Marco Massoni Tendenze nell'impiego dell'EU Emergency ......Fund Africa: rapporto con i fondi...

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CENTRO ALTI STUDI PER LA DIFESA CENTRO MILITARE DI STUDI STRATEGICI Marco Massoni Tendenze nell'impiego dell'EU Emergency Trust- Fund Africa: rapporto con i fondi europei per lo sviluppo, aspetti securitari e condotta dei Paesi di transito (Codice AO-CC-02)

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CENTRO ALTI STUDI

PER LA DIFESA

CENTRO MILITARE

DI STUDI STRATEGICI

Marco Massoni

Tendenze nell'impiego dell'EU Emergency Trust-

Fund Africa: rapporto con i fondi europei per lo

sviluppo, aspetti securitari e condotta dei Paesi

di transito

(Codice AO-CC-02)

Il Centro Militare di Studi Strategici (Ce.Mi.S.S.), costituito nel 1987 e situato presso Palazzo

Salviati a Roma, è diretto da un Generale di Divisione (Direttore), o Ufficiale di grado

equivalente, ed è strutturato su due Dipartimenti (Monitoraggio Strategico - Ricerche) ed un

Ufficio Relazioni Esterne. Le attività sono regolate dal Decreto del Ministro della Difesa del

21 dicembre 2012.

Il Ce.Mi.S.S. svolge attività di studio e ricerca a carattere strategico-politico-militare, per le

esigenze del Ministero della Difesa, contribuendo allo sviluppo della cultura e della

conoscenza, a favore della collettività nazionale.

Le attività condotte dal Ce.Mi.S.S. sono dirette allo studio di fenomeni di natura politica,

economica, sociale, culturale, militare e dell'effetto dell'introduzione di nuove tecnologie,

ovvero dei fenomeni che determinano apprezzabili cambiamenti dello scenario di sicurezza.

Il livello di analisi è prioritariamente quello strategico.

Per lo svolgimento delle attività di studio e ricerca, il Ce.Mi.S.S. impegna:

a) di personale militare e civile del Ministero della Difesa, in possesso di idonea esperienza

e qualifica professionale, all'uopo assegnato al Centro, anche mediante distacchi

temporanei, sulla base di quanto disposto annualmente dal Capo di Stato Maggiore dalla

Difesa, d'intesa con il Segretario Generale della difesa/Direttore Nazionale degli

Armamenti per l'impiego del personale civile;

b) collaboratori non appartenenti all'amministrazione pubblica, (selezionati in conformità alle

vigenti disposizioni fra gli esperti di comprovata specializzazione).

Per lo sviluppo della cultura e della conoscenza di temi di interesse della Difesa, il

Ce.Mi.S.S. instaura collaborazioni con le Università, gli istituti o Centri di Ricerca, italiani

o esteri e rende pubblici gli studi di maggiore interesse.

Il Ministro della Difesa, sentiti il Capo di Stato Maggiore dalla Difesa, d'intesa con il

Segretario Generale della difesa/Direttore Nazionale degli Armamenti, per gli argomenti di

rispettivo interesse, emana le direttive in merito alle attività di ricerca strategica, stabilendo

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definendo i temi di studio da assegnare al Ce.Mi.S.S..

I ricercatori sono lasciati completamente liberi di esprimere il proprio pensiero sugli

argomenti trattati, il contenuto degli studi pubblicati riflette esclusivamente il pensiero dei

singoli autori, e non quello del Ministero della Difesa né delle eventuali Istituzioni militari e/o

civili alle quali i Ricercatori stessi appartengono.

(Codice AO-CC-02)

CENTRO ALTI STUDI

PER LA DIFESA

CENTRO MILITARE

DI STUDI STRATEGICI

Marco Massoni

Tendenze nell'impiego dell'EU Emergency Trust-

Fund Africa: rapporto con i fondi europei per lo

sviluppo, aspetti securitari e condotta dei Paesi

di transito

Tendenze nell'impiego dell'EU Emergency Trust-Fund Africa:

rapporto con i fondi europei per lo sviluppo, aspetti securitari

e condotta dei Paesi di transito

NOTA DI SALVAGUARDIA

Quanto contenuto in questo volume riflette esclusivamente il pensiero dell’autore, e non

quello del Ministero della Difesa né delle eventuali Istituzioni militari e/o civili alle quali

l’autore stesso appartiene.

NOTE

Le analisi sono sviluppate utilizzando informazioni disponibili su fonti aperte.

Questo volume è stato curato dal Centro Militare di Studi Strategici

Direttore f.f.

Col. AAran Pil. Marco Francesco D’ASTA

Vice Direttore - Capo Dipartimento Monitoraggio Strategico Col. AAran Pil. Marco Francesco D’ASTA

Progetto grafico

Massimo Bilotta - Roberto Bagnato

Autore

Marco Massoni

Stampato dalla tipografia del Centro Alti Studi per la Difesa

Centro Militare di Studi Strategici

Dipartimento Relazioni Internazionali

Palazzo Salviati

Piazza della Rovere, 83 - 00165 – Roma

tel. 06 4691 3205 - fax 06 6879779

e-mail [email protected]

chiusa a novembre 2019

ISBN 978-88-31203-35-7

5

INDICE

Il Fondo Fiduciario dell’Unione Europea per l’Africa (EU Trust Fund for Africa) 6

Il Vertice della Valletta sulle Migrazioni 8

I Fondi Fiduciari dell’Unione Europea 11

Struttura e funzionamento degli EUTF 12

Finanziamenti dell’EUTF 15

Africa-Europa: il Programma Panafricano e l’Alleanza per il Sahel 20

Valutazioni del Parlamento Europeo e Corte dei Conti Europa sull’EUTF 23

Rimesse della Diaspora africana 28

L’Agenda Europea sulla Migrazione 31

Migrazioni e mobilità umana: il binomio Pace & Sicurezza e i Processi di Rabat e di Khartoum

35

Il Sahel 38

Programmi EUTF nella Finestra Sahel e Regione del Lago Ciad e Fondo Africa italiano. 47

EUTF: aspetti innovativi e criticità intrinseche. 55

Raccomandazioni e conclusioni 62

BIBLIOGRAFIA 66

NOTA SUL Ce.Mi.S.S. e NOTA SULL’AUTORE 70

6

Il Fondo Fiduciario dell’Unione Europea per l’Africa (EU Trust Fund for

Africa)

Il Fondo fiduciario di emergenza dell’Unione Europea per la stabilità e la lotta contro le

cause profonde della migrazione irregolare e del fenomeno degli sfollati in Africa (Fondo

fiduciario dell’UE per l’Africa) – European Union Emergency Trust Fund (EUTF)1 – è stato

istituito in occasione del Vertice sulla migrazione2, tenutosi a La Valletta (Malta) l’11 e il 12

novembre 2015, dai partner europei e africani.

L’obiettivo principale del Fondo e di aiutare a promuovere la stabilità nelle regioni

africane interessate e contribuire a una migliore gestione della migrazione, nel tentativo di

affrontare le cause profonde della destabilizzazione, dei trasferimenti forzati e della

migrazione irregolare, promuovendo la resilienza3, le prospettive economiche, le pari

opportunità, la sicurezza e lo sviluppo.

Le risorse per l’EUTF non sono dirottate dalla cooperazione all’immigrazione secondo

gli Stati membri dell’UE contributori del Fondo, poiché sostengono a ragione che non vi

possa essere sviluppo, senza aver creato prima le condizioni di possibilità ossia la

stabilizzazione delle regioni in oggetto.

Il Fondo si propone dunque di affrontare le cause profonde della migrazione irregolare

e degli sfollati nei Paesi di origine, di transito e di destinazione, attraverso cinque ambiti

prioritari: 1) i vantaggi della migrazione in termini di sviluppo; 2) la migrazione regolare e la

mobilità; 3) la protezione e l’asilo; 4) la prevenzione e la lotta contro la migrazione irregolare;

5) il rimpatrio, la riammissione e il reinserimento.

Il Fondo mette in comune le risorse provenienti da vari donatori, allo scopo di

consentire una risposta rapida, flessibile, complementare, trasparente e comune dell’UE,

perché posta di fronte a una situazione di emergenza, che non potrebbe essere affrontata

altrimenti ovvero con gli strumenti tradizionali della cooperazione allo sviluppo, dei quali sia

l’UE nel suo insieme sia i suoi singoli Stati membri si avvalgono tradizionalmente e

continuano a farlo.

1 Cfr. https://ec.europa.eu/trustfundforafrica/content/homepage_en e https://ec.europa.eu/europeaid/eu-emergency-trust-fund-africa-factsheet_en

2 Cfr. The European Union Emergency Trust Fund for Stability and Addressing Root Causes of Irregular Migration and Displaced Persons In Africa. Strategic Orientation Document. https://ec.europa.eu/trustfundforafrica/sites/euetfa/files/strategic_orientation_document-en_0.pdf

3 La resilienza è la capacità di un individuo, di una famiglia, di una comunità, di un Paese o di una regione di resistere, adattarsi e riprendersi rapidamente da uno stress o da uno shock. Resilienza significa essere in grado di resistere a lungo, senza rompersi, cosicché per estensione è divenuta sinonimo della capacità di un essere umano o di gruppi umani di sapersi adattare ad un ambiente ostile, senza soccombervi, grazie allo sviluppo di opportune strategie di sopravvivenza e di resistenza ambientale.

7

Inizialmente l’EUTF era stato concepito solo come uno strumento per l’aiuto umanitario

rivolto ai Paesi del Sahel e alla Regione del Lago Ciad, per poi essere ampliato il massimo

possibile, cioè a ben 26 Stati beneficiari, a causa della concomitante centralità delle

migrazioni nell’agenda europea.

L’EUTF assiste oggi tali Paesi in tre regioni o finestre africane (Corno d’Africa; Sahel

e Regione del Lago Ciad; Nord Africa)4, zone che comprendono alcuni dei Paesi africani più

fragili, dove illegalità, corruzione e povertà dilagano. Là dove l’instabilità e l’insicurezza fisica

sono cause apprezzabili degli spostamenti coatti, è necessario un approccio attento alle

situazioni di conflitto per l’attuazione dei propositi del Fondo, che abbia come priorità la

prevenzione dei conflitti, il buon governo e la promozione dello Stato di diritto.

Il Fondo finanzia attività nei seguenti 26 Paesi distinti in tre macro-regione definite

finestre:

1. Sahel e Regione del Lago Ciad: Burkina Faso, Camerun, Ciad, Gambia, Ghana, Guinea

Bissau, Guinea, Mali, Mauritania, Niger, Nigeria e Senegal;

2. Corno d’Africa: Gibuti, Eritrea, Etiopia, Kenya, Somalia, Sud Sudan, Sudan, Tanzania e

Uganda;

3. Africa Settentrionale: Algeria, Egitto, Libia, Marocco, Tunisia.

4 I Paesi africani confinanti con quelli appartenenti alle tre finestre possono beneficiare, caso per caso, di progetti a dimensione regionale.

8

Il Vertice della Valletta sulle Migrazioni

Il Vertice della Valletta sulle Migrazioni, svoltosi a Malta in data 11-12 novembre 2015,

ha dato vita al Fondo Fiduciario Europeo d’Emergenza per l’Africa (Emergency Trust Fund

for Africa – EUTF). Erano presenti delegati della Commissione dell’Unione Africana (AUC),

della Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (CEDEAO-ECOWAS),

dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (ACNUR) e dell’Organizzazione

Internazionale per le Migrazioni (OIM). Scopo del Vertice è stato quello di tradurre in pratica

gli impegni politici presi dai leader europei per quanto riguarda la sicurezza, la resilienza

nonché le opportunità economiche e lo sviluppo fra Africa ed Europa.

Il dibattito tra i partecipanti si è soffermato su cinque aree tematiche: le cause profonde

delle migrazioni; la promozione di canali legali per le migrazioni; la protezione dei migranti

e dei richiedenti asilo, in particolare dei loro gruppi vulnerabili, come donne e minori non

accompagnati; il contrasto effettivo dello sfruttamento e del traffico di chi migra; infine

l’ottimizzazione delle procedure per i rientri e per le riammissioni. Sebbene l’Unione Europea

e l’Unione Africana5 abbiano presentato distinte letture del fenomeno migratorio africano, in

funzione delle rispettive reali priorità e agende politiche, è tuttavia stato accettato da ambo

le parti il principio guida per cui le migrazioni, siano esse intese come sfide sia come

opportunità, devono diventare una responsabilità condivisa. Infatti nella Dichiarazione

Politica6 del Vertice della Valletta sulle Migrazioni si afferma che, in ragione dell’elevato

livello di reciproca interdipendenza fra Europa e Africa, occorre adoperarsi, per

salvaguardare e proteggere i migranti durante tutte le fasi delle loro rotte migratorie.

Nello specifico il Presidente del Consiglio dell’UE, Donald Tusk, ha fatto riferimento ad

alcune azioni concrete che sono state avviate tanto nei Paesi d’origine quanto in quelli di

transito, al raddoppio del numero di borse di studio, destinate a studenti e ricercatori africani

per mezzo del Programma Erasmus +, così da promuovere la mobilità accademica tra Africa

ed Europa e all’istituzione di programmi regionali per la protezione e per lo sviluppo da

attuarsi in Africa. L’iniziativa principale del Vertice della Valletta consiste nel nuovo Fondo –

dotato di 1,8 miliardi di euro, resi disponibili dai bilanci dei singoli Stati membri dell’Unione,

5 Se l’approccio europeo al fenomeno migratorio proveniente dall’Africa non tiene per nulla conto delle migrazioni interne al Continente africano (migrazione interregionale), e vede il fenomeno come un attentato alla propria identità culturale, è pur vero che i Governi africani non reputano le migrazioni una priorità, cui dedicare la medesima attenzione pretesa dalle cancellerie europee.

6 Valletta Summit, 11-12 November 2015, Political Declaration: https://www.consilium.europa.eu/media/21841/political_decl_en.pdf

9

dal Fondo Europeo di Sviluppo (FES)7 oltre che dai contributi di altri donatori, come la

Norvegia e la Svizzera.

Più dettagliatamente il Piano d’Azione Congiunto (Joint Valletta Action Plan – JVAP)8

del Vertice della Valletta è stato costruito su cinque ambiti essenziali e strutturati su sedici

iniziative prioritarie, fra cui i benefici apportati dalle migrazioni, le conseguenze degli

allontanamenti coatti e l’opportunità di investire nello sviluppo e nello sradicamento della

povertà, l’utilità di predisporre mezzi più rapidi ed efficaci per il trasferimento delle rimesse.

Ne discende l’opportunità di promuovere il coinvolgimento fattivo della diaspora anche nei

Paesi d’origine attraverso l’Istituto Africano per le Rimesse9; contemporaneamente resta

vitale confrontarsi con le conseguenze dell’instabilità e delle crisi, fino a prevenire i nuovi

conflitti o arrestarli in tempo sotto forma di diplomazia preventiva.

Il JVAP, che viene attuato attraverso processi regionali, è strutturato su cinque pilastri:

vantaggi per lo sviluppo derivanti dalla migrazione e gestione delle cause profonde della

migrazione irregolare e degli sfollamenti forzati; migrazione legale e mobilità; protezione e

asilo; prevenzione e lotta contro la migrazione irregolare, il traffico di migranti e la tratta di

esseri umani; ritorno, riammissione e reintegrazione. Il JVAP è monitorato e ampiamente

implementato attraverso i Processi di Rabat e di Khartoum10, riunendo i Paesi di origine,

transito e destinazione della migrazione lungo le rotte migratorie dall’Africa all’Europa. Oltre

all’impatto positivo sul potenziale di sviluppo complessivo nei Paesi africani, il JVAP ha

anche contribuito a progressi positivi in una serie di Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (OSS)11,

ad esempio l’OSS n°1- riduzione della povertà; l’OSS n°4 - educazione alla qualità; l’OSS

n°6 - Acqua pulita e servizi igienico-sanitari; l’OSS n°7 - energie rinnovabili; l’OSS n°8 -

occupazione e crescita; l’OSS n°9 - innovazione.

Quanto al concetto di gestione del fenomeno migratorio, ribadito a più riprese dalle

iniziative europee in oggetto, il nuovo Consenso Europeo per lo Sviluppo12 riconosce il

7 Vedi Infra. 8 Valletta Summit, 11-12 November 2015, Piano d’Azione.

https://www.consilium.europa.eu/media/21839/action_plan_en.pdf 9 Vedi infra. 10 Vedi infra. 11 Vedi Infra. 12 Nel 2017 l’UE ha adottato il nuovo Consenso Europeo per lo Sviluppo nel quale si propone un quadro comune per la

cooperazione allo sviluppo dell’UE e dei suoi Stati membri, in linea con l’Agenda 2030. Il consenso europeo sullo sviluppo continua a costituire il quadro dottrinale della politica di sviluppo dell’UE; considerando che nella nuova agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile la pace e stata riconosciuta come una componente essenziale per lo sviluppo e che e stato introdotto l’OSS n° 16 riguardante la pace e la giustizia; considerando che l’UE e i suoi partner nel settore umanitario devono poter garantire assistenza e protezione in base alle esigenze e al rispetto dei principi di neutralità, imparzialità, umanità e indipendenza dell’azione umanitaria, sanciti dal diritto internazionale, in particolare dal diritto internazionale umanitario. Il nuovo consenso europeo per lo sviluppo, volto ad aggiornare il consenso europeo per lo sviluppo del 2005, definisce un quadro comune di azioni per tutte le Istituzioni e gli Stati membri dell’UE per quanto riguarda la politica in materia di sviluppo e con particolare riferimento ai temi di natura trasversale, come l’uguaglianza di genere, i giovani, l’energia sostenibile e l’azione per il clima, gli investimenti, la migrazione e la mobilità. Pur

10

contributo positivo della “migrazione ben gestita”13 alla crescita inclusiva e allo sviluppo

sostenibile, pur riconoscendo le gravi sfide poste in particolare dalla migrazione irregolare

e dagli sfollamenti forzati. La cooperazione allo sviluppo dell’UE svolge un ruolo chiave, per

affrontare la migrazione, nel pieno rispetto degli obiettivi e dei principi di sviluppo. Il lavoro

della Commissione si concentra sul questi aspetti prioritari: 1) affrontare i fattori trainanti / le

cause profonde della migrazione irregolare; 2) migliorare le capacità dei partner per

migliorare la migrazione e la gestione dei rifugiati; 3) massimizzare l’impatto sullo sviluppo

della migrazione.

ribadendo che i Governi nazionali sono i principali responsabili dell’attuazione dell’Agenda 2030, il consenso europeo per lo sviluppo sottolinea in particolare la necessità di: intensificare la programmazione congiunta dell’UE e degli Stati membri in materia di sviluppo al fine di aumentarne l’impatto complessivo; un maggiore ricorso ad una strategia di risposta unica dell’UE, e, se del caso, di programmi comuni in grado di garantire un maggior impatto; concentrare la cooperazione finanziaria dell’UE dove ce n’e più bisogno e dove può avere un maggiore impatto; ribadire l’impegno dell’UE e dei suoi Stati membri per una maggiore coerenza complessiva delle politiche per lo sviluppo sostenibile; garantire un coinvolgimento attivo delle autorità locali, ai fini dell’effettivo conseguimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile; approfondire i partenariati dell’UE e degli Stati membri con le organizzazioni della società civile. Cfr. Commissione Europea, Nuovo Consenso Europeo per lo Sviluppo, 2017. https://ec.europa.eu/europeaid/sites/devco/files/european-consensus-on-development-final-20170626_en.pdf

13 Il sintagma “gestione della migrazione” fu introdotto diversi decenni fa in risposta all’aumento del numero di rifugiati e alle deboli risposte di molte Nazioni ai flussi migratori. Inizialmente era intesa come la capacità dello Stato di canalizzare e modellare il processo migratorio, sviluppando e implementando strategie per i migranti e per i rifugiati focalizzate esclusivamente nei Paesi di destinazione, mentre solo più recentemente ha cominciato a tenere conto dei Paesi di origine e anche di quelli di transito. Inoltre la gestione della migrazione comprende anche lo sviluppo delle capacità e la formazione del personale di sicurezza (polizia e guardie di frontiera), lo scambio di dati e programmi di migrazione per il rimpatrio volontario dai Paesi di transito. Questo è anche il contesto in cui sono finanziate le riforme per migliorare la cooperazione in materia di riammissione e reinserimento dei migranti irregolari, nonché la creazione e il potenziamento di sistemi di identificazione e campagne di informazione sui pericoli intrinseci in ogni percorso migratorio irregolare.

11

I Fondi Fiduciari dell’Unione Europea

I fondi fiduciari dell’UE (EUTF) sono una recente componente aggiuntiva degli

strumenti di azione esterna dell’UE, che risponde all’esigenza di maggiore flessibilità,

completezza ed efficacia e di aumentare la visibilità e il peso politico dell’UE, in particolare

in contesti complessi e volatili.

Finora l’UE e stata estremamente rapida nell’istituzione di fondi fiduciari. Attualmente

conta quattro EUTF: il Fondo Fiduciario Bêkou dell’UE per la Repubblica Centrafricana14,

istituito a luglio 2014; il Fondo Fiduciario Regionale dell’UE per la Siria (Fondo Madad),

istituito nel dicembre 2014; il Fondo fiduciario di emergenza dell’UE per l’Africa del 2015 e

infine il Fondo Fiduciario per la Colombia15 del 2016.

I fondi fiduciari per lo sviluppo sono strumenti di aiuto che fanno convergere rilevanti

flussi finanziari da fonti eterogenee. Un fondo fiduciario può essere rivolto ad uno Stato,

oppure essere regionale o globale o ancora rispondere a diverse priorità tematiche

trasversali. I fondi fiduciari sono regolati da un accordo giuridico specifico tra i donatori, che

specifica le procedure di gestione e controllo, i requisiti di rendicontazione finanziaria e

operativa oltre alle priorità di spesa. I fondi fiduciari multi-donatori vengono adoperati

sempre più spesso da un ventennio a questa parte come metodo acclarato per la fornitura

di aiuti in risposte internazionali coordinate in ambienti fragili e postbellici e in situazioni di

emergenza complesse.

La creazione di un fondo fiduciario, con una durata temporale limitata ma prorogabile,

deve soddisfare quattro condizioni: provenire da un’iniziativa congiunta tra la Commissione

Europea (CE), in cooperazione con il Servizio Europeo per l’Azione Esterna (SEAE) e

almeno uno Stato membro dell’UE, in qualità di socio fondatore; apportare valore aggiunto

agli interventi dell’UE esistenti; contribuire ad aumentare la visibilità globale e il peso politico

dell’UE; non duplicare i fondi di altri donatori.

14 Cfr. https://ec.europa.eu/europeaid/countries/central-african-republic/eu-bekou-trust-fund_en e https://ec.europa.eu/europeaid/bekou-trust-fund-introduction_en

15 Cfr. https://ec.europa.eu/europeaid/eu-trust-fund-colombia_en

12

Struttura e funzionamento degli EUTF

Notoriamente i Fondi Fiduciari dell’Unione Europea, istituiti per uno scopo di sviluppo

specifico con contributi finanziari di uno o più donatori, sono generalmente gestiti da

un’organizzazione internazionale. Sin dagli anni ‘90 sono sempre più utilizzati come mezzo

di finanziamento per la cooperazione internazionale e spesso ideati in risposta a crisi come

calamità naturali o conflitti. Il problema è che gli EUTF arrivano in un panorama già affollato

di strumenti finanziari, attori e priorità.

Ciascuno degli EUTF ha una propria struttura specifica e logiche di funzionamento,

che sono correlate al contesto in cui sono stabilite. In concreto un EUTF implica un fiduciario

(la Commissione), i contributi dei donatori (compresa la stessa UE, gli Stati membri e talvolta

i Paesi terzi) e i suoi beneficiari.

L’accordo costitutivo per l’istituzione di un EUTF tra la Commissione e i donatori, in cui

sono stabiliti gli organi di governance e gestione, non può essere qualificato come un

accordo internazionale ai sensi del diritto dell’UE, in quanto non e concluso con un Paese

terzo e, pertanto, non è richiesto il consenso del Parlamento Europeo. Difatti in ragione della

natura extra-budgetaria del FES, la decisione di istituire l’EUTF per l’Africa non ha

comportato il controllo del Parlamento Europeo.

La gestione del Fondo fiduciario è assicurata dalla Commissione, che è responsabile

dell’attuazione delle azioni finanziate dal Fondo e delega i compiti di gestione ai membri del

suo personale.

Tutti gli EUTF sono articolati secondo una struttura di governance a due livelli: il

Consiglio di Amministrazione e il Comitato Operativo.

Il Consiglio di Amministrazione del Fondo fiduciario (Trust Fund Board)16 fornisce linee

guida strategiche. Esso è presieduto dalla Commissione Europea e assistito dal servizio

europeo per l’azione esterna e da altri servizi della Commissione. È composto dalla

Commissione e dai rappresentanti dei donatori che hanno contribuito con almeno 3 milioni

di euro. I donatori che non abbiano fornito il contributo minimo possono partecipare in qualità

di osservatori. Ove pertinente, anche i rappresentanti dei Paesi interessati e le loro

16 La Direzione Generale della Cooperazione e Sviluppo Internazionale (DG DEVCO) della Commissione Europea è responsabile dell’elaborazione della politica internazionale europea di cooperazione e sviluppo e della fornitura di aiuti in tutto il mondo. Il Direttore Generale della Direzione Generale per la Cooperazione Internazionale e dello Sviluppo rappresenta la Commissione nel consiglio del Fondo fiduciario e designa uno o più rappresentanti supplenti a livello di vicedirettore generale di DEVCO e designa il rappresentante della Commissione e uno o più rappresentanti supplenti nel comitato operativo almeno a livello di direttore o capo delegazione. La DG DEVCO è responsabile della politica di cooperazione allo sviluppo in un quadro più ampio di cooperazione internazionale. DEVCO è responsabile della formulazione della politica di sviluppo e delle politiche tematiche dell’Unione Europea, al fine di ridurre la povertà nel mondo, garantire uno sviluppo economico, sociale e ambientale sostenibile e promuovere la democrazia, lo stato di diritto, il buon governo e il rispetto dei diritti umani, in particolare mediante aiuti esterni.

13

organizzazioni regionali possono essere invitati come osservatori. Infatti ai rappresentanti

dei Paesi partner africani viene concesso lo status di osservatore. Nell’EUTF per l’Africa,

sebbene non abbia uno status di osservatore formale ai sensi degli accordi costitutivi, il

Parlamento Europeo ha ottenuto uno status di osservatore dal 2017.

Il Comitato Operativo17 esamina, approva e stabilisce le azioni da finanziare, senza

che vi possa partecipare il Parlamento Europeo. Esso è composto da rappresentanti della

Commissione, dal SEAE, da rappresentanti degli Stati membri dell’UE e di Paesi terzi,

nonché da rappresentanti dei Paesi partner africani e delle organizzazioni regionali.

In generale il Parlamento Europeo può garantire un basso livello di controllo ex ante

sugli EUTF, solo adottando una risoluzione non vincolante contro la Commissione (ultra-

vires), la quale comunque non può esigere alcuna modifica degli obiettivi di un EUTF.

Invece, ex post il Parlamento Europeo può chiedere la sospensione di un EUTF.

Quanto alla selezione effettiva dei progetti, i membri sia del Consiglio di

Amministrazione del Fondo sia del Comitato Operativo hanno diritto di voto, mentre la

commissione ha diritto di veto. Si badi che però non è questa la sede delle vere decisioni,

poiché queste sono prese in anticipo attraverso una serie di colloqui informali e incontri con

il Paese o l’organizzazione regionale interessati.

Un ruolo chiave e svolto dalle Delegazioni dell’UE nei Paesi terzi coinvolti, poiché

rappresentano il principale punto di ingresso per la presentazione di proposte progettuali da

parte degli Stati membri partecipanti e delle loro agenzie.

L’attuazione dei progetti EUTF, come per altri strumenti di finanziamento esterni

dell’UE, può essere effettuata senza gara pubblica, come nel caso degli accordi di

Cooperazione Delegata, ossia una precipua forma di gestione indiretta dei fondi europei18.

17 L’accordo costitutivo stabilisce un Consiglio di Amministrazione del Fondo fiduciario presieduto dalla Commissione, per garantire la rappresentanza dei donatori e degli Stati membri dell’UE che non contribuiscono in qualità di osservatori, per decidere la strategia generale del Fondo fiduciario; un Comitato Operativo, presieduto dalla Commissione e in rappresentanza dei donatori con un contributo minimo, per decidere sulla destinazione dei fondi alle singole azioni.

18 La Cooperazione Delegata è una modalità operativa che prevede la gestione di fondi da parte di un donatore per conto di altri donatori, per realizzare progetti di cooperazione d’interesse comune. Con l’espressione “cooperazione delegata” si indica nel quadro del “Codice di condotta dell’UE sulla divisione del lavoro nell’ambito della politica di sviluppo” una modalità di gestione che consente alla Commissione europea di delegare fondi ad uno Stato membro per l’esecuzione di programmi di cooperazione a seguito della firma di appositi “accordi di delega” e, a loro volta, agli Stati membri di trasferire risorse alla Commissione stessa attraverso la firma di “accordi di trasferimento”, il tutto al fine di favorire una maggiore concentrazione ed efficacia degli aiuti in quei Paesi partner e settori nei quali più evidente è il valore aggiunto di un donatore specifico, in un’ottica di reciprocità e massimizzazione dell’efficacia dell’aiuto. Dal 2012 ad oggi la cooperazione delegata si è consolidata fino a rappresentare un elemento imprescindibile della cooperazione italiana. L’Italia si e attestata tra i primi quattro Stati membri esecutori della cooperazione UE, con evidenti ritorni positivi per i l sistema italiano di cooperazione allo sviluppo nel suo complesso, in termini sia di volumi di risorse disponibili per interventi di cooperazione sia di visibilità politica.

14

Il Parlamento Europeo critica questa pratica, che è anche ampiamente utilizzata in altri

strumenti di finanziamento, e chiede che i progetti dell’EUTF siano aperti e che tutti gli

implementing partner siano trattati allo stesso modo.

L’EUTF per l’Africa opera in regime di complementarità con i quadri nazionali e

regionali esistenti, con altri strumenti dell’UE, con la cooperazione bilaterale degli Stati

membri e con altri partner di sviluppo. Ebbene la gran parte dei fondi erogati attraverso gli

implementing partner nazionali provoca gravi ritardi nell’attuazione nei progetti, poiché

alcuni di essi non dispongono ancora di capacità adeguate, oppure devono ancora stabilire

strutture operative nei Paesi partner. Si lamenta in ultimo che il coinvolgimento delle ONG

africane nell’implementazione dei progetti EUTF sia irrilevante.

15

Finanziamenti dell’EUTF

La struttura del Fondo fiduciario consente alla Commissione di rispondere rapidamente

e in modo flessibile ai flussi migratori in rapida evoluzione, riunendo per la prima volta,

sebbene in modo ambivalente, finanziamenti e indicazioni provenienti da differenti Direzioni

Generali della Commissione Europea, segnatamente: relazioni esterne, affari interni,

cooperazione allo sviluppo, aiuti umanitari e politica di vicinato.

Il contributo dell’UE al Fondo fiduciario riunisce i finanziamenti della riserva dello XI

FES con risorse provenienti dai Programmi Indicativi Regionali (Regional Indicative

Programme – RIP) per l’Africa Occidentale, Centrale e Orientale e dai Programmi Indicativi

Nazionali (National Indicative Programme – NIP) per il Corno d’Africa. Ulteriori finanziamenti

provengono da altri strumenti finanziari, come lo Strumento di Cooperazione allo Sviluppo

(Development Cooperation Instrument – DCI)19, la Direzione Generale della Politica di

Vicinato (DG NEAR) e lo Strumento Europeo di Vicinato (European Neighbourhood

Instrument – ENI)20 nonché dalla Direzione Generale per gli Aiuti Umanitari e la Protezione

Civile (DG ECHO)21 e lo Strumento che contribuisce alla Stabilità e alla Pace (Instrument

contributing to Stability and Peace – IcSP)22.

19 Il DCI si rivolge a tutti i Paesi in via di sviluppo ad eccezione dei Paesi ammissibili allo strumento di preadesione, sviluppando e le seguenti aree: Diritti umani, democrazia e buon governo; Crescita inclusiva e sostenibile per lo sviluppo umano; Migrazione e asilo; nesso tra aiuti umanitari e cooperazione allo sviluppo; Resilienza e riduzione del rischio di catastrofi; Sviluppo e sicurezza, compresa la prevenzione dei conflitti. Cfr. https://ec.europa.eu/europeaid/funding/funding-instruments-programming/funding-instruments/development-cooperation-instrument-dci_en

20 La Politica Europea di Vicinato (PEV) e responsabile della politica dell’UE in materia di allargamento e vicinato orientale

e meridionale. È inoltre responsabile delle relazioni con i Paesi membri dello Spazio economico europeo e dell’Associazione europea di libero scambio per quanto riguarda le politiche della Commissione. mira a sostenere i processi di riforma in ambito politico, economico e sociale nei seguenti Paesi del vicinato dell’Unione: Algeria, Armenia, Autorità Palestinese, Azerbaigian, Bielorussia, Egitto, Georgia, Giordania, Israele, Libano, Libia, Moldavia, Marocco, Siria, Tunisia e Ucraina. La PEV intende consolidare la prosperità, la stabilità, la sicurezza, l’economia di mercato e la crescita sostenibile attraverso un dialogo costante con ciascun Paese partner. I Paesi partner concordano con l’UE un piano d’azione PEV, mostrando il proprio impegno a favore di democrazia, diritti umani, stato di diritto, good governance, principi dell’economia di mercato e sviluppo sostenibile. I piani d’azione che definiscono le priorità di breve e medio termine per ciascun Paese partner rappresentano uno degli strumenti chiave di questa politica. Nonostante i piani d’azione siano elaborati ad hoc per ciascun Paese di vicinato, si riferiscono in linea generale a una serie di attività comuni che spaziano dal dialogo politico alle questioni relative al commercio e alla cooperazione sociale ed economica. Durante il periodo 2014-2020, la Politica europea di vicinato sarà finanziata attraverso lo Strumento Europeo di Vicinato (ENI), che andrà a sostituire lo Strumento Europeo di Vicinato e Partenariato (SEVP), esistente fin dal 2007. In linea con la rinnovata Politica di vicinato avviata nel 2011, il sostegno dell’ENI sarà destinato principalmente: a promuovere i diritti umani e lo stato di diritto; stabilire una democrazia radicata e sostenibile e sviluppare una vigorosa società civile; alla crescita inclusiva e sostenibile, allo sviluppo economico, sociale e territoriale, nonché alla progressiva integrazione nel mercato interno dell’UE; alla mobilità e ai contatti interpersonali, compresi gli scambi per studenti e la società civile; all’integrazione regionale, compresa la cooperazione transfrontaliera. Cfr. https://www.euneighbours.eu/en/policy/european-neighbourhood-instrument-eni ; https://ec.europa.eu/info/departments/european-neighbourhood-policy-and-enlargement-negotiations_it

21 Cfr. https://ec.europa.eu/info/departments/humanitarian-aid-and-civil-protection_it 22 Lo IcSP consente alla Commissione Europea di agire prontamente per la prevenzione e la gestione delle crisi nei Paesi

terzi, contribuendo così alla gestione delle crisi. Negli ultimi anni infatti l’IcSP e stato ampiamente utilizzato in tutta la regione del Sahel sia per fare fronte a crisi di breve termine sia a quelle di lungo termine. Nel campo della sicurezza le attività includono il supporto alle istituzioni degli Stati saheliani, con un’attenzione particolare rivolta al rafforzamento delle capacità di gestione delle frontiere in Mauritania, Niger e Nigeria, e a livello di comunità locali con la creazione di corpi di polizia municipali in Niger, così come la messa in sicurezza della popolazione civile in Mali. Lo Strumento di

16

La riluttanza degli Stati membri a contribuire con importi maggiori sembra essere

dovuta anche al diffuso scetticismo sull’istituzione e l’utilità dell’EUTF e sul desiderio di

vedere alcuni risultati prima di fornire maggiori finanziamenti.

La sempre più crescente diffidenza per cui un Fondo di emergenza a breve termine

potrebbe affrontare in modo significativo le cause alla radice di un problema strutturale e di

amplissima portata, potrebbe non giovare al futuro dell’EUTF, il cui successo e

indissolubilmente legato all’interruzione dei flussi migratori sic et simpliciter.

L’Annesso I all’EUTF23 stabilisce che le attività finanziabili dal Fondo debbano

contribuire a raggiungere l’obiettivo generale del Fondo fiduciario, come stabilito all’articolo

2 dell’Accordo Costitutivo, vale a dire affrontare le crisi nelle regioni del Sahel e del Lago

Ciad, nel Corno d’Africa e nel Nord Africa.

Il Fondo, che deve intervenire in coordinamento con le autorità nazionali, quadri

regionali e strumenti di altri partner di sviluppo, finanzia attività che contribuiscono a:

- Stabilire programmi economici che creino opportunità di lavoro, in particolare per i giovani

e le donne nelle comunità locali, con particolare attenzione alla formazione professionale

e alla creazione di micro e piccole imprese. Alcune azioni contribuiranno in particolare a

sostenere il reinserimento dei rimpatriati nelle loro comunità.

- Sostenere la resilienza in termini di sicurezza alimentare e dell’economia in generale,

compresi i servizi di base per le popolazioni locali, in particolare i più vulnerabili, nonché

i rifugiati e gli sfollati, anche attraverso la sicurezza alimentare e nutrizionale, la salute,

l’istruzione e la protezione sociale, così come la sostenibilità ambientale.

- Rispettare il principio di Non-Refoulement24 cioè di non respingimento.

Il Fondo sta integrando gli aiuti esistenti dell’UE alle regioni interessate per un importo

di oltre 10 miliardi di euro fino alla sua naturale conclusione, prevista per il 2020.

A ottobre 2019, le risorse assegnate al Fondo fiduciario dell’UE per l’Africa

ammontavano a 4,6 miliardi di euro, di cui oltre 4 miliardi di euro provenienti dal FES, che è

un fondo intergovernativo al di fuori del bilancio dell’UE e gestito dalla DG DEVCO, e

Stabilità è stato inoltre utilizzato nel quadro d’iniziative di lotta al terrorismo e contro-radicalizzazione grazie alla creazione del “Sahel Security College” (attualmente composto da rappresentanti di Mali, Mauritania, Niger), che ha lo scopo di promuovere la tolleranza, il dialogo fra fedi differenti (inter-religioso) e fra credi diversi (intra-religioso), oltre a fornire supporto didattico alle scuole coraniche maliane, nigeriane e nigerine. Altre azioni nello stesso contesto interessano da un lato il contrasto dell’estremismo violento attraverso la creazione di opportunità socio-economiche soprattutto per i giovani in Ciad, Niger, e Nigeria e dall’altro alto specifici programmi di disarmo, smobilitazione e reinserimento che promuovono il reintegro sociale ed economico degli ex combattenti in Nigeria e in Ciad.

23 Cfr. https://ec.europa.eu/europeaid/sites/devco/files/annexe-1-c-2015-7293-20151020_en.pdf 24 Vedi Infra.

17

strumenti finanziari dell’UE tra cui finanziamenti DCI, ENI, HOME ed ECHO25. Gli Stati

membri dell’UE e altri donatori (Svizzera e Norvegia) hanno contribuito con 528 milioni di

euro, di cui 506 milioni di euro (?).

I quattro miliardi in oggetto sono stati sinora così ripartiti nelle tre finestre: Corno

d’Africa € 1.406,1 milioni, Nord Africa € 659,2 milioni, Sahel e Regione del Lago Ciad €

1.953,2 milioni; ciò include 5 programmi interregionali (cross-window). In termini di singoli

Paesi, l’EUTF e maggiormente coinvolta in Somalia, Libia, Niger, Etiopia e Mali.

A ottobre 2019, i Comitati operativi avevano approvato 210 programmi, tra cui 4

programmi trasversali, per un importo totale di 4018,5 milioni di euro di cui 123,000,000 euro

forniti dall’Italia. Comunque il contributo italiano generale e di 2.331.256,00, di cui

100.000,00 dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS) e 2.321.256,00

del Governo26.

Si rileva che mentre nel 2016 e nel 2017 la maggior parte dei progetti approvati erano

diretti verso maggiori opportunità economiche e occupazionali, volte a rafforzare la

resilienza delle comunità, quelli relativi al miglioramento della gestione della migrazione

sono recentemente raddoppiati, rendendolo l’obiettivo più finanziato.

Inoltre la tipologia di progetti approvati differisce per regione. A eccezione della regione

del Nord Africa, dove la maggior parte del finanziamento è destinata a migliorare la gestione

della migrazione, i fondi nel Sahel e Regione del Lago Ciad e nel Corno d’Africa sembrano

essere ripartiti in modo più uniforme.

Benché gli Stati Membri non stiano contribuendo come promesso, le loro agenzie

attuano il 37 per cento dei progetti, ponendo dei dubbi circa la validità della cooperazione

delegata, dato che il suo valore aggiunto non è solo quello di fornire maggiore efficienza,

ma anche di incentivare i finanziamenti degli Stati Membri, ancora in larga misura latitanti.

Si sollevano quindi due questioni: se sia sempre selezionato il partner di attuazione

più appropriato e se sia opportuno dare seguito al compromesso tra flessibilità e

responsabilità rappresentato dalla natura extra bilancio a valere sui fondi FES dell’EUTF.

Per di più la tendenza graduale è verso una maggiore attenzione alle implicazioni di

sicurezza a breve termine della migrazione rispetto agli obiettivi di sviluppo.

Dal momento che la dotazione finanziaria e caratterizzata da tre fasi principali

(promessa, impegno e azione/pagamento) e che gli Stati membri non sempre mantengono

gli impegni presi circa i fondi da destinare all’EUTF, il Parlamento Europeo invita l’UE a

25 Vedi infra. 26 Cfr. https://ec.europa.eu/trustfundforafrica/sites/euetfa/files/co-financing_contributions_4.pdf

18

concordare una soluzione più globale per i finanziamenti di emergenza nell’ambito della

revisione del Quadro Finanziario Pluriennale (QFP)27 per il periodo 2014-2020, al fine di

aumentare l’efficacia e la reattività degli aiuti umanitari e dell’aiuto allo sviluppo disponibili

nel contesto del bilancio europeo. Anche in questo caso il Parlamento Europeo e

preoccupato che il finanziamento del Fondo fiduciario dell’UE possa andare a scapito di altri

obiettivi di sviluppo; ricorda che lo strumento del Fondo fiduciario dell’UE dovrebbe essere

complementare ad altri strumenti esistenti e invita la Commissione a garantire la

trasparenza e la responsabilità quanto all’utilizzo e al numero di linee di bilancio esistenti

che contribuiscono al Fondo fiduciario dell’UE. Infine il Parlamento Europeo, consapevole

che non vi sia sviluppo senza sicurezza, condanna qualsiasi utilizzo dei fondi FES e APS

per la gestione e il controllo della migrazione o per azioni che non prevedano obiettivi di

sviluppo28. Pertanto l’EUTF deve partecipare agli obiettivi di lungo periodo relativi al

consolidamento della pace e al rafforzamento della governance nei Paesi beneficiari,

salvaguardando e allineando il proprio operato con le esistenti strategie dell’UE a livello

regionale e nazionale per il Sahel29, il Golfo di Guinea, il Corno d’Africa e il Nord Africa.

Numerose controversie sul futuro dell’EUTF caratterizzano anche i dibattiti ai massimi

livelli europei. I negoziati sul prossimo QFP ancora non hanno chiarito quale Direzione

Generale sarà responsabile del coordinamento della cooperazione in materia di migrazione

con i Paesi terzi, dunque dei fondi ad essa associati. Non e inoltre chiaro in che modo l’UE

farà propri i due più recenti documenti ONU: il Global Compact for Safe, Orderly and Regular

Migration (GCM) e lo United Nations Global Compacts for Migration and Refugees. Entrambi

stabiliscono indicatori che dovranno essere presi in considerazione della definizione

dell’EUTF e della futura politica di migrazione esterna dell’UE. Lo stesso vale anche per gli

attuali negoziati sulla futura cooperazione tra l’UE e l’Africa in merito ai nuovi trattati con i

Paesi Africa-Caraibi-Pacifico (ACP).

L’Italia e il secondo contributore e il terzo esecutore dei progetti EUTF, mentre con 160

milioni di euro la Germania rappresenta il più grande contributore bilaterale all’EUTF.

Benché sia incaricato il Ministero Federale per la Cooperazione Economica e lo Sviluppo

27 Il Quadro Finanziario Pluriennale (QFP) è il bilancio a lungo termine dell’Unione Europea, fissandone i limiti di spesa per un periodo di cinque o sette anni al massimo.

28 Il Parlamento Europeo sottolinea che i progetti coperti dal Fondo fiduciario dell’UE, che e stato creato utilizzando fonti principalmente destinate, in linea di principio, a scopi di sviluppo, devono avere obiettivi di sviluppo; evidenzia che i progetti volti a rafforzare la capacità di sicurezza in determinati Paesi devono essere concepiti in modo che il loro obiettivo finale consista nella riduzione della povertà nonché nella stabilità dei Paesi beneficiari. Tuttavia è altrettanto chiaro che sebbene il bilancio dell’UE non possa essere utilizzato per finanziare direttamente operazioni militari o di difesa, non sono esplicitamente escluse operazioni di mantenimento della pace con obiettivi di sviluppo né il finanziamento del potenziamento delle capacità nel settore della sicurezza.

29 Vedi Infra.

19

(Bundesministerium für wirtschaftliche Zusammenarbeit und Entwicklung – BMZ)30, anche

altri dicasteri federali hanno manifestato un grande interesse per l’EUTF. La maggior parte

del contributo tedesco proviene infatti dal bilancio del Ministero degli Esteri, in particolare

per i progetti in Libia, in cui il Fondo fiduciario rappresenta l’unica opzione dell’UE per la

cooperazione in materia di migrazione. La maggior parte dei progetti orientati allo sviluppo

e stata destinata ai Paesi di origine e di transito dell’Africa Sub-Sahariana, mentre un

secondo gruppo di iniziative si concentra sul miglioramento della gestione della migrazione

in alcuni Paesi di transito come il Niger e la Libia, verso la quale sono state approntate

misure relative alla sicurezza come la fornitura di attrezzature e addestramento per la

guardia costiera libica. I progetti in Libia si concentrano sul finanziamento del rimpatrio

volontario con l’assistenza dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM)31 e

sulla formazione della guardia costiera libica. Questi progetti sono considerati prioritari

perché la situazione in Libia e sulla rotta del Mediterraneo centrale rimane critica.

Tale impegno è anche centrale per gli Stati membri che sono altrimenti scettici nei confronti

della politica migratoria dell’UE, segnatamente gli Stati di Visegrád (V4)32, i quali dal 2018

hanno contribuito complessivamente all’EUTF per 35 milioni di euro soprattutto con azioni

mirate di contenimento dei flussi migratori in Libia.

30 Cfr. http://www.bmz.de/de/index.html 31 Cfr. https://www.iom.int/ 32 Cfr. È l’alleanza di quattro Paesi dell’Europa dell’Est: Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria. Costituito dopo

un Vertice dei Capi di Stato e di Governo nella città ungherese di Visegrád nel 1991, ha l’obiettivo di rafforzare la cooperazione, promuovendo l’integrazione unitaria del gruppo nell’Unione Europea, alla quale hanno tutti aderito 2004. Cfr. http://www.visegradgroup.eu/

20

Africa-Europa: il Programma Panafricano e l’Alleanza per il Sahel

Le relazioni intercontinentali tra Africa ed Europa si basano su due accordi-quadro

generali quali l’Accordo di Cotonou (Paesi Africa-Caraibi-Pacifico, ACP) e la Strategia

Comune Africa-UE (JAES), se tre strategie regionali (Sahel, Corno d’Africa e Golfo di

Guinea) e su tre dialoghi formali (Vertici UE-Africa, riunioni della troika e riunioni fra

commissioni). In particolare, le aree di cooperazione tra Africa ed Europa riguardano il

commercio (Accordi di Partenariato Economico - APE), lo sviluppo, la migrazione (Agenda

Europea sulla Migrazione, EUTF e i processi di Rabat e Khartoum), l’antiterrorismo (Forza

congiunta G5 Sahel) e la sicurezza con missioni e operazioni militari e civili (Repubblica

centrafricana, Libia, Mali, Niger e Somalia) nell’ambito della Politica di Sicurezza e di Difesa

Comune dell’UE (PSDC) insieme al ruolo svolto dai Rappresentanti Speciali dell’UE (RSUE)

nell’ambito del Servizio Europeo per l’Azione Esterna (SEAE).

La regione africana più vicina all’Europa sotto attacco terroristico globale e il Sahel, a

causa dell’interconnessione dei Movimenti Associati ad Al Qaida (MAAQ) e dei Movimenti

Associati al Daesh (MAD)33 attraverso un arco di instabilità che attraversa tutta la banda

sahariana-saheliana, che va dal Mediterraneo al Golfo di Guinea e dall’Oceano Atlantico

fino al Mar Rosso.

L’approccio integrato dell’UE riserva una particolare attenzione all’uso coerente degli

strumenti di sicurezza e sviluppo. L’UE sostiene gli sforzi per la pace e la sicurezza in Africa

e assiste il lavoro delle organizzazioni africane in materia di prevenzione dei conflitti,

antiterrorismo e criminalità organizzata, migrazione e gestione delle frontiere. L’UE lo sta

facendo attraverso la diplomazia, le missioni civili e lo sviluppo della politica di sicurezza e

di difesa comune, nonché attraverso fondi fiduciari.

Prosegue non senza difficoltà la collaborazione euro-africana, al fine di rendere

operativa l’Architettura Africana di Pace & Sicurezza (African Peace & Security Architecture

– APSA), comprese le Operazioni di Supporto alla Pace condotte dagli africani (African-led

Peace Support Operations-PSOs) e la riforma del settore della sicurezza negli Stati post-

conflitto (Security Sector Reform – SSR). La creazione della Zona di Libero Scambio

Continentale (Continental Free Trade Area – CFTA) in Africa sancita nel 2019, non potrà

che consolidare il finora ancora troppo lento eppure essenziale processo di integrazione

economico-commerciale regionale. La complessa ma indispensabile tabella di marcia verso

una CFTA africana dovrà necessariamente realizzarsi per fasi nell’arco dei prossimi quindici

33 Vedi Infra.

21

o trent’anni: prima l’Unione Doganale Continentale (Continental Customs Union), poi il

Mercato Comune Continentale (African Common Market) ed infine l’Unione Economica e

Monetaria (Monetary and Economic Union) propriamente detta.

In aggiunta, per la sicurezza e lo sviluppo del Sahel in particolare e dell’Africa in

generale, l’UE ha recentemente introdotto alcune iniziative specifiche, fra le quali si

segnalano qui l’Alleanza per il Sahel e il Programma Panafricano (PanAf).

Nel 2014 la Commissione Europea ha lanciato il Pan-African Programme (PanAf), uno

speciale programma di sviluppo europeo per la cooperazione con l’Africa nel suo

complesso, dotato di 845 milioni di euro fino al 2020, finanziato attraverso lo Strumento di

Cooperazione allo Sviluppo (Development Cooperation Instrument – DCI). Secondo la

Commissione Europea il valore aggiunto derivante dall’avallo di tale programma e costituito

da tre elementi fondanti e cioè: la dimensione transregionale, continentale o mondiale dei

progetti e dei programmi sviluppati in settori che spaziano dall’agricoltura sostenibile e

l’ambiente fino all’istruzione superiore; le tecnologie dell’Informazione e della

comunicazione e la ricerca scientifica; la stretta pertinenza con i temi espressi dal 2007 dalla

Strategia Congiunta Africa-UE (Joint Africa-EU Strategy – JAES) e la complementarità con

altri strumenti finanziari europei quali i programmi tematici del Fondo Europeo di Sviluppo

(FES) e lo Strumento Europeo di Vicinato (European Neighbourhood Instrument – ENI).

Tanto l’UA quanto l’UE condividono un dialogo costante soprattutto per quanto riguarda il

volet pace e sicurezza, poiché non si può dare seguito a processi virtuosi di sviluppo senza

il prerequisito della pace (No Development Without Security) nei vari conflitti ancora in corso

in diverse zone dell’Africa, come nei casi della Libia, del Sudan, del Sud Sudan, della

Repubblica Centroafricana (RCA), del Mali e più in generale del Sahel e del Bacino del Lago

Ciad, del Golfo di Guinea, della Somalia e del Corno d’Africa, del Burundi e della Regione

dei Grandi Laghi. L’emergere prepotente del terrorismo in Africa sta facendo convergere

l’interesse sulle contromisure più adattead arginarne sia le cause sia le sue manifestazioni,

come in Nigeria e nei Paesi confinanti (Camerun, Ciad e Niger) con Boko Haram34 e in

Somalia e Kenya con gli Shebaab somali. Un fenomeno da meglio monitorare, perché

allarmante quanto alla sua diffusione, è quello della proliferazione illecita delle armi di

piccolo taglio (Small Arms and Light Weapons – SALW).

Negli ultimi tempi tanto l’UE nel suo insieme quanto alcuni gruppi di Stati membri

europei hanno dato vita a una serie di iniziative volte a rilanciare le loro relazioni con l’Africa.

34 Vedi Infra.

22

L’Alleanza per il Sahel35 è un gruppo di coordinamento dei donatori, che lavora strettamente

con l’UE, al fine di garantire sia lo sviluppo efficace e sostenibile sia pure la sicurezza

regionale. Inaugurato a luglio 2017, comprende attualmente dodici membri: Danimarca,

Francia, Germania, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Spagna, Regno Unito, Unione

Europea, Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP), Banca Africana di

Sviluppo (AfDB) e Banca Mondiale. L’Alleanza per il Sahel ha identificato i seguenti sei

settori prioritari di intervento: occupazione giovanile; sviluppo rurale, agricoltura e sicurezza

alimentare; clima, compreso l’accesso all’energia, energia verde e acqua; governance;

decentramento amministrativo per i servizi; sicurezza.

35 L’Alleanza per il Sahel è basata su quattro pilastri: (1) coordinamento rafforzato per una vasta gamma di settori chiave,

maggiori risorse dedicate alla sicurezza, stabilizzazione e sviluppo a breve termine nonché ulteriori investimenti nella regione per produrre cambiamenti visibili e misurabili a breve termine a livello locale. Questi cambiamenti dovrebbero sperabilmente tradursi in: occupazione/occupabilità giovanile, in particolare attraverso l’istruzione, la formazione e la creazione di attività economiche; sviluppo rurale, agricoltura e sicurezza alimentare; clima, compreso l’accesso all’energia, energia verde e acqua; governance, compreso il rafforzamento dei sistemi giudiziari, la lotta alla corruzione e la governance nel settore estrattivo nonché la partecipazione della società civile al rafforzamento dello Stato; Sostegno al ritorno dei servizi di base in tutto il Paese, anche attraverso il decentramento. (2) Responsabilità reciproca fra donatori europei e beneficiari africani. (3) La ricerca di metodi di attuazione innovativi, per aumentare gli investimenti del settore privato. (4) Supporto amplificato per le forze di sicurezza (G5-Sahel in particolare). Cfr. https://www.alliance-sahel.org/en/

23

Valutazioni del Parlamento Europeo e Corte dei Conti Europa sull’EUTF

Il Fondo è soggetto a continue fortissime critiche provenienti addirittura dalle

medesime istituzioni europee: il Parlamento Europeo ha affermato che l’EUTF e uno

strumento che bypassa l’autorità di bilancio dell’organismo legislativo, laddove la stessa

Commissione Europea è giunta alla conclusione che la natura troppo rapida e

verosimilmente arbitraria dell’assegnazione dei fondi nell’ambito dell’EUTF può

compromettere l’impatto e la sostenibilità dei suoi progetti.

A fine 2018 la Corte dei Conti Europea ha pubblicato un audit delle performance

dell’EUTF36, giungendo alla conclusione che si tratta di uno strumento flessibile, ma, date

le sfide inedite con le quali è a confronto, la sua impostazione avrebbe dovuto essere più

mirata. In particolare la Corte rileva che il Fondo, per quanto sia uno strumento flessibile

che consente di fornire assistenza in settori quali l’alimentazione, l’istruzione, la sanità, la

sicurezza e lo sviluppo sostenibile, tuttavia i suoi obiettivi sono troppo ampi per guidare con

efficienza gli interventi nelle regioni africane e la Commissione Europea ha difficoltà a capire

in quale misura il Fondo consegua davvero i propri obiettivi. La Corte ha inoltre constatato

debolezze di attuazione e ha osservato che i progetti subiscono ritardi analoghi a quelli che

caratterizzano gli aiuti allo sviluppo tradizionale37e più in generale rispetto agli strumenti

tradizionali, l’EUTF Africa e stato più rapido nell’avviare i programmi, salvo poi incontrare

difficoltà analoghe che ne ritardano l’attuazione.

La Risoluzione38 del Parlamento Europeo del 13 settembre 2016 sull’EUTF pone

l’accento sulla mancanza di coinvolgimento fino ad oggi del Parlamento nella costituzione

36 Corte dei Conti Europea, Relazione speciale n.32/2018: Il Fondo fiduciario di emergenza dell’Unione Europea per l’Africa: flessibile, ma non sufficientemente mirato. Cfr. https://www.eca.europa.eu/it/Pages/DocItem.aspx?did=48342

37 La relazione della Corte dei Conti Europea afferma testualmente che: “Il Fondo ha avviato progetti più rapidamente degli aiuti allo sviluppo tradizionali e, nel complesso, e riuscito ad accelerare la sottoscrizione dei contratti e il versamento degli anticipi, anche se sarebbe stata auspicabile una maggiore rapidità da parte di uno strumento di emergenza. Di fatto, l’attuazione dei progetti e stata ritardata da difficoltà analoghe a quelle incontrate dagli strumenti tradizionali. La Corte ha rilevato ritardi ricorrenti in progetti relativi a settori come quello della sicurezza e della gestione delle frontiere. Le procedure di selezione dei progetti variavano da una regione all’altra. I criteri per la valutazione delle proposte non erano sufficientemente chiari o documentati e il vantaggio comparativo di avvalersi dell’EUTF Africa per finanziare i progetti non era sempre illustrato in modo adeguato. La Corte ha riscontrato esempi di progetti che rispondevano a bisogni analoghi a quelli mirati da altri strumenti dell’UE, con il rischio di una duplicazione di altre forme di sostegno dell’UE. Gli obiettivi dei progetti spesso non erano specifici e misurabili e gli indicatori di performance erano privi di valori di partenza. Le tre regioni utilizzano sistemi diversi per monitorare la performance, in quanto il sistema comune non e ancora operativo. La moltitudine di informazioni e di sistemi di monitoraggio fa sì che non vi sia un’unica visione d’insieme esauriente dei risultati conseguiti dall’EUTF Africa nel suo complesso. Dal momento che sono implicati finanziamenti UE per 3,7 miliardi di euro, la Corte ritiene che la capacità di misurare la performance sia un aspetto importante della rendicontabilità. I progetti sottoposti ad audit, ancorché in una fase iniziale di attuazione, hanno cominciato a produrre realizzazioni. Il Fondo ha contribuito agli sforzi profusi per ridurre il flusso di migranti irregolari dall’Africa verso l’Europa, ma detto contributo non può essere misurato con precisione. La Corte formula una serie di raccomandazioni alla Commissione per migliorare la qualità degli obiettivi, rivedere le procedure di selezione dei progetti e adottare misure volte ad accelerare l’attuazione e a migliorare il monitoraggio”.

38 Risoluzione del Parlamento Europeo del 13 settembre 2016 sul Fondo fiduciario dell’UE per l’Africa: le implicazioni per lo sviluppo e gli aiuti umanitari (2015/2341(INI)). Cfr. https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/TA-8-2016-0337_IT.pdf

24

del Fondo fiduciario dell’UE, e insiste sulla necessità di garantire, grazie a una relazione

dettagliata e regolata da parte della Commissione, il controllo del Parlamento sulla modalità

di applicazione del Fondo fiduciario. È evidente che gli aiuti allo sviluppo non dovrebbero

essere utilizzati per contenere i flussi di migranti e richiedenti asilo, e che i progetti finanziati

dal Fondo fiduciario dell’UE non dovrebbero servire da pretesto per impedire le partenze o

inasprire i controlli alle frontiere tra Paesi, ignorando i fattori che spingono le persone a

lasciare le proprie case, Esprime inoltre profonda preoccupazione per l’impatto che il Fondo

fiduciario dell’UE può avere sui diritti umani, quando il contenimento dei flussi migratori

avviene attraverso la cooperazione con Paesi che commettono sistematiche e gravi

violazioni dei diritti fondamentali. Di conseguenza sarebbe opportuno effettuare relazioni

periodiche al Parlamento, almeno una volta ogni sei mesi.

Ancora, secondo una valutazione esterna dello XI FES, effettuata nel 2017, ancorché

la risposta alle nuove priorità dell’agenda dell’UE sia data dal Fondo fiduciario per l’Africa,

finanziato principalmente dalle riserve del FES, tuttavia le sue modalità rischiano di minare

i principi fondamentali del FES di partenariato ed efficacia39.

La rapidità e la flessibilità del Fondo comportano un meccanismo di monitoraggio assai

debole, dunque inadeguato; in altre parole si tratterebbe di un processo decisionale

informale, opaco e non ortodosso.

Si potrebbe anche argomentare che tutti questi elementi informali propri dell’EUTF non

siano altro che una precisa intenzione volta a eludere i requisiti di spesa del Comitato per

l’Aiuto allo Sviluppo (DAC)40 dell’OCSE, in virtù dell’esplicito divieto fatto dal DAC di

concepire e attuare spese per lo sviluppo esclusivamente mosse dal proprio interesse di

parte.

39 Cfr. Commissione Europea, External Evaluation of the 11th European Development Fund (EDF) (2014–mid 2017): Final Report (Brussels, June 2017), 9, https://ec.europa.eu/europeaid/sites/devco/files/edf-evaluation-final-report_en.pdf

40 Le politiche pubbliche di cooperazione allo sviluppo sono coordinate dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE - OECD) con sede a Parigi. Il Comitato per l’Aiuto allo Sviluppo (Development Assistance Committee - DAC) dell’OCSE, il quale riunisce trenta Paesi industrializzati-donatori, tra cui Italia e Unione Europea, ha lo scopo di indirizzare al meglio le politiche di cooperazione allo sviluppo, individuando i principi comuni e definendo le linee guida e gli obiettivi da raggiungere. Lo specifico mandato del DAC per il periodo 2018-2022 è quello di promuovere la cooperazione allo sviluppo e altre politiche pertinenti in modo da contribuire all’attuazione dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, compresa una crescita economica sostenuta, inclusiva e sostenibile, l’eliminazione della povertà, il miglioramento degli standard di vita nei Paesi in Via di Sviluppo (PVS) e verso un futuro in cui nessun Paese dipenderà dagli aiuti. Nel quadro del processo di armonizzazione ed efficacia dell’Aiuto Pubblico allo Sviluppo (APS) in ambito OCSE-DAC con il Forum di Roma del 2003 sull’armonizzazione tra i donatori fino alla Dichiarazione di Parigi, si sono decise le seguenti linee guida: rafforzamento della Country Ownership mediante forme di dialogo politico sempre più allargate tra PVS e donatori per una maggiore efficacia delle forme di aiuto da intraprendere; partnership sempre più inclusivi e riduzione della frammentazione dell’aiuto; forte coinvolgimento delle organizzazioni della società civile; adattamento degli aiuti alle esigenze specifiche dei Paesi; priorità all’impatto dei risultati, che a loro volta devono mettere in evidenza la loro trasparenza assieme con l’obbligo di rispondere pubblicamente del proprio modus operandi, onde evitare qualsiasi zona grigia. Cfr. http://www.oecd.org/dac/development-assistance-committee/

25

Un criterio assodato da anni oramai è quello per cui ogni iniziativa o progetto di

cooperazione allo sviluppo debba sempre essere concordato tra donatore e beneficiario.

Ebbene i progetti del Fondo rischiano di non tenere debitamente in considerazione la

volontà del beneficiario o perlomeno di lascargli margini di manovra assai limitati, per non

dire inesistenti. Addirittura la Commissione Europea riferisce che il ruolo dei Paesi partner

nei programmi EUTF è ridotto a quello di osservazione, minandone la ownerhsip41, in quanto

gli Stati africani sono sì consultati in proposito, ma senza vincoli legali, come invece avviene

nel caso degli altri progetti finanziati dal FES. Di conseguenza appare evidente come tale

mancanza di coerenza, altro principio cardine degli accordi di sviluppo, dia adito a parecchi

fraintendimenti insieme concettuali e operativi.

Per l’UE, almeno in teoria, e assai rilevante assicurare la coerenza dell’attuazione delle

proprie politiche in termini di azione esterna, massimizzando gli obiettivi di sviluppo

mediante un approccio coerente e coordinato tanto al proprio interno quanto all’esterno.

Ciò è ancora più valido quando si parla di cooperazione con i Paesi terzi con programmi per

attuare le riforme nel settore della sicurezza e del buon governo, nella lotta al traffico di

esseri umani e nel proteggere e assistere le vittime.

La Coerenza delle Politiche per lo Sviluppo (Policy Coherence for Development –

PCD) costituisce un pilastro fondamentale sia dell’OCSE sia dell’UE, per aumentare

l’efficacia della cooperazione allo sviluppo. Tale concetto di coerenza politica a sostegno

degli obiettivi di sviluppo, introdotto già nel 1992 con il Trattato di Maastricht, è stato

ulteriormente rafforzato dal Trattato di Lisbona nel 200942.

È opportune indicare che, ancorché simili fra loro, il concetto di PCD si differenzia da

quello della Coerenza delle Politiche per lo Sviluppo Sostenibile (Policy Coherence for

Sustainable Development – PCSD). Infatti l’importanza delle PCSD43 è stata riconosciuta

41 Il vocabolo “ownership” si traduce con “proprietà, possesso, appartenenza”. Nella cooperazione allo sviluppo il termine inglese ha assunto una connotazione che va oltre il possesso puramente materiale. Una misura o un progetto di sviluppo deve infatti essere concepito sin dal principio in modo tale da permettere alle persone direttamente interessate di appropriarsene, di parteciparvi in modo attivo, responsabilizzandosi nel proprio interesse. Ecco perché l’ownership comporta sempre anche la partecipazione e la decentralizzazione. Infatti, solo quando il potere decisionale viene delegato alle regioni, alle città, ai villaggi e, da ultimo, agli individui sussiste la garanzia che le persone interessate non solo si sentano interpellate dai progetti, ma vi mettano mano direttamente, assumendone la responsabilità. Ciò presuppone a sua volta che i processi, i progetti e le misure si configurino trasparenti per tutte le persone interessate e vengano concretizzati secondo i principi del buon governo (good governance) con il concorso di vari gruppi. Un tale approccio significa però che anche la cooperazione allo sviluppo deve puntare sul conferimento di responsabilità e potere alle persone e alle istituzioni che le rappresentano (empowerment), consentendo loro di partecipare al processo di sviluppo, facendosi carico delle proprie responsabilità. La solidarietà internazionale s’ispira ai principi di ownership (spetta ai singoli Stati africani individuare le priorità d’intervento e le modalità secondo cui agire) e di partnership (necessità che i Paesi industrializzati forniscano all’Africa le risorse necessarie a promuoverne lo sviluppo), che non deve svolgersi esclusivamente a livello di singoli Stati (canale bilaterale), ma soprattutto a livello continentale e regionale (canale multilaterale).

42 Cfr. https://ec.europa.eu/europeaid/sites/devco/files/eu-report-pcd-2019_en.pdf 43 Nonostante la loro prossimità semantica, c’e una differenza fondamentale tra i due acronimi PCD e PCSD. La PCD e

un obbligo legale dei Trattati UE, mentre la PCSD deriva dall’Agenda 2030. Si aggiunga che il nuovo consenso europeo

26

nell’Obiettivo di Sviluppo n°17.14 e n°17.15, “Politica e coerenza istituzionale”, come mezzo

di attuazione degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (OSS), nell’ambito delle misure

necessarie a migliorare il coordinamento e la coerenza delle politiche per lo sviluppo

sostenibile, tali da garantire il rispetto dello spazio politico e della leadership di ciascun

Paese per stabilire e attuare politiche di sradicamento della povertà e di sviluppo. In dettaglio

l’Obiettivo 17 – Rafforzare gli strumenti di attuazione e rinnovare il partenariato mondiale

per lo sviluppo sostenibile – nel recitare che i Paesi industrializzati devono rispettare i loro

impegni ufficiali di aiuto allo sviluppo, incluso quello di destinare lo 0,7 per cento del Reddito

Nazionale Lordo all’Aiuto Pubblico allo Sviluppo, asserisce che sia imperativo aiutare i PVS

attraverso politiche coordinate e coerenti. Per l’OCSE quello delle PCSD e un approccio e

uno strumento politico per integrare le dimensioni economica, sociale, ambientale e di

governance dello sviluppo sostenibile in tutte le fasi del processo decisionale nazionale e

internazionale.

In sostanza con i programmi finanziati direttamente dal FES esiste una

programmazione congiunta, ma nessun processo decisionale collegato, laddove con l’EUTF

si ha un processo decisionale congiunto, ma nessuna programmazione collegata previa.

Bisognerebbe sondare se vi sia o meno un sentimento diffuso tra gli Stati membri

secondo cui i partner africani debbano essere inclusi prima e in modo più sistematico nel

discutere le esigenze e le priorità locali e nell’individuare potenziali progetti.

Parrebbe che nella finestra regionale del Sahel vi sia un più alto livello di

coinvolgimento e collaborazione delle controparti africane, mentre nella finestra regionale

in materia di sviluppo (European Consensus on Development) prevede l’applicazione della PCD in tutte le politiche e in tutti i settori inerenti all’Agenda 2030, con particolare attenzione ai cambiamenti climatici, alla sicurezza alimentare, alla migrazione e alla sicurezza. Secondo l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e i suoi Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (OSS) lo sviluppo è sostenibile, se è in grado di assolvere ai bisogni del presente, senza tuttavia compromettere la capacità delle future generazioni di soddisfare a loro volta le proprie esigenze; a tal fine e importante armonizzare tre elementi fondamentali: la crescita economica, l’inclusione sociale e la tutela dell’ambiente. Gli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile (OSS) sono i seguenti: 1. Eliminare la povertà in tutte le sue forme e dovunque; 2. Eliminare la fame, conseguire la sicurezza alimentare, migliorare la nutrizione e promuovere l’agricoltura sostenibile; 3. Garantire salute e benessere a tutti a qualsiasi età; 4. Garantire un’istruzione di qualità inclusiva ed equa e promuovere opportunità di apprendimento permanente per tutti; 5. Raggiungere l’uguaglianza di genere e l’empowerment di tutte le donne e ragazze; 6. Assicurare a tutti la disponibilità e la gestione sostenibile dell’acqua, oltre che le condizioni d’igiene e lo smaltimento dei rifiuti; 7. Assicurare a tutti accesso a un’energia moderna, sostenibile e a prezzi equi; 8. Promuovere una crescita economica sostenuta, inclusiva e sostenibile, un’occupazione piena e produttiva e un lavoro a condizioni dignitose per tutti; 9. Costruire infrastrutture resilienti, promuovere un’industrializzazione inclusiva e sostenibile e favorire l’innovazione; 10. Ridurre le disuguaglianze fra i Paesi e all’interno dei Paesi; 11. Rendere le città e tutti gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, resilienti e sostenibili; 12. Garantire modelli di produzione e consumo sostenibili; 13. Adottare misure urgenti per contrastare i cambiamenti climatici e gli impatti che ne derivano; 14. Conservare e usare in modo sostenibile oceani, mari e risorse marine per lo sviluppo sostenibile; 15. Proteggere, ripristinare e promuovere l’uso sostenibile degli ecosistemi terrestri, gestire in modo sostenibile le foreste, combattere la desertificazione, arrestare e invertire il processo di degrado della terra e la perdita di biodiversità; 16. Promuovere società pacifiche e inclusive per lo sviluppo sostenibile, garantire accesso alla giustizia per tutti e costruire istituzioni efficaci, trasparenti e inclusive a tutti i livelli; 17. Rafforzare i mezzi e le risorse finanziarie necessarie per lo sviluppo sostenibile e rilanciare il partenariato globale per lo sviluppo sostenibile. Cfr. https://www.aics.gov.it/home-eng/fields/OSSs/

27

del Nord Africa i governi locali sarebbero molto più cauti, perché meno disposti ad accettare

automaticamente i progetti proposti dalla Commissione Europea, in ragione dello

scetticismo circa ogni eventuale rischio d’imposizione dell’agenda europea nella regione.

28

Rimesse della Diaspora africana

A peggiorare il quadro vi è la constatazione per cui il Fondo non incentiva di fatto una

cooperazione genuina nei Paesi partner africani, inducendo il loro massimo disinteresse. I

Governi africani hanno espresso la propria frustrazione per il fatto che l’EUTF trascuri i loro

veri interessi, sicché saranno prevedibilmente sempre meno propensi a cooperare

pienamente alle condizioni imposte dagli europei. Le preoccupazioni europee e africane in

termini di migrazione divergono notevolmente fra loro; mentre infatti molti politici dell’UE

cercano di contenere i flussi illegali e semplificare le riammissioni, i leader africani guardano

con favore ad una migrazione legale verso l’Europa, il che comporta un maggiore sviluppo

grazie alle rimesse, le sole davvero migliorative verso la resilienza nei Paesi d’origine.

Le rimesse dei lavoratori migranti rappresentano per molti PVS una fonte di crescita

economica e di sviluppo di assoluta rilevanza. Esse sono da almeno quindici anni superiori

allo stesso Aiuto Pubblico allo Sviluppo (APS). A dire la verità per molti Stati africani l’APS

europeo insieme con i fondi EUTF rappresentano una frazione rilevante rispetto a quanto

ottengono dalle rimesse della loro stessa diaspora in Europa. Nel 2015 le rimesse verso

l’Africa Sub-Sahariana furono di circa 36 miliardi di dollari, mentre nello stesso anno l’EUTF

erogò aiuti per l’immigrazione solo per pochi miliardi di euro. A causa del ruolo essenziale

svolto dalle rimesse in molte economie africane e della quantità relativamente ridotta di aiuti

allo sviluppo offerti, la collaborazione nel medio-lungo periodo da parte dei “beneficiari”,

leggasi Paesi di transito e d’origine, nella riduzione della migrazione irregolare potrà essere

inizialmente marginale e successivamente insignificante.

Sebbene sopravvalutata, la questione della migrazione e al centro dell’agenda

dell’Unione Europea da alcuni anni, mentre non lo e affatto per l’Unione Africana, che ha

ben altre priorità: crescere economicamente e stabilizzarsi politicamente. Inaspettatamente

l’Africa contribuisce al 14 per cento dell’immigrazione globale, l’Europa al 25 per cento e

l’Asia al 31 per cento; il numero netto di migranti africani verso il mondo e relativamente

modesto, 2,1 milioni, mentre quello cinese e di 10 milioni. In ogni caso, le risposte dell’UE

al problema della migrazione sono declinate su tre piani: il primo riguarda soluzioni tecnico-

burocratiche; il secondo è solo tattico e programmatico; il terzo, ancora in fase di

negoziazione, dovrà essere un motore politico e strategico che trasmetta una visione a

lungo termine insieme al pragmatismo, caratteristiche ancora per lo più non rilevate in

Europa.

Al contrario, è di fondamentale importanza considerare la mobilità umana non come

un problema, piuttosto come un’opportunità e un fattore di spinta della crescita economica.

29

In verità, recenti studi dimostrano che i migranti provenienti da Paesi a basso reddito stanno

aumentando in modo significativo le proprie entrate, determinando un doppio effetto positivo

ossia una situazione vantaggiosa per tutti (win-win): arricchire le società ospitanti e trasferire

una parte sostanziale dei loro profitti in rimesse alle loro famiglie in Africa, contribuendo così

allo sviluppo dei loro Paesi di origine. L’entusiasmo degli espatriati africani di investire e di

avviare relazioni commerciali con i loro Paesi di origine deve essere preso più seriamente

in considerazione. Supponendo che un terzo della diaspora africana in Europa appartenga

alla classe media, è evidente che ciò sia una leva formidabile per nuove partnership di

sviluppo, alle quali l’Europa ancora guarda con sospetto aldilà delle dichiarazioni favorevoli

in tal senso. Questo spiegherebbe anche perché il Consiglio Esecutivo dell’Unione Africana

abbia già un decennio fa definito la diaspora africana come la sesta regione africana e che

la sua partecipazione agli organi e alle attività dell’UA fosse rafforzata.

Il rafforzamento del potenziale di sviluppo delle rimesse rimane a livello teorico una

priorità politica per l’UE e i suoi Stati membri. L’UE sottoscrive l’impegno dell’OSS n°10.c di

ridurre a meno del 3 per cento i costi di transazione delle rimesse dei migranti ed eliminare

i corridoi delle rimesse con costi superiori al 5 per cento. Cercare di ridurre il costo del

trasferimento delle rimesse e anche un obiettivo del JVAP. L’UE si sta impegnando con i

Paesi partner per massimizzare l’impatto sullo sviluppo della migrazione e della mobilità

regolari.

Ad esempio, l’UE ha sostenuto una serie di programmi recenti attuati dal Fondo

Internazionale per l’Agricoltura e lo Sviluppo (IFAD) nell’ambito del proprio strumento per le

rimesse (Facility for Remittances). Le azioni comprendono un progetto da 5 milioni di euro

per rafforzare il funzionamento e le capacità delle reti postali nell’area delle rimesse in alcuni

Stati dell’Africa Occidentale: Benin, Ghana e Senegal. Un altro programma dell’IFAD si sta

concentrando sul miglioramento dell’accesso alle rimesse nelle zone rurali, con particolare

attenzione all’Africa. Nel 2018 e stato lanciato un nuovo programma congiunto dell’UE con

l’IFAD: il “Programma Prime Africa” si concentra su sette Paesi africani con l’obiettivo di

ridurre i costi delle rimesse dall’UE del 30 per cento. Inoltre, un altro programma finanziato

dall’UE sulle rimesse include il sostegno all’Istituto Africano per le Rimesse (African Institute

for Remittances)44, istituito dall’Unione Africana nel 2014 con Segretariato a Nairobi

(Kenya), con l’obiettivo di creare competenze e capacità africane per raccogliere dati,

mobilitare la diaspora, intraprendere lo sviluppo di capacità nei Paesi africani sulle rimesse.

44 Con dieci milioni di africani residenti in territorio UE l’Europa e la prima fonte delle rimesse africane (36 per cento), pari a 21 miliardi di euro nel 2015. Cfr. https://au.int/en/sa/air

30

Inoltre, la direttiva 245 sui servizi di pagamento, entrata in vigore nel gennaio 2016,

contribuisce a rafforzare il quadro normativo per le rimesse, facilitando trasferimenti di

rimesse più economici, più rapidi e più sicuri, aiutando così i Paesi di origine a beneficiare

maggiormente della migrazione.

Sarebbe serio attenersi all’idea dell’OSS n°10.7 – Facilitare la migrazione ordinata,

sicura, regolare e responsabile e la mobilità delle persone, anche attraverso l’attuazione di

politiche migratorie programmate e ben gestite – secondo cui migrazioni e mobilità ben

gestite possono dare un contributo positivo alla crescita inclusiva e allo sviluppo sostenibile,

creando opportunità di crescita economica e culturale sia nei Paesi di origine sia in quelli di

destinazione.

Pertanto l’UE dovrebbe concentrare i propri sforzi su un’immigrazione regolare e

qualificata e non certo nell’immane quanto donchisciottesco tentativo di aumentare i ritorni

e le riammissioni, se desidera migliorare le sue relazioni con i partner africani. Di fatto tali

partner non sono interessati a questo tipo di approccio, ad eccezione delle Nazioni non

democratiche coinvolte nell’EUTF, che per opportunità non nominiamo in questa sede.

31

L’Agenda Europea sulla Migrazione

I cambiamenti dell’opinione pubblica europea stanno modificando le priorità

dell’agenda politica dell’Unione; infatti la migrazione e divenuta un tema non solo ricorrente,

ma centrale nei Consigli Europei e innegabilmente lo rimarrà ancora a lungo. La recente

proposta della Commissione per il nuovo quadro finanziario pluriennale 2021-2027 illustra

l'importanza della migrazione e dell'asilo con una quota di bilancio notevolmente aumentata

cioè di 35 miliardi di euro rispetto ai 13 miliardi di euro per il periodo 2014-2020.

In particolare il mutamento della situazione geopolitica nel Nord Africa e nel Medio

Oriente a seguito delle primavere arabe ha evidentemente spinto l’Unione Europea a

rivedere il proprio approccio, introducendo nel 2011 lo EU Global Approach to Migration and

Mobility (GAMM), strutturato secondo forme di dialogo approfondito con l’Africa su tre livelli,

continentale, regionale e bilaterale. L’obiettivo del GAMM era quello di stabilire partenariati

equilibrati e globali con i Paesi terzi che coprano vari aspetti della migrazione ed è stato

associato a uno spostamento nel discorso politico dell’UE che segnala la volontà di sfruttare

l’impatto positivo della migrazione sui processi di sviluppo; il GAMM nel 2015 e sfociato

nell’Agenda Europea sulla Migrazione.

Con specifico riferimento all’obiettivo OSS n°10.7 – facilitare la migrazione ordinata,

sicura, regolare e responsabile e la mobilità delle persone, anche attraverso l’attuazione di

politiche migratorie programmate e ben gestite – l’Agenda Europea sulla Migrazione45

45 La Commissione Europea ha presentato il 13 maggio 2015 l’Agenda Europea sulla Migrazione, in cui delinea le misure previste nell’immediato per rispondere alla situazione di crisi nel Mediterraneo e le iniziative da varare negli anni a venire per gestire meglio la migrazione in ogni suo aspetto. La situazione in cui versano migliaia di migranti che rischiano la vita per attraversare il Mediterraneo è sconvolgente ed è ormai evidente che nessuno Stato membro può né deve far fronte all’immane pressione migratoria da solo. L’agenda e una risposta europea che combina la politica interna ed estera, sfrutta al meglio agenzie e strumenti dell’UE e coinvolge tutti gli attori: Stati membri, istituzioni UE, organizzazioni internazionali, società civile, autorità locali e Paesi terzi. I quattro pilastri della nuova agenda sono i seguenti: 1. Ridurre gli incentivi alla migrazione irregolare, in particolare distaccando funzionari di collegamento europei per la

migrazione presso le delegazioni dell’UE nei Paesi terzi strategici; modificando la base giuridica di Frontex per potenziarne il ruolo in materia di rimpatrio; varando un nuovo piano d’azione con misure volte a trasformare il traffico di migranti in un’attività ad alto rischio e basso rendimento e affrontando le cause profonde nell’ambito della cooperazione allo sviluppo e dell’assistenza umanitaria.

2. Gestire le frontiere: salvare vite umane e rendere sicure le frontiere esterne, soprattutto rafforzando il ruolo e le capacità di Frontex; contribuendo al consolidamento delle capacità dei Paesi terzi di gestire le loro frontiere; intensificando, se e quando necessario, la messa in comune di alcune funzioni di guardia costiera a livello UE.

3. Onorare il dovere morale di proteggere: una politica comune europea di asilo forte. La priorità è garantire l’attuazione piena e coerente del sistema europeo comune di asilo, promuovendo su base sistematica l’identificazione e il rilevamento delle impronte digitali, con tanto di sforzi per ridurne gli abusi rafforzando le disposizioni sul Paese di origine sicuro della direttiva procedure; valutando ed eventualmente riesaminando il regolamento Dublino nel 2016.

4. Una nuova politica di migrazione legale: l’obiettivo e che l’Europa, nel suo declino demografico, resti una destinazione allettante per i migranti; bisognerà quindi rimodernare e ristrutturare il sistema Carta blu, ridefinire le priorità delle nostre politiche di integrazione, aumentare al massimo i vantaggi della politica migratoria per le persone e i Paesi di origine, anche rendendo meno costosi, più rapidi e più sicuri i trasferimenti delle rimesse. Cfr. https://ec.europa.eu/home-affairs/sites/homeaffairs/files/what-we-do/policies/european-agenda-migration

/background-information/docs/communication_on_the_european_agenda_on_migration_en.pdf

32

stabilisce un approccio globale per affrontare tutti gli aspetti della migrazione all’interno e

oltre i confini dell’UE in modo equilibrato. Ciò include: affrontare le cause profonde della

migrazione irregolare e degli sfollamenti forzati, proteggere e mettere in sicurezza le

frontiere esterne europee, migliorare i rimpatri efficaci e la riammissione delle persone che

non hanno il diritto di soggiornare nell’UE, combattere il traffico di migranti e la tratta di esseri

umani, costruire un Comune Sistema Europeo di Asilo46 con nuove politiche in materia di

migrazione legale.

L’idea sarebbe quella dell’approccio integrato, che combina gli sforzi all’interno

dell’UE, alle frontiere esterne dell’UE e al di fuori dell’UE in cooperazione con i Paesi partner.

Costruire credibilità per lavorare con i partner per una politica migratoria globale significa

anche offrire percorsi sicuri e legali nell’UE. L’obiettivo e facilitare l’accesso alla protezione

internazionale delle persone bisognose attraverso i programmi di reinsediamento dell’UE e

migliorare la mobilità dei circolare lavoratori con i Paesi terzi di origine e di transito,

massimizzando in tal modo gli aspetti positivi della migrazione per lo sviluppo.

Parallelamente alla promozione di canali regolari per le migrazioni dall’Africa l’Europa deve

urgentemente elaborare e attuare opportune strategie nazionali d’integrazione per la

mobilità umana.

Il quadro generale attraverso il quale l’Unione Europea affronta e gestisce la politica in

materia di migrazione, mobilità e asilo e descritto nell’Agenda Europea per la Migrazione

del 2015, la quale, come accennato sopra, era stata preceduta nel 2005 dall’Approccio

Globale dell’UE sulla Migrazione e sulla Mobilità. Già nel GAMM le azioni dell’UE si

concentravano sempre più sulle tre aree geografiche attraversate dai flussi migratori: Paesi

di origine, Paesi di transito (sia in Africa sia in Europa) e Paesi di destinazione finale. In

Africa in generale e nel Sahel in particolare, le principali cause di migrazione sono

l’instabilità politica, i conflitti, le violazioni dei diritti umani, la povertà e l’assenza di

prospettive credibili per il futuro. Poiché la protezione internazionale e l’assistenza

umanitaria devono essere garantite a tutti coloro che ne hanno diritto, nel pieno rispetto del

principio di non respingimento (non refoulement), sancito dalla Convenzione di Ginevra del

1951 sullo Status dei Rifugiati47, di cui gli Stati Membri dell’UE sono firmatari, Bruxelles ha

46 L’aumento dei richiedenti asilo, dei rifugiati e dei flussi migratori verso l’Europa da quasi vent’anni a questa parte e più palesemente dal 2015 ha reso evidente un vuoto nella politica comune in materia di migrazione e asilo.

47 Convenzione di Ginevra del 1951 relativa allo status di Rifugiato, articolo 33 – Divieto di espulsione o di respingimento (refoulement): (1) Nessuno Stato contraente potrà espellere o respingere (refouler) - in nessun modo - un rifugiato verso le frontiere dei luoghi ove la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a causa della sua razza, della sua religione, della sua nazionalità, della sua appartenenza ad una determinata categoria sociale o delle sue opinioni politiche. (2) Il beneficio di detta disposizione non potrà tuttavia essere invocato da un rifugiato per il quale vi siano gravi motivi per considerarlo un pericolo per la sicurezza dello Stato in cui si trova, oppure da un rifugiato il quale,

33

deciso di intervenire sulla questione della migrazione, condividendo tra gli Stati membri non

solo il monitoraggio dei movimenti della popolazione, ma soprattutto una valutazione

obiettiva delle cause profonde della migrazione anche attraverso dialoghi diretti con i Paesi,

dove si generano più flussi migratori.

Vi è una crescente e fondata preoccupazione per il fatto che le priorità delle politiche

di cooperazione allo sviluppo dell’UE di lungo termine dimentichino che lo scopo prioritario

resta l’eliminazione della povertà e non certo quello di subordinarle all’Agenda Europea sulla

Migrazione, la quale rischia attraverso l’EUTF di assoggettare le risorse di sviluppo al

servizio di una strategia di condizionalità, distanziandole dunque dall’obiettivo centrale della

politica di sviluppo dell’UE di eradicazione della povertà ai sensi dell’articolo 208, paragrafo

1, del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea48.

Negli ultimi cinque anni la Commissione Europea sostiene di aver lavorato

alacremente, per delineare una politica più forte in materia di migrazione, nel tentativo,

ancora velleitario, di passare dall’emergenza alla creazione di soluzioni definitive e coerenti,

così da prepararsi al meglio per quelle che Bruxelles si limita a chiamare eventuali sfide

migratorie future.

I processi di coordinamento e le strutture operative sviluppati e stabiliti sul campo per

la gestione delle migrazioni resteranno operativi per il prossimo futuro, ovvero l’EUTF e gli

altri strumenti saranno mantenuti.

L’UE ha intensificato il lavoro con partner esterni per affrontare le cause profonde della

migrazione irregolare, proteggere rifugiati e migranti e sostenere le comunità ospitanti. A tal

fine sono stati mobilitati finanziamenti senza precedenti, per un valore di 9,7 miliardi di euro,

in particolare attraverso il Fondo fiduciario dell’UE per l’Africa, il Fondo fiduciario siriano e lo

strumento per i rifugiati in Turchia, ai sensi dei quali è già stato assegnato il 97 per cento di

6 miliardi di euro. Il sostegno dell’UE si sta inoltre concentrando sulla resilienza, stabilità,

opportunità economiche e occupazionali. Anche la cooperazione con i Paesi partner in

materia di rimpatrio è migliorata, con accordi di rimpatrio e riammissione attualmente in

vigore con 23 Paesi partner.

essendo stato oggetto di una condanna già passata in giudicato per un crimine o un delitto particolarmente grave, rappresenti una minaccia per la comunità di detto Stato.

48 Titolo III, Cooperazione Con i Paesi Terzi e Aiuto Umanitario, Capo 1 Cooperazione Allo Sviluppo, Articolo 208 (ex articolo 177 del TCE): 1. La politica dell’Unione nel settore della cooperazione allo sviluppo è condotta nel quadro dei principi e obiettivi dell’azione esterna dell’Unione. La politica di cooperazione allo sviluppo dell’Unione e quella degli Stati membri si completano e si rafforzano reciprocamente. L’obiettivo principale della politica dell’Unione in questo settore e la riduzione e, a termine, l’eliminazione della povertà. L’Unione tiene conto degli obiettivi della cooperazione allo sviluppo nell’attuazione delle politiche che possono avere incidenze sui paesi in via di sviluppo. 2. L’Unione e gli Stati membri rispettano gli impegni e tengono conto degli obiettivi riconosciuti nel quadro delle Nazioni Unite e delle altre organizzazioni internazionali competenti. Cfr. https://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:12012E/TXT:IT:PDF

34

La necessità di un Sistema Europeo Comune di Asilo riformato è stata una delle lezioni

più chiare della crisi migratoria del 2015. La Commissione ha messo in campo tutte le

proposte necessarie per un quadro UE completo e sostenibile per le migrazioni e l’asilo.

Sebbene siano stati compiuti progressi su cinque proposte di sette, la riforma è ancora in

sospeso, rivelandosi ancora una volta disastroso il tentativo di adoperare standard comuni

per il diritto d’asilo.

Nel corso degli ultimi cinque anni sono state reinsediate 63.000 persone, con

l’impegno da parte delle capitali europee di reinsediarne altre 30.000 nel prossimo futuro.

Mentre la situazione migratoria complessiva su tutte le rotte è tornata ai livelli pre-crisi

con arrivi a settembre 2019 inferiori del 90 per cento circa rispetto a settembre 2015, la

situazione rimane instabile e gli sviluppi geopolitici restano imprevedibili, sicché si rendono

secondo Bruxelles necessarie le seguenti misure: azioni urgenti per migliorare le condizioni

nel Mediterraneo orientale; maggiore solidarietà nella ricerca e nel salvataggio;

accelerazione delle evacuazioni dalla Libia, rimanendo la situazione in Libia una delle

principali preoccupazioni. Dopo lo scoppio di conflitti violenti a Tripoli e nei dintorni,

nell’aprile 2019, con gli sforzi intensificati attraverso la Task Force Trilaterale AU-UE-ONU49

si deve continuare ad aiutare a liberare i migranti dai carceri, facilitare il rimpatrio volontario

(finora 49.000 rimpatri) ed evacuare le persone più vulnerabili (oltre 4.000 evacuati).

Gli Stati membri devono urgentemente aumentare e accelerare il ritmo dei reinsediamenti

nell’ambito del Meccanismo per il Transito di Emergenza (Emergency Transit Mechanism -

ETM)50 in Niger gestito con l’ACNUR e sostenere l’ETM di recente costituzione in Rwanda51.

Duole alla luce di tutto ciò constatare che l’Agenda Europea sulla Migrazione considera

le migrazioni un problema invece che un’opportunità. L’UE ha visto i partenariati per la

mobilità come un modo per premiare i Paesi partner nel riammettere sia i richiedenti asilo

respinti sia i migranti irregolari, riconoscendo in cambio concessioni sulla liberalizzazione

dei visti e sull’immigrazione legale. Ebbene, tale espediente politico tradotto

nell’esternalizzazione delle politiche migratorie, mossa da una singolare sindrome tutta

europea di accerchiamento, si è già dimostrato miope e non lungimirante.

49 La AU–EU–UN Tripartite Taskforce on the Situation of Stranded Migrant and Refugees in Libya è stata istituita dall’Unione Africana, dall’Unione Europea e dalle Nazioni Unite nel novembre 2017, a margine del V Vertice UA-UE ad Abidjan, con l’obiettivo di salvare e proteggere la vita di migranti e rifugiati lungo le rotte migratorie, e in particolare all’interno della Libia.

50 Si tratta di un meccanismo di evacuazione umanitaria d’urgenza rivolto ai profughi che si trovano nei centri di detenzione libici.

51 La Task Force ha accolto con favore, in particolare l’iniziativa di Kigali, dell’Unione Africana e dell’UNHCR di istituire ETM in Rwanda, che consenta l’evacuazione delle persone bisognose di protezione internazionale dalla Libia.

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Migrazioni e mobilità umana: il binomio Pace & Sicurezza e i Processi di

Rabat e di Khartoum

Il binomio Pace & Sicurezza e al centro del Partenariato tra l’Unione Africana (UA) e

l’Unione Europea (UE). L’UE ed i suoi Stati membri sono i maggiori contributori del budget

dei programmi dell’UA, e hanno l’obiettivo di migliorare l’integrazione economica e politica

dell’Africa, avendo allocato alcuni miliardi di euro al Fondo per la pace e la sicurezza in

Africa, cioe l’African Peace Facility (APF). Infatti l’APF e stata istituita nel 2004 quale

principale fonte di finanziamento per sostenere la pace e la sicurezza in Africa.

Anche in ragione della pressione migratoria che insiste sull’Europa, proveniente in

gran parte proprio dall’Africa, le capitali europee paiono intenzionate a darsi obiettivi

realistici di cooperazione con le controparti africane, così da favorire la pacificazione prima

e lo sviluppo poi delle summenzionate aree di crisi, che originano la maggior parte dei

profughi. Perciò è stata accolta con grande favore la nuova agenda strategica di cui si è

dotata l’Unione Africana (UA) – l’Agenda 2063 – un documento impostato affinché l’Africa

possa darsi obiettivi di crescita e di organizzazione interna durevoli ad affidabili anche verso

terzi. L’Agenda 2063 dell’Unione Africana, adottata nel 2013, e sia una visione sia un piano

d’azione, volta a far interagire tutti i segmenti della società africana, per costruire un’Africa

prospera e unita sulla base di valori condivisi e di un destino comune. Tale traiettoria di

sviluppo di lungo periodo in continuità con il precedente piano di sviluppo dell’UA, il

NePAD52, e con le pietre miliari del panafricanismo dei padri fondatori dell’allora

Organizzazione per l’Unità Africana (OUA), mira ad un’Africa più unita e forte, allo scopo di

ricoprire il ruolo di player internazionale influente, in maniera da negoziare con una sola

voce la propria posizione nei tanti fora internazionali, raccogliendo il sostegno intorno a

un’agenda comune contro tutte quelle forze interne ed esterne che vorrebbero vedere diviso

il Continente africano per continuare a sfruttarlo.

Sulla questione migratoria, in virtù della Dichiarazione UE-Africa sulla Migrazione e la

Mobilità del 2014 , le posizioni di Bruxelles e di Addis Abeba si possono riassumere con i

seguenti punti: l’impegno al contrasto della tratta di esseri umani in termini di prevenzione

del fenomeno e di protezione delle vittime tanto in Africa quanto in Europa, salvaguardando

la vita dei migranti; la necessità di approfondire non soltanto le cause profonde della

52 Un’importante iniziativa dell’Unione Africana e il NePAD (New Partnership for Africa’s Development). Si tratta di un progetto strategico per lo sviluppo continentale, istituito nel 2001 su iniziativa dei suoi cinque Paesi fondatori: Algeria, Egitto, Nigeria, Senegal, Sudafrica.

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migrazione irregolare, ma più di ogni altra cosa il nesso fra sviluppo economico e flussi

migratori, facilitando le transazioni economiche delle rimesse della diaspora. Le azioni che

verranno adottate riguarderanno sul piano continentale, regionale e nazionale i tre spazi

geografici del fenomeno migratorio: i Paesi di origine, quelli di transito (sia in Africa sia in

Europa) e quelli di destinazione.

L’UE ha avviato due dialoghi politici pertinenti con l’Africa in materia di migrazione: la

Rotta Migratoria Occidentale e la Rotta Migratoria Orientale, le quali sono rispettivamente

regolate da un lato, dal 2006, dal Dialogo Euro-Africano su Migrazione e Sviluppo, meglio

noto come Processo di Rabat53, relativo alle relazioni tra l’UE e gli Stati dell’Africa

Occidentale allargata e, dal 2015, dall’iniziativa UE-Horn of Africa Migration Route Initiative

(HoAMRI) relativa all’Africa Orientale, meglio nota come Processo di Khartoum54.

Il Processo di Rabat, avviato durante la Prima Conferenza Ministeriale Euro-Africana

sulla Migrazione e lo Sviluppo a Rabat (Marocco), si applica a tre regioni specifiche: Africa

Settentrionale, Africa Occidentale e Africa Centrale. Nel corso degli anni è stato in grado di

avviare un fruttuoso dialogo attuando alcune iniziative significative, come ad esempio il

Seahorse Atlantic Network, operativo dal 2006 tra Spagna, Portogallo, Senegal, Mauritania,

Capo Verde, Marocco, Gambia e Guinea-Bissau, avendo permesso con successo lo

scambio di informazioni necessario per prevenire l’immigrazione irregolare in tutta l’area.

Il Processo di Khartoum è stato istituito con una conferenza ministeriale, tenutasi a

Roma nel novembre 2014, sotto l’impulso della Presidenza semestrale Italiana dell’Unione

Europea e di Berlino. Tecnicamente il nuovo istituto è governato da un comitato

permanente, che opera secondo la regola del consenso, composto da cinque nazioni

europee (Francia, Germania, Italia, Malta e Regno Unito), cinque africane (Egitto, Eritrea,

Etiopia, Sudan e Sud Sudan), la Commissione Europea, il Servizio Europeo di Azione

Esterna (SEAE) e la Commissione dell’Unione Africana (AUC). Il rinnovato impegno di Italia

e Germania nei confronti di un’azione multidimensionale congiunta nel Corno d’Africa (HoA)

è sfociato nella Dichiarazione di Roma, secondo una strategia basata sui seguenti quattro

pilastri: migrazione legale e mobilità; migrazione irregolare e lotta alla criminalità

organizzata; legame tra migrazione e sviluppo; protezione internazionale.

In quell’occasione, gli allora Ministri degli Esteri italiano e tedesco – Paolo Gentiloni e Frank-

Walter Steinmeier – descrissero il Processo di Khartoum come un impegno strategico a

lungo termine, per affrontare il problema dell’immigrazione, che comporta varie azioni

53 Cfr. https://www.rabat-process.org 54 Cfr. https://www.khartoumprocess.net

37

politiche, inclusa la lotta contro il traffico di migranti e contro la tratta di esseri umani.

Con il Piano d’Azione di Sharm El Sheikh del Processo Khartoum sono state approvate

alcune indicazioni pratiche sul tipo di progetti da realizzare: il rafforzamento delle capacità

istituzionali e delle risorse umane di quegli Stati in prima linea impegnati contro la tratta di

esseri umani anche attraverso la creazione di centri di formazione regionali ad hoc; sviluppo

delle capacità giuridiche; sviluppo della consapevolezza dei rischi impliciti nell’intraprendere

tali viaggi anche attraverso punti di informazione dedicati ai migranti mediante campagne

d’informazione con mezzi tradizionali e innovativi; rafforzamento delle capacità di controllo

delle frontiere; sviluppo di modelli di strategie nazionali finalizzate all’attuazione della

Convenzione di Palermo (ovvero la Convenzione delle Nazioni Unite contro il Crimine

Organizzato Transnazionale - UNTOC).

38

Il Sahel

Come sappiamo l’istituzione dell’EUTF, che si concluderà per la sua prima fase il 31

dicembre 2020, si basa sulla valutazione di numerose concause trasversali, che lo hanno

reso imperativo per l’Europa.

Per molti anni la regione del Sahel in generale, compreso il bacino del Lago Ciad, e il

Corno d’Africa hanno affrontato sfide crescenti di pressione demografica, stress ambientale,

povertà estrema, tensioni interne, debolezze istituzionali, infrastrutture sociali ed

economiche deboli e insufficiente capacità di resistenza, crisi alimentariche in alcuni luoghi

hanno portato a conflitti aperti, sfollamenti, criminalità, radicalizzazione ed estremismo

violento nonché migrazione forzata e irregolare, tratta di esseri umani e traffico di migranti55.

Le sfide alla sicurezza sono state sempre più legate ai gruppi terroristici e al traffico illecito

di ogni tipo. In una prospettiva regionale più ampia, gli effetti delle crisi in Libia e Yemen,

nonché i conflitti interni in Sudan, Sud Sudan, Mali e le minacce terroristiche hanno messo

in crisi l’intera regione.

Per tutti questi Paesi, la crisi si manifesta come un flusso crescente di migrazione

forzata, anche attraverso il deserto del Sahara, il Mediterraneo e altre rotte verso l’Europa.

Il Sahel è una zona semi arida di transizione bio-geografica ed eco-climatica, delimitata

a Nord dal deserto del Sahara e a Sud dalla Savana, lunga circa 5.400 chilometri e larga

circa 1000 chilometri. La parola araba sahil significa letteralmente costa, in quanto descrive

per analogia la vegetazione della savana in cui ci si imbatte subito a ridosso dei limiti delle

sabbie sahariane. La fascia saheliana, estendendosi dall’Oceano Atlantico al Mar Rosso,

dove ha per estremi le Isole di Capo Verde ad Ovest e l’Eritrea ed il Sudan ad Est, attraversa

Senegal, Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger, Nigeria e Ciad. Contribuiscono inoltre alla

precarietà e all’impoverimento del Sahel dal punto di vista climatico la desertificazione e da

55 Il traffico di migranti e un’attività redditizia per le reti criminali con un fatturato annuo stimato di miliardi di euro. I trafficanti utilizzano rotte terrestri, marittime e aeree per favorire la migrazione irregolare tanto all’interno quanto all’esterno dell’UE. La povertà, l’instabilità sociale e politica, nonché la limitata disponibilità di rotte migratorie legali, spingono le persone a utilizzare reti criminali per facilitare l’ingresso, il transito o il soggiorno non autorizzati nell’UE. Le politiche dell’UE in particolare quelle che affrontano gli OSS n°8.7 e n°8.8 aiutano a combattere il traffico di migranti e ad affrontare la migrazione irregolare. Nel 2015 la Commissione ha adottato il suo primo Piano d’Azione Globale contro il Traffico di Migranti, che mira a trasformare il traffico da un’attività “ad alto profitto, a basso rischio” in un’attività “ad alto rischio e a basso profitto”, assicurando al tempo stesso il pieno rispetto e protezione dei diritti umani dei migranti. L’obiettivo del piano d’azione e rafforzare la cooperazione all’interno dell’UE e con i Paesi terzi per affrontare questo crimine intrinsecamente transnazionale. Il piano d’azione contro il traffico di migranti rafforza la cooperazione operativa tra l’UE e i Paesi terzi di origine e di transito per prevenire e contrastare il traffico di migranti attraverso una vasta gamma di strumenti, quali: (1) progetti finanziati dall’UE per lo sviluppo di capacità, come l’azione globale contro la tratta di persone e il traffico di migranti (Global Action against Trafficking in Persons and Smuggling of Migrants) e il programma regionale dell’Ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga e il Crimine (UNODC) nell’ambito della finestra del Fondo fiduciario dell’UE per il Nord Africa); (2) campagne di informazione e sensibilizzazione (ad esempio sei nuove campagne in Tunisia, Mali, Niger, Gambia, Costa d’Avorio, Guinea avviate nel 2019); (3) squadre investigative comuni e partenariati operativi comuni o distacchi di funzionari di collegamento europei in materia di migrazione nei principali Paesi terzi.

39

quello politico-istituzionale la Fragility & Failure56, poiché le regioni sahariane e saheliane

sono quelle dove minore è la capacità di controllo del territorio da parte delle autorità centrali.

Il Sahara ed il Sahel si sono repentinamente trasformate nell’epicentro delle crisi di

tutta l’Africa Settentrionale fino al Golfo di Guinea, a causa del diffondersi e del radicarsi del

terrorismo e dei traffici illeciti, nonché della crescente loro interdipendenza che ha favorito

e coeso organizzazioni criminali, molte delle quali riconducibili ad Al Qaida nel Maghreb

Islamico (AQMI), che mira a destabilizzare i precari equilibri interni dei Paesi dello

scacchiere. Solo una responsabile politica di sviluppo da parte dei Paesi coinvolti, unita ad

una fattiva e quanto più ampia cooperazione regionale, anche e prioritariamente nel settore

della lotta alla criminalità, potrà garantire condizioni di sicurezza capaci di arginare il

fenomeno terroristico e di favorire lo sviluppo e la crescita della regione.

Le nuove rotte della droga, accrescendo il consumo e l’assuefazione alle sostanze

stupefacenti nei territori che attraversano, prima di giungere alla loro destinazione finale,

contribuiscono alla destrutturazione di società già gravate dal sottosviluppo e

dall’impoverimento endemico. Desta particolare inquietudine il rafforzamento dei legami tra

le organizzazioni terroristiche ed i trafficanti di droga. Oggi l’Africa Occidentale è uno dei

principali centri di smistamento dei traffici clandestini ed il cuore del nuovo network

terroristico qaidista. Oltre che con i riscatti dei rapimenti, il terrorismo viene finanziato con i

proventi di traffici illeciti (migranti, droga, armi, sigarette, medicinali, automobili rubate,

sostanze tossiche).

Gli abitanti del Sahel – una delle regioni più povere del mondo e più vicine all’Europa

– devono affrontare condizioni di estrema povertà, tensioni interne, debolezze istituzionali,

alti tassi di crescita della popolazione e notevole esposizione ai cambiamenti climatici

nonché a frequenti crisi alimentari. Il Sahel mostra una discontinuità antropologica e

ambientale che corrisponde all’African Belt, creando una profonda spaccatura culturale tra

la popolazione araba e berbera e quella negro-africana. L’African Belt e una linea di

demarcazione invisibile e immateriale non solo tra l’Africa bianca e l’Africa nera, ma anche

tra sunnismo e sufismo. In breve, tale frattura evidenzia le contraddizioni storiche che

coinvolgono i popoli settentrionali arabo-berberi-nomado-pastorali da un lato e quelli

meridionali negro-africani-sedentari-coltivatori dall’altro.

Il rovesciamento del regime libico di Gheddafi nel 2011, scoperchiando il vaso di

Pandora, ha accelerato l’evoluzione della crisi fino ad allora solo latente nei Paesi del Sahel

56 Lo scopo dell’UE e di consolidare il delicato processo di institution building di questi Stati deboli, tali in quanto istituzionalmente fragili oppure in transizione.

40

e del Sahara, producendo un nuovo epicentro di conflitti caratterizzati da rivendicazioni

localiste troppo a lungo sottostimate e del tutto intrinseche a dinamiche politiche interne,

prive dunque di aspirazioni globali, nonostante le alleanza tattiche strette solo a fini di

visibilità con il terrorismo internazionale come nel caso di Al Qaida e del Daesh57.

Il fondamentalismo e il terrorismo stanno concentrando la loro capacità di proiezione tattica

nei territori più difficilmente gestibili del pianeta: il Sahara e il Sahel. Il passaggio dei centri

di gravità dal Medio Oriente all’Africa lungo una direzione sud-nord sta generando un nuovo

fronte di conflitto della matrice islamista attraverso il Sahel, o tra il Nord Africa e l’Africa

Occidentale, con ripercussioni fino al Corno d’Africa.

Per quanto sopra, la regione del Sahel e diventata una priorità per l’Unione Europea

in termini di pace e sviluppo sostenibile. A causa di questa nuova polarizzazione lungo il

sedicesimo nord parallelo, sono attualmente in corso numerose azioni guidate dall’UE

contro il consolidamento di zone franche terroristiche tra l’Africa Mediterranea e l’Africa Sub-

Sahariana. L’ardua gestione della sovranità statale su importanti settori appartenenti ai

cosiddetti Stati falliti e Stati fallimentari (Failed & Failing State)58 a causa di profonde carenze

istituzionali, incoraggia il traffico illecito, la radicalizzazione violenta e l’estremismo islamista.

In effetti, i conflitti più recenti in Africa insistono sulla fragilità dei confini e sulla difficoltà per

alcuni governi centrali di esercitare la propria sovranità su porzioni considerevoli dei loro

territori nazionali che, lasciati in balia degli eventi, potrebbero essere sempre più sequestrati

da attori non statali armati (Non-State-Actors – NSAs).

Secondo le conclusioni sul Sahel adottate dal Consiglio Affari Esteri del 13 maggio

201959 del Consiglio dell’Unione Europea60, le principali sfide affrontate da questa regione

sono letteralmente: “quelle di natura politica, in particolare gravi carenze nella governance,

nello stato di diritto e nella protezione dei diritti delle persone; le sfide relative alla sicurezza,

con l’espansione della minaccia terroristica, della violenza estremista e della criminalità

organizzata, compresa la tratta di esseri umani, con i cambiamenti climatici che incidono

negativamente sulle risorse naturali e alimentano i conflitti locali; sfide in termini di sviluppo,

57 La persistenza di una conflittualità a bassa intensità in Africa Occidentale, più precisamente nelle regioni del Sahara e del Sahel, è dovuta sia ai Movimenti Associati ad Al Qaida (MAAQ) sia ai Movimenti Associati al Daesh (MAD). I MAAQ, la cui presenza e più antica nell’area, sono maggiormente concentrati nel Sahel occidentale (Burkina Faso e Mali), mentre i MAD sono più forti in Niger, Ciad, Nigeria e intorno al Lago Ciad.

58 Contribuisce alla precarietà e all’impoverimento del Sahel da un punto di vista politico-istituzionale il combinato disposto di Fragility & Failure, poiché le regioni sahariane e saheliane sono quelle dove minore è la capacità di controllo del territorio da parte delle autorità centrali.

59 Cfr. https://www.consilium.europa.eu/en/meetings/fac/2019/05/13/ 60 Il Consiglio dell’Unione Europea e l’istituzione che rappresenta i governi degli Stati membri. Informalmente noto anche

come Consiglio UE, e la sede in cui i Ministri provenienti da ciascun Paese dell’UE si riuniscono per adottare atti legislativi e coordinare le politiche. Esso si differenzia dal Consiglio Europeo, che e invece l’istituzione dell’UE che

definisce le priorità e gli orientamenti politici generali dell’Unione Europea. È composto dai capi di Stato o di Governo degli Stati Membri, dal suo Presidente e dal Presidente della Commissione.

41

con povertà endemica, forte crescita demografica e debole coesione socioeconomica;

questi fattori aggravano l’insicurezza alimentare, aumentano le pressioni migratorie e

peggiorano la situazione umanitaria “. Le condizioni di sicurezza nella regione del Sahel

sono ancora estremamente incerte, con una situazione particolarmente precaria nel nord

del Mali e intorno al lago Ciad con ricadute nella Libia meridionale e nel nord della Nigeria,

mentre il Niger è un importante centro di transito per i movimenti migratori attraverso il Sahel.

Alle crisi nel Sahel dovrebbe essere fornita una risposta efficace e multisettoriale, in grado

di integrare tutti i seguenti livelli: nazionale, regionale, continentale, internazionale e

transnazionale.

Nel 2014, con un forte impegno europeo, al fine di affrontare meglio la sicurezza

nell’area, un gruppo di cinque Stati saheliani ha dato alla luce il G5 Sahel (G5-S) che consta

dei seguenti Stati Membri: Burkina Faso, Ciad, Mauritania, Mali e Niger. Il G5-S è diventato

rapidamente il principale attore regionale per la realizzazione degli obiettivi strategici europei

nell’area. Il partenariato rafforzato UE-G5-Sahel dovrebbe essere per i prossimi anni il luogo

di eccellenza per l’attuazione degli orientamenti euro-africani sulla gestione delle crisi nel

Sahel. La cooperazione totale allo sviluppo dell’UE nei Paesi del G5 nel Sahel ammonta a

8 miliardi di euro per il periodo 2014-2020. L’UE fornisce assistenza a lungo termine al Sahel

principalmente attraverso il Fondo fiduciario dell’UE per l’Africa (930 milioni di euro) e il

Fondo europeo di sviluppo (FES). La distribuzione dei finanziamenti europei per ciascuno

di questi Paesi secondo il Programma indicativo nazionale (PIN) è la seguente: 628 milioni

di euro al Burkina Faso, 542 milioni di euro al Ciad, 664 milioni di euro al Mali, 160 milioni

di euro alla Mauritania e € 686 milioni in Niger. L’UE e anche un importante donatore

umanitario, con oltre 250 milioni di euro distribuiti alle popolazioni del G5 nel Sahel negli

ultimi due anni.

La stabilità nella regione del Sahel e la chiave per la sicurezza europea. L’UE sostiene

anche la sicurezza e la stabilità della regione attraverso tre missioni nell’ambito della Politica

di Sicurezza e di Difesa Comune dell’UE (PSDC)61: l’EUCAP Sahel Mali (2014), l’EUTM

Mali (2013) e l’EUCAP Sahel Niger (2012). Le missioni includono formazione e sostegno

61 La Politica di Sicurezza e di Difesa Comune dell’UE (PSDC) è parte integrante della Politica Estera e di Sicurezza Comune dell’UE (PESC). Essa prevede la definizione progressiva di una politica di difesa comune dell’Unione europea e mira a consentire all’Unione europea il rafforzamento delle sue capacità militari e il dispiegamento di missioni al di fuori dell’UE per il mantenimento della pace, la prevenzione dei conflitti e il rafforzamento della sicurezza internazionale, conformemente ai principi della Carta delle Nazioni Unite. Le decisioni relative alla PSDC sono prese dal Consiglio dell’Unione europea all’unanimità. Tuttavia sono possibili alcune eccezioni, come ad esempio quando il Consiglio adotta decisioni di attuazione di una decisione dell’UE o per alcune decisioni riguardanti l’Agenzia Europea per la Difesa (AED) e la Cooperazione Strutturata Permanente (PESCO), in cui le decisioni sono prese a maggioranza

qualificata. L’Alto Rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza è incaricato di proporre e attuare le decisioni di PSDC.

42

diretto alle forze di sicurezza, con il fine ultimo di rafforzare le rispettive capacità nazionali.

Inoltre, l’UE e i suoi Stati membri prestano assistenza nell’operatività della forza congiunta

del G5 Sahel grazie allo stanziamento dei 147 milioni di euro.

La missione di rafforzamento delle capacità dell’Unione Europea (EUCAP) Sahel Niger

è una missione civile che sostiene le istituzioni e le forze di sicurezza del Niger (polizia,

gendarmeria, guardia nazionale e forze armate) per rafforzare lo stato di diritto e migliorare

la capacità del Paese di combattere il terrorismo e la criminalità organizzata. Da maggio

2015 il suo mandato è stato esteso a un quinto obiettivo relativo alla migrazione. Un altro

obiettivo di Bruxelles è la prevenzione della migrazione irregolare, del traffico e della tratta

di esseri umani; un’enfasi specifica e data al Niger, come nel caso delle città settentrionali

di Agadez e Arlit, in quanto sono i principali snodi di transito per le rotte migratorie verso la

Libia e il Mediterraneo e della località meridionale nigerine, a Diffa, soggetti a ripetuti assalti

di Boko Haram62, lungo il confine poroso con la Nigeria vicino al lago Ciad.

La missione di rafforzamento delle capacità dell’Unione Europea (EUCAP) Sahel Mali

è una missione civile che fornisce consulenza strategica e formazione alla polizia, alla

gendarmeria e alla guardia nazionale maliane, per sostenere le riforme nel settore della

sicurezza e per il mantenimento del controllo territoriale da parte dello Stato.

La missione di addestramento dell’Unione Europea (MUE) Mali e una missione militare

che fornisce consulenza alle autorità maliane sulla ristrutturazione delle forze armate

nazionali, attraverso l’addestramento di battaglioni e il sostegno alla riforma della difesa;

fornisce inoltre supporto tecnico alla G5 Sahel Joint Force. Di fatto, l’UE funge da garante

del processo maliano in collaborazione con l’operazione guidata dalla Francia Barkhane e

la Missione Multidimensionale Integrata di Stabilizzazione delle Nazioni Unite in Mali

(MINUSMA).

62 Boko Haram, la setta dei “talebani nigeriani”, fondata da Ustaz Mohammed Yusuf nel 2002 a Maiduguri, capitale dello

Stato di Borno, ora guidata dal famigerato Abubakar Sheaku, di etnia Kanuri, ha negli ultimi mesi elevato il livello dello scontro, emulando lo stile, le azioni, i modi e gli scopi dello Stato Islamico (IS). L’altra neo-formazione non-statale che preoccupa e la sua ala scissionista, l’Avanguardia per l’Aiuto dei Musulmani in Africa Nera (ANSARU), capeggiata da Khalid al Barnawi. Boko Haram (in arabo jamà atu ahlis sunna lidda’ awati wal-jihad) e tradotto come “gente dedita alla propagazione degli insegnamenti del Profeta e al Jihad”; in lingua Hausa “boko” significa non-islamico, mentre “haram” in arabo significa vietato. Pertanto la locuzione Boko Haram e convenzionalmente tradotta come l’educazione occidentale è peccato. Scopo tattico della setta è bandire il sistema educativo occidentale, per favorire strategicamente il radicamento del fondamentalismo islamico, creando le condizioni necessarie in un primo momento agli scopi dei Movimenti Associati ad Al Qaida (MAAQ) nel Sahel e adesso a quelli più promettenti dell’ISIS. In sintesi e passato dal franchising o etichetta prêt-à-porter, che dir si voglia, verso Al Qaida all’esplicita richiesta di farsi riconoscere quale branch autorizzato dalla “casa madre” dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (ISIL). L’evoluzione di Boko Haram, è venuta trasformandosi da fenomeno locale intestino alla Nigeria sottovalutato dalle autorità federali a crisi regionale a tutto tondo, giacché la setta islamista dispone di retrovie e campi di addestramento fuori confine, che le hanno permesso di portare a compimento attacchi, rapimenti con aperte minacce a Camerun, Niger e Ciad. L’Unione Africana ha dispiegato missione – Multinational Joint Task Force (MNJTF) –con truppe di Benin, Camerun, Ciad, Niger, Nigeria.

43

La strategia per il Sahel della Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale

(CEDEAO-ECOWAS), la Strategia di Pace e Sicurezza dell’Autorità Intergovernativa per lo

Sviluppo (IGAD), nonché le Strategie europee per il Sahel e per il Corno d’Africa

riconoscono in particolare l’importanza di un approccio dedicato alle aree periferiche, che

sono caratterizzate da una presenza statale molto bassa e porosità dei confini, nonché

dall’emarginazione e dall’indigenza di particolari gruppi della società e da una maggiore

vulnerabilità alla migrazione irregolare, all’estremismo, al traffico di esseri umani e al traffico

di migranti.

Nel 2015 il Consiglio degli Affari Esteri dell’Unione Europea ha avallato il Piano

d’Azione Regionale per il Sahel (Sahel Regional Action Plan – RAP). Il Piano d’Azione

focalizza la propria attenzione su quattro priorità fondamentali per i prossimi anni destinata

a cinque specifici Stati saheliani (Burkina Faso, Ciad, Mali, Niger, Mauritania), vale a dire:

prevenzione e lotta alla radicalizzazione; creazione di condizioni adeguate per i giovani;

migrazione e mobilità; gestione delle frontiere e lotta contro il traffico illecito e la criminalità

organizzata transnazionale. Già nel marzo 2011 l’UE aveva adottato un approccio globale

per la regione del Sahel, utilizzando come riferimento una specifica strategia

omnicomprensiva per la sicurezza e lo sviluppo regionali – la Strategia UE per il Sahel –

fondata sia sul principio per cui lo sviluppo e la sicurezza si rafforzano a vicenda sia sulla

stringente necessità di una risposta regionale a tutti questi problemi tra loro strettamente

interconnessi. In dettaglio la Strategia UE per il Sahel comprende quattro linee di azione:

sviluppo, good governance e risoluzione dei conflitti interni; azioni politiche e diplomatiche;

sicurezza e Stato di diritto; contrasto dell’estremismo violento e dei fenomeni di

radicalizzazione.

È superfluo sottolineare che la debolezza delle finanze pubbliche e delle istituzioni

nazionali in molti di questi Stati renda estremamente difficoltoso rispondere adeguatamente

alle frequenti crisi che interessano la regione, dovendo inevitabilmente ricorrere ad aiuti

esterni.

In questo senso l’UE sta attuando programmi di sviluppo volti a rafforzare la resilienza,

aiutando ad affrontare le cause profonde della malnutrizione, migliorando il funzionamento

dei mercati regionali, così da aumentarne la capacità a livello regionale e nazionale e di

conseguenza tentare di ridurre i rischi di disastri correlati. L’UE opera in questo modo in

stretta cooperazione con le Nazioni Unite, l’Unione Africana (UA), la Comunità Economica

degli Stati dell’Africa Occidentale (CEDEAO-ECOWAS), l’Unione Economica e Monetaria

dell’Africa Occidentale (UEMOA), il G5 del Sahel (G5-S), la Commissione del Bacino del

Lago Ciad (CBLT) e con la Banca Mondiale (BM).

44

Tale stretto coordinamento insieme internazionale e regionale vede agire in parallelo

il RSUE per il Sahel, l’Inviato Speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite per il

Sahel, il Rappresentante Speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite per il Mali e

l’Alto Rappresentante dell’Unione Africana per il Mali e il Sahel, così da creare sinergie

nell’attuazione delle rispettive strategie. Altre iniziative sono state istituite ex novo oppure

rivitalizzate: e il caso dell’Alleanza Globale per l’Iniziativa Resilienza (AGIR), lanciata a

Ouagadougou nel dicembre 2012; il Processo di Nouakchott, sorto nel 2013 al fine di

promuovere la sicurezza collettiva nella regione sotto l’egida dell’UA; la Comunità degli Stati

Sahelo-Sahariani (CEN-SAD) ed infine la rivitalizzazione della Commissione del Bacino del

Lago Ciad (CBLT), onde affrontare questioni di confine comune, in considerazione della

maggiore minaccia per la regione del Sahel dalle azioni di Boko Haram. Lo Strumento di

Stabilità europeo, esistente sin dal 2007, consente alla Commissione Europea di agire più

prontamente per la prevenzione e la gestione delle crisi. Negli ultimi anni infatti tale

strumento è stato ampiamente ed opportunamente utilizzato in tutta la regione del Sahel sia

per fare fronte a crisi di breve termine sia a quelle di lungo termine. Nel campo della

sicurezza le attività includono il supporto alle istituzioni degli Stati saheliani, con

un’attenzione particolare rivolta al rafforzamento delle capacità di gestione delle frontiere in

Mauritania, Niger e Nigeria, e a livello di comunità locali con la creazione di corpi di polizia

municipali in Niger, così come la messa in sicurezza della popolazione civile in Mali.

L’UE e impegnata per la sicurezza e lo sviluppo del Sahel ed è il partner principale

della regione. Segue un approccio globale che integra dialogo politico e diplomatico,

sicurezza e stabilità, aiuto allo sviluppo e sostegno umanitario.

Il dialogo politico e diplomatico, che e incentrato sul partenariato politico tra l’UE e il

G5 Sahel, comprende riunioni ministeriali e l’attuazione della strategia dell’UE per il Sahel,

il piano d’azione regionale e il processo di pace maliano. L’alta rappresentante dell’UE si

riunisce periodicamente con i suoi omologhi del G5 Sahel per esaminare e rafforzare la

cooperazione e il coordinamento in settori di interesse come lo sviluppo, la governance e la

sicurezza. Inoltre, l’UE agisce in qualità di garante del processo di pace maliano.

Il 6 dicembre 2018, in occasione della conferenza di coordinamento dei partner e dei

donatori organizzata dal G5 Sahel a Nouakchott in Mauritania, la Commissione Europea ha

annunciato un finanziamento di 125 milioni di EUR a favore dei Paesi del G5 Sahel.

Il 25 giugno 2018 il Consiglio ha concluso sul Mali e il Sahel ribadendo l’impegno

strategico globale dell’UE nei confronti della regione del Sahel e ha riaffermato che l’UE

continuerà a sostenere gli sforzi di stabilizzazione dei Paesi del G5 Sahel quale base per lo

sviluppo del Sahel.

45

Il 16 maggio 2019 in occasione del Consiglio “Affari Esteri” (Sviluppo) i Ministri dello

Sviluppo dell’UE hanno discusso del Sahel63 dopo che il 13 maggio i Ministri degli Esteri

hanno tratto conclusioni del Consiglio e che il 14 maggio i Ministri degli Esteri e della Difesa

dell’UE hanno incontrato i loro omologhi dei Paesi del G5 Sahel64. Hanno ribadito

l’importanza strategica del Sahel per l’UE e hanno sottolineato il continuo impegno dell’UE

nei confronti della regione, in particolare in termini di aiuti umanitari e allo sviluppo. Hanno

riconosciuto l’importanza dell’approccio integrato, una combinazione di dialogo politico,

cooperazione in materia di sicurezza (anche attraverso operazioni della politica di sicurezza

e di difesa comune e il sostegno diretto alla forza congiunta del G5 Sahel) e aiuto allo

sviluppo. I Ministri hanno esaminato le modalità per affrontare il recente deterioramento

della situazione della sicurezza e hanno convenuto che la risposta debba essere

pluridimensionale e trattare tanto le questioni socioeconomiche quanto quelle connesse alla

sicurezza. Hanno riconosciuto l’urgenza di fornire servizi di base alle popolazioni locali,

affrontare i cambiamenti climatici e ripristinare la presenza degli Stati65.

La riunione del Consiglio Affari Esteri del 13-14 maggio 2019 si è soffermata sugli

aspetti della Difesa nel Sahel, presenti i rappresentanti dei cinque Stati africani membri del

G5-Sahel: i Ministri degli Esteri e della Difesa dell’UE hanno discusso della situazione nel

Sahel con le loro controparti dei Paesi del Sahel del G5 (Burkina Faso, Ciad, Mali,

Mauritania e Niger). L’incontro e stato un’occasione per riaffermare l’importanza strategica

del Sahel per l’UE, che sostiene i Paesi del G5 Sahel nei loro sforzi per affrontare molteplici

sfide. I Ministri hanno discusso in particolare su come affrontare il recente deterioramento

della situazione della sicurezza nella regione, compresa la maggiore presenza di gruppi

terroristici, nonché l’aumento della violenza fra comunità diverse. Hanno riaffermato la loro

ferma determinazione a intensificare gli sforzi per combattere i gruppi jihadisti e altri gruppi

terroristici e per ripristinare la stabilità, anche attraverso ulteriori lavori per rendere operativa

la Forza comune del G5 Sahel. Hanno anche menzionato l’importante ruolo di MINUSMA

nel sostenere gli sforzi di sicurezza in Mali e nella regione. È stata inoltre evidenziata la

necessità di rafforzare la presenza degli Stati in tutto il territorio del Sahel, nonché

l’importanza di affrontare le violazioni dei diritti umani.

Il Consiglio ha modificato il mandato dell’EUCAP Sahel Mali per estendere l’area delle

operazioni ad altri Paesi del G5 Sahel nel contesto della seconda fase della

63 Cfr. https://www.consilium.europa.eu/it/press/press-releases/2019/05/13/the-sahel-is-a-strategic-priority-for-the-eu-and-its-member-states-council-adopts-conclusions/

64 Vedi infra. 65 Cfr. https://www.consilium.europa.eu/media/40396/st09207-en19.pdf

46

regionalizzazione delle attività della PSDC dell’UE nel Sahel. La regionalizzazione intende

rafforzare il sostegno civile e militare alla cooperazione transfrontaliera e alle strutture di

cooperazione regionale e rafforzare la capacità e la proprietà dei Paesi del G5 Sahel per

affrontare le sfide nella regione. Una Cellula Consultiva e di Coordinamento Regionale

(Regional Advisor and Coordination Cell – RACC)66, istituita all’interno dell’EUCAP Sahel

Mali, trasferirà gradualmente il personale da Bamako a Nouakchott. Questa decisione ha

inoltre assegnato 1,22 milioni di euro in più al bilancio della missione, portando il bilancio

totale a 68,15 milioni di euro per il periodo dal primo marzo 2019 al 14 gennaio 2021.

Il finanziamento aggiuntivo coprirà i costi del RACC e del personale addetto alla sicurezza

all’interno della missione a seguito del deterioramento della situazione della sicurezza nel

centro del Paese. L’EUCAP Sahel Mali e stata istituita il 15 aprile 2014 e la prima fase della

regionalizzazione è stata concordata dal Consiglio il 20 giugno 2017.

66 Già nel Consiglio Affari Esteri del 18 febbraio 2019 erano state adottate nuove misure a sostegno della sicurezza nella regione saheliana. L’UE sostiene gli sforzi dei Paesi del G5 Sahel nella lotta contro il terrorismo, la criminalità organizzata e qualsiasi altra minaccia alla pace e alla sicurezza. Intende potenziare il proprio approccio regionale nel Sahel al fine di sostenere la cooperazione transfrontaliera e le strutture di cooperazione regionale e, in questo contesto, rafforzare le capacità nazionali dei Paesi del G5 Sahel. La stabilità nella regione del Sahel è inoltre cruciale per la sicurezza europea. Il Consiglio ha deciso di rendere maggiormente efficaci, a livello regionale, le attività delle missioni PSDC dell’UE nel Sahel, EUCAP Sahel Mali, EUCAP Sahel Niger e EUTM Mali, approvando un concetto operativo congiunto civile-militare sulla regionalizzazione dell’azione PSDC nel Sahel. Ciò implica che il processo di regionalizzazione entrerà adesso nella seconda fase. La prima fase della regionalizzazione delle missioni PSDC nel Sahel e stata approvata dal Consiglio il 20 giugno 2017. Essa prevedeva l’istituzione di una cellula di coordinamento regionale (RCC) all’interno di una delle missioni civili dell’UE, EUCAP Sahel Mali. La cellula di coordinamento regionale comprendeva una rete di esperti in materia di sicurezza interna e di difesa dispiegati nel Mali ma anche nelle delegazioni dell’UE in altri Paesi del G5 Sahel (Mauritania, Burkina Faso, Niger e Ciad). Nella seconda fase, approvata a febbraio dal Consiglio, si è deliberato quanto segue:

La cellula di coordinamento regionale ha preso una nuova denominazione: Cellula Consultiva e di Coordinamento Regionale (RACC), e sarà rafforzata. La struttura di comando e controllo sarà spostata da Bamako a Nouakchott e la sua rete di esperti in materia di sicurezza interna e di difesa, con sede presso le delegazioni dell’UE in cinque Paesi, sarà ampliata. La RACC sosterrà, tramite consulenze strategiche, le strutture e i Paesi del G5 Sahel, in sinergia con programmi finanziati dalla Commissione e in una prospettiva incentrata su un approccio integrato. Le attività della cellula sono intese a rafforzare le capacità regionali e, se del caso, nazionali del G5 Sahel, in particolare a sostenere l’operatività delle componenti militare e di polizia della forza congiunta del G5 Sahel allo scopo di facilitare e migliorare la cooperazione transfrontaliera regionale nel settore della sicurezza e della difesa

EUCAP Sahel Mali e EUCAP Sahel Niger potranno svolgere attività puntuali e mirate di consulenza strategica e formazione in altri Paesi del G5 Sahel. EUTM Mali sostiene già l’operatività della forza congiunta del G5 Sahel presso la sua sede centrale (ubicata in Mali, Mauritania, Niger e Ciad). Essa può fornire caso per caso attività di formazione al di fuori della sua zona della missione

Nel medio e nel lungo termine, la funzione di centro di coordinamento sarà trasferita da Bruxelles alle strutture del G5 Sahel. Il centro di coordinamento è un meccanismo che dal novembre 2017 opera sotto la responsabilità dello Stato maggiore dell’UE e fornisce un quadro delle necessità della forza militare congiunta del G5 Sahel nonché delle potenziali offerte di sostegno militare da parte degli Stati membri dell’UE e di altri donatori. È un forum a disposizione della forza congiunta del G5 Sahel che consente di associare le offerte alle necessità e propone soluzioni per evitare doppioni. La sua portata e stata ampliata all’inizio del 2019 al fine di includere le necessità e offerte relative alla componente di polizia.

47

Programmi EUTF nella Finestra Sahel e Regione del Lago Ciad e Fondo

Africa italiano.

La Commissione Europea precisa che le attività del Fondo sono focalizzate sui

seguenti aspetti:

- Programmi di sviluppo economico per colmare le carenze di competenze e migliorare

l’occupabilità attraverso la formazione professionale e sostenere la creazione di posti di

lavoro e le opportunità di lavoro autonomo, con particolare attenzione al rafforzamento

delle micro, delle piccole e delle medie imprese. Tutto ciò perché si parte dalla

constatazione che l’esclusione economica e sociale, l’emarginazione e le disuguaglianze

sono tra i principali fattori alla base della violenza, degli spostamenti coatti, ergo della

migrazione illegale67.

- Rafforzamento della resilienza per migliorare la sicurezza alimentare e nutrizionale, in

particolare per i più vulnerabili, nonché per i rifugiati e gli sfollati interni.

- Migliorare la governance e la gestione della migrazione, anche affrontando i fattori

trainanti della migrazione irregolare, rimpatrio effettivo, riammissione e reintegrazione,

protezione internazionale e asilo, migrazione legale e mobilità e potenziando le sinergie

tra migrazione e sviluppo.

- Sostenere i miglioramenti nella governance generale, in particolare attraverso la

prevenzione dei conflitti, adottando misure atte ad arginare le violazioni dei diritti umani

e promuovendo lo stato di diritto

Nelle più recenti riunioni del Consiglio di Amministrazione del Fondo sei aree prioritarie

sono state prese in considerazione per la finestra Sahel e Lago Ciad: ritorno e

reintegrazione; gestione dei rifugiati; completamento dei progressi relativi alla sicurezza dei

documenti e del registro civile; misure anti-tratta; sforzi di stabilizzazione nel Sahel; dialoghi

sulla migrazione.

Il duplice metodo adottato specificamente per la finestra del Sahel e del Lago Ciad è

finalizzato da una parte a prevenire la migrazione irregolare e lo sfollamento forzato e

facilitare una migliore gestione e rimpatri della migrazione e dall’altra parte a costruire un

approccio globale per la stabilità, la sicurezza e la resilienza.

67 Vi sono diverse concause della migrazione irregolare, che vanno dalla pressione demografica alla povertà estrema, insufficiente capacità di resilienza rispetto alle crisi alimentari e agli shock ambientali, debole infrastruttura sociale ed economica, fragilità istituzionale e governance inadeguata, insicurezza e, in alcuni casi, conflitto aperto, terrorismo o estremismo violento.

48

Nel 2016 181.000 migranti hanno raggiunto le coste italiane, la maggior parte dei quali

essendo passati dal Ciad e dal Niger. La maggior parte di costoro era proveniente dall’Africa

Occidentale, figurando tra i primi dieci Paesi di origine Nigeria, Guinea, Costa d’Avorio,

Gambia, Senegal e Mali. Il loro attraversamento del Sahel e del Sahara lungo la rotta del

Mediterraneo centrale li ha esposti a sfruttamento, violenze e torture.

L’azione dei programmi EUTF si svolge proprio lungo questo percorso, nel tentativo in

primo luogo di migliorare le condizioni di vita nelle regioni ad alto potenziale migratorio

attraverso lo sviluppo di opportunità economiche e occupazionali al fine di prevenire la

migrazione irregolare e facilitare il reinserimento; in secondo luogo le iniziative si articolano

nei Paesi di transito, rafforzando le capacità delle autorità nazionali di combattere contro i

trafficanti e di controllare meglio le proprie frontiere.

Le azioni chiave finora supportate dal Fondo fiduciario includono le seguenti direttrici:

- Aiutare le persone a lasciare la Libia, con 49.000 rimpatri volontari assistiti e oltre 4.000

evacuazioni finora.

- Sostegno alla gestione della migrazione della Libia, del Marocco e della Tunisia.

- In Gambia 25.000 persone beneficiano di un programma incentrato sulla coesione

sociale, l’occupazione nelle energie rinnovabili, l’ecoturismo e l’ammodernamento

dell’agricoltura.

- Un programma in Costa d’Avorio, in discussione con le autorità ivoriane, contribuirà alla

modernizzazione del sistema del registro civile.

- Nel Corno d’Africa il sostegno si e concentrato sulla sicurezza alimentare con oltre

300.000 persone che ne beneficiano e sull’aiuto all’occupazione, con le competenze

professionali di oltre 30.000 persone formate.

- Un programma nel Sud Sudan sta rendendo disponibili oltre 28.000 insegnanti della

scuola elementare in quasi 2.500 scuole con supplementi salariali che incoraggiano gli

insegnanti a rimanere in servizio e ad aumentare la loro frequenza, contribuendo così a

mantenere i bambini a scuola.

Affinché questi programmi cruciali continuino, sarà pertanto essenziale ricostituire il

Fondo fiduciario per il 2020. Ciò includerà necessariamente i contributi degli Stati membri e

la Commissione identificherà quindi esigenze precise.

Ad aprile 2019 la Commissione Europea ha adottato cinque nuovi programmi e tre

aggiunte a programmi in corso per un valore di 115,5 milioni di euro a titolo del Fondo per

integrare gli sforzi in corso nella regione del Sahel e del Lago Ciad.

49

Il Commissario per la Cooperazione Internazionale e lo Sviluppo, Neven Mimica, ha

dichiarato: “Nelle ultime settimane abbiamo assistito a un aumento delle violenze diffuse e

degli attacchi terroristici nella regione del Sahel e del Lago Ciad. Nuovi programmi e

integrazioni dell’UE a programmi esistenti per un valore di 115,5 milioni di euro saranno

ulteriormente rafforzare insieme alle nostre azioni in materia di sviluppo e sicurezza.

Contribuiranno inoltre a rafforzare la presenza dello Stato in aree fragili, a creare posti di

lavoro per i giovani e a proteggere i migranti in difficoltà. Al fine di continuare il buon lavoro

del Fondo fiduciario nel prossimo futuro, le risorse che esauriscono rapidamente devono

essere reintegrate”.

Con la situazione della sicurezza nel Sahel che diventa sempre più instabile, l’UE e

impegnata a proseguire la sua cooperazione a livello regionale e nazionale. Sosterrà i Paesi

del G5 Sahel (Burkina Faso, Ciad, Mali, Mauritania e Niger) nei loro sforzi per fornire una

risposta comune alle principali minacce transfrontaliere e alle esigenze di sviluppo

regionale. Altri 10 milioni di euro rafforzeranno le capacità di difesa e sicurezza del G5 Sahel,

mentre 2 milioni di euro sosterranno il coordinamento dell’Alleanza per il Sahel68. In Burkina

Faso, ulteriori 30 milioni di euro rafforzeranno l’attuale programma di emergenza del Sahel

per rafforzare l’accesso ai servizi sociali di base e favorire il dialogo con la comunità.

Altre misure rafforzeranno gli sforzi per proteggere i migranti, combattere la tratta di

esseri umani e migliorare la gestione della migrazione. Altri 30 milioni di euro serviranno a

proteggere i migranti e i rifugiati lungo la rotta del Mediterraneo centrale e cercare soluzioni

sostenibili nella regione del Sahel e del Lago Ciad. Aumenterà ulteriormente il numero di

migranti che beneficiano della protezione e del rimpatrio volontario garantendo nel

contempo il loro reinserimento sostenibile e dignitoso. In Ghana, 5 milioni di euro per lo

sviluppo delle capacità e le attrezzature rafforzeranno la gestione delle frontiere del Paese.

Due misure mirano specificamente a sviluppare opportunità economiche e di sviluppo.

In Ghana, nuove attività per un valore di 20 milioni di euro miglioreranno le prospettive di

lavoro e incoraggeranno la transizione verso economie verdi e resistenti al clima. In Mali,

ulteriori 13 milioni di euro sosterranno la creazione di posti di lavoro e la fornitura di servizi

pubblici statali nelle fragili aree di sicurezza intorno a Gao e Timbuctu.

A novembre 2018 cinque nuovi programmi del valore di €141 milioni sono stati avallati

per la regione del Sahel e del Lago Ciad.

A livello regionale, due programmi per un totale di 75 milioni di euro cercheranno di

rafforzare la stabilità e la partecipazione dei giovani nei Paesi del G5 Sahel (Burkina Faso,

68 Vedi infra.

50

Ciad, Mali, Mauritania e Niger). Un nuovo programma di emergenza da 70 milioni di euro

aumenterà l’accesso delle persone ai servizi sociali nelle zone di confine. Il programma e

stato progettato nell’ambito dell’Alleanza per il Sahel69 e risponde direttamente alle esigenze

espresse dai Paesi del G5 Sahel nell’ambito del Programma di investimenti prioritari. Altri 5

milioni di euro garantiranno l’attuazione della seconda fase del programma “Le voci dei

giovani nel Sahel”70, lanciato nel 2017 che contribuisce a integrare le organizzazioni giovanili

nei processi di progettazione e attuazione delle politiche di sviluppo e sociali.

Un nuovo programma da 7,6 milioni di euro in Niger rafforzerà ulteriormente la

protezione dei migranti sulle rotte migratorie e sosterrà le comunità ospitanti. Sempre in

Niger, il programma di sostegno al bilancio Ajusen (Sostegno alla giustizia e alla sicurezza

in Niger per combattere la criminalità organizzata, il contrabbando e la tratta di esseri

umani)71 in corso nei settori della giustizia, della sicurezza e della gestione delle frontiere

riceverà altri 10 milioni di euro per continuare nella stessa direzione.

In Senegal, un’iniziativa da 9 milioni di euro contribuirà a contrastare le reti criminali

collegate alla migrazione irregolare, al traffico di migranti e alla tratta di esseri umani e

rafforzerà la cooperazione regionale in questo settore.

In Costa d’Avorio, un nuovo programma del valore di 30 milioni di euro sosterrà gli

sforzi in corso del Paese per creare un sistema di registro civile coerente e solido che

contribuirà a migliorare la gestione delle politiche pubbliche, consentirà alle persone di

esercitare i loro diritti fondamentali e migliorerà l’accesso a servizi pubblici, compresa la

facilitazione del rimpatrio volontario e il reinserimento sostenibile dei migranti.

Sia lo Strumento di Cooperazione Tecnica (Technical Cooperation Facility)72 che copre

tutte le regioni del Fondo fiduciario sia il Research Evidence Facility sono stati rafforzati con

un importo aggiuntivo di 12 milioni di euro. In linea con l’approccio basato sull’evidenza

(evidence-based-approach), al fine di garantire interventi strategici ed efficienti, questo

finanziamento aggiuntivo faciliterà ulteriori studi e ricerche, nonché il supporto tecnico ove

necessario.

69 Vedi Infra. 70 Cfr. https://ec.europa.eu/trustfundforafrica/region/sahel-lake-chad/regional/la-voix-des-jeunes-du-sahel_en 71 Cfr. https://ec.europa.eu/europeaid/node/108683_pl 72 La Technical Cooperation Facility (TCF) è utilizzata per la fornitura di consulenze a breve termine per aiutare a

identificare, preparare, valutare, monitorare e controllare le azioni attuate dal Fondo fiduciario nonché le attività di comunicazione e visibilità. Può anche essere adoperata per commissionare studi collegati all’obiettivo del Fondo fiduciario. L’obiettivo generale e aumentare l’efficienza del Fondo fiduciario, attraverso un’assistenza tecnica l’identificazione, la formulazione, la valutazione, il monitoraggio e la comunicazione degli interventi del Fondo fiduciario, compresi audit e valutazioni.

51

I cinque programmi adottati oggi portano a 91 il numero totale di programmi adottati

dal dicembre 2015 per la regione del Sahel e del Lago Ciad, per un valore totale di 1,7

miliardi di euro.

I quasi due miliardi di euro dedicati alla finestra Sahel e Lago Ciad sono stati investiti

in varie tipologie di progetti. Se ne riportano alcuni esempi:

In Gambia con 13 milioni di euro e stato realizzato un progetto per sostenere l’impiego

lavorativo vicino casa dei giovani gambiani, così da ridurne la pressione migratoria nei

settori dell’agroindustria, dell’ecoturismo, dell’industria creativa e della tecnologia

dell’informazione. Il progetto ha supportato 2.000 giovani, migliorato le capacità di otto istituti

di formazione e assistito più di 650 piccole imprese.

In Burkina Faso con 30 milioni di euro un programma di rafforzamento della resilienza

delle comunità vulnerabili attraverso la sicurezza alimentare e nutrizionale ha già aiutato un

milione di persone, permettendo loro di diversificare i propri mezzi di sussistenza e creare

opportunità economiche per affrontare meglio ile sfide alle quali sono sottoposte.

Un programma trasversale (cross-regional) notevole in termini di risorse messe in

campo, aspettative, attese e attori coinvolti è quello della Iniziativa Congiunta UE/OIM per

la Protezione e il Reinserimento dei Migranti in Africa73, che, dotato di 350 milioni di euro,

ha fino a luglio 2019 sostenuto il rimpatrio volontario di oltre 58.000 migranti principalmente

dalla Libia e dal Niger, nonché da Mali, Mauritania e Gibuti. Nei Paesi di origine, l’iniziativa

comune ha fornito assistenza a oltre 74000 migranti, cui è stato assicurato il rientro in patria.

In Niger74 con 6 milioni di euro il piano di smantellamento delle reti criminali ha

permesso la costituzione di squadre investigative congiunte, mettendo assieme dodici

agenti di polizia nigerini e sei controparti europee (spagnola e francese). I Joint Investigation

Team, lavorando nella capitale, Niamey, e ad Agadez e Zinder, hanno potuto condividere

best practices e introdurre nuove moderne tecniche di indagine, con 246 trafficanti arrestati

e 33 reti di trafficanti di esseri umani smantellate.

Un programma del valore di cinque milioni di euro assai interessante è quello del

sostegno al rafforzamento dei sistemi di informazione della polizia nella grande regione

dell’Africa Occidentale75, che, attuato dall’Interpol, mira a rafforzare la capacità dei Paesi

73 EU-IOM Joint Initiative for Migrant Protection and Reintegration: https://migrationjointinitiative.org 74 Il Niger dipende più dai fondi di sviluppo che dalle rimesse. Del resto un Governo debole che affronta minacce interne

ed esterne ha un grande interesse per la cooperazione in materia di sicurezza con l’UE, motivo per cui Niamey e il principale destinatario dei fondi dell’EUTF all’interno della finestra regionale del Sahel e del Lago Ciad e un partner importante per l’UE come Paese di transito della migrazione irregolare che attraversa la Libia verso l’Unione Europea. I fondi europei stanziati per la sicurezza nigerina sono pari al 15 per cento del PIL del Niger, pari a 50 milioni di euro.

75 Cfr. https://ec.europa.eu/trustfundforafrica/region/sahel-lake-chad/regional/support-strengthening-police-information-systems-broader-west_en

52

del G5-Sahel76 di combattere la criminalità organizzata, la tratta e il terrorismo, sviluppando

o rafforzando la capacità delle amministrazioni nazionali di raccogliere, centralizzare, gestire

e condividere i dati forniti dalla polizia.

Il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI) nel Sahel

è impegnato in diversi progetti, come quello da 30 milioni di euro per la creazione di posti di

lavoro e opportunità economiche attraverso la gestione sostenibile dell’ambiente nelle zone

di transito e partenza in Niger. Questo progetto e incentrato sull’inclusione delle popolazioni

economicamente più vulnerabili (giovani, donne, disoccupati, famiglie rurali) attraverso lo

sviluppo di un’economia locale sostenibile adattata ai cambiamenti climatici nelle aree di

transito, partenza e rifugio nelle regioni di Agadez, Tahoua e Zinder.

Un altro programma di 5 milioni di euro in Burkina Faso concerne l’integrazione

socioeconomica e la stabilizzazione di giovani e donne nella provincia di Séno; un altro

progetto di ventimila euro ancora per sostenere la riduzione della migrazione attraverso la

creazione di occupazione rurale in Senegal, attraverso la creazione di villaggi e singole

fattorie.

L’Italia utilizza il proprio Fondo Africa77, avviato nel 2017 ovvero un Fondo straordinario

che finanzia iniziative nei Paesi d’origine e di transito dei migranti di: supporto tecnico,

76 Vedi Infra. 77 Legge di Bilancio 2017 (Legge 232/2016), Articolo 1, comma 621 (Fondo per l’Africa): “È istituito, nello stato di

previsione del Ministero degli Affari Esteri e della cooperazione internazionale, un Fondo con una dotazione finanziaria di 200 milioni di euro per l’anno 2017, per interventi straordinari volti a rilanciare il dialogo e la cooperazione con i Paesi africani d’importanza prioritaria per le rotte migratorie”. In particolare si rileva che: “Il Governo italiano in occasione della Conferenza ministeriale Italia-Africa del 18 maggio 2016 a Roma ha esplicitato i contorni della strategia italiana per l’Africa. L’Africa rappresenta un continente di opportunità, ma pone numerose sfide: quella della crescita demografica, di governare i flussi migratori, la sfida energetica, le crisi di sicurezza. A queste sfide occorre rispondere con una strategia di lungo periodo, in linea con quanto indicato dall’UE a La Valletta. Come chiarito dal Presidente Mattarella in occasione della Conferenza Italia-Africa, il fenomeno migratorio va affrontato “con un approccio multidimensionale” che tenga insieme la gestione dell’emergenza e la rimozione delle cause dei flussi migratori. L’approccio proposto dal nostro Paese prevede: strumenti immediati per contenere i flussi; strumenti di medio-lungo periodo per lo sviluppo e gli investimenti nei Paesi africani, allo scopo di affrontare in un quadro di partnership il fenomeno migratorio. Il Governo italiano è impegnato a rafforzare le intese sui rimpatri e per crearle dove ancora non sono in vigore, innanzitutto in Nigeria e Costa d’Avorio, in Senegal e Niger. Il Piano d’azione dell’UE della Valletta, adottata al termine dell’omonimo Vertice, tenutosi l’11 e 12 novembre 2015, si pone un insieme ambizioso di obiettivi: affrontare le cause profonde della migrazione adoperandosi per contribuire alla creazione di pace, stabilità e sviluppo economico; migliorare il lavoro di promozione e organizzazione di canali di migrazione legale; rafforzare la protezione dei migranti e dei richiedenti asilo, in particolare dei gruppi vulnerabili; contrastare in maniera più efficace lo sfruttamento e il traffico di migranti; collaborare più strettamente per migliorare la cooperazione in materia di rimpatrio e di riammissione. Anche l’UE a La Valletta ha lanciato un “Fondo fiduciario d’emergenza dell’UE per la stabilità e la lotta contro le cause profonde della migrazione irregolare e del fenomeno degli sfollati in Africa”, con una dotazione di 1,8 miliardi di euro provenienti dagli strumenti di finanziamento a carico del bilancio dell’UE, nonché dai contributi degli Stati membri e di altri donatori. L’Italia tramite il Migration Compact ha inteso contribuire alla politica migratoria dell’UE avendo come obiettivi la focalizzazione delle risorse e degli strumenti esistenti in direzione dei Paesi prioritari (in primis, dunque, i Paesi africani di origine e transito) e un miglioramento degli strumenti di governance: aggiornamento e potenziamento dell’Approccio globale in materia di migrazione e mobilità, sviluppo delle linee tracciate dal Piano d’azione della Valletta, dall’Accordo UE-Turchia e dai dialoghi che l’UE sta promuovendo a livello regionale (Processi di Khartoum e Rabat in particolare). Per quanto riguarda i principali strumenti dell’UE di dialogo regionale, il processo di Rabat, lanciato in occasione della prima conferenza interministeriale UE-Africa su migrazione e sviluppo tenutasi nel luglio 2006, riunisce i governi di 55 Paesi europei e africani (Africa settentrionale, Occidentale e Centrale) insieme alla Commissione Europea e alla Comunità economica degli Stati dell’Africa Occidentale (ECOWAS), e mira a intensificare il dialogo e la cooperazione tra Paesi d’origine, di transito e di destinazione lungo la rotta migratoria dell’Africa

53

formazione, assistenza nella lotta contro il traffico di esseri umani, sviluppo delle comunità

locali, informazione sui diritti umani e sui rischi di affidarsi ai trafficanti, protezione a favore

di rifugiati e di altre categorie vulnerabili di migranti, specialmente minori. Il Fondo Africa,

pur nella sua diversità, si integra con l’EUTF. Grazie al Fondo Africa, sono già stati finanziati

numerosi interventi in diversi Paesi africani di transito e di origine dei flussi, privilegiando il

sostegno alle organizzazioni internazionali competenti in materia migratoria, vale a dire OIM

e ACNUR. Il Fondo Africa è stato dotato di 230 milioni di euro in tre anni.

Un’iniziativa EUTF di rilievo e quella da 20 milioni euro, gestita dall’ Ufficio delle Nazioni

Unite dell’Alto Commissariato della Nazioni Unite per i Diritti Umani, volta al sostegno alle

forze di sicurezza dei Paesi membri del G5-Sahel per combattere l’impunità e rafforzare i

loro legami con le popolazioni, diffondendo una cultura giuridica più ampia.

Sempre nella finestra di nostro interesse il Fondo a settembre 2019 ha assistito oltre

93.150 persone nello sviluppo di attività generatrici di reddito e quasi 730.600 persone

hanno partecipato alle attività di prevenzione dei conflitti e di costruzione della pace.

Più in dettaglio grazie al Fondo fiduciario di emergenza dell’UE per l’Africa nella

regione del Sahel e del Lago Ciad, sono stati creati oltre 19.100 posti di lavoro e 27.775

persone hanno beneficiato della formazione professionale o dello sviluppo delle

competenze dal lancio dell’EUTF nel novembre 2015. Circa il 34 per cento del i posti di

lavoro creati hanno giovato alla gioventù. Nel primo trimestre del 2019, sono stati creati

3.604 posti di lavoro che hanno rappresentato un aumento del 23 per cento rispetto al totale

raggiunto fino a dicembre 2018. Questi sono alcuni dei principali risultati relativi

all’occupazione previsti dal secondo rapporto del Monitoring and Learning System (MLS)78,

che presentano risultati per la finestra del Sahel e del Lago Ciad fino al 31 marzo 2019 per

Occidentale. Il processo di Khartoum (iniziativa UE-Corno d’Africa in materia di rotte migratorie) è stato lanciato durante il semestre di presidenza italiana dell’Unione, nel novembre 2014, sulla falsariga del processo di Rabat, e coinvolge i Paesi d’origine e transito del Corno d’Africa (Sudan, Sud Sudan, Etiopia, Eritrea, Somalia, Gibuti e Kenya) e i principali Paesi di transito mediterranei (Egitto, Libia e Tunisia). A guidarlo, un comitato direttivo composto da cinque Stati membri dell’UE (Francia, Germania, Italia, Regno Unito e Malta) e cinque Paesi partner (Egitto, Eritrea, Etiopia, Sud Sudan e Sudan), nonché dalla Commissione Europea, dal SEAE e dalla Commissione dell’Unione africana. Si segnala, infine, che nello stato di previsione del MAECI, tra le priorità politiche indicate dal Ministro Gentiloni per il 2017 all’Amministrazione degli Affari Esteri, figura quella dei flussi migratori. A tale riguardo si legge: “La Farnesina dovrà contribuire, anche attivando il necessario raccordo tra le amministrazioni nazionali interessate, all’identificazione e introduzione di strumenti per la gestione di breve, medio e lungo termine dei fenomeni migratori, da cui in parte dipendono stabilità sociale e sostenibilità del progetto europeo, in un’ottica di contenimento dei flussi e integrazione dei migranti. In sede europea andrà data priorità ai seguiti delle proposte italiane del migration compact per un nuovo partenariato con l’Africa, mentre a livello multilaterale andranno promossi i principi della salvaguardia della vita umana, della lotta al traffico di esseri umani e della protezione dei migranti più vulnerabili, quali donne e minori. La nostra azione politico-diplomatica volta a promuovere stabilità in Africa e Medio Oriente dovrà accompagnarsi nei Paesi di origine e transito a una rinnovata azione di cooperazione allo sviluppo e a rinnovate prospettive di riammissione dei migranti irregolari”. Cfr. https://www.camera.it/temiap/2016/12/23/OCD177-2629.pdf

78 Il Monitoring and Learning System (MLS) misura l’avanzamento complessivo dei progetti realizzati nell’ambito della finestra del Sahel e del Ciad del Fondo fiduciario di emergenza dell’UE per l’Africa (EUTF) rispetto ai suoi obiettivi strategici nonché alle sue priorità regionali. Cfr. https://ec.europa.eu/trustfundforafrica/region/sahel-lake-chad/regional/monitoring-and-learning-system-eutf-sahel-and-lake-chad_en

54

10 dei 12 Paesi della regione (Burkina Faso, Camerun, Ciad, Gambia, Guinea, Mali,

Mauritania, Niger, Nigeria e Senegal). I prossimi rapporti includeranno i restanti Paesi.

Le attività di resilienza hanno contribuito a risultati significativi all’inizio del 2019. Più di

809.700 persone hanno ricevuto assistenza nutrizionale (screening della malnutrizione,

attività di sensibilizzazione sulle migliori pratiche nutrizionali e sostegno ai centri sanitari) e

circa 2.536.200 hanno beneficiato di un migliore accesso ai servizi di base.

Nel settore della gestione della migrazione nel primo trimestre del 2019 sono stati

compiuti progressi significativi. Quasi 68.300 migranti potenziali sono stati raggiunti da

campagne di informazione sulla migrazione e sui rischi legati alla migrazione irregolare, con

un aumento del 22 per cento dalla fine del 2018. A marzo, oltre 32.000 migranti hanno

beneficiato del rimpatrio volontario e quasi 59.670 hanno beneficiato dell’assistenza per il

reinserimento dopo l’arrivo. Insieme, la Nigeria e il Mali continuano a rappresentare una

parte significativa dell’assistenza alla reintegrazione fornita (42 per cento) anche se diversi

Paesi stanno registrando importanti aumenti come la Costa d’Avorio, con un aumento del

14 per cento nel primo trimestre del 2019. Dal Niger sono stati osservati i maggiori ritorni

volontari, pari all’ 86 per cento del totale, sebbene siano stati registrati aumenti significativi

in Mauritania che hanno raggiunto i 2.086 entro la fine di marzo (più del 120 per cento da

dicembre 2018).

Valori significativi sono stati osservati anche nell’ambito delle attività di governance e

prevenzione dei conflitti. Mentre 730.600 persone hanno partecipato alle attività di

peacebuilding, oltre 921 istituzioni e attori non statali hanno beneficiato della formazione in

queste aree. Risultati significativi si possono osservare in Ciad con 225.708 beneficiari solo

nel primo trimestre del 2019.

55

EUTF: aspetti innovativi e criticità intrinseche.

È importante che i progetti EUTF prevedano costantemente un monitoraggio, una

valutazione e un efficace processo di lessons-learned79.

Ciò nonostante il monitoraggio a livello di singoli progetti nonché l’aggregazione dei

risultati degli stessi non saranno sufficienti per valutare l’impatto nella sua interezza

dell’EUTF. Sarà inoltre necessario effettuare una valutazione più ampia di come il Fondo

fiduciario nel suo insieme stia contribuendo ai suoi vari obiettivi, nonché in che modo integri

o aggiunga valore alle strategie e agli strumenti dell’UE esistenti e in che modo influisca

sulle relazioni dell’UE con l’Africa.

In occasione del Consiglio “Affari Esteri” del 15 luglio 2019 i Ministri degli Affari Esteri

hanno discusso degli aspetti esterni della migrazione, convenendo sulla necessità di

intensificare gli sforzi, per affrontare la questione in modo più efficace. In particolare hanno

rilevato la necessità di aumentare le risorse finanziarie, segnatamente a favore del Fondo

fiduciario dell’UE per l’Africa. Sono stati dunque approvati 210 programmi per un valore di

circa 4,007 miliardi di euro (di cui circa 650 solo per i Paesi del Nord Africa).

Dalla discussione e emersa l’importanza di accelerare il reinsediamento delle persone che

necessitano di protezione internazionale. Hanno inoltre sottolineato la necessità di compiere

progressi sulla questione dello sbarco dei migranti salvati in mare, che è, come è noto, di

competenza dei Ministri della Giustizia e degli Affari Interni.

La portata e la gravità della crisi, l’instabilità nella regione e le difficoltà relative alla

fornitura di servizi di base, la mancanza di prospettive economiche per la popolazione locale

e le scarse capacità delle autorità nazionali richiedono ulteriori impegni finanziari e un

veicolo specifico per fornire sostegno di emergenza, specificamente adattato alle situazioni

di fragilità, in aggiunta agli strumenti di sviluppo tradizionali.

Effettivamente il Fondo fiduciario ha dotato l’UE di uno strumento innovativo e di alto

valore aggiunto, che non esprime ancora il suo potenziale: (i) consente l’effettiva messa in

comune delle risorse provenienti da varie fonti di finanziamento dell’UE in un unico

strumento, seguendo un quadro strategico condiviso, al fine di rispondere collettivamente a

le suddette sfide; (ii) fornisce all’UE e ai suoi Stati membri uno strumento rapido e flessibile

per ottenere risultati immediati e concreti in situazioni fragili e in rapida evoluzione; (iii) fa

leva sui contributi degli Stati membri dell’UE e di altri donatori, garantendo una maggiore

79 Cfr. SOAS A Rapid Review of the European Union Emergency Trust Fund for Africa Research and Evidence Facility, Londra https://search.soas.ac.uk/go/?rt=1570383755920&docId=024de13b37244d92a7e47be298ab2e1f&queryId=ae247a5a056049038a196010b15dc239

56

coerenza, riducendo il rischio di frammentazione degli aiuti e garantendo una nuova

ottimizzazione di mezzi e capacità; (iv) fornisce all’UE una piattaforma per una maggiore

visibilità politica e un maggiore impegno con i Paesi di origine e di transito, dimostrando la

capacità dell’UE di sviluppare una solida risposta collettiva a tali sfide; (v) garantisce un

maggior grado di coordinamento e un approccio più integrato e completo basato su maggiori

ricerche, raccolta e analisi dei dati. Di per sé, nessuno degli attori e degli strumenti

attualmente disposti a contribuire alla stabilità della regione sarebbe in grado di mobilitare

le risorse umane, finanziarie e basate sulle conoscenze necessarie per progettare e attuare

una strategia per l’intera regione.

Tutto ciò basandosi sulle lezioni-apprese dalle precedenti crisi e sulla necessità di

coordinare meglio i programmi di ricostruzione/sviluppo e la costruzione di capacità

nazionali e locali con la risposta umanitaria come parte del processo Linking Relief,

Rehabilitation and Development (LRRD)80.

La cooperazione allo sviluppo contribuisce già in larga misura ad affrontare le cause

profonde della migrazione e l’attuale programmazione dell’UE in Africa già sostiene i partner

africani nell’affrontare una serie di questioni particolarmente urgenti, sicché l’EUTF

costituisce uno strumento aggiuntivo per aiutare i Paesi più fragili e maggiormente colpiti. Il

Fondo fiduciario opera in regime di sussidiarietà81 e di complementarità con altri strumenti

e / o donatori dell’UE. Colma le lacune in termini geografici o tematici non coperte da altri

strumenti (o altri partner di sviluppo, compresi gli Stati membri dell’UE), ad esempio

prendendo di mira azioni in settori che non sono sotto il controllo delle autorità nazionali,

bensì da attori non statali spesso legati al terrorismo internazionale, Non-State Actors

(NSAs).

L’EUTF istituisce nuove procedure di governance che si discostano dalle normali e

regolari procedure decisionali, mostrando in tal modo perplessità e scetticismo all’interno

dell’Unione Europea (UE) quanto alla cooperazione con i Paesi terzi. Di conseguenza le

procedure EUTF dovrebbero essere viste come eccezionali o guidate dall’emergenza,

cercando di valutare bene il reale valore aggiunto rispetto alle forme tradizionali di

cooperazione allo sviluppo.

La giustificazione da parte dei decisori politici di uscire dal bilancio dell’UE e data dalla

necessità di strumenti di finanziamento più flessibili e rapidi per rispondere alle varie

80 L’approccio LRRD e una visione omnicomprensiva che lega senza soluzione di continuità le tre fasi dell’assistenza esterna ossia l’aiuto umanitario immediato, la ricostruzione post-bellica o post-calamità di medio termine e in ultimo lo sviluppo di lungo termine.

81 Sussidiarietà: l’ente inferiore svolge un compito sussidiariamente al suo direttamente superiore.

57

emergenze al di fuori dei confini europei. A tale proposito, la Corte dei Conti Europea82

afferma che, rispetto agli strumenti tradizionali, l’EUTF per l’Africa pur fornendo un valore

aggiunto nella selezione e nell’avvio dei progetti, non differisce dagli altri tipi di progetti circa

la loro attuazione.

Atri detrattori ritengono che l’errore di fondo dei programmi EUTF sia la selezione degli

stessi destinatari: il finanziamento va a beneficiari capaci di migrare, piuttosto che a coloro

che, non essendo in grado di farlo, ne avrebbero invece maggiore bisogno.

Vero è che ciò che viene presentato come uno strumento di sviluppo non corrisponde

alle esigenze di sviluppo dei Paesi partner e, pertanto, non soddisfa i principi di

allineamento83 richiesti dalla cooperazione internazionale allo sviluppo minimizzando

qualsiasi ownerhsip dei programmi EUTF.

L’EUTF violerebbe i principi fondamentali di ownership e partnership, come indicato

nelle agende di Parigi e Accra.

Il principio alla base dell’EUTF, secondo il Servizio di Ricerca Parlamentare Europeo,

sarebbe quello per cui in linea teorica maggiori investimenti nell’assistenza allo sviluppo

forniranno un incentivo per le persone a restare a casa propria invece di emigrare,

sostenendo che la politica esterna dell’UE sulle migrazioni confermerebbe la nuova

importanza politica del nesso fra migrazione e sviluppo.

Si tenga conto ad ogni modo che una correlazione positiva tra migrazione e sviluppo

economico persiste fino a quando i Paesi non raggiungono un livello di medio reddito.

In effetti, sebbene motivato dal proposito di salvare le persone da un azzardato viaggio

verso l’Europa attraverso canali irregolari, la logica secondo cui lo sviluppo possa in sé

frenare la migrazione è ancora tutta da dimostrare.

Sebbene stabilisca un legame tra sviluppo e migrazione, l’UE non dovrebbe aspettarsi

una minore migrazione attraverso gli aiuti allo sviluppo, giacché l’assistenza finanziaria e

tecnica fornita non è in grado di gestire i movimenti migratori a lungo termine e di affrontarne

le cause strutturali, quindi è destinata al fallimento, a meno di una riformulazione della

politica migratoria europea nel suo complesso.

L’UE e i suoi Stati membri hanno pertanto deciso di adottare un approccio più

coordinato, olistico e strutturato circa la migrazione, massimizzando le sinergie e

adoperando tutti gli strumenti necessari a disposizione, compresi lo sviluppo e il commercio.

82 Vedi infra. 83 Tra i principi sanciti dalla Dichiarazione di Parigi del 2005 sull’Efficacia dell’Aiuto si definiscono Ownership e Alignement

come segue:

Ownership: i beneficiari fanno proprie le politiche di sviluppo.

Alignement: i donatori articolano le proprie attività sulle strategie di sviluppo e sui sistemi locali dei beneficiari.

58

Il paradosso portato dal Fondo è che vi è uno spostamento concettuale, passando

dall’idea della migrazione per lo sviluppo a quella dello sviluppo contro la migrazione.

In ultimo l’innegabile maggiore critica riguarda la “paura” soggiacente alla messa in

sicurezza e alla parallela esternalizzazione del controllo delle frontiere europee meridionali,

mascherata da aiuto allo sviluppo.

Indubbiamente la dinamica della migrazione nel Mediterraneo ha portato a un

riorientamento politico da un approccio ristretto, incentrato sul solo contenimento dei flussi,

verso una soluzione più ampia.

Molti progetti del Fondo fiduciario sono simili ai tipi di investimenti che già si fanno da

moltissimi anni nell’ambito degli strumenti di sviluppo tradizionali, peraltro con ben maggiori

finanziamenti e su una scala ben più ampia, i quali tuttavia non sembrano ridurre la

migrazione.

Diversi funzionari ritengono che il Fondo, dal momento che non e un “game changer”,

potrà solamente contribuire a meglio focalizzare l’attenzione sulle cause profonde delle

migrazioni e ad accelerarne l’attuazione dei progetti, ma che poi tale indirizzo non potrà fare

a meno di rientrare all’interno della normale cooperazione allo sviluppo europeo verso tali

regioni.

Sebbene ci siano poche speranze ragionevoli che il Fondo possa avere un impatto

sostanziale attraverso gli obiettivi molto ampi che si è prefissato, si desume facilmente che

vari attori abbiano altre aspettative nei confronti del Fondo. Diversi Stati membri lo

immaginano come uno strumento più diretto in particolare per quanto riguarda la gestione

delle frontiere, il rimpatrio e le riammissioni, che sono una delle principali preoccupazioni

dell’elettorato di alcuni Stati membri, tra cui l’Italia. È risaputo che gli Stati membri abbiano

esercitando forti pressioni sulla Commissione Europea, affinché il Fondo si traduca in rapidi

progressi in questi settori.

In molti Stati Membri ad occuparsi dell’EUTF sono la Presidenza del Consiglio, il

Ministero degli Interni e quello degli Esteri, la cui visione talvolta differisce rispetto a quella

dei soli Ministeri per lo Sviluppo.

La stessa divisione interna agli Stati Membri si riflette anche all’interno delle medesime

istituzioni europee: da una parte la Direzione Generale per la Migrazione e gli Affari Interni

(DG HOME)84 attenta ai rimpatri e alle riammissioni, dall’altra la Direzione Generale per la

Cooperazione e lo Sviluppo (DG DEVCO)85 invece più interessata a garantire l’equilibrio tra

84 Cfr. https://ec.europa.eu/info/departments/migration-and-home-affairs_it 85 Cfr. https://ec.europa.eu/info/departments/international-cooperation-and-development_it

59

gli obiettivi dell’EUTF e che i progetti rientrino nei criteri di comunicazione dell’assistenza

allo sviluppo (APS) del comitato di assistenza allo sviluppo (DAC) ) dell’Organizzazione per

la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE).

In verità la DG HOME traspone la sua preoccupazione per la sicurezza interna dell’UE

alla dimensione esterna della politica di migrazione e asilo. Pertanto, le prospettive della DG

HOME sulla migrazione tendono a essere a breve termine e incentrate sulle minacce alla

sicurezza europea. Ciò significa che le sue azioni mirano principalmente a limitare la

mobilità umana, nel tentativo di frenare l’immigrazione irregolare.

Lo scopo mal celato dell’EUTF e semplicemente quello di dimostrare al pubblico

europeo che i loro Governi, al di là dei vincoli del Parlamento Europeo e della stessa

Commissione Europea, hanno preso provvedimenti sulle migrazioni. Siamo nel reame della

retorica non più della politica: difatti il numero dei migranti che possono effettivamente

essere rimpatriati è infimo.

La narrazione relativa al Fondo fiduciario dell’Africa suggerisce che sia uno strumento

atto a “comprarsi la fiducia” dei Paesi beneficiari.

Allo stesso tempo e pur vero che il Fondo offre un’inedita opportunità di sperimentare

diversi modi di lavorare al di fuori dei limiti delle politiche di sviluppo finora note.

Vi sono due aspetti in cui l’EUTF offre un portato originale rispetto agli esistenti di

strumenti di cui e dotata l’UE: da un lato velocità e flessibilità e dall’altro il potenziale di

innovazione, ambedue assai validi per rispondere alla rapidità dell’evoluzione dello scenario

in cui viene applicato. Non va dimenticato che la costituzione del Fondo nel 2015 è stata

dovuta all’imperdonabile ritardo e all’incredibile miopia con cui sia gli Stati Membri sia le

istituzioni europee avevano guardato all’Africa fino ad allora, con la conseguenza di politiche

inadeguate e vaghe circa lo sviluppo dei Paesi interessati.

La caratteristica più rilevante data dall’EUTF, quale iniziativa ad hoc, e l’ottica

regionale, tale da affrontare le sfide transfrontaliere collegate. Gli annosi problemi dei Paesi

africani d’origine, di transito e di destinazione sono visti in senso transfrontaliero, aspetto

intrinseco ai flussi migratori, che non guardano ai confini statali.

Ad esempio attraverso il Fondo fiduciario è possibile concentrarsi geograficamente

sulle aree in cui si trovano i migranti. Queste sono in genere zone nelle quali i governi

nazionali hanno scarso interesse che i donatori vi lavorino o vi dedichino risorse, perché

preferiscono che gli aiuti non vadano ai cittadini di Paesi terzi momentaneamente stanziali

nei loro rispettivi Paesi.

60

In questo modo invece i progetti del Fondo fiduciario riescono ad aggirare le politiche

di esclusione, raggiungendo le popolazioni emigrate e rifugiate, di fatto emarginate dalle

stesse istituzioni del Paese di transito in cui si trovano in quel momento.

Proprio perché il Fondo fiduciario intende colmare quelle lacune, sia in termini

geografici sia tematici, non coperte con altri mezzi esistenti, esso ha anche il potenziale per

svolgere attività su una serie di questioni transfrontaliere che sono difficili da affrontare

attraverso la pletora degli altri strumenti esistenti, tra cui la tratta di esseri umani, l’assistenza

alle popolazioni migranti nelle aree di confine, che sono “terra di nessuno”, e la creazione di

condizioni per i migranti rimasti bloccati in un cul-de-sac, come in Libia per esempio, per

tornare a casa.

In questo senso e palese che l’assistenza allo sviluppo flessibile, adattiva e innovativa

è nella posizione migliore per essere efficace nei contesti complessi, incerti e mutevoli degli

Stati fragili, come molti di quelli inclusi nell’EUTF.

È possibile che - al di fuori delle restrizioni degli strumenti di sviluppo tradizionali -

l’EUTF possa offrire un’opportunità per tale esigenza d’innovazione e addirittura di

sperimentazione, utilizzando i suoi progetti relativamente modesti, per provare nuovi modi

di lavorare su alcune delle complesse questioni che cerca di risolvere.

È incoraggiante che le misure insite nell’EUTF siano volte a superare la natura

altamente frammentata della pletora d’iniziative europee inerenti alle migrazioni, svolgendo

teoricamente un ruolo centrale nel passaggio verso un quanto mai necessario approccio più

coerente alla questione.

È risaputo infatti che le numerose misure europee per la gestione della migrazione

generino inefficienza amministrativa e mancanza di coerenza rispetto alle priorità e agli

obiettivi.

Le posizioni più estreme dei detrattori dell’EUTF immaginano che questo politicizzi gli

aiuti a proprio vantaggio per tenere sotto controllo le migrazioni, subordinando in questa

maniera gli aiuti allo sviluppo alle prestazioni dei Paesi terzi in funzione delle loro capacità

di arginare le migrazioni (condizionalità dell’aiuto) in termini di contenimento, gestione delle

frontiere, rimpatrio e riammissione. Secondo costoro infatti l’Europa e i suoi Stati Membri

avrebbero scelto di scendere a patti con Stati corrotti che non rispettano i diritti umani, al

fine di sfruttarne al massimo il capitale politico-elettorale derivante, rischiando però di

foraggiare un ciclo di abusi e di repressione particolarmente allarmante, che in ultima istanza

alimenterebbe comportamenti illeciti anziché limitarne gli effetti in codesti Paesi.

61

Preoccupa l’impatto che l’EUTF potrebbe avere sul mancato rispetto dei diritti umani,

se i progetti di contenimento dei flussi migratori insisteranno a prevedere una cooperazione

serrata con Paesi che commettono violazioni sistematiche dei diritti fondamentali.

Tutti sono consapevoli che nelle misure europee poste in essere il rispetto dei diritti

umani, che dovrebbe sostenere tali azioni, rimane teorico e si traduce giocoforza solo

raramente in pratica, in ragione della volatilità dei contesti in cui vengono applicate.

62

Raccomandazioni e conclusioni

Per il quadro finanziario pluriennale dal 2021 al 2027 la Commissione propone di

integrare l’EUTF nel bilancio normale. Ciò sarebbe coerente nel senso che la creazione del

Fondo era giustificata in termini di risposta a un’emergenza, ma le sfide sottostanti sono di

lungo termine. La fusione del Fondo nel bilancio normale garantirebbe inoltre al Parlamento

Europeo una maggiore supervisione.

Sebbene inizialmente concepito come uno strumento di finanziamento temporaneo per

le emergenze, l’EUTF ha il potenziale per diventare la norma per la politica migratoria

esterna dell’UE, fungendo da modello per l’integrazione sistematica di tutti gli interessi legati

ai processi migratori dell’UE in seno all’azione esterna europea.

La forma futura dell’EUTF deve tener conto delle interazioni con tre importanti processi

europei e internazionali: i negoziati in corso sul prossimo quadro finanziario pluriennale,

l’attuazione dello United Nations Global Compacts for Migration and Refugees e ancor più

il futuro della cooperazione euro-africana.

Il Fondo fiduciario dell’UE dovrebbe riflettere i principi della coerenza delle politiche

per lo sviluppo sostenibile e della complementarità tra tutti gli attori dello sviluppo ed evitare

contraddizioni tra obiettivi di sviluppo e politiche di sicurezza, umanitarie e di migrazione

Premesso che la migrazione irregolare in Africa è una questione ampia e complessa,

che richiede una pianificazione a lungo termine e risorse considerevoli, lo scopo primario

dell’istituzione dello EUTF e sia di assicurare la stabilità dei flussi migratori tanto nei Paesi

di transito quanto in quelli di origine, sia di affrontare le cause profonde della migrazione

irregolare, così da proteggere gli sfollati in Africa, quale risposta rapida, flessibile ed efficace

a una situazione considerata di emergenza, laddove non lo è.

Si tratta di una contraddizione in termini, poiché le cause profonde delle migrazioni

sono strutturali e non congiunturali, come invece la Commissione Europea superficialmente

travisa attraverso la precedente definizione, dimostrandosi in buona sostanza impreparata

di fronte al fenomeno migratorio. Tali cause – push factor – sono molteplici: conflitti,

repressioni politiche, mutamento delle condizioni climatiche, difficoltà economiche, non

ultima la volontà di migliorare le proprie condizioni di vita.

Al contrario numerosi studi hanno dimostrato che fornire aiuti allo sviluppo a Paesi

economicamente deboli nella speranza di ridurre l’immigrazione clandestina e

controproducente e può persino causare una crescita della spinta migratoria. Ciò suggerisce

la necessità di riorientare alcuni degli obiettivi dell’EUTF e principalmente la sua strategia.

63

Tecnicamente il Fondo mette insieme eterogenee risorse dell’UE con contributi

provenienti dagli Stati Membri ad esso dedicati. Dopodiché il Fondo destina tali soldi a

progetti da implementarsi nei Paesi africani target da parte di una pletora di attori intermedi,

in particolare ONG e agenzie ONU, soprattutto OIM86 e ACNUR87, oltre che dai medesimi

Stati Membri finanziatori, la cui gestione riguarda peraltro ben il quaranta per cento dei

progetti approvati.

Le istituzioni europee con l’introduzione dell’EUTF non fanno che aggiungere un nuovo

strumento ad altri preesistenti riguardanti sempre le migrazioni, complicando ulteriormente

il ginepraio di misure in essere dedicate alla gestione del problema migratorio.

Molte ONG, think-tank e studiosi indipendenti hanno espresso dubbi sul Fondo,

sostenendo che la creazione dell’EUTF non e altro che un’esternalizzazione della politica

migratoria dell’UE e della sicurezza allocata a Paesi terzi. Infatti l’incomprensibile mancata

copertura mediatica delle attività dell’EUTF, il suo agire “discretamente” verso l’opinione

pubblica europea insospettisce e suscita il dubbio che, se in molti venissero davvero a

sapere quante risorse vengono impiegate e in quale modo in Paesi la cui governance

critichiamo continuamente, l’ambiguità derivante metterebbe molti decisori politici in

difficoltà.

Secondo i suoi maggiori detrattori l’EUTF soffre di mimetismo: mentre la Commissione

Europea enfatizza il successo di rimpatri, riammissioni e reintegrazione, sostenendo che la

finalità sia quella di migliorare la situazione umanitaria nel Mediterraneo, altri ritengono che

l’EUTF contribuisca seriamente a spostare la frontiera fra Africa ed Europa non più in mare,

fra Italia e Libia, bensì nei Paesi di transito ovvero nel Sahara e nel Sahel, facendo venire

meno la separazione che notoriamente esiste fra ambito umanitario di gestione delle crisi

transitorie ed emergenziale e cooperazione allo sviluppo convenzionale di lungo termine,

creando una zona grigia intermedia di difficile interpretazione.

La cosa più preoccupante non è solo in termini di metodologia, quanto soprattutto di

rischi di azioni unilaterali che si palesano all’orizzonte ben oltre i criteri del partenariato fra

Africa ed Europa. A ben vedere i progetti EUTF non sono basati sui principi dello sviluppo,

bensì sulla negoziazione di interessi squisitamente ed esclusivamente europei, che

rischiano, in quanto tali, di condizionare l’aiuto a politiche migratorie restrittive. Oltre alla

questione della suddetta possibile condizionalità dell’aiuto al ribasso, il ruolo della società

civile dei donatori e dei beneficiari è ai minimi termini: così come a livello locale le

86 Cfr. https://www.iom.int/ 87 Cfr. https://www.unhcr.org/

64

organizzazioni della società civile sono marginali nelle decisioni politiche e usate come

semplici realizzatrici dei progetti, altrettanto si può dire delle ONG europee che li

implementano.

Infatti il finanziamento dell’EUTF viene ampiamente reindirizzato da altri strumenti di

aiuto dell’UE, incluso il Fondo Europeo di Sviluppo (FES), monitorato più attentamente88.

Ciò minaccia l’accountability89 e la trasparenza dell’iniziativa, correndo il rischio di escludere

le parti interessate africane nei processi decisionali. Peggio ancora, l’EUTF potrebbe non

offrire incentivi adeguati ai Paesi africani per cooperare, mettendo in discussione la sua

efficacia complessiva come strumento di sviluppo.

L’EUTF dovrebbe focalizzare maggiormente l’attenzione sui conflitti e le crisi

umanitarie che costringono le persone a fuggire, con l’obiettivo principale di salvaguardare

i diritti umani dei civili africani. Inoltre i finanziamenti stanziati tramite l’EUTF dovrebbero

essere sottoposti a un attento monitoraggio secondo gli standard del FES. Quanto alla

collaborazione con i governi dei Paesi di transito e di origine, sarebbe opportuno rivolgere

maggiori risorse sull’istituzione di rotte migratorie sicure e legali, potenzialmente attraverso

programmi di liberalizzazione dei visti, nonché tariffe ridotte sui trasferimenti per le rimesse.

Tali modifiche allineerebbero l’EUTF ai valori europei e lo renderebbero più marcatamente

come iniziativa di sviluppo.

Un’altra critica concerne lo sbilanciamento a favore della sicurezza frontaliera e sui

ricollocamenti delle persone attraverso uno spropositato finanziamento rivolto a progetti di

contenimento relativamente alla gestione delle frontiere, a iniziative anti-contrabbando e

all’incoraggiamento degli Stati africani ad accettare i rimpatri, grazie ai lauti finanziamenti

che sono loro accordati.

Forse le critiche sono esagerate, perché solo il quindici per cento dei progetti finanziati

dal Fondo si limita alla sicurezza, devolvendo dunque denaro alle forze di sicurezza

africane, comunque secondo alcuni da considerarsi sempre come una fonte di potenziale

conflitto in Paesi non democratici.

L’eterogeneità degli Stati africani in oggetto non aiuta a dirimere la complessità della

questione. In Somalia, Eritrea, Sud Sudan, Nigeria, Gambia, Guinea (in quanto Paesi

88 Il finanziamento dell’EUTF dovrebbe essere soggetto alle stesse regole di controllo, monitoraggio e gestione per i Paesi partner così come avviene per il FES e per tutti gli altri fondi europei di aiuto allo sviluppo. Il Parlamento Europeo dovrebbe poter controllare e supervisionare le attività del Fondo, così da garantirne la trasparenza, e allo stesso tempo i responsabili politici e la società civile africani andrebbero meglio integrati nei processi decisionali, a condizione di ingaggiarli sul terreno delle loro reali preoccupazioni ossia prevedere rotte migratorie legali e sicure, liberalizzare i visti per motivi di studio e lavoro, facilitare i trasferimenti finanziari delle rimesse.

89 I beneficiari e i donatori sono vicendevolmente responsabili per i progressi conseguiti per l’efficacia degli aiuti e per i risultati ottenuti in termini di sviluppo.

65

d’origine) e Costa d’Avorio, Mali, Senegal, Sudan, Etiopia e Marocco (in quanto sia Paesi di

origine sia di transito), esiste un notevole enfasi sulla cooperazione allo sviluppo, mentre

nei soli Paesi di transito (Libia, Niger, Ciad, Gibuti, Burkina Faso e Mauritania), l’enfasi sulla

gestione della migrazione e i progetti in materia di sicurezza sono maggiori, rappresentando

quasi la metà del bilancio loro assegnato.

I mezzi per gestire una migrazione più ordinata comprendono gli aiuti necessari per gli

insediamenti di rifugiati al fine di evitare trasferimenti secondari, ma soprattutto facilitare

l’accesso alla migrazione legale, non dunque fare il lavaggio del cervello alle persone che

intendono migrare, mascherandolo come forma di solidarietà internazionale. Alcuni critici

parlano di esternalizzazione delle politiche migratorie come espediente politico di quei

decisori che non sanno considerare l’immigrazione un’opportunità, bensì un problema.

Urge quindi prendere seriamente in considerazione i vettori della migrazione

irregolare, esplicitando una vera politica di azione esterna europea che ponga fine ai conflitti

in corso.

Tutte le azioni sostenute dall’EUTF dovrebbero contribuire in modo dimostrabile e

tangibile alla riduzione della povertà e al rafforzamento delle capacità di resilienza della

comunità oggetto dei progetti del Fondo specialmente nei Paesi di transito. Le aree in cui

tali azioni si sovrappongono alla prevenzione della migrazione forzata includono un

maggiore accesso ai servizi pubblici locali (sanità e istruzione), le pratiche di good

governance e le iniziative anticorruzione. Ulteriore assistenza umanitaria dovrebbe essere

diretta ai campi profughi nei Paesi di origine e di transito, in modo da attenuare i trasferimenti

(relocations) secondari.

Concludendo, sin dalla sua costituzione l’EUTF si presenta come uno strumento

controverso, in termini di finalità, metodi e attuazioni, giacché nato per sopperire a una

emergenza, che tale non si è rivelata. La fisionomia emergenziale del Fondo non potrà che

adeguarsi alla natura strutturale delle sfide, alle quali è chiamato a rispondere in funzione

del mutevole approccio dell’UE in materia di migrazione, sicurezza e sviluppo.

66

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70

NOTA SUL Ce.Mi.S.S. e NOTA SULL’AUTORE

Ce.Mi.S.S.90

Il Centro Militare di Studi Strategici (Ce.Mi.S.S.) è l'Organismo che gestisce, nell'ambito e

per conto del Ministero della Difesa, la ricerca su temi di carattere strategico.

Costituito nel 1987 con Decreto del Ministro della Difesa, il Ce.Mi.S.S. svolge la propria

opera valendosi si esperti civili e militari, italiani ed esteri, in piena libertà di espressione di

pensiero.

Quanto contenuto negli studi pubblicati riflette quindi esclusivamente l'opinione del

Ricercatore e non quella del Ministero della Difesa.

NOME E COGNOME AUTORE

Marco Massoni (PhD), africanista, è un analista politico indipendente

esperto di relazioni internazionali, docente universitario, consulente delle

Nazioni Unite, dell’Unione Europea e di numerosi think-tank.

90 http://www.difesa.it/SMD_/CASD/IM/CeMiSS/Pagine/default.aspx