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L’orizzonte di Cervantes Maria Caterina Ruta (Università degli Studi di Palermo) Il ritardo con cui la cultura rinascimentale arriva in Spagna e vi si insedia con graduale approssimazione, sposta in avanti il pro- cesso dell’intensificazione manieristica delle modalità della cultura della prima metà del Cinquecento. Cervantes nasce nel 1547, negli anni centrali del XVI secolo e, se la sua vita è proiettata verso il futuro, la sua formazione si incardina sui parametri rinascimentali o, se si preferisce, umanistico-erasmiani 1 . In Italia al dominio in- contrastato del neoplatonismo, fortemente radicato nel petrarchi- smo, si vanno sostituendo i numerosi commenti e rifacimenti della Poetica di Aristotele e degli altri testi normativi dell’Antichità (Manero Sorrolla 1987). In contemporanea, i letterati spagnoli che sono impegnati a ricollocare nella propria tradizione le suggestioni provenienti in particolare dall’Italia rispondono elaborando una loro proposta teorica (Pinciano 1596). In quegli anni di passaggio verso la definizione della poetica ba- rocca Cervantes, dopo aver vissuto le esperienze della vita militare e della prigionia, si mette alla prova nell’attività letteraria affron- tando generi diversi secondo una strana progressione che nella fase matura e finale della sua vita lo allontana da quelli trattati nell’età più giovanile, poesia, romanzo pastorale e teatro, nella costante ri- cerca di formule più adeguate a restituire il cambiamento che si andava realizzando sotto i suoi occhi. Nella sua attività creativa Cervantes coniugava l’esperienza culturale con quella esistenziale, trasformando in materia letteraria i dati della vita quotidiana, oltre agli eventi speciali cui gli fu dato partecipare. 1 Juan López de Hoyos, rettore dell’Estudio de la Villa che Cervantes fre- quenta nel 1568 e parte del ’69, fino a quando deve scappare da Madrid, era formato al pensiero erasmista (Canavaggio 1986). Per questo dato e per gli altri delle note successive darò solo le indicazioni bibliografiche indispensabili e per quelle più esaustive rimando alle bibliografie contenute in Ruta 2000 e Ruta 2008. Tuttavia, sulla funzione di cerniera svolta dall’opera cervantina nel pas- saggio dal Rinascimento al Barocco e, in special modo, dal predominio dei modelli italiani all’elaborazione di una letteratura con caratteri specificamente nazionali, si vedano le pagine di Francisco Márquez Villanueva 2005: 23-47.

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L’orizzonte di Cervantes

Maria Caterina Ruta (Università degli Studi di Palermo)

Il ritardo con cui la cultura rinascimentale arriva in Spagna e vi

si insedia con graduale approssimazione, sposta in avanti il pro-cesso dell’intensificazione manieristica delle modalità della cultura della prima metà del Cinquecento. Cervantes nasce nel 1547, negli anni centrali del XVI secolo e, se la sua vita è proiettata verso il futuro, la sua formazione si incardina sui parametri rinascimentali o, se si preferisce, umanistico-erasmiani1. In Italia al dominio in-contrastato del neoplatonismo, fortemente radicato nel petrarchi-smo, si vanno sostituendo i numerosi commenti e rifacimenti della Poetica di Aristotele e degli altri testi normativi dell’Antichità (Manero Sorrolla 1987). In contemporanea, i letterati spagnoli che sono impegnati a ricollocare nella propria tradizione le suggestioni provenienti in particolare dall’Italia rispondono elaborando una loro proposta teorica (Pinciano 1596).

In quegli anni di passaggio verso la definizione della poetica ba-rocca Cervantes, dopo aver vissuto le esperienze della vita militare e della prigionia, si mette alla prova nell’attività letteraria affron-tando generi diversi secondo una strana progressione che nella fase matura e finale della sua vita lo allontana da quelli trattati nell’età più giovanile, poesia, romanzo pastorale e teatro, nella costante ri-cerca di formule più adeguate a restituire il cambiamento che si andava realizzando sotto i suoi occhi. Nella sua attività creativa Cervantes coniugava l’esperienza culturale con quella esistenziale, trasformando in materia letteraria i dati della vita quotidiana, oltre agli eventi speciali cui gli fu dato partecipare.

1 Juan López de Hoyos, rettore dell’Estudio de la Villa che Cervantes fre-

quenta nel 1568 e parte del ’69, fino a quando deve scappare da Madrid, era formato al pensiero erasmista (Canavaggio 1986). Per questo dato e per gli altri delle note successive darò solo le indicazioni bibliografiche indispensabili e per quelle più esaustive rimando alle bibliografie contenute in Ruta 2000 e Ruta 2008. Tuttavia, sulla funzione di cerniera svolta dall’opera cervantina nel pas-saggio dal Rinascimento al Barocco e, in special modo, dal predominio dei modelli italiani all’elaborazione di una letteratura con caratteri specificamente nazionali, si vedano le pagine di Francisco Márquez Villanueva 2005: 23-47.

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Cervantes si trova sempre sul punto di varcare il limite, di oltre-passare la frontiera del già noto per affermare il nuovo, anche senza la consapevolezza di una lucida riflessione sulla necessità del cambiamento. È noto che egli non compose una Poetica e che il compianto e sempre ricordato Edward Riley, quando ne volle stu-diare la teoria letteraria, fece ricorso a una selezione delle pagine dei suoi testi creativi che in modo trasversale illustrano le sue ri-flessioni teoriche. Il critico inglese evidenziò la conoscenza che Cervantes aveva della letteratura contemporanea, di quella clas-sica, della Retorica e delle Poetiche e per quanto riguarda la produ-zione cavalleresca, della letteratura medievale. Altri studi sono stati fatti in seguito per cercare di completare il panorama delle co-noscenze cervantine, già abbastanza approfondito dalle analisi dei critici di posizione positivista; si è indagato, per esempio, nell’am-bito della cultura biblica o di certe letture extra-vaganti di cui si sono trovati indizi nelle sue opere, in modo che, oggi, si è in grado di tracciare la linea al di là della quale queste ultime si collocano.

Una curiosità sulla capacità di Cervantes di percepire il nuovo l’ha fornita Agustín Redondo nella sua comunicazione al XVII Congresso della AIH (Roma, 19-24 luglio 2010). Il tema trattato riguarda l’uso che lo scrittore spagnolo fa degli aforismi sulla base di un frammento del capitolo 1 del IV libro del Persiles2. Redondo ha prima illustrato, con la consueta dovizia di informazioni e rife-rimenti alle autorità deputate, la storia dell’area semantica dei testi brevi con tono sentenzioso (sentencia, adagio, refrán, apotegma, máxima, dicho ecc.) da Ippocrate a Álamos de Barrientos, che pubblica a Madrid nel 1614 il trattato Tácito español ilustrado con aforismos. In questo excursus si rileva che nella sua evoluzione la parola ‘aforismo’ era passata dalla formulazione di frasi derivate dall’esperienza storica all’indicazione di un’esperienza personale (ciò dovuto all’assetto sperimentale che sta alla base delle scienze di Ippocrate, la medicina, e di Tolomeo, l’astrologia). È questo l’uso del vocabolo che ne fa Cervantes nel Persiles, dove «[…] to-dos esos aforismos, salidos de la pluma de personas de pro, gene-ralmente, van firmados, es decir que corresponden a una experien-cia personal en la línea de la nueva orientación» (Redondo, in corso di stampa).

In questa sede non è possibile svolgere l’argomento diffusa-mente; sono costretta, pertanto, a scegliere degli esempi che pos-

2 Sugli aforismi del Persiles si veda Ruffinatto 1995 e 2004: 273-286.

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sano esemplificare l’attraversamento della soglia operato da Cer-vantes rispetto ai generi codificati o agli stereotipi contenutistici accettati dalla società del suo tempo. Non parlerò del rapporto di Cervantes con i romanzi cavallereschi, tema ampiamente trattato in un’abbondante bibliografia3, accennerò piuttosto all’incidenza de-gli altri generi nella costruzione dell’opera narrativa dell’autore del Quijote e del ruolo da questa svolto nella costituzione del romanzo moderno. Le migliaia di pagine scritte nel corso delle celebrazioni del IV Centenario della pubblicazione del volume del 1605 ren-dono il compito molto arduo. Non è pensabile conoscere tutta la bibliografia che si è raccolta negli ultimi trent’anni, cui si devono aggiungere alcuni saggi del passato, resisi imprescindibili per la migliore comprensione della letteratura critica che si è andata ac-cumulando sulla produzione cervantina.

Per quanto riguarda il teatro di Cervantes, genere che non ho mai approfondito, non posso non ricordare che recentemente è stato analizzato dai molti punti di vista teorici, emersi dal radicale rinnovamento che ha riguardato questo ambito di studi4. In gene-rale i critici sono d’accordo nel rilevare che il suo teatro non ri-spondeva pienamente alle aspettative del pubblico della seconda metà del ’500, ma, senza essere ancora lopesco, superava la norma vigente nella percezione dell’urgenza di un rinnovamento. Al di là di una consapevole e non documentata partecipazione al dibattito contemporaneo sulla precettistica relativa, la modernità delle sue idee si manifesta in una matura e flessibile accettazione del neoari-stotelismo (Cancelliere 2003: 1-13), che si risolve in una continua sperimentazione alla ricerca di nuove strade non ancora definite in una formula ripetibile (Arata 2002: 31-54).

3 Molti riferimenti si possono trovare in Grilli 2004. Mi piace ricordare an-

che lo studio di Sarmati (2004: 373-392) che approfondisce la riduzione paro-dica del topos del manoscritto ritrovato nella struttura del Quijote.

4 Senza pretesa di essere esauriente faccio fra gli altri i nomi di Jean Cana-vaggio (1977), Ignacio Arellano, Aurelio González, Jesús G. Maestro, Felipe Pedraza, Maria Grazia Profeti, di cui ricordo i vari saggi scritti su questo tema specifico e sulle questioni del teatro aureo che in qualche modo chiariscono la posizione di Cervantes.

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1. Cervantes e il romanzo pastorale Alla fine del ’500 l’impianto teorico del neoplatonismo, base

imprescindibile del romanzo pastorale, cominciava già a modifi-carsi. Guillermo Serés asserisce che «La mediación de lo doctrinal y el alejamiento o reelaboración sincrética de las fuentes básicas parecen marcar, a su vez, la transición entre los siglos XVI y XVII» (Serés 1996: 303). Ma ne La Galatea, che Cervantes pub-blica nel 1585, i cambiamenti operati dallo scrittore rispetto al mo-dello precedente vanno oltre la rielaborazione della teoria platonica avvenuta a opera dei pensatori italiani (Castiglione, Pietro Bembo, Mario Equicola) e di León Ebreo, non trascurando il dovuto conto che si deve dare anche all’influenza della mistica cristiana.

Per l’analisi del romanzo pastorale cervantino, rimane fonda-mentale lo studio di Juan Bautista Avalle-Arce (1974: 229-263)5. L’illustre studioso segnala la ripetuta presenza nell’opera di ritratti, paesaggi ed episodi di marcato realismo che si collocano accanto alle idealizzazioni poetiche di altrettanti elementi. La convivenza di piani diversi della realtà letteraria, secondo Avalle, non mira a raggiungere la coincidentia oppositorum, propria della visione ar-moniosa che l’amore platonico dovrebbe implicare: «[…] el amor adquiere aquí una complejidad conceptual que representa, no tanto una multiplicidad de teorías, sino la variedad natural del ángulo de incidencia de ese amor sobre las vías noveladas» (Avalle-Arce 1974: 238). I personaggi non rispondono agli stereotipi codificati, ma riproducono una umanità varia ed autonoma nel suo farsi, inammissibile nel mondo dei pastori che devono soltanto essere come l’autore li ha definiti e limitarsi a discutere di casi d’amore. Negli episodi inseriti, inoltre, si descrivono atti di violenza mate-riale estranei allo schema platonizzante di testi come La Diana di Montemayor e che rispondono alla libertà di costruirsi il proprio destino che Cervantes attribuisce ai suoi personaggi. Il nuovo rap-porto letteratura/vita trova un supporto narrativo di notevole effi-cacia nell’anticipazione della tecnica del prospettivismo che mette a confronto, rispetto a uno stesso episodio, punti di vista diversi allo scopo di disegnare con maggiore verisimilitudine le circo-

5 Prima edizione 1959, cap. VIII. Il commento venne riprodotto in modo più

sintetico nella “Introducción” alla sua edizione de La Galatea (19682: VII-XXXI). Avalle ricorda sempre l’utilità del volume di Francisco López Estrada (1948), che precedette il suo.

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stanze che condizionano i casi umani. Viene superata in tal modo anche la tipica opposizione della letteratura bucolica fra città e campagna, “corte y aldea”, a favore dell’obiettiva valutazione delle singole situazioni e ogni concetto-stereotipo della precedente pro-duzione pastorale viene messo in discussione e ridefinito di volta in volta.

Inoltre quella che sembrava una costruzione intricata e tortuosa rivela, ad un esame attento alle proposte narratologiche, un assetto complesso ma individuabile, proiettato verso l’obiettivo di co-struire una storia dinamica e varia, fatta di accelerazioni e sospen-sioni, di voci narranti diverse, di valutazioni etiche e metaletterarie (Bognolo 2002: 167-218). Non si vuole dire che gli accorgimenti messi in atto da Cervantes siano originali e inusitati, ma che le letture effettuate, molte e varie per genere e provenienza geogra-fica, i trattati di poetica letti o conosciuti nei dibattiti orali, le espe-rienze esistenziali già consumate siano confluiti nel primo impor-tante impegno narrativo dell’autore spagnolo. Il suo rapporto con la narrativa bucolica può in certa misura compararsi a quello con i romanzi cavallereschi, li critica ma li conosce a fondo e li nomina ripetutamente. I germi sparsi nella parte pubblicata de La Galatea saranno progressivamente sviluppati nelle opere successive, dimo-strando l’esistenza in tutta la produzione cervantina di un continuo confronto dello scrittore con i generi letterari a lui preesistenti, che legge, analizza e supera.

Cervantes non mancherà di inserire riferimenti al romanzo pa-storale in tutta la sua opera e, fino al momento in cui sta per la-sciare questa vita (“Dedicatoria” del Persiles) conferma la sua in-tenzione di pubblicare la seconda parte de La Galatea6. Dopo quest’esordio lo scrittore ritorna sul romanzo pastorale nell’epi-sodio del Quijote dell’amore di Grisóstomo per la giovane Marce-la, contestualizzandolo in un luogo abitato da veri pastori, caprai che lavorano duramente, abitano nelle capanne, mangiano cibi ru-stici, commettono errori nel parlare e non capiscono nulla dei di-scorsi e dei cerimoniali della cavalleria (Rico ed. 2004: I, 11, 130-139). L’uso della prospettiva multipla orienta lo sguardo del lettore verso il binomio vita/letteratura, questa volta rispetto a un genere

6 Anche se una stessa ricerca dei motivi bucolici sparsi nell’opera cervantina

si trova nelle pagine finali del capitolo citato dell’opera di Avalle Arce (1974: 249-263), ci tengo a precisare che seguo un percorso derivato dai miei studi precedenti.

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narrativo diverso dai romanzi cavallereschi. Marcela manifesta il suo dissenso nei riguardi della filosofia amorosa che alimentava i romanzi pastorali, negando il determinismo che «todo lo hermoso es amable», e difende la sua libertà d’amare senza per questo eccedere il limiti dell’onestà. Cervantes rende ancora più singolare il suo attacco alla letteratura bucolica mettendo questo discorso in bocca a un personaggio che per difendere la sua posizione ha scel–to un modello di vita puramente letterario7. Il genere, già debitore della rivalutazione dell’eredità classica a opera della cultura uma-nistica, nella riformulazione cervantina rivela tutta la falsità dell’ambientazione e del travestimento materiale degli attori della finzione narrativa, nonché le insidie psicologiche che un neopla-tonismo esasperato poteva implicare.

Prima della pubblicazione della Seconda parte del Quijote lo scrittore dà alla luce le Novelas ejemplares8, e approfitta per lan-ciare un’altra aggressione alla finzione dell’idillio pastorale in uno degli episodi del “Coloquio de los perros”. All’inizio del servizio con il suo secondo padrone Berganza esalta la piacevole atmosfera in cui si è venuto a trovare, fatta di silenzio, solitudine, alberi e verde. Ma, da cane istruito qual è, non può non confrontare le fati-che della vera vita dei pastori con la rappresentazione che ha ascoltato durante la lettura dei romanzi fatta da altri padroni per i quali aveva lavorato:

[...] unos libros [...] que todos trataban de pastores y pastoras, di-ciendo que se les pasaba toda la vida cantando y tañendo con gaitas, zampoñas, rabeles y chirumbelas, y con otros instrumentos extraordi-narios. Deteníame a oírla leer, y leía cómo el pastor de Anfriso can-taba estremada y divinamente, alabando a la sin par Belisarda, sin haber en todos los montes de Arcadia árbol en cuyo tronco no se hubiese sentado a cantar, desde que salía el sol en los brazos de la Aurora hasta que se ponía en los de Tetis; y aun después de haber tendido la negra noche por la faz de la tierra sus negras y escuras alas, él no cesaba de sus bien cantadas y mejor lloradas quejas. (553)

Incaricato di trovare chi faccia razzia delle pecore, Berganza

scopre che gli stessi pastori massacrano il gregge ogni notte fa-cendo credere al padrone e al cane da guardia che sono i lupi a

7 Si vedano sull’episodio le pagine di Javier Blasco come commento ai capi-toli 11-14 all’edizione Rico del Quijote, II: 41-49. Sull’episodio di Marcela e sulla ‘Fingida Arcadia’ si vedano anche Ruta 2000: 172-174 e 119-121.

8 Si segue l’edizione delle Novelas ejemplares di Jorge García López 2001.

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procurare il grave danno. Il povero cane non ha i mezzi per denun-ciare una simile violenza, materiale e morale, e totalmente disin-gannato sulla piacevolezza della vita dei campi, si limita ad abban-donare i pastori per cercare un altro padrone. Se nella condanna di Marcela lo scrittore mette a nudo la rigida schematicità dell’im-pianto neoplatonico della letteratura pastorale, nel Coloquio assesta un colpo definitivo al mito della sana e pacifica amenità dell’am-biente bucolico. A ben guardare qui Cervantes sfrutta, esaspe-randone le conseguenze, un indizio lasciato cadere già all’inizio de La Galatea: «Venía Erastro acompañado de sus mastines, fieles guardadores de las simples ovejuelas, que debajo de su amparo están seguras de los carniceros dientes de los hambrientos lobos, holgándose con ellos, y por sus nombres los llamaba, dando a cada uno el título que su condición y ánimo merecía: a quién llamaba León, a quién Gavilán, a quién Robusto, a quién Manchado»9. Se nel suo primo testo gli uccisori delle pecore sono soltanto i lupi, in seguito Cervantes si accorgerà che la violenza inserita nella sua prima narrazione aveva un fondamento ancora più lacerante e problematico, se confrontata con la cinica cattiveria di alcuni uo–mini. La progressiva immersione del modello letterario nella reale concretezza della vita quotidiana, ne modifica i tratti distintivi convenzionali contribuendo attivamente al processo di formazione del romanzo moderno.

Nel LVIII capitolo della Seconda parte del Quijote (1615) Cer-vantes colloca l’incontro del cavaliere con la finta Arcadia, dopo l’episodio dei bassorilievi con i santi a cavallo. In questo caso l’imitazione di un modello letterario si riveste esplicitamente dei canoni della rappresentazione barocca, di cui denuncia l’evidente falsità, e si pone su un piano ancora più distante dallo stile di vita praticato da Marcela o da Leandra nella Prima parte del romanzo10.

9 Avalle-Arce, ed. 1961: 21-22. Anche il modo di attribuire i nomi ai cani

secondo le loro caratteristiche e funzioni sarà ripreso nel Coloquio, confer-mando la continuità fra i riferimenti al genere pastorale sparsi nell’opera cer-vantina.

10 «En el primer Quijote ya vimos la pastoril barroca y su diferencia res-pecto a la renacentista: las gentes principales se convierten a la pastoril cuando se ven cogidas por el amor. La Arcadia del segundo Quijote es una Arcadia fingida. No es la pasión del amor la que obliga a muchachos y a muchachas a buscar el recogimiento de los prados y la soledad de las fuentes para dar forma -lirismo, reconcentración espiritual, monólogo y diálogo- a su sentimiento, sino la necesidad de desdoblarse, de encontrarse en la representación. Van a vivir la

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Le tracce di autenticità che nelle scelte dei due personaggi femmi-nili del Quijote si possono ancora scoprire, in obbedienza ai senti-menti che animano i giovani borghesi convertiti in pastori, qui sono cancellate grazie al ricorso all’autentica messa in scena di due Egloghe di Garcilaso e di Camões. Si ricordino le parole con le quali si vuole porre in rilievo lo stupore che provano il cavaliere e il suo scudiero, quando scorgono le due dame in abiti da pastorelle: «Vista fue esta que admiró a Sancho, suspendió a don Quijote, hizo parar al sol en su carrera para verlas y tuvo en maravilloso si-lencio a todos cuatro» (Rico ed. 2004: 1101). Nella Seconda parte del romanzo lo scrittore alcalaino ha preso atto della moda delle metafore iperboliche e con il paradosso del sole che ferma la sua corsa per manifestare la sua meraviglia alla vista della bellezza delle fanciulle attribuisce, non più a don Chisciotte, ma al narratore onnisciente l’uso del codice barocco.

2. Cervantes e la picaresca La coppia di cavaliere e scudiero del Quijote percorre zone di-

verse della Penisola iberica e incrocia molteplici livelli sociali. Nella raccolta di novelle del 1613 l’universo cervantino si arricchi-sce di una ancor più estesa varietà di scenari e di personaggi. La storia che offre il più ampio panorama di condizioni sociali è in-dubbiamente quella narrata nel già citato “Coloquio de los perros”, in cui la tecnica della ricerca di padroni, presa in prestito dal ro-manzo picaresco, offre allo scrittore l’occasione di esplorare me-stieri e professioni fra di loro molto diversi, dal macellaio al poeta, dal mercante al gendarme per ricordarne solo qualcuno. Alcuni di questi episodi seguono il modello picaresco anche nella rappre-sentazione di taluni ambienti e personaggi, creando un ponte con atre storie della stessa raccolta. Nell’esperienze vissute Berganza incontra Nicolás el Romo, il macellaio sivigliano senza scrupoli che controlla uno scenario di criminalità ed emarginazione, quale si dimostra essere il mattatoio, conosce le fanciulle de ‘la casa llana’11 e pratica l’alguacil e lo scrivano, suo compagno di truffe.

égloga pero sólo al representarla; la conversión, que aún veíamos en 1605, se ha transformado en ficción en 1615» (Casalduero 1966: 348-349).

11 La Colindres e la sua amica si uniscono alle prostitute messe in scena da Cervantes nel Quijote, formando nella raccolta di novelle un insieme con la Es-

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L’evidente differenza esistente fra un vero picaro e il cane parlante modifica il punto di vista da cui il narratore autobiografico osserva la società, anche se non ne può accrescere la capacità di intervento. Per dimostrare il suo dissenso Berganza non può che abbaiare, ma il suo linguaggio non viene capito e non gli rimane che abbando-nare il suo padrone, ribaltando con questo comportamento il topos della ricerca ‘de muchos amos’, caratteristica del genere parodiato.

Siviglia, città più volte rappresentata nelle Novelas ejemplares, si presta alla più efficace simbolizzazione della malavita spagnola. Divenuta, dopo la scoperta delle Americhe, luogo di attrazione per i vagabondi e gli avventurieri di tutto il paese12, dal mattatoio, abi-tato dal primo padrone di Berganza, ai bassi fondi, frequentati da Carriazo ne “La ilustre fregona”13 e da Rincón e Cortado nella no-vella dallo stesso titolo, fa da sfondo alla criminalità, chiamiamola organizzata, che viene descritta in quelle pagine con precisione di stampo costumbrista. Il popolo degli emarginati, che la letteratura picaresca ci ha abituati a riconoscere, in bocca a Carriazo appare composto da:

[...] pícaros de cocina, sucios, gordos y lucios, pobres fingidos, tulli-dos falsos, cicateruelos de Zocodover y de la plaza de Madrid, visto-sos oracioneros, esportilleros de Sevilla, mandilejos de la hampa, con toda la caterva inumerable que se encierra debajo deste nombre pí-caro! (374)

E fin qui non ci sarebbero differenze con il mondo tradizional-

mente frequentato dai picari. Ma Diego Carriazo non è nato nei bassi fondi, egli appartiene a una famiglia benestante e potente, e, come accadeva ad altri giovani del tempo, subisce il fascino del–l’estrema libertà che caratterizza la vita del picaro a fronte dei vin–

calanta e la Gananciosa, che vivono nella casa di Monipodio (“Rinconete y Cortadillo”) e doña Estefanía (“Casamiento engañoso”). ‘Las alegres mozas’ tornano ad apparire sulla scena sivigliana del primo atto della commedia “El rufián dichoso”. A Siviglia esisteva il ‘Compás de la Mancebía’, dove ruffiani e prostitute si potevano muovere senza timore di repressioni, cfr. Caballero Bonald 1991: 161-162.

12 Per i riferimenti alla Siviglia dei Secoli d’Oro rimando a José María M. Caballero Bonald (1991), Rogelio Reyes y Pedro Piñero (2005), Francisco Márquez Villanueva (2005: 129-150), Antonio Rey Hazas (2009: 189-215), e alla bibliografia indicata nei loro studi.

13Personaggio picaresco, la sguattera è anche protagonista delle opere tea-trali “La entretenida”e “La guarda cuidadosa”.

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coli che la condizione agiata impone: «Allí campea la libertad y luce el trabajo; allí van o envían muchos padres principales a buscar a sus hijos y los hallan; y tanto sienten sacarlos de aquella vida como si los llevaran a dar la muerte» (375). Il giovane nobile può coltivare il suo sogno di libertà perché fino ad allora non ha conosciuto le ristrettezze e il malessere della povertà. Il suo allon-tanamento da casa assume la connotazione di gioco, di curiosa vo-glia di conoscere il mondo, di ricerca di ‘entretenimiento’, che cerca di realizzare trasferendo in realtà un modello letterario. A conferma delle innovazioni che l’autore del Quijote apporta al ge-nere, ancora una volta ben conosciuto ma messo in discussione, aggiungiamo che Carriazo, pur adattandosi con facilità alla nuova condizione sociale, non dimentica i modi della sua buona educa-zione né tradisce gli istinti della sua indole onesta e pacifica:

[...] pero, con serle anejo a este género de vida la miseria y estre-cheza, mostraba Carriazo ser un príncipe en sus cosas. A tiro de esco-peta, en mil señales, descubría ser bien nacido, porque era generoso y bien partido con sus camaradas. Visitaba pocas veces las ermitas de Baco y aunque bebía vino, era tan poco, que nunca pudo entrar en el número de los que llaman desgraciados, que con alguna cosa que be-ban demasiada, luego se les pone el rostro como si se le hubiesen jal-begado con bermellón y almagre [...]. Pasó por todos los grados de pícaro hasta que se graduó de maestro en las almadrabas de Zahara, donde es el finibusterrae de la picaresca. (373-374)

In conclusione «[...] en Carriazo vio el mundo un pícaro vir-

tuoso, limpio, bien criado y más que medianamente discreto» (374).

Il vero ambiente della criminalità sivigliana, organizzata se-condo una rigida gerarchia, è quello di Monipodio, il capo indi-scusso al quale i due giovani Rinconete e Cortadillo, molto volen-terosi ma altrettanto sprovveduti, devono sottoporsi14. I due amici

14 «—... si son vuesas mercedes ladrones. Mas no sé para qué les pregunto

esto, pues sé ya que lo son. Mas díganme: ¿cómo no han ido a la aduana del señor Monipodio?

— ¿Págase en esta tierra almojarifazgo de ladrones, señor galán? -dijo Rin-cón.

— Si no se paga – respondió el mozo –, a lo menos regístranse ante el señor Monipodio, que es su padre, su maestro y su amparo; y así, les aconsejo que vengan conmigo a darle la obediencia, o si no, no se atrevan a hurtar sin su se-ñal, que les costará caro» (177-178).

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entrano nella confraternita e perfezionano il loro apprendistato, ma alla fine, contraddicendo la norma, abbandonano la compagnia di malfattori, che li aveva accolti al suo interno, per avviarsi verso altro tipo di attività.

Ai pochi dati segnalati in relazione ai contenuti delle novelle cervantine, sufficienti anche se non esaurienti, vanno aggiunte con-siderazioni di ordine formale che contribuiscono a corroborare le novità introdotte dal nostro autore nella narrativa picaresca. Ri-spetto alla costruzione di “Rinconete y Cortadillo” ci rendiamo conto che un narratore in terza persona all’inizio introduce i due protagonisti cui passa successivamente la parola perché si presen-tino reciprocamente. Il resto della narrazione è riferito sempre in terza persona con un evidente rallentamento dell’azione che lascia il posto piuttosto all’esplorazione del mondo della confraternita, condotta dall’occhio stupefatto dei due ragazzi, che, per altro, non commentano né criticano ciò cui assistono o agiscono. La storia non ha un vero finale, il narratore insinua il possibile recupero mo-rale dei ragazzi, ma lascia aperta ogni alternativa15. Il cambiamento di voce narrante modifica la caratterizzazione del racconto come supposta memoria autobiografica16 e per ciò stesso univoca, e dise-gna un universo messo a fuoco da punti di vista, interni ed esterni, differenziati. Ne consegue la creazione di personaggi che si distin-guono per l’assenza del pessimismo e del determinismo tipici dei protagonisti dei romanzi precedenti17.

Anche ne “La ilustre fregona” ci imbattiamo in un narratore esterno e onnisciente, che assicura di nuovo una polifonia ignorata dalle finte autobiografie e che, con la miracolosa agnizione finale, vince ogni determinismo, riportando i giovani trasgressori all’am-biente aristocratico d’origine e sotto la protezione dell’ordine co-stituito.

In quanto alla storia di Berganza, nella straordinaria situazione dei due cani che pensano e per una notte sono dotati di voce, la prima persona della voce narrante dialoga con quella di Cipión.

15 Si veda Ruta 2004: 111-138. 16 La scrittura in prima persona, lo ricordo, era stata acutamente commentata

dal galeotto Ginés de Pasamonte nel capitolo XXII della Prima parte del Quijote (Rico, ed. 2004: I, 265-266).

17 Il lettore può trovare un’informazione abbastanza dettagliata sulla rela-zione dell’opera cervantina con la tradizione picaresca nella “Nota bibliográ-fica” dell’edizione delle Novelas ejemplares curata da Jorge García López (nota 24: 789-805) e nell’articolo dello stesso studioso del 1999: 113-124.

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L’incrocio di attributi umani e animaleschi che, nel ricordo degli esempi della letteratura classica, si concretizza nel racconto cer-vantino, allontana di nuovo la struttura del “Coloquio” da quella canonica del romanzo picaresco, di cui nega anche i presupposti etici. Nella ripetuta frustrazione dei tentativi di denuncia da parte del cane del male e della corruzione cui gli tocca assistere, si deli-nea l’impossibilità di fare sentire la voce della gente onesta, quando coloro che dovrebbero difendere la correttezza e l’ordine morale sono i primi a violare la legge e a non rispettare i compiti a loro affidati. Al finale della parabola di una vita tanto varia quanto difficoltosa, Berganza e Cipión si sono rifugiati da Mahudes e collaborano alla raccolta delle elemosine in aiuto dei bisognosi, volendo espiare in tal modo gli eventuali peccati in cui sono in-corsi, malgrado la costante buonafede dei loro atteggiamenti. Ci troviamo di nuovo in presenza di un testo che per gli aspetti conte-nutistici e per quelli formali non solo modifica il modello picaresco del Guzmán de Alfarache, ma utilizza la struttura dialogata per commentarne e criticarne le caratteristiche. Se nell’opera di Mateo Alemán si assiste alla conversione del picaro, negli episodi co-struiti da Cervantes i picari sono anomali e i loro comportamenti risultano quanto meno discutibili (Márquez Villanueva 1995: 241-297). Le modalità assunte dalla picaresca convenzionale subiscono lo stesso trattamento dei modelli dei libri di cavalleria e dei ro-manzi pastorali. Le modifiche strutturali operate implicano un cambiamento della sostanza del contenuto. Nel rappresentare vizi e virtù dei suoi personaggi, non escludendo possibilità di recupero, lo scrittore denuncia il preoccupante livello del degrado morale degli abitanti del mondo criminale, ma non lo disgiunge da quello dei tutori dell’ordine e condanna, allo stesso tempo, la paternali-stica distanza da cui la nobiltà contempla lo spettacolo della vita dei meno fortunati.

3. Cervantes e il romanzo bizantino L’interesse della critica da alcuni anni ha riproposto Los

trabajos de Persiles y Sigismunda all’attenzione degli studiosi e dei lettori. Ritenuta opera della vecchiaia dello scrittore, poco or-ganizzata nella struttura, fantasiosa e reazionaria nei messaggi vei-colati, si è offerta ad analisi di insieme o di singole parti, che ne hanno scoperto gli aspetti più intrinseci e profondi, sfuggiti a let-

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ture convenzionali e preconcette. Ai modelli da sempre ritenuti di fondamentale riferimento per la redazione dell’opera, quali i ro-manzi bizantini di Eliodoro e di Achille Tazio e l’Eneide di Virgi-lio, che certamente avranno fornito i suggerimenti strutturali, si aggiungono altri testi di ordine dottrinale che avrebbero supportato i dati geografici e scientifici che Cervantes distribuì nel romanzo. Mi riferisco fra gli altri ai lavori di Olao Magno, di Antonio de Torquemada, ai trattati sulla scoperta delle Americhe, alla visione cosmogonica di Tolomeo e alla Scolastica. Ma gli studi cui accen-navo, a partire da Juan Bautista Avalle-Arce (1974: 7-27), parlano di «rovesciamento critico di modelli», di solido assetto polifonico e poliglotta, di sotterranei indizi meta-letterari, di atteggiamento iro-nico e ambiguo, di trattamento accorto del meraviglioso18. Ne de-riva la conseguenza che la ricerca è andata oltre la più convenzio-nale interpretazione allegorica del viaggio dei due protagonisti principali e delle conclusioni dei molti episodi interpolati. I molti studi più recenti si sono preoccupati di evidenziare gli elementi che distanziano il Persiles dalla tradizione bizantina e da quella spa-gnola che ne aveva proseguito le caratteristiche, e ne hanno messo in luce i percorsi innovativi.

Nell’opinione di Aldo Ruffinatto si deve pensare almeno a due modalità di lettura di questa opera: una segmentale che ci intrat-tiene con gli sviluppi delle diverse storie e con le descrizioni dei molteplici paesaggi, che vanno da quelli esotici dell’Europa del Nord a quelli più familiari di Spagna, Portogallo e Italia; e un’altra soprasegmentale, indirizzata ai lettori ‘avisados’, quelli più esperti che avrebbero potuto cogliere «i risvolti parodistici disseminati con dovizia lungo il percorso narrativo» (Ruffinatto 1996: 51). Gonzá-lez Rovira, nel suo studio sull’eredità del romanzo bizantino nella letteratura del Secolo d’Oro, dopo aver sottolineato la rottura del carattere monolitico delle narrazioni tradizionali e l’ibridismo dei nuovi generi narrativi, conclude il capitolo dedicato a Cervantes dicendo: «En síntesis, el Persiles representa la perfecta asimilación de los modelos clásicos por la cultura barroca, dotándolos de una mayor complejidad estructural, de amplitud psicológica en la re-presentación humana y de profundidad en la visión de la existencia

18 Oltre ai già citati, ricordo: Emilia I. Deffis de Calvo (1999), Aurora Egido

(1996), Isabel Lozano-Renieblas (1998), Carlos Romero (20002), Mariarosa Scaramuzza Vidoni (1998: 115-216 e 1995: 75-92), il volume Peregrinamente peregrinos (2004).

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como complicada peregrinatio vitae» (González Rovira 1996: 247). Lo sviluppo del percorso esistenziale dei personaggi del ro-manzo dal critico spagnolo viene visto come dinamica concatena-zione di cause e effetti, nel cui processo la volontà individuale, in quanto espressione del libero arbitrio, interviene a modificare i mi-steriosi disegni del destino, Fortuna o Provvidenza che dir si voglia (González Rovira 1996: 242-247).

Aurora Egido conclude una delle sue analisi del Persiles soste-nendo la demitizzazione dei valori simbolici e allegorici dei con-cetti di trabajos e peregrinatio che, riportati a parametri di terrena umanità e più realistica verosimiglianza, rappresentano tutte le dif-ficoltà, dalle più comuni alle più paradossali, che i personaggi pos-sono vincere e superare comportandosi virtuosamente (Egido 2004: 17-66). Rimanendo nell’ottica di una lettura dell’opera che tenga conto del ‘piacere del testo’ di barthesiana memoria, Agustín Redondo insiste sull’attribuzione al romanzo postumo di Cervantes della qualifica di ‘libro de entretenimiento’, che racconta paralle-lamente i destini dei personaggi, dello scrittore e del lettore (Re-dondo 2004: 67-102). L’analisi di Redondo disegna un percorso che esalta il trionfo dell’amore umano, platonicamente depurato, su quello divino. Si viene a collocare, quindi, in contrasto con la let-tura del Persiles ispirata all’ortodossia cattolica postridentina, che, invece, nel pellegrinaggio dei due innamorati a Roma vede il viag-gio verso il centro del cattolicesimo, che si afferma contro tutte le possibili derive profane19.

4. Cervantes e la società del suo tempo. La condizione della

donna Nel rapporto indissolubile che esiste fra la forma e il contenuto

di un’opera artistica all’innovazione formale dovrebbe sempre cor-rispondere l’esigenza di restituire con i segni artistici i cambia-menti percepiti nell’assetto sociale e culturale del mondo in cui l’artista vive. Nel dibattito sull’impegno civile della letteratura, te-

19 «[…] el tema de la peregrinación (en el sentido religioso del término) va a

correr a lo largo de la segunda parte, pero el lector tiene la impresión de que sigue el subterfugio para permitir el viaje, del punto de vista narrativo, y poder autorizar la variación de escenarios así como la multiplicación de relatos diver-sos dignos de admiración» (Redondo 2004: 85).

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nendo presente la distanza che separa le nostre posizioni da quelle di uno scrittore del Secolo d’Oro, vale la considerazione generale che il compito precipuo di un uomo di lettere sia quello di rappre-sentare la società del suo tempo negli aspetti che ha deciso di sele-zionare, ma non di risolverne i problemi. La finzione letteraria, tuttavia, lascia allo scrittore la scelta delle modalità con cui rac-contare le sue storie, ed ecco che la metafora e l’ironia, per esem-pio, possono andare in soccorso della creatività dell’autore per permettergli di suggerire delle soluzioni, evitando un’esplicita pre-sa di posizione.

Per quanto riguarda Cervantes, il XVII secolo iniziava il suo corso all’insegna delle profonde modifiche che le scienze stavano operando nella visione centripeta dell’universo, a fronte anche della diversificazione delle religioni che si era prodotta in Europa e nel bacino mediterraneo, e dell’allargamento dei confini nazionali ed extracontinentali che aveva fatto conoscere etnie e civiltà prima sconosciute. Gli apporti di questo rinnovamento confluivano verso l’indebolimento della prospettiva eurocentrica, cattolica e autorita-ria. Si faceva strada lentamente una visione del mondo articolata in molteplici punti di vista da cui osservare, non solo l’universo dei pianeti, ma anche la galassia umana.

La condizione della donna, rappresentata dai personaggi femmi-nili dell’opera cervantina, per esempio, grazie allo sviluppo degli studi di genere che hanno accolto nell’analisi letteraria alcuni degli stimoli provenienti dal movimento femminista, si è rivelata molto meno omogenea e sottomessa di quanto non si fosse pensato nel passato, direi, anzi, che è stata sottoposta a un radicale cambio di prospettiva. A una lettura poco approfondita le donne protagoniste dei testi cervantini, qualunque ne sia la natura, possono sembrare inquadrate in una gerarchia di poteri che le fa transitare dall’ege-monia dei genitori a quella del marito o a quella degli ordini conventuali.

Cervantes esemplifica i problemi inerenti alla condizione fem-minile in una casistica di storie che comincia ne La Galatea, passa per gli episodi interpolati nel Quijote, e si articola variamente nelle Novelas ejemplares e nel Persiles. Anche a questo proposito l’uso della prospettiva multipla consente all’autore del Quijote di rom-pere il monologismo della visione unica, espressione di una vo-lontà ordinatrice, per offrire al destinatario un ventaglio di sguardi diversificati sulle circostanze messe in scena, come accade nella vita reale e nella tecnica teatrale.

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Fra le protagoniste delle storie costruite dal Nostro diverse donne in forma più o meno consenziente si fanno sedurre dall’a-mante, fidando nella promessa dell’ufficialità dello sposalizio. Si tratta spesso di ragazze intelligenti, sufficientemente colte e auto-nome. Nella maggior parte dei casi la loro volontà di riscatto le li-bera dalla reclusione nel convento, unica soluzione in quel tempo per la donna oltraggiata o per la vedova20, e permette loro di recu-perare la dignità offesa dall’abuso subito21. Nella sua formazione sociale e religiosa Cervantes eredita la familiarità con la pratica del matrimonio clandestino, ma assiste contemporaneamente alla re-golamentazione delle modalità delle nozze voluta dal Concilio di Trento22. Tali norme miravano a evitare o limitare le situazioni ille-gali, ma nella sostanza non erano sufficienti a proteggere la donna dalle violenze maschili né a emanciparla dalla prepotente volontà dei genitori23. Cervantes, anche quando crea una situazione di ma-trimonio clandestino o di ribellione della o dei protagonisti in fa-vore della propria libertà di scelta, mostra sempre di rispettare le regole della società in cui vive, e trova il modo di concludere la sua narrazione con la regolarizzazione formale delle nozze.

Nelle Novelas ejemplares sono pochi i finali che non contem-plano la celebrazione di un matrimonio. Quando non c’è stata vio-

20 È questa la conclusione riservata alla Leonora de “El celoso extremeño”

(García López, ed. 2001: 368). 21 Riporto un commento di Mercedes Alcalá Galán sui sentimenti di Leoca-

dia in “La fuerza de la sangre”: «[...] entre los textos del período que conozco, es el único caso en el que un escritor se ocupa no sólo de intentar demostrar por todos los medios y desde todas las claves del texto la absoluta inocencia de la mujer violada sino que además intenta y consigue explorar el terror, la desola-ción, la vergüenza y la interiorización de la culpa que una mujer forzada expe-rimenta». Si veda, Alcalá Galán 2007: 78 (69-86).

22 Sugli usi e la normativa relativi al matrimonio nel Secolo d’Oro si vedano gli studi di Joseph Pérez (1985: 19-29), Jean Michel Laspéras (1987: 241-290), Martinengo (1998: 37-51) y Miguel Ángel Garrido Gallardo (2008: 157-173). Sulla condizione femminile rappresentata nel Quijote segnalo i due volumi cu-rati da Fanny Rubio, 2005 y 2007; per le Novelas ejemplares si veda, oltre a Alcalá Galán, e Sears 1993, Ruta 2010: 263-278.

23 Un esempio in cui la volontà dei giovani innamorati si impone su quella dei genitori è dato nell’episodio de “Las bodas de Camacho” (Quijote, II, XXII: 880-882). Qui i ragionamenti del cavaliere sembrano in apparenza con-traddittori, ma a ben guardare il narratore costruisce un contraddittorio che op-pone lucidamente le ragioni degli uni a quelle degli altri.

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lenza 24, gli ostacoli si concretizzano nelle differenze sociali; per risolvere il problema dell’apparente disuguaglianza di rango dei due promessi sposi, allora, lo scrittore fa ricorso all’agnizione fi-nale, che gli consente di rispettare le esigenze della narrazione e le aspettative del pubblico, generalmente propenso a consolarsi con il finale felice. Come insegnano le conclusioni de “La gitanilla” e de “La ilustre fregona”, in questi casi Cervantes segnala con elegante ironia l’assurdità delle situazioni più romanzesche e fa compiere alla letteratura il miracolo che sembrerebbe di improbabile realiz-zazione nel quotidiano, lasciandoci nel dubbio se sia più inverosi-mile la realtà o la letteratura25.

Va ricordato, a questo proposito, che la conclusione con il matrimo-nio, si presentava, inoltre, come elemento innovativo rispetto alla no-vella italiana, in cui gli adulteri e gli amori illeciti complicano lo svi-luppo dell’intreccio e conferiscono ad esso il tono della beffa, impie-tosamente burlesca verso la povera vittima.

Le poche considerazioni fatte su questo tema suggeriscono come Cervantes, attraverso la costruzione dell’intreccio e le nume-rose intrusioni d’autore, sapientemente diffuse in tutta la sua opera, riveli il suo atteggiamento critico nei riguardi del codice sociale e morale del suo tempo26. Egli attribuisce alla donna capacità intel-lettuali e decisionali molto vicine a quelle dell’uomo e anche per la condizione femminile rivendica quella libertà di scelta che è am-piamente dichiarata e motivata in molti passi dei suoi testi.

In conclusione, è evidente che l’innovazione formale riguarda

tutti i generi letterari che Cervantes affronta, fin dai primi testi che scrive. A tutto si interessa e tutto gli serve in una costante declina-zione dell’esperienza letteraria e di quella esistenziale. Il risultato finale ci dimostra che la continua reinvenzione dei generi coincide con la necessità di restituire nella scrittura i profondi cambiamenti che nel XVI secolo si stavano attuando nelle scienze e nella filoso-fia in un mondo che stava assistendo alla sconvolgente modifica del suo assetto tradizionale. Anche se rivestita di possibili signifi-cati simbolici e allegorici, la sua opera ci svela un Cervantes acuto

24 Ricordo le situazioni delle protagoniste di “La fuerza de la sangre”, “Las

dos doncellas”, “La señora Cornelia” (Ruta 2010). 25 Rinvio a Ruta 2004. 26 Chul 2007: 47-58.

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