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Mariannina Coffa CarusoNuovi canti

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QUESTO E-BOOK:

TITOLO: Nuovi cantiAUTORE: Coffa Caruso, MarianninaTRADUTTORE:CURATORE:NOTE:

CODICE ISBN E-BOOK: n. d.

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet: http://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/

TRATTO DA: Nuovi canti / di Mariannina Coffa Caruso in Morana da Noto. - Torino : Stamp. dell'Unione tip.-editrice, 1863. - 134 p. ; 18 cm.

CODICE ISBN FONTE: n. d.

1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 21 dicembre 2016

INDICE DI AFFIDABILITÀ: 1 0: affidabilità bassa 1: affidabilità standard

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2: affidabilità buona 3: affidabilità ottima

SOGGETTO:POE000000 POESIA / Generale

DIGITALIZZAZIONE:Ruggero Volpes, [email protected]

REVISIONE:Catia Righi, [email protected]

IMPAGINAZIONE:Ruggero Volpes, [email protected]

PUBBLICAZIONE:Catia Righi, [email protected]

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Indice generale

Affanni e voti patriottici.................................................8Le mie ispirazioni.......................................................9Un volo sulle Alpi.....................................................25A Giuseppe Garibaldi...............................................33A Vittorio Emanuele.................................................37In morte di Camillo Benso Conte di Cavour............42L’arpa la croce e la spada..........................................46Giambattista Nicolini................................................53

Memorie ed affetti........................................................60S. Luigi.....................................................................61A Giuseppina Siena Addio.......................................64A Vincenzina Arezzo carissima fanciulla.................66A mia madre..............................................................68All’Italia....................................................................70A un fanciullo...........................................................71Una lagrima sulla tomba di Giuseppe Macherione. .72Ricordi fantastici.......................................................80Sara. Canti notturni...................................................82A ...............................................................................87A mio padre Voce dell’anima...................................88Gaspara Stampa In un’ora d’estasi e di amore.........92A Luisa...... In un momento d’estasi magnetica......100

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In morte di Ottavia Valenzisi..................................102All’angelo mio........................................................106A mio fratello Giuseppe..........................................107

Indice...........................................................................111Errata corrige..............................................................113

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NUOVI CANTI

di

MARIANNINA COFFA CARUSO IN MORANA

da

Noto

Torino, 1863

Stamperia dell’Unione Tipogr.-Editrice

Via Carlo Alberto, nº 33.

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A MICHELE BERTOLAMINOBILISSIMO

PER LA MENTE E PEL CUOREQUESTI POVERI VERSI

CONSACRO

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Affanni e voti patriottici

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Le mie ispirazioni

.......quandoAmore spira, noto, ed a quel modoChe detta dentro, vo significando.

PURG. 24.

Che aspetti, o donna?..... a che di tanto sangueSparsa le gote, e vacillante e brunaCome spettro vagante infra i recessiDi cimitero ignoto al mesto lumeDei notturni orizzonti, a che ne vieniLungo le vie del combattuto ingegno,Cupa, tremenda, infaticata, e tetra?.....Ah negli occhi di foco, e nel frementeRiso che sfugge dalle smorte labbraOr che dubbiosa mi sogguardi e taciPari all’ombra dei sogni, impressi io veggioL’alto disdegno, e la vendetta, e l’iraNoti soltanto all’ispirato ingegnoDei cantori di Dio!.....

Vieni!..... favellaSpirto ramingo dall’erranti chiomeOrribilmente abbandonate ai venti,E dai vanni di foco, e dall’alteraIgnea pupilla che se stessa affisaNell’aureo raggio delle glorie estinte.

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È dessa?..... oh la vid’io nei sogni mieiQuando sul capo del divin ToscanoStese la destra, e da quel fronte un raggioUscir fu visto, che d’Italia il faroOrmai s’è fatto! la vid’io nel gaudioDei miei prim’anni, e la rammento ancoraPari al tumulto dei secreti affetti.Oh salve e salve ombra dei tempi! eternaPeregrina di secoli, che scotiDella donna sicana il genio e il core,E l’affratelli a l’universo, e sproniL’ardita cetra a custodir col cantoLe memorie d’Italia, e la possenteAla del fato che careggia il visoDella patria ferita!..... Oh benedettoQuello sguardo ferale, e quel disdegnoChe arrechi invitta su le ciglia sculto,Mentre all’ardor di patria, a la possenteVoce di libertà, cui dato a pochiÈ santamente custodir nel petto,L’amor, la fede, e la speranza, comeTre fiamme vive sovra l’ara ardenti,Con arcana armonia stringe e marita.

Anch’io son nata a contemplarti!..... anch’ioCome vergine rondine feritaA le tue braccia dolorando inchinoLa mesta fronte..... Ma che val se un risoDisfiora il labbro al peregrin che passa?

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Nei secreti dell’alma arde e travagliaL’intima cura..... e anch’io sorrido!..... e sentoL’alta necessità d’un cor che battaPresso il mio cor, che mi sospinga ai cieliDolce-tremanti d’armonie d’amore;Che dei palpiti miei viva e s’allietiCome cigno nascoso, e i moti arcaniChe mi detta il mio nume in un comprenda.Sento una mesta voluttà che traggeIl mio spirto a le sfere; una possanzaIngenita, tremenda, immensurata,Che a vagheggiar mi spinge un ben che ignoroNei miei begli anni, e a ritrovar nel cieloLa vita, il genio, l’avvenir confusi!Donna!..... e degg’io spezzar le meste cordeDell’arpa mia? degg’io restar confusaAd una turba purulenta e vileFra gli ozi addormentata, ebra nei plausiChe feconda un istante, e da cui nullaLa gran madre dei prodi attende e spera?....Ma pur, quest’alma d’incompresi affettiE di liberi sensi, a cui fan guerraMa invan le angosce e le nequizie umane,È tempio, è altar; chè donna io sono, e donnaDi questa Italia ov’è sublime e sacraSin la sventura. È ver che il GinevrinoLa possa dell’ingegno, e l’armoniaDei sublimi concetti, a noi negava;Ma fu sola risposta un mesto riso

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All’inane menzogna.....Un nume arcano,

Bello fulgente e al par di te soave,È la speranza, che di gaudio inondaI giorni oscuri e le dogliose notti,Di tanto dubbio immaginar cospartiE di amarezza tanta!..... Oh se non fosseQuesto nume gentil che batte l’aliSu le chiome dei vati, e il guardo appuntaColà dove il mortal corre e non giunge,A che varriami l’estro, e l’indefessoMeditar su le carte ove sospiraL’ombra dei grandi invendicati ancora!....Finchè possa ha la speme il benedettoFoco dell’arte io sentirò nel core!.....E tu, Itala Donna, invan ricintaDa superbe vallate, invan commossaDei tuoi martiri al grido, udrai la santaMelodia del poeta, e il senno e l’arteTi fiano duci della gloria ai giorni!.....

Odimi, o donna!..... In sul mattin primieroDella mia vita io contemplai soventeLa tua sembianza: a la rosata cunaDell’innocente pargoletta i mitiOcchi volgesti; e fur quegli occhi un raggioD’innamorato sol, che non disdegnaDalle infinite vie dell’oceánoLento specchiarsi al ruscelletto ignoto

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Della foresta. – E quando un incompresoSenso d’arcana ispirazion sublimeSentii nel core, e quando una fuggenteSecreta stilla a tremolar ne venneSul ciglio mio, sì, allor bella ti vidiQual Cherubino di lassù disceso,Apportator di pace e di saluteAi gementi mortali!..... Oh quanta lucePiovea da le tue chiome! oh quanto focoMandavan gli occhi tuoi, benchè di piantoDue fonti vive mi parean quegli occhi!Indi sì dolce risonar s’inteseLa tua favella, che dell’arpa istessaUn eco io la credei – pari all’estremaD’angelo melodia che da terrenaSpoglia si sciolga io la sentia nel pettoSubitamente ripercossa..... AlloraLeve un tumulto m’assalia le fibreDel giovin core: e spesso ai solitariLochi io traea per favellar cogli astriA me sì cari, e contemplar l’immensaDormïente natura. – Oh come è bello,Indi sclamavo i lumi rivolgendoAl notturno pianeta, oh come splendePer le tremole vie del mar lontano,Ed ogni obbietto di sua luce informa!.....E volti gli occhi al mite astro d’argentoCome fanciullo che trepido segueDi solinga farfalla il vol tremante

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Per l’aure lievi, io mesta e dolorosaL’accompagnavo, infin che il bianco spettroS’involava e cadea!..... Forse velataDall’eburno chiaror tu mi guataviDa le sfere superne, ed io risortaA novo impulso, io pargoletta ancora,Ti stendevo le braccia, e t’adoravaCome la luce che fa bello il mondo!.....Un’occulta favella, una secretaConoscenza di affetti e di pensieriMi traeva a quell’astro. – Oh tu soltanto,Io ripeteva, della stanca donnaVerrai su l’umil fossa amicamente!L’oblio del mondo e l’onte di fortunaRapir non ponno all’uom che oscuro dorme,Questa santa pietà della natura!.....Nè gemme ed or, nè simulacri e marmiFia che rischiari su la tomba ignotaIl tuo pallido lume. – Ahi solo il nome,Il mio povero nome, a me fia dato!O vivente in quel nome esser degg’ioPer l’Italia e per l’arte, o pur con quelloEntro il nulla travolta eternamente!.....

E da quel punto l’armonia possenteDell’itala canzon donna mi feaDi me, del mio pensier. Dolce una spemeAd oprar mi spingea – speme, cui nullaResister pote se all’ingegno è vita,

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S’è l’immago del core e degli affettiCombattuti mai sempre e sempre novaD’interminato lutto alta cagione.Sì, dissi, io canterò! L’angiol dei sogniNon fia che scerna la solinga immagoDel mio dolore: i canti miei sarannoPer l’Italia, per Dio, per la gementeUmanità prostrata..... Io dalla terraPlausi non chieggo: a che varria fregiarmiDi allôr se il mio destin della dilettaPatria non fosse a l’avvenir congiunto!

Fu allor che t’invocai, fu allor che cintaTi vidi, Arte gentil, di etereo lume,Segnarmi il fronte in dolce atto maternoD’una striscia di foco – ardente focoCh’esser dovea fino al sospiro estremoLuce al mio fato, e non per fato estinto!

— Vieni, dicesti allor; voliam per questiArchi dorati, e contempliam l’ItaliaAddormentata ancor!.... Vieni, la donnaDel carme io son, la mistica fanciullaDei più vergini gaudi, e la tremendaLibera musa che sorride ai forti.....Vieni; voliamo all’anelata piaggiaOve feconda amor l’accesa menteDi sacre melodie: vieni, soaveTi fia veder la vagheggiata riva,E i monti, e i fiori, e le colline, e l’acque,

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D’alti desir d’alte memorie obbietto:Vieni; vedrai gli sventurati figliDella patria d’un Dante irne raminghiPer ignote contrade: ed altri al feroCupo romoreggiar delle cateneChinar la testa per dormir da schiavi.....Ed altri, o non compresi, o vili, o stolti!...

Indi volammo... e vidi Italia!... e vidiQuesta bella venduta a lo stranieroInondata di barbari; cosparsoDi sangue il Tebro; il grande augel di RomaDibatter l’ali; il successor di PieroIrne confuso tra la croce e il soglio;E dal nulla inalzati a reggimentoDi cittadine leggi e di costumi«Uomini poi a mal più ch’a ben usi!»Tutti malvagi!... Attila impera, il sacroVessillo dell’amor giace nel sangue...E voi figli d’Italia, e voi ansate,Ancor languenti, a libertate e gloria!...O ciechi tutti! – Un patto, un’alleanzaAl tradito fratel stringa il fratello,All’amico l’amico; abbia l’ItaliaUna fede, una croce.... e dove un gridoD’onta feral s’udia da l’Alpi a ScillaD’amor l’aere risoni intorno intorno,Sempre d’amor!...

Se il gran Lion di Marco

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Codardamente fu venduto, e l’altoConquistator d’Egitto (infausto eroeDi Marengo e Vagramme ed Ulma e Lodi,Quel sovruman guerrier che ben poteaCol Campidoglio rinnovare il mondoE pur da sè, sol da se stesso, vintoCadde col fior delle latine genti)Libertà vi donò, ma tal che parvePeggior di tirannia, voi, che sorgeteAll’ombra del dolor, levate un gridoD’incorrotta speranza; e un voto, un soloSacramento d’onor, gagliardi invittiInnanti a lo stranier tutti vi renda.Qui, sulle sponde italiche ritorniL’aura argiva. O fratelli! uopo ha la patriaD’intemerati affetti. Itala donnaSui figli schiavi lacrimar dovriaAmaramente, e non su’ cari suoiPer la comune libertà caduti,Ma non domi e non vinti,

Oh!... ancor favellaL’ardor possente delle greche madriA la pugna di Leutra – e allor che SerseIrato a le Termopili scendeaArdite e forti le Spartane donneSpingeano i figli al glorïoso campoDi vittoria e di sangue – e quando un altoAmor di patria nell’acceso petto

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Archidamia sentì, di Sparta ai lidiL’inno di gloria risonar s’intese.E surse Eubea di Maurogenia al grido;E Mosco e Caido sulle greche rupiMostrâr che donna è di virtù maestraE d’ardimento quando il cor non tace.Sulle salme de’ figli BobolinaFera sorrise: sovra il greco altareEcheggia ancor nella canzon di gloriaIl nome di Costanza.... O Grecia invitta,A te la spada, la corona, e l’arpa!....Ma che aspetta la patria?.... ahimè! fia dunqueChe le donne d’Italia esser cotantoAudaci e forti non potran se il fato,O la patria o la gloria, i figli appellaDove più santa la virtù risplendeSotto l’ala d’onor! E che! fia soloDesio di queste donne un vezzo, un fioreSul niveo petto, una gemmata vesta,Un riso, un guardo, un serto che si sfronda,La carola d’un mimo, o gir fastoseA l’evirata danza, e farsi obbiettoDi molle e vile immaginar? Le donneChe il sol d’Italia irraggia, a cui sorrideCome in un sogno l’avvenir dei forti,Di severe virtù mostrarsi dennoGenerose cultrici. E che non puoteItala donna ove desio la spronaE carità di patria, e speme santa,

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E fortezza di fede? O qual possanzaHa il Ciel negata della donna al core?...Quest’alma patria, ove trasfuse tantoAlito Iddio, da lei non poco aspetta;Chè ben col sacrificio e la parolaPugnar anch’ella puote, e farsi grandePer grandi affetti!... Il fanciullin che schiudeAlla luce del dì gli occhi innocentiPaghi soltanto di celesti sogni,A lei si volge dolorando, e madreLa saluta col pianto; in lei ritrovaD’alta virtù l’esempio, in lei cominciaAd amare la patria: essa lo adduceA glorïosa meta, e il cor gli tempraAll’aura della fede. Il novo figlioDella sventura in lei converso il guardoGrande per lei diviene, o vile, o reo.Or dalla donna questa patria aspettaCittadini veraci!... Un dì, verrannoForse d’estranea piaggia estranei prodiA l’antica reina; e braccio e coreDaranno a l’opra.... e pur fra il sangue e l’iraSarà serva l’Italia, e vano il sangue!....

In così caldo immaginar, la spemeInfin vincea la tema, ed una caraLacrima errante mi venia sul ciglio.Pareami rimirar l’Italia alteraSorger temuta e vincitrice in soglio;

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E le sue donne, non più madri imbelliD’imbelle prole, infondere ne’ figliCulto di libertà, febbre di gloria;E i vecchi affranti benedir piangendoLe novelle bandiere, e le fanciullePregar sommesse, e gl’ispirati bardiCantar l’inno di speme, e sovra tuttiSplender la bella desïata aurora —

Sì vagando, tremâr le tue bell’aliCome augel che si parte, e sul convessoCiel della patria mia fulgean le stelle;E marina aleggiante aura soaveLa mesta gota ed i commossi raiLeve molceati, come fior che baciaD’ignoto rio le flessuose linfe.

Canta, tu mi dicesti; è omai dischiusaDella canzon la via; mira le piaggeDella patria infelice – ovunque il piantoDei generosi, ovunque la baldanzaDel codardo si mira, ovunque irrisaLa speranza e la fede – a te lo spirtoLevar si aspetta dell’Italia in Dio!Ecco la cetra. Or gl’Itali affratella,E forte abbi l’ingegno, e forte il core,E liberi gli affetti!... Indi sul crineDi foco un serto mi posasti, e leveAdditandomi il ciel non più ti vidi.

Ed or l’estrema tua parola vieni

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A rammentarmi?... O madre! il fremer cupoSento di oppressa terra: arde inconsuntaNei secreti del cor l’intima fiammaPer la patria che aspetta – e il puro ingegno,Cresciuto all’ombra d’un feral servaggio,Non fia che mai si prostri, o il vol distolgaDa generosa meta, e all’ime glebeSi converta dagli astri ov’ei si aggiraIntemerato ognor, libero ognora.E questo serto, che m’appella ai sogniD’un avvenir di martiri e di luce,Scende da quell’Iddio che ai forti additaUna patria perduta, e l’uomo estolleSull’uomo istesso e a profetar gl’insegnaIl destin delle genti. – Oh come alteraGrecia lo vide irradiar le belleAcque dell’Ippocréne allor che un grandeRamingo e cieco lo portava al crine,E a lei volgeva il canto! Indi lo videDi Pindaro e Tirteo fregiar le chiome,E piovere di luce ampio tesoroSulla lira d’Alceo – languente e mestoPoi rimirollo su la tomba brunaDell’indomita Saffo – e d’atro sangueCosparso, e come giudice tremendoChe non sorride al fallo e non perdona,Al capezzal di Socrate morenteStringer la chioma irrigidita e biancaDi quel grande tradito.... indi guatollo,

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E vide il suo delitto.... e muta giacque,Tardi troppo pentita! E Italia anch’essaAl cantor dei tre regni il vide in fronteSplender nel duro memorando esiglioCome cerchio di foco in notte oscura.E a le valli di Sorga e di ValchiusaBello rinacque allor ch’a le sue frondeMalinconicamente errava intornoDi Laura il nome....! Ahi la fatal FerraraCrudelmente l’infranse! Indi, sul freddoSepolcro d’Ugo inaridir lo videEstranea gente, poi che l’infeliceFiglio di Zante indarno italo cieloE indarno sospirò italo avello.

Oh va, ritorna a la magion sublimeDell’armonia! Quell’anelato sertoChe tu mi desti, immacolato e sacroUn dì l’avrai. Mira! ogni fronda è il vagoFantasma d’un passato, è il simulacroD’un fulgido avvenire, è il primo bacioDella vagante civiltà dell’ArnoVenduta, ahi troppo, a la ragion del forte!...

Deh l’Italia, quel serto un dì scorgendoD’una donna su l’urna, ai figli gridiChe non è vana l’armonia del canto,Che sacra è l’arte ove il pensier maturaUn fecondo concetto e addita ai fortiDel vivere la meta! Oh di cotante

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Speranze in premio altro non chieggo, Italia,Che un accento d’amor!... Io non cantaiPer l’onor d’una fronda: il tuo sorrisoMi fu sprone a la via, come un secretoMessaggero di gloria.... Oh! tu, tu sola,Ma vendicata dal servaggio antico,Sarai premio al poeta! udrai commossaDella vittoria gl’inni, ed alle diveArti i lauri d’un dì risorgeranno.Abbi fede in te stessa; ama i tuoi prodi,Pugna, e di leggi e di saver ricintiVedrai dov’or non son che ceppi e palchi.Se la canzon d’amore i figli tuoiNudriti avesse, oggi madrigna e schiavaNon saresti tu già; chè vita è amore,E pegno è fede della fede ai patti. –Ma non è tardi..... Oh fin che un genio amicoSentirò nella mente, e saran puriDel combattuto cor gli ardenti affetti,Oh sì, lo giuro, i canti miei sarannoL’amor, l’umanità, l’Italia, e Dio!

5 febbraio 1863.

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A GIAMBATTISTA LUPIS

LA CUI GENTILE AMICIZIA

MI È CONFORTO SOAVE

NELL’AMAREZZA

DI VIVERE DIVISA

DALLE DOLCI AURE NATALI

OFFRO QUESTO TENUE CANTO.

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Un volo sulle Alpi

Angel dei carmi, che la bianca imagoSpecchi nel genio degli ardenti vati,Vieni fra l’erbe al susurrar del lago,

Vieni, sediam sui prati.

L’arcana melodia de’ tuoi concentiI pensieri, gli affetti, afforza e ispira;Vieni, volgiam lo sguardo ai firmamenti,

Dammi l’eburnea lira.

Finchè sacra dei carmi è l’armoniaE un sorriso di Dio mi scende in petto,Udrà l’Italia il suon dell’arpa mia

Vivo di santo affetto.

No, del poeta l’anima non mente:Fedele amica a la virtù romita,L’umanità entro se stessa sente...

Di fè, di speme ha vita.

Ma se di sdegno accesa i lunghi affanniSprezza, e sorvola all’increato Nume,E virtù chiede a calpestar gl’inganni

Bella del divo lume,

Arde d’ignota possa, e slancia il voloDell’avvenir su l’onda interminata,

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Mentre de’ loschi ed invidi lo stuoloUrla fremente e guata.

Oh... vieni, Angelo mio, dammi la lira,Chè sento anch’io nell’agitato coreQuella possanza che ogni vate ispira,

La libertà, l’amore!

Sì, da te, sol da te, discende il cantoAnimator di generosa speneOggi che a noi non resta altro che il pianto,

Lo sprezzo e le catene.

Quando d’ogni viltà l’uman pensieroTutto si sferra in libera canzone,Polve è il potente d’altrui possa altero,

Son polve le corone...

Oh in ver tu mel dicesti, Angelo mio:Mai non chinarti ai grandi della terra;Sacra la tua parola a Italia, a Dio,

Ama, e a l’error fa guerra!

E pria di profanar quei sacri ardoriGitta la lira che ti fe’ beata;Chè un serto avresti di caduchi fiori,

E un’urna illacrimata!

Ma no, non fia: intemerato e veroFulge nei versi miei l’italo sdegno;Chè la canzon di Tasso e d’Alighiero

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Il cor m’arde e l’ingegno.

Ma vieni, Angelo mio, deh vieni e l’aliMi spiega dell’accesa fantasia,Vieni su l’Alpi... all’aure immortali

Anela l’alma mia!

Conosci quella donna che sospira,Dal bruno velo e da la chioma bruna,Che volge immota i rai, come delira,

A la morente luna?

La vedi omai?... sul gelido sembianteÈ steso un velo di tremendi inganni;Oh chi sarà la peregrina errante,

Bella, sul fior degli anni?...

Ahi! su la guancia da terror percossaErra una stilla di crudel dolore,E la candida man di sangue rossa

Stringe tremante al core.

Ma fra il sangue ed il pianto è bella, e alteraS’erge su l’onta d’un fatal servaggio,E ricoperta dell’altrui bandiera

Sprezza il nimico oltraggio.

E geme stanca, e si rialza e cadeUn’altra volta!... e vincitrice o vinta,Fra il cozzo altero di straniere spade,

Sempre è di ceppi avvinta.

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E qual fantasma in negre vestimentaRimira i figli dall’emunte gote,Ed or si fa gagliarda ed or paventa.....

E freme... e non si scote!

E i giorni tragge in disperato pianto,Ed invola ai suoi figli e gloria e vita,E la tradisce chi d’amarla ha vanto,

E sa d’esser tradita!

E pur fra l’orgie convulsa sorride,Ebbra di gaudio, di splendor, di speme,Persino a lo stranier che la conquide,

E beffardo la preme!

E sprezza le sdegnose alme gentili,E toglie ai buoni il lacrimato alloro,E si addormenta all’adular dei vili,

Cui plausi dona ed oro!

Ma i vaghi fiori della sua coronaSon calpestati da codarde genti,E tutto intorno a lei tutto risona

Di gemiti e lamenti.

Oh come l’ossa de’ suoi figli estintiFremon disperse su lontane sponde!Sorgi, deh sorgi, o madre... innalza i vinti...

Ma sosta!... Ahi non risponde!

E sui campi diserti e su le vaghe

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Ampie colline si sofferma, e langue...E guarda... e guarda..!.. e le profonde piaghe

Stillano ancor di sangue.

Su’ lieti campi ove sorride amoreA’ bianchi gigli, all’aure mattutine,Or fra gli urli di smania e di furore

Germogliano le spine.

Egra, discinta, è bella ancor! sua vocePer l’eco d’un’arcana melodia,E sfavilla nel guardo, anco feroce,

Amore e poesia.

Su l’ampia fronte che conforta e bea,Benchè da sprezzo e da livor solcata,Pur brilla il raggio dell’eterna idea

Che un dì l’avea segnata.

E cammina cammina... e guata, e tace,E sangue versa, e sua beltà disfiora,E uccide i forti, e al suol ferita giace.....

Ma non è morta ancora!

Oh seguiam la dolente, Angelo mio,Seguiam la mesta nel crudel cammino!...Derelitta dagli uomini e da Dio,

Par l’ombra del destino.

Sogguata e trema..... per diserto colleMira un serto di spine, un ferro infranto,

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Una croce che bella al ciel si estolleSparsa di sangue e pianto.

Sogguata e trema, e si fa smorta in viso....Oh è quello il serto che sinor la cinse,È quello il ferro che di sangue intriso

Finor tremando strinse!

E quella croce?... ahi la crudel non osaVolger lo sguardo a la temuta croce!...Ma la percote fra le nubi ascosa

Una tremenda voce:

— Donna, che attendi?.. a che raminga vaiE piangi e piangi su la tua sventura?....Te stessa hai tu ferito, e ben lo sai

Gemente creatura.

Volesti un serto, e fra le spine avvoltoQuesto serto crudel t’orna le chiome;Volesti un ferro, e in te quindi l’hai volto:

Nè l’ire tue son dome?

Da te stessa, dai tuoi, sempre divisa,Sempre confitta in duri ceppi il piede,Ti chiamano reina... e t’han conquisa

La libertà, la fede!..

Ma risorgi!... la croce è a te serbataUnico e solo immacolato pegno:La croce che sin oggi hai calpestata

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T’offre di gloria il segno! –

Geme la mesta, irrefrenato piantoLe ricovre la guancia illanguidita:E par che prona a quella croce accanto

Sugga novella vita.

La vedo, Angelo mio, l’Italia è questaSu cui sbrama l’estrano i turpi sguardi...Madre di mille eroi, madre funesta

Di prodi e di gagliardi!..

O Italia Italia!.. a che ti fe’ naturaCinta da l’Alpe, e l’Appennino, e il mare,Se dovevi albergar tanta sventura,

E sempre invan sperare!

A che rivolgi de’ tuoi figli il brandoIn te medesma, e sei de’ tuoi la fossa!Oh.. sorgi alfin dal giogo abbominando

Bella di nova possa!

Madre dell’arti e del saper brillastiPria di vagar fra l’urne degli eroi...Pei forsennati a lo stranier donasti

Te stessa, e i figli tuoi.

Ma deh... sorgi... degli avi odi la voce,Dispiega il tuo vessillo ai quattro venti,E santamente in un co’ tuoi feroce

Vendica i forti spenti!

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Vendica alfin le stragi e i tradimenti,Sprezza i vili, gli sperdi, innalza il buono,E colla croce in man grida ai potenti:

Libera e forte io sono!

E tu, bell’Angiol, su la donna afflittaTu pur distendi i vanni immacolati!E allor che la vedrem grande ed invitta,

Noi tornerem sui prati!

1º marzo 1858.

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A Giuseppe Garibaldi

Arpa che scorri l’etereLiberamente altera,In cor mi spira un’auraDella celeste spera!..Se il tuo sommesso gemitoÈ vita a’ sogni miei,Se l’ali d’un ArcangeloVelano il tuo dolor,Nata ad amar tu sei.....Nè t’han compreso ancor!

Arpa diletta, a chiedereTorna le tue ghirlandeOggi che della patriaIl core alfin si espande.Sui campi della gloriaRavviva i tuoi concenti:All’avvenir d’ItaliaSacro il pensier sarà,E il genio dei portentiLa luce a te darà.

Sognai – Bella fra i plataniVedea la nova aurora;Sorgean dell’onde italicheMonti.... altri monti ancora;

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Le cime al ciel tendevano,S’udia di guerra il canto,La morte e la vittoriaSegnavano un altar...E armonizzava il piantoL’Alpi, le nubi, e il mar.

Là sui lontani verticiSiede un potente e impera;Rivolta a le piramidiFulge la sua bandiera:Scende... la stanca ItaliaScote, rialza e sprona...Ma una regal coronaSovra ogni gloria ambì,E il sasso di Sant’ElenaL’accolse e lo coprì!

Fu gloria e fu sterminio,Fu vita e morte a un puntoMa il giorno dei miracoliPer l’egra patria è giunto.Ecco, risorge un popoloDove pugnâr quei forti,A cancellar l’immagineD’una perplessa età,A vendicar le sortiD’Italia che sarà.

E tu, creato ai palpiti

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Che levan l’uomo in Dio,Vieni e di cinque secoliFa pieno il gran disio!Stendi la man sui popoliDal Vaticano all’Arno,Di Lilibeo sui marginiVola, sorridi, e sta.....No, non si spera indarno,L’alba risorta è già!..

Vieni, o gagliardo! un vincoloStringa le menti e il core,Chè dove è un’alma liberaArde e favella amore.L’arpa dannata a piangereMandi nell’ira il suono,La voce d’un magnanimoSia guida all’avvenir;E ogni esecrato tronoFia polve in un sospir!

Vieni! Te l’aura invocano,Le tombe al par che l’onde!Odi il confuso anelitoChe all’alta idea risponde.Tutte le genti italicheLevando al ciel la fronteTe gridano te acclamano,Con indomata fè,Novel Timoleonte

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Cui sola è amor mercè.Vieni! I guerreschi lauri

Saranno a te men belliDell’esultanti lacrimeDi liberi fratelli.Reggi, rinfranca il debole,Il forte accendi e ispira!Oh se di gloria ai palpitiVola congiunto amor,Fra lo sterminio e l’iraSorge una croce ancor!

E quando fia che ItaliaTerga la sacra chioma,Ecco, direm chiamandoti,Ecco che surta è Roma!..Mira fra noi sorridereL’arti di Grecia altera,Mira un possente ArcangeloChe il Campidoglio aprì...Ma sol la tua bandieraVinse..... e l’Italia unì!

28 settembre 1860.

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A Vittorio Emanuele

Sire, il suol di tue vittoriePiù non serve a lo straniero;Surto è il giorno, è stretto un popoloD’una fede e d’un pensiero!Ma sull’urna dei magnanimiPiange Italia, e piange il fato;Ricommossa è quella polvereDallo sdegno e dal dolor.....Un sepolcro interminatoChiede sangue e sangue ancor!

Duro fato!..... A che pugnaronoSenza tregua i forti estinti?Con l’anelito dei liberi,Morti caddero, non vinti.Eran prodi, e si disperseroD’aurea croce ornati il petto.Eran prodi, e in un confuseroIl passato e l’avvenir.....Ma fu premio a tanto affetto,Re d’Italia, un tuo sospir?

Oh che val se fiori e lacrimeMira Italia all’urne accanto?Chi combatte per la patriaNon desia corone e pianto.

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A quei cari, o re Vittorio,Altro premio era serbato:Eran prodi, e a te sacravanoUn sol voto ed una fè.....Eran prodi, e avean giurato:Viva Italia, e viva il Re!

Chi rispose a tanti martiriChe sognâr la nova aurora?A che tanto sacrificioSe l’Italia è serva ancora?.....Minaccioso in riva al TevereSorge Bruto, e i vili atterra;Sulle spiagge dell’AdriacoViene Dandolo a pugnar.Ogni forte anela ed erraSenza patria e senza altar!......

Ove s’erge in terra italicaUn sol gemito di oppresso,Il tuo nome, o Re magnanimo,Lì risuona e geme anch’esso.Più che re, fratello al debole,Spiega all’aure il tuo vessillo!Corri là dov’arde un popoloD’esser libero qual fu.....Di Fabrizio e di CamilloVivo è il senno e la virtù.

Sin che Roma è stretta a piangere

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Non è tuo d’Italia il soglio;Di te degno, amato Principe,Ben lo avrai, ma in Campidoglio.Sì, lo avrai!... In mezzo ai ruderiDove Roma al mondo impera,Dove l’onta d’un PatrizioLa gran donna ridestò...Sovra l’itala bandieraNove glorie Iddio segnò!

Ivi è il patto – In tanto secoloDi servaggio e di vendetta,La regina dell’ItaliaTace ancor, ma i figli aspetta.Su la pietra dei miracoli,Dove occulta arde la fede,Cristo è surto, e impreca al VandaloDei codardi il disonor....Maledetto chi non credeLa gran legge dell’amor!

Cristo è surto, – i monti echeggiano,Santo è il di, nè giunge invano...S’apre il tempio – un lungo gemitoChiama i forti al Vaticano.Svincolata da la polvereSorge l’aquila sdegnosa:Cadde ormai l’altar dei Cesari,Roma è madre, e Italia il sa...Fra la polvere non posa

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Chi nel ciel sorride e sta.Il tuo fato, il nostro, a compiere

Dio sovran ti elesse e duce;Questa terra di memorieTi richiese amore e luce.Aspettando il dì novissimoL’egra patria si martira....La speranza è un lento anelitoA chi vive di sospir;A chi palpita e deliraTardo troppo è l’avvenir!....

Va, t’affretta – in sull’AdriacoAltra terra attende e geme;Vanto anch’essa amor d’Italia,Guarda i ceppi, e tace, e freme.Solitaria, al par di vergineSovra l’acque abbandonata,L’aure e l’onde la vagheggianoPer l’indocile sentier...Questa spiaggia innamorataFu venduta a lo stranier...

Ah perchè sul vasto pelagoL’aurea barca oggi non viene?!Ah perché non s’ode il canticoMessaggero al lieto imene?!...Tacquer l’onde – ai lidi venetiLo straniero ha compro il varco:

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La sua cruda ombra mortiferaTutto aduggia ov’empia sta;La campana di San MarcoNon si scote a libertà!...

Oh sterminio!... Il lungo fremitoTe sospinge a sciorre il patto,Chè nel tuo nome, o Vittorio,Sacrò Italia il gran riscatto.Sprona, o Re, sprona il fulmineoTuo destrier su l’ampia via!Deh ti affretta! In sul GianicoloGrida al mondo: Italia or è....E una voce il mondo fia:Viva Italia ed il suo Re!

13 aprile, 61.

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In morte diCamillo Benso Conte di Cavour

Genio dell’arte, che mi fervi in pettoCome voce di Dio, che mondi ignotiAll’agitata fantasia disveli,E ognor per ardue vie la risospingiOve un raggio è del ver, tu le sovraneLeggi mi addita che l’Italia han fattoGenerosa maestra, e in mille pettiHan desto di cotali opre possanzaChe d’insano titanico ardimentoEbber nome e sembiante insin che avversoFato a la terra più diletta al soleD’orrida notte l’avvenir coverse.

Salve Italia novella, e ancor regina,Ma sol di te regina!... E voi salveteOmbre dei forti che le deste in pegnoTanto nobile sangue, e più del sangueCara le offriste un’armonia gentileCh’era figlia del core!... Oh benedettoChi tanto amor nutre e feconda! IrateGli si volgan le sorti, una pur unaNon gli arrida speranza... oh se l’allietaQuella cura possente, e in un gli mesceCol venen la dolcezza, e di soavi

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Consolatrici idee lo riconfortaNell’ampio suo sentier, nulla faticaÈ il tedio lungo e il dolorar sommessoSu le carte inspirate – una secretaMelodia delle sfere è premio e vitaAl commosso pensiero. Ecco il divinoSpirto nato all’amor che tutti abbracciaI popoli redenti, ecco.... ei sollevaDisdegnoso la testa; ai quattro ventiDrizza lo sguardo, e giudice si estolleSu le genti prostrate; e i mille prenciServi al possente scrutator pensieroNorme aspettan da lui, che circoscriveIn un sol patto dell’Italia i fatiCol segnar della mente. Oggi di CristoIl ministro son io – così favellaL’inspirato a le genti – io le tue sortiAffrettai col mio sangue, e sangue ho datoDa la mente e dal core, o Italia mia!...Di sovrane bellezze io le tue riveSperai far vaghe, e coronarti un giornoSu l’ampio altar della possente Roma;Là dove un raggio dell’eterea fedeFede inspira ai tuoi figli, e ridestandoL’antiche glorie, le virtù sopiteToglie in seno a la polve, e in un divideCoi settemplici rai corona e mitra!...Io sospirai tant’anni i sette regniArmonizzar d’un voto; e dove suona

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L’idïoma gentil che vita effondeEd è mel di dolcezza, ivi speraiChe in ogni lido un’armonia s’udisse,Cara armonia di libere canzoni!...Sperai con lungo meditar profondo,Con la possa del cor che tutto vince,Su le venete sponde il sacrosantoSpiegar vessillo dei redenti, e a l’ombraDi San Marco e dei Dogi ultime proveSegnar coi petti, e a la città prostrataDar battesmo e corona in un sol punto.Sperai.... ma il ghigno di codardi figliM’ebbi sovente, e un brivido mi corsePer l’alta impresa... Pur, disio mi spinseItalia bella, a salutarti donnaDi tue province! Oggi.... nel cielo è scrittoCh’io non compia quell’opre, e posar deggioA mezzo del cammino.... Itali, a voiLa patria affido; intemerata e grandeVoi la serbate – un solo affetto, un solo,Vi sospinga ad oprar – non fia che surgaL’orgoglio insano, o la superba vogliaD’indomato pensier che il santo pattoIn un giorno cancelli, e miserandoLa vasta impresa a macular si attenti!...Itali, a voi l’affido; a voi, fratelliNell’amor nella fè, l’ultimo dettoIo morente rivolgo – Oprate, e l’opraSia di pensier, non mai di sangue: i figli

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Benediranno le divine gestaDa’ cieli a voi largite. Io degno moroDel mio Dio, del mio Re, d’Italia intera.

Tal tu fosti o Camillo! E Italia e il mondoMuti sospiran su la fredda pietraChe l’ossa tue ricopre. – Ahi, del possenteGenio che mente ti bruciava e coreParlano ancora, parleran mai sempre,Crimea, Palestro, San Martino. Oh destiIl ciel nel petto ai generosi figliDella patria redenta i santi affettiChe serbavi nel tuo! Possa il divinoAngiolo dei portenti i nostri altariBenedir di sua luce! – Allor prostrataA’ marmi tuoi l’italica famigliaAd esultar dell’esultanza suaTe padre invocherà de’ tempi novi,Pari all’antico che i tre regni eterniDischiuse al mondo a preparar nel gremboD’Italia sua della giustizia il regno.

12 luglio 1861.

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L’arpa la croce e la spada

Poichè l’Itale genti han maturatoDella patria i destini, e sui temutiGioghi di Roma profetar non vistaS’udì l’ombra de’ Bruti, a voi si affidaItali spirti l’avvenir di Roma.A voi la santa eredità, le santeLeggi di Numa, e il sovrumano sdegnoChe forti ha reso i più codardi. A voiLa sublime speranza, i dritti, i fatiDella risorta umanità; la possaChe Roma addusse a dominar le gentiDai sette colli, ed arpa, e croce, e spadaA voi sian date. In esse intera suonaLa favella dei secoli, ministraDella vita e di Dio – mistica formaVestita di fulgor che tutte accoglieLe corone d’Italia, e si fa bellaD’una grandezza che da lei ci venne.L’arte che tutti ci affratella – il drittoDello schiavo e del prence – il santo pegnoChe Cristo offerse a la veggente Roma,Franti i superbi simulacri e l’areDei compri numi.... ecco l’idea!... divina,Raggiante idea che l’itale contrade

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Feconderà col puro alito immensoFiglio di gloria, di armonia, di affetti.E l’arpa un dì fu vita a le tue gentiO Italia bella! Pargoletta ancoraElla giacea fra le miserie e l’ireInterminate dell’età commosse...Giacea!... Ma invaso dal pensier dell’arteSurse Tancredi e su le meste cordeDella cetra Sicana i labbri impresse –Indi volser l’età; l’arte era figliaD’Italia nostra, e con la sua grandezzaSorger doveva a non perir giammai!E Federico la chiamò primieroFra le corti dei re; nove armonieChiese all’arpa fanciulla, e addusse al belloIl gentile idïoma. – Enzo e ManfrediSoavemente ne temprâr le corde;E Piero, e Ciullo, ed Oddo, e Guido, e NinaLa baciâr sospirando... E pria che DanteNei secreti del cielo e dell’avernoL’ali spingesse, immacolata e puraL’arte vivea: di mille trovatoriScaldò gli affetti; e spesso in su la seraL’innamorata vergine pendeaDal veron solitario, inebriataAi dolci tocchi dell’amor!... PossenteFu dell’arte l’idea: nobili spirtiSi raccesero al carme, e Italia allora,Nel suo nascente sol fisa gli sguardi,

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Strinse l’arpa e cantò; celeste lucePiovve al cieco mortal; danze e torneiFur celebrati; e la Provenza alteraNella sirvente il magico svolgeaIdïoma novello, e preparavaMille cantori, e mille prodi. ArriseL’Alighieri al concetto; e in sè raccoltoOgni suono dell’arpa, in un congiunseL’arte, il dritto, la fede! E tu vedesti,Povera Italia, il ghibellin cantorePria vagar fra le schiere, e poi rapitoNei misteri del bello, in quel solenneDivin silenzio che matura e crea,Chinar la fronte... e meditar gli arcaniDell’universo. – E l’arpa a te fe’ donoDi nuovi mondi, Italia mia!... ColomboSui mari apparve, e disdegnoso e mutoVolgendo il guardo all’oceán fremente,Dammi la terra, soggiungea.... la terraCh’io sospirai cotanto!... Arte fu duceAl sovrano disegno, e il novo mondoVergine ancor dall’oceáno apparve!...L’arte è possa di Dio; l’arte è naturaChe in un sorriso la natura imita,Nè ripeter potrei se dona o toglieColor, vita, movenza. – Ecco innalzarsiL’immenso Buonarroti, ecco il possenteAngel d’Urbino, e il fortunato ingegnoChe le porte del ciel (superbo dono!)

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Diede a le genti, irradiate ancoraDal casto lume d’un’eterna idea. –L’ arte è duce a le sfere: uomini e diviL’arte confonde; e Galileo, trasfusoIn quel pensiero che l’artista adduceA farsi nume di se stesso, inteseTremar la terra, e l’uno e l’altro poloRotar confusi, e l’astro animatoreDall’ampio circo irradiarli immoto.L’arte è concento, è melodia: rapisceAgli Arcangeli il suono, e tremolanteSull’ali d’oro lo tramanda ai figliDel bramoso mortale. – E tu l’udisti,Italia mia, nel vergine pensieroDel tuo Bellini, allor che palpitandoRaccoglievi in quel suono amore e fede –Ma dell’arte il pensier vive e si abbellaIn un patto.... la croce!... Arde incompresoDell’arte il foco se potenza e vitaNon aspetta dal cielo; ed arpa e croceSono un altare, una speranza, un verbo!...Ben tu vedesti, Italia, a le tue spondeVenir fastosi i due Normanni, e, trattoIl vessillo di Cristo, ornar le belleMaestose pianure, e darti in pegnoTanto splendor. – Vedesti e duci e prenci,E madri, e spose, e vergini, e fanciulle,Che un dì, segnate della croce il petto,Varcâr l’aride piagge al santo acquisto

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Di temuto sepolcro, offrir la vitaNel pensier della fede....! E tu reginaFosti pur sempre della croce: invittaTi fea la croce, e l’arte onde ti abbelliFu decreto di Dio.... Natura e drittoSerbando il lume delle tue vaghezzeTi serbâr la corona. – E croce e spadaFur congiunte in un patto, e tu sorgestiFra il cozzar di furenti armi nemiche,Fra il suon di trombe e di timballi. InfaustoDritto di sangue che nel sangue è pago,Nè sazio è mai – che vinto arreca al vintoSprezzo e vergogna; e vincitore adduce,Pegno fatal delle vittorie, il pianto!Ecco dell’armi la ragion! Da l’altoFormidato Tarpeo Roma fu donnaDell’ universo, e vinse, e fu temutaPer diritto feral!... Vedi avanzarsiBrenno superbo... Ed Anniballe vedi,E l’orrido Nerone!... Arse, fu vinta,Ma dal cenere suo più bella apparve,Quasi divina!... Ecco Galerio: è chiusoOgni varco al Romano; e pur nei cieliLa grandezza di Roma era segnataNe’ libri dell’Eterno. Indarno sceseIl possente Alarico; e su pei vastiGioghi del Pincio invan con fero sdegnoL’Ostrogoto od il Vandalo si assise.Invano apparve il Longobardo, invano

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Rise Agilulfo, e irato il SaracinoInvan distrusse il Vaticano e l’are.E il Colonnese, ed il Borbone, e il FrancoSognâr l’altezza di Quirino, e i fastiDell’antica città... Roma li sperse.Dei popoli il diritto era racchiusoIn un pensier, la spada! e in quel pensieroSu l’invitta repubblica si assiseL’aquila stanca!... – Dell’Italia i fatiRoma soltanto in un desio disvela,Roma li chiude... e Roma oggi è l’immagoD’Italia tutta – ed arpa, e croce, e spada,Sono un’idea che in sè stringe e maturaUn Campidoglio, un Vaticano, un Mondo.O Italia, Italia mia, volgi la fronteSu le belle pianure! odi il confusoMormorar dei sepolcri – ecco rizzarsiCola di Rienzo; ecco vagar gementeL’ombra del tuo Porcari, e leggi e pattiOffrir novelli a la città dei Bruti!...Deh ti riscoti, ed arte, e fede, e drittoTi fian ministri!... Ormai novi portentiT’addita il cielo; e il Bosforo si parte,Quasi additando e l’una e l’altra sponda,E il tremar delle immense acque spumantiIn un bacio confuse... E tu, reginaDella terra e del mar, deposto il brandoSu la tomba de’ Cesari caduti,Vagherai su quell’onde inebriata

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In un sogno di gloria... e in altri lidiForse ridesterai l’arte e la fede!

19 ottobre 1861.

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Giambattista Nicolini

O piagge, o colli d’Arno! Oltre i confiniDella terra e del mar sorge una voceChe possenti vi appella, e in voi salutaIl più gran raggio del pensier divino.O fortunati! l’immortal concettoChe vi feconda è l’ara ove rifulgeOgni speme d’Italia!... In voi più bellaDella commossa civiltà latinaFerve l’immago – in voi devotamenteFisan le luci quanti il bel paeseE l’orbe intero han generosi figliNati l’aure a spirar de’ mondi schiusiDa l’altissimo Vate.

O avventurosaCittà de’ fiori! era segnato in cieloChe per vario di età corso infinito,E di pugne e di sangue, esser doveviE culla e tomba del saper!... Ahi quandoIl precursor fatidico pensieroPar che si taccia, e ceda il loco al numeDe’ magnanimi fatti, o chi sollevaFra le perle dell’Arno il crin già biancoPer lunghi lustri consumati all’ombraDegli eterni volumi, e aspetta e chiede

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Il riposo dei grandi?... Eccolo! immotaLa pupilla si arresta: ardon le fibreDi quella ebrezza che inondar può soloCittadini e poeti – intimo toccoD’arpa celeste che sommosso aleggiaSu la corolla d’un ligustro estinto,E vagando vagando unisce il suonoA l’immense armonie della natura!...Ecco il poeta! Il sovrumano affettoChe sì l’informa, è forse il più gentileDegli affetti di Dante; è forse un mestoSimulacro di gloria, un raggio arcanoChe i forti unisce: e lo concede il NumeA pochi eletti peregrini in terra –Ed ei, fanciullo, con modesta curaLo blandi, l’educò, lo volse ai sacriMonumenti dell’arte, e il fe’ de’ suoiConcetti anima e luce... ecco il poeta!Là dove il core di se stesso è fiamma,E ritrova in se stesso il mondo e i cieli,Sol ivi alberga il creator pensieroChe gli umani trasforma: ivi maturaL’idea del bello, e di quel ver che schiudeNell’alma umana a Dio tempio sì degno.Chi nacque all’arte la scintilla primaNon la chiede a la terra: alto sollevaDisdegnoso la fronte; e quasi ardisseInterrogar l’incognita favellaDelle sfere superne, opra e concetto

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Da le sfere richiede. – E chi, chi puoteMacular questa fè, che moto e leggeDona alla terra, e circoscrive in unoD’ogni gente il pensier?... chi ne fecondaColl’arcano disio?... chi tragge a voloL’anima stanca, e dolcemente affrenaGl’impeti ciechi? E puote l’infeliceChe indurò nella colpa, in suo secretoMutarne i sensi, e intepidirne il focoCon sue stolte menzogne? Ovunque è sacraL’armonia della fede, ivi è un sorrisoFra i mortali e i celesti, è franto il veloDe’ più cupi misteri, è spento il tristeDelirar della polve, e l’intellettoDell’immortale amor sublima il vate.E un dì quest’aura innamorata e leveCh’è sospir della fè, soavementeSi volgeva a la terra! Amor le diedeParte di sè – le due vergini cordeTremâr compagne, e il dolce alito arcanoSi diffuse in quest’uno! Eccolo! ei vienePeregrino su l’Arno... e piange, e prega...O Santa Croce!... Or che la gloria e l’arteTi fer possente, non negar la tombaAl ramingo poeta! Anch’ei sorriseVagheggiando una fossa inspiratriceAgl’italici cor: soletto anch’essoMalinconicamente iva temprandoL’ardita cetra, e all’italo coturno

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Volgea le fiamme del fecondo ingegno.Nè si dica, per dio, che asil negastiA chi pianse pei forti! Oh ch’io non odaEstrano labbro con superbo ghignoRammemorar che dopo lunga etadeDi mertata vergogna un’urna sorseUna pietra per Dante!...

Ecco! il dilettoCantor d’Italia levemente incedeTrasportato dall’acque: i venti e l’ondeTacciono immoti, e un’armonia di cieloGli fa dolce la via – Forse la bellaMusa dell’Alpi, ridestata al suonoDella libera cetra, uscia sul margo,Nova Sibilla, a profetar coi carmiGl’itali fasti all’italo cantore!...Ed ei venia, siccome il portentosoCigno dell’are; in mistica favellaVolgeasi ai cieli... e su l’opposta rivaPiero e Francesco gli stendean la manoCon fraterna amistà. Tremante anch’essoAmbe le braccia protendea dall’acque,E stretti in uno si baciaro in fronteDolorando sommessi... O fortunatePiagge dell’Arno che tremaste ai tocchiDel fatidico labbro, e in un bevesteL’armonia di quel pianto! E chi poteaScrutar quell’alme, e interrogarne i sensiDa prepotenti lacrime vestiti

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Per sovrano dolor?... lacrime ignoteAlle menti profane... e il mesto amplessoChe per sublime carità di affettiGli stringeva in un lido, era l’immagoDi più santa alleanza; era il sonanteGrido dei tempi, ch’additava al mondoL’Italia artista, cittadina, e prode!...Ecco il tempio dei forti! Arde una lampaSu le gelide pietre; e quasi avesseDiscernimento d’animato obbiettoTrema così che par fiamma di cieloChe v’accenda la fè. Perenne è il lume,Perenne il foco, e su la polve anticaDiscende un raggio che non teme occaso.Tacito, ansante in un desio, d’ArnaldoSiede il cantore! e quel silenzio, all’ombraDi quegli avelli, lo ridesta ai cantiD’una speme che avviva: a lui d’innanziCento lustri di gloria e di sventuraImmoti stanno... e, come bianca immagoChe lusingando il vaneggiar dei sogniViene, s’accosta, si dilegua, e fugge,Una pallida forma il sovrumanoPensier gli affrena... e assume atti e sembianzaD’una mesta che piange... È il monumentoDel superbo Astigiano!... ivi l’ergeaLa pietà d’una donna, il fea più caroLa pietà d’un artista, ed ivi eternoDurerà come il tempo!... Infortunato

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Chi nell’altero simular dell’almaTorvo si volge a quelle tombe... e passa!Stolto! ei non sa che i monumenti e l’areSon l’immago di noi... che chiude un mondoL’ombra d’un nome, e culto vero è il piantoSu la tomba dei grandi!... I marmi e l’oro,Segno di molli ambizïose cureE di compra possanza, ergon la testaPer cader nella polve, e solo il nomeChe fu caro alla patria in breve fossaImmenso splende, e chiede in suo dirittoLa gloria e il pianto dell’età venture.E il poeta l’intese... Oh ti consolaOmbra sdegnosa! passeranno i fatiSu le umane grandezze, ed alti ed imiCadran confusi, ma le tue ghirlandeRinverdiranno col mutar dei tempi.Dormi, soave cigno! Appena mutoL’etereo canto, la sublime donna,A cui fu sacro, i lacrimosi sguardiFigge sul tuo diletto capo, e, cintaDel simbolico manto, ambe rannodaLe fortissime trecce, e in seno agli archiDi Santa Croce il suo fedel componeCol dolor d’una madre – Oh benedettaSe amor la vince degli estinti! InvittaL’han reso i figli, ed han comprato i figliLa corona dei re! Tu la vedestiCantor d’Italia: i vergini profumi

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Eran vita al tuo carme, e il tuo pensieroLa nomava beata!... Ahi!... tra le foglieDi quel serto fragrante inariditiGemon due fiori, e a vita invan li chiamaL’Adria ed il Tebro – O cari, o sacri fiori,Ornamento dei Cesari ed imagoDella gloria dei Dogi, e chi diveltiAncor vi tiene dal materno grembo?...Piangi o poeta, non è questo il giornoDelle vittorie... Ma, che dico?... oh tergiTergi quel pianto, il dì solenne è pressoA radiare il mondo!... Allor vedremoFarsi maestra di possenti veriL’inclita donna – E tu, spirto gentile,L’itale gemme a rimirar congiunte,Di ebrezza nova esulterai ne’ cieli.

15 febbraio 1862.

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Memorie ed affetti

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S. Luigi

No, non fia mai che della donna il cantoRimova i vanni da la prima altezza!Santificato a l’armonia del piantoEi non mira la gloria e la grandezza;E allor che s’erge degli altari accantoOgni basso disio condanna e sprezza,Perchè l’alma che ignota adora e credeÈ santuario d’incorrotta fede.

Ed io, non usa a macular la menteDei venduti concetti a l’armonia,Libera parlo, e scenderà cocenteNe’ forti petti la parola mia!Quando altero è l’ingegno il cor non mente,Ed il pensier non muta e non oblia....Cantiamo!... A’ rai dell’increata luceIl mortal fra’ celesti il canto adduce.

Fior solitario che in se stesso ha vita,Astro gentil che la sua luce ignora,Rondine senza posa, arpa ferita,Cigno che fuor dell’onda incurvo plora,Ghirlanda in su la tomba illanguidita,Che perde il primo incanto e olezza ancora...È desso!... è l’innocente peregrino,È il vago raggio d’un pensier divino.

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Bello come il fulgor dei firmamenti,Chinato il volto all’ombra del mistero,È l’angiol della speme e dei portentiChe novi patti indice al mondo intero:E fermo il vol su le smarrite gentiRicongiunge ogni voto, ogni pensiero,E meschini e pusilli e grandi e prodiTragge a l’amor con più possenti nodi...

Chè amor soltanto riconforta e spronaE chiude in un accento e fede e speme;E coi forti e coi deboli ragiona,E la possanza e l’avvenir non teme.Oh che vale lo scettro e la coronaSenza quei gaudî armonizzati insieme?!All’ombra della croce e del doloreÈ altare, è fiamma, è sacerdote, amore.

Ed ei l’intese, e nella sua preghieraIva echeggiando la commossa idea,Quando rivolto a la superna sferaPer le supplici genti un ben chiedea.Pegno di gloria immacolata e veraSin da’ regni di morte amor sorgea;Ei sui campi, su l’acque, e sugli avelli,Stese la destra.... e ci chiamò fratelli.

Ma tradita è la fè, le nostre spondeFremono ancor tra la vendetta e l’ira...E questo è il greco ciel? Son queste l’ondeOve il genio dei grandi arde e sospira?

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Innalziamo la fronte!... Il ciel rispondeA la rampogna dell’ignota lira,Chè un sol voto, un sol patto, accende e beaE la Grecia e l’Italia, e Ortiga e Nea.

Vieni, o possente! e nei divisi pettiTorni la fè, l’amore e l’alleanza:Feconda il cor de’ generosi affettiChe fan del sacrificio un’esultanza.Infra i ceppi dal mondo maledettiQuesto a la patria ultimo bene avanza.Vieni, e vedrem fra le prostrate gentiRieder le glorie avite ed i portenti!

20 giugno 1859.

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A Giuseppina SienaAddio

È notte.... ed io nella diserta stanzaChiudo ai profani l’agonia del core...E tu, che fai?... Non altro oggi mi avanzaChe i miei poveri sogni, e il tuo dolore!

Piangi... deh non celarti! Il Ciel mi ha datoCotanta possa, che mi struggo... e canto!Con me stessa pugnai, pugnai col fato...Dammi gli affanni tuoi, dammi il tuo pianto.

E un dì, povera amica!... un dì sapraiChe in crudele di affetti atra procellaQueste carte di lacrime bagnaiAl chiaror d’una misera facella....

Saprai che il sogno onde pur fui beataVive... ed è l’arte che lo regge in vita!Che a la fiamma del nume ero serbata...Che speravo morir sola, romita!

Saprai che un labbro disdegnoso e fieroNon trema, no, se lo protegge Iddio...Saprai... che mi celasti il tuo pensiero...Che tentasti rapirmi al pianto mio....

Ti perdono, o crudel... perch’oggi il novoMartir dell’alma affrena ogni dolore:

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Me maggior di me stessa oggi ritrovo,Perchè saldo è il voler se geme il core!

Ma senti... e serba la mia prece in petto,Come il più casto verginal tesoro:Non obliar che nel silente affettoCon le lagrime mie scrivo, e t’imploro!...

Quando lungi sarò... tu mi ricordaA la povera madre... e dille, o cara,Che infransi all’arpa la più mesta corda,Vera dei sogni miei fiaccola ed ara!

Oh dille ancor che indarno io non amai,Che fu l’arte per me vita e mistero...Che a la madre il sospir primo serbai,Che le ho dato il mio sangue e il mio pensiero!...

Addio... more la lampa... Amante e figlia,Intatta ho meco la virtù del core...Ah!.. un dì, se fia... Ma no, tergi le ciglia...Non obliarmi... e ti conforti amore!...

7 aprile 1860.

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A Vincenzina Arezzo carissima fanciulla

Come sorride aprileVago di mille fior,Dolce favella amorNei tuoi begli anni.

Sì vaga e sì gentile,Tra i casti sogni della prima etate,Non ti sdegnar se la canzon del vateTi parlerà di affanni.

Di eterei rai vestita,Tra l’aure del piacer,Oggi sul tuo sentierSorge la speme:

Così ti appar la vitaUna santa armonia che scende al core,E non sai che la fiamma del doloreArde a la vita insieme!

Non sai che il pianto e l’iraPerenni son quaggiù;Che lotta è la virtù,Spesso angosciosa!

Non sai che ovunque spiraL’aura dei tristi a inaridir la vita,E la bontà talor s’ange romitaFin che nell’urna ha posa!

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Ma tu, farfalla aurata,Tendi a le vie del ciel....Sotto il virgineo velDormi, o fanciulla!

Che forse un dì, serbataA sprezzar delle genti il folle riso,Delle fallanze altrui timida il visoRibacerai la culla.

Oh quell’impulso arcanoTi additi un avvenir....E a nobile desirTempra la mente!

Pensier di orgoglio insanoGiammai non rechi a tua virtude oltraggio,Chè più dell’oro è avito tuo retaggioIl mite animo ardente.

E quando april ritorni,Tutto fragrante il sen,Tuo mattino serenRimembra in calma.

Fanciulla, ama quei giorni,Come l’impulso d’ogn’idea gentile:Oh invan si cerca l’armonia d’aprileQuando mutata è l’alma!

3 ottobre l860.

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A mia madre

Or volge un anno, esacerbato e stancoPiange soletto, e si consuma il core...A che nascemmo?!... Ahi non mi è dato almanco,Madre, divider teco il mio dolore!

Pur, nel mio petto intemerato e francoSurse, fanciulla ancor, dell’arti il fiore:O Madre!... ed oggi, di morirti al fiancoCon nova possa mi consiglia amore!

Piangi piangi per me, che ho invan sognateL’aure materne... e ho lagrimato assai,E madre, e amica, e figlia, e amante, e vate.

Chè se un istante rimembrar potraiI fidi sogni della dolce etate,Tutta perdono e amor mi abbraccerai!

Sì, mi perdona!... chè crudel fui tantoDa gir lontana in volontario esiglio...Ma pure io stessa vendicai quel piantoChe tante volte ti mirai sul ciglio!

Ed or ch’è muta l’armonia del canto,Nè vale al mesto ingegno arte o consiglio,Povera madre!... a la mia tomba accantoVedrai smarrito il pargoletto figlio.

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Oh ti racqueta, o Madre!... ampio deserto,E figlia e sposa, m’apparia la vita,Nè gaudî ebbe la speme... od io l’ignoro!

Che val se il mondo mi serbava un serto?...La santa stilla da’ tuoi lumi uscitaMi fia più cara del bramato alloro.

Le lacrime talor nascondo e affreno,Ed è tomba il silenzio a’ miei martiri;Ahi, nè mi è dato che un istante almenoDel dolce nido mio l’äere spiri!

Che s’io potessi nell’amato senoSpiegar tacendo gli ultimi desiri,Lieta morrei... morrei felice appienoDi recare all’Eterno i tuoi sospiri!

Ma tu, diletta, agl’itali ardimentiTu educa alle gentili arti ’l mio nato:Digli che ardente madre... ebbe... ma indarno!...

Che amor delle risorte ausonie gentiFu il verde lauro ch’un avverso fatoCingere non le diè sul Tebro e l’Arno.

3 aprile 1861.

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All’Italia

O Italia, Italia mia, che il guardo appuntiOltra il confin del Campidoglio altero,E miri, donna alfin del tuo pensiero,Il prisco e il novo secolo congiunti,

O Italia, anch’io sperai (gli occhi consuntiSu le carte di Dante e in seno al vero)Vederti dal fatal giogo stranieroScarca da’ figli all’alta meta assunti.

Sperai, ma indarno, salutar le piaggeDel Tevere sonante, ove ti adduceL’antico voto del guerrier lombardo...

Sperai.... Ma lassa! ove il desio mi tragge?Ahi che al solo pensier di tanta luceCasso riman di sua virtute il guardo!

20 maggio 1861.

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A un fanciullo

O fanciulletto che hai d’oro le chiome,Che dormi e piangi su la cetra mia,Deh mel ripeti.. ripeti quel nomeOnde l’alma si pasce, e tace, e oblia!....

Sai tu perchè sospiro, e quanto e comeÈ triste il cor che t’ama e ti desia?...Vorrei le angosce tue tutte far dome,E coprirti di luce e d’armonia!...

Ma tu dormi, o fanciullo!... oh a te d’accantoRitroverai con la novella auroraPensier di madre, e melodia di pianto!

Ah!... tu nol sai.... di lacrime e di affanniMen vissi, e solo in te ritrovo ancoraTutta l’ebrezza de’ miei fervid’anni!

22 maggio 1861.

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Una lagrima sulla tomba di Giuseppe Macherione

No, di più santi palpiti non arseL’anima mia; nè creatura in terraNata a bearsi di celesti affetti,Nata a mirar la cara ombra di un sognoChe oblio non pave, e l’armonia dei cieliTutta in quel sogno rimirar trasfusa,Per poi vederlo dileguar, vederloLentamente svanir come l’estremoRaggio di sole... ah no, pianger non puoteCom’io ti piango!...

Un dì, quando l’arcanaVirtù degli estri divampar sentiaNell’età pargoletta, una secretaMelodia di dolor tutte le fibreMi accese in pria; poi, mal potendo il coreTanta possanza di soavi affettiRattener solitaria, al carme in senoLa trasfuse gemendo, e i primi versiDell’ingenua fanciulla eran concentiDi mal conscio dolor. – D’Italia il nomeSorgere insieme e palpitar mi feceDi speranza e d’amor; tutta la possaDel giovin core io trasfondea nel fato

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D’una gente risorta; e culto e vitaAvrei dato a colui che, primo alzandoNel suol dei forti l’italo vessillo,Infranto avesse l’esecrato giogoDi briaco tiranno!... E pur da l’altoSovrumano pensier, che fonte vivaM’era di fede, indivisibil sensoNascea di lutto; ed ahi, nel carme istessoChe le glorie d’Italia e le divineGesta enarrava dei fratelli oppressiUn’ara ergeva anche il dolor; siccomeGiovinetti ligustri insiem contestiDa nascoso poter, che l’un dall’altroPer innato desio vita riceve,E l’un nell’altro il dolce alito infonde!Così gloria e dolor, vaghezza e pianto,Mi fur compagni nell’età primieraDei fantastici sogni. E allor, dell’EtnaDa le valli superbe, armonizzataIn tutto il bello che il creato asconde,La tua voce, o Giuseppe, in cor mi venneSoavemente a favellarvi amica:— Perchè piangi, o fanciulla?.. A che temprandoL’arpa diletta tale vi trasfondiCupo dolor, qual se vedessi estintaQuella dote di affetti e di armonieChe ti largì natura?... A me conviensiTanta vena di lutto, a me che piangoSu la tomba di Sara, e acerbamente

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Il più caro fratel perdea tra i flutti!A te di eterei palpiti ministraFu del vate la cetra, a me di crudiImplacati fantasmi. A me fu dataPer pianger sempre e delirar; fu donoTrapossente e crudel che le secreteFonti m’aperse d’un pensier divino,Ma qual face superna agli occhi mieiTutto l’abisso della vita schiuse!Ed io cantai.... le prime aure feliciDella commossa fantasia dolcezzeD’amor versaro nella casta immagoDel domestico lare. Indi una fiammaDi nascoso martir le prime infranseArmonie del fanciullo, e irato numeSubitamente le converse in piantoSui più cari sepolcri. O avventurosiPalpiti miei!... dolci lusinghe, e vagheImagini fragranti, ahi come tostoIo vi perdei... sola armonia del mondoParmi il dolor.... Ma tu, perchè sospiriSe di vergini rose orni la fronte?Ama, o fanciulla: amor tutto trasmuta:Leggi, patti, avvenir, possanza, e fato,Tutto è servo d’amor. Del vate il cantoAmor suona a le genti; e l’arte istessaChe ne travaglia, e ingegno e polsi e fibreNe consuma tacendo.... oh l’arte è primoSospir di amore; e là dov’ei s’informa

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Col divino sorriso, opre e concettiSovrumani ridesta, e novi ispiraSensi di gloria dell’artista in core.E le tacita cure, e le secreteAgonie del pensiero, e l’incompresePugne d’un’alma che dal cielo in donoEbbe cruenti affetti, in luminosiGaudî rivolve, ed il mortale adduceA viver pago del suo lutto istesso!....Nè bello è il carme se gentile un’auraNol rattempra d’amor, se tutto il focoDi quel magico spirto in sè non chiudeL’inno del bardo. Allor l’uomo s’estolleTrasumanato in limpida naturaSotto limpide forme, e le raggiantiPenne d’angelo assume... e s’ei pur fosseMisero, oscuro, e di tremendi affanniCombattuta la mente, all’ombra amicaDel sidereo pensier che in un congiungePer moti arcani l’universo e Dio,Della ragion fassi guerriero, e ha certaVittoria, poi ch’ogni desir non altoGli tace in sen, le miserande spoglieDella creta calpesta, e si trasmutaNel peregrin più libero dei cieli.Amor luce è del canto; amor fia segnoDelle libere genti... e sorgerannoSol per opra d’amor di Roma i figli.Canta o fanciulla!... Abbandonati e schiavi

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Oggi siam noi fra lo sterminio e l’iraDi esecrato tiranno: e ingegno e coreSperde il silenzio; ma l’occulta lampaD’inusato chiaror fia che risplenda,Chè la terra dei Vespri onte e ritorteNon sofferse gran tempo. Oh noi vedremoQuest’Italia infelice armi e bandiereSollevar da la polve, e, disiosaNon della prisca ma di nova possa,Farsi amazzone in campo a gran vendettaDell’insulto stranier! O invitta ed almaItalia mia, dei tuoi poeti il cantoSarà sprone a la fede, e in ogni lidoSonerà di vaganti arpe il concentoMessaggero d’amor. Terra di mortiNon sei tu già; chè da le tue ruineE dai franti sepolcri, e dall’immenseGlorïose vestigia, arde e balenaTanta vita e beltà, che vita effondeFino su’ loschi che ti han detta estinta!Stringi l’arpa, o fanciulla; e genio e menteSacra a la bella creatura invittaDall’Alpi al mare. Una corona, un sognoN’offre l’Italia; ebben, corriamo insiemeGagliardi e puri a quel sentier di luce;Gridiamo insiem: quella corona è mia,E mio quel sogno! —

Oh benedetto il giorno

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Che su l’Etna fiammante a me volgeviD’amistà la parola, ed io l’accolsiCome dono di Dio che a’ mesti è vita!Santa amistà che l’universo infioraDi sovrane bellezze, e dove arrideCol soave candor tutto trasmutaIn dolci effluvî d’armonia, di luce.Io t’intesi, o Giuseppe; e in te conobbiIl più caro e gentile angiol dispersoDalla patria immortal che nel terrenoFango sospiri le bellezze anticheDei celesti compagni, e chieda e aspettiDella patria perduta il santo riso.Ma già ferve l’Italia, ardono i prodi,La bandiera fatal morte prediceAll’esoso stranier, baci ed amplessiVan mescendo giulivi i fortunatiFigli d’Italia, e la sabauda croceÈ sol che splende da Superga a Scilla!Non esulti, o Giuseppe?... Il vasto affettoTi consuma le fibre, e l’indomataPrepotenza del cor va scolorandoIl più bel fior di giovinezza! Un’intimaCura ti tragge a salutar le riveDel tuo Vittorio, e benedir piangendoLa gran madre dei forti.... Ahi su la DoraUn lauro giovinetto i biondi ramiInchinava a la terra! amor ti vinseDella vergine fronda; amor fu sprone

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Al generoso palpitar ch’è leggePel cor dei forti e nella sua possanzaTempi, sciagure, ed avvenir cancella....Ecco i miei dolci sogni!... ecco la mestaVoluttà dell’idea che mi travaglia— Forsennato sclamasti — ecco il divinoParadiso del vate... ahi sempre invanoVagheggiato ed invan sempre richiesto!..Datemi l’arpa.... io canterò.... beateSon quest’aure, lo sento; e tutto il focoDei miei begli anni mi ritorna in corePiù sublime, più puro. O Italia mia,Di sospiri e di pianto alta cagione,Fior dell’Alpi felici, angiol risurtoNella virtù dei figli, abbi la sacraMelodia del cantor!... Deh ch’io favelliDel tuo lungo penar... ch’io baci almenoLe memorande pietre ove fur chiuseL’itala gloria e l’itala sventura!...E la man protendevi, e gli occhi e il viso,Sfavillanti nel gaudio, ivan suggendo,Nel desio della fama e vita e morte.Misero!... il giovin lauro i suoi profumiDa lontano ti volse, e tu correstiEbbro d’affetti all’odoroso incenso;Ma la vergine fronda inariditaDi man ti cadde, e su la fredda baraA te d’accanto riposò!....

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Che valeChe vale il pianto se beati i cieliA te si apriro, e alfin, spenta l’arcanaAgonia del pensier, più bello e puroFesti ritorno a la magione antica?!...Vano è il dolor; le lacrime e gli affettiNon dan voce ai sepolcri... a quegli altariDi memorie e di affanni. Io non ti vidiO giovinetto, ma possente in coreScese il tuo carme, e nella tua canzoneBen m’apparisti in tuo dolor: soaveIntimo senso di nascosi affetti,Che da lungi favella e in dolci suoniSvela a l’amico dell’amico il core.E il pronto ingegno, e i miti atti cortesi,E il costume gentile, e il vergin core,E il modesto pensier, tutto m’apparveCome raggio di ciel —

Dormi o gentileMartire, dormi! Riverente un giornoSu l’avel solitario e carmi e fioriDeporrò lacrimando; e col devotoMelodïar de la nascosa cetraInvocherò che la tua fredda spogliaSi ridoni al suo nido, e s’abbia un’urnaLà dove al primo vol l’anima aperse!

17 luglio 1861.

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Ricordi fantastici

Allor che al pallido — raggio di lunaVagando immemori — per la laguna,Di arcani tremiti — sommosso il core,Mi offristi un candido — soave fiore...Non ho più gaudii — non ho più speme,Tutti i miei palpiti — svaniro insieme.Verace imagine — del nostro amorQuello sol restami — arido fior!

Or se ti veggio — pur da lontanoMi trema il core — mi struggo invano;Non so rivolgerti — amico un riso,L’occulto foco — m’arde nel viso:Vorrei fuggirti — ma piango e gemo,Se a me ti appressi — deliro e temo;Se mi favelli — del tuo dolorMi struggo invano — mi trema il cor!

Beata l’aura — dei tuoi sospiri,Beato il raggio — cui sempre aspiri!Quel vergin fiore — beato appienoChe dolcemente — ti langue in seno,Che mentre estatico — sorridi e pensiTi manda l’alito — dei brevi incensi,E fra i tuoi baci — si curva e muor...Beata l’aura — beato il fior!

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Tu sei pur misero?... — Potessi almenoL’anima affranta — versarti in seno,Svelarti i gemiti — l’ansie, gli affanni,Chiamarti l’angelo — de’ miei prim’anni!...Ahi! ma quel povero — fiore appassitoDi caste lacrime — oggi è nutrito...Nel petto lasso — lo serbo ancor,Ultimo premio — del nostro amor!

22 agosto 1861.

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Sara.Canti notturni

Una lagrima sola, altro di tantoAmore in premio non desio da te!Unico, primo, ultimo premio... il piantoVirtù non vieta per chi più non è!...

BYRON.

Quand’io ripenso a la mia prima etateRidente ai sogni d’un perduto amor,Piango soletta... e all’aure innamorateAffido nel silenzio il mio dolor.

Ahi come sul mattin cade avvizzitaL’alma speranza che il mio ciel formò!Nè basta il pianto... oh la diserta vitaGl’intimi affanni sostener non può!...

Che val che vale se furente il coreVagheggia gli astri, le montagne, il ciel?...Nei secreti dell’alma arde un doloreCui spegner può sol della tomba il gel.

Così men vivo in solitaria spondaChiedendo i sogni della prima età...E l’amor tuo mi segue e mi circonda,E meco all’urna in un sospir verrà.

Vieni, vieni un istante! Io t’ho serbato

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Tutta la possa di un solingo amor...Vivrò piangendo e pugnerò col fato,Sfiderò senza tema onta e dolor.

Ma ch’io ti vegga e nella fede anticaRitempri un’arpa che ogni suon perdè!...Sarò, qual più vorrai, madre od amica,Amante o suora, io morirò per te...

Ma ch’io ti vegga!... e poi... solo in un puntoSi sperda un raggio che avvenir non ha!...Ma quel sogno d’amor vivrà congiuntoA tutti i sogni della prima età!...

No... no, che dissi io mai? quel raggio è vitaAi miei poveri affetti, al mio pensier....Ivi è la speme che fulgea romita,Ivi è la luce che mi aperse il ver....

No... no, morir non puote! Io lo sognaiTant’anni e tanti, e lo vagheggio ancor...Ma un dì se muto il tuo dolor lasciai,Colpa è del fato... oh non ha colpa amor!...

Adorarti, seguirti, esuli insiemeCercar la pace d’un modesto avel...Ecco degli anni miei l’unica speme,L’unica prece che rivolsi al Ciel.

Poveri, erranti, uniti in un desio,Ad una meta fisi, a un sol destin,Stretto l’amato labbro al labbro mio,Avrei corso del mondo ogni confin.

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O cari sogni!... E rimembrar degg’ioTanta dolcezza, e rimembrarla invan,Come quel dì che mi dicesti addio,E ne divise il monte e l’oceán!

Quel giorno... oh nol ricordi?... a te d’accantoIo sedeva rivolta a l’avvenir,Sparsa le gote di secreto pianto,Solo conforto al vergine desir!...

E fè giurammo, eterna fè... DivinoFu quell’istante... e mi si schiuse il ciel...Era pur meglio, o dolce peregrino,Cader congiunti nell’istesso avel!...

Oggi che lungi mi consumo e spero,Vagheggiando il tuo riso, e il patrio altar,Quel desio che fa bello ogni pensieroVien talora i miei sogni a consolar.

Ed io ti veggo... e i bruni occhi ispiratiChe m’insegnaro a piangere e morir,Fisi, immoti, tremendi, addolorati,Mi richiedon la fede... e l’avvenir!

E pur, sull’onda delle sparte chiomeVolgo tremante la convulsa man,E su le labbra mi ritorna un nomeChe tante volte ho ripetuto invan!...

Obliarti!... e il potrei?... lunghi martiri,Lunghi troppo, mi costi o mio fedel!...Con gli aneliti miei, co’ miei deliri,

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Anco nei sogni t’ho richiesto al Ciel!...Obliarti, o gentile, e un solo istante

Tradir la fede che riposi in te?...No... nol creder... non fia!... l’anima erranteViver non puote dove amor non è...

Mutâr gli eventi, nè mutata io sono,Chè ride il labbro mentre piange il cor!...Amor non compra lo splendor d’un trono,Ei che chiude in se stesso ogni tesor....

Anco fanciulla, io la sentia nel coreQuesta lenta agonia che ferve in me!...Vita, gloria, armonia, luce e dolore,Tutto conobbi e vagheggiai per te...

Rapita ai sogni d’avvenir più santo,Duce mi fosti, e m’ebbi il tuo pensier...E vidi allora come è dolce il piantoSe schiude all’arte il magico sentier!...

Amarti!... o mio divino angiol perduto,Superba io vissi di quel santo amor!E se lungi men vivo e il labbro è muto,Nei secreti dell’alma arde, e non muor!

Sola così reclinerò la testa,Chè il lungo affanno sostener non so...Oh per pietà non maledir la mestaChe fu vittima ignota, e tanto amò!...

È il dì dei morti... solitario un cantoQuesto arcano desio torna a bear...

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Fioca è la luna... e mi ridesta al piantoUna memoria di paterno altar...

Quel dì... ti vidi ed oggi egra, piagata,Forse mi troverai sul bianco avel!...Quando sarò fra gli Angioli... beataChiamerò fra gli eletti il mio fedel!

2 novembre 1861.

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A .........

Chi... chi mi nega il sovrumano incantoOnde ignota mi struggo, e m’innamoro?È mia quest’arte, e me l’ha data il pianto,Nè può comprarla ogni mondan tesoro.

Ma tu venduto alla malia dell’oro,Ogni alto affetto ogni alto gaudio infranto,Non sai che donna può levarsi al canto,E ornar la fronte per sudato alloro!

Non sai che Amor favella al mio pensiero;E sì l’alma sublima e sì la schiara,Che i cieli abbraccia e l’universo intero!

Io ti compiango, ti perdono... e oblio —È misero, non reo, chi non imparaCh’arte è natura, e che natura è Dio.

5 novembre 1861.

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A mio padreVoce dell’anima

O padre mio! se le sciagure e gli anniMi faranno obliar quanto perdei,Ritemprando nell’anima gli affanniDaran pace una volta a’ sogni miei....Mi daran la potenza e la parolaD’un affetto che piange e che consola.

O Padre mio! quanto mutato e quantoÈ il pensier della tua figlia lontana!Come si tacque l’esultar del cantoChe ti versava in cor dolcezza arcana!Non più l’ebrezza d’un gentil desio ,Che rapiva i miei sensi e il verso mio!

Non più la mesta illusion d’amoreChe fu sorriso a la commossa idea,Non più la fede che fa santo il core ,Non più la speme che combatte e crea,Non più quella sovrana onda di luceChe rinnova la mente e al carme adduce.

Solo in tanto dolor vive un desio,Come la voce d’indomato nume:Vive quest’arte che m’ha dato Iddio,Ch’è vita al core, e a l’intelletto è lume.L’arte che piange, e si conforta, e spera,

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È un delirio, una fiamma, una preghiera.Oh ma che val quest’arte onde m’inspiro

Se del loco natal m’è tolto il riso?!Se non potrà, dopo l’estremo spiro,La mia povera madre ornarmi il viso,E compormi la chioma in su la bara,E prostrarsi gemendo innanzi all’ara?!

Che mi val questo foco?.. un mondo ignotoIo non sognai, nè le grandezze e l’oro;Un nome senza labe, un canto, un voto,Ecco i dolci miei sogni, il mio tesoro;Ecco il più mesto verginal desio,Che fea caro alla patria il verso mio.

Estasiata nel paterno lareScorrer sognavo i miei giorni più belliFra le memorie e l’armonie più care,Nel pensier della madre e dei fratelli;In quella intera espansion del coreChe ogni gioia sublima, ogni dolore.

Non creder, no, che gli anni o la sventuraFaccian lento il mio foco, e muto il petto;Questa corda del pianto è in me natura,È vita, è fonte di secreto affetto;È il destin che mi tragge a nobil metaNel delirio di amante e di poeta...

No, mio diletto Genitor, non mutaL’anima con gli eventi e la fortuna:Presso al suo dipartir, cerca e saluta

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Il primo sogno che infiorò la cuna;Un nome cerca, una speranza, un detto,Un fido pegno dell’antico affetto!

Padre!... se indarno il fervido desioCrebbe nell’alma, e lo sperdea la sorte,Farò scudo a’ miei sogni e al pianto mioI doveri di madre e di consorte...Se la voce di Dio favella al core,Oltre ogn’idea mortal santo è il dolore.

27 dicembre 1861.

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Al canonico

CORRADO SBANO

che me lontana dalla piaggia natale

riconfortava d’amicizia di consiglio e d’affetto

questi versi riconoscente

consacro.

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Gaspara StampaIn un’ora d’estasi e di amore.

Estasi, invan fra le consuete cordeDi quest’arpa gemente io cerco il suonoChe mi desti fanciulla! Invan mi arrideCon la triste follia d’un sogno auratoQuesta gloria di estinti!... Ahi che mi valseTanta vena di affetti?... Ove mi ha trattaLa poetica possa?... Oggi mi è datoD’una lacrima almen l’almo conforto;Della speranza il riso anco una voltaMi riede al cor, come funerea lampaTenta i recessi di sepolcro antico.O miei poveri canti! O mia perdutaGiovinezza dell’alma! Un sogno... e quindiLo strazio del morente... Oh se potessiRieder piangendo a quei beati giorniOnde paga viveami, e i tuoi profumi,Estasi cara, delibar, che luceChe luce eterea mi saria la vita!

Un dì, rapita in un pensier più santo,Ti vagheggiava, un dì, travolti al nullaI deliri del fango, unica stellaMi ti offristi, o divina: era un’imagoDell’eterno concetto, era una mesta

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Creatura del ciel, che peregrinaVaga pei mondi, e i secoli affratellaColla sublime voluttà del pianto.Nè men bella esser puoi, nè men possenteDel divino pensier; chè in te si effondeTutto il riso dei cieli, e il foco arcanoChe ti trasmuta, e nelle tue vaghezzeL’anima addita, è l’alito fecondoChe tanta parte in noi versa del cielo.È la luce del core, è il primo impulsoChe ridesta i caduti, e i mesti uniscePer volger d’anni nella tomba istessa...Fanciulla ancor, nei sogni interminatiChe fan bello il desio, tutto l’incantoDi quell’estasi ignota era il più puroAgitator d’un vergine pensieroChe lusingava i giorni miei.... MortaliNon son gl’impulsi, e dove parla il coreIvi è l’aura di Dio!.. No, non è natoPer la terra il pensier: l’intima possaChe in due ci parte, e l’anima sollevaDove morte non giunge, è il vol sublimeDella mente al suo raggio; è il raggio istessoChe avviva i mondi, e l’estasi trasmutaIn vaticinio dell’età venture!...O amor, che noto ispiri, e ignoto piangiLa tua stessa amarezza, indarno io chiedoPiù fatidica imago — in te si affisaL’infaticato occhio dei cieli, e tutto

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In te si espande l’ineffabil risoOnde si abbella l’universo! Oh vediCome etereo sorvoli, e come effondiLe tue caste armonie! Se tu favelliFavella il genio che t’ispira, e piangoSe tu tremi nel pianto. — Arte è compagnaDei tuoi deliri; indivisibil fatoVi diè natura, e del poeta in pettoLa tua fiamma è sua fiamma. Oh l’ebbi anch’ioQuesto magico impulso, anch’io, redentaNel battesmo dell’arte, alzai la testaSu le genti travolte, e dissi anch’io:Padre, dammi il mio ciel!... Dammi il sorrisoChe fa bello il poeta, e in un congiungePer solo affetto la natura a Dio!Oh qual estasi nova!... Arte il pensieroDei celesti fratelli, amor la voceDell’universo... io li sentia nel coreViver la vita mia, tutta inondarmiDi lor dolcezze, offrirmi un paradisoCh’è solo ad essi vagheggiar concesso.

Ed io sognai.... La fresca aura notturnaLusingava la speme. Uomini e diviCarolando venian su le commosseAle dei venti, armonizzati al bacioDei nuovi mondi, e l’anima rapitaS’innalzava creando.... Eran confusiE terra e cielo in un pensier di luce

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Dai mortali ignorato: e tu sorgevi,Tu primo agitator delle infiniteBeltà della natura, ultimo valeDei travagliati, amor!... Tu mi donastiLa tua possanza, e l’estasi primieraChe sublima il dolor... Tutta l’arcanaVoluttà della speme in cor mi venneSubitamente, e favellò di gloriaDi fè, d’altari, e d’avvenir!... Le gentiMi disser nata all’armonia, gli affettiTremâr vagando, e in un pensiero arcanoLa fè, la gloria, l’avvenir si chiuse!..E m’ebbi un’arpa!.. Un’arpa!.. Oh tristo è il dono,Benchè fulgente e glorioso! i cieliLa beâr di sorrisi, e i fati han voltoQuella dolcezza in fremito perenne!Tristo e superbo in ver... se d’altro maiPago non fia che di gementi suoni,Di tradite speranze, e di quel tetroAgonizzar dell’anima feritaCui nomaron desio! Terribil fiammaChe nella lotta e nel silenzio ha vita,Nè la spegne un sepolcro!...

Oh non ti avessiPer lunghi sogni al mio destin congiuntaPovera cetra!... Amaro è il disingannoDei tuoi vergini tocchi... amara, ahi quanto!,E la memoria d’un perduto affetto...Amaro il dir: quell’estasi è travolta

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Nella pugna dei tempi, ed io men vivoNel silenzio e nel pianto!... Oh non rapiteIl suo mondo al poeta! onta e disdegnoSiederanno compagni in quella fronteNata all’idea; si frangeran le careOpre del bello, e i secoli piangentiVi chiederanno: ov’è l’artista?... Il sertoChi gli rapia?... Chi lo dannava al prezzoDel sacrificio, e, con superbo scherno,Va, gli dicea, riedi al tuo nulla?... È spentoNell’amante l’artista... e invan si piangeQuando l’arpa è spezzata, e morto è il core!...Né il mio fu sogno.... Dove l’arte arriseFu l’impulso d’amor che la sospinseDritto alla meta; amor fea l’arte, amoreAnima ed intelletto era in un punto!...Oh quel dir: piangerò, sarò compagnaAlle veglie di Dante, e il mio pensieroS’innalzerà su la redenta polveD’imbelli figli, invocherò che tuttaDei sogni eterni la possente imagoMi si versi nel petto, udrò la voceDei sepolcri e dell’are... e forse un giornoPiangeran le più care itale donneSu l’avel di quest’una!... E poi, se un mestoPeregrin della terra a me d’accantoVerrà soletto a meditar tacendo,E vedrò su quel fronte il raggio istessoChe su la fronte mia l’alma rivela,

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E comune il disio, comune il santoBalenar dell’ingegno, e l’ansia ignotaChe col foco medesmo arde e consumaDivisi i cori... oh volgerò la testaA quell’esule spirto, e il suo pensieroQui su la fronte balenar vedrammi!Fratello, io griderò: vedi qual pettoPer la tua fede si ridesta al canto!Io ti conobbi, ti sognai, ti vidiPria che fosse la terra, e pria che l’almaSi maculasse di non suo peccato...Fra i pensieri del bello il mio pensieroTe gemendo cercava: io dall’altezzaDei voti miei, schiva pur sempre e pagaDel mio solo dolor, chinai la fronte...Stesi le braccia, ed aspettai sognando!Vieni, amor mio! la gloria e l’avvenireTi fian pegno d’amor: vieni, sollevaDisdegnoso la testa; in t’offro un mondoNei misteri dell’arte... io ti vagheggioCome il primo desio che l’arte ispira,Vieni, tergi le ciglia, amami e vivi!...E s’ei l’udrà, se in me vedrà l’anticaPeregrina dell’etra, a lui compagnaNell’età dei Cherubi, oh quanta vitaRidesterà nella tremante idea!Ed io beata della mia ghirlandaCovrirò le sue chiome; i miei sospiriSaran volti colà dove altra donna

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Non fia che giunga, e sentirò che donnaPiù d’ogni altra mi fui: darógli in donoParte di me, del mio pensier, del piantoChe mi solca le gote... Oh questo è sognoChe vince e passa ogni mortal diletto!...È duce alle più vaste opre dell’arte,È sorriso di amore... e tal m’apparveIn quell’età cui non cancella il fato....M’apparve... e tosto s’involò!... Chi videL’agonia di quell’ora, e chi compreseLa battaglia del core?... Oh maledettoChi giudice si estolle e i figli d’EvaSenza colpa condanna!... Il Ciel non soffreChe s’insulti al caduto... e a lui si tolgaL’ultimo bene dei traditi, il pianto!...

Or, non chiedo che un sasso! Invan quest’arteVa lusingando i miei deliri... i CieliAvran pietà del peregrin che passa!...E tu verrai, divina estasi e caraDei miei prim’anni, a salutar l’estinta!...Oh qual triste malia saran le nostreRimembranze d’affetto!... Un’arpa infranta...Un gaudio estinto... e poi la tomba... e poiUn amor che non more, un Dio che aspetta!...Vieni, o misera cetra!... e tu sovranaFarfalla del disio, cui fu concessoVarcar le nubi, se la terra è mutaDelle vittime al grido, e invan pugnammo,

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Dammi l’ali e la fede!... usciam da questoMonumento di colpa, e alziam fidentiLibero il volo a la magion celeste!...

Così l’Arte e l’Amor, vissuti insieme,Cadran congiunti... e covrirà l’oblioL’estasi della tomba e della cuna!

8 aprile 1862.

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A Luisa......In un momento d’estasi magnetica

Bella, che il guardo appuntiOltre il confin della mortale idea,Che in un solo desio mostri congiuntiIl cor che piange e il core che si bea,Dell’occhio onniveggenteRaggio disceso nell’argilla muta,Miracol novo d’armonia tu sei!D’un’armonia dolenteChe parla a’ mesti e l’anima trasmutaIn un sogno di luce a’ sogni miei.

Farfalla innamorataCh’ergi le penne oltre le vie del solePel tuo foco medesmo inebrïata,Sibilla arcana per le tue parole,Se il mistico pensieroChe di cielo ti veste opra è del Nume,Anch’io piango... ti adoro... e grido anch’io:Ecco un baleno dell’eterno vero,Ecco una fiamma dell’etereo lume,Ecco la creta che sospira a un Dio!

Se l’anima potesseVarcar la meta che le diè natura,E gir soletta a quelle plaghe istesse

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Da cui ne venne immacolata e pura,Per gli occhi onde riveliFiamma cotanta io la vedrei rapitaPeregrinante a le commosse sfere,E direbbe al pietoso astro de’ cieli:Deh riprendi i miei sogni e la mia vita,Ma non torni a la terra il mio pensiere!

No, non fuggir... consentiChe teco io sugga l’armonie passate,E l’ebrezza dell’alma e i voli ardentiChe mi fero in un gaudio amante e vate.Lascia ch’io beva il risoDi tue movenze allor che ti favellaLo spirto accenso per virtù del core:Lascia ch’io m’erga al sospirato eliso,Ch’io voli in grembo a la perduta stella,E gridi al mondo — l’anima non more!

14 aprile 1862.

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In morte di Ottavia Valenzisi

Sposa ed amante, a un immortal concettoIl voi drizzavi dell’età fiorita,Tal che amor ti parlava in ogni aspetto,Poi che sol d’esso si pascea la vita.Forte di quell’amor nell’intellettoViveasi un’alma a la tua sorte unita:Ambo congiunti in fortunato amplesso,Ambo viventi dell’affetto istesso.

Ahi come tosto si dilegua e fuggeLa dolce speme dell’età primiera!In un caro pensier l’alma si strugge,E indarno piange e si conforta e spera!Crede, aspetta, desia, palpita e suggeIn sul primo mattin l’ultima sera....All’ombra solo dell’altar di DioOgni affetto si acqueta, ogni desio.

Sposa ed amante, a un avvenir beatoFidasti i sogni e l’armonie del core,E sorridesti a un gaudio interminatoChe fa bello di luce ogni dolore....Ah, mel credi mel credi, inesoratoDestin persegue ogni possente amore,E guerra il mondo fa, pusillo e vile,

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Livida guerra ad ogni cor gentile!Un dì t’apparve nella mesta idea

D’un innocente pargoletto il viso,In quel primo desir che forma e creaDell’universo un magico sorriso.Per ebrezza sublime il cor vedeaIn quel vergine amor tutto un eliso....Ohimè l’eliso de’ desiri umaniQuale abisso feral schiude al domani!

Amor di madre è sovruman pensieroVigile ognor di speme e di dolore;È la potenza del creato interoArcanamente trasfusa in un core:Tace, soffre, consola, arde in quel veroChe a sè tragge e sublima ogni alto amore.Nel mondo cieco è lampada romitaChe vita effonde e nel suo raggio ha vita.

Martire bella, in su l’april degli anniSanta cadesti dell’amor più santo,Ma ti sottrasse della terra a’ danniL’amato pegno che languiati accanto.L’amor tuo, la tua fè, gl’intimi affanniComprender parve, e ti parlò col pianto....E chiuse gli occhi e ti segnò la via,Non lasciarmi, dicendo, o madre mia!

Quattro lustri di sogni eran la meta,Nè di madre l’amor ti fu concesso.Foste congiunti in armonia più lieta,

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Foste compagni nell’affetto istesso:Ti richiese d’un bacio il tuo pianetaE tu volasti al sospirato amplesso.Qui parleranno all’anima commossaUna croce, una culla, ed una fossa.

Nè misera t’appello. – Arde una fedeOltre i sepolcri e la feconda amore.La prece istessa è palpito, è mercedeChe trasmuta in un gaudio ogni dolore.Avventuroso chi combatte, e credeChe nel cor dell’amico il cor non more,Che oltre la tomba un’estasi gli avanza,Se un cor qui lascia, un’immortal speranza.

E tu felice all’amorosa frondaVolgesti il labbro in un pensier che teme,E l’amor tuo ti segue e ti circonda...Viveste uniti e dormirete insieme.Ma forse langue in solitaria spondaChi cerca un raggio di perduta speme.Nè fu concesso al pavido desireDelibarla un istante e poi morire!

Meglio l’oblio dell’universo interoChe il delirio crudel d’un’alma ardente!Chiuso di tanto duol l’atro mistero,In pace dormi alfin, bella innocente!Ti seguirà l’indocile pensieroD’un amoroso peregrin dolente;E nella prece del diserto core

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Vivrai tacendo, e piangerai d’amore.25 aprile 1862.

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All’angelo mio

Angelo mio, che i sogni innamoratiSoavemente riconforti e bei,Che sorridi pietoso a’ lagni mieiE ridesti la mente ai dì beati,

Nume che i miei pensier distruggi o creiSol che mi volga i lumi addolorati,O mi fuggi, o t’involi... e tempi e fatiMio ti disser nascendo, e mio tu sei!

Amarti!... Oh se potessi, angelo mio,Un istante seguirti oltre le sfereChe mi contende questa fral natura,

Perennemente assorta in tuo pensiere,Ritornerei l’eletta creaturaInebrïata all’alito di Dio!

22 maggio 1862.

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A mio fratello Giuseppe

E tu partivi, nè ti vinse amoreDel mesto padre, e dell’altar natio;Nè mi fu dato offrirti il mio doloreEd unire al tuo pianto il pianto mio,Nè confondere i miei co’ tuoi sospiriDopo un anno di sogni e di martiri.

O fratel mio! se di più vasto affettoS’inebriava l’anima rapita,Se nella speme d’un amato obbiettoSorriso e luce m’apparia la vita,Tutte le gioie della scorsa etateAl pensiero fraterno eran legate.

In quel sogno d’amore i’ vidi espressaL’innocenza, la fede, e la preghiera;Ambo nutriti dalla madre istessa,Ambo compagni nell’età primiera,Ambo cresciuti all’alito divinoD’una patria, d’un nome, e d’un destino!

O sommo lddio! ma dunque ad una ad unaCadran le foglie della mia corona?Dovrà sperderle il tempo e la fortuna,O un fato che non ama e non perdona?E dovrà sempre agonizzar nel piantoQuesta sovrana melodia del canto?

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Mi tolsi io stessa il mio paterno tetto;Ebbi un’amica, e la lasciai nel pianto;Vissi d’un sogno, e l’avvenir dilettoPerdea la luce, l’armonia, l’incanto...Così l’arte si prostra, e langue il coreLe sue fiamme suggendo e il suo dolore!

E tu partivi... Oh mi disvela almenoQual pensier ti fu duce e qual desio!Odimi intanto, e sì ti chiudi in senoLa mia parola che non tema oblio.M’odi... all’uomo talvolta Iddio favellaPer le labbra di madre o di sorella.

Se il voto è santo che ti spinge all’armi,Se onor d’Italia ti favella in core,Segui, o fratello, ed abbi in questi carmiCon le mie preci il mio fervente amore.Segui... e t’avvivi il palpito indomatoChe i forti avvince della patria al fato.

Segui, nè mai ti accasci in sul camminoIl periglio, lo stento, o la fatica:Vinci te stesso in un pensier divino,Ti riconforta nella fede antica:Posa la testa a l’ombra d’un vessilloChe fu gloria di Scipio e di Camillo.

Oh quanto gaudio mi verrà nel pettoSe delle glorie tue viver m’è dato,Se il Ciel t’è duce, e sterminato affettoDi cittadin t’infiamma e di soldato!

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Più delle fronde del modesto alloroMi fia caro il tuo nome, il tuo decoro!

E il tuo pensier vivrà nei mesti carmiCome il pensiero di lontano amico:Io col povero ingegno e tu fra l’armi,L’Italia invocherem nel seggio antico:Nel pensier della fè pronti e securi,Ambo sacri alla patria, ancor che oscuri.

Ma non sognar da lo sterminio e l’iraA la patria diletta un serto e un trono;Sovrumana è l’idea che a’ forti ispiraQuel sagrificio che di tutto è dono.Non di vendette, non di stragi, ha brama«Chi vede e vuol dirittamente ed ama».

Fratello, educa il cor pria della mano,Perchè il core è l’idea, la meta, il fine.Pugna l’Italia, ma si strugge invanoSe ghirlanda d’amor non cinge al crine,Se non estolle il libero pensieroIn quella fede ch’è splendor del vero.

Non creder, no, che viva arte o dilettoOve non spira un alito di Dio:Solo in questo si abbella ogni altro affetto,Si fa grande il pensier, grande il disio;E quando all’opra il forte animo adduce,Una è la via, la verità, la luce.

Non obliar ch’è povera la menteSe con servo desir pugna, e non crede:

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Dei nostri padri la ragion possenteÈ la ragion di Cristo e della fede.Non obliar ch’è chiusa in quel pensieroLa virtù di poeta, e di guerriero!

Così, raccolto a le paterne mura,Fra i dolci studi che son guida al vero,Potrai serbarti all’itala venturaCon l’affetto, con l’opra, e col pensiero,Della patria e di te fatto più degnoNel sacrario del core e dell’ingegno.

5 dicembre 1862.

FINE

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Indice

Dedica1 Pag. 3

AFFANNI E VOTI PATRIOTTICILe mie ispirazioni » 7Un volo sulle Alpi (con dedica) » 25A Giuseppe Garibaldi » 33A Vittorio Emanuele » 39In morte di Camillo Benso Conte di Cavour » 45L’Arpa, la Croce e la Spada » 51A Giambattista Nicolini » 50

MEMORIE ED AFFETTIS. Luigi » 69A Giuseppina Siena » 73

1 I numeri delle pagine si riferiscono all’edizione cartacea (nota per l’edizione Manuzio).

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A Vincenzina Arezzo » 77A mia Madre – Sonetti » 81All’Italia – Sonetto » 84A un fanciullo – Sonetto » 85Una lagrima sulla tomba di G. Macherione » 87Ricordi fantastici » 97Sara – Canti notturni » 99A ....... Sonetto » 104A mio Padre – Voce dell’anima » 105Gaspara Stampa (con dedica) » 111A Luisa....... in un momento d’estasi magnetica » 119In morte di Ottavia Valenzisi » 121All’Angelo mio – Sonetto » 125A mio fratello Giuseppe » 127

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ERRATA CORRIGE2

Pag. 31 lin. 10 Unico – e solo leggi Unico e solopag. 32 » 3 abominato » abbominando

2 Correzioni già apportate in questa edizione Manuzio.

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