Maria Cristina Strati - aracneeditrice.it · Una malinconia di fondo era la sua compagna in ogni...

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Maria Cristina Strati Teresa e il Re dei Gatti

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Maria Cristina Strati

Teresa e il Re dei Gatti

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Copyright © MMXVIIGioacchino Onorati editore S.r.l. – unipersonale

via Vittorio Veneto, 2000020 Canterano (RM)

(06) 45551463

isbn 978-88-548-9762-5

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con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i paesi.

Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’editore.

I edizione: maggio 2017

Il gatto è il conoscitore della via, la guida dell’anima. Viene as-sociato al sole, e come Hermes/Mercurio reca aiuto […]. È vera-mente un protettore soccorrevole nell’oscurità, di notte, quando ci si sente indifesi.

m.l. von franz

Quando al destarsi di una nuova aurora tornano i primi raggi del sole, il fiorellino che sta per schiudersi attende dal cielo un balsamo prezioso: è la scintillante perla del mattino che, miste-riosa e colma di frescura, produce la linfa abbondante che fa sbocciare il fiore.

santa teresa di lisieux

1. Due trovatelli

Purtroppo le cose stavano così, Teresa doveva farsene una ragione. In una casa con tre bambine e con mam-ma e papà sempre presi da mille impegni e spesso troppo occupati a litigare tra loro, non c’è posto per un gattino. Forse più avanti, diceva la mamma di Te-resa, quando sarete più grandi. I gatti sono come le persone: se ne adotti uno dovrai sempre prendertene cura, perché farà parte della famiglia, proprio come fosse un nuovo fratello. Solo che lui sarebbe un fra-tellino un po’ speciale, ecco: quattro zampe, pelo, vi-brisse e tanta voglia di giocare, nascondersi, graffiare, miagolare, fare le fusa. E tutto il resto.

Teresa però non era d’accordo con la mamma, non lo era per niente. Pensava a queste cose mentre cam-minava verso il pulmino della scuola per fare ritor-no a casa, imbottita dentro il suo piumino azzurro, la sciarpa bianca di lana fin sopra il naso, il cappello sulla fronte e il suo corpicino di bambina da qualche parte là sotto, tutto stretto dentro dolcevita e calza-maglia. Quel giorno faceva freddo e lei era così vestita che faceva fatica a muoversi. Per di più aveva il naso chiuso, perché era sempre raffreddata e respirava con difficoltà. Aveva nevicato, quella mattina, la strada era

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scivolosa e c’era ghiaccio dappertutto. Teresa credeva di non potercela fare a camminare, chiusa lì dentro tutta quella lana, sulla strada piena di neve.

Dieci anni, profondi occhi marroni, trecce lunghe e scure sulle spalle, bocca sempre leggermente soc-chiusa perché con il naso non respirava bene; Teresa era una bambina intelligente, spiritosa, attenta, ma anche un po’ triste, perché era sempre sola e a scuola non ci andava volentieri. Una malinconia di fondo era la sua compagna in ogni momento. Non è che non le piacesse stare insieme agli altri bambini, solo che era molto timida, con una spiccata tendenza a iso-larsi e a mettersi a sognare, inventando storie per i fatti suoi. E mentre sognava e inventava, a volte le pareva di entrare in un mondo tutto suo che spesso, per timidezza o per mancanza di coraggio, non osava confessare agli altri. Così non aveva molti amici.

A casa per Teresa c’era la mamma, a cui voleva un gran bene, e le sue sorelle maggiori, due gemelle, pe-stifere e dispettose. Il papà invece era sempre via per lavoro e, anche quando tornava, spesso si chiudeva in sé stesso, oppure litigava con la mamma e Teresa davvero non capiva che cosa avessero quei due da urlare tanto.

Nella sua vita di bambina, c’era una sola cosa che interessava veramente Teresa, una sola costante: i gat-ti. Gatti, gatti, solo gatti. Gatti disegnati, gatti di pe-luche, gatti di legno dipinto che decorano le pareti delle stanze dei bimbi, gatti fumetti e cartoni anima-ti, gatti nei libri e gatti fotografati. E poi tutti i gatti quelli veri, vivi e vivaci, ovviamente. Solo i randagetti però, o quelli a casa degli amici e delle persone che conosceva. A quelli Teresa avrebbe dedicato ore e ore di coccole e attenzioni.

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Già, perché Teresa non aveva mai avuto un gatto in vita sua, un gattino tutto suo, da nutrire crescere e coccolare. Che l’aspettasse a casa quando lei tornava da scuola e con cui poter giocare, da stringere a sé la notte per dormire ascoltando il suono dolce delle sue fusa. Questo era per lei il desiderio più grande.

Teresa era piccola eppure già non avrebbe sapu-to dire dove aveva visto il primo gatto della sua vita, dove e come era nato il suo grande amore per la spe-cie felina. Le sembrava di esserci nata, con la fissazio-ne dei gatti e che non poteva che essere così. Perché per Teresa veramente non c’era nulla di più bello al mondo.

I suoi familiari però da quell’orecchio non ci vole-vano proprio sentire.

«Se qui dentro entra un gatto, me ne vado io!» ave-va detto una volta Clementina, una delle due gemel-le. Teresa aveva sospirato, sperando che forse davve-ro Clementina se ne sarebbe andata e magari al suo posto sarebbe venuto un bel siamese a vivere con lei. Ma niente. La sorella era rimasta e di gatti neanche l’ombra.

Sua madre poi era proprio contraria e non parlia-mo di suo padre.

Ma Teresa non demordeva. Tutte le volte che usciva di casa, per qualsiasi ragione, il suo sguardo correva su e giù per le vie, spiando finestre e davanzali. I suoi occhi guardavano attenti anche negli angoli, accanto ai bidoni della spazzatura, sopra e sotto le macchi-ne parcheggiate, nelle fontane ormai prive d’acqua e dentro i portoni spalancati sui cortili. Cercava sem-pre loro: i gatti. Gatti randagi, gatti domestici, gatti fuggiti momentaneamente dalle loro case, anche solo

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per fare due passi o una breve gita per inseguire una lucertola o un piccione. Gattini piccoli e grandi, gatti di razza e gatti di strada, gatti giovani e gatti vecchini, con il pelo liscio e spazzolato o ispido e bagnato dalla pioggia della sera.

Appena ne scorgeva uno, Teresa sorrideva nel suo cuore, prendeva un respiro più profondo che poteva e correva da lui schioccando delicatamente la lingua contro il palato superiore e sfregando ritmicamente il pollice contro l’indice della mano destra: «Micio mi-cio… gattino… vieni qui, fatti prendere!» diceva.

Spesso il gatto di turno, con il suo intuito felino, certamente capiva l’animo buono di Teresa e il suo amore per i felini. Perciò si fermava, spalancava i suoi magici occhi da tigre domestica e subito li richiudeva un poco, fissando la piccola umana con curiosità e amicizia. E poi decideva se giocare a nascondersi o farsi coccolare da lei. Perché i gatti lo capiscono su-bito se sei un tipo di cui ci si può fidare.

I gatti sanno proprio tutto, anche quello che noi non sappiamo.

Eh già, di questo Teresa era sicura. I gatti sanno ogni cosa. Infatti lei, confidando sul fatto che i gatti conoscono ogni mistero di questo mondo e non solo, poneva loro spesso delle domande vere e proprie.

«Gattino – diceva Teresa al randagetto di turno – oggi la maestra mi interrogherà? Se sì, vieni verso di me, se no chiudi gli occhi…» e puntualmente il mici-no rispondeva.

Veniva verso di lei, flessuoso, inarcando la schiena e miagolando, oppure strizzava gli occhi, placido.

O invece Teresa chiedeva: «Oggi troverò i miei ge-nitori che litigano quando torno a casa? Saranno cat-

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tive le gemelle?», ma i gatti a volte preferivano non ri-sponderle affatto, chissà perché. Però si avvicinavano, facevano le fusa e di nuovo inarcavano il dorso, stru-sciandosi con la testolina pelosa contro le sue calze. Come a voler dire: io ti sono amico, tu sei una buona umana, con cui mi piace avere a che fare. Lei capiva e ricambiava le attenzioni dei felini, li accarezzava e si godeva le loro fusa.

Insomma, Teresa e i gatti si capivano, al volo. Anzi, a volte lei pensava addirittura che fosse più facile per lei intendersela con i gatti che con le altre persone.

E dire che a Teresa chiacchierare piaceva moltis-simo. Parlare, raccontare, inventare fiabe con cui gio-care insieme ad altri bambini. Però, anche quando faceva così, Teresa non era mai sicura fino in fondo che le persone con cui si intratteneva la capissero veramente. Invece, quando stava con un gattino, il mondo diventava improvvisamente magico e il suo cuore si riempiva di gioia. Tutto era diretto, istintivo, ingenuo e puro.

Quel giorno d’inverno, Teresa scese dal bus a po-chi passi da casa sua, come di consueto. Si incammi-nò verso il cancello, quando una vocina flebile cattu-rò la sua attenzione.

«Miiiiu miiiu»Teresa ebbe un tuffo al cuore e si voltò. Non c’era-

no dubbi. C’era un gatto! Dietro gli occhiali da miope dalla grossa montatura rossa, tra la sciarpa pesante e il cappuccio del piumino, gli occhi di Teresa si il-luminarono di gioia. Un gatto! Proprio vicino casa! Che fortuna! Teresa si guardò intorno, ma non vedeva nulla. Ma dove sarà questo gattino? Si chiedeva. Avrà freddo? Avrà fame? Certo avrà fame e freddo. Bisogna

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che gli trovi da mangiare, che trovi qualcosa con cui posso coprirlo per aver cura di lui.

«Miiiiu miiiiu» miagolò il gattino con insistenza.Ma dove si era nascosto? Teresa non riusciva pro-

prio a vederlo!«Dove sei micino? Dove sei? Vieni!» diceva, chinando-

si per cercare in quale angolo il piccino fosse nascosto.Poi, a un tratto, finalmente, proprio dietro al can-

cello, sul prato del cortile davanti al suo palazzo, le parve di vedere qualcosa. Respirando con la bocca per via del naso chiuso e facendo nuvole di condensa sugli occhiali, Teresa corse a vedere. Corse, si fa per dire: diciamo che si mosse veloce, più veloce che po-teva dentro i suoi troppi vestiti pesanti che la soffoca-vano un po’. Si muoveva a tentoni, come un pupazzo di neve che prende vita e decide di camminare, goffo e impacciato, più svelto che può. In pochi passi, co-munque, fu davanti alla fonte di tanto strepito.

Ed ecco, davanti ai suoi occhi c’era un batuffolino di pelo nero e bianco, abbastanza piccolo, gli occhi verdi e scuri come semi di anguria e la bocca spalan-cata in un miagolìo disperato.

«Piccolo!» mormorò Teresa intenerita e, quasi ca-dendo sotto il peso dello zaino, si inginocchiò sul prato, senza temere di sporcarsi i pantaloni e le scar-pe di neve. Per fortuna era così tanto vestita che non poteva certo farsi male.

Il micino era indeciso. Impaurito com’era, non sa-peva se fidarsi o no e, pur non cessando di miagolare, si ritraeva. Nonostante ciò, era chiaro che con i suoi miagolii il piccolo faceva di tutto per avere la sua at-tenzione. Sembrava voler dire: non vedi che sono di-sperato! Ho paura, ma tu aiutami!

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Incurante delle proteste del piccolo disperato, Te-resa fu veloce, lo prese e lo sollevò, fissando il proprio sguardo commosso negli occhi verdi del felino. Sotto le mani coperte dai guanti di lana, sentì che era mor-bido e dolce, delicato come un passerotto e il cuore le si sciolse in petto. Teresa era già completamente conquistata.

Poteva avere massimo sei mesi, lo si vedeva dalle zampette rosa e dalla testa rotonda, sul corpo agile e scattante. Sembrava fatto di sole orecchie, perché così sono i gattini piccoli. Sono letteralmente tutti orec-chie! Sembra che i loro corpicini crescano via via nel tempo intorno alle loro belle orecchie a punta e alle lunghe vibrisse. Forse perché sono da subito, appena nati, pronti a recepire il mondo intorno a loro, a co-gliere le vibrazioni e le sfumature, i brividi, i contatti. Forse questa cosa serve loro per capire se le persone con cui hanno a che fare sono affidabili oppure no, o magari chissà, per raccogliere i sogni, i sentimenti e i pensieri delle persone e degli altri animali, cose che noi umani ancora davvero non capiamo.

Teresa sorrise intenerita.«Miiiu Miiiu» continuò il piccolo disperato, aggrap-

pandosi con le giovani unghiette alla lana dei guanti di Teresa.

Solo allora Teresa notò che il gatto aveva una pic-cola macchia nera sotto il naso. Una pennellata che la natura aveva messo lì, proprio come un baffo di Charlot, ma solo uno, dalla parte destra. La schiena del gatto poi era nera, il pancino rosa e le zampe bianche come il latte. Solo da una zampa, la sinistra, il gatto aveva poi un’altra macchia nera che gli cin-geva l’articolazione, così che da lontano sembrava

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che il piccolo felino avesse indosso un orologio da polso.

«Ma quanto sei bello piccino!» disse Teresa com-mossa, tirando su l’aria con il naso un po’ chiuso, come al solito.

Il piccolo però era ancora spaventato e, continuan-do a miagolare, si divincolò dalla delicata stretta del-le mani di Teresa per infilarsi dritto dritto nella sua sciarpa.

«Oh no! Hai freddo?» disse lei scostando un po’ il volto per guardarlo meglio, mentre continuava ad ac-carezzarlo con una mano da cui si era tolta il guanto.

Mentre si voltava, i suoi occhi caddero su un’al-tra scatola di cartone, che attrasse la sua attenzione. Era poco più avanti, vicino al cancello del giardino. Chi l’aveva messa lì? Ma soprattutto, che cos’era? È in scatole così che a volte gente insensibile abbandona i gatti, Teresa lo sapeva perché lo aveva letto da qual-che parte. Forse quella meraviglia con la macchia sul musetto veniva proprio da lì.

Teresa si alzò, tenendo dolcemente ferma una mano sul gattino, che intanto si era accomodato den-tro la sua sciarpa e non smetteva di miagolare. Di nuovo traballò per il peso dello zaino. Si sentiva im-pacciata per i vestiti che la fasciavano da tutte le parti, ma si diresse senza esitare verso la scatola. Era molto curiosa.

Qualcosa le diceva che le sorprese non erano an-cora finite.

Dentro la scatola, tutto rannicchiato per il freddo e per la fame, c’era infatti un altro micio.

Sembrava appena più grande del primo, ma era piccolo e tenero anche lui. Il suo pelo era bianco e

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tigrato: il bianco era splendente come la neve appe-na caduta e denso come la panna montata; il tigra-to ricordava il colore di un serpente di una giungla selvaggia e lontana. Gli occhi erano marrone chiaro, come pietre d’ambra preziosa che vengono dal lonta-no oriente e il micio, quando lei si avvicinò, li teneva languidamente socchiusi, come fanno i gatti quando vogliono fare amicizia con qualcuno.

Teresa sentì salirle le lacrime agli occhi per la gio-ia. Erano due. Due meravigliosi gattini proprio nel cortile di casa sua! E lei li aveva trovati per prima! Che bellezza! E che fortuna.

Doveva essere il destino. Teresa ne era proprio sicu-ra, chissà come e chissà per decisione di chi, quei gat-tini erano proprio destinati a lei. Ed erano tanto belli!

«Non vi preoccupate gattini – disse loro ad alta voce – non siete più soli, mi prenderò io cura di voi!»

Teresa disse queste parole con tutto il cuore. Ma poi pensò: “E adesso come faccio? La mamma non vuole gatti a casa e le gemelle forse se ne vanno se li porto su. Beh, non che sarebbe una gran perdita, se ne andassero, però... se poi non lo fanno e se ne devono andare via i gatti?”

I due piccoli intanto continuavano a miagolare in coro e a Teresa sembrò che tutti quei versi volessero dirle qualcosa, come «Sei la nostra amica?» o qual-cosa del genere. E allora assentì, solenne: «Sì, io sì! Sono vostra amica, per sempre! E mi chiamo Teresa. E voi, voi… vi chiamate…»

A Teresa ancora non venivano in mente nomi che fossero adatti.

Fru fru? No, troppo comune! Mimì? Fuffy? Timmy? Tommy? Ma no! Che nomi sciocchi e banali. Teresa ci

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pensava e ripensava, ma non le venivano idee. Intanto i due micini la guardavano, miagolavano e facevano ancora le fusa. Le sembrò che le stessero dicendo che erano felici di averla trovata e che non aspettavano al-tro che ricevere da lei la cosa più bella del mondo: un nome. Una parola, tutta per loro che vuol dire una cosa sola: sei unico e importante per me e io ti voglio bene.

E forse non era solo la fantasia di Teresa. Forse davvero era un dialogo, quello che si stava svolgen-do tra quei tre cuccioli, due di gatto e uno di donna. Solo che questo dialogo si svolgeva solo in parte con le parole e per il resto andava avanti con un linguag-gio fatto di tatto, odore, sguardi. Tutt’un altro genere di parole, che difficilmente possono mentire.

«Ciao Teresa. Anche noi siamo tuoi amici, e lo sare-mo per sempre», forse così volevano dire i gattini con i loro versi, pensava Teresa.

E forse anche qualcosa come: «Abbi cura di noi». Uno dei due soprattutto miagolava in modo un po’

agitato, preoccupato forse per il freddo e per il tempo che passava. Sembrava mettere fretta a quella cuc-ciola d’uomo che stava loro di fronte. Perciò Teresa decise di tralasciare per il momento la questione del nome. C’erano cose ben più urgenti a cui pensare.

«Sì, sì certo! Avete fame e freddo! Venite con me! Ci penso io!» disse Teresa.

Ma i gattini esitavano. Come a voler dire qualcosa tipo: «Venire con te? Con questa neve? Ci brucerem-mo le zampine per il gelo! E poi chi ci dà la forza? Non abbiamo mangiato da chissà quanto tempo!»

Teresa capì e annuì storcendo la bocca, pensierosa.«Mmm… mi sa che avete ragione! Aspettate, vi

metto al riparo, là dietro!» e indicò un punto un po’

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nascosto, nel cortile, dietro una piccola nicchia dove stava una statua della Madonna della Vittoria, circon-data da un po’ di edera seccata dall’inverno, qualche candela spenta e i resti di alcuni ex voto di molti anni fa. La statuina era posta accanto a un muro della casa, quindi presumibilmente in quel punto arrivava per-sino, per riflesso, un po’ del riscaldamento condomi-niale. Certo, non era l’ideale, come posto per tenere dei gattini e per di più poteva essere scoperto dal cu-stode o da qualcun altro da un momento all’altro, ma per il momento a Teresa non era venuta nessuna idea migliore e non c’era molto da scegliere. Perciò decise che, almeno per il momento, li avrebbe nascosti lì.

«Ma come ci siete arrivati nel mio cortile? Chi è stato a lasciarvi qui?» domandò Teresa mentre siste-mava la scatola, con il gatto dentro, al sicuro e l’altro ancora nella sciarpa.

«Miao!» dissero i gatti. Teresa pensò che, con molta probabilità, i gattini erano stati abbandonati da un umano che non aveva tempo o voglia di tenerli a casa sua. O almeno questa era la versione, diciamo, ufficia-le dei fatti. Sì, perché la realtà forse era un’altra.

Forse era destino che loro fossero lì, che lei, Te-resa, proprio lei li avesse trovati e amati per prima. Quelli erano i suoi gatti, lei lo sapeva perché glielo diceva il cuore, ancora prima che lei avesse deciso di tenerli con sé e di prendersene cura. Non sapeva perché e neppure le importava saperlo.

Con molta attenzione, Teresa pose la scatola die-tro la nicchia della statuina bianca, il più possibile al riparo dalla neve e dal freddo. Poi si tolse la sciarpa con il gattino ancora dentro, e ve la pose all’interno in modo che anche l’altro potesse scaldarsi. Il tigrato

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ricambiò facendo gli occhi stretti e sonore fusa. Lei sorrise e lasciò ai gatti anche i guanti. Aveva le mani gelate, perché ormai i guanti li aveva persi. Ma il suo cuore si sentiva caldo e felice.

A dire il vero però non sapeva ancora bene che cosa fare. Ma avrebbe tenuto i gattini, questo era certo, e se necessario li avrebbe nascosti da mamma, papà e anche dalle perfide gemelle. Sarebbero stati i suoi amici segreti. Anzi, a dire la verità, almeno per il momento, loro erano i suoi soli, veri amici e Teresa sapeva nel suo cuore che, nonostante li avesse appe-na incontrati, lei avrebbe potuto sfidare il mondo e dare la vita, per loro. Non è questa la vera amicizia?

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