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Martedì 13 aprile 2010 ore 15 Aula Magna Palazzo Bevilacqua Costabili

via Voltapaletto 11 – Ferrara

Giorgio Bassani oggi A dieci anni dalla morte, un ricordo dell’Università di Ferrara.

Parteciperanno:

- Patrizio Bianchi, Rettore Università di Ferrara; - Paola Bassani, Presidente “Fondazione G. Bassani”; - Giorgio Montefoschi, scrittore; - Martin Rueff, critico; - Filippo Secchieri, Università di Ferrara.

Nel corso dell’incontro verrà proiettato il filmato inedito Giorgio Bassani, il giardino dei libri.

In collaborazione con la “Fondazione Giorgio Bassani”

Info: [email protected]

UNIfeCULTURE - Ufficio Comunicazione ed Eventi

Martedì 13 aprile alle ore 15 nell’Aula Magna di Palazzo Bevilacqua Costabili in via Voltapaletto, 11, si è tenuta la prima delle iniziative organizzate dall’Università di Ferrara in occasione del decennale della morte di Giorgio Bassani: il convegno “Giorgio Bassani oggi”, cui hanno partecipato con propri contributi, Paola Bassani, presidente “Fondazione G. Bassani”, lo scrittore Giorgio Montefoschi, Martin Rueff, critico, Paolo Trovato e Filippo Secchieri della Facoltà di Lettere e filosofia dell’Ateneo. Nel corso dell’incontro è stato proiettato il filmato inedito "Giorgio Bassani, il giardino dei libri" e presentata la pubblicazione “Giorgio Bassani oggi” che ripercorre, con fotografie e documenti, la cerimonia di conferimento della Laurea Honoris Causa in Scienze naturali allo scrittore ferrarese avvenuta il 25 settembre 1992.

Questa pubblicazione raccoglie gli atti di quel convegno e volutamente vede la luce in occasione della mostra “Giorgio Bassani. Il giardino dei libri” allestita fino al 17 dicembre presso Palazzo Turchi Di Bagno, pietra angolare del Quadrivio degli Angeli e nei pressi del Liceo Ariosto. Proprio in quest’area Bassani aveva collocato il Giardino dei Finzi-Contini, che tanto ha rilievo nella sua opera e che tanto ha contribuito al mito internazionale della Città di Ferrara. Con questo intendiamo rendere un ulteriore, partecipato omaggio al grande scrittore ferrarese.

Andrea Maggi

Ferrara, 23 novembre 2010

Patrizio Bianchi

Vi ringrazio per la partecipazione a questo incontro che intende onorare Giorgio Bassani a dieci anni dalla sua scomparsa. Scomparsa è una parola forse inadeguata, perché un autore, uno scrittore non scompare, sono le parole che rimangono. Viviamo in anni di eccesso di parole e paradossalmente la nostra società non è più capace di narrare, tutta la vita ormai è fatta di spot televisivi e di spot pubblicitari.

La riflessione di oggi è un ricordo, vedremo uno splendido documentario in cui Giorgio Bassani parla, quindi sono quelle le parole che contano. Abbiamo qui amici carissimi che ci parleranno, credo, non solo di Bassani ma di quanto sia importante scrivere, di quanto sia fondamentale narrare, perché i ricordi, le memorie non devono essere come il sacco dei ladri, sempre pronto ad essere abbandonato. L’idea su cui abbiamo molto ragionato con Paola Bassani era quella di non voler fare una commemorazione, le persone sono vive per quello che insegnano, per il modo in cui riescono ad affascinare persone magari nemmeno conosciute ma che si sentono loro allievi. Su questa idea, se volete un poco antica, della bellezza dello scrivere e del leggere, io credo che se riuscissimo a trasmettere ai nostri allievi, ai nostri ragazzi, ai nostri figli, questo antico vizio del leggere, l’idea di prendere un libro e di non riuscire a mollarlo fino all’ultima pagina, l’idea di prendere un libro già letto tante volte e di rispogliarlo per il piacere di sentire il suono della parola, faremmo una cosa importante. Mi pare che questo momento e il fatto che ci ritroviamo per una riflessione di questo tipo, siano un fatto straordinario. Questa idea dell’avere una storia, in un’epoca in cui in maniera quasi ossessiva tutto deve essere presentato come nuovo, in cui non riusciamo ad avere un’idea di noi stessi, credo sia un elemento importante. Ricostruire le vite quotidiane con attenzione ai luoghi, agli spazi, agli odori, è un elemento importante anche per questa città. Ferrara deve molto ed è conosciuta nel mondo anche per questo. I suoi spazi, i suoi vuoti, i suoi silenzi, i suoi pieni, le sue incomprensioni e forse anche la incapacità di capire quello che sta avvenendo, sono elementi di una memoria bassaniana che in qualche modo abbiamo l’obbligo non soltanto di richiamare ma di coltivare e di riprendere. Questo lo facciamo nella maniera più semplice, domandiamo ad alcuni amici che di professione fanno i

professionisti della parola di parlare. Questo però dopo aver sentito le parole che Giorgio Bassani ci ha lasciato. Oggi viene anche presentata la pubblicazione, realizzata dall’Ufficio Comunicazione ed Eventi, che raccoglie le fotografie e la prolusione che Giorgio Bassani tenne il 25 settembre 1992 quando ricevette la Laurea Honoris Causa in Scienze naturali per le sue attività svolte nell’ambito di Italia Nostra. Desidero esprimere un ringraziamento non formale e caloroso a Andrea Maggi per quello che ha fatto e che farà per l’Università di Ferrara e anche al sindaco di Codigoro che così attivamente ha collaborato. Lascio la parola al Prof. Paolo Trovato, ricordando ancora una volta il grande lavoro che la nostra Facoltà di Lettere sta facendo per ricordare il significato della parola perché prima della comunicazione deve esserci la parola. Questo lavoro sulla parola e sull’immagine sul segno credo sia uno degli elementi più importanti su cui oggi possiamo non solo fare scuola, ma far crescere ancora questa nostra Università, questo nostro Paese. Paolo Trovato Il Prof. Marcello D’Agostino, preside della facoltà di Lettere e Filosofia, che si rammarica di non poter partecipare a questa giornata di studi bassaniani, mi ha incaricato di trasmettere ai presenti i suoi saluti e quelli della Facoltà. Per ragioni biografiche (mi occupo professionalmente di cose assai diverse, testi e documenti medievali e rinascimentali) non sono la persona più qualificata per inaugurare questi lavori, affidati (come è giusto) a specialisti degli studi novecenteschi, ma non posso fare a meno di notare che le opere di Bassani sembrano arrivate troppo presto o troppo tardi e l’autore sembra attendere ancora i ‚suoi‛ critici. Voglio dire che la produzione di Bassani, apparsa in un momento storico di feroci contrapposizioni ideologiche, solo in parte è stata studiata iuxta propria principia, sulla base di una auscultazione attenta delle scritture dell’autore e di una accurata valutazione delle sue scelte tematiche e espressive.

Se qualcuno è arrivato a parlarne come di una seconda Liala della nostra letteratura, i giudizi più positivi sul Nostro sono venuti spesso da chi ha visto nello scrittore un rappresentante tra i tanti dell’ebraismo martoriato o un testimone della Shoah. Senza voler sminuire il rilievo dell’ebraismo di Bassani o delle sue scelte dei campo politiche, mi auguro quindi che sia finalmente possibile studiarlo autonomamente e spassionatamente, per quello che ha fatto come scrittore, e non solo, tangenzialmente e marginalmente, per quello che la sua opera ha potuto riflettere dei drammi consumatisi, in Italia e in Europa, nei decenni centrali del Novecento. Paola Bassani A nome mio, di mio fratello e della Fondazione Giorgio Bassani, di cui vari esponenti sono oggi qui presenti, desidero ringraziare l’Università di Ferrara e prima di tutto il suo Rettore, Patrizio Bianchi, per aver permesso e organizzato questa manifestazione di cosi’ ampio respiro e che, grazie appunto all’intervento d’apertura del prof. Bianchi, si è subito rivelata vivace e ricca di spunti. Come sarebbe felice nostro padre nel vedere che oggi lo ricordiamo, non per seppellirlo una volta di più, ma per farlo vivere, per proiettarlo nel futuro! La Fondazione Giorgio Bassani sta lavorando, di concerto con il Ministero dei Beni Cultutali, con l’Università di Ferrara, con la Cineteca di Bologna e con altre istituzioni, come l’Associazione Arch’è o il Liceo Ariosto, ugualmente desiderose di ricordare Giorgio Bassani, a tante iniziative importanti su di lui, di cui questa di oggi è la prima ed essenziale tappa. Esse si svolgeranno lungo tutto il 2010 e saranno coronate, in autunno, dalla mostra che si aprirà a Palazzo Turchi di Bagno. La giornata di oggi ci conforta e sprona più che mai a continuare su questa strada da noi intrapresa . Giorgio Montefoschi Io oggi vorrei parlare di due cose collegate insieme, molto rapidamente: vorrei parlare della laicità di Bassani e dell’ ‚Airone‛, il suo ultimo romanzo. Un romanzo importante. Mi ricordo che Elsa Morante diceva che amava moltissimo i ‚Finzi-Contini‛ (diceva: ‚E’ bellissimo, ma l’ ‚Airone‛, quant’è bello l’ ‚Airone‛) - perché Elsa Morante sosteneva che gli scrittori non possono scrivere

altro che avendo la morte su una spalla come un pappagallo: magari la morte non si deve sentire nelle pagine di un libro ma deve esserci sulla spalla dello scrittore, e infatti questo ultimo romanzo di Bassani è un romanzo tragico sulla fine della vita. Ora ritorno all’inizio: la laicità di Bassani, come si coniuga la laicità di Bassani con il suo essere ebreo. Se noi vediamo i ‚Finzi-Contini‛, vediamo che il protagonista dei ‚Finzi-Contini‛ va in sinagoga vediamo che c’è una bellissima cena pasquale, nella quale ci sono i canti, l’accensione delle candele, alla quale il protagonista partecipa non con ritrosia e nemmeno con fastidio, ma con un certo distacco. In ogni caso: l’ebraismo di Bassani è tutto un ebraismo di sangue, un ebraismo etnico, è un ebraismo pieno dell’Humus ebraico, ma è un ebraismo che a mio giudizio, non conferma la presenza di Dio. Per lo meno la contempla come una presenza talmente lontana da non poter essere indagata. In questa prospettiva si colloca l’ ‚Airone‛, il romanzo che inizia con una frase meravigliosa che io ho cercato anche una volta di rubargli ma poi non ci sono riuscito in un mio libro : ‚Non subito, ma risalendo con una certa fatica dal pozzo senza fondo dell’incoscienza, Edgardo Limentani sporse il braccio destro in direzione del comodino…‛. Si potrebbe parlare per due ore di questa frase e della sua scrittura. A me, quello che interessa, è dire che questo romanzo parte dal pozzo senza fondo dell’incoscienza e tornerà al pozzo senza fondo di un’altra incoscienza e cioè del buio più assoluto. La trama la conosciamo tutti: la giornata di caccia di Edgardo Limentani e questa sua incapacità di liberarsi della prigione terrena, molto ben spiegata con il fastidio di avere il ventre pieno, di non riuscire a liberare le viscere; dunque, questa costrizione umiliante, e poi la giornata che si svolge in epoca novembrina con la nebbia che abbassa tutto, la situazione familiare mediocre, la vita mediocre, l’orizzonte basso, e finalmente l’incontro con l’Airone, l’Airone che non muore, che non muore subito, zoppica, nel quale chiaramente è rappresentata per la prima volta la figura del protagonista. Cos’è questa vita, questa vita descritta così bene nel romanzo? E’ una vita che non ha orizzonte. Mentre nelle storie ferraresi noi abbiamo visto che l’impegno sociale, la memoria, le ferite della storia sono state così travolgenti, così coinvolgenti da riempire interamente l’orizzonte narrativo dello scrittore, ora che è stata fatta giustizia alla storia, che è stata fatta giustizia della ipocrita fatica del ricominciare, la fatica ipocrita della borghesia che fa finta di non ricordarsi di nulla, ora si spalanca questo gigantesco vuoto davanti che Bassani descrive in maniera superlativa. Il secondo momento nel quale il protagonista dell’Airone si confronta con se stesso è quando va di fronte al negozio degli uccelli impagliati, degli

uccelli morti e li c’è una vetrina: una lastra (e mi ha fatto piacere sentire quello che ha detto Garboli poco tempo fa nel filmato, e cioè che Bassani metteva tutto sotto vetro. E’ vero: la narrativa di Bassani è sempre dietro una lastra). Ma, appunto, che cosa succede davanti al negozio degli uccelli impagliati? Succede che improvvisamente Edgardo Limentani fa un passo indietro e in questa lastra vede riflesso il suo volto, vede riflesso se stesso, il volto di un uomo che non ha più speranza. Di qui, la fine del romanzo: con il ritorno a casa, la decisione di compiere l’ultimo e l’unico atto possibile che possa restituire la libertà ad una persona che si trova di fronte allo sconvolgente panorama della sua vita, cioè il suicidio. Una fine logica, una fine che non potrebbe essere altro che quella. Ora vorrei aggiungere una cosa: e cioè una annotazione sul linguaggio. Guardate, Bassani, come voi tutti sapete, era, diciamo, un grande stilista, un maniaco della scrittura: un maniaco in senso buono, che voleva la perfezione. Ma noi notiamo che il linguaggio di Bassani, il suo stile, ha un progressivo svolgimento: cioè, nelle storie ferraresi lo stile di Bassani è uno stile se posso dire molto elaborato, molto affaticato con paralleli, incisi, come se il contatto con gli avvenimenti della storia, con questo dolore, imponesse uno stare legato a terra quindi non sollevarsi mai - e non so se riesco ad esprimere bene quello che penso, ma insomma sono proprio queste vicende nebbiose, queste vicende tristi, queste malinconie che condizionano il linguaggio,che il linguaggio riflette in maniera così speculare con quella sua tornitura così elaborata e profonda. Mentre invece, il linguaggio dell’Airone vediamo che è un linguaggio completamente diverso :è un linguaggio immediatamente libero, è un linguaggio che non ha più quella fatica, - io non parlo di fatica del lettore, parlo della fatica dell’esistere della lingua - è un linguaggio immediato, un linguaggio essenziale e scarno: come se Bassani sapesse che nel momento in cui l’uomo deve fare i conti finali con se stesso, non può più indulgere a nessuna sosta, e quindi deve procedere direttamente per centrare il bersaglio finale … come era stato centrato l’uccello in volo, cioè l’Airone.

Martin Rueff Ritrovarmi oggi qui con voi, per celebrare questo anniversario bassaniano, è per me più che mai emozionante e ve ne ringrazio. Ma mi domando a che titolo io sono qui. Mi conforta pensare di aver in qualche modo contribuito a far conoscere in Francia l’opera di Giorgio Bassani, e

particolarmente le sue poesie, tradotte e uscite per la prima volta in questo paese due anni fa con un mio saggio introduttivo. Sono tre i punti su cui vorrei soffermarmi, partendo proprio dal film su Bassani appena proiettato. Il primo punto è l’origine ferrarese, locale, provinciale, dello scrittore, i suo radicamento, considerato neorealista nel film, in questa città. Giorgio Bassani, in un’intervista del ’79, compresa in « Di là dal cuore », afferma :« il ritorno a Ferrara per un romanziere del mio tipo è necessario ,inevitabile » ; e ancora« io dovevo fare i conti con le mie radici, come fa sempre ogni autore, ogni poeta ». Il recupero di Ferrara non avviene però in lui in modo irrazionale, proustiano, sull’onda dei ricordi, né è tanto meno dettato da un attaccamento scontato, predestinato, tutto emotivo e narcisistico, al luogo delle sue origini. Esso è è invece è il recupero critico e poetico insieme, e dunque libero, di un certo mondo, di una certa realtà locale che tanto lo ha segnato in partenza, ma ormai osservata da un punto centrale della lingua e della storia italiana, cioè da Roma : Bassani restituisce questo mondo in tutte le sue coordinate spaziali, temporali, storico-politiche e morali, per renderlo oggettivamente credibile e dunque valido per tutti. Altro elemento da sottolineare e poco studiato dalla critica, è l’attività di traduttore ( Hemingway, Voltaire) e d’editore (Il Gattopardo) di Giorgio Bassani, che naturalmente contraddice una volta di più l’angolazione critica provinciale da cui troppo spesso si guarda Bassani : tale attività, infatti, dettata da un’eccezionale curiosità intellettuale, da un’apertura culturale a largo raggio, non solo ha suscitato scambi ricchi e fecondi tra lui e altri scrittori italiani e non, tra cultura italiana e cultura di altri paesi, ma ha anche influito sulla stessa opera dell’artista, rendendola insomma più che mai d’attualità e aperta al mondo . Ultimo punto su cui vorrei attirare l’attenzione è quello della letteratura della Shoah, della quale Bassani non solo fa parte (pensiamo alla sua « Lapide in via Mazzini », per esempio), ma di cui anzi è un vero e proprio pioniere . Perchè in Italia (cosi’ come in Francia), tra il 1945 e il 1960, il tema dei campi di sterminio è stato volutamente ignorato e eluso in letteratura, a profitto invece di quello della resistenza e delle lotte partigiane. Bassani, come Primo Levi, scrivendo degli ebrei discriminati e perseguitati, era inattuale, allora. Come lo è in fondo adesso. Perchè se è vero che ai giorni nostri la letteratura della Shoah è sviluppatissima, è diventata un vero e proprio genere, ancora una volta

l’opera di Bassani non si adegua a questo tipo di letteratura, è inattuale rispetto ad essa : gli ebrei di Bassani sono parte integrante del popolo italiano, implicati totalmente nelle vicende politiche del paese, nelle scelte miopi, se non addirittura sciagurate della borghesia fascista, sono uomini visti nel loro preciso contesto storico, e non sono esseri astratti, avulsi dalla realtà circostante, come invece tende a dimostrare gran parte della letteratura della Shoah. E’ che l’opera di Bassani è grande, profonda, poetica e dunque necessariamente inadeguata rispetto a qualsiasi topos, a qualsiasi generalizzazione. Bisogna peraltro rendersi conto che di là dalla Shohah, un’opera d’arte parla sempre di morti, non puo’ che parlare di morti, è lei stessa una sepoltura. Ferrara è la grande tomba in cui Bassani ha seppellito tutto il suo mondo, tutti i suoi personaggi, accompagnandoli al tempo stesso da quel sentimento di pietas che solo i grandi poeti riescono ad esprimere. Bisogna rileggere in questo senso il prologo dei « Finzi-Contini », tra le pagine più belle della letteratura italiana del Novecento. Questa Giannina che introduce il narratore nella tomba etrusca, che parla con accorata tenerezza dei morti, di tutti i morti, anche dei più lontani nel tempo, che immagina i morti prima che fossero morti, cioè come se fossero vivi, dà il tono del romanzo, fa dei « Finzi – Contini » già in qualche modo un epitaffio. Ricordiamoci che la penultima raccolta poetica di Bassani (1974) , considerata da P.P. Pasolini come una delle più grandi raccolte poetiche del secondo Novecento, è intitolata appunto « Epitaffio ». Queste di Bassani sono poesie o, se si vuole, anche brevi racconti, scritti su delle tombe. Ma già nei « ‚Finzi –Contini » c’è una poesia – epitaffio, quella della Dickinson, di cui Bassani si appropria e che reinventa traducendola in italiano. La poesia di Bassani, che io ho denominato « lapidaria », sia essa in versi o in prosa, è la poesia che ritrova i morti, ne ricorda i nomi sulle tombe, li restituisce, ormai vivi, ad un contesto pubblico e storico, non solo intimo e personale. Il rapporto tra tempo privato e tempo pubblico è un tema centrale dell’ispirazione di Bassani e al tempo stesso è uno dei più fecondi, e lucidi di tutta la letteratura italiana del Novecento, perchè non ha finito di interpellarci, di farci meditare e di commuoverci.

Roberto Chiesi * In riferimento a quanto ha affermato Paola Bassani nell'introdurre questo incontro, io mi limito a confermare la collaborazione fra la fondazione Bassani, l’Università di Ferrara, la Cineteca di Bologna e l'Associazione ‚Fondo Pier Paolo Pasolini‛ per il progetto di un convegno, una mostra espositiva e una retrospettiva dedicati a Giorgio Bassani. La società italiana sta attraversando una fase molto difficile, la cultura è minacciata su numerosi fronti e il degrado dell'indifferenziato non solo da oggi è un male che investe le nuove generazioni; quindi credo che sia più che mai necessario, più che mai urgente, ricordare il ruolo e il valore di uno scrittore e di un intellettuale come Bassani, che non rimaneva chiuso nella sua torre d'avorio ma ha sempre speso il proprio prestigio e il proprio talento per impedire che il paese si addormentasse nell'ignavia e nell'indifferenza, o si trascinasse nell'ignoranza delle tragedie del passato. Il convegno, che si terrà presso la Cineteca di Bologna, presenterà anche una serie di interventi dedicati al cinema e al rapporto talvolta difficile che si instaurò fra i cineasti e lo scrittore, sia come sceneggiatore sia come autore di romanzi che sono stati adattati per il cinema. Inoltre si parlerà anche dell'impegno di Bassani all'interno delle istituzioni, in qualità di vicepresidente della RAI e verranno riproposte delle interviste filmate conservate dalle Teche della televisione di stato. Credo che la retrospettiva che accompagnerà il convegno, sarà un'occasione preziosa perché consentirà a nuovi spettatori di scoprire film come, per esempio, ‚La lunga notte del '43‛ di Florestano Vancini, tratto dalle pagine di Bassani, o ‚La provinciale‛ di Mario Soldati, che Bassani e altri adattarono da un romanzo di Alberto Moravia. In un cinema, come quello italiano odierno, che purtroppo è spesso un surrogato o un'emanazione della televisione, sarà importante vedere e studiare film che nascevano anche dall’apporto di grandi scrittori, quale appunto l'autore del Giardino dei Finzi Contini, e dalle collaborazioni fra artisti e intellettuali come Bassani e Pier Paolo Pasolini. Come sapete, dietro la storia di un film, a quell’epoca soprattutto, esisteva vicende complesse, basate su rapporti e confronti di creatività, di idee, e anche di tradimenti ora fertili, ora meno, che si potranno approfondire attraverso le relazioni degli studiosi e sceneggiatori che interverranno al convegno. * Cineteca di Bologna

Filippo Secchieri In linea di principio, si potrebbe definire attuale l’opera capace di ottenere non soltanto il favore di lettori congeniali e in certo modo previsti dalle sue peculiarità, ma altresì di sollecitare l’interesse e l’attività interpretativa di fasce di pubblico estranee o comunque irriducibili allo specifico contesto culturale che l’ha prodotta e determinata. A dieci anni dalla scomparsa e a trenta dalla ne varietur del Romanzo di Ferrara, la fortuna critica dell’opera di Giorgio Bassani si è assestata su livelli tali che sembra più che legittimo arguirne la definitiva inclusione nel canone della nostra letteratura del secondo Novecento, ormai passate opportunamente in giudicato (quando non ritrattate per intero) le strumentali, polemiche avversioni che segnarono la fase mediana della sua ricezione. Incoraggia ad una siffatta considerazione, oltre alla non sorprendente fioritura di monografie, studi e interventi a vario titolo celebrativi, il fatto d’incontrare sondaggi d’argomento bassaniano per l’appunto in ambiti ideologicamente remoti e in apparenza poco o punto conciliabili con l’immagine più vulgata dell’autore e con le sue posizioni di poetica. Incontri che testimoniano dell’avvenuto ingresso entro il ristretto novero dei testi significativi di un’epoca e di una civiltà letteraria, anche al di là dell’eventuale e peraltro sempre possibile natura estrinseca o pretestuosa della prova di lettura. In proposito pensiamo segnatamente a un articolo di una decina di pagine uscito nella primavera di quest’anno su un’autorevole rivista statunitense di comparatistica diffusa in rete, «CLCWeb. Comparative Literature and Culture», 12, 1 (2010), dedicato a individuare i possibili rapporti intercorrenti tra Il giardino dei Finzi-Contini e la prospettiva critica e culturale dei cosiddetti Queer studies, una filiazione dei Gender studies affermatasi a partire dagli anni Novanta e che oltreoceano può contare su una folta schiera di convinti assertori. John Champagne, al quale si deve Bassani’s The Garden of the Finzi-Continis and Italian Queers, ha optato per una versione abbastanza elastica di questa impostazione teorica, servendosene soprattutto quale reagente per decrittare le attitudini etico-comportamentali del narratore co-protagonista del romanzo del 1962 e degli altri personaggi inscenati nel contesto della provincia italiana durante il ventennio fascista. Tra le risultanze della sua indagine si annovera la marcata sottolineatura dell’omosessualità di Alberto Finzi-Contini, vista addirittura come un «open secret» ove, secondo un cliché invalso adibito all’uopo dall’autore

ferrarese, senso della morte e gusto decadente appaiono strettamente intrecciati. Ma ciò che più di tutto mette conto segnalare è l’insistenza con cui Champagne addita la «queerness» dell‘anonimo narratore omodiegetico, reputato lo strumento attraverso il quale Bassani finirebbe per rendere «queer» (irregolare, bizzarra, artificiosa e fondamentalmente trasgressiva, secondo le diverse accezioni che convivono nel termine inglese) la stessa identity degli ebrei italiani, sicché il romanzo

is not inviting a delusional return to the pre-Oedipal or a world free of the divisions of sexuality and gender, but invites resistance to heteronormativity and its reliance on certain fantasies of identity. (p. 4)

Estensioni, queste appena citate, a nostro avviso solo parzialmente dimostrabili e, d’altronde, dipendenti da un’opinabile enfatizzazione della presunta appartenenza di genere della voce narrante, secondo una mossa argomentativa che denuncia l’irrisolta ricerca di equilibrio tra intentio lectoris e intentio operis ravvisabile lungo l’intero articolo. Si concordi o meno con la pertinenza delle asserzioni e con i successivi sviluppi, corroborati e invero qua e là appesantiti da frequenti rimandi psicoanalitici, del contributo di Champagne, resta che anch’esso sostanzialmente s’innesta sulla linea predominante nella critica bassaniana, una linea che si caratterizza per la netta priorità accordata, in ragione della loro indubbia capacità attrattiva, agli aspetti tematici e contenutistici, a detrimento di un concomitante esame dettagliato delle valenze stilistiche e delle tecniche compositive della sua opera. Valenze che, com’è noto, furono responsabili della strenua elaborazione cui Bassani sottopose la sua pagina e che altresì s’imposero quale principio informatore di un’intensa attività critica e editoriale, a sua volta passibile, come ebbe giustamente a notare Roberto Cotroneo introducendo il volume delle Opere da lui curato, d’essere recepita alla stregua di «una glossa lunga centinaia di pagine che rimanda sempre lì, al romanzo di Ferrara che l’autore del Giardino dei Finzi-Contini ha tessuto con pazienza, e ha riempito di trappole» (R. Cotroneo, La ferita indicibile, in G. Bassani, Opere, Milano, Mondadori, 1998, p. LII). Consapevole dell’esistenza di queste trappole e assai meno propensa ad isolare i significati della parola bassaniana dalla loro cifratura formale, a tutti gli effetti decisiva, è l’agile monografia di Marilena Renda, un poco penalizzata dalla scelta di un’intitolazione piuttosto convenzionale - Bassani, Giorgio. Un ebreo italiano – (Roma, Gaffi, 2010) che di per sé potrebbe ingenerare più di un equivoco. Si vuol dire insomma che, in questo caso, la focalizzazione del tema etnico-religioso e

delle relative contingenze storiche ed ambientali non è quasi mai scompagnata dalla necessaria attenzione alle dinamiche costitutive degli organismi testuali, indagati nelle loro concrete componenti retoriche e nel complesso di ascendenze, influssi e suggestioni d’ordine culturale, letterario e figurativo da cui traggono costante alimento. Detto altrimenti, la Renda non dimentica che se l’opera di Bassani è una testimonianza, essa è pur sempre, e in primo luogo, una testimonianza letteraria. A sommaria riprova, si vuol menzionare almeno questo passaggio dove la giovane studiosa, dopo aver fatto riferimento all’incidenza creativa di «tutta l’enciclopedia pittorica» di derivazione longhiana nella costruzione del décor bassaniano, afferma:

Proprio l’intersezione tra paesaggio padano e memoria ebraica conferisce a quest’ultima il suo speciale carattere tonale – che è poi della scrittura di Bassani il tratto più caratterizzante e memorabile. [...]. Nel toccare i nodi più complessi dell’esperienza ebraica, Il giardino dei Finzi-Contini intensifica la scelta bassaniana del pudore, dell’indeterminatezza e della reticenza, seguendo in questo ben note esperienze al crepuscolo fra Otto e Novecento, Proust e James in primo luogo. (pp. 107-108)

Nello studio della Renda non assistiamo, dunque, allo sterile e in ultima analisi oleografico inseguimento del colore locale né alla meccanica, troppo spesso praticata, giustapposizione a fini esplicativi della realtà finzionale a quella storica e autobiografica, bensì al tentativo di affrontare, per il tramite di una pluralità di punti di vista ermeneutici via via proposti o suggeriti dal procedere della lettura, l’effettiva complessione simbolica e le numerosissime implicazioni che, increspandone la piana superficie letterale, costellano la scrittura di Bassani. Una scrittura che, sin dagli esordi, rivela una spiccata volontà di calamitare attorno all’espressione quote rilevanti di non detto, con ovvie, non risarcibili ripercussioni sull’assetto della significazione; e ciò alla luce di un’attitudine compositiva che in sostanza non si differenzia da quella richiesta dal comporre poetico, vero parametro-guida della sua prassi letteraria ed esistenziale. Pertanto crediamo occorra far tesoro di una dichiarazione rilasciata in una tarda intervista, laddove l’autore invitava la sua interlocutrice a

Non dimenticare che io, oltre che un cosiddetto narratore (parola che aborro), sono un poeta (altra parola che mi piace purché non si riferisca soltanto a quell’andare a

capo che si verifica al termine di ogni verso), nonché un saggista. (In risposta VII, in Opere, cit., pp. 1343-1344)

Che l’approccio a Bassani esiga l’impiego di una strumentazione critica duttile e variegata e che comunque il lavoro dell’interprete non possa realmente esimersi, come sovente è accaduto e continua ad accadere, dall’apprezzamento dell’elevato tasso di letterarietà che qualifica i suoi esiti poetico-narrativi, è un dato di fatto che sarebbe delittuoso passare sotto silenzio. Diversamente, infatti, ne scapiterebbe la stessa comprensione elementare della sua parabola creativa, certo segnata in profondo tanto dall’eponimo milieu ferrarese quanto dall’ebraismo ma, con altrettanta certezza, generalmente capace di svincolarsi dalle limitazioni correlate a un mero rispecchiamento mimetico delle situazioni e degli eventi vissuti, principalmente attingendo alle risorse della trasfigurazione lirica e operando una frequente contaminazione tra le offerte della memoria storica e personale e l’ascolto degli affioramenti onirici che l’introiezione meditativa di tale memoria suscita. Talché, mutatis mutandis, a meglio inquadrare le coordinate essenziali della sua opera varrà riandare a quanto Bassani scrisse, in un breve saggio del ’77 poi raccolto in Di là dal cuore, a proposito dell’apparente realismo di una pittrice e poetessa ligure:

Ma basterà, ancora una volta, porsi di fronte a immagini di questo tipo attenendosi alle regole della teoria della pura visibilità? O invece non sarà il caso, anche qui, di cercare di trascendere l’oggetto, per cogliere di là da esso il suo significato più vero? Anche qui, in queste tele, il pittore-poeta è ben presente nella violenza nascosta e segreta del suo afflato, del suo lirismo, nel suo essere contemporaneamente nelle cose che ci offre da vedere, e altrove. (Anna Merlotti, in Opere, cit., p. 1303).

Concedere credito esclusivamente all’immediata evidenza, alla «pura visibilità» di un testo equivale, sempre, a eluderne la portata significativa. I testi di Bassani confermano, ad abundantiam, la validità di tale assunto, legato a doppio filo all’inesauribile potenziale evocativo di una scrittura destinata ad un’attualità affatto indipendente dal rapido avvicendarsi di voghe culturali e generazionali, come puntualmente accade ogniqualvolta l’ opera letteraria sia qualcosa di diverso da un’autocompiaciuta affabulazione di sé.

Paola Bassani Grazie infinite al pubblico così attento e partecipe e a tutte le prestigiose persone che sono appena intervenute. I contributi di Patrizio Bianchi, di Filippo Secchieri, di Martin Rueff, di Giorgio Montefoschi, di Paolo Trovato e di Roberto Chiesi, così ricchi, suggestivi e stimolanti, meritano davvero che siano raccolti e pubblicati al più presto insieme, a ricordo di questa bellissima giornata. Paolo Trovato Mi avvio a concludere questa giornata di studi pronunciando volentieri quello che, nei matrimoni o nei funerali di un tempo, si poteva definire come l’ ‚endecasillabo del congiunto‛ (cioè il breve fervorino del nonno o di altro parente anziano, che aveva il compito di chiudere ufficialmente la cerimonia). Sono molto lieto di aver potuto ascoltare tutte le relazioni, ricche, documentate, molto stimolanti, e sono contento di correggermi. Mi domandavo all’inizio se e quando Bassani potrà essere studiato per quello che veramente ha scritto e non per qualcos’altro, per es. per il suo ebraismo, per la Shoah, per il suo carattere di cantore di Ferrara e del Delta ecc. Prendo atto che, come le letture di oggi ampliamente dimostrano, questa nuova fase degli studi bassaniani e novecenteschi è finalmente in atto: e me ne rallegro.

Questa pubblicazione è stata realizzata

dall’ Ufficio Comunicazione ed Eventi

dell’Università di Ferrara.

A cura di Andrea Maggi

Grafica: Michele Lecci

Foto: B&G Ferrara