MARIANNA MINEO - Un Giorno Per Innamorarmi

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MARIANNA MINEO

Un giorno per innamorarmi

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SINOSSI«Mi sono innamorata di te. In un giorno. In un'ora. Dal primo

istante in cui ho incrociato il tuo sguardo.»

Beatrice lascia Giuseppe, il suo ragazzo. È convinta che i sentimentid'amore che prova per lui sono ormai evaporati, lasciando il postoalla semplice amicizia. Una sera, per festeggiare questo cambiamento,esce con Yasmine, la sua migliore amica. Ma un incidente improvvisocambia il destino di Bea. In ospedale incontra Gabriele che scombinala sua vita, confondendo la sua mente. Riuscirà Beatrice acomprendere quello che realmente vuole il suo cuore?

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©View Apart/FotoliaIllustratore: Sherazade's Graphics

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Un giorno per innamorarmi ©2015 Marianna MineoTutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione

integrale o parziale in qualsiasi forma. Questo romanzo è un'operadi fantasia.Qualsiasi riferimento a fatti o persone realmente esistitiè puramente casuale.

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Vivi la vita come puoi, perché come vuoi non puoi.Jim Morrison

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1.

«Vai via, Giuseppe!» digrignai fra i denti. Anche questo capitolo della mia vita si era chiuso. Andato in fumo,

in pezzi. Due anni di vita persi a far che cosa? Nulla. Mi trovavo dinuovo da sola, nella stessa situazione di sempre. Stanca di stare male,di litigare, di piangere. Era inutile che Giuseppe continuasse aprovarci con me. Era colpa mia, non lo amavo più. «Tutta colpa di quelle cazzo di chat su internet, colpa di quei stupidisocial network.» «Giuseppe, io non ti amo più. Non trovare pretesti, non ti voglio.» Non mi piaceva trattarlo in quel modo. Eravamo stati insieme dueanni, ho provato dell’affetto per lui, che ancora era presente in me.Ma l’amore non c’era più. Può il sentimento annullarsi? No, ma puòmutarsi e il mio era diventato bene, non amore. «Sai qual è laverità? Che sei una stronza, Beatrice! Tra qualche giorno ti vedrò conqualche altro coglione, ne sono sicuro.» «E anche se fosse? Non ti riguarda più la mia vita né tantomenoquello che faccio e che farò. Stronzo» gracchiai.

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Lo spinsi davanti alla soglia, fuori di casa e gli sbattei la porta. «Puttana» disse con un tono di voce basso, ma che io riuscii a

sentire. Assillante. Ecco uno dei motivi per cui mi ero stancata. Odioso,

eccone un altro. Diedi un calcio alla porta e la chiusi definitivamente.E se fossi stata io il problema? Forse ero io incapace di amare unapersona, di amarla con tutta me stessa. Giuseppe aveva tutto ciò cheio non cercavo in uomo, eppure l’avevo amato. Mi ero innamorata diogni suo gesto. Della sua ossessiva puntualità, della sua gelosiasfrenata, del suo irrefrenabile ordine. Ha detto che sono una bambina.Mi stava bene esserlo, non sarei di certo cambiata per lui. Eravamol’opposto in tutti i sensi. Lui era molto alto, capelli neri e lisci, occhimarroni con sfumature giallognole. Fisico asciutto e gambe snelle. Ioero bassa, un metro e mezzo preciso. Le maniglie dell’amore mifacevano compagnia. Le mie gambe sembravano braccioli, morbidecome un cuscino. Lui, invece, seguiva la sua dieta da palestrato:carne, pollo, uova, proteine e così via. Non mi dispiaceva per nienteessere cicciottella! Che poi, sinceramente, non lo ero nemmeno.Avevo le forme giuste da buona siciliana, una terra, dove le delizienon mancavano. Io e il cibo andavamo molto d’accordo. I dolci eranoil mio punto debole, mi sarei abbuffata di pasticcini e nella mia città,Palermo, non mancavano di certo. Avevo l’imbarazzo della scelta:cannoli, cassate, babà, bignè e avrei potuto continuare ancora a lungola lista! Solo a pensarci, ingrassavo. Giuseppe non era l’uomo giusto

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per me. Non è vero che gli opposti si attraggono, alla fine non trovanoun punto d’incontro; come due calamite diverse, si attraggono ma nons’incontrano mai.

Chiamai al cellulare Yasmine. Almeno lei riuscivo ad amarla.Provavo questi sentimenti da sempre, sin da bambina. Le volevo unbene immenso e questo affetto non sarebbe mai cambiato.

«L’ho fatto! L’ho lasciato» sbottai. «Finalmente ti sei decisa!»

«Mi ha dato della stronza e puttana» esclamai. «Sono in macchina, sei a casa?» domandò.

«Sì, ti aspetto.» Attesi l’arrivo di Yasmine. Mi feci una doccia e mi resi

presentabile, pettinai i miei capelli color giallo ocra, sistemandoli inuna coda di cavallo. Riconoscevo il rumore della sua Smart, era lei.E, infatti, un attimo dopo il citofono suonò. Aprii la porta e feciaccomodare la mia amica. I suoi capelli biondi brillavano alla lucedel sole e quegli occhi blu come il mare, splendevano.

«Mister Rompiballe non c’è più, questa sera possiamo uscire?»chiese divertita.

E non capivo perché mi sentivo così vuota, spenta e sola. Non loamavo, perché mi dispiaceva? Non ero più abituata: la vita da singlel’avevo dimenticata. Mi sentivo strana e, inspiegabilmente, le lacrimeiniziarono a pungermi gli occhi.

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«Sei sicura che Mister Rompiballe non lo ami più?» «Mai stata più sicura.» «Allora perché il tuo faccino dice altro? Voglio vederti sorridere, è daqualche tempo che non lo fai.» «Hai ragione. Questa sera si esce. Dove si va?»

«Mondello» sorrise. E Mondello fu. ‘Fanculo Giuseppe e tutti i problemi. Di quella seratanon ricordai più nulla. O quasi. Mi misi un paio di short e un top condelle sneakers verdi. Yasmine indossava un paio di pantaloncini e unamaglia a V. Andammo in un bar vicino Mondello. Birra, cocktail,vodka e finimmo per ubriacarci. Siamo state incoscienti. La miaamica guidava e non doveva. Se adesso ci ripenso, cazzo, potevamomorire! Yasmine perse il controllo dell’auto, fu un istante e non capiipiù nulla. Ci ritrovammo schiantate contro un albero. Accartocciatesu quella macchina, diventata un rottame. Sbarrai gli occhi, e lirichiusi. Sbattei le palpebre ma la mia visuale non cambiò. Era comese quel tronco ci stesse guardando nel buio della notte, solo pochilampioni accesi illuminavano la strada. Ero incastrata, il sedilesovrapposto al mio polso mi fece sussultare. Il dolore era atroce.Sangue. Sangue ovunque. Mio e di Yasmine. Girai lo sguardo verso ilposto di guida. Il suo volto era tumefatto, a chiazze e il sangueschizzava ovunque. Perché io avevo aperto gli occhi e lei no? Ilpanico mi fece ritornare lucida.

«Yasmine» riuscii a dire solo questo, poi il fiato mi si spezzò in

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gola.

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2.

Ambulanza, luci blu, sirene. Il nulla ai miei occhi. Poi l’ospedale. Ero sveglia. Io stavo bene.

Avevo gli occhi aperti, seduta su quella barella impaziente di averenotizie riguardo le condizioni della mia migliore amica.

«Come sta la mia amica?» chiesi con un fil di voce. «Signorina, pensi prima a stare bene lei.»

Continuarono a mettere la fascia sul mio polso. Io avevo solo qualchegraffio sul volto e una contusione al polso sinistro.

«Cazzo, io sto bene! Voglio vedere Yasmine, ditemi dov’è»gracchiai.

«Signorina, è meglio che esca a prendere una boccata d’aria, lecomunicheremo presto notizie della sua amica.»

Boccata d’aria fu. Seguii il consiglio dell’infermiera e mi ritrovaifuori a prendere un po’ d’aria. Ero talmente tanto sbadata e confusache sbattei contro il corpo di un uomo con le stampelle.

«Mi scusi» alzai gli occhi per puntarli sul viso dell’uomo. «Oh mi scusi, mi scusi tanto» ripetei in imbarazzo.

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Occhi verdi che mi squadravano da capo a piedi, capelli colorcastano scuro, maglioncino nero, jeans e sneakers Nike verdi. Propriocome le mie scarpe. E quelle fottute stampelle che mi misero inimbarazzo. Ero andata addosso a un ragazzo che aveva problemi allegambe. Che imbecille!

«Non è nulla. Smettila di scusarti.» Quella voce così sensuale mi fece barcollare. Rischiavo di cadere perterra, ma per fortuna le gambe non mi tradirono.«Gabriele, piacere» disse sorridendo, allungando - anche se a fatica -una mano verso di me. «Beatrice» risposi, contraccambiando la stretta, con la poca forza chemi era rimasta e con la mano “buona”. Perché si era presentato? Chiera? Che cosa voleva? Non stavo bene. Mi girava la testa. In unattimo, svenni tra le sue braccia. Ottimo!

Un’infermiera mi controllò. La luce m’infastidiva, avevo sonno. Ma

il mio pensiero fisso era Yasmine. Dovevo sapere che stava bene, nonpotevo restare ancora seduta su quella barella con le mani in mano.Alzai gli occhi e vidi di nuovo lui, Gabriele. Con le sue stampelle e lasua camminata zoppicante si dirigeva verso di me. «Scusami ancora» dissi, trattenendo le lacrime che mi pungevano gliocchi.

«Come ti senti?» chiese in modo gentile. «Dire bene è eccessivo. Benino» sorrisi.

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Calò il silenzio tra noi. Eravamo degli sconosciuti, potevamoparlare di tante cose. Invece, continuava a guardarmi ed io facevo lostesso.

«Ti faccio spazio, così puoi sederti, altrimenti ti stanchi.» Tirai su le gambe e lasciai lo spazio per lui. «Grazie.» Posò il suo sedere sul lettino e appoggiò le stampelle al muro. «Stai pensando alla tua amica?»

Stavo guardando il suo viso, il suo corpo e le sue bellissime labbra.Quel ragazzo mi attraeva, tanto. Anche troppo. Poi pensavo aYasmine, il pensiero verso lei non si era distolto un attimo.

«Sì.» «Se vuoi restare da sola, vado via.» La mia mano si mosse di scatto e si poggiò sulla sua gamba, per far sìche non si muovesse.

«No, resta.» Quel contatto mi provocò dei forti brividi allaschiena.

Mi rivolse un sorriso e restò. E che sorriso! «Tu l’hai vista entrare? Come hai visto entrare me» chiesi. Lui si

trovava in sala d’attesa, noi eravamo arrivate con due ambulanze,quindi doveva averla vista per forza.

«Gabriele, rispondimi, ti prego» lo pregai. Aveva il volto rivolto verso il basso e non mi rispondeva. «Sì, l’ho vista.»

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E che cosa aveva visto? Perché faticava a parlare? «Dimmelo, per favore.»

«Ce la farà, stai tranquilla.» Okay, non voleva dirmi com’era conciata.

Pensavo a Yasmine, mi chiedevo come stesse. Dovevo pensaresolo a lei in quel momento e invece no. Quel ragazzo dagli occhiverdi si trovava davanti a me e mi annebbiava la mente, facendomiconcentrare solo su di lui. Era calato di nuovo il silenzio ed io stavoin pratica sbavando per lui.

«Vuoi fare una passeggiata?» Fare due passi nell'androne dell'ospedale sarebbe stata una pessimapasseggiata. Però c'era lui che rendeva tutto più bello. Anche in queimomenti in cui avevo paura per ciò che poteva essere successo allamia migliore amica. Lui mi faceva dimenticare la paura.

«Va bene.» Mi alzai piano dalla barella per evitare altri capogiri. Mi accorsi cheadesso usava solo una stampella, che teneva come supporto per lagamba sinistra.

Mi fermai un attimo in più, chiusi gli occhi e mi rividi la scenadell'incidente. Il suo contatto mi fece sussultare, la sua mano mi stavaaccarezzando la guancia, poi mi scostò una ciocca di capelli dal viso.Come una scema ero imbambolata, lo guardavo, lo ammiravosognante e basta.

Allungò la mano verso di me e prese il mio braccio, invitandomi a

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farmi alzare. Sussultai al suo successivo tocco, mi alzai e uscimmo abraccetto. Sembravamo proprio una coppia.

Cazzo, quegli occhi mi avevano rapita; lo conoscevo da sole treore, non potevo provare quelle emozioni per uno sconosciuto.

«Sei fidanzata?» domandò. Domanda di riserva?, pensai. «No, single!» esclamai tutta sorridente.L'attrazione che provavo per Gabriele fu l'ultima conferma: non

m’importava più nulla di Giuseppe. «Tu?» «Single, da poco.» Festeggiai dentro di me. Quella risposta mi sollevò. Ma poi mi

buttò giù di nuovo. Aveva sottolineato “da poco”, questo significavache poteva essere ancora innamorato della ex. «Uh, anche io da poco,oserei dire pochissimo» ridacchiai.

«Da quanto?» «Da questa mattina» questa volta arrossii. «Ah! Io da un mese.»

Okay, era ancora innamorato. Potevo mettermi il cuore in pace.Eravamo in piedi, poggiati sul muretto. Le sue mani di nuovo sul

mio viso e le mie braccia strette al suo petto. Mi misi in punta dipiedi, nonostante mi tremassero le gambe. Occhi contro occhi, boccacontro bocca. Ci dividevano pochissimi centimetri e poi le nostrelabbra si sarebbero incontrate.

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Sentivo il suo calore addosso, i suoi sospiri, il suo fiato. Che cosastava succedendo? "Tre ore, tre ore solo, Beatrice” , continuavo aripetermi. La mia vocina interiore continuava a sperare che quelcontatto avvenisse. Il mio cuore urlava: baciami, Gabriele. Baciami,cazzo.

«Mi scusi, signorina sa dirmi che ora è?» ci interruppe unavecchietta.

Vaffanculo! Ci girammo entrambi di scatto rivoltandoci versol'anziana. Alzai gli occhi al cielo dalla rabbia e vidi di sottecchi unsorriso disegnato sulle sue labbra.

«No, non ho orologio» risposi secca. Gabriele, continuando aridacchiare, posò gli occhi sul suo polso.

«Sono le cinque del mattino, signora.» Ricevuta la risposta la signora se ne andò, rovinando,involontariamente, il momento più bello di quella giornata di merda.Da quell’istante non proferii più parola e iniziai a mordicchiarmi leunghie. «Smettila di mangiarti le unghie, Bea.»

«Se mangio ancora divento un’arancina, meglio le mie unghie chenon hanno calorie» gracchiai. Un altro sorriso gli spuntò sul viso. Eramaledettamente bello.

«Stai bene così, non farti questi complessi.» «Ho i miei dubbi» blaterai. «A me piaci, già così» sorrise e notai la fossetta che gli si formava

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ogni qualvolta sorridesse. «Anche qui ho i miei serissimi dubbi» scherzai.

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3.

Gli piacevo? Dovevo indagare. Lui mi piaceva tremendamente,nonostante fossero passate solo poche ore. Era strano. Non potevoessere attratta da lui dopo così poco tempo. Ritornammo nella sala emi sedetti sul lettino con lui.

«Signorina Lipari, c’è qualcuno che vuole vederla» mi richiamòl’assistente.

«Arrivo» mugugnai. Chi era? I miei genitori non erano ancora arrivati e quelli di

Yasmine non vivevano a Palermo. Guardai Gabriele, con incertezza. «Andiamo insieme, esco a fumare una sigaretta.» «Okay.» Uscii insieme a lui e davanti all’atrio c’era Giuseppe. Mi

innervosii. Che cosa voleva ancora? Non m’interessava il suo aiuto.Scarpe nere, jeans e camicia. Il solito perfettino. «Vado e torno»sbuffai con un mezzo sorriso.

«Avevo ragione. Sei patetica.» «Ciao! Sei venuto fin qui per insultarmi?»

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«No. Come stai?» «Benissimo» risposi fredda.

Mi abbracciò, ma io mi allontanai. Gabriele era a pochi metri danoi, che fumava. E mi sentivo i suoi occhi addosso.

«Sono una puttana, no? Vattene, Giuseppe» alzai il tono della voce,e gli sguardi delle altre persone mi fecero imbarazzare.

D’un tratto vidi l’infermiera richiamarmi. «Signorina, la sua amica è in stanza, l’operazione è andata bene.»

Mi voltai verso Gabriele e vidi il sorriso disegnato sulle sue labbra.Sorrisi felice. Era viva. «È viva, è viva!» esultai.

E andai vicino Gabriele stringendolo in un abbraccio. Mi mise lemani sul volto scostandomi una ciocca di capelli.

«Te l’avevo detto che ce l’avrebbe fatta.» Mi ero dimenticata di Giuseppe. Lo avevo lasciato lì solo. Nonm’importava più nulla di lui, questa era la verità.

«Andiamo a vederla!» «No, vai tu.»

Non lo conoscevo, ma io lo volevo con me. «Vieni con me» allungai la mano per prendere la sua e lui l’accettò

facendomi un sorriso.Andammo da Yasmine. Era sveglia, ma irriconoscibile, aveva il

volto tumefatto proprio come l'avevo vista poche ore prima. I suoicapelli erano coperti dalla cuffietta verde che si utilizza perun'operazione. Si copriva con le lenzuola, perché probabilmente

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sentiva freddo. Nonostante fosse autunno, le temperature siciliane nonerano mai così basse da provocare un freddo gelido.

«Bea» pronunciò con un filo di voce. Era dolce e tenera. Quanto avrei voluto che stesse bene come me.Mi avvicinai a lei e strinsi la sua mano, mentre Gabriele mi

scrutava con i suoi occhi. «Scusami, è colpa...» non riuscì aconcludere la frase, il fiato le si spezzò in gola.

«Devi stare tranquilla. Ne avremo di tempo per parlare. Adessoriposati» le dissi, baciandola delicatamente in fronte.

«Solo una cosa» gracchiò, puntando gli occhi su Gabriele. «Lui chi è?» continuò con un lievissimo sorriso.«Riposati, poi ne parleremo, promesso.»

Lasciai la sua mano e mi avvicinai a lui, uscimmo dalla stanza e andaia parlare con un’infermiera per sapere di più sulla salute della miamigliore amica. Mi fermai e chiesi a una ragazza con un caschettobiondo e occhi neri come la pece. Mi misero paura.

«Quali sono le condizioni di salute della mia amica?» chiesi tuttod'un fiato.

«L'operazione al ginocchio è andata bene, un paio di settimane e sirimetterà.» Grazie a Dio. Era salva. Andammo alle macchinette delle bevande.

«Vuoi qualcosa?» chiesi. «No, grazie.»

Mi presi una cioccolata e andai fuori a berla. L'aria era fresca, ormai

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il sole stava per sorgere e il cielo dipinto di arancione eraspettacolare.

«Sono contento che sia andato tutto bene» proferì. Anch’io lo ero. Felice, al settimo cielo. «Anch’io lo sono, non si nota?» domandai facendo una linguaccia. «Poco» scherzò. Mi avvicino a sé e affondai la testa sul suo petto. Profumava dello

stesso odore della pelle dei neonati. Maledettamente incantevole.Quell'odore stava invadendo le mie narici e gli abiti si stavanoimpregnando della sua essenza.

«Non ti ho chiesto una cosa, come mai hai le stampelle?» chiesi abruciapelo.

Arrossii con imbarazzo, forse ero stata troppo invadente. «Scusami, sono stata indiscreta.» Mi metteva a disagio. Era troppo. Mi piaceva troppo. E questo per

me era un problema. «Non voglio più che ti scusi con me. Lo hai fattogià abbastanza.»

Vero. Gli avevo detto molte volte scusa, ripetutamente. «Okay» acconsentii. «Ho queste stampelle perché ho avuto un incidente durante una

gara.»Rimasi in silenzio prima di aprire la bocca, chiedendomi se avessi

dovuto farlo oppure no. «Quale gara?» alzai lo sguardo e puntai imiei occhi sui suoi.

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«Di ballo.»

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4.

Gabriele stava diventando una tentazione. È possibile che in menodi ventiquattro sentissi già qualcosa dentro di me? Mi aveva stregatoo cosa?

Gara di ballo. Quella conversazione doveva essere approfondita dipiù. Avevo intenzione di scoprire tutto su di lui, dalla data di nascita,a... come fosse bravo a letto. E chissà come sarebbe stato farel'amore con lui. Ci eravamo divisi, lui stava seduto mentre io me ne stavo distesa dinuovo sulla mia barella. Una stanza non me l'avrebbero mai data,avevo qualche escoriazione e una contusione, mi dovevano teneresotto osservazione e il giorno dopo mi avrebbero dimessa. MentreYasmine stava lì. E Gabriele? Con lui come sarebbe andata a finire?Domande. Domande, senza risposta.C'eravamo divisi senza alcun motivo, forse l'argomento intrapreso nonandava bene quindi pensò meglio di ignorarmi per farmi stancare.Dopo qualche ora di ripensamenti mi alzai da quel materasso convintaa raggiungerlo. Notai che non appena mi vide mettere un piede per

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terra si alzò dalla sua sedia, pronto a dirigersi fuori, nell'androne.Intanto il turno procedeva, mentre non sapevo tra quanto l'avesserochiamato e non l'avrei più rivisto probabilmente, se non avessi fattoqualcosa.Lo raggiunsi di nuovo sul muretto, dove eravamo andati ore prima.Mi misi davanti a lui, in punta di piedi. Ero talmente bassa che nonriuscivo ad arrivare al suo mento.Restai in silenzio a fissarlo, notando ogni suo movimento, i suoi occhifacevano su e giù, puntando sulla mia bocca.

«Basta» dissi decisa a fare il primo passo.«Hai ragione, basta.»

Mi prese il volto fra le mani e mi baciò, facendomi restare senza fiato.La mia bocca si schiuse senza il mio consenso, non avevo più ilcomando su di essa. Si era impossessato delle mie labbra e della mialingua. E viceversa.Fu una sensazione unica. Quando ci ricomponemmo, guardammoreciprocamente le nostre iridi.

«E adesso?»«Adesso viviamo, Bea» mi sussurrò, sfiorandomi la fronte con un

bacio delicato.I dubbi mi stavano tormentando, ma non dovevoaverne. Non con lui.

«Ma cosa succederà? Tra poco tu andrai via, io resterò inospedale» dissi in preda alla disperazione.

Non volevo che se ne andasse. Quel ragazzo mi causava fin troppa

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euforia e non volevo che smettesse.«Continueremo a frequentarci Bea.» E quando pronunciava Bea, mi faceva sognare, il tono dolce, la sua

voce, stava diventando la mia ossessione.E il mio perché.«Un attimo, è una situazione troppo assurda. Io... io non voglio che

tu pensi che sia una puttana» balbettai. Ecco venire a galla i dubbi. La situazione aveva tutti i presupposti

per potergli far pensare questo di me. In fondo, ero single daventiquattro ore e già avevo le labbra incollate a quelle di un altro.Non ci sarebbe stato nulla di sbagliato se si fosse fatto quest'idea, madovevo far in modo di chiarire con lui.

«Non l'ho mai pensato» m’interruppe. «Ma potresti farlo, la situazione lascia spazio anche a questo

pensiero. Solo, se mai dovessi pensarlo, giuro, non è così. Non amopiù Giuseppe da qualche tempo e me ne rendo conto dall’ attrazioneche inizio a provare per te.»

«Non devi darmi spiegazioni» mi mise un dito sulle labbra.«Invece sì, devo. So che ti conosco da meno di un giorno ma son

fatta così, o il sentimento mi scoppia subito, o non arriva mai.» Il sentimento scoppiò subito dentro di me. Gabriele era entrato nellamia vita con la stessa facilità che avevo io a divorare il cibo.Era entrato come un fulmine a ciel sereno, senza chiedere permessoma io non riuscii a far obiezione.

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«Abbracciami» sorrise. Lo abbracciai pensando di avere tutto ciò di cui avessi bisogno. Nonavevo necessità di nulla quando stavo con lui.

«Fra poco devo fare la visita» sbuffò.«È un controllo?» domandai.«Oggi si deciderà tutto.»

Non capivo.«Tutto cosa?» mi preoccupai.«Tranquilla, andrà tutto bene.»

Non andava bene. Sviava sempre il discorso e del suo incidente miaveva detto poco e niente.

«Voglio sapere qualcosa in più di te.»«Che cosa intendi?»«Voglio conoscere tutto di te. Non voglio che mi nascondi niente.»

Mi guardò pensieroso e poi distolse lo sguardo. Arrivò qualcuno einiziò a parlargli. Mi trovavo accanto a lui e non capivo il nesso traquei discorsi.

«Gabriele, devi dimenticarti quel fottuto incidente in pista. Tu staibene» gli diceva quello che credevo fosse un amico.

Mi sentivo il terzo incomodo, ma la discussione fra loro, si facevainteressante.

«Bea, ci vediamo dopo» disse noncurante. Interessante, finché non mi liquidò, senza neppure presentarmi. Miaveva invitato cortesemente ad andarmene. Me ne andai, prima di

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perderlo di vista mi voltai a guardarlo, era alterato e gesticolava comeun matto. Mi guardò di sfuggita ma poi tornò alla sua accesadiscussione. Che cosa voleva dire il suo amico con quella frase? Stava bene e lonascondeva, non aveva senso questa ipotesi. Rientrai, e dopo qualche ora vennero i miei genitori, era ormai mattinainoltrata, quindi uscii nell'androne con loro.

«Piccola, come stai?» chiese mia madre preoccupata.«Mamma, sto bene.»

Il display fissato al muro era rimasto fermo, ma un’infermiera chiamòal microfono il signor Cosenza. Che stupida! Non era lì per il prontosoccorso, ma per una visita di controllo. Avevo bisogno di dormire. Lui si alzò, guardò il suo amico e percorsero la strada insieme. Si giròancora a guardare nella mia direzione e con il movimento delle labbramandò un bacio. Sorrisi e arrossii.

«Tutto a posto, tesoro? Hai caldo? Sei rossa in viso. Hai fame?»m’interrogò mia madre. «Sì, mamma, ho fame» risi.

«Giovanni, vai a comprare qualcosa di buono a tua figlia!» ordinòrivolgendosi a mio padre. I suoi capelli brizzolati e la camicia a scacchi si persero nell'obliò deimiei occhi, scomparendo quando il corpo di papà girò l'angolo.Avevo lei davanti: capelli rossi, occhi a mandorla verdi e il suo abitonero che le arrivava fin sopra le ginocchia.

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I suoi lineamenti erano molto fini, aveva un corpo magro, snello,l'opposto del mio. Non aveva un briciolo di cellulite, una linea dismagliatura, era perfetta. Una donna di cinquant'anni, capace di farsfigurare la figlia ventenne, goffa, cicciottella, e bassa.Per fortuna questi problemi non complicavano la mia vita e la miaesistenza.

«Allora, hai rotto con Giuseppe?» domandò cauta.«Sì, mamma. Non lo amo più.»

La mia mente era offuscata da altri pensieri adesso. Era dominata dauna stampella e dagli occhi verdi di Gabriele.

«Hai fatto bene. Se il tuo sentimento è svanito, non ha più senso.» Ero felice di essere stata compresa da mia madre. Mi faceva sentiremeglio.

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5.

Non era il momento di parlare di Giuseppe e del mio sentimentonei suoi confronti. La mia mente in quel momento era occupata daGabriele, il che era tutto dire, e mi confondeva questo pensiero. Midomandavo cosa si stessero dicendo e soprattutto cosa luinascondesse. Non aveva senso quel mio pensiero rivolto a lui.Perché? Perché ero fragile, stava nascendo un sentimento irrefrenabileper Gabriele. Non per qualcosa di specifico. Per il semplice fatto chefosse Gabriele. Lui. Mi aveva soggiogato, sin dal momento in cui glisbattei contro. Quegli occhi verde bottiglia mi avevano trafitta, daparte a parte, in un istante. E il sentimento inevitabilmente mi stavanascendo dentro, come un fiume in piena. Come una stupida, mi erocacciata in una storia degna di me: un caos completo.

Persa tra i miei pensieri, fui richiamata da mio padre che mi portòun cornetto ripieno di ricotta. Mi conosceva bene lui, adoravo tutti idolci, in particolare quelli ripieni con questa crema. Si spiegava ilmotivo dei miei fianchi larghi, e delle mie maniglie dell'amore.

«Grazie papà.»

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Quando se ne andarono restai ad aspettare che Gabriele finisse lasua visita. Avevamo un discorso in sospeso, forse anche l'ultimo.

Yasmine dormiva ancora, beata.Si aprì la porta e il cuore mi si fermò. Dovetti sedermi, mi girava il

capo. Strofinai le mani sugli occhi, ma la visuale non cambiò. Nonpotevo credere ai miei occhi. Era entrato con una stampella e adessostava seduto su una sedia rotelle. Finalmente mi rivolse uno sguardo,ma senza proferire parola. Mi passò davanti come se nulla fosse. Misentii ribollire di rabbia. Perché mi evitava? Bastardo! Non potevaandare via così, esigevo una spiegazione.

Quello che presumevo fosse il suo amico, si allontanò, mentre luistava fermo al centro dell'androne. Mise le mani sulle due ruote ecominciò a muoversi. Non riuscii a star lì immobile. Non era da merimanere con dei dubbi. Mi avvicinai e lo fermai.

«Non pensare di cavartela così. Non con me.» Mi rivolse uno sguardo e poi guardò terra.

«Pensavi di andartene come se nulla fosse?»«No, Bea.» «Stavi andando via, Gabriele. E non chiamarmi Bea» ribattei

infuriata. «Sarei ritornato.»

Forse sì. Forse no. Non ero per niente convinta. «Se non ti avessi fermato, saresti andato via. Non dire cazzate.» Mi sentivo presa in giro, se davvero voleva parlarmi lo avrebbe

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fatto subito. Non credevo sarebbe ritornato. È facile scappare. Gliuomini sono bravi a farlo.

«Perché?» chiesi. Non avevo la forza di dire il nome diquell'aggeggio in sua presenza. «Perché, cosa?»

«Perché questa...» indicai la sedia. «Puoi anche pronunciare il suo nome» ribatté, fingendo un sorriso. Lo stavo odiando. Mi faceva stare male senza accorgersene. «Non credo t’importi, il tuo primo pensiero è stato un altro»

insinuò. «Gabriele, vaffanculo» me ne andai, con le lacrime che mi

pungevano gli occhi.Sperai che la mia amica fosse sveglia. Raggiunsi la sua stanza e mi

sedetti sulla sedia accanto a lei. Dormiva ancora, era tranquilla eserena, il suo cuore batteva regolare. Strinsi la sua mano, mi sentivouna nullità, in che situazione mi ero cacciata. Dovevo saperlo, gliuomini son tutti uguali, davanti alla verità preferiscono scappare.Scoppiai in lacrime silenziosamente. Che cosa avevo fatto di male permeritarmi quel comportamento? Aprii il cassetto del mobile vicino alletto di Yasmine per controllare cosa ci fosse e vi trovai unbigliettino. Lo presi incuriosita e lo lessi.

“Non sono il bravo ragazzo che tu credi, ma posso esserlo per te,se vuoi, Bea.” Firmato Gabriele. Mi aveva lasciato il suo numero dicellulare.

In totale confusione, caos mentale. Quel numero sarebbe diventato

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la mia ossessione se non lo avessi utilizzato. Ma non lo avrei cercatosubito, doveva patire un po' del mio malessere. Così avrebbe capitocome mi sentivo io.

Era entrato in stanza, aveva aperto il cassetto e aveva pensato ame. Per un attimo ero stata io a invadere i suoi pensieri. Ne fui felice.Continuai a guardare quella frase, cercando di spremere le meningiper riuscire a capire il motivo per cui fosse scappato.

Yasmine si svegliò e spalancò gli occhi appena si accorse della miapresenza. Le sue iridi azzurro cielo mi fissavano contente.

«Buongiorno, ti senti meglio?»«Sì, tesoro. I punti al ginocchio fanno male, ma non è un problema.

E tu?» chiese. Presi il cornetto che mio padre aveva preso per lei e glielo porsi. «Tieni, mangia. Me l’ha portato mio padre.» Alzò il sedere più su e poggiò la schiena sui cuscini. «Grazie. Ma io voglio prendere una boccata d'aria. Voglio

camminare e ho bisogno di parlare con te.» «Non credo sia possibile, Ya» la ammonii con gentilezza. Avrebbe dovuto prendere le stampelle, e questo mi avrebbe fatto

pensare di nuovo a lui. Era una persecuzione quel ragazzo! «È possibile. Sto bene, con delle stampelle riesco a muovermi.» Eccola, lo sapevo. Yasmine era testarda peggio di un mulo. Doveva fare sempre di testa sua, anche quando non era in grado di

farlo. A costo di sopportare dolore, aveva deciso di dover fare una

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passeggiata e sarebbe stato difficile dissuaderla.Premette il tasto bianco sul telecomando che avevo vicino e arrivò

immediatamente un infermiere. «Potrei avere delle stampelle per fare una passeggiata qui fuori?

Riuscirò a farlo.»«Certamente, ma dovrà restituirle al suo rientro.»

Perché non le aveva detto no? Non può! Con l'approvazione di uninfermiere non mi avrebbe neanche lontanamente ascoltato.Arrivarono, dopo minuti interminabili di attesa, le dannate stampelleche aveva richiesto. Quando le vidi, provai un senso di sollievo, ed ilpensiero volò a lui, soffermandosi sull'idea più assurda. Pensai chequelle - proprio quelle - potessero essere state utilizzate ore prima daGabriele. Ma era impossibile riuscire a capire se avessi ragione.Aiutai la mia amica ad alzarsi e la sentii lamentarsi, corrugando lafronte.

«Sei testarda. Se perdi l'equilibrio, non posso esserti d'aiuto, ho unamano fuori uso» la avvertii, sperando si arrendesse. Invece prese ledue aste e si alzò in piedi.

«Zitta e cammina» mi ordinò ridendo. Quanto le volevo bene, nonostante tutto. Era testarda, sì. I suoi genitori non le erano mai stati accanto sul serio, un po' per la

giovane età, un po' per i loro problemi di coppia non seppero fare igenitori che Yasmine meritava. Era cresciuta sola, con le sueinsicurezze e le pochissime certezze. Ma si trovava lì, a ventidue anni,

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e poteva considerarsi vincitrice. Ce l'aveva fatta da sola. Con la suatenacia e la sua forza combattiva.

«Allora, vuoi che ti faccia l'interrogatorio, o parli tu di tuaspontanea volontà?» gracchiò. Ecco dove voleva arrivare!

«Non ho nulla da dire» mi mostrai dubbiosa. «Beatrice, ho una gamba fuori uso, per il momento, ma i miei occhi

ci vedono benissimo.» «Tu sai già tutto, lui è venuto in stanza, halasciato questo» le feci notare il bigliettino arrotolato.

«Okay, è un bel figo, lo ricordo, era con te. Ma non mi viene inmente la sua voce, è altrettanto bella?» scherzò.

Bellissima! E dolce. «Okay, non gli hai parlato, stavi sicuro dormendo come un ghiro»

ridacchiai. Yasmine mi stava facendo distrarre. Aveva ragione, anche la sua

voce era bella, calda, e assolutamente adorabile. E poi il mionomignolo detto dalla sua bocca, assaporato dalla sua lingua e dallesue labbra, era impossibile non amarlo.

«Dai! Come si chiama?» «Gabriele.» «Dio, Bea, devo farti io tutte le domande?» «Non chiamarmi Bea, da adesso solo lui può» annunciai con aria

sognante. Pronunciato da labbra diverse, non aveva più senso, perdeva

valore. Si era impossessato del mio nome e ne ero felice.

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«Oddio, Bea! Parla e basta.» Ridacchiai e iniziai il mio racconto veloce. E me lo immaginai lì, di

nuovo davanti a me, con le sue labbra che mi sfioravano. L'avevobaciato solo una volta e mi mancava già gustare la sua dolcezza,farmi invadere le narici dal suo profumo e perdermi nei suoi occhiverdi. «Wow! Siamo già così avanti? Mi sorprendi, tesoro.»

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6.

Era passata qualche ora, e guardavo quel numero di cellulareimperterrita. Presi il telefonino e scrissi un messaggio, prima di averequalche ripensamento sulla cazzata che stavo per fare.

Mi sono innamorata di te. Cinque parole capaci di esprimere quello che provavo. E

sembravano parole gonfiate, e tanto finte. So bene che innamorarsi inventiquattro ore è una cosa che può sembrare impossibile, ma a meera capitato. Il mio cuore pulsava danzante al pensiero di me eGabriele insieme.

Mi sono innamorata di te. In un giorno. In un'ora. Dal primoistante in cui ho incrociato il tuo sguardo.

Inviai ancora una volta. Aspettai in attesa una risposta che non

arrivò. Ancora una volta, bastardo! Accantonai il cellulare, sarebbe

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stato inutile continuare a osservarlo con la speranza di essere calcolata per un minuto da lui.

Io non voglio innamorarmi di te. Cancellami dalla tua mente. Il mio cuore si fermò. Rilessi più volte quelle parole. Non mi

capacitavo. Gli occhi lucidi. Era impossibile trattenere le lacrime,pungevano prepotenti. Incoerente, ecco cos'era. Ore prima mi avevascritto che poteva essere il ragazzo che io credevo fosse, e adesso…Adesso non ero più nulla.

Fai pace con il cervello. E prendi una decisione. Sii sincero con testesso. Io ti ho già detto tutto.

Yasmine era in bagno, io seduta su una sedia vicino al suo letto. E

meno male che non stavo in piedi, non avrei retto quelle parole. Erastata una frase che mi aveva ferito. Non aveva alcun senso. Perchélasciarmi il suo numero se il suo pensiero era diverso dal mio? Soloper il semplice gusto di farmi soffrire, o cos'altro?

Il telefono vibrò ancora, e che ci crediate o no, le mie manitremavano per paura di schiacciare quel tasto “leggi.”

Ho già deciso. Ciao Bea.

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Perché continuava a chiamarmi in quel modo? Mi faceva solo male.

E basta. Scoppiai in lacrime e nascosi il viso tra le lenzuola bianche,dove vi poggiai la testa. Mi sentivo un giocattolo nelle sue mani.

«Bea…» Alzai lo sguardo verso Yasmine supplicandola di non pronunciare

più quelle tre lettere. «Scusami, Beatrice...» si corresse. «Perchépiangi?» Non riuscivo a guardarla, mi vedevo lui con quelle aste e la suacamminata zoppicante. Lo vedevo ovunque. Mi diedi un pizzicottosulla gamba, ma la situazione era quella.

«Stai male, okay. Chiamo un medico.» «No, sto bene. Okay, non è vero, ma non chiamare nessuno»

sibilai. «Chiama Gabriele. Voglio lui» sussurrai, asciugando le lacrime che

scorrevano sul viso.Raccontai tutto a Yasmine, mi guardò, stava provando anche lei a

capire i comportamenti di quel ragazzo.«È strano! E incoerente. Gli piaci o no? Prima vuole frequentarti, e

adesso ha cambiato idea. Io non mollerei la presa. Lascia che te lodica guardandoti negli occhi.»

Trovare il coraggio era un'impresa. Leggerle mi aveva già fattomale, sentirmele dire, occhi contro occhi mi avrebbe annientata, ma

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avrei potuto capire parecchie cose. «Non credo accetterebbe di rivedermi.» «Vivete nella stessa città, magari in zone abbastanza vicine,

potreste incontrarvi in qualunque momento» mi rassicurò. Il trillo del cellulare catturò la mia attenzione. Facebook.“Gabriele Cosenza vuole stringere amicizia con te.” Mi stava prendendo in giro. Ero diventata il suo giocattolo. «Mi sta prendendo per il culo» appurai, mostrandole il cellulare.«Beatrice, un attimo, metti in pausa il tuo cervello e mettiti nei suoi

panni. È entrato in stampelle ed è uscito in tutt'altro modo» sisoffermò.

«E nei miei di panni chi si ci mette?» dissi titubante. Cavolo. Però aveva ragione. Non gli avevo chiesto nemmeno come

si sentiva. Avevo fatto solo un accenno alla sedia a rotelle. L'avevoassalito, sbagliando i modi, ma lui stava andando via ancor prima chegli parlassi.

«Adesso lui ha solo bisogno di sostegno, di supporto da parte tua»«Lo stai difendendo?» sbottai. Ero crudele? Forse. «Sto solo provando a farti capire come stanno le cose, perché i tuoi

occhi sono accecati dalla rabbia.» «Ti ascolto. Che cosa dovrei fare adesso?»«Devi parlargli, faccia a faccia. Vedetevi.»«Non riuscirei a sopportare di nuovo quelle parole» sbuffai.

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Non sapevo cosa fare. Ero sicura che Gabriele non pensasse quellecose, ci sarebbe stata di sicuro una spiegazione. E se avesseaffermato la verità? Se lui non voleva davvero innamorarsi di me?Che stupida. All'amore non si può imporre l'obbligo, non si puòdecidere di chi e quando innamorarsi. Sarebbe troppo bello, ma le favole non sono mai esistite. E maiesisteranno. Siamo umani che provano emozioni, e quelle sonoimpossibili da comandare a nostro piacimento.Provai a chiamarlo, ma non ebbi nessuna risposta. Decisi allora dimandargli un sms.

Gabriele, io ho bisogno di vederti, di parlarti. E non accetterò unNO come risposta.

Cosa mi stava succedendo? Avevo perso la testa. Sì, la testa perlui.

«Aspettiamo.»«Tanto non risponderà» risposi in segno d'arresa. «Riposati un po', non dormi da ventiquattro ore» mi sussurrò. «Voglio stare con te, e poi ho dormito qualche ora.»

Due ore, forse. Gli occhi mi bruciavano per le lacrime e per lastanchezza. Mi accasciai con la testa poggiata sul letto, e crollairaggiungendo il mio mondo dei sogni. Se nella vita si potesseroavverare i propri sogni saremmo tutti più felici. Invece, c'era chi stava

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peggio di me. Tipo lui. Non sapevo cosa fosse successo, stava difatto che non poteva camminare, non avrebbe avuto più l'autonomia disempre. Immaginarlo impotente mi faceva star male.

Quando mi svegliai, sperai di aver ricevuto risposta, invece niente.L’avevo detto che non avrebbe risposto!

Due settimane dopo Yasmine fu dimessa, portava con sé solo una

stampella per sostegno, poi avrebbe ricominciato la sua vita disempre. Io avevo ripreso a lavorare nel ristorante di famiglia,continuando a fare ciò che mi piaceva: la pasticcera. Durante qualcheimpasto, che facevo a mano, senza macchinari automatici, mi dolevaun po' il polso, ma i dottori mi avevano detto che era una cosanormale. Gabriele non si fece più vivo, nonostante i miei continuitentativi, alzava le sue barriere, mettendomi davanti ad un muro dicemento armato, indistruttibile. Avevo perso due chili, il che non erada me. Non mi sentivo per niente soddisfatta della mia vita. L'unicacosa che mi permetteva di continuare era il mio lavoro, i clienti eYasmine. Poi tabula rasa, mi ritrovavo innamorata di un ragazzo chenon ricambiava i miei sentimenti, e di una situazione in famiglia chenon mi dava certo consolazione. Mia sorella Antonella si sposava, incasa non si parlava d'altro. Per fortuna stavo poco lì, a dire il vero, cistavo solo il necessario, poi ritornavo di nuovo nella mia tana, nel mioguscio di sicurezza, casa mia. Mai come in quel momento fui contenta

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di aver deciso presto di trasferirmi a vivere da sola. Un po' disolitudine non mi faceva male, e se poi la compagnia era quella...meglio star sola.

Dopo l'incidente, tutto era finito nel migliore dei modi. Tranne cheper me e Gabriele. Se non ci fosse stato nessuno schianto, forse nonl'avrei mai incontrato. E adesso non mi sarei trovata in questa bruttavicenda tra me e i miei sentimenti.

Mi trovavo nel mio reparto di pasticceria, stavo preparando lapasta choux per fare i bignè ripieni di panna montata. Montaiquest'ultima e poi mi lasciai tentare, presi un cucchiaino e ne mangiaiun po'. Un tocco alla porta mi fece sobbalzare.

«Posso?» Quando lo vidi restai incantata, con le mani a penzoloni e ilcucchiaino in bocca, che stava iniziando a sprigionare il sapore amaro,non c'era più nulla avevo ingerito la crema. Il sapore del nulla. Dellaconfusione che girovagava nella mia mente in quell'istante. Gabrieleera qui. Era veramente lui.

«Hai bisogno di qualcosa?» dissi, provando a fare l'indifferente. Stavo fingendo, ma proprio non ci riuscivo, era più forte di me.

Non facevo altro che guardare di sottecchi quella sedia sulla quale siera seduto. Indossava un pantalone nero a vita bassa, e una magliettache lasciava intravedere i pettorali. Quella visuale lasciava spazio aogni immaginazione. Era così sexy!

«Sì, ho bisogno di te, Bea.»

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Restai di ghiaccio, immobile come una bella statuina. «E poi di cos'altro?» «Solo di te.»Allora non avevo sentito male. L'aveva detto sul serio. Mi tolsi il

camice bianco e lo gettai sul bancone. Lasciai passare prima lui e poim'incamminai io, frenando l'impulso di aiutarlo.

«Mamma, ci sono i bignè che devono essere riempiti, potrestimandare Antonella a finire il lavoro?» chiesi a mia madre. Miguardava incuriosita in cerca di gossip. Così avrebbe trovato unpretesto per farsi i fatti miei.

«Antonella è a scegliere le bomboniere.» E che palle! Annuii e dissi velocemente - senza aspettare la suarisposta - che avrei fatto presto. Il percorso fino alla gelateria “La vela” fu silenzioso, eravamo deipesci, muti. Prendemmo due gelati. Io nocciola, zuppa inglese epanna, lui solo pistacchio. Poi ci sedemmo intorno a un tavolino,vicino alla ringhiera che dava sul mare. Posizionò la sedia a rotelle ebloccò le ruote con il freno ed io avvicinai una sedia a lui e miaccomodai, iniziando a mangiare il gelato.

«Per colpa tua, ho anche sbagliato! Non volevo la zuppa gialla»annunciai, sbuffando. «Che gusto volevi?» rise di sottecchi.

«Non t'interessa. Ormai è fatta. Oltretutto è un attentato alla mialinea.»

E alla mia dieta, che non avevo mai iniziato! I due chili persi per

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merito suo, li avrei ripresi in un batter d'occhio. «Adesso basta con questa sceneggiata. Dobbiamo parlare,

facciamo le persone adulte.»Fosse stato per me, gli avrei parlato subito. «Sei cresciuto in due settimane? Hai fatto pace con il tuo

cervello?» risi disgustata. Quella situazione mi faceva sentire una stronza, e continuare ad

avere quel comportamento ancor di più. «Non sai quanto mi è costato scriverti quel messaggio…» «E tu non sai quanto male mi ha fatto riceverlo.» Le lacrime iniziavano a pungere insistenti. Ed ecco la prima… non vedeva l’ora di rotolare sulla mia guancia.

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7.

Gabriele si avvicinò di più a me.«Allora, che gusto volevi?» mi domandò incuriosito, cambiando

ancora discorso.Aveva l'aria felice. La sua espressione, sembrava quella di un

bambino quando aspetta di aprire il suo regalo di Natale.«Bacio» sussurrai, abbassando lo sguardo.«Ci penso io.»

In attimo le sue mani accarezzavano il mio viso e le sue labbragiocavano con le mie. Ci baciammo con passione, fu più intenso delprimo, potrei dire memorabile.Nessuno dei due si ritraeva. Nessuno dei due ne aveva intenzione.Era una necessità, un bisogno. Sentii mancare il fiato quando le suelabbra si staccarono. Mi faceva stare maledettamente bene.

«Avevi intuito che fosse quello?» chiesi roteando gli occhi.«Diciamo che… ci speravo» rise.

Il sorriso più bello era il suo, e sapere che lo causavo io, era ancorapiù bello. Non riuscii più a trattenermi e incominciai a ridere anch’io.

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Gabriele mi strinse la mano.«È guarito?» sfiorò il mio polso ed io avvertii una scarica di brividi

intensa.«Sì.»

Adesso toccava a lui parlare. Me lo doveva.Alzò gli occhi al cielo, rimanendo però in silenzio.

«Gabriele, io voglio sapere cosa è successo e perché sei seduto suquesta sedia» annunciai, con voce spezzata. Il dolore che leggevo nei suoi occhi, mentre provava a parlarne oanche solo a ricordare, era terribile. Stavo tentando di mettermi neisuoi panni ma giuro, non ci riuscivo.

«Non si può tornare indietro, ormai il danno è fatto. Adesso tispiego perché» s'interruppe. Era nervoso e le parole gli si bloccaronoin gola. Gli strinsi entrambe le mani e aspettai, avvertivo tutta la fatica chestava provando nel raccontare.

«Dovrò fare riabilitazione, in piscina. Ma non potrò più ballare»concluse.

«Però, tornerai a camminare?» dissi con la luce negli occhi. Luce disperanza. Annuì e mi avvolse in un mezzo abbraccio.

Dio, quanto volevo rivederlo in piedi, con la sua splendida altezza,e stringerlo forte come non mai. Mi sentivo in difficoltà, non micapacitavo di quella realtà, inutile. Stavo male per lui. Incatenata

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come lui.«Bea.»

Misi il cervello in pausa e tornai a guardarlo.Le sue mani mi tenevano il viso obbligandomi a fissare i suoi occhiverdi.

«Non preoccuparti per me.» Ma era così chiaro che i miei pensieri erano rivolti solo a lui?

«Voglio un altro bacio» risi, cambiando totalmente discorso.«Non dicevo sul serio quando ti ho scritto quegli sms. Fallo per

me, non preoccuparti.»«Io dicevo sul serio, proprio per questo non posso starmene con le

mani in mano» Intanto il tempo era volato e mia madre iniziava a chiamarmi, come semancassi da chissà quanto tempo.

«Sono viva e vegeta» dissi, rispondendo al telefono. Vidi Gabriele sorridere di sottecchi, mentre mi osservava incantato.«Sto arrivando, mamma» sbuffai scocciata.«Ci vediamo questa sera?»

Il mio cuore stava palpitando all'impazzata. «Va bene.»

Mi accompagnò al locale nonostante non volessi farlo sforzare troppo,ma non riuscii a convincerlo.La discussione si era interrotta, e avevamo deciso di continuarla acena.Terminai i bignè e andai a casa di Yasmine. Ero felice? Sì, e

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tanto. In casa c'era tanto ordine, come se non ci vivesse nessuno.Yasmine era una maniaca dell'ordine, e non solo materiale, ma anchementale.

«Sai cosa sto per dirti, vero? Te l'avevo detto!» rise divertita.«È lui, io lo sento. È lui quello giusto» ballavo per casa, il mio

entusiasmo era più che evidente.«Beatrice, non pensare al futuro, non crearti castelli nella tua

mente, che poi basta poco e si frantumano.» Aveva imparato a chiamarmi con il nome intero. Bea volevo sentirlosolo da lui, dalla sua voce, e dalla sua bocca.Aveva ragione, mi stavo immaginando il futuro con Gabriele,montandomi la testa e rischiando poi di rimanerci delusa.

«Hai ragione. Questa sera ci vediamo mi accompagni da H&M?»annunciai. Prendemmo l'autobus di linea, poi facemmo un tratto di strada a piedi,fino ad arrivare al negozio.

«Fa ancora caldo. Quindi i pantaloncini vanno bene» constatòYasmine, mostrandomi la gruccia che aveva in mano dove c’eranoappesi degli short a jeans. Poi mi passò una maglia a V, moltoscollata, ma che io bocciai subito. Non mi piaceva mettermi troppo inmostra. Presi una maglia a collo alto lunga verde, poi andai alla cassa.

«Hai dei collant color carne, vero?»«Certo. Ho già capito cosa devo indossare, Miss Moda!»

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«Collant, short, maglia. Io ti consiglierei le sneaker verdi che siabbinano anche con la maglia, vista la situazione eviterei i tacchi.» I tacchi. In quell'occasione erano l'ultimo dei miei pensieri. Per laprima volta la mia bassezza non creava problemi. La mia mente eravolata di nuovo a lui.Quando uscimmo dal negozio, vidi da lontano un volto conosciuto.L'amico di Gabriele. Ci guardammo entrambi, ma nessuno dei duesalutò.Speravo tanto di poterlo conoscere, e soprattutto capire il perché gliaveva detto quelle cose.

«Chi stai guardando?» «Quel ragazzo, è un amico di Gabriele.»Ormai lui era sempre nei miei pensieri. Quel giorno mi sentivo dinuovo viva e felice. Mi aveva reso la donna più felice del mondo,ritornando a sorpresa nella mia vita.Volevo farmi conoscere. Fargli conoscere la mia realtà quotidiana, lamia casa, le mie abitudini. Fargli conoscere la Bea di tutti giorni,quella in pigiama, senza trucco, scompigliata, in ogni veste.

«Carino!» esclamò. Carino, sì. Un tipo, ma non il mio. Occhi blu scuro, capelli castani,e... poi non avevo fatto più caso al suo fisico. La sagoma si fecesempre più chiara, poi sparì.

Salutai Yasmine e prima di arrivare a casa, passai al ristoranteprendendo dei bignè per l’occasione.

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Mi sedetti sul divano e feci un po' di zapping in tv. Stavo pensando acome avesse potuto evolversi quella serata, per me importante. Primadi prepararmi, iniziai a bollire le patate, avevo intenzione di fare ungateau con prosciutto, salame e formaggio. Disposi le patate pestatesu una teglia e lo farcii con i salumi. Poi coprii di nuovo con il velo dipatate, aggiungendo una spolverata di formaggio grattugiato. Avevol’ansia, mancavano poco meno di due ore e Gabriele sarebbe arrivato.Ero agitata, senza una ragione ben precisa.

Dopo esattamente due ore, suonarono alla porta. Sistemai la miachioma ravvivandola un po’. Aprii la porta e il cuore si fermò. Erasplendido. Alzò gli occhi puntandoli sui miei e ci guardammo per untempo infinito.

«Sei incantevole» farfugliò. Lui non era da meno. Continuavo a sentire le farfalle nello stomaco che svolazzano felici,

e il mio cuore che martellava impazzito sotto le sue splendide iridi.

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8.

Dopo aver finito di cenare, ci spostammo sul divano, lo aiutai adalzarsi dalla sedia e si sedette accanto a me.

«Vieni qui» mi indicò la sua coscia. Lo guardai esitante. «Non sono entrambe malandate. Solo una.» I dubbi si facevano sempre più grandi, se davvero mi aveva

dichiarato la verità, che bisogno c'era di dargli la sedia a rotelle? Iconti non tornavano, i pezzi del puzzle non s’intersecavano comeavrebbero dovuto.

«Sono pesante» arrossii. Mi sorrise e allungò le braccia per avvicinarmi a sé. Mi misi a

sedere come mi aveva chiesto. Lo guardai e non resistetti allatentazione. Strofinai le mie labbra sulle sue, dolcemente.

«Bea» non riuscì a terminare la frase, le nostre lingue stavano giàparlando fra loro. Le sue mani mi cingevano. Si fece largo tra la mia maglia e palpò ilmio seno. Sussultai per quel gesto. Mi feci avanti anch'io e sbottonai iprimi bottoni della sua camicia bianca. Gliela strappai di dosso,

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mentre lui giocava con i miei capezzoli inturgiditi dall'eccitazione.Restammo entrambi senza maglie, mi tolse il reggiseno mentre ioassaporavo ogni parte del suo addome scolpito, non ne avrei maiavuto abbastanza di lui. Mai. Sentivo la sua eccitazione crescere aogni mio tocco. Stavamo andando oltre. Sarebbe successo?

«Gabriele» ansimai. Giocava con me. Ed io con lui. «No. Non possiamo. Basta, Bea» mi allontanò e si fece serio. Ecco di nuovo le sue barriere. Ancora una volta. «Lasciati amare, Gabriele» lo pregai. Lasciati amare, lasciati baciare, pensai. «Io non posso amarti, e tu non lo farai, presto ti stancherai di me.» Eravamo sempre allo stesso punto, pensavo che la storia

dell'innamoramento fosse passata, evidentemente mi sbagliavo. «Io non mi stancherò mai di te. Ma cosa stai farneticando?» gridai. «Questa è la verità, ti stancherai, Beatrice. E te ne andrai come ha

fatto lei. Ti stuferai di fare da babysitter, ti stancherai di me in questecondizioni, come tutte le donne» guardava un punto indistinto, con losguardo sottile.

Lei. Ma certo, la sua ex si era stancata. «Gabriele...» non trovavo le parole. «Girati e guardami.»Roteò lo sguardo e drizzò gli occhi nei miei. Aveva le iridi spente e

stanche. Mi stavo infuriando! Le sue parole stavano ripercorrendo la

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mia mente. Dovevo trovare un modo per fargli capire che non erocome lei. Non mi sarei stancata di lui.

«Io non sono lei. Sono io, guardami e lo capirai. Non ne avrò maiabbastanza di te» gli carezzai il mento, e percepii la sua pelle liscia,nessuna traccia di barba. Lo ammiravo e sognavo.

«Mi sono innamorata di te. Ti ho conosciuto nel posto piùsbagliato, in un momento altrettanto brutto. E mi sono innamorata,nonostante tutto. Questo dovrebbe bastarti. Non devi avere dubbi, népaura. Lasciati andare, fallo per te e per me, ti prego.» «Devo andare, ho bisogno di stare un po' da solo» provò ad alzarsi,ma non ne fu capace. Mi guardò come a dire “vedi, te l'avevo detto!”

Continuava a scrutarmi scoraggiato e snervato, in cerca diappoggio.

«Aiutami» mi ordinò. «No.» «Voglio stare da solo» cominciò ad agitarsi. Poteva stare da solo anche lì dov'era, sul mio divano.Me ne sarei andata io. «Ottimo. Ti lascio solo» urlai, e mi avviai in camera mia. «Beatrice!» gridò.

«Rifletti» replicai scocciata.Aveva ragione, ma io non ero lei. E doveva fidarsi delle mie

parole, anche se non è facile dare fiducia alle parole. Ma io gli avreidato dimostrazione con i fatti. La situazione era molto più difficile di

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quello che avevo pensato. Gabriele aveva timore di affezionarsi e poidi essere scaricato. Era rimasto scottato dall’abbandono della sua exfidanzata. Non per questo gli avrei permesso di pensare le stesse cosedi me. Io non l’avrei mai lasciato andare. E lui, alla fine, l’avrebbecapito. Presi il cellulare e mi misi le cuffiette alle orecchie, con un volumebasso. Le note di Mi fai stare bene di Biagio Antonacci, iniziarono asuonare.Mi alzai di scatto e lo raggiunsi nel salotto. Lo trovai distesosul divano, guardava la tv. Mi scappò un sorriso compiaciuto. Adessoera più rilassato. Chissà che conclusione aveva tratto la sua mente.Risi silenziosa e mi avvicinai. Si ricompose mettendosi seduto.

«Hai riflettuto?» domandai.Mi accomodai, a pochi centimetri da lui. Poi mi lasciai andare e

poggiai il capo sulla sua spalla. Vidi il suo sguardo scrutarmi disottecchi, poi mi strinse a sé.

«Ho meditato, sì» sorrise, dandomi un bacio in fronte. «Anch’io! E voglio che ascolti questa canzone.» Gli diedi le cuffiette e premetti play. «Mi fai stare bene, e di stare bene non mi stanco mai» gli

sussurrai cantilenante. Era il mio modo per fargli entrare in testa che io non me ne sarei

andata, e non l’avrei mai lasciato andare, per nessuna ragione almondo. Okay, la situazione poteva essere pesante, difficile dasostenere, ma io ero sicura di farcela, lo avevo conosciuto in quel

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modo, e anche se adesso non stava più sulle stampelle, ne eroinnamorata più di prima. Dove sta scritto che una persona “inabile”non può ricevere amore? Tutti gli esseri umani possono ricevereaffetto, e soprattutto ne sentono il bisogno. Altrimenti che vitasarebbe? «Mi vuoi almeno un po’ di bene?» chiesi con un sorrisetto.

«Piccola Bea» sospirò arreso. «Sì?»

«Certo che sì. Io ho soltanto paura di esprimere quello che nutro perte» sussurrò. I battiti del cuore iniziarono a pulsare rapidamente,sempre più forti. Che cosa provava per me? «E cosa provi?» reclamaicon la voce tremolante.

«Te lo dirò domani» ridacchiò divertito. Si stava divertendo punzecchiandomi, facendomi perire di curiosità.

Se questo significava continuare a vedere il sorriso disegnato sullesue labbra, potevo resistere, e fare questa fatica. Di certo provavaqualcosa di bello nei miei confronti, altrimenti non mi avrebbe volutorivedere. Ci baciammo con passione, come se non ci fosse un domani.Lo aiutai a rimettersi sulla sedia, e poi a malincuore lo condussi allaporta.

«Posso accompagnarti?» «Non ne ho bisogno, Bea.» «Ne ho bisogno io» gli feci una linguaccia.

Alzò gli occhi al cielo e sorrise.

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«Piccola, davvero, ci vediamo domani a colazione.» «E va bene!» sbuffai.

Lo baciai ancora poi andò via. Mi sentivo al settimo cielo. Provavaqualcosa per me, stava iniziando a fidarsi. Insieme ce l’avremmofatta. Non era più solo.

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9.

Il colpo di fulmine, l’amore a prima vista, chiamatelo come volete,ma esiste. E non so cos’era stato, i suoi occhi, la sua forza, la suadolcezza, e gentilezza. Credo che non capirò mai cosa mi abbia fattoscattare la scintilla, non me lo spiegherò mai. M‘innamorai in unattimo di Gabriele. È assurdo, ma è così.

Sono sano e salvo. Sogni d’oro, piccola. Andai a letto contenta. Avevo il sorriso negli occhi e nel cuore.

Oltre ad avere la faccia da ebete che mi accompagnava. L’amoreesiste, pensai. Mi sentivo indistruttibile, piena di vita, di carica, diforza, ero in ottima condizione fisica e mentale.

Mi svegliai rilassata e gioiosa. Magari tutti i giorni fossero staticosì belli. Il mattino ha l’oro in bocca, canticchiai tra me.Era ancora presto, avevo tutto il tempo necessario per dedicarmi a mestessa. Il cellulare prese a squillare, era Yasmine.

«Buongiorno» gracchiò dall’altro lato.

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«A te! Come stai oggi?» «Ogni giorno che passa va sempre meglio. Com’è andata la serata?»chiese.

«Molto bene, i dettagli te li dirò più tardi» l’avvisai. «Facciamo colazione insieme?» «Ho già appuntamento con Gabriele.» «Ho capito, tesoro. Ci vediamo questa sera?» «Okay, a stasera Miss» ridacchiai.Mi preparai, indossai un vestitino a campanella a fiori, ravvivai i

miei capelli e misi un po’ di ombretto sugli occhi. Ero pronta. Prontaad affrontare questa giornata lavorativa, mi sentivo carica e in gradodi farcela, finalmente la mia mente poteva essere libera. Libera dipensare ciò che voleva, tanto il mio mondo lo avevo davanti agliocchi: Gabriele era ritornato e avevo avuto tutte le risposte alle miedomande. Avevamo trovato l’equilibrio, ed ero venuta a conoscenzadelle sue paure. Raggiunsi il bar Maggiolandia e lo trovai lì adaspettarmi. Bello come il sole. Maglia a V bianca, jeans e le sneakersverdi di sempre. «Buongiorno Bea» «Ti ho mai detto quanto mi piace il mio nome accarezzato dalla tuavoce?» sorrisi.

Dio, quanto ero felice! E la causa era lui. Il merito andava aGabriele. Lui che con due semplici parole riusciva a farmi scioglierein un lampo. Ma che stregoneria mi aveva fatto? «Quando inizi la piscina riabilitativa?» chiesi.

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«Oggi» farfugliò. Cosa? «Perché non me l’hai detto?» Non mi aveva avvisata, e

probabilmente non me l’avrebbe detto, se io non mi fossi informata.Stavo iniziando a pensare che fosse solo una stupida convinzione. Luinon si fidava poi così tanto di me.

«Era necessario?» replicò, con un filo di sarcasmo che mi feceimbestialire. Solo una cosa in quel momento mi era chiara: non eroimportante per lui. E stava ancora giocando con me.

«Ah già, tu pensi che a me non importino le tue condizioni disalute» lo accusai.

Non avevo dimenticato quella frase. Non dimentico nulla. Chissàse è un bene. Ricordo tutto, purtroppo o per fortuna, dipende dallasituazione. Non rispondeva. Non aveva nulla da dire in merito allamia battutaccia.

«Ancora non ti è chiara una cosa, Gabriele. Per me sei importante,stai diventando fondamentale. M’importa tutto ciò che riguarda te.Tutto! Adesso, invece, ho capito che la cosa non è per nientereciproca, per te sono soltanto una palla al piede. Ti libero. Buonaguarigione. E ricorda che ti… voglio bene.» Okay, forse non gli ho lasciato il tempo di ribattere, sono partita araffica e ho precipitato le cose. Ma era la verità, non mi sentivo pernulla rilevante, altrimenti mi avrebbe informato di una cosa cosìimportante.

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Gli diedi un bacio sulla guancia e voltai le spalle, andando via.Scherzavo quando ho detto che avrei potuto affrontare la giornata.Gabriele era capace di farmi sciogliere in attimo e di distruggermi unsecondo dopo.

«Bea» strillò. Mi allontanai e mi sedetti su l’ultima panchina della lunga fila,

quella vicino al mare. Mi raggiunse, mi fece piacere, ma non capivocosa ancora avesse da dirmi.

«Non mi va di inseguirti ancora» borbottò. «Non ti ho chiesto di farlo. Lasciami in pace.» Le lacrime mi pungevano gli occhi, ma non vinsero, questa volta

ero più forte di loro. «Se avessi potuto, non ti avrei lasciato fare neanche un passo.» Se avessi potuto. I sensi di colpa mi assalirono in un baleno. Cazzo, non poteva essere. Cadevo ai suoi piedi non appena

pronunciava qualcosa. No, non dovevo. «Devo andare, mia madre mi aspetta» mentii. «Te ne vai così?» «Gabriele, adesso ho bisogno io di stare da

sola.» Me ne andai a casa e chiamai Yasmine, ero abbattuta, Gabriele

aveva un effetto strano su di me, lui era in grado di rendermi felice,ma anche di farmi diventare triste. Ero diventata vulnerabile. Il mioumore, o il mio stato d’animo dipendeva da lui.

«Sto arrivando» mormorai con la voce impastata quasi alle

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lacrime. «Preparo i fazzoletti?» «Non ce n’è bisogno» e riattaccai. Mentivo, le lacrime sarebbero scese come pioggia non appena

avessi potuto.Non appena arrivai da Yasmine, entrai in casa e mi gettai sul suo

divano a peso morto. «Intanto bevi un po’ d’acqua e smettila di frignare. Poi racconta»

mi porse un bicchiere d’acqua e lo prosciugai. È vero, singhiozzavo emi lagnavo, ormai piangevo, e non riuscivo più a smettere.

«Se io non glielo avessi chiesto, lui oggi sarebbe andato, come seio non esistessi.»

«In effetti avrebbe potuto avvisarti.» «Adesso lui sarà lì. E dire che avrei voluto accompagnarlo e

nuotare con lui» ironizzai. «Potresti farlo.» «Non so in quale palestra è andato.» «Non hai molte alternative. Pensaci.» Sarebbe stato impossibile recuperare l’indirizzo del luogo. Un bip

mi fece sussultare, era il mio cellulare che segnava l’arrivo di un sms.Non volevo leggerlo. Poi Yasmine lo aprì, fece una faccia mista tra ildubbio e l’incertezza. Le tolsi il cellulare dalle mani, a quel puntovolevo sapere chi mi avesse scritto.

Ciao Beatrice, sono Francesco il fratello di Gabriele. Devo

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parlarti. È una questione delicata. «Che cosa aspetti a rispondere?» mi scosse la mia amica. “È una questione delicata.” Tra quelle parole, lessi bisogno d’aiuto,

ed io avevo già tanto timore. Che cosa doveva dirmi? Ciao Francesco, possiamo vederci anche adesso. In piazzetta, va

bene? Ero agitata. «Dai, sarà una sciocchezza.» «Temo di no.»

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10.

Lo vidi arrivare in lontananza. Era lo stesso ragazzo che io avevoetichettato come suo amico. «Ciao, mi dispiace per questa situazione,ma tu sei l’unica che può aiutarlo.» Aiutarlo. Lo sapevo, il cuoreiniziò a perdere un battito.

«Tu chi sei?» «Sono suo fratello.» Era suo fratello, e non me ne ero accorta. In effetti, non si

somigliavano per nulla. «Come posso aiutarti?» domandai. «Non devi aiutare me, ma Gabriele» pronunciò. «Ho spiato nel cellulare di mio fratello, mi ricordavo di te in

ospedale, avevo capito che tra voi stava nascendo qualcosa.» Era così evidente? Da parte mia di sicuro, non ero capace a

nascondere i miei sentimenti. Mi si leggeva negli occhi quello cheprovavo. Come un libro aperto.

«Gabriele è guarito. È in grado di camminare. Ha solo un bloccopsicologico, crede di non poterlo più fare perché ha paura…»

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Beatrice, puoi farcela, pensai.«Ed io che posso fare?» «Tu potresti farglielo capire. Potrebbe ascoltarti.» Magari mi avesse ascoltata. Per lui ero solo una semplice

conoscente. «Non mi ascolta. Mi dispiace.» Di nuovo lì a punzecchiarmi le pupille. Piangere, avevo bisogno di

quello. Ancora e ancora. «Beatrice, io sono convinto che tu possa farcela. Devi! Per voi.» Sì, potevo farcela. Ma perché questa grossa responsabilità? Era un

macigno sulle mie spalle, ma era per lui, e avrei combattuto, avreilottato fino allo sfinimento, promisi a me stessa che lui avrebbericominciato a camminare.

«Dove fa la riabilitazione?» «Alla Polisportiva, in Via Belgio.» «Un’ultima domanda, perché in ospedale non gli hanno lasciato

solo le stampelle?» «È successo tutto tre mesi fa. Mentre ballava, un incidente di

percorso gli ha causato danni al ginocchio. Per un breve periodo nonriuscì a camminare, poi gli diedero le stampelle, con suo enormedisappunto. Due settimane fa ha detto esplicitamente di non volerlepiù usare e il medico non ha potuto ribattere.»

Che cavolo di situazione era? Ed io ero all’oscuro, di tutto. Comeuna stupida, avevo creduto ad ogni sua parola, ponendomi solo

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qualche domanda, accorgendomi che i conti non tornavano. Adesso ipezzi del puzzle si ricomponevano. Si spiegava il motivo per cui nonmi avesse avvisato e perché mi avesse chiesto di andar via quandodoveva parlare con suo fratello. Salutai Francesco correndo a casa.Ormai per quel giorno non sarei riuscita ad andare in piscina, ma senon avessimo fatto chiarezza il giorno seguente, sarei andata atrovarlo. Non ne potevo più, adesso che sapevo tutta la verità, volevovederlo in piedi, autonomo, com’era in grado di fare! Ero determinata,dovevo riuscirci, subito, senza troppi tentativi. Mi documentai suinternet sul blocco psicologico, e trovai informazioni che michiarirono tutti i dubbi.

“La persona vittima di un trauma utilizza delle strategie mentali ecomportamenti per reagire e difendersi da una determinatasituazione.”

Questo commento mi fece capire tutto. Ed ecco che iniziai a farmi

mille paranoie: chissà come si sentiva! Doveva essere devastanterivivere ogni giorno i momenti tragici che gli avevano distrutto il suosogno più grande! Dovevo fare qualcosa per lui. In quel momento misentivo un peso grande, la paura di fallire era più grande di me.

Tre giorni dopo mi ritrovavo a casa, non avevo avuto il coraggio diandare a trovarlo. Lui non aveva cercato me, io non avevo cercato lui.Maledetto orgoglio che ci teneva distanti. In quei giorni non avevo

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fatto altro che pensare. Pensare a come avrei potuto parlargli, eriuscire a farlo camminare. Yasmine mi venne a trovare, erano tregiorni che non uscivo da casa, per evitare di incontrarlo. Dovevosentirmi pronta per discutere con lui di quella questione delicata.Dovevo prima realizzarla io. Poi sarei stata in grado di affrontarla.

«Ti ho portato un cannolo, per la tua gioia, tesoro.» Mi scappò un sorriso. Presi il dolce e ne diedi un morso. «Non devi andare per forza per parlare di quella vicenda. Vai da

lui perché ti manca. È evidente. Vai da lui per far pace. Se poi vorrai,affronterai la questione. Non sentirti in obbligo, Beatrice.»

Il lato saggio di Yasmine mi fece esplodere in una sonora risata. Eaveva ragione, forse mi sentivo un po’ costretta, ma non lo ero danessuno, solo da me stessa. Era il mio desiderio.

«Non si tratta proprio di obbligo. Lo voglio io, farei di tutto pur ditogliere, dalla sua testa, questa confusione mentale, pur di vederlocamminare.»

«Tu lo ami, vero?» «Sì» confessai. Lo amavo. Amavo tutto di lui. Il suo carattere: voleva dimostrarsi

forte, ma invece non lo era affatto. I suoi occhi, che al contrario deimiei erano capaci di celare i sentimenti, e le emozioni. I suoi muri pertenermi lontana, le sue paure, le sue contraddizioni, i suoi discorsi, lasua voce.

«La mia Bea innamorata» mi guarda con un sorrisetto beffardo.

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«Ho deciso, vado da lui, adesso.» Mi preparai e scappai via, lasciando Yasmine in casa mia. Presi il

bus che mi lasciava vicino la polisportiva e vi entrai. Dissi di doverandare da Gabriele e prima di farmi entrare chiesero a lui. Presumo loavessero avvertito, chiedendo se aspettava qualcuno. Nonostantetutto, lui aveva detto di sì, e mi permisero di raggiungerlo.

Era lì, beato nella vasca, in piedi che faceva passi, avanti e indietroper metri e metri. Ma in acqua è tutto diverso, dicono. Era bello comemai, con il petto nudo, bagnato. Fantastico.

«Smettila di guardarmi in questo modo» annunciò, prendendomi ingiro.

Tornai con i piedi per terra e smisi di sorridere come una cretina.«Perché, come ti sto guardando?» ciarlai.Basta, Bea. Smettila di sbavare davanti a lui, pensai. «Lascia stare.» Adesso era lui che mi guardava con uno sguardo

smanioso. Sentivo bruciare la pelle sotto i suoi occhi. Il sole inconfronto era niente.

«Sto arrivando, te la farò pagare. Adesso smettila tu» risposibeffarda.

Mi accorsi di aver dimenticato il costume, che disastro! Mi spogliaie restai in intimo, non m’importava niente! Qual è la differenza traintimo e costume? È impercettibile. Erano anche abbinati, reggisenonero e mutande della stessa tinta, cosa volevo di più? Scoppiai aridere e poi rivolsi lo sguardo a lui.

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«Che cosa stai facendo?» mi guardò esterrefatto. «Ti faccio compagnia, stronzo» lo schernì. Lo raggiunsi e mi avvicinai sempre più a lui. «Quanto mi sei mancata» sospirò. Mi cinse la vita con le braccia, facendo aderire i nostri corpi,

rendendoli compatti. Cominciai a baciarlo sulle spalle, stuzzicandoloogni volta sempre più.

«Stai giocando sporco» gemette sorridendo. Mi prese il viso tra le mani e mi baciò con una passione mai

provata, eravamo in un altro mondo, per un attimo presi inconsiderazione l’idea di fare l’amore con lui, lì, in quell’istante,subito.

«Devi ancora dirmi cosa provi per me, furbetto.» «Te lo dirò dopo.» Continuò a baciarmi, scendendo verso la fibbia del reggiseno. Di

nuovo quel pensiero mi pungeva la testa. Dovevo parlargli subito. «Gabriele, voglio vederti camminare, non solo qui» dissi a

bruciapelo. «Sai che non posso farlo» si scostò. «Tu sai meglio di chiunque altro che puoi.» «Non posso, basta con questa storia.» Ed eccolo, si era fregato da solo. Non glielo dicevo solo io, e

quindi era stufo di sentirselo dire. «Va bene, Gabriele. È stato un piacere.»

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Feci per andar via, ma lui mi prese per un braccio e impedì ognimio movimento.

«Non ti ho ancora detto cosa provo per te. Poi puoi andare via.» «Presumo di saperlo. Non ho bisogno di altre delucidazioni. Va

bene così.» «Non credo proprio. Non sai che ti amo» Cosa aveva detto? Adesso avevo bisogno di prendere aria e di

riascoltare per almeno dieci volte quello che credevo aver sentitodavvero.

«Che cosa hai detto?» mi poggiai sul bordo della vasca, e guardailui davanti a me.

«Ho detto che ti amo» ribadì. «Dillo ancora» mormorai. «Ti amo, Bea» Okay, mi amava. Dovevo solo metabolizzare l’idea e dare una

risposta.

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EPILOGO

«Tu hai un sogno, è così?» domandai. «Avevo un sogno, ormai è infranto. E tu?» «Sai il mio sogno qual è? Vorrei che tu tornassi a camminare,

vorrei che tu smettessi di aver paura perché non sei solo. Solo questovorrei. E solo tu puoi esaudirlo.»

Uscii dalla vasca e misi l’accappatoio. «Ti aspetto qui, Gabriele. Mi fido di te. Sali questi scalini e

raggiungimi.» «Te l’ho mai detto che sei una stronza?» mi guardò serio. «Se ti fa stare più tranquillo, puoi dirmi ciò che vuoi, mi basta che

tu venga qua. Tanto so che quello che mi dici non lo pensi» gli feciuna linguaccia.

Ma lui non sorrise, si diresse solo verso di me, in silenzio. Con losguardo basso. Quando arrivò vicino agli scalini si fermò posando gliocchi su di me.

«Dammi la mano.» Gliele diedi entrambe e le strinse forte tanto dafarmi male.

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«E dammi anche un bacio» bisbigliò. Ero in tensione, ci stavo riuscendo. Non si stava opponendo. Lo

baciai dolcemente sulle labbra poi ritornai a guardarlo. «Se non potessi farlo, non te l’avrei chiesto. Tu puoi. Tu ce la fai,

ne sono sicura» lo rassicurai. Mosse il primo piede e lo alzò. Primo passo fatto. Mi parve

un’eternità ma era davanti a me. Mi copriva con il suo corpo e con lasua altezza. Le lacrime pungevano insistenti, questa volta di gioia.Anche lui aveva gli occhi lucidi, mancava poco e sarebbe scoppiatoin un pianto liberatorio.

«Ce l’ho fatta davvero?» mi guardò sorridendo, mancava poco chele lacrime gli rigassero il viso.

«Posso lasciarti una mano?» Me la lasciò lui. Riuscimmo a camminare mano nella mano, per la

prima volta ero davvero la donna più felice del mondo. Il mio sognosi era realizzato.

«Ti amo» gli sussurrai tra le labbra.Raggiungemmo casa mia, sempre tenendoci per mano, mi sembrava

un sogno. Yasmine mi aveva lasciato un bigliettino. Buon proseguimento di serata, piccola innamorata.

Lo leggemmo ed entrambi, un attimo dopo, avevamo lo stessodesiderio. Ci sdraiammo immediatamente sul mio letto. Le nostre

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labbra non riuscivano più a fare a meno l’una dell’altra, mi tolse gliabiti da dosso ed io feci lo stesso con lui. Slacciò il reggiseno e misfilò gli slip. Gli strappai di dosso i boxer e restammo entrambi nudi.Si mise sopra di me, e iniziò a baciare ogni parte del mio corpo.

«Sei bellissima, piccola.» Giocò con i miei capezzoli gonfi einturgiditi. Poi aprì le mie gambe e sfiorò delicatamente la mia partepiù intima.

«Sono tua» gemetti. Sentivo la sua erezione a contatto con la miapelle. Un minuto dopo entrò dentro di me con movimenti lenti eaffettuosi, sollevai il bacino per dargli una spinta, e i suoi movimentiiniziarono a farsi più veloci, più intimi.

«Dimmi che mi vuoi» biascicò. «Ti voglio» ansimai. «Dillo ancora.» «Ti voglio, ti voglio, ti voglio…» boccheggiai con affanno.«Sei stata la mia salvezza» ansimò, mordendomi il labbro.Crollammo sfiniti, e dormimmo avvolti in un abbraccio. «Buongiorno, piccola» si svegliò prima di me. E mi portò latte e

biscotti. Colazione in camera, quanto lo amavo! «Grazie» sorrisi soddisfatta. «Devo ringraziarti io, Bea. Senza di te non ce l’avrei mai fatta.

Tutto questo è stato possibile, perché ho incontrato te.» Lo abbracciai e lo baciai.

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Finalmente tutto sembrava andare bene, non poteva succedere piùnulla. Eravamo invincibili. Niente ci avrebbe potuto separare.

«Mi sono innamorata di te. In un giorno. In un'ora. Dal primoistante in cui ho incrociato il tuo sguardo.»

«Ho una proposta indecente da farti» sussurrai con emozione. «Ah sì? Dimmi.»

«Vuoi venire a vivere qui, con me? Vuoi sopportarmi ogni ora, ogniistante della tua vita?» sorrisi con gli occhi lucidi.

«Sì, Bea, voglio sopportarti per tutta la vita» mi baciò. «Alzati e cammina. E porta la tua roba qui, non scappare» scherzai,

e lo baciai ancora una volta prima di vederlo andar via.Il nostro incontro non era stato dei migliori. Credo che l’ospedale

sia il posto meno romantico. Eppure è proprio lì che è nato il nostroamore. Perché non esistono luoghi, tempi e persone perfette, quandoc’è l’amore, tutto è possibile.

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RINGRAZIAMENTI

Un grazie speciale a Giovanna Mazzilli, grazie per avermi aiutatonella correzione. Senza di te questo libro non lo avrei mai pubblicato.

Un grazie di cuore a Malia Delrai, grazie è il minimo che possadirti, non smetterò mai di farlo. Grazie per la fiducia che mi dai,grazie per esserci in qualunque momento.

Un grazie anche a voi, Bianca Rita Cataldi, Antonietta Agostini,Chiara Parenti e Chiara Ballariano, grazie per l’affetto che ognigiorno mi dimostrate. Vi voglio bene.

E infine grazie a te lettore, per avermi dato fiducia e per aver lettoquesto libro.

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Indice dei contenuti

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Epilogo

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Ringraziamenti

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IndiceUn giorno per innamorarmi 21. 102. 163. 224. 275. 346. 427. 498. 559. 6110. 68Epilogo 73Ringraziamenti 76Indice dei contenuti 77