico, anche a seguito delle vicende

connesse con la guerra del Kippur (1973) e le sue

conseguenze sull’approvvigionamento di petrolio.

All’emergenza, il nostro Paese stava cercando una

risposta nell’efficienza (Legge n. 373/1976 sul ri-

sparmio energetico). Ma, Oltreoceano, da tempo

stavano scricchiolando le certezze sulla possibilità

di intraprendere azioni efficaci limitatamente con

azioni tecniche: la guerra in Vietman, con le tra-

gedie dell’uomo e dell’ambiente, e la scomparsa

degli uccellini dal giardino del cittadino comune,

raccontata in maniera illuminante dalla biologa

Carson in Silent Spring, infatti, sono i poli di una

presa di coscienza sui confini del problema globale

dell’ambiente.

In questo clima, può essere naturale che da laure-

anda abbia pensato di dedicarmi a ricercare quegli

elementi di innovazione che l’attenzione agli aspet-

ti energetici poteva generare nella progettazione.

Per l’impegno professionale che il docente bolo-

gnese dedicava agli studenti, si può comprendere

anche come sia altrettanto naturale che, per con-

cludere il percorso di studio, mi sia rivolta a lui.

“Non ne so nulla”, fu la risposta che ebbi quando

gli chiesi di essere il mio relatore. Ma, naturalmen-

te, non era vero!

Nell’ateneo fiorentino Mario Zaffagnini teneva Cor-

si di Tecnologia dell’architettura, integrati con altri

docenti, e ne era l’anima indiscussa attraverso il

motore di una capacità di pensiero e di lavoro stra-

Parlare di Mario Zaffagnini attraverso il filtro di

un’esperienza di studio e di lavoro vissuta personal-

mente accanto a lui è un onore ed anche l’assol-

vimento di un dovere. Nel panorama di scarsa at-

tenzione nei confronti dei giovani, che caratterizzava

ampie zone dell’Università di tanti anni fa, la singo-

lare personalità del professore ed architetto bolo-

gnese risulta infatti un’eccezione, per il fatto che la

sua attività si è unita strettamente a quella di molti

giovani che ha contribuito a formare. Se si deve poi

mettere a fuoco uno specifico ambito di ricerca in

cui Mario Zaffagnini è stato attivo tra i primi, quel-

lo della cosiddetta sostenibilità, e si viene investiti

dell’onere di ripercorrere tappe di lavoro lontane,

l’esperienza personale di chi scrive diventa anch’es-

sa protagonista, costringendo ad intrattenere con

un racconto in prima persona che dà gioia, perché

le sperimentazioni progettuali dei decenni trascorsi

ora stanno iniziando a realizzarsi, anche per mano

della prima generazione dei nostri laureati.

Per spiegare il clima culturale degli anni in cui si

è sviluppata una nuova sensibilità nei confronti

dell’ambiente, devo aprire con un’immagine che

risale alla fine degli anni Settanta, quando da stu-

dentessa, aggirandomi per le strade di Firenze, ero

rimasta attratta da libri che mostravano in copertina

il Sole scintillante a tutta giustezza. Gli autori erano

per lo più fisici, che esprimevano con tabulati e gra-

fici un nuovo approccio al grande tema dell’approv-

vigionamento energetico a scala planetaria.

Erano presenti pochissimi architetti a parlare dalle

vetrine delle librerie. Ma, come dovevo apprendere

dopo qualche tempo, in Europa, ed anche al di

MICHELA TONI

la ricerca sostenibile

Michela Toni, architetto,professore associatoin Tecnologiadell’Architettura, Facoltàdi Architettura di Ferrara

QUADERNI DI ARCHITETTARE 02 | MARIO ZAFFAGNINI ARCHITETTO 45

1 Intervento di edilizia residenziale pubblica con utilizzo di dispositivi solari attivi e passivi, Concor-so Nazionale per idee Il sole e l’habitat, Ministero del’Industria – INARCH, 1979 (gruppo di lavoro: M. Zaffagnini, M. Toni).

1

ordinarie. In occasione delle lezioni, invitava in Fa-

coltà ricercatori, studiosi, progettisti, amministra-

tori pubblici per portare nell’Università il dibattito

che si svolgeva nelle realtà italiane più innovative

di quegli anni. E noi studenti capivamo di trovarci

in un cruogiolo particolarissimo.

Si trattava di una pulsazione di innovazione, riguar-

dante processi e sistemi costruttivi ed ambientali,

che si stava sviluppando nei contesti istituzionali

più evoluti del Paese – Regione Emilia Romagna,

Provincia di Milano, Friuli del dopo terremoto ecc.

– e che guardava intensamente al Nord Europa,

al Regno Unito, alla Francia per superare il blocco

delle mani sulla città e sul territorio mediante una

cultura della qualità intesa come impegno civile.

Per questo, venendo ad alcuni passaggi temporali

delle ricerche del maestro nell’ambito della soste-

nibilità, ritenere che tale lavoro sia una risposta al

bisogno di efficienza risulta fortemente limitante.

Come ricordato, il 1976 è l’anno della Legge n.

373. Nel 1979 l’UNI pubblica le prime norme

tecniche sui collettori solari che numerose azien-

de stavano iniziando a produrre anche nel nostro

Paese (NORME UNI n. 4184). Nello stesso anno il

Ministero dell’Industria e l’INARCH indicono il con-

corso nazionale per idee Il sole e l’habitat, in cui si

richiede di raggiungere, con dispositivi solari attivi

e passivi, il 70% del carico termico per il riscalda-

mento e la produzione di acqua calda sanitaria di

edifici di edilizia residenziale pubblica e scolastica.

Mario Zaffagnini mi offre la possibilità di parteci-

pare al concorso con un progetto basato sulla mia

tesi di laurea, di cui era stato relatore pochi mesi

prima1, ottenendo un premio. Innalzamento delle

qualità termodinamiche della costruzione, integra-

zione dei dispositivi solari con i tipi edilizi consi-

derati, evoluzione possibile delle tipologie edilizie

sono gli elementi di forza del progetto (1).

La volontà di porsi in stretta aderenza alla realtà,

con proposte immediatamente fattibili, è la strate-

gia che si crede vincente per introdurre elementi

di maggiore qualità nell’abitare. E un approccio di

questo tipo è portato avanti dal maestro bolognese

nell’ambito di un’attività di ricerca sulle tecniche

costruttive in laterizio che inizia negli anni Ottanta e

che confluirà in pubbicazioni, mostre, conferenze:

così si spiega perché uno studioso e progettista

che si era occupato con determinazione di indu-

strializzazione edilizia come mezzo per attuare su

vasta scala programmi costruttivi di elevata qua-

lità, in linea con esperienze europee e del nord

america che aveva conosciuto, diventi il primo ad

interessarsi anche delle evoluzioni possibili delle

tecnologie tradizionali, in quanto capaci di rispon-

dere in maniera straordinariamente efficace alle

emergenti esigenze della sostenibilità (2,3,4).

Oltre a promuovere l’innovazione all’interno della

produzione, nel corso degli anni Ottanta, l’architet-

to bolognese si impegna a sperimentare concre-

tamente idee innovative nella costruzione. Proprio

in quel periodo, si apre infatti una stagione molto

promettente di concorsi di progettazione, per par-

tecipare ai quali Mario Zaffagnini forma gruppi di

lavoro che fanno perno in Edinricerche. Tra questi,

il Concorso per idee per la nuova sede comunale

di Casalecchio di Reno (1981).

NOTE

1 Implicazioni tecnologiche nella progettazione in riferimento a fonti energetiche alternative, tesi di laurea di M. Toni, aprile 1979, Facoltà di Architettura di Firenze, relatore prof. Mario Zaffagnini

1

QUADERNI DI ARCHITETTARE 02 | MARIO ZAFFAGNINI ARCHITETTO46

4

5. Architettura come interfaccia energetica, Concorso per idee per la progettazione della nuova sede del Municipio di Casalecchio di Reno, 1981 (gruppo di lavoro: M. Zaffagnini (capogruppo),

3

2

2-4. Soluzioni costruttive in laterizio maggiormente performanti dal punto di vista energetico, da: Toni, M. “La qualità ambientale” in Zaffagnini, M. (a cura di), Rosso mattone, Luigi Parma, Bologna 1987.

G. Giacomelli, M. Maccoli-ni, S. Silvagni, F. Tinti, M. Toni, M. Zuccotti).

QUADERNI DI ARCHITETTARE 02 | MARIO ZAFFAGNINI ARCHITETTO 47

Il concorso è vinto con il motto “Un’idea in Comu-

ne”. E l’idea è quella di un edificio complesso, che

funziona come un organismo urbano in grado di

modificarsi in relazione ad un organigramma delle

fuzioni che porti i cittadini a relazionarsi stretta-

mente con la funzione pubblica. L’approccio alla

sostenibilità diventa parte strutturante del sistema

architettonico proposto nelle facciate, della confor-

mazione dell’edificio, nel suo insieme e nelle sue

parti, e dei materiali, scelti in modo da garantire

condizioni di benessere invernale ed estivo, con il

minimo ricorso ad apparati impiantisici e riduzione

del dispendio energetico (5).

Segue il Concorso-appalto (1984), vinto, a cui il

gruppo dei tecnologi bolognesi, con Mario Zaffa-

gnini come capogruppo, si prepara con una spe-

cifica attività di ricerca sul controllo dell’irraggia-

mento solare per minimizzare gli apporti calorici

nel periodo estivo.

Altre occasioni di ricerca nascono ancora una volta

da un clima culturale che sembra pronto per un salto

di qualità che si rivolge anche alle piccole e medie

imprese quando, tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio

degli anni Novanta, la Regione Emilia Romagna coor-

dina un Programma di sperimentazione nell’ambito

di quanto previsto dalla legge nazionale n. 94/1982.

In Edinricerche si porta avanti un’attività di ricerca fi-

nalizzata a progetti da realizzare nel settore dell’edi-

lizia agevolata, che rispondano a nuove esigenze di

qualità ambientale nelle strette interazioni tra cari-

chi termici ed illuminazione naturale degli ambienti,

Piani Operativi di Fattibilità e Progetti Definitivi di

Intervento, i cui elementi di innovazione possano

essere recepiti, per capacità costruttiva ed organiz-

zativa, dall’attività di piccole e medie imprese.

Mario Zaffagnini e Mauro Maccolini, accanto a lui

in questo tipo di lavoro, pur incamminandosi nella

parabola discendente della propria storia, affronta-

no il tema con un approccio estremamente inno-

vativo, e si confrontano con la materia viva della

sostenibilità ricercando le relazioni che occorre

mettere a fuoco tra obiettivi di innalzamento della

qualità delle costruzioni sotto il profilo tecnico e

qualità delle strutture d’impresa in grado di realiz-

zarle. E questo oggi, forse ancora più di quanto si

poteva intuire alla fine degli anni Novanta, significa

qualificazione degli operatori contro il lavoro nero,

correttezza dei rapporti negli appalti pubblici e nuo-

ve strade da ricercare all’interno del lavoro dell’ar-

chitetto per fare crescere il nostro Paese.

Poche battute ancora per parlare dell’Interporto

di Bologna (1983-1995), un lavoro in cui Mario

Zaffagnini, in procinto di lasciarci, non si stanca di

impegnarsi, e coinvolge i collaboratori in un’attività

di ricerca sulla qualità dell’ambiente sonoro degli

ampi spazi che devono essere previsti nell’opera,

confermando l’importanza di un ulteriore ambito di

approfondimento per la ricerca progettuale.

Come per tutto l’arco della sua attività di architetto,

quindi, anche in quest’ultimo passaggio in cui ho

avuto la possibilità di seguirlo parzialmente, Mario ha

voluto studiare prima di sperimentare nel progetto.

Come sempre, ha sentito la necessità di affrontare

un’attività di ricerca molto complicata sulla qualità del

nostro ambiente di vita, perché, come diceva, non

ne sapeva nulla. Ma, naturalmente, non era vero.

5

QUADERNI DI ARCHITETTARE 02 | MARIO ZAFFAGNINI ARCHITETTO48

organizzare i volumi secondo un prevalente assetto

geometrico: forme semplici, o opportune giustap-

posizioni e compenetrazioni di queste. La struttura

è l’elemento di mediazione obbligatoria tra l’idea di

spazio e lo spazio concreto: è una trama organizza-

trice del progetto.

Come il suo Maestro, Zaffagnini aveva l’impulso a

trasferire nell’architettura un mondo ordinato secon-

do categorie universali quali: la semplicità,l’integrità,

l’essenzialità e la durata che in architettura si mani-

festano, nel pensiero di Zaffagnini, attraverso una

corrispondenza tra geometria e costruzione.

Il titolo del libro, peraltro, espressione ricorrente in

tutta la cultura umanistica e architettonica, è il me-

tro con cui il Professore approccia sia il progetto

architettonico che il suo insegnamento in questo

periodo.

Parallelamente all’uomo come misuratore dello

spazio architettonico vengono intrapresi anche gli

studi sulla morfologia e tipologia urbana, che però,

dopo una ricognizione sullo stato dell’arte, virano

verso lo studio delle sue componenti meno urbane

e più extraurbane: un terreno in cui la tradizione del

moderno ha sempre fondato le proprie radici.

Il percorso progettuale è stato per il prof. Zaffagni-

ni molto lineare e soprattutto molto pragmatico.

L’aderenza al sapere moderno è dapprima conflu-

ito all’interno delle ricerche sul sistema esigenziale

della scuola fiorentina, per poi cercare una nuova

fioritura, nelle ricerche del periodo ferrarese, ripar-

tendo dalle basi stesse del vivere e quindi dell’uomo

e delle sue manifestazioni più semplici: il vivere lo

spazio rurale.

Nel 1994 viene dato alle stampe il libro “Architettu-

ra a misura d’uomo”1.

Questa pubblicazione curata da Mario Zaffagnini

sancisce il passaggio scientifico del suo interesse

verso la tecnologia a quello del progetto architet-

tonico.

Un percorso, peraltro già in qualche maniera propo-

sto dal suo maestro Adalberto Libera, con cui si era

laureato nel 1963 in composizione architettonica.

Il Prof. Libera, negli ultimi anni della sua carriera,

nel periodo fiorentino, si era dedicato al rapporto

tra progetto e tecnologia, cammino che il prof. Zaf-

fagnini, a ripercorso a ritroso, dal periodo fiorentino

in cui si è dedicato agli studi tecnologici a quello

ferrarese in cui si è rivolto agli studi sulla progetta-

zione architettonica.

Un percorso che si inquadra all’interno della vicen-

da dell’architettura italiana, in cui, a un linguaggio

architettonico omogeneo, si contrappone una realtà

in cui la tradizione regionale elabora nuovi compro-

messi con il linguaggio allora proposto, aperta agli

influssi provenienti da altri dove, contrattando volta

per volta la propria adesione alla modernità.

L’influenza di Libera di esplica soprattutto negli stu-

di che, Zaffagnini, compie sull’alloggio, sempre più

tesi alla teoria, all’astrazione (schemi aggregativi, si-

mulazioni distributive e funzionali, vedi il manuale di

“progettazione ediliza” edito da Hoepli) e alla siste-

matizzazione delle soluzioni dell’abitare. Così come

l’idea-guida della struttura-forma si coniuga con un

uso della geometria come sistema di controllo del

processo progettuale e sistema espressivo. Il pro-

cesso ideativo si esplica attraverso una tendenza ad

ALESSANDRO GAIANI

la ricerca progettuale

Alessandro Gaiani, architetto, ricercatore in progettazione ar-chitettonica e urbana presso la Facoltà di Architettura di Ferrara

QUADERNI DI ARCHITETTARE 02 | MARIO ZAFFAGNINI ARCHITETTO 49

1. Estratto dalla tesi di Laurea del Prof. Zaffagnini: insediamento turistico alle Isole Tremiti2. Copertina del libro Pro-gettare nel tessuto urbano, a cura di Mario Zaffagnini, Alinea Editrice, Firenze, 19933. Copertina del libro Archi-tettura A misura d’uomo, a cura di Mario Zaffagnini, Pitagora editrice, Bologna, 1994

1

2 3

QUADERNI DI ARCHITETTARE 02 | MARIO ZAFFAGNINI ARCHITETTO50

Da questi studi e da quelli sulla città, ricordiamo i

libri “Progettare nel tessuto urbano”2 e “Morfologia

urbana e tipologia edilizia”3.

Cronologicamente il libro “Progettare nel tessuto ur-

bano” è stato pubblicato un anno prima, ma appar-

tiene ancora agli studi effettuati a Firenze, presso il

Dipartimento di Processi e Metodi della Produzione

edilizia. Già però in quegli anni gli interessi di Zaffa-

gnini si stavano orientando sulla progettazione archi-

tettonica. In particolar modo il libro è il primo della

collana “dalle regioni all’Europa” e cerca di riscoprire

l’interesse per i valori della tradizione locale, “se non

altro come segno di continuità con la memoria storica

e la cultura delle singole aree regionali”4, fornendo un

contributo di idee e occasioni di confronto, alla ricer-

ca di un punto di equilibrio tra innovazione e storia,

tra cultura locale e principi generali.

Questa visione si muove all’interno di un percor-

so proprio dell’architettura italiana: unica fra tutte

le architetture europee, quella italiana ha sempre

contrattato la propria adesione alla modernità attra-

verso un sistema di filtri che la ponevano in grado

di dialogare con le risorse offerte dalla tradizione.

Successivamente, nel 1995 è stato dato alle stam-

pe il libro “Morfologia urbana e tipologia edilizia”, il

secondo libro dell’“Officina ferrarese di architettu-

ra” collana creata e curata dal prof. Zaffagnini per

affiancare l’attività didattica della Facoltà di Archi-

tettura di Ferrara con il compito di mettere a di-

sposizione degli studenti e degli studiosi in genere

materiale di base per la formazione e l’informazione

dei futuri architetti, nonché per divulgare i risultati

dell’attività di ricerca svolti nella Facoltà.

4

5

QUADERNI DI ARCHITETTARE 02 | MARIO ZAFFAGNINI ARCHITETTO 51

In questo secondo volume sugli studi sulla città

si è via via riformulato un nuovo pensiero che ha

reinterpretato sia gli studi urbani che quelli legati al

sistema esigenziale.

Da una parte riconoscendo come gli studi urbani

fino ad allora sviluppati non tenessero conto del

sistema interpretativo proprio dell’uomo ma ope-

rassero in una sorte di “sequenzialità oggettiva”

che era in realtà il vero limite degli altri studi fino

ad allora proposti, dall’altra, con lo stesso principio

di porre al centro l’uomo, un approccio alla qualità

dello spazio architettonico non più basato su rigide

regole esclusivamente esigenziali, ma su interpreta-

zioni “customizzate” dello spazio.

A tal fine citerei un passaggio di Giandomenico

Amendola, riportato dal prof. Zaffagnini all’interno di

un suo saggio: “si sta sviluppando rapidamente nel-

la professionalità tradizionale del progetto, un’area

che è connessa all’ascolto ed alla comprensione. Per

usare l’espressione di Lyotard, gli intellettuali – ma si

potrebbe anche parlare di progettisti o di professio-

nisti – hanno perso – o si avvierebbero a perdere – il

ruolo di legislatori per assumere quello più discreto di

interpreti di una realtà in forte movimento. Di ascol-

tatori attenti e discreti alla domanda”5.

Lo stesso Zaffagnini a chiosa di questo pensiero scri-

ve: “Fondare il proprio approccio progettuale sulla

domanda della gente è un modo arduo ed impegna-

tivo di affrontare il lavoro, esposto come è al relativi-

smo culturale capace di paralizzare ogni scelta”.

L’ultimo filone di ricerca e pubblicazione è legato

agli studi sulle “Le case della grande pianura”6 da

cui prende il titolo il libro in cui sono confluiti gli

studi relativi all’insediamento rurale sparso della

porzione emiliano-romagnola della pianura padana.

I vari contributi affrontano il tema da diverse an-

golazioni fornendo un apporto multidisciplinare alla

conoscenza dell’argomento, che si è sempre river-

sato nell’insegnamento all’interno dei laboratori di

Progettazione Architettonica in cui la multidiscipli-

narietà degli argomenti è stato il trait d’union degli

insegnamenti ai vari anni.

Le molteplici pubblicazioni, ricerche, lezioni che il

prof. Zaffagnini ci ha lasciato servono a delineare

alcuni elementi che possono essere una guida per i

giovani studenti e progettisti che oggi affrontano gli

argomenti della progettazione architettonica e che

possono essere riassunti nei seguenti tre punti:

1. il progetto come processo: già dal libro proget-

tare nel processo edilizio, i caratteri di processo

del progetto sono uno scheletro importante nel

metodo progettuale;

2. il passaggio da una architettura oggettiva pro-

pria del moderno ad una in cui gli spazi si ibri-

dano sulle esigenze della contemporaneità e

dei suoi fruitori;

3. il progetto come costruzione in cui il “pensare”

è legato al “fare”.

NOTE

1 Architettura a misura d’uomo, a cura di Mario Zaffagnini, Pitagora editrice, Bologna, 19942 Progettare nel tessuto urbano, a cura di Mario Zaffagnini, Alinea Editrice, Firenze, 19933 Morfologia urbana e tipologia edilizia, a cura di Mario Zaffagnini, Pitagora editrice, Bologna, 19954 Presentazione della collana a cura di Mario Zaffagnini all’interno di Progettare nel tessuto edilizio Alinea editore, Firenze, 19925 Da Amendola G., la domanda come misura della misura dell’uo-mo, in Paesaggio urbano n 2/1993, pag. 76 Le Case della Grande Pianura, a cura di Mario Zaffagnini, Alinea Editore, Firenze, 1997

4. Copertina del libro Mor-fologia urbana e tipologia edilizia, a cura di Mario Zaffagnini, Pitagora editri-ce, Bologna, 19955. Copertina del libro Le Case della Grande Pianura, a cura di Mario Zaffagnini, Alinea Editore, Firenze, 1997

QUADERNI DI ARCHITETTARE 02 | MARIO ZAFFAGNINI ARCHITETTO52

Il rapporto di Mario Zaffagnini con una rivista.

Per me, che sono entrato vent’anni fa in quel

mondo in punta di piedi e sono cresciuto nelle

redazioni e poi alla fine a dirigerla con il supporto

di un vasto comitato scientifico internazionale e

del vicedirettore Nicola Marzot, sono ricordi inde-

lebili. Chissà cosa direbbe Mario oggi, vedendoci

alle prese di un Paesaggio Urbano che, negli anni

della crisi, cerca di rilanciare e di dare sempre più

spazio alle idee!

Mi tornano in mente le sue parole di supporto,

che si coagulavano sempre come un consiglio de-

stinato a far maturare in noi un senso di fiducia e il

prezioso convincimento che avevamo una possibi-

lità diversa, che dovevamo dare valore alle nostre

scelte (di pubblicare o di non pubblicare) e che il

risultato di queste scelte costituivano una piccola

ricchezza destinata a lasciare una traccia.

Paesaggio Urbano è stata creata nel 1989 da un

editore illuminato, Manlio Maggioli, che propose a

un manipolo di professori universitari italiani una

scommessa. Un modo di vedere l’architettura e il

territorio che poi, negli anni, avrebbe trovato un

consenso e un’efficacia unica, recuperando e di-

fendendo un proprio spazio critico. Mario Zaffagni-

ni era uno di loro. Uno dei fondatori della testata

insieme a Mario G. Cusmano, Pierluigi Giordani,

Nicola Assini, Lorenzo Berna e Francesco Guerrie-

ri, a cui poi si aggiunse Paolo Baldeschi.

Le Direzioni Scientifiche erano un crogiuolo in cui

fondevano linee di saperi, analisi critiche, argo-

menti tematici in lunghi pomeriggi passati nell’ac-

cogliente filiale di Bologna in via Guerrazzi, diretta

MARCELLO BALZANI

l’esperienza editoriale /il paesaggio urbano di mario zaffagnini

allora da Gianna Corazza. Un luogo di luce raccol-

ta che raccoglieva da mezza Italia sul finire della

mattinata un campionario irripetibile di caratteri

(d’anima e di conoscenza) che iniziavano un gran-

de gioco attorno al tavolo che formava la forza

della rivista stessa. Paesaggio Urbano non è mai

stata e non è una rivista a senso unico, una rivista

di firma, una rivista che difende una visione tale-

bana e antagonista.

Nel cuore di Paesaggio Urbano c’è tanto l’anima

di Mario Zaffagnini e quel suo rapporto aperto e

curioso con il confronto critico.

Aperto alle nuove generazioni, in cui riversava una

fiducia, una disponibilità senza paragoni e una

cura alla vita di ciò che doveva diventare un archi-

tetto o un ricercatore.

Aperto alla società, oltre la torre d’avorio dei mo-

delli autoreferenziali dell’accademia, perché an-

che nuove voci della professione e della cultura

più ampia entrassero a far parte del gioco critico.

Aperto al coraggio di difendere le proprie opinioni

e i percorsi di ricerca intrapresi. E in questo Ma-

rio Zaffagnini era uno spettacolo. Me lo ricordo

all’opera tra i sentieri complessi di Pierluigi Gior-

dani, le evanescenti visioni di Nicola Assini, le dif-

ficoltose letture comparative di Lorenzo Berna e il

pragmatismo operativo di Paolo Baldeschi. Si ca-

ricava come una dinamo, elettrizzata dal cerchio-

ne ad ogni pedalata (sembrava di vedere Coppi

in salita, spingere e spingere) per poi entrare nel

merito con la lucidità tagliante di un lampo.

Alcuni suoi numeri sono memorabili e rimangono

ancora, dopo quasi vent’anni, dei punti di riferi-

“Capacità di dialogo e volontà di collaborazione, consapevolezza che il proprio ruolo si realizza se e in quanto partecipa con tutti gli altri al processo della costruzione”

Mario Zaffagnini, Progettare nel processo edilizio, 1981

Marcello Balzani, architetto, drettore di Paesaggio Urbano e del DiapRem, Centro Diparti-mentale per lo Sviluppo di pro-cedure automatiche integrate per il Restauro dei Monumenti del Dipartimento di Architettura dell’Università di Ferrara

QUADERNI DI ARCHITETTARE 02 | MARIO ZAFFAGNINI ARCHITETTO 53

QUADERNI DI ARCHITETTARE 02 | MARIO ZAFFAGNINI ARCHITETTO54

QUADERNI DI ARCHITETTARE 02 | MARIO ZAFFAGNINI ARCHITETTO 55

mento bibliografici. Mario Zaffignini curò La perce-

zione della città (1992), con i contributi di Mucci,

Scatasta, Scannavini, Gaiani Marco e Alessandro,

Acocella, Baricchi e Balzani, che diede vita non

solo alla nuova veste grafica della rivista ma an-

che ad una nuova idea del significato e del ruolo

che Paesaggio Urbano voleva contribuire ad offrire

nel panorama editoriale. Poi fu il momento de Il

restauro del paesaggio (1993), creato con l’aiuto

e il confronto di Dierna, Marocco, Orlandi, Blasi,

Corvi e Paolella. Un anno dopo venne la cura di Il

controllo della qualità urbana (1994), con contri-

buti di Caniglia, Imbrighi, Falasca, Rinaldi, Manfre-

dini, Ghirardelli, che rimetteva al centro il problema

del progetto architettonico all’interno del contesto

e del tessuto urbano. E infine voglio ricordare uno

dei suoi argomenti più cari, Gli insediamenti rurali

nel paesaggio agrario (1995), con i contributi di

Altobelli, Tunioli, Gaiani A., Savini, Zaffagnini T.,

Marzot, Cristofani, Lelli, che nasceva da una sua

importante ricerca sul territorio e sul paesaggio:

quella zona bianca che in Emilia-Romagna da luo-

go della creazione del valore (economico, cultura-

le, identitario) sembrava collassare nel non-luogo

dell’urbanizzazione e dell’abbandono.

A me capitò di prendere, tra il 1991 e il 1992, il

testimone da Giovanni Zannoni, che era il coordi-

natore editoriale, e di rifondare una nuova reda-

zione e poi di sviluppare da essa attraverso il con-

tributo della Direzione Scientifica una rivista più

coinvolta nella realtà. Una realtà che nell’attualità

di una sana austerity, imposta da una crisi econo-

mica generata dall’inappropriato e dallo specula-

tivo, chiede a ciascuno di noi, nei nostri ruoli, di

spingere al massimo l’acceleratore dell’intelligen-

za e della creatività, senza dimenticare ciò che c’è

di cosciente e di responsabile nell’azione proget-

tuale (di una architettura come di una rivista).

Adesso chiudo l’album dei ricordi. E ripenso al dia-

logo e alla dialettica consapevole che alcuni miei

maestri mi hanno educato a rendere possibile, a

facilitare, a trasmettere, e di come devo a loro

molto di quello che sono.

QUADERNI DI ARCHITETTARE 01 | ENEA MANFREDINI ARCHITETTO56

progetti e opereMICHELE GHIRARDELLI E GABRIELE LELLI

QUADERNI DI ARCHITETTARE 02 | MARIO ZAFFAGNINI ARCHITETTO58

EDIFICIO PER ESPOSIZIONE E VENDITA AUTOVETTURE - AUTOCOMMERCIALE / 1990Via Mazzini, Bologna

Mario Zaffagnini con Gaspare Inglese, Mauro Maccolini e Giuseppe Nicola Simonelli

L’edificio, nato come sede di una concessionaria auto (oggi adibito a banca), è ubicato in via Mazzini a Bo-logna.La forma dell’edifico segue il profilo del lotto che si svi-luppa perpendicolarmente rispetto al fronte stradale. Il piano terra è allineato al filo edilizio prevalente, mentre ai piani superiori la sagoma si protende verso il marcia-piede fornendo una prote-zione sull’accesso. I piani superiori slittano a seconda delle necessità.Le lamiere di alluminio pre-verniciato grigio metallizzato

rivestono la maggior parte dell’edificio e danno il carat-tere all’opera. Il linguaggio tecnologico coincide con il racconto compositivo con grande naturalezza e senza forzature.Sia la forma, sia il materia-le pongono quest’opera di grande sensibilità progettua-le di un’architettura come un oggetto che si inserisce nel paesaggio urbano. Il valore aggiunto di questo esempio di grande qualità è nella modellazione plastica dell’”oggetto”. L’edificio si deforma creando una serie di precise micro relazioni

spaziali con l’intorno tali da renderlo parte integrante con il fronte urbano di via Mazzini. Dall’attenzione e la perfezione dei dettagli costruttivi traspare la padro-nanza della materia costrut-tiva capace di trasformare componenti utilizzate in am-bito industriale in ingredienti di un’architettura delicata a misura d’uomo.

a cura di Gabriele Lelli

1-3. Fronti dell’edificio (Archivio Zaffagnini)4. Prospetti (Archivio Zaffagnini)5. Sezione (Archivio Zaffagnini)

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EDIFICIO RESIDENZIALE IN VIA MICHELINO / 1979BOLOGNA

Mario Zaffagnini con Gruppo Architetti Urbanisti Città Nuova

Il progetto di residenze in via Michelino, che oggi è adia-cente al distretto fieristico bolognese, si collocava sul limite fisico tra la città co-struita e il territorio agricolo. Sul rapporto col contesto, e sulla creazione di un senso urbano lungo il confine tra città e campagna si basano tutte le scelte progettuali dell’intervento. Il lungo edificio a sei piani con rivestimento in mattoni propone l’idea del “muro alla grande scala”, una presenza che “non si pone come oggetto narcisistica-mente diverso all’edilizia

preesistente, ma come se-gno urbano forte capace di inventare un senso al conte-sto” . Il peso dell’intervento e la forza del gesto urbano sono attenuati dalla testa-ta dell’edificio digradante a terrazze e dalla fluidità dello spazio porticato a pi-lotis a piano terra. Le aree esterne sono caratterizzate da ampie zone verdi e dagli spazi per i visitatori, mentre le autorimesse per gli alloggi sono interamente ipogee.Il fronte sud-ovest, è domi-nato dai volumi in aggetto delle ampie logge su cui si affacciano le zone giorno.

La modulazione chiaroscu-rale e l’uniformità del rive-stimento in laterizio confe-riscono una forte plasticità al prospetto. Il fronte nord est, come contrappunto for-male, presenta un profilo quasi piatto, contraddistinto da lunghe finestre a nastro.

a cura di Gabriele Lelli

1-2. Prospetto e sezione trasversale3. Planimetria generaledel piano terra4. Vista dell’edificio da nord est5. Prospetto sud ovestcon le caratteristiche logge sporgenti6. Rapporto con le torri del distretto fieristico. Vista dell’edificio dalla tangenziale

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LAMPADA NESSO, ARTEMIDE / 1963

Mario Zaffagnini con Gruppo Architetti Urbanisti Città Nuova

La Lampada Nesso nasce come proposta del Gruppo Cit-tà Nuova per un concorso ban-dito da Artemide e la rivista Do-mus. Il tema (la progettazione di apparecchi di illuminazione) viene svolto a partire da un’idea avuta in precedenza da Mattioli ma messa nel cassetto. Del resto, il tema dell’oggetto di produzione (rispetto all’impe-gno rivolto alle questioni archi-tettoniche e urbanistiche) non era centrale nelle ricerche del Gruppo e all’inizio l’assenso alla partecipazione non fu del tutto convinto.La caratteristica forma a fungo della lampada, descritta come

“una superficie curva conti-nua che dalla base circolare si restringeva per poi allargarsi sino a richiudesi nel grande cappello” pose il problema di rappresentare efficacemente la plasticità dell’oggetto. Scartata l’ipotesi (costosa e complessa) di realizzare un prototipo in la-miera, il Gruppo riuscì a realiz-zare, tramite l’aiuto di un amico produttore di barche in resina, un modello in vetroresina che venne fotografato per la conse-gna del concorso.La giuria (di cui facevano parte Castiglioni, Magistretti, Pere-sutti, Ponti, Scarpa e Zanuso) scelse questa proposta tra i

223 elaborati proposti.Nel corso della definizione dei disegni esecutivi, il modellino in vetroresina, con la sua calotta traslucida rivelò inaspettate qualità illuminotecniche , tanto da far scartare l’idea di produr-la, come previsto, in lamiera tirata al tornio e optare per la produzione seriale in poliestere.La lampada, che uscì sul mer-cato col nome di “Nesso”, fu esposta al MoMa di New York nel 1966; fu un successo da subito ed è in produzione an-cora oggi.

a cura di Gabriele Lelli

1-2. La lampada Nesso per Artemide. catalogo dell’Esposizione ufficialeal MOMA, 1969

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essere le adeguano a standard abitativi contemporanei. In que-sto concorre significativamente la riqualificazione della corte ter-gale, al momento declassata a spazio secondario. Si introduce una nuova funzione moderna ed indispensabile al di sotto del cor-tile: un’autorimessa la cui coper-tura viene attrezzata come area di pertinenza dedicata al gioco dei bambini.La stessa tesi sostenuta con coerenza in tutti i precedenti e successivi interventi di restauro: si possono risolvere problemi di forte impatto e aggiungere va-lore architettonico al costruito storico nello stesso tempo, se

RESTAURO DI EDIFICIO STORICO AD USO RESIDENZA E NEGOZI, RISTRUTTURAZIONE DI EDIFICIO UNIFAMILIARE/ 1975Piacenza

Mario Zaffagnini con la collaborazione di Vittorio Sartori

Un minuzioso lavoro accom-pagna entrambi gli interventi di restauro, un atteggiamento metodologico condotto con inin-terrotta coerenza verso le preesi-stenze storiche.L’approccio verso le porzioni di pregio ed attestabili con certezza è quello del restauro più rigoro-so, supportato da una grande conoscenza delle tecnologie an-tiche e moderne.L’eliminazione di incongruità e superfetazioni è sempre netta e decisa, motivata da solidi argo-menti di carattere morfologico e tipologico.Ma è nei punti più complessi, cioè le lacune, le porzioni non

interpretabili o irrimediabilmente perdute o alterate, che emerge la forza del Progettista, riven-dicando la piena autonomia e legittimità dell’intervento moder-no, ritenuto capace di misurarsi alla pari con la storia.Nel primo caso, l’edificio resi-denziale di via San Marco (anno 1973), il collegamento verticale viene sostituito con un vero pez-zo di design: una scala spiralifor-me che collega i tre livelli del fab-bricato ancorandosi a sbalzo su un cilindro perimetrale, restando completamente libera al centro e dichiarandosi come cerniera funzionale ed espressiva.Questa forma organica ritornerà

in altri tra i più complessi lavori di restauro di Mario Zaffagnini, per la capacità di distinguersi nettamente dalla preesistenza, instaurando quindi un dialogo senza equivoci.Anche la coste interna (perma-nenza dell’assetto tipologico ori-ginario ma fortemente degrada-ta) viene reinserita in un sistema di relazione distributiva con gli alloggi sui vari livelli.Nell’altro edificio di via del Ca-stello (anno 1975), destinato a residenze e negozi, i margini del nuovo intervento si ritrovano nella ripulitura dell’edifico da una serie di stratificazioni incongrue, che nel rispetto delle funzioni in

le soluzioni hanno u contenuto progettuale che va oltre al mero dato tecnico e funzionale.Due decenni dopo questa con-vinzione verrà sperimentata su un tema di forte criticità: con una serie di tesi di laurea, rac-colte poi in una pubblicazione, Mario Zaffagnini dimostra che anche un parcheggio può gene-rare un luogo urbano.

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1. Via del Castello, sezione longitudinale con la nuova autorimessa interrata e sezione sulla corte interna2. Via San Marco, viste della scala

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INTERVENTO DI EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA (LEGGE 94/1982) / 1983Bologna, località la Noce

Mario Zaffagnini con Gaspare Inglese, Mauro Maccolini, Giuseppe Nicola Simonelli

Il progetto del complesso re-sidenziale La Noce a Bologna nasce dal concorso appalto bandito dal Comune di Bolo-gna. Il bando era accompa-gnato da un “progetto guida” redatto dall’ufficio tecnico co-munale in cui figuravano 88 alloggi a schiera su due livelli (zona giorno al piano terra e zona notte al piano primo) di due tagli medio-grande (dai 4 ai 6 posti letto).Il progetto presenta un’orga-nizzazione interna degli allog-gi atta a garantire la presenza di una camera da letto (vicino al bagno) al livello inferiore, in modo da consentire agli

utenti una alternativa tipolo-gica in base alle proprie esi-genze. I vani abitabili hanno una forma tendenzialmente quadrata per una maggiore libertà di arredabilità. Questi requisiti distributivi concorrono alla definizione dell’elemento tipologico di base, che risulta di norma costituito dall’accostamento di un alloggio medio (tipo A, superficie utile di 80 mq) ed uno grande (tipo B1, superfi-cie utile 95 mq). Alla tipologia più grande B1 viene unita la B2, di pari dimensioni ma diversa distribuzione delle ca-mere da letto (la terza viene

spostata al piano primo).Gli 88 alloggi, ripartiti nelle tipologie A n. 32, B1 n. 44 e B2 n. 12, vengono ripartiti in 4 aree: 2 “insulae” da 20 alloggi, baricentriche rispetto al complesso, e 4 insulae” da 12 alloggi disposte in adia-cenza alle precendenti.La tecnologia proposta per la realizzazione dell’intervento si basa sull’ultilizzo di pan-nelli prefabbricati di due tipi: i multistrato ( cm 14 di cls. cm 5 di polistirolo, cm 5 di corteccia esterna in cls.), per la realizzazione delle strutture e delle chiusure esterne, e i monostrato (cm 14 di cls.),

con funzione di struttura o controventamento e parti-zione interna. I solai sono costituiti da lastre di cm 21 in cls. alleggerito con pani di polistirolo espanso. Le com-ponenti vengono collegati tra loro tramite giunti organizzati, con un getto di completa-mento in cls. e una sigillatu-ra esterna. La copertura è a falde con manto in lastre di rame. La finitura esterna dei pannelli è in ghiaia bianca la-vata e gIi infissi esterni sono a due ante in legno di abete verniciato scuro.

a cura di Gabriele Lelli

1. Sezione trasversale2. Planimetria generale delle “insulae” e piante delle tipologie (piano terra e piano primo)3-4. Immagini del modellino

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EDIFICI RESIDENZIALI A TORRE A CASTELDEBOLE / 1976Bologna

Mario Zaffagnini, Cosimo Carlo Buccolieri, Mauro Maccolini, Giuseppe Nicola Simonelli, Giuseppe Turchinie con la collaborazine di Mario Martelli

I due edifici a torre sono costituiti da 15 piani abitabili e conten-gono 135 unità abitative che si differenziano per numero e ta-glio, dai 45 ai 60 fino ai 90 mq, mescolati omogeneamente ad ogni piano.Il piano interrato contiene canti-ne e posti auto ed è coperto da una piastra pedonale attrezzata. Il piano terra è pubblico e com-prende spazi coperti per il gio-co, l’ingresso e un deposito per biciclette e carrozzine e locali di servizio.Gli spazi esterni di ogni alloggio sono stati attentamente curati: le logge hanno una forma com-patta e profonda in modo da

consentirne l’utilizzo quotidiano durante la bella stagione. Per gli alloggi di 90 mq, nume-ricamente prevalenti, sono state previste due soluzioni distributive a garanzia di un’ottimale esposi-zione solare: per gli alloggi orien-tati a sud la distribuzione interna risulta di tipo tradizionale, con la zona giorno adiacente all’ingres-so; per gli alloggi sul lato nord la zona giorno è stata decentrata in modo da svilupparsi verso i lati est ed ovest, evitando il nord.L’impostazione delle due torri, uguali per superficie e planime-tria, ha consentito l’organizza-zione delle opere in fasi distinte e coordinate, ottimizzando le

attrezzature di cantiere ed il ri-ciclaggio delle casseforme. Dal piano interrato, costituito da muri di contenimento in c.a. e piastra pedonale sostenuta da pilastri a maglia 6x5 m in c.a. , partono i pilastri cilindrici (diame-tro cm. 80) collegati, a livello del solaio del piano portico, da una trave in c.a. a vista, che funge da basamento alle pareti perimetrali portanti di ciascuna delle torri. Il primo solaio viene utilizzato come piano di lavoro per le re-alizzazione delle pareti, realizzate integralmente con casseforme rampanti automontanti.

a cura di Gabriele Lelli

BIBLIOGRAFIAL’industria italiana del cemen-to, agosto-settembre 1977, pag. 291 (“Nuovi sviluppi della tecnologia del calcestruzzo” di Sandro Buzzi)Modulo, n. 12, dicembre 1978, pagg. 1217-1229 (“Il cassero automontante: una esperienza italiana” di Mauro Maccolini)Ottagono, n. 53, giugno 1979, pagg. 50-55 (“Il cassero auto-montante” di Mauro Maccolini)

1. Pianta piano terra e piani tipo2. Sezione tecnologica

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3. Organizzazione del cantiere4-6. Immagini del cantiere7. Le torri oggi, 2012 (Fote A. Mion)

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EDIFICI RESIDENZIALI IN LINEA A CASTELDEBOLE / 1976Bologna

Mario Zaffagnini, Cosimo Carlo Buccolieri, Mauro Maccolini, Giuseppe Nicola Simonelli, Giuseppe Turchinie con la collaborazine di Mario Martelli

Gli edifici realizzati sono a tre piani abitabili e conten-gono 90 alloggi di vario ta-glio: da 60 mq, da 75 mq, da 90 mq, e da 105 mq. I quattro tipi di alloggio sono realizzati mediante l’aggre-gazione differenziata di 4 macromoduli. Gli inconvenienti derivanti dall’orientamento nord-sud sono stati evitati adottando la soluzione di soggiorno passante con doppio affac-cio, in modo da poter ga-rantire un utilizzo ottimale nelle diverse stagioni.Ad ogni alloggio corrispon-de un locale cantina al

piano seminterrato, in cui trova posto anche un par-cheggio coperto (1,5 posti auto per ogni alloggio).In uno degli edifici si tro-va, in corrispondenza di un passaggio pedonale che attraversa il quartiere e so-praelevato rispetto ad esso, un edificio per attività so-ciali raggiungibile mediante una scala esterna.La struttura è realizzata in setti trasversali in CLS gettati in opera e solai a pannelli laterocementizi. Il tamponamento consiste in pannelli parapetto-veletta in CLS ad andamento na-

striforme, placcati all’in-terno da pareti in laterizio con interposto isolamento termico. Gli infissi sono in alluminio anodizzato.

a cura di Gabriele Lelli

1. Macromoduli2-3. Cantiere4. Edificio sociale, 2012 (foto E. Farnè)5. Particolare di facciata, 2012 (foto A. Mion)

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prensione del mutato ruolo del fabbricato, non solo alla scala puntuale, ma nell’in-tero equilibrio della città.La relazione di progetto, conservata negli archivi della Soprintendenza bolo-gnese, è in realtà un trat-tato di analisi urbana, che solo nell’ultima parte si concentra sul recupero del fabbricato.Puntualmente, ripercorre tutti i passaggi, dalla tra-sformazione in palazzo in epoca rinascimentale, al consolidamento del ruolo specialistico nella inin-terrotta vita della Banca,

RESTAURO EDIFICIO STORICO E CONVERSIONE A CENTRO ELABORAZIONE DATI BANCARIO / 1971-1973Bologna, via Donzelle

Mario Zaffagnini con consulenza strutturale dell’ing. Claudio Comani

Ad una prima analisi que-sta esperienza di restauro, forse la più complessa e delicata, sembra rivelare un profilo meno noto di Mario Zaffagnini.In realtà, per numero e qualità, le esperienze di confronto con la storia furo-no molte e significative nei primi anni di professione, e trovano una continuità idea-le negli ultimi anni di attività accademica in una serie di ricerche progettuali alla sca-la di tessuto urbano.L’edificio è profondamente inserito nel tessuto me-dievale della città, in un

punto cruciale ben presto condizionato dalla presenza dell’Istituzione bancaria del Monte, la cui permanenza sarà da allora ininterrotta.Un precedente parziale re-stauro del 1969, sulla spin-ta di nuove esigenze per un centro di elaborazione dati, aveva ripristinato solo par-zialmente il fabbricato.La Banca del Monte di Bo-logna e Ravenna decise quindi una riorganizzazione più radicale ed incaricò nel 1971 Mario Zaffagnini.Come in altre occasioni, colpisce innanzitutto la chiarezza delle scelte: la

capacità di misurare i diver-si “pesi” qualitativi e quan-titativi di un edificio forte-mente alterato nei secoli, per poi procedere con tre criteri distinti ma coerenti, sia verso singoli materiali e componenti, sia verso il ruolo tipologico ed urbano.Per le parti superstiti e di riconosciuto valore si pro-cede con un ineccepibile restauro, supportato da profonda conoscenza delle regole originarie.Per le parti compromesse o scomparse, ma riconoscibi-li o ricostruibili, si procede con una riproposizione filo-

logica capace di ricucire la discontinuità. È il caso ad esempio di alcuni soffitti a cassettoni o di parte delle coperture lignee.Per le parti totalmente mancanti o compromes-se in modo irreversibile, si apre la finestra operativa più interessante, rifiutando l’acritica rassegnazione alla mimesi o al “falso storico”.È qui che la personalità di Mario Zaffagnini mostra la propria continuità. Non si li-mita al consueto approccio disciplinare ad un edificio storico, ma sente la neces-sità di partire dalla com-

1. Progetto per la strada pubblica di Via delle Donzelle e l’area di pertinenza

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2. L’edificio, già conosciuto come palazzo senatorio Paltroni. Immagine attuale.3. Lo stesso scorcio prima dei restauri del 1969.

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4. Vista attuale, in primo piano la sopraelevazione ottocentesca5- Lo stesso scorcio prima dei restauri del 1969

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al mutamento totale del contesto a seguito della creazione del percorso di ri-strutturazione di Via dell’In-dipendenza nel tardo otto-cento, sino alle più recenti modificazioni.Il restauro del 1969 aveva lasciato irrisolto il problema dello stravolgimento tipolo-gico subito nel tempo, con l’alterazione dell’impianto distributivo in pianta ed in sezione e lo svilimento del sistema di accesso (un portone monumentale alle cui spalle si succedeva una serie di spazi divenuti labi-rintici).

La proposta di Mario Zaffa-gnini rafforza la struttura a triplo corpo distributivo. Si risolvono così anche alcuni delicati ed incongrui disal-lineamenti delle strutture verticali.Altro punto da approfondi-re era il rapporto con una parziale sopraelevazione ottocentesca “in stile”, che col nuovo progetto diviene la parte più passibile di tra-sformazione interna.Il progetto trova la sua ef-ficacia soprattutto nella rilettura dell’andamento al-timetrico, cioè “in sezione” con una visione spaziale

tridimensionale, senza la quale sarebbero impensa-bili i risultati conseguiti.L’elemento più rilevante è la proposta di una scala nell’atrio di ingresso, che in origine era contenuto da una campata a forte svilup-po verticale chiusa da una volta a crociera. In una prima ipotesi la sca-la era concepita come una grande spirale, che dichia-rava esplicitamente la pro-pria autonomia morfologica e di datazione. Soluzione che si ritroverà in altri pro-getti di restauro di Mario Zaffagnini.

6. L’inaugurazione nel 1973 dell’edificio restaurato, alla presenza del Presidente della Repubblica Giovanni Leone. Al centro, Mario Zaffagnini

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7. Sezione di progetto con la scala spiraliforme della prima soluzione

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Nonostante per questio-ne di sicurezza vengano successivamente imposte rampe rettilinee, non si ab-bandonano i presupposti di progetto, e la soluzione è ancora più interessante.Si accentua il ruolo dei pianerottoli “volanti” come ricucitura dei livelli in sezio-ne, integrata da un tunnel pensile in vetro che attra-versa il vano scale e colle-ga autonomamente le aree tecnologiche del fabbricato.Soprattutto, si adotta una struttura in acciaio inox spazzolato, appesa soltan-to dall’alto: il dialogo tra

nuovo e antico si sposta dal piano morfologico a quello tecnologico e del design.Il volume dell’atrio resta così visivamente “passan-te” e trasparente, sia in profondità sia in verticale, sino alla volta a crociera. Concorre anche la luce naturale, che entra da una feritoia lunga e stretta aper-ta sull’angolo della scatola muraria. Soluzione che si ritrova nel più o meno coe-vo progetto di Mirandola (v. relativa scheda).I nuovi complessi contenuti funzionali dell’edificio sono supportati da una proget-

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8. La scala in un’immagine attuale, vista dal piano ammezzato (foto E. Farnè). Il corrimano ligneo rialzato risulta atto di recente adeguamento normativo della scala

9. Sezioni generale e dettagli esecutivi della scala

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tazione integrale che trova soluzioni e dettagli sia per le parti a più alta compo-nente tecnologica (impianti e centro elaborazione dati), sia per le zone a permanen-za di personale.Nel primo caso vi è la massima integrazione con le valenze artistiche ed a architettoniche, nel secon-do caso grande attenzione all’ergonomia e al benes-sere.A prescindere dal ruolo primario o secondario, tut-to, sino a cornici e corpi illuminanti, è studiato con la stessa cura ed efficacia

e collocato in un insieme organico e coerente, spin-to al dettaglio in scala 1:1 in ricche tavole “parlanti” con estese didascalie che trattano sia il merito, sia il metodo del progetto.Gli stessi spazi esterni dell’edificio, superfici oriz-zontali di pertinenza e stra-da pubblica prospiciente, sono oggetto di una pro-posta, purtroppo non rea-lizzata.Questa qualità omogenea ha consentito all’edificio una vita lunga e versatile, aperta anche a diversi ag-giornamenti recenti (anni

dal 1993 al 2003) ad un uso altamente qualificante: la sede di rappresentanza, mostre e convegni per la Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna.

a cura di Michele Ghirardelli

BIBLIOGRAFIAMateriali originali del ProgettistaManuela Rubbini, La residenza della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, Costa Edi-tore, 2006

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10. Particolare della scala, ultimo livello (foto E. Farnè)11. Dettagli delle zone ad uffici. Numerosi componenti sono disegnati specificamente, e le partizioni con pareti-libreria modulari sono

comunque calate punto per punto nel contesto architettonico ed operativo.12. Stralcio parziale di un disegno (le tavole originali sono lunghe sino a sette metri) dove la lettura di ogni traccia residua si

spinge anche ai dettagli più minuti13-14. Dettagli esecutivi “al vero” per le cornici delle porte interne15. Particolare della scala, dagli uffici (foto E. Farnè)

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NUOVO STABILIMENTO “CASOR” / 1973 (progetto) - 1974 (realizzazione)Castelmaggiore (BO)

Mario Zaffagnini - Calcolo strutturale e D.L. delle opere in c.a. ing. Giuseppe Nicola Simonelli

Una lucida analisi distingue gerarchicamente due ambiti funzionali. Il primo, un grande open space quadrato dedicato principal-mente alla produzione di capi di abbigliamento, è neutro e fles-sibile grazie a generose cam-pate strutturali rette da pilastri circolari in cemento armato (su maglia regolare quadrata di 14,40 metri), coperto da travi reticolari metalliche dal vivace colore giallo.Come “scatole” ospitate nel vo-lume principale, alloggiano qui anche le funzioni direzionali e di progettazione, delimitate da pareti attrezzate leggere e con-

trosoffittate con lamelle metalli-che bianche che generano una sezione “a misura d’uomo” nei luoghi più statici dell’attività. Unici blocchi predeterminati sono tre nuclei di servizi igienici, la cui eccezionalità nella regola è enfatizzata dalla cromia a ri-ghe diagonali.Tutto il resto è disponibile all’evoluzione dei processi la-vorativi nel tempo. Anche in sezione il volume è unico, de-dicando i primi quattro metri in altezza alle attività produttive e la restante fascia intradossa-le agli impianti lasciati a vista, con beneficio nella gestione tecnica, ma soprattutto con

chiaro intento di esaltazione architettonica della componen-te “machiniste”. L’illuminazione naturale è garantita dal taglio perimetrale alto, tamponato verticalmente con u-glas color bronzo, arretrato rispetto al pe-rimetro di gronda della grande lastra di copertura, generando in facciata una linea d’ombra che esalta le travi reticolari.A cingere tre lati della hall centrale si aggrega la seconda componente, un articolato as-semblaggio di volumi prismatici in cemento armato a vista più bassi, che contengono locali accessori, tecnologici e di cor-redo. Il quarto lato è organizzato

con un criterio analogo.Ad una prima lettura, la de-stinazione produttiva e l’uso dichiarato di acciaio, cemento armato e vetro narrano il Mario Zaffagnini “ufficiale”, promotore di materiali e processi costrut-tivi della modernità e dell’indu-strializzazione.Un edificio che nei decenni ha dimostrato la propria mutevole vitalità rivela invece una natura più profonda: un grande compo-sitore, che non si accontenta di risolvere i nodi costruttivi e di lay-out in maniera ineccepibile, ma li fonde in una sinfonia coerente.

a cura di Michele Ghirardelli

BIBLIOGRAFIADomus, n. 589, dicembre 1978, pagg. 22-24.Modulo, n. 1, gennaio 1979, pagg. 39-49.L’Industria delle Costruzioni, n. 91, maggio 1979, pagg. 5-17.Techniques & Architectures, n.328, dicembre 1979, pagg. 102-105.

1. La ripartizione dell’edificio nei suoi sottosistemi tecnologici, perfettamente coerenti con gli aspetti distributivi e gli intenti architettonici

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2. Sezione-prospetto del nodo tipo parete-copertura

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3-4. La “sinfonia dei giunti”5. Veduta d’insieme all’epoca di realizzazione

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in particolare gran parte della porzione dedicata al pubblico.L’idea non si esaurisce nella pur straordinaria traduzione in pareti curve di calcestruzzo a vista, ma si arricchisce nel rapporto tra portico antistan-te e cortile interno di attesa delle auto. Qui comandano l’acciaio e il vetro, in un gio-co di trasparenze passanti attraverso l’intero spessore del corpo di fabbrica dove ferve l’attività. Elementi ben apprezzabili anche dai clienti in auto, grazie al taglio a tut-ta altezza della parete vetrata diaframmata da un frangiso-le in esili elementi verticali in

calcestruzzo liscio ritmati da un passo variabile.La tensione non cala nem-meno nei dettagli. Pochi anni prima, nella stessa Bologna antica, Car-lo Scarpa aveva evocato la scabra matericità delle torri medioevali, superstiti nume-rose nel centro storico con una placcatura della facciata in cemento armato a vista solcato dallo stampo delle casserature (Negozio Gavina di Via Altabella, 1961-63).Ma la tessitura mutevole alla luce dei blocchi di selenite è traslata in modo molto più colto ed efficace nel tratta-

LABORATORIO ELIOGRAFICO ELIOS / 1966Bologna

Mario Zaffagnini con Umberto Maccaferri e Gian Paolo Mazzucato (Gruppo Architetti Urbanisti Città Nuova)

Si potrebbe pensare che un laboratorio eliografico, facen-do parte delle frequentazioni abituali di un architetto, sia un tema relativamente sem-plice. In questo caso, però è affrontato da un punto di vista completamente nuovo.Infatti, non si parte diretta-mente dall’oggetto, ma da un più ampio ragionamento sulla collocazione nel conte-sto urbano: una stretta via in pieno centro storico, con tutti i problemi di accessibili-tà connessi.Poi, un ragionamento a misura d’uomo, o meglio l’esperienza diretta della

quotidianità del mestiere: la corsa per la copia dell’ultimo minuto, l’impaccio dei rotoli di lucidi e dei pacchi di dise-gni stampati.Nasce allora l’idea originale, che quasi con affetto rispon-de al sogno dell’architetto frettoloso: una copisteria… “drive in”!Da questo spunto quasi ever-sivo si passa all’analisi delle funzioni complesse.Non c’è soluzione di con-tinuità: il flusso dei veicoli e il flusso delle attività di produzione delle copie sono assolutamente congruenti, e trovano materializzazione

in una serie di forme curvili-nee e sinuose. Queste, a loro volta, facevano parte di una apparato linguistico che Ma-rio Zaffagnini già maneggiava con sicurezza, mai gratuita, pochi anni prima (nella tesi di laurea e poi nella Casa di Cura di Iesi) e avrebbe poi distillato negli interventi più delicati, come le straordina-rie scale spiraliformi di alcuni suoi progetti di restauro.Il grande spazio dedicato alla circolazione veicolare veniva ampiamente ripagato dalla fluidità del servizio, che per-tanto contraeva i proposti spazi operativi, risparmiando

1. Pianta del livello principale alla quota stradale.

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mento martellinato delle pa-reti curve in calcestruzzo del laboratorio eliografico.Altri cammei di bravura sono gli innesti tra balaustre e pareti, o i nodi strutturali della potente struttura metallica impegnata ad ottenere il necessario open space operativo.Anche l’impiantistica a vista che corre sui soffitti e cala sui punti di lavoro diviene lessico architettonico, uti-lizzato negli anni successivi in altri edifici a destinazione produttiva dei “Città Nuova” e di Mario Zaffagnini in par-ticolare, precorrendo episodi (soprattutto inglesi e france-

BIBLIOGRAFIADomus, n. 453, agosto 1967.L’architettura cronache e storia, n. 197, marzo 1972Maccaferri U., Mazzucato G.P., Gruppo Architetti e Urbanisti Città Nuova, Electa 1992, pagg. 92-95.

si) internazionalmente noti. Il progetto vincente fu un’ar-ma a doppio taglio: lo stra-ordinario successo, dovuto anche alla formula funziona-le (senza nulla togliere alla capacità dei Gestori, che per tanti anni impressero sulla carta le idee di Mario Zaffa-gnini!) ben presto richiese l’ampliamento del laborato-rio a favore delle strumen-tazioni, e di conseguenza la necessità di una gestione …appiedata dei clienti.Ma resta il gusto di assaporare la forza di un’utopia che si con-cretò in fatti efficaci e difendibili, grazie a menti prive di pregiudizi.

D’accordo, ad entrare nel drive-in era ancora l’auto “amica” di metà anni ’60, ma questo rimarrà sempre l’atteggiamento logico, aper-to e possibilista di Mario Zaf-fagnini, per cui un problema non si risolve rimuovendolo, ma affrontandolo con la forza del progetto. Ecco perché ancora nei primi anni ’90 (dopo la demonizzazione del veicolo privato, spesso giusta, ma spesso acritica), sostenne che un parcheggio può restituire, o divenire esso stesso, un luogo urbano.

a cura di Michele Ghirardelli

2. Sezione passante attraverso il corpo di fabbrica, dal portico (a destra), alla corte di manovra auto (a sinistra)

3. Immagine dalla tesi di laurea di Mario Zaffagnini (1961, Centro Turistico alle Isole Tremiti, Relatore Prof. Adalberto Libera)

4. Una delle bocche che permettevano il passaggio delle copie senza scendere dall’auto, foto dell’epoca della realizzazione

5. Scala interna

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Il Centro si completa con un sistema di spazi aperti a scala infrastrutturale, lega-ti alla logistica (piazzale di sosta controllata e di sosta libera degli autotreni, zona di pesa dei mezzi, raccordo ferroviario di connessione dei sistemi ferro-gomma) di cui la prima palazzina uffici rimane il baricentro.Il rigore dei materiali e delle linee architettoniche (distil-late dal meglio dell’espe-rienza del moderno e del contemporaneo) è una precisa risposta a dettati fruitivi molto specializzati e impegnativi.

CENTRO DOGANALE DELL’INTERPORTO DI BOLOGNA / 1980 (prima fase) - 1983-84 (completamento)Bentivoglio (BO)

Mario Zaffagnini con Giuseppe Nicola Simonelli

Il progetto per l’Interporto di Bologna, centro di logistica merci con bacino di utenza a livello transnazionale, è una sfida impegnativa per dimensioni e complessità delle funzioni previste, dato anche l’esiguo numero di esperienze confrontabili in quel momento.Inoltre, il compimento di un’opera di questo tipo ha un respiro temporale che si misura sui decenni, sog-getto a cambiamenti anche non prevedibili nel medio-breve termine.Per la definizione delle tec-nologie costruttive e dei cri-

teri dimensionali-distributivi risulta preziosa l’esperienza che Mario Zaffagnini aveva già maturato nei campi del-la industrializzazione edilizia e della progettazione esi-genziale.Un importante lavoro me-taprogettuale individua tre gruppi fondamentali di strutture edilizie: conteni-tori, uffici, servizi, e per ciascuno di questi i tempi, modi e quantità della fru-izione. Determinanti sono le definizioni dell’aspetto logistico (traffico su gomma e su ferro), e di un Modulo Spaziale capace di gover-

nare gli aspetti costruttivi e tecnologici.La realizzazione del nucleo iniziale, il Centro Dogana-le (a sua volta previsto in due stralci successivi per gli uffici della dogana e per la prima linea di magazzini-ribalta con relative con-nessioni distributive), as-sumeva quindi un aspetto sperimentale. In particolare, l’edificio de-gli uffici doganali assume un solido impianto a corte, per i vantaggi distributivi ed aeroilluminanti rispondenti a un programma funzionale flessibile nel tempo e sog-

getto alla convivenza nello stesso organismo di attività sfasate nelle modalità e nei tempi di fruizione.Le complesse necessità im-piantistiche sono assorbite da sistemi di cavedi tecno-logici orizzontali e verticali, mentre la circolazione di persone e mezzi è gover-nata da un ricco e vario sistema di scale, ascenso-ri, rampe inclinate. Parte di queste ultime (carrabili e pedonali) divengono cernie-ra di snodo architettonico e funzionale rispetto alla linea delle ribalte del secondo stralcio.

1. Planimetria dell’intero comparto Centro Doganale. La palazzinadoganale a corte al centro del comparto è stata progettata da MarioZaffagnini e Enzo Zacchiroli con la collaborazione di Cosimo Carlo Buccolieri, france Jessen, Mauro Maccolini e Giuseppe NicolaSimonelli

2. Un tratto delle ribalte ferro-gomma correlate al Centro Doganale

3. Profilo dell’intero sistema

4. In primo piano il corpo uffici doganali, in secondo piano le ribalte

5. In primo piano le ribalte, in secondo piano il corpo uffici doganali

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A distanza di decenni le scelte si sono dimostrate efficaci. Una sorta di “im-magine coordinata” che ha potuto governare archi di-mensionali e temporali così vasti, e ancora oggi guida, con molteplici possibilità di variazione e aggiornamen-to, le realizzazioni in corso.L’obiettivo fu quindi cen-trato al primo colpo, dato che altre decine di edifici seguirono nello sviluppo del masterplan, mantenendo sempre alcune invarianti progettuali di base.

a cura di Michele Ghirardelli

BIBLIOGRAFIAZaffagnini M. (a cura di), Ma-nuale di Progettazione Edilizia, Hoepli, Milano 1992, Vol 1, Tomo 2, pag. 1966Kineo, n.3, 1994, pagg.10-15.

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CASA DI CURA / 1964Iesi (AN)

Mario Zaffagnini con Umberto Maccaferri e Gian Paolo Mazzucato (Gruppo Architetti Urbanisti Città Nuova)

Sono anni di grande speri-mentazione sulle caratteristi-che tipologiche e distributive dell’architettura per la sanità. La cultura anglosassone è in posizione di punta: pochi anni dopo avrebbe avviato l’esperienza degli ospeda-li “Best-Buy”, “Harness” e ”Nucleus”, dove sono prota-gonisti i temi della flessibi-lità, della crescita per parti, dell’integrazione edificio-im-pianti e del benessere psico-fisico di pazienti ed operatori.Al momento del progetto il dibattito è ancora aperto e si muove tra ipotesi molto diverse: dall’ospedale mo-

noblocco, al poliblocco, alle “piastre”, a proposte di rivi-talizzazione del precedente modello a padiglioni.Mario Zaffagnini dedica un’attenzione continuamente aggiornata alla cultura pro-gettuale internazionale ed anglosassone in particolare, con specifico riguardo alla sperimentazione tipologica, di linguaggio architettonico e di processo tecnologico.Viene deciso un assetto poli-blocco, con chiara distinzione volumetrica e morfologica tra un corpo per le degenze, un nucleo per la diagnostica, le cure e l’amministrazione ed

una cerniera distributiva verti-cale intermedia che collega a ponte le altre due parti.Ciò consente un assetto funzionale efficace, coi col-legamenti verticali principali baricentrici al sistema, garan-tisce affacciamenti ottimali e risponde ad un programma che prevedeva ampliabilità e realizzazione per stralci.La linea curva che caratteriz-za la pianta ed gli alzati del corpo principale, quello delle degenze, non è una scelta formale gratuita, ma è il risul-tato di un rapporto stretto tra lay-out, scelte tecnologiche e caratteristiche del sito.

La classica struttura a corsia con triplo corpo distributivo, con corridoio centrale e ca-mere sui due lati contrappo-sti, induce ad uno sviluppo lineare accentuato con pos-sibilità di futuri ampliamenti sulle testate, semplicemente proseguendo il corridoio.L’andamento sinuoso del cor-po delle degenze si adagia nel paesaggio in consonanza col territorio declive, atteggia-mento confermato in sezione dalla curva della copertura e dal modesto sviluppo in altezza (quattro piani massi-mo). La forma “ad esse” ge-nera anche un interessante

rapporto tra fronte e retro, delineando aree di pertinenza esterne confortevolmente av-volte dal fabbricato.Internamente l’andamento non rettilineo del corridoio crea un ambiente costruito continuamente mutevole e sti-molante, fattori fondamentali per il benessere di un’utenza particolarmente fragile.Il corridoio costituisce anche uno dorsale di distribuzione impiantistica orizzontale ad ogni piano.Le scelte architettoniche sono altrettanto chiare: la strut-tura in cemento armato è tamponata in laterizio a sua

1. Sezione sui tre corpi di fabbrica e pianta del piano terra

2. Prospetti del corpo delle degenze

3. Scorcio di una testata del corpo delle degenze

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volta rivestito in gres opaco colore bruno. Solo nel corpo di distribuzione verticale, con ampie bucature, la struttura è dichiarata. Una volta realizza-to anche l’ampliamento delle degenze, una testata viene completata con balconi in ce-mento armato che riprendono il linguaggio della curva. Notevole il dettaglio del ca-nale di gronda tenuto legger-mente distaccato dal manto di copertura, con l’effetto di rendere quest’ultima “galleg-giante” nell’aria enfatizzando il dinamismo delle linee curve.

a cura di Michele Ghirardelli

BIBLIOGRAFIAMaccaferri U., Mazzucato G.P., Gruppo Architetti e Urbanisti Città Nuova, Electa 1992, pagg. 78-83.

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L’edificio, nel cuore del cen-tro storico di Ravenna, deriva da successivi ampliamenti di un nucleo iniziale sede sin dal 1491 del Monte dei Pegni, che nell’800 divenne Monte di Pietà e all’epoca dell’intervento si era attualiz-zato in una agenzia bancaria.Già nel 1955-57, una radi-cale azione di trasformazione ed ampliamento, come rile-va lo stesso Mario Zaffagnini nella sua relazione di proget-to, snaturò completamente l’impianto originario dell’edi-ficio quando venne adibito il piano terra a unica sala. Fu così portata alle estreme

conclusioni una modificazio-ne stratificata per secoli, che aveva sottratto, trasformato e rifuso insieme originarie cellule via via sottratte alla destinazione abitativa, sino a quando “i mozziconi residui dei setti trasversali, al di là di una faticosa connotazione di tipo statico, non riescono ad esprimere alcunché sul piano tipologico”.Il fenomeno sin da tempi remoti aveva interessato un numero crescente di unità contigue, dato che continua e sempre crescente risulta-va l’importanza dell’Istituto nella storia della città, co-

stituendo un’emergenza a livello storico ed economico “e quindi a-spaziale”.Peraltro, tale importanza funzionale non trovava ri-spondenza nella modestia del contenitore sul piano ar-chitettonico.Vincolare la salvaguardia dei soli dati edilizi avrebbe fatto perdere di vista valori stori-ci ben più importanti per la città. L’intervento del 1955-57 aveva fallito proprio nel tentare di mediare tra que-ste due posizioni: la pretesa in piccola scala di coniugare una urbs e una civitas non più conciliabili.

Per Mario Zaffagnini non ci sono mezzi termini: o si sal-va la funzione, o si salva lo spazio.Nel primo caso, con un salto di scala dimensionale nei ra-gionamenti, propone di con-servare l’attività del Monte, ripartire da un edificio ormai perduto nella connotazione architettonica, ma invece ben sedimentato se si ope-ra una “lettura ambientale di questa parte del tessuto urbano”.Infatti, uno sventramento aveva permesso una parziale visione frontale dell’edificio, prima osservabile solo di

scorcio, tanto da “costituire elemento determinante nella percezione visiva dell’am-biente”.All’interno e nella corte ter-gale, intervenire poi libera-mente con un’architettura finalmente all’altezza del contenuto.In alternativa, provocato-riamente (e riteniamo in acquiescenza elegantemen-te polemica e simulata a qualche conservatore troppo acritico), ipotizza un inter-vento filologico di restauro, con ricostituzione dell’origi-nario passo cellulare, a cui però sarebbe dovuta inevi-

1. Pianta del piano terra

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SEDE BANCARIA / 1974Via Diaz, Ravenna

Mario Zaffagnini con la consulenza strutturale dell’ing. Claudio Comani

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tabilmente seguire la ricon-versione ad uso abitativo nell’impossibilità di esercita-re la funzione specialistica in spazi frammentati.Ovviamente l’Architetto ha tutta la solidità per proporre solo la prima opzione, non solo come risposta proget-tuale, ma come atteggia-mento culturale e di onesta intellettuale.Nei disegni e nel bel plasti-co di progetto qui riprodotti si ritrovano allora alcuni dei dispositivi con cui Mario Zaffagnini in altre occasioni istruisce il dialogo tra moder-no ed antico: il nuovo ruolo

determinante dato alla corte, prima secondaria ed intro-versa; la scala spiraliforme a denunciare la propria auto-nomia progettuale e storica; il rifiuto della mimesi, con nuovi volumi ben leggibili per funzione e per fase di sedi-mentazione nell’organismo; il ragionamento “in sezione” con elegante uso di fonti di luce naturale dall’alto e di sistemi distributivi “a ponte” tra corpi diversi.

a cura di Michele Ghirardelli

2. Sezione trasversale

3-7. Viste del plastico di progetto

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RESIDENZA / 1972Mirandola (MO)

Mario Zaffagnini con la collaborazione di Domenico Maria Gioia e Giuseppe Nicola Simonelli (strutture)

Un lotto di dimensioni limitate e la presenza di edifici circo-stanti impongono una pro-gettazione basata su alcune scelte generali forti, e poi ar-ticolata su occasioni minime, su dettagli e piccoli scarti.Una strategia che dimostra la raffinatezza del disegno sen-za prevaricare il tono dimesso del contesto periferico.Una pianta quadrata molto compatta, resa però dinami-ca dalla composizione impo-stata sulla diagonale, su cui si giocano le sottili relazioni della composizione.Ciò è leggibile in senso plani-metrico, nel dosare le apertu-

re e misurarne con attenzio-ne l’orientamento, in senso altimetrico, sfalsando il livello dei vari ambienti al piano ter-ra ed aprendo un doppio vo-lume affacciato sul soggiorno d’angolo, in senso volumetri-co, improntando la copertura con due falde a compluvio sulla diagonale stessa.I due angoli opposti uniti dal compluvio sono rimarcati. Nel primo, una vasca pensile in lamiera smaltata di raccolta delle acque piovane conclude funzionalmente e compositi-vamente l’andamento della copertura.Sullo stesso angolo la ten-

sione progettuale è caricata anche dalla presenza del sog-giorno, che comporta la pre-senza dell’unico grande af-faccio libero vetrato al piano terra e di un corrispondente trattamento particolarmente accurato delle sistemazioni esterne.L’angolo opposto al soggiorno è marcato per tutta la sua al-tezza da una forte lesena in muratura che contiene, inte-grandola architettonicamen-te, la canna fumaria degli impianti di riscaldamento.L’assenza di sporti e rientran-ze, assieme ad un trattamen-to materico assolutamente

semplificato (intonaco tin-teggiato), suggeriscono l’idea di un volume puro, su cui si sia successivamente interve-nuti sottraendo mediante la convessità della copertura e smaterializzando due angoli estranei alla direttrice dia-gonale con strette aperture verticali.Altre aperture al piano terra e primo sono minuziosamente calcolate per evitare l’intro-spezione. Al piano terra in ciò concorre una schermatura frangisole.In anni recenti la copertura in fibrocemento di colore bru-no è stata opportunamente

sostituita con una metallica, che sostanzialmente non al-tera il concetto di un volume puro, tagliato in modo netto lungo i tracciati spaziali che ordinano il progetto.Le tecnologie adottate sono di tipo tradizionale, benché mostrino un’attenzione molto innovatrice per l’epoca riguar-do all’efficienza energetica dell’involucro.

a cura di Michele Ghirardelli

1. Piante dei due livelli

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BIBLIOGRAFIAZaffagnini M. (a cura di), Ma-nuale di Progettazione Edilizia, Hoepli, Milano 1992, Vol 1, Tomo 1, pagg. 318-319

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2-4. Esterni ed interno della casa oggi, 2012. (foto A. Mion)

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RESIDENZA UNIFAMILIARE / 1962 - demolitaCamposanpiero (PD)

Mario Zaffagnini con Pierluigi Cervellati, Umberto Maccaferri, Gian Paolo Mazzucato, Giorgio Villa (G.A.U.C.N.)

È evidente il riferimento al fienile veneto-emiliano, nella rassicu-rante compattezza della copertu-ra a quattro falde e nella solida pianta quadrata.Ma per leggere tutta la tensione e la modernità del progetto biso-gna concentrare l’attenzione su-gli elementi verticali che reggono la copertura.Dove dovremmo trovare i pilastri quadrati del fienile, sono invece, quattro setti in mattoni a vista, la cui profondità permette di collocare i tamponamenti su fili differenti.Ne risultano tante “scatole” di-sposte in maniera articolata sot-to la protezione dello sporto del

tetto, volutamente di profondità eccezionale. Inoltre, “manca” l’appoggio d’an-golo, perché i setti perimetrali sono collocati con passo rego-lare, ma in posizione intermedia lungo i lati. Così al piano superio-re risultano corpi aggettanti retti da solette a sbalzo e anche le linee di gronda si incontrano in un punto sospeso nel vuoto.L’angolo libero permette tra l’al-tro di ruotare con eleganza di 90 gradi la direzione dei setti, accentuando il senso del vuoto sotto il coperto.La continuità verticale dei pie-dritti in mattoni ha una doppia interruzione mediante fasce in

cemento armato a vista. Due “capitelli”, che evidenziano l’altra presenza strutturale: una ordi-tura incrociata di potenti travi in cemento armato ricalate che ci-tano gli impalcati lignei del fienile antico.Questi accorgimenti palesano il concetto di uno spazio virtual-mente tutto libero, equivalente e disponibile al di sotto della copertura, reso possibile dalla straordinaria flessibilità della struttura puntiforme.La gerarchia, o meglio la totale indipendenza, tra elementi por-tanti e portati è ribadita dal con-trasto tra consistenza del laterizio dei setti e leggerezza di legno,

metallo e intonaco tinteggiato dei tamponamenti.Le travi ricalate caratterizzano tanto l’esterno (a livello di sola-io intermedio e di sottogronda), quanto l’interno, perché conver-gono verso il centro dell’edificio in un nocciolo portante scavato per la scala circolare di comu-nicazione tra i due livelli abita-bili. La scala è il vero baricentro dell’ organismo. In sezione è un volume unico, un pozzo di luce che emerge persino sopra la copertura. In pianta ha ruolo distributivo fondamentale, in particolare al primo piano dove è circondata un corridoio anulare su cui gravitano tutti gli ambienti.

Una vera dichiarazione di intenti, quasi in apertura della carriera di Mario Zaffagnini e dei colleghi della prima ora del gruppo “Città Nuova”: è possibile l’incontro tra modernità e storia. Ciò che serve è profonda conoscenza, capacità di lettura e coraggio nella propo-sta. Una straordinaria continuità di pensiero, che con una salto di tre decenni riconnette alle ricer-che e proposte più recenti dello Studioso e Progettista.

a cura di Michele Ghirardelli

BIBLIOGRAFIAMaccaferri U., Mazzucato G.P., Gruppo Architetti e Urbanisti Città Nuova, Electa 1992, pagg. 66-67.

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1. Veduta appena successiva al completamento della casa (oggi demolita)2. Sezione e Pianta del piano terra

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BIBLIOGRAFIAZaffagnini M. (a cura di), Ma-nuale di Progettazione Edilizia, Hoepli, Milano 1992, Vol 1, Tomo 2, pag. 1966Kineo, n.3, 1994, pagg.10-15.

EDIFICIO PER LA RISTORAZIONE / MENSA INTERPORTO DI BOLOGNA / 1994 (prima fase) - 1996 (completamento)Bentivoglio (BO)

Mario Zaffagnini con la collaborazione di Giuseppe Nicola Simonelli, D.L. Marco Nascè

La Mensa, assieme al Cen-tro Doganale e all’edificio per Banche e Servizi, costituisce uno dei temi “straordinari”, che si distinguono dagli edifi-ci più numerosi seriali, a loro volta diversificati per lo scam-bio gomma-gomma e ferro-gomma.Per questo, ad una serie di invarianti progettuali che de-lineano l’Intero complesso, si sommano caratteri peculiari della destinazione specialisti-ca.Il lay-out è fortemente dettato dal flusso di persone-approv-vigionamenti-attività, pertanto la composizione planimetrica

ordita su assi ortogonali detta-ti dal sistema costruttivo pre-fabbricato si diversifica in una forma dai margini articolati, in cui emergono in particolare i vari accessi per merci-perso-nale-utenti.La necessità di una grande sala unica di ristorazione fa propendere per una forma compatta, una piastra senza la corte interna che contrad-distingue invece il Centro Doganale e il blocco Banche e Servizi. Di conseguenza, si adottano grandi lucernai, che distribuiscono una generosa luce zenitale e caratterizzano fortemente l’immagine ar-

chitettonica emergendo sulla copertura piana.Colori e materiali della parte basamentale riprendono i ca-ratteri generali dell’Interporto (pannelli prefabbricati con superfici in graniglia), mentre per il coronamento superiore e i corpi emergenti oltre il pia-no terra si adotta un linguag-gio specifico e distintivo.È una parete ventilata in al-luminio di colore antracite, caratterizzata da nervature orizzontali, che grazie anche ai raccordi stondati degli angoli genera una fluida transizione lungo il perimetro articolato e, in alzato, nel dinamico gioco

di volumi a diversa altezza.Questi dispositivi materici e volumetrici, dedicati agli edifici con ruolo emergente, hanno dimostrato la validità di una strategia compositiva che necessariamente doveva misurarsi con uno sviluppo proiettato su alcuni decenni. Tuttora, aggiornati e conte-stualizzati ad altri temi, gui-dano le recenti realizzazioni, come la sopraelevazione del blocco Banche e Servizi.

a cura di Michele Ghirardelli

1. Piante e sezioni.Si notano i grandi lucernai della copertura

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ceva costituisce una rilettura della pietra). Una innovazione che precorre di diversi anni gli stilemi di Adolfo Natalini, Aldo Rossi, Giorgio Grassi ed altri, che avrebbero fatto di questo gioco di inserti la propria cifra stilistica.

a cura di Michele Ghirardelli

BIBLIOGRAFIAAcocella A., L’Architettura del Mattone Faccia a Vista, Ed. La-terconsult, 1989, pagg. 210, 211, 392

EDIFICIO RESIDENZIALE UNIFAMILIARE / 1970Sasso Marconi (BO)

Mario Zaffagnini

Questo progetto riunisce due anime fondamentali di Mario Zaffagnini: quella delle origi-ni, del profondo conoscitore di sistemi e tecnologie del costruire, basati anche sul controllo dimensionale e co-struttivo iterativo e riproduci-bile (basti pensare all’espe-rienza del “Macromodulo”), e quella sempre presente ma esplicitata negli ultimi anni di attività, fondata sugli studi tipologici e di recupero delle tradizioni edificatorie locali. Due anime apparentemen-te ascrivibili a fasi temporali diverse, ma in realtà sem-pre sintetizzate in una forte

personalità progettuale. Mai sopita. Nemmeno quando la priorità di vita fu dedicata alla didattica e alla ricerca.Materiali e tecnologie as-solutamente tradizionali (il mattone a vista, l’orditura strutturale in legno e il cal-cestruzzo utilizzato nei capi-telli con lo stesso ruolo che avrebbe una pietra naturale) vengono interpretati con un assemblaggio pensato “per componenti”, cioè come se facessero parte di un sistema coordinato di prefabbricazio-ne moderna.Rivelatore in questo senso è il ruolo del capitello, che oltre

a fornire un’aggettivazione ar-chitettonica raffinata ai pila-stri, risolve in modo ineccepi-bile il cambio di orientamento delle orditure, basate su una maglia modulare quadrata. Un momento di sintesi tra moderno elemento di coor-dinamento modulare ed ar-chetipico richiamo alla cellula elementare fondativa dei pro-cessi morfogenetici storici.Il concetto è leggibile anche nello sviluppo delle superfici calpestabili esterne, trattate a fasce di mattoni, riquadri in calcestruzzo lisciato ed in-serti con la stessa misura del sedime dei pilastri. Come se

un esercizio di geometria pro-iettiva si facesse costruzione, estendendo virtualmente nella bidimensionalità delle pavimentazioni la campata strutturale che genera in al-zato l’organismo edilizio. In questo modo il progetto non cala mai di tensione, comun-que lo si osservi in ognuna delle tre direzioni nello spazio. Basti notare come tutto il progetto sia improntato su un lessico architettonico di dialogo tra ricamo seriale del mattone a vista ed elementi puntuali organici “nobili” delle travi in legno e dei capitelli in calcestruzzo (che come si di-

MARIO ZAFFAGNINI ARCHITETTO

11. La campata strutturale generatrice nelle tre dimensioni2-3. Portico di connessione4-5. Il modulo generatore tridimensionale si proietta sulle superfici di pavimentazione esterna6. Scorcio d’insieme con gerarchia tra edificio principale e corpi di servizio

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MACROMODULO / SISTEMA EDILIZIO PER RESIDENZE UNIFAMILIARI A DENSITÀ PROGRAMMABILE1976 / 1982-1983

Mario Zaffagnini con Cosimo Carlo Buccolieri, Mauro Maccolini, Nicola Giuseppe Simonelli e Gaspare Inglese - collaboratore

L’esperienza del Macromo-dulo non è circoscrivibile in un’unica ricerca o azione pro-gettuale. Come spesso accadde nell’at-tività di Mario Zaffagnini, nac-que una relazione biunivoca tra la realtà esecutiva di can-tiere, la ricerca scientifica e la progettazione, che istituirono una sorta di staffetta, con fe-edback continuo e ciclico tra teoria e prassi. Si riunirono i rivoli di molte esperienze ope-rative e teoriche episodiche o autonome e si costituì un grande fiume di conoscenza, il quale a sua volta si diramò nuovamente con mille ricadu-

te nel campo della progetta-zione, della produzione, della normativa edilizio-urbanistica.La prima formulazione del si-stema nasce dal rapporto con un’Azienda produttrice di pre-fabbricati, finalizzato alla pro-gettazione tipologica prima, esecutiva poi, di un modello di casa unifamiliare per nuclei abitativi differenziati grazie a diverse possibilità di aggre-gazione.Data la natura del commit-tente, l’approccio più diret-to avrebbe potuto essere un’ipotesi di miglioramento e sviluppo di componenti e tec-nologie edilizie standardizzate

di un sistema di prefabbrica-zione già esistente.Ma la scelta straordinaria è dare sin dall’inizio allo studio il carattere più vasto di una metodologia di dimensiona-mento degli spazi elementari, composizione di tipi edilizi, aggregazione in tessuti.Pertanto, lo strumento del Macromodulo diventa meta-progettuale, con una propria autonomia scientifica, tanto è vero che si è dimostrato efficace anche nella proget-tazione di edifici attuati con tecnologie tradizionali, e so-prattutto è divenuto ossatura metodologica per molte nor-

mative tecniche nel settore dell’housing pubblico, oltre che per numerose trattazioni teoriche sui temi tipologici.Come Mario Zaffagnini ci spiega con la sua straordi-naria chiarezza e sintesi: “ Lo studio tipologico si muove dall’identificazione di un’unità volumetrica (o macromodulo) suscettibile di diverse inter-pretazioni funzionali e capace di dar luogo, per aggregazione differenziata, a diversi tagli di alloggio”.Nel metodo si combinano quindi consapevolmente le moderne logiche di assem-blaggio dei componenti pre-

fabbricati con le dinamiche morfogenetiche storiche dei tipi edilizi, nati come addizio-ne di cellule elementari.Nello stesso tempo, si è ma-terializzato da subito in una serie di progetti esecutivi im-mediatamente cantierabili e ha dato vita a nuove genera-zioni di sistemi prefabbricati.Dal punto di vista tecnologico ci si riferì inizialmente (miglio-randoli) a sistemi già esistenti di prefabbricazione per as-semblaggio a grandi pannelli, introducendo innovazioni in particolare sugli elementi di copertura.Si definirono alcuni elementi

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BIBLIOGRAFIAVerde, un sistema edilizio per residenze unifamiliari a densità programmabile con il procedi-mento MGT, Bologna, 1983.

invarianti fondamentali, la-sciando ampio margine alla diversificazione di composi-zione e finiture.Nel 1982-83 uno di questi esiti applicativi portò a defini-re, per una Cooperativa di co-struzione, il sistema “Verde”, nato anch’esso dall’imple-mentazione di una tecnologia preesistente, ma con l’intento di portarlo dall’applicazione precedente in case plurifami-liari, a quella nelle residenze unifamiliari. La particolarità, che dava il nome al sistema, era la volontà di inserire nei nuovi insediamenti urbani una quota di verde pertinen-

ziale privato direttamente fru-ibile da ogni unità abitativa.Si istituiva quindi un ponte tra la prefabbricazione (sino ad allora associata ad un’idea di edilizia economica e pluri-familiare) e la domanda abi-tativa privata di livello supe-riore: la casa unifamiliare con giardino personalizzata per l’utente.Un ragionamento nuovo, alla scala di progettazione urba-na: questo verde pertinenziale privato avrebbe costituito una riserva ecologica addizionale rispetto agli spazi pubblici ur-bani, di cui si riconoscevano l’importanza ma anche i limiti

risetto alle reali aspettative e modalità fruitive dell’utenza.Ciò non significava chinare il capo di fronte alla imperante tendenza allo “sprawl”.Al contrario, proprio per le ca-pacità additive ed aggregative insite nel metodo, si mirava a conseguire tessuti urbani fortemente compatti ed iden-titari.Per questa efficacia che per-vade tutte le scale dimensio-nali e tutte le fasi del proces-so edilizio, il Macromodulo è stato uno dei supporti teorici ed operativi che ha permesso a Mario Zaffagini di transitare, nel corso del suo cammino di

studioso ed architetto, dalla tecnologia, alla progettazione ambientale, alla progettazio-ne urbana, senza soluzione di continuità e senza mai di-scostarsi dalla propria linea di ricerca e di lavoro.Il Macromodulo costituisce uno strumento operativo tut-tora fondamentale per chi affronta la progettazione con un approccio tipologico. Gli aspetti metodologici sono approfonditi in questa pub-blicazione grazie ad un altro intervento di Nicola Marzot.

a cura di Michele Ghirardelli5

1. La prima formulazione del Macromodulo, anno 19762. Abaco di soluzioni conseguente alla prima formulazione, tramite l’applicazione di unsistema di prefabbricazione esistente

3. Definizione esecutiva della prima formulazione. Case unifamiliari ad alta densità4. Ipotesi insediative rese possibili dalla flessibilità di aggregazione5. Invarianti tecnologiche (a destra) e variabili di dotazione e finitura (a sinistra)

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PROSSIMONUMERO>OTTOBRE 2012REGGIO EMILIA1982-2012

L’evoluzione dell’architettura e della cittànegli ultimi trent’anni.

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