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Marco Boscolo Bielo PRONTUARIO DELLE COSTRUZIONI ACCIAIO - CALCESTRUZZO ARMATO - LEGNO - MURATURA 2 a Edizione - Ottobre 2013

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Marco Boscolo Bielo

PRONTUARIO DELLECOSTRUZIONIACCIAIO - CALCESTRUZZO ARMATO - LEGNO - MURATURA

2a Edizione - Ottobre 2013

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a Bano Maset

Marco Boscolo Bielo è nato a Sottomarina di Chioggia (VE) il 27 Luglio 1967. Si è laureatocon lode in Architettura presso lo IUAV di Venezia nel 1993. Nello stesso anno inizia a collaborarealla didattica nella Facoltà di Architettura di Venezia in qualità di assistente per diverse areedel settore della tecnica delle costruzioni. È autore di numerosi articoli in riviste specializzatenel settore dell’Architettura e dell’Ingegneria e si dedica alla stesura manuali tecnici e libri distoria dell’architettura tecnica. Ha partecipato a convegni a livello nazionale e internazionale(IASS 96, XI-XII CTE, XVI BIBM, XV ANIDIS). Svolge attività di libero professionista nel campodella progettazione antisismica, architettonica, strutturale e nel restauro.Ha effettuato numerose docenze in relazione alle norme tecniche antisismiche, al restauro con-servazione manutenzione di materiali edilizi storici, presso Università, Enti Pubblici e Privati,Ordini Professionali e per conto di Legislazione Tecnica e ANIAI.Per Legislazione Tecnica ha pubblicato inoltre:

— Progettazione Strutturale - Significato e prassi della nuova normativa antisismica (2010);— Costruzioni antisismiche in muratura ordinaria e armata (2011);— Crollo e ricostruzione del Campanile di San Marco (2012);— Interventi su edifici esistenti – Responsabilità dei progettisti, Diagnostica, Tecniche di

progettazione (2012).— Vulnerabilità sismica degli edifici industriali (2012);— Vulnerabilità sismica degli edifici storici (2013);— Progettazione antisismica con le NTC (2013).

© Copyright Legislazione Tecnica 2013

La riproduzione, l’adattamento totale o parziale, la riproduzione con qualsiasi mezzo, nonché lamemorizzazione elettronica, sono riservati per tutti i paesi.

Finito di stampare nel mese di ottobre 2013 daLITOGRAFTODI s.r.l. - Todi (Perugia) - Tel. 075.898041

Legislazione Tecnica S.r.L.00144 Roma, Via dell’Architettura 16

Servizio ClientiTel. 06/5921743 – Fax 06/[email protected]

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Il contenuto del testo è frutto dell’esperienza dell’Autore, di un’accurata analisi della normativa e del contestotecnico e tecnologico. Le opinioni contenute nel testo sono quelle dell’Autore, in nessun caso responsabileper il loro utilizzo. Il lettore utilizza il contenuto del testo a proprio rischio, ritenendo indenne l’Autore daqualsiasi pretesa risarcitoria.

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PRESENTAZIONE

Vorrei far brevemente risaltare due elementi che ritengo importanti per trarreun giudizio immediato sull’opera: l’autore ed il titolo dell’opera.

L’AutoreL’architetto Marco Boscolo Bielo, supportato da una solida preparazione di

base sull’argomento derivante da una brillantissima carriera universitaria, è dotatodi un non comune rigore nell’analizzare le problematiche costruttive e possiedeuna poliedricità di interessi e conoscenze che lo fanno spaziare su molti campinelle materie architettoniche ed ingegneristiche. Unito al successo delle sueprecedenti opere, che costituisce dato oggettivo, posso aggiungere la notizia diuna capacità divulgativa, verificata sia attraverso le sue pubblicazioni, sia maturataed arricchita in numerose occasioni: in ambito universitario e con frequenti seminaripresso Ordini professionali e Master di aggiornamento per i professionisti; in tuttequeste occasioni si è potuto verificare, prima ovviamente tramite un passa parolaconsolidato nel tempo, e poi direttamente dai commenti dei partecipanti, lagenerale soddisfazione degli auditori per la facilità di presentazione delleproblematiche e per il corretto indirizzo alla risoluzione dei problemi.

Il titoloLa dizione «Prontuario delle costruzioni» con i suoi sottotitoli «Acciaio,

Calcestruzzo armato, Muratura, Legno» necessita di una precisazione:«prontuario» secondo un diffuso dizionario della lingua italiana viene definito come«Manuale contenente i dati o le nozioni più importanti relativamente ad unadisciplina, ordinati in modo da renderne agevole la ricerca e la consultazione»;quanto così definito si addice bene alla presente Opera, escludendo ciò che inquesta definizione possa sembrare limitativo in relazione alla completezza deicontenuti che invece spaziano tra le tipologie costruttive più in uso, come èpossibile evincere dalla sola lettura dell’indice.

Ritengo quindi che un manuale del genere possa essere di grande ausilioper ogni professionista del settore delle costruzioni, sia o meno dedito nella suaattività professionale alla progettazione delle strutture.

Sono certo che il Prontuario diverrà un ausilio «classico» per professionistie studenti con la consapevolezza che l’Autore, come sua intenzione, sarà sempresensibile ad ulteriori suggerimenti.

Ingegnere Pietro de PaolisDirettore Responsabile

«bollettino di legislazione tecnica»

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Calcolo di ponte ferroviario in acciaio di luce 36 m e altezza del montante centrale di 4,5 m.Da Camillo Guidi, Scienza delle Costruzioni - Teoria dei Ponti, Vincenzo Bona, Torino, 1943.

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Architetture & Strutture

È la collana di monografie, edita da Legislazione Tecnica e coordinata dall’Arch.Marco Boscolo Bielo, che affronta i temi dell’ingegneria strutturale ed antisismicanonché della progettazione, calcolo, verifica e consolidamento delle strutture.I testi, tutti caratterizzati da un approccio pratico ed orientato alla risoluzione deiproblemi, esaminano in modo congiunto le istanze della sicurezza strutturale conquelle della progettazione architettonica e della conservazione tipologica dimanufatti e costruzioni tradizionali, in una visione olistica e sempre proiettata airiflessi delle più moderne tendenze e tecnologie.

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INDICE

INTRODUZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21

1. AZIONI SULLE COSTRUZIONI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23

1.1 Il concetto di forza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23

1.2 Definizione di forza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24

1.3 Massa e forza-peso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 251.3.1 Massa1.3.2 Forza peso1.3.3 Differenza fra massa e forza peso

1.4. Cenni sulle operazioni vettoriali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28

1.5 Carichi agenti sulle costruzioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30

1.6 Normativa italiana relativa ai carichi agenti sulle costruzioni . . . . . . . . . . . . 311.6.1 Carichi permanenti1.6.2 Carichi variabili ed eccezionali1.6.3 Azione della neve

1.6.3.1 Valore caratteristico della neve al suolo1.6.3.2 Coefficiente di esposizione1.6.3.3 Coefficiente termico1.6.3.4 Coefficiente di forma μ per le coperture

1.6.3.4.1 Coperture a 1 o 2 falde μ1

1.6.3.4.1.1 Copertura ad una falda con o senza vento1.6.3.4.1.2 Copertura a 2 falde con o senza vento

1.6.4 Azione del vento1.6.5 Variazioni termiche1.6.6 Altre tabelle utili per la determinazione dei pesi propri

2. EQUILIBRIO DEI SISTEMI STRUTTURALI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49

2.1 Concetto e definizione di corpo rigido . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49

2.2 Traslazioni e rotazioni nel piano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49

2.3 I vincoli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52

2.4 Vincoli sufficienti, insufficienti, sovrabbondanti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55

2.5 Cenni di analisi cinematica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 572.5.1 Travi2.5.2 Portali

2.6 Azioni e reazioni nei vincoli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 642.6.1 Equilibrio alla traslazione verticale2.6.2 Equilibrio alla traslazione orizzontale2.6.3 Le condizioni di congruenza espresse dai vincoli2.6.4 Determinazione delle reazioni vincolari per via grafica ed analitica

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2.7 Applicazione delle condizioni di equilibrio alla traslazione nella soluzionedella trave isostatica con carico centrato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 70

2.8 Equilibrio alla rotazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71

2.8.1 Necessità di considerare una ulteriore condizione di equilibrio

2.8.2 La Bilancia di Archimede

2.9 Il momento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 74

2.10 La reazione vincolare al momento: la condizione di congruenza espressadall’incastro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 76

2.11 Le equazioni cardinali della statica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 77

3. SISTEMI ISOSTATICI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81

3.1 I sistemi staticamente determinati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81

3.2 Travi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 83

3.3 Triliti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 87

3.4 Travi appoggiate su supporti continui . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 89

3.5 Archi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 90

3.6 Isostaticità dei reticoli piani a maglia triangolare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 94

3.7 Soluzione dei reticoli piani a maglia triangolare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 97

4. TEORIA ELASTICA DEI MATERIALI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 100

4.1 Generalità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 100

4.2 La legge di Hooke . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 100

4.2.1 Dalle esperienze alla legge

4.3 La tensione normale σ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 103

4.3.1 La definizione

4.3.2 Il concetto

4.4 La deformazione unitaria longitudinale ε . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 106

4.4.1 La definizione

4.4.2 Il concetto

4.5 La legge di Hooke alla luce dei concetti di tensione e deformazione . . . . 108

4.6 Il modulo di Young . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 110

4.6.1 La definizione

4.6.2 Il concetto

4.7 La legge di Hooke espressa nelle relazioni carichi/allungamenti e tensioni/deformazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 112

4.8 Il coefficiente di Poisson . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 114

4.8.1 La definizione

4.8.2 Il concetto

4.9 I corpi elastici: modello e realtà . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 116

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4.10 Trazione e compressione semplici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 117

4.10.1 Le ipotesi

4.10.2 Tensioni di trazione e tensioni di compressione

4.11 Le caratteristiche di sollecitazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 118

4.12 Le ipotesi di de Saint Venant . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 123

5. LA FLESSIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 129

5.1 Generalità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 129

5.2 La flessione semplice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 129

5.2.1 Le ipotesi

5.2.2 Le deformazioni

5.2.3 Il legame fra tensioni e deformazioni

5.2.4 Posizione dell’asse neutro

5.2.5 Il legame fra sollecitazioni esterne (Momento Flettente M) e tensioni interne

5.3 Il concetto di Momento d’Inerzia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 139

5.4 Il legame fra sollecitazione esterna (M) e curvatura (1/r) . . . . . . . . . . . . . . . 141

5.5 IL modulo di resistenza elastico W . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 143

5.6 Flessione deviata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 143

6. IL TAGLIO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 145

6.1 Generalità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 145

6.2 Le tensioni tangenziali τ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 146

6.2.1 Il concetto

6.2.2 La definizione (ipotesi di distribuzione costante)

6.3 La deformazione tangenziale γ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 151

6.4 La relazione lineare fra le tensioni τ e le deformazioni γ . . . . . . . . . . . . . . . 151

6.5 Confronto e sintesi dello stato di deformazione normale e tangenziale . . . 152

6.6 La teoria elementare del taglio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 157

6.6.1 Le ipotesi

6.6.2 Equilibrio di un generico elemento

6.6.3 Il legame fra tensioni τ e sollecitazione esterna di taglio T

6.7 Il momento statico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 163

6.8 Costruzione dei diagrammi delle tensioni tangenziali . . . . . . . . . . . . . . . . . . 165

6.8.1 Sezione rettangolare

6.8.2 Sezioni a «T» e a «I»

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7. I SISTEMI IPERSTATICI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 169

7.1 L’insufficienza delle condizioni di equilibrio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 169

7.2 Necessità di considerare ulteriori condizioni per la soluzione dei problemi staticamente indeterminati: le condizioni di congruenza . . . . . . . . . . . . . . . . 171

7.3 La linea elastica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 172

7.3.1 Il concetto

7.3.2 Le rotazioni

7.3.3 Gli abbassamenti

7.4 I corollari del teorema di Mohr . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 179

7.5 La soluzione della trave iperstatica: esempi elementari ad una campata . 181

8. PROBLEMI DI INSTABILITÀ - COMPRESSIONE, TENSOFLESSIONEE PRESSOFLESSIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 184

8.1 La colonna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 184

8.2 Il concetto di equilibrio instabile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 186

8.3 Il concetto di carico critico e di tensione critica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 189

8.3.1 Determinazione del Carico Euleriano

8.3.2 La verifica per carico di punta secondo norma

8.4 Cenni sugli stati di sollecitazione composti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 193

8.4.1 Pressoflessione e tensoflessione

8.4.2 L’instabilità a pressoflessione

8.5 Il concetto di nocciolo centrale di inerzia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 195

8.5.1 Cenni sulla parzializzazione di sezioni costituite da materiali non resistenti a trazione

9. LE TENSIONI PRINCIPALI E LE LINEE ISOSTATICHE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 200

9.1 Il concetto di tensione principale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 200

9.2 Rappresentazione dello stato tensionale del punto mediante i circoli di Mohr 202

9.3 Il quadro tensionale offerto dalla lettura delle linee isostatiche . . . . . . . . . . 204

9.3.1 Le linee isostatiche

9.3.2 Isostatiche di un elemento compresso (teso)

9.3.3 Isostatiche di una mensola soggetta a flessione e taglio

9.3.3.1 Ipotesi di carico

9.3.3.2 Andamento delle isostatiche in una sezione

9.3.3.3 Andamento longitudinale di una isostatica

9.3.3.4 Quadro completo delle due famiglie di isostatiche di trazione

e di compressione

9.4 Isostatiche di travi appoggiate soggette a flessione e taglio . . . . . . . . . . . . 214

9.4.1 Trave appoggiata caricata in mezzeria

9.4.2 Trave appoggiata con due carichi concentrati simmetrici

9.4.3 Trave e mensola caricate uniformemente

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10. LA LETTURA STRUTTURALE ATTRAVERSO LE LINEE ISOSTATICHE . . . . . . . . . 217

10.1 Generalità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 217

10.2 L’effetto arco nella trave . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 218

10.3 L’arco e la spinta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 218

10.3.1 Un sistema compresso

10.3.2 La spinta sulle imposte

10.4 Archi e spinte nelle travi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 225

10.5 Lo schema del comportamento a traliccio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 227

11. LA TORSIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 232

11.1 Generalità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 232

11.2 Travi a sezione circolare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 233

11.3 Travi a sezione rettangolare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 237

11.4 Travi a sezione rettangolare allungata e composte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 239

11.5 Travi a sezione chiusa e parete sottile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 240

11.6 Instabilità flesso torsionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 242

11.6.1 Il momento critico Mcr

11.6.2 Lunghezza libera di inflessione Lcr per instabilità flesso-torsionale

11.7 Casi di elementi strutturali soggetti a torsione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 245

12. CRITERI DI RESISTENZA DEI MATERIALI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 247

12.1 Diagrammi tensione-deformazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 247

12.2 Tensione ammissibile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 248

12.3 Stati monoassiale, biassiale e triassiale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 249

12.3.1 Criterio di Grashof-Poncelet

12.3.2 Criterio di Henky-Huber-Von Mises

13. IL METODO SEMIPROBABILISTICO AGLI STATI LIMITE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 255

13.1 Considerazioni preliminari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 255

13.2 Modelli di valutazione della sicurezza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 257

13.3 Gli stati limite . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 260

13.3.1 Stati Limite di Esercizio (SLE)

13.3.2 Stati Limite Ultimi (SLU)

13.3.3 Verifiche

13.4 La valutazione della sicurezza nel DM 14.01.08 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 262

13.5 Caratterizzazione delle azioni elementari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 262

13.6 Combinazioni di carico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 264

13.7 Azioni nelle verifiche agli stati limite . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 265

13.7.1 Stati Limite Ultimi

13.8 Dalla resistenza caratteristica alla resistenza di progetto . . . . . . . . . . . . . . . 271

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14. L’ACCIAIO STRUTTURALE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 272

14.1 Generalità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 272

14.2 Tipi di acciaio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 272

14.3 Caratteristiche meccaniche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 274

14.4 Legami tensioni deformazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 275

14.5 La capacità rotazionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 276

14.6 Classificazione delle sezioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 276

14.7 L’acciaio in campo plastico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 278

14.8 Esempi di classificazione delle sezioni in acciaio secondo le tabelle delle NTC . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 278

14.9 Resistenze di calcolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 286

14.10 Il modulo plastico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 287

14.11 Valutazione del momento resistente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 290

14.12 Tipi di analisi ammessi per la capacità resistente delle sezioni . . . . . . . . . 291

14.13 Tipi di analisi globale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 294

14.14 Valutazione della sicurezza: verifiche secondo dm 14.01.08 e circ. 617/09 29514.14.1 Definizione degli stati limite

14.15 Verifiche allo Stato Limite Ultimo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29614.15.1 Resistenza delle membrature in campo elastico14.15.2 Resistenza delle membrature in campo plastico

14.16 Casi di verifiche allo Stato Limite Ultimo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29614.16.1 Trazione per sezioni integre14.16.2 Trazione per sezioni indebolite da fori14.16.3 Compressione14.16.4 Flessione monoassiale (retta)14.16.5 Taglio14.16.6 Verifica a taglio in termini elastici14.16.7 Taglio e flessione14.16.8 Torsione semplice14.16.9 Taglio e torsione14.16.10 Presso o tenso flessione retta14.16.11 Presso o tenso flessione biassiale14.16.12 Flessione, taglio e sforzo assiale14.16.13 Stabilità delle membrature

14.16.13.1 Aste compresse14.16.13.2 Limitazioni di snellezza14.16.13.3 Verifiche di instabilità delle anime a taglio14.16.13.4 Verifiche di instabilità flesso torsionale per elementi a

I ed a H14.16.13.4.1 Momento critico di instabilità flesso

torsionale Mcr

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14.16.13.4.2 La snellezza adimensionale λLT

14.16.13.4.3 Formule di verifica14.16.13.5 Metodi di verifica generale per instabilità laterale e flesso

torsionale14.16.13.6 Instabilità di membrature inflesse e compresse

14.16.13.6.1 Metodo A per elementi pressoflessi (C.4.2.4.1.3.3.1 Circolare 617/09)

14.16.13.6.2 Metodo A per verifica di instabilità flesso torsionale (C.4.2.4.1.3.3.1 Circolare 617/09)

14.16.14 Altri tipi di verifiche agli SLU

14.17 Verifiche agli Stati Limite di Esercizio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32714.17.1 Spostamenti verticali14.17.2 Spostamenti laterali14.17.3 Altri tipi di verifiche

14.18 Unioni bullonate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33114.18.1 Caratteristiche delle bullonerie14.18.2 Disposizioni dimensionali sui fori14.18.3 Tipi di collegamento14.18.4 Modalità di rottura dei collegamenti bullonati e ipotesi di calcolo

14.18.4.1 Verifica della rottura del gambo14.18.4.2 Verifica della rottura per rifollamento14.18.4.3 Verifica della rottura a trazione dei bulloni14.18.4.4 Verifica della rottura per punzonamento dei piatti14.18.4.5 Resistenza complessiva di un collegamento14.18.4.6 Resistenza combinata taglio trazione14.18.4.7 Esempio di distribuzione delle sollecitazioni in un

collegamento che trasmette taglio e momento14.18.5 Collegamenti bullonati con precarico

14.18.5.1 Unioni a taglio per attrito con bulloni ad alta resistenza

14.19 Saldature . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34714.19.1 Generalità14.19.2 Tipologie di saldature

14.19.2.1 Unioni con saldature a piena penetrazione (completa penetrazione)14.19.2.2 Unioni con saldature a cordoni d’angolo14.19.2.3 Unioni con saldature a parziale penetrazione

14.19.3 Resistenza delle saldature a cordoni d’angolo14.19.4 Spessori delle saldature in funzione degli elementi da saldare

14.20 Requisiti per la progettazione e l’esecuzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35414.20.1 Spessori limite14.20.2 Giunti misti14.20.3 Verniciatura e zincatura14.20.4 Durabilità14.20.5 Problematiche specifiche

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15. IL CALCESTRUZZO ARMATO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 356

15.1 Generalità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 356

15.2 Indicazioni negli elaborati progettuali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 358

15.3 Classe di resistenza e dimensioni dei provini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 358

15.4 Classe di consistenza (cono di Abrams) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 360

15.5 Diametro massimo degli aggregati (curva di Füller) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 363

15.6 Il rapporto acqua cemento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 36515.6.1 Regola di Lyse15.6.2 Legge di Abrams15.6.3 Valutazione del dosaggio applicando la legge di Abrams e la regola

di Lyse

15.7 Controlli nel calcestruzzo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 36815.7.1 Controlli di qualità15.7.2 Controlli di accettazione: prelievo dei campioni15.7.3 Controlli di Tipo A15.7.4 Controlli di Tipo B15.7.5 Prescrizioni comuni ai controlli di Tipo A e B15.7.6 Esempio di calcolo per un controllo di Tipo A

15.8 Caratteristiche meccaniche del calcestruzzo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37115.8.1 Resistenza caratteristica a compressione15.8.2 Resistenza di calcolo a compressione15.8.3 Resistenza media e caratteristica a trazione15.8.4 Resistenza di calcolo a trazione15.8.5 Modulo elastico15.8.6 Coefficiente di Poisson15.8.7 Coefficiente di dilatazione termica

15.9 Acciaio per calcestruzzo armato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37515.9.1 Acciaio in barre o rotoli: caratteristiche meccaniche15.9.2 Reti e tralicci elettrosaldati: caratteristiche meccaniche15.9.3 Controlli di accettazione in cantiere15.9.4 Tabelle di diametri e pesi per barre e reti elettrosaldate15.9.5 Resistenze di calcolo degli acciai da calcestruzzo armato

15.10 Aderenza acciaio calcestruzzo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 38115.10.1 Tensione tangenziale di aderenza acciaio - calcestruzzo

15.11 Modelli di comportamento del calcestruzzo armato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 38215.11.1 Definizione degli Stadi15.11.2 Tipi di analisi globale

15.11.2.1 Analisi elastica lineare15.11.2.2 Analisi plastica15.11.2.3 Analisi non lineare

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15.12 Resistenza a sforzo normale e flessione (elementi monodimensionali) . . . . 38415.12.1 Ipotesi di base15.12.2 Diagrammi di calcolo tensione-deformazione del calcestruzzo

15.12.2.1 Diagramma Parabola-Rettangolo15.12.2.2 Diagramma Rettangolo (Stress-Block)

15.12.3 Diagrammi di calcolo tensione-deformazione dell’acciaio15.12.3.1 Diagramma con curva bilatera elasto-plastica a ramo

orizzontale15.12.4 Verifiche delle sezioni allo stato limite ultimo

15.12.4.1 Esempio di verifica a flessione retta (sezione rettangolare)15.12.4.2 Formula approssimata di predimensionamento dell’armatura

tesa a flessione semplice15.12.4.3 Flessione retta nelle sezioni a T, L, I (Esempio di solaio

in laterocemento)15.12.4.4 Flessione retta nelle sezioni con ala appartenente a soletta

continua (Esempio di solaio in laterocemento)15.12.4.5 Pressoflessione deviata15.12.4.6 Verifica a flessione deviata15.12.4.7 Interpretazione delle formule di verifica a flessione deviata

e pressoflessione deviata15.12.4.8 Determinazione semplificata di MRd e verifica a

pressoflessione per sezione rettangolare15.12.4.9 Verifica semplificata a pressoflessione deviata per sezione

rettangolare15.12.4.10 Verifica semplificata a tensoflessione per sezione

rettangolare15.12.4.11 Pilastri compressi

15.12.4.11.1 Snellezza limite15.12.4.11.2 Determinazione di NRd di un pilastro

compresso con schema a biella15.12.4.12 Elementi tesi15.12.4.13 Dimensionamento a taglio

15.12.4.13.1 Il traliccio di Mörsch15.12.4.13.2 Verifiche di elementi con armatura trasversale

resistente a taglio15.12.4.13.3 Verifica di resistenza a taglio compressione15.12.4.13.4 Verifica di resistenza a taglio trazione15.12.4.13.5 Verifica globale di resistenza a taglio15.12.4.13.6 Armature longitudinali nella combinazione col

taglio15.12.4.13.7 Resistenza a taglio di elementi tozzi con

schema tirante - puntone15.12.4.14 Verifiche a torsione

15.12.4.14.1 Premesse inerenti alla cogenza di verifica a torsione

15.12.4.14.2 Il modello del comportamento a traliccio

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15.12.4.14.3 Calcolo della resistenza e condizioni di verifica

15.12.4.15 Sollecitazioni composte15.12.4.15.1 Torsione, flessione e sforzo normale15.12.4.15.2 Torsione e taglio

15.12.4.16 Verifica dell’aderenza tra barre di acciaio e calcestruzzo15.12.4.16.1 Considerazioni generali sull’aderenza15.12.4.16.2 Minimi di norma

15.13 Verifica agli Stati Limite di Esercizio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43415.13.1 Generalità15.13.2 Verifiche di deformabilità: valori pratici e modello semplificato15.13.3 Verifica delle vibrazioni15.13.4 Verifiche di fessurazione

15.13.4.1 Definizione degli stati limite di fessurazione15.13.4.2 Combinazioni di azioni, condizioni ambientali e classi di

esposizione15.13.4.3 Sensibilità delle armature alla corrosione, scelta dei limiti

di fessurazione15.13.4.4 Verifica allo stato limite di decompressione e di formazione

delle fessure15.13.4.5 Verifica allo stato limite di apertura delle fessure (metodo

tabellare)15.13.5 Verifica delle tensioni di esercizio

15.14 Verifiche per situazioni transitorie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 443

15.15 Regole di dettaglio esecutivo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44315.15.1 L’importanza del confinamento del calcestruzzo15.15.2 Armature delle travi

15.15.2.1 Armatura minima in zona tesa15.15.2.2 Armatura minima negli appoggi15.15.2.3 Armatura massima in zona tesa e compressa15.15.2.4 Staffatura minima

15.15.3 Armatura dei pilastri15.15.3.1 Barre longitudinali minime15.15.3.2 Staffatura minima

15.15.4 Copriferro15.15.5 Interferro15.15.6 Ancoraggi, giunzioni delle barre, legature15.15.7 Disposizioni di barre in gruppo15.15.8 Armatura a taglio15.15.9 Armatura a torsione

15.15.10 Legature e saldature delle barre15.15.11 Ancoraggi diretti sul calcestruzzo

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16. IL LEGNO STRUTTURALE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 457

16.1 Costruzioni a struttura portante in legno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 457

16.2 Utilizzo di materiali e prodotti a base di legno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 457

16.3 Proprietà dei materiali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45816.3.1 Legno massiccio16.3.2 Legno lamellare incollato

16.3.2.1 Generalità16.3.2.2 Il sistema di «certificazione»16.3.2.3 La classificazione

16.3.3 Legno strutturale con giunti «a dita» (o «a pettine»)

16.4 Pannelli a base di legno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 466

16.5 Durabilità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 466

16.6 Valutazione della sicurezza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 467

16.7 Tipi di analisi strutturale globale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 467

16.8 Classi di durata e carichi di servizio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 468

16.9 Classi di servizio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 469

16.10 Valori di una caratteristica meccanica del legno con il metodo sempiprobabilistico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 469

16.11 Verifiche agli Stati Limite di Esercizio (SLE) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47116.11.1 Generalità16.11.2 Valutazione dei moduli elastici E a tempo infinito16.11.3 Valutazione delle frecce16.11.4 Limiti di freccia16.11.5 Esempio di calcolo di frecce

16.12 Verifiche agli Stati Limite Ultimo (SLU) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47616.12.1 Ipotesi di base16.12.2 Trazione parallela alle fibre16.12.3 Compressione parallela alle fibre per elementi tozzi16.12.4 Azioni ortogonali alle fibre

16.12.4.1 Compressione perpendicolare alle fibre16.12.4.2 Trazione perpendicolare alle fibre

16.12.5 Compressione inclinata rispetto alle fibre16.12.6 Flessione16.12.7 Tensoflessione16.12.8 Pressoflessione per elementi tozzi16.12.9 Taglio16.12.10 Torsione16.12.11 Taglio e torsione16.12.12 Verifiche di stabilità

16.12.12.1 Instabilità flesso torsionale16.12.12.2 Instabilità di elementi soggetti a compressione semplice

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16.12.12.3 Instabilità di elementi soggetti a pressoflessione deviata16.12.12.4 Instabilità di elementi soggetti a pressoflessione retta

16.13 Collegamenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 496

16.14 Stabilità generale e controventamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 498

16.15 Robustezza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 498

16.16 Regole per l’esecuzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 499

17. COSTRUZIONI IN MURATURA PORTANTE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 500

17.1 Definizione di costruzioni in muratura portante . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 500

17.2 Elementi per murature . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 50017.2.1 Norme armonizzate e categorie17.2.2 Elementi artificiali17.2.3 Elementi naturali

17.3 Malte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 50317.3.1 Malte a prestazione garantita17.3.2 Malte a composizione prescritta

17.4 Parametri meccanici delle murature . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 50417.4.1 Determinazione sperimentale della resistenza caratteristica a

compressione17.4.2 Stima di progetto della resistenza caratteristica a compressione

17.4.2.1 Elementi artificiali pieni e semipieni17.4.2.2 Elementi naturali

17.4.3 Determinazione sperimentale della resistenza caratteristica a taglio17.4.4 Stima di progetto della resistenza caratteristica a taglio17.4.5 Resistenza caratteristica a taglio in presenza di sforzo normale17.4.6 Moduli di elasticità (E, G)

17.4.6.1 Determinazione sperimentale dei moduli di elasticità17.4.6.2 Stima di progetto dei moduli di elasticità

17.5 Tipologia delle murature e spessori minimi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 510

17.6 Muri di controventamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 512

17.7 L’«organizzazione scatolare» . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 513

17.8 La classe di esecuzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 516

17.9 La snellezza convenzionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 517

17.10 Analisi strutturale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 519

17.11 Resistenze di progetto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 521

17.12 Verifiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52117.12.1 Verifiche per edifici semplici (Tensioni Ammissibili)

17.12.1.1 Definizione di edificio semplice17.12.1.2 Verifica semplificata17.12.1.3 Verifica implicita

17.12.2 Verifiche agli Stati Limite (SLU)

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17.12.2.1 Pressoflessione nel piano del muro17.12.2.2 Pressoflessione fuori del piano

17.12.2.2.1 Metodo generico17.12.2.2.2 Metodo semplificato

17.12.2.3 Taglio per azioni nel piano del muro(rottura per scorrimento)

17.12.2.4 Taglio per azioni nel piano del muro(rottura per fessurazione diagonale)

17.12.2.5 Rottura per conseguenza di applicazione di carichi concentrati

17.12.2.6 Verifica di travi di accoppiamento

17.13 Regole esecutive di dettaglio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 543

APPENDICI

A - Sollecitazioni e spostamenti in alcuni casi elementari - Tabellario . . . . . . . . 545

B - Sagomario di profilati metallici normalizzati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 568

C - Geometria delle masse - Esempi di calcolo e tabelle . . . . . . . . . . . . . . . . . . 580

D - Metodo generale della Circolare 617/09 per la verifica ad instabilità laterale e flessotorsionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 599

E - Metodo B della Circolare 617/09 di verifica per elementi pressoflessi . . . . . 600

F - Bulloni ad alta resistenza precaricati per giunzioni ad attrito . . . . . . . . . . . . 603

G - Classificazione dei tipi di cemento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 605

H - Il calcestruzzo armato nel II° stadio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 607

I - Esempio di Dichiarazione di prestazione per laterizi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 615

L - Mappa di pericolosità sismica del territorio nazionale italiano secondo OPCM 3519/06 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 616

M - Coefficienti K per piastre in alcune condizioni di vincolo . . . . . . . . . . . . . . . 617

N - Stabilità dei pannelli soggetti a taglio - Par. C2.4.1.3.4.1 Circolare 617/09 . 619

BIBLIOGRAFIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 623

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INTRODUZIONE

Spesso mi trovo a sfogliare vecchi manuali di calcolo strutturale. I miei pensierivanno ai progettisti di alcuni decenni fa, i quali si trovavano dinnanzi alla necessitàdi sviluppare manualmente gli algoritmi necessari alla verifica di manufatti, a volteanche molto articolati. Penso ad esempio alla torre Eiffel o anche a meno notecostruzioni ma comunque degne di una qualche complessità, tipo grattacielinewyorkesi di (ormai) due secoli fa, o ponti in acciaio costituiti da tralicci. Inqualche caso, i vecchi manuali ne pubblicano i calcoli: un foglio che si ripiegasu se stesso all’interno del volume e che ne contiene la «soluzione», magarimediante un cremoniano.

Negli ultimi anni la diffusione del calcolo automatico assistito da pc haprofondamente cambiato il metodo di lavoro dei tecnici che si occupano diprogettazione edilizia. Ciò che in epoca passata costituiva parte integrantedell’attività del progettista, il calcolo, oggi è demandato ad una macchina. Ciòche in epoca passata era contenuto in un foglio, la relazione di calcolo, e magaridisposto pure in modo da ottimizzare il consumo di carta, oggi è «disperso» indecine, se non centinaia, di A4 stampati su un solo lato. In pratica non esistendopiù limiti di capacità di calcolo per gli elaboratori, per lo meno per quanto riguardale soluzioni della stragrande maggioranza delle costruzioni, si è dato via ad unabbondante utilizzo di questo mezzo e relativa stampante.

Dopo la recente entrata in vigore della nuova normativa tecnica per lecostruzioni, ovvero il DM 14.01.08, sembra che ormai l’attività di progettazionestrutturale non sia più prescindibile dal pc.

Chi scrive ricorda la prima calcolatrice che giunse in famiglia. Fu nei primianni ‘70, credo arrivasse dal porto di Livorno e la portò mio fratello. Nessunosi fidava di quel sinistro mezzo molto piccolo e con i numeri addirittura luminosi,per cui, presa carta e penna, controllavamo «a mano» i risultati delle operazionidigitate. Oggi quella scena appare ridicola. Eppure non più di tanto. A pensarcibene la stessa cosa mi capita spesso quando osservo i risultati del mio programmadi calcolo strutturale che risolve migliaia e migliaia di equazioni in pochi secondie mi mette a disposizione una serie di dati. È evidente che non c’è mente umanain grado di operare un controllo su tutte le singole operazioni. Il problema alloradiventa di ordine «filosofico»: a partire da una serie di dati di input ci si«attendono» una serie di risultati. Ma bisogna aver chiaro cosa ci si attende.

Ecco, questo libro nasce anche da questa esigenza: dare un contributo perfar sì che l’«attesa» di quei risultati sia quella «giusta», e non correre il rischiodi accettare apaticamente tutto ciò che esce dal nostro pc.

Credo che l’«aspettativa dei risultati» debba per forza essere ricondotta allacomparazione con schemi semplici. Come del resto viene non soltanto suggerito,ma reso obbligatorio da quanto contenuto all’interno del DM 14.01.08, nelcosiddetto «Giudizio motivato di accettabilità dei risultati» che dovrebbe essereriportato nelle relazioni di calcolo. Cita il Decreto: «tale valutazione consisterànel confronto con i risultati di semplici calcoli, anche di larga massima, eseguiticon metodi tradizionali e adottati, ad esempio, in fase di primo proporzionamentodella struttura».

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Vorrei però fugare nel lettore l’illusione che questa pubblicazione possa dasola sostituire lo studio della manualistica classica in materia di Statica, Scienzae Tecnica delle Costruzioni, della quale in bibliografia, per chi volesse approfondire,si trova solo una piccola parte. Ma proprio per l’immane disponibilità di testifondamentali e imprescindibili in materia, risulta impossibile raccoglierne una«summa» in un unico volume che si prefigge lo scopo di costituire uno strumentodi agile consultazione tecnica nel settore della progettazione strutturale. Moltomodestamente mi sono limitato a concentrare in questa pubblicazione aspettiteorici e pratici. I primi, mirati ad illustrare alcuni concetti fondamentali, i secondi,atti ad evidenziarne l’applicazione. Il testo risulta dunque concettualmentesuddiviso in due sezioni che occupano uno spazio espositivo di egualeconsistenza.

La parte teorica viene condotta con criterio ed approccio semplificato, tenendoin considerazione il fatto che il lettore possa essere un «neofita» della materia.Per questo motivo molti passaggi liquidabili in due righe di «linguaggio analitico»,in questo testo trovano ampia illustrazione e discussione mediante esemplificazionielementari, a volte anche di tipo intuitivo.

La parte applicativa recepisce il Metodo di Calcolo agli Stati Limite e neillustra ed esemplifica le procedure da eseguire per gli elementi strutturali inacciaio, calcestruzzo armato, legno e muratura portante. In definitiva il testo mostra«come e perché» applicare le «Norme Tecniche per le Costruzioni», relative alDM 14.01.08, e ne integra le carenze con le cosiddette «norme di comprovatavalidità» costituite dalla Circolare 617/09, dagli Eurocodici, dalle IstruzioniMinisteriali, dalle norme UNI e da quelle emanate dal CNR.

Marco Boscolo Bielo

AVVERTENZA

Ove le formule, le foto e le tabelle sono tratte dal D.M. 14.01.08 «Nuove Norme Tecnicheper le costruzioni» e dalla Circolare 02.02.09, n. 617 «Istruzioni per l’applicazione delle«Nuove norme tecniche per le costruzioni»», viene riportata tra parentesi quadrata [ ]la numerazione presente nelle due disposizioni con le abbreviazioni:

[NT] per le Norme Tecniche e[CNT] per la Circolare delle Norme Tecniche

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1AZIONI SULLE COSTRUZIONI

«Vive per violenza, e more per libertà. (...) Gran potenza le dà gran desiderio di morte.Scaccia con furia ciò che s’oppone a sua ruina. (...) Sempre desidera farsi debole e spegner-

si.(..) Nessuna cosa sanza lei si move. Nessuno sono o voce sanza lei si sente».LEONARDO DA VINCI

1.1 IL CONCETTO DI FORZA

Un postulato fondamentale per lo studio dei fenomeni fisici è il Principio di Inerzia, o PrimoPrincipio di Newton, il cui enunciato è il seguente.

Un corpo permane nel proprio stato di quiete o di moto rettilineo uniforme finché nonagisce su esso una qualche causa esterna.

Moto e quiete sono concetti relativi. Qualcuno se ne sarà reso conto dalla sensazione che siprova osservando, dal finestrino di un treno, il movimento di un treno vicino. Per qualcheistante si rimane incerti su chi compia in effetti il movimento: cioè se siamo noi che ci muoviamorispetto al treno vicino o, viceversa, se siamo noi fermi e il treno vicino si stia muovendo.L’incertezza cessa quando si ha un punto di riferimento: ad esempio quando sullo sfondo ciappare la stazione. In tal caso per ciascuno di noi è facile trarre le conclusioni.D’altro canto, se in questo momento stiamo comodamente seduti su di una sedia, e la nostraposizione è generalmente definita di quiete, non bisogna dimenticare che nello stesso istanteci stiamo muovendo rispetto all’asse terrestre e ancora rispetto al Sole. In particolare il motointorno all’asse terrestre avviene, con buona approssimazione, a velocità costante; lo stessodicasi per il moto della Terra intorno al Sole.Per quanto fin qui detto si può comprendere che se nell’universo esistesse un solo corpo, peresso non avrebbe senso alcuno parlare di quiete o di moto, ma la circostanza più interessanteè che la presenza di un altro corpo altera reciprocamente lo stato di quiete o di moto dientrambi i corpi. Così tutti i corpi nell’universo interagiscono fra loro modificando i proprimoti. A seconda della velocità, il moto di un corpo può essere di due tipi: uniforme, ovvero avelocità costante, e vario, ovvero a velocità variabile. La variazione di velocità, accelerazione,può a sua volta essere costante nel tempo, in tal caso il moto si dice uniformemente accele-rato.Se, come si è detto, la presenza nello spazio di più corpi, altera reciprocamente il loro moto,che per il Principio di Inerzia può non esservi (caso di quiete), o essere rettilineo uniforme,dobbiamo ammettere che esso provochi variazioni di velocità e quindi mutue accelerazioni.Le cause della variazione del moto 1 sono dette Forze. Nell’esperienza quotidiana, quando adesempio si sposta un oggetto da una posizione all’altra di un tavolo, si applica una forza inquanto variamo, per il Principio di Inerzia, e rispetto al sistema di riferimento tavolo, la posizionedi quiete. Così come se lasciamo cadere un corpo esso risulta soggetto alla forza gravitazionaleesercitata dall’accelerazione di gravità della Terra.

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1 E non semplicemente le cause del moto!

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1.2 DEFINIZIONE DI FORZA

Se un corpo di massa m si muove di moto accelerato rispetto ad un sistema di riferimento,e ad un certo istante la sua accelerazione è a, si dice che il corpo è soggetto alla forza:

F = m x a (1.1)

La relazione sopra scritta, che equivale al Secondo Principio di Newton, costituisce la defi-nizione di forza, che risulta così una grandezza con dimensioni:

[F] ≡ [m] [a] ≡ [M] [L] [T]-2 (1.2)

dove:[M] è il simbolo usato per indicare le dimensioni della massa: il kilogrammo;[L] è quello utilizzato per indicare le dimensioni della lunghezza: il metro;[T] rappresenta il simbolo utilizzato per indicare le dimensioni del tempo: il secondo.

Cioè 1 unità di misura della forza = 1 unità di misura della massa x 1 unità di misura del-l’accelerazione. Nel SI 2 l’unità di misura della forza è il newton e si indica con il simboloN. Si ha:

1 newton = 1 kg x 1 m/s2 (1.3)

Un newton è l’intensità di una forza che agendo su di un corpo di massa 1 kg gli imprimeun’accelerazione di modulo 1 m/s2.

La relazione (1.1) esprime anche la legge fondamentale della dinamica detta anche secondalegge di Newton.La forza è anche una grandezza vettoriale. Esistono infatti due tipi di grandezze: le grandezzescalari e quelle vettoriali.Le grandezze scalari sono identificate da un solo parametro: il modulo (o intensità) che esprimeuna quantità (un numero): appartengono a questa classe la lunghezza, il tempo, la massa ecc.Le grandezze vettoriali invece sono identificate da tre parametri: modulo, direzione e verso.Caratteristica grandezza vettoriale è la Forza: «Tentando di sostituire una determinata forzacon la pressione della sua mano (...), l’uomo ha acquistata la nozione di una certa qual gra-dazione nella intensità; ed ha dovuto anche convincersi che le forze non sono semplici grandezzescalari, in quanto non è affatto indifferente, dal punto di vista degli effetti che si producono,che la pressione della mano sia applicata in un punto del corpo su cui si sperimenta piuttostoche in un altro: in una piuttosto che in un’altra direzione» 3. Quindi, per le forze, occorreoltre che una informazione numerica relativa all’intensità, anche un’informazione relativa alladirezione (retta d’azione) e al verso (destra, sinistra, alto, basso, ecc.): la Figura 1.1 riportala rappresentazione grafica di una entità vettoriale.

Capitolo 1 - Azioni sulle costruzioni

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2 Il SI è la sigla utilizzata per indicare il Sistema Internazionale delle Unità di Misura.3 Gustavo Colonnetti, Scienza delle costruzioni, Torino, Einaudi, 1953, vol. I pagg. 5 e 6.

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Figura 1.1 - Rappresentazione grafica di una grandezza vettoriale

1.3 MASSA E FORZA-PESO

1.3.1 Massa

Nella (1.1) è stata introdotta la grandezza massa: nella formulazione del Sistema Internazionaledelle Unità di Misura viene definito il chilogrammo come la massa del prototipo internazionaleconservato al Pavillon de Breteuil (Sèvres). Il prototipo internazionale è un cilindro di plati-no-iridio rispetto al quale vengono tarati per confronto mediante bilancia i campioni nazionalicon una incertezza valutabile in 2 x 10-9. Da questi ultimi, anch’essi di platino-iridio, si ricavanocampioni di lavoro che possono essere di acciaio inossidabile o di altre leghe (Figura 1.2).

Figura 1.2 - Il campione italiano (n. 62) in lega di platino-iridio, per le misure di massa da 1 kgè conservato sotto una doppia campana di vetro. La copia del prototipo internazionale

è conservato a Sèvres (Parigi)

In Italia i Laboratori Metrologici che conservano campioni primari sono il Ministero dell’In-dustria e Artigianato (Servizio Metrico) e l’Istituto di Metrologia «Gustavo Colonnetti» delCNR di Torino.Vale forse la pena di dare qualche informazione sul concetto di massa.

La massa è una proprietà intrinseca dei corpi che determina un moto accelerato.

Capitolo 1 - Azioni sulle costruzioni

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Quest’ultima proposizione può essere così spiegata: supponiamo, per semplicità, di isolare duecorpi in modo che interagiscano esclusivamente tra di loro. Questa condizione è ottenibile invari modi (vedi Figura 1.3): si può verificare che essi producono una mutua attrazione e chesi origina un moto di tipo accelerato 4.

Figura 1.3 - Dispositivi di interazione fra due corpi. Quando due corpi interagiscono,ad ogni istante le loro accelerazioni hanno versi opposti e i moduli stanno in rapporto costante

(ad esempio il rapporto ha lo stesso valore nei tre casi di interazione qui considerati)

Qualsiasi sia il modo scelto per farli interagire, una volta misurate le rispettive accelerazioni a1e a2, risulta sempre a1/a2 = costante. Posto il valore di questa costante pari a m2 / m1 si ha:

a1 / a2 = m2 / m1 (1.4)

Evidentemente, scegliendo un campione di riferimento con valore della sua massa pari all’unità,cioè con m1 = 1, si ottengono i valori di tutte le masse (mi) degli altri corpi che con questosi comparano utilizzando la relazione (1.4), e cioè:

mi = (a1 / ai) 1 (1.5)

L’unità di misura resta quella scelta per m1, poiché le dimensioni delle grandezze a1 e ai sisemplificano. Ricordiamo infine che secondo il Sistema Internazionale la massa risulta una frale sette grandezze fondamentali.

1.3.2 Forza peso

Se lasciassimo cadere dalla Torre di Pisa due corpi notevolmente diversi fra loro e con massediverse essi raggiungerebbero il suolo nel medesimo istante: infatti nel vuoto, o quando laresistenza dell’aria può venire trascurata, il moto di ogni corpo risulta uniformemente acceleratocon accelerazione verticale diretta verso il basso (Figura 1.4).Tale accelerazione viene chiamata accelerazione di gravità e indicata con il simbolo g. Perampi intervalli di quota, dell’ordine di qualche centinaio di metri, il valore del modulo di gè approssimativamente pari a 9,81 m/s2. Per verificare che la caduta libera di un grave avvienecon accelerazione costante e ricavare g (modulo o intensità di g), basta misurare gli spazipercorsi e verificare che valgono le leggi del moto uniformemente accelerato 5.

Capitolo 1 - Azioni sulle costruzioni

26

4 Basta infatti verificare la legge del moto uniformemente accelerato:s(t) = s0 + v0t + at2/2, con s = spazio, v = velocità, t = tempo, a = accelerazione.

5 In simboli z(t) = z0 + v0 t – gt2/2, con z = quota.

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Figura 1.4 - Se lasciassimo cadere due corpi notevolmente diversi fra loro per massa e forma, essiraggiungerebbero il suolo nel medesimo istante spinti dalla propria forza-peso P = m x g

Secondo la definizione di forza data nella (1.1) si ha che il corpo è soggetto ad un particolaretipo di forza in relazione alla propria massa m e all’accelerazione gravitazionale g. Tale tipodi forza è detta forza-peso e in genere viene indicata con P. Dalla (1.1) segue subito:

P = m x g (1.6)

È evidente che la corrispondenza con la (1.1) risulta, in simboli:

F ⇒ P; a ⇒ g (1.7)

L’unità di misura della forza-peso è dunque il newton, vedi anche la relazione (1.3).

1.3.3 Differenza fra massa e forza peso

È meglio chiarire subito che l’usuale domanda: «Quanto pesi?», dovrebbe essere, alla luce diquanto fin qui detto, così formulata: «Qual’è la tua massa?»: Infatti è in genere il valoredella massa il più indicativo, in quanto mentre la massa di un corpo si mantiene costante, ilvalore del «peso» varia da luogo a luogo in relazione alla g, anche se per i calcoli sullasuperficie terrestre generalmente g viene assunta costante.Sarebbe dunque opportuno utilizzare sempre la denominazione forza-peso e non semplicemente«peso» al fine di ricordare che si intende riferirsi all’entità di forza. In sostanza:

In genere si tende ad arrotondare a 10 m/s2 l’accelerazione gravitazionale in modo che risultisemplicemente:

P = 70 kg x 10 m/s2 = 700 N = 70 daN

Esempio 1.1

Un uomo di massa 70 kg (Figura 1.5) esercita sulla superficie terrestre una forza-pesopari a:

70 kg x 9,81 m/s2 = 686,7 kgm/s2 = 686,7 N ≈ 70 daN

Capitolo 1 - Azioni sulle costruzioni

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Figura 1.5 - Differenza fra massa e forza-peso

Nel Sistema Pratico, che è un altro sistema di misura ancor oggi in largo uso, la forza èinvece una grandezza fondamentale misurata in chilogrammi-forza e indicata in kgf. La relazionefra chilogrammo-forza e newton è la seguente:

1 kgf = 1 kg x 9.81 m/s2 = 9.81 N ≈ 1 daN (1.8)

C’è da dire però che la Direttiva CEE n. 71/354 dell’ormai lontano 18 ottobre 1971 sancivache l’impiego delle unità NON SI e dei relativi simboli dovesse cessare all’interno dei Paesidella CEE al più tardi entro il 31 dicembre 1977.

Tavola 1.I

1.4 CENNI SULLE OPERAZIONI VETTORIALI

Nel caso della forza peso l’operazione di somma vettoriale non presenta difficoltà, in quantoessendo ciascun vettore diretto verso il basso, la sommatoria di tutti i vettori (risultante) rap-presenta ancora un vettore diretto verso il basso, la cui intensità è data dalla somma algebricadell’intensità dei singoli vettori.

Capitolo 1 - Azioni sulle costruzioni

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Accade spesso che sia necessario conoscere la risultante di vettori aventi direzioni diverse.Congiungendo il primo e l’ultimo vertice della spezzata ottenuta dalla disposizione in successionedei segmenti orientati, se ne ottiene la risultante (Figura 1.6a). Analogamente si procede nelcaso di più forze (Figura 1.6b).Allo stesso risultato si perviene applicando la cosiddetta regola del parallelogramma (Figura1.7) 6.

Figura 1.6 - Rappresentazione grafica delle operazioni vettoriali di somma

Figura 1.7 - Regola del parallelogramma: a) Somma, b) Differenza

Ovvero analiticamente:

F = F1cosα + F2 cosβ (1.9)

Se i segmenti rappresentanti le quantità vettoriali sono disegnate in scala con una certa precisione,si può dedurne direttamente l’intensità della risultante mediante misurazione diretta.

Capitolo 1 - Azioni sulle costruzioni

29

6 A rigore le grandezze vettoriali andrebbero indicate con un trattino al di sopra delle lettere che le rap-presentano. Per motivi editoriali spesso si utilizza il grassetto senza la lineetta. Qualora invece si intendail «modulo» (o «intensità») della grandezza vettoriale questo tipo di indicazioni possono essere omesse.

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1.5 CARICHI AGENTI SULLE COSTRUZIONI

Nel nostro studio delle costruzioni uno dei punti di partenza è la determinazione dei carichi agentisulle strutture. È ovvio che ogni costruzione deve sostenere dei carichi, se non altro dovuti al pesoproprio, ebbene, per quanto fin qui detto risulta chiaro che ci si trova innanzi all’azione di forze.Si suole fare una prima distinzione fra carichi permanenti e carichi accidentali (o variabili).I carichi permanenti sono quei carichi che si suppone non varino nel tempo, e sono dovutialla forza esercitata dalla massa degli elementi che costituiscono la costruzione, ad esempiopilastri, travi, solai, pavimenti, soffitti, coperture ecc.; i carichi accidentali o variabili (dettianche sovraccarichi), comprendono invece tutti quei carichi che non agiscono con continuità,ma con intensità variabile nel tempo. Questi ultimi comprendono i carichi utili che la costruzione è destinata a sopportare come la forzapeso delle persone, dei mobili, delle attrezzature, dei macchinari, ma anche altri tipi di forze, comequelle esercitate dalle azioni del vento, della neve, le azioni sismiche ecc.. Alcuni di questi, comead esempio le azioni del vento, sono di natura dinamica, nel senso che possono variare sensibilmentenell’unità di tempo. Tuttavia, le norme tecniche suppongono, al fine di semplificare le proceduredi calcolo, che esse siano di tipo statico, si ipotizzano, cioè, invariabili nel tempo.Le forze possono inoltre essere schematizzate come concentrate o distribuite a seconda che sialecito considerarle applicate in punti o parti estese delle superfici. Ad esempio il peso propriodi una trave può essere schematizzato come in Figura 1.8a, in quanto la forza peso agente suogni unità di superficie risulta la stessa su tutta la lunghezza della trave. Nella schematizzazionepiana i carichi risultano con dimensioni di forze per unità di lunghezza (N/m o kgf/m).Agli effetti statici, è lecito considerare la sola risultante del carico, data dalla somma di tuttele singole forze agenti su ogni unità di superficie, applicata nel baricentro del sistema pianodi vettori rappresentanti le forze.Allo stesso modo si procede nel caso di carico triangolare, dove la ricerca grafica del baricentrorisulta agevole in quanto effettuabile con le regole della geometria euclidea 7 (Figura 1.8b).Altri esempi elementari sono riportati in Figura 1.9.

Figura 1.8 - Sostituzione dei carichi con la risultante

Capitolo 1 - Azioni sulle costruzioni

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7 Deducibile dal seguente Teorema: «In un triangolo le tre mediane passano per uno stesso punto (dettobaricentro del triangolo), che divide ciascuna mediana in due parti, di cui quella contenente il verticeè doppia dell’altra».

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Figura 1.9 - Sostituzione dei carichi con la risultante, nel caso del carico distribuito a settore parabolico 8

1.6 NORMATIVA ITALIANA RELATIVA AI CARICHI AGENTI SULLE COSTRUZIONI

La normativa italiana 9 suddivide le azione nelle seguenti famiglie:a) permanenti (G), ovvero azioni che agiscono durante tutta la vita della costruzione, la

cui variazione di intensità nel tempo è così piccola e lenta da poterle considerare consufficiente approssimazione costanti nel tempo. Ad esempio:— peso proprio di tutti gli elementi strutturali; peso proprio del terreno;— forze indotte dal terreno (esclusi gli effetti di carichi variabili applicati al terreno); — forze risultanti dalla pressione dell’acqua (quando si configurino costanti nel tempo)

(G1);— peso proprio di tutti gli elementi non strutturali (G2).

b) Variabili (Q), ovvero azioni sulla struttura o sull’elemento strutturale con valori istantaneiche possono risultare sensibilmente diversi fra loro nel tempo. Possono distinguersi in:— di lunga durata: agiscono con un’intensità significativa, anche non continuativamente,

per un tempo non trascurabile rispetto alla vita nominale della struttura;— di breve durata: azioni che agiscono per un periodo di tempo breve rispetto alla

vita nominale della struttura.c) Eccezionali (A), ovvero azioni che si verificano solo eccezionalmente nel corso della

vita nominale della struttura, del tipo di:— incendi;— esplosioni;— urti ed impatti.

d) Sismiche (E): ovvero azioni derivanti dai terremoti.

1.6.1 Carichi permanenti

Le azioni permanenti sono di 2 tipi:— Permanenti strutturali (G1, g1)— Permanenti portati (G2, g2)

Capitolo 1 - Azioni sulle costruzioni

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8 Esigenze di tipo grafico-editoriale ci impongono di utilizzare un andamento di curva diverso dall’effettivafunzione parabolica.

9 Decreto Ministeriale 14.01.08 «Norme Tecniche per le Costruzioni», d’ora innanzi abbreviato anche conDM o NTC.

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I carichi permanenti strutturali sono valutati a partire dalle dimensioni geometriche delle mem-brature e dalla densità dei materiali. I valori di densità devono essere definiti a partire dafonti riconosciute o dalle indicazioni tabellari. Generalmente i carichi permanenti strutturalisono indicati con G1 o g1 a seconda se trattasi di carichi concentrati o unitari. I carichi permanentiportati sono invece indicati con G2 o g2, sempre in riferimento al fatto che siano concentratio unitari.Per la determinazione del peso proprio degli elementi costruttivi il progettista deve ricorrereal DM 14.01.08 che riporta alcuni valori relativi alle densità di materiali frequentemente usatinel campo delle costruzioni (Tabella 1.1).

Tabella 1.1 - Pesi di unità di volume di principali materiali da costruzione

[NT Tab. 3.1.I]

MaterialiPeso unità di

volume [kN/m³]

Calcestruzzi cementizi e malte

Calcestruzzo ordinario 24,0

Calcestruzzo armato (e/o precompresso) 25,0

Calcestruzzi «leggeri»: da determinarsi caso per caso 14,0 ÷ 20,0

Calcestruzzi «pesanti»: da determinarsi caso per caso 28,0 ÷ 50,0

Malta di calce 18,0

Malta di cemento 21,0

Calce in polvere 10,0

Cemento in polvere 14,0

Sabbia 17,0

Metalli e leghe

Acciaio 78,5

Ghisa 72,5

Alluminio 27,0

Materiale lapideo

Tufo vulcanico 17,0

Calcare compatto 26,0

Calcare tenero 22,0

Gesso 13,0

Granito 27,0

Laterizio (pieno) 18,0

Legnami

Conifere e pioppo 4,0 ÷ 6,0

Latifoglie (escluso pioppo) 6,0 ÷ 8,0

Sostanze varie

Acqua dolce (chiara) 9,81

Acqua di mare (chiara) 10,1

Carta 10,0

Vetro 25,0

Per materiali non compresi nella tabella si potrà far riferimento a specifiche indagini sperimentalio a normative di comprovata validità assumendo i valori nominali come valori caratteristici.

Capitolo 1 - Azioni sulle costruzioni

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2EQUILIBRIO DEI SISTEMI STRUTTURALI

«Il Graal (...) è di peso sì grave che a creaturein preda al peccato non è dato di rimuoverlo di posto».

WOLFRAM VON ESCHENBACH

2.1 CONCETTO E DEFINIZIONE DI CORPO RIGIDO

Gli elementi che compongono un sistema, ai fini dello studio dell’equilibrio e qualsiasi sia laloro forma, sono considerati corpi rigidi.

Si definisce corpo rigido un corpo costituito da infiniti punti collegati tra loro in modo taleche le mutue distanze tra due qualsiasi di essi restino comunque immutate.

In altre parole ciò significa che un corpo rigido mantiene inalterata la propria geometria, oforma, qualora sia soggetto ad un qualche spostamento (Figura 2.1).

Figura 2.1 - Il corpo rigido. Nello spostamento dalla posizione 1 alla posizione 2,la distanza AB per ogni coppia di punti appartenenti al corpo, rimane inalterata

2.2 TRASLAZIONI E ROTAZIONI NEL PIANO

La prima cosa da chiedersi è quali siano le possibilità di movimento di un corpo nello spazio.Questa domanda risulta relativamente complessa poiché le tre dimensioni spaziali dànno origineper un solo corpo a 6 possibilità di movimento. Il problema risulta semplificato se schema-tizziamo lo spazio in più piani ognuno dei quali venga considerato separatamente (Figura 2.2).

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Figura 2.2 - La schematizzazione piana. Rappresentazione del sistema tridimensionale (ABCDA’B’C’D’) mediante piani fra loro ortogonali

Nel piano i movimenti possono essere di tre tipi, considerando la Figura 2.3 si ottengono:

Figura 2.3 - Spostamenti elementari nel piano: ξ = traslazione orizzontale;η = traslazione verticale; φ = rotazione rispetto al polo A

Capitolo 2 - Equilibrio dei sistemi strutturali

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1) traslazione orizzontale ξ, che porta il corpo AB dalla posizione:

AB ⇒ A’B’

quantificabile con il valore del segmento AA’ o BB’ (evidentemente l’ipotesi del corporigido impone la condizione AA’ = BB’);

2) traslazione verticale η,

AB ⇒ A’’B’’

quantificabile con AA’’ = BB’’;

3) rotazione φ,

AB ⇒ AB’’’

che può essere quantificabile rispetto ad un punto di riferimento detto polo: ad esempioconsiderando il polo A si ha che l’estremità B può ruotare fino a B’’’.

Figura 2.4 - Scomposizione dello spostamento AB⇒A’’B’’’ mediante spostamenti elementari ξ, η, φ.Traslazione orizzontale ξ = (AB⇒A’B’); traslazione verticale η = (A’B’⇒A’’B’’);

rotazione φ = (A’’B’’⇒A’’B’’’)

Quindi si dice anche che nel piano un corpo rigido ha tre gradi di libertà perché tre sono i tipidi spostamento possibili: ξ, η, e φ. Qualsiasi movimento nel piano di un sistema rigido è semprericonducibile a questi tre tipi elementari. Per rendersene conto si consideri l’esempio di Figura2.4 dove si ha che l’elemento rigido si è spostato dalla posizione AB alla posizione A’’B’’’.Lo spostamento risulta scomponibile secondo:

— una traslazione orizzontale ξ = AA’ = BB’;— una traslazione verticale η = A’A’’ = B’B’’;— una rotazione φ corrispondente allo spostamento di B’’ in B’’’ intorno al polo A’’.

Capitolo 2 - Equilibrio dei sistemi strutturali

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10LA LETTURA STRUTTURALEATTRAVERSO LE LINEE ISOSTATICHE

«La strutturalità architettonica, la vitruviana firmitas,è la logica formale del discorso architettonico.»

GIOVANNI KLAUS KOENIG

10.1 GENERALITÀ

Come ha osservato Eduardo Torroja: «L’addestramento a studiare, interpretare ed utilizzare il“plesso tensionale” 1, è il miglior mezzo per portare un rapido giudizio qualitativo sullo statodi tensione determinato in un solido dai carichi e dalle reazioni. (...) Tenendo conto [di questo](...) si può, in molti casi, abbozzare una rappresentazione grafica approssimativa della soluzionestatica e dedurne delle indicazioni sulle modifiche da apportare alla forma del solido permigliorarne le condizioni di resistenza. (...) Un buon maestro raccomandava agli allievi cheiniziavano lo studio dei problemi tensionali di portare sempre in tasca una gomma da cancellarecon disegnati sulle facce un reticolo ed una serie di circonferenze, onde poterne osservare ledeformazioni. Sollecitando la gomma, si vede come le circonferenze si trasformino in ellissie come le linee inizialmente perpendicolari si trasformino in un reticolo obliquo, a meno chele direzioni del reticolo coincidano con le direzioni principali» (Figura 10.1) 2.Molti laboratori universitari sono attrezzati per eseguire indagini fotoelastiche 3 su modelli pianidi plexiglass, xilonite o altri materiali trasparenti. Tale metodo consente di fotografare o diproiettare su di uno schermo l’andamento delle linee isostatiche che si ottiene facendo passareun raggio di luce polarizzata attraverso il modello sottoposto ad una qualche sollecitazione.Cosicché acquisire una certa familiarità con lo studio delle isostatiche risulta di notevole con-venienza, tanto più che oggigiorno si sono diffusi numerosi programmi che consentono diottenere gli stessi risultati con grafica computerizzata in un buon PC.

Figura 10.1 - Una gomma da cancellare, con disegnati sulle facce un reticolo e una serie di circonferenze, è un semplice mezzo per osservare le deformazioni subite dal reticolo

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1 Così l’Autore denomina l’andamento delle due famiglie di isostatiche.2 Eduardo Torroja, op. cit., pagg. 20-21.3 Non è il caso, in questa sede, di entrare nei dettagli relativi alla fotoelasticità, che non risulterebbero

pertinenti ai fini del presente studio.

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Figura 10.2 - Effetto portante ad arco nella trave

10.2 L’EFFETTO ARCO NELLA TRAVE

Torniamo a considerare lo schema dell’andamento delle isostatiche relativo alla trave appoggiatae caricata uniformemente. Come si può notare in Figura 10.2 la famiglia delle isostatiche dicompressione può interpretarsi come un arco all’interno dell’elemento, essendo questa una formastrutturale informata prevalentemente ad un funzionamento in compressione.

10.3 L’ARCO E LA SPINTA

10.3.1 Un sistema compresso

Per rendersi conto del prevalente regime di compressione caratteristico dell’arco è sufficienteconsiderare i sistemi di Figura 10.3, costituiti da una fune tesa dalla forza esercitata da unoo più pesetti appesi. Nel primo e nel secondo caso (Figure 10.3a e 10.3b) non ci si trovadirettamente di fronte ad una configurazione geometrica ad arco, come siamo soliti immaginare,tuttavia se aggiungiamo di volta in volta un pesetto, notiamo che la figura poligonale ottenutadalle successive configurazioni della fune, tende sempre più ad avvicinarsi a quella di un arcocomunemente inteso (Figura 10.3c). Così l’arco può venire considerato come figura limiteottenuta pensando di aggiungere un numero infinito di pesetti a distanze infinitamente piccolel’uno dall’altro.Fissato il sistema delle forze agenti sulla fune, essa assume una configurazione particolare,caratteristica di quella peculiare configurazione di forze applicate, detta poligono funicolare4 o anche funicolare dei carichi, giusto per evidenziare questa corrispondenza di geometriadel sistema di carico agente e conseguente geometria del poligono.

Capitolo 10 - La lettura strutturale attraverso le linee isostatiche

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4 Si intende che per un numero infinitamente grande di carichi il poligono diventa una curva funicolare.

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A questo punto è utile ricordare che la fune risulta solamente tesa, ché d’altra parte non potrebbeassumere forma resistente alcuna se compressa: si può anche dire che il poligono funicolareè la figura assunta naturalmente da una fune per sostenere carichi mediante sforzi di solatrazione 5. Se per ipotesi pensassimo di invertire il verso di tutte le forze il sistema resterebbeequilibrato 6, a patto di sostituire la fune con un materiale resistente a compressione (Figure10.4c e 10.4d), otterremmo un arco soggetto a sola compressione, la cui forma resta individuatadalla cosiddetta antifunicolare dei carichi o curva delle pressioni.Se, parafrasando Pizzetti, il poligono funicolare offre un «percorso» delle forze assegnate dipura trazione assimilabile ad una geometria resistente sicuramente ottimale poiché l’idealefigura strutturale che in tal modo otteniamo è una figura resistente in ogni sua parte in puratrazione 7, allora, quanto più la geometria si discosta dalla curva delle pressioni tanto piùl’arco si discosta dal regime di sola compressione con conseguente comparsa di taglio e momentoflettente.

Figura 10.3 - Il poligono funicolare è la figura assunta naturalmenteda una fune per sostenere carichi mediante sforzi di sola trazione

Capitolo 10 - La lettura strutturale attraverso le linee isostatiche

219

5 M. Salvadori - R. Heller, Structures in Architecture, N.J. USA, Prentice Hall, 1963; tr. it. C.M. Tatti, Lestrutture in architettura, Milano, ETAS Libri, 1964, 2a ed. 1983, pag. 53.

6 Infatti l’operazione equivale a moltiplicare per – 1 le equazioni che identificano l’equilibrio.7 G. Pizzetti - A.M. Trisciuoglio, op. cit., p. 172 e pagg. 198-199.

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Figura 10.4 - La curva delle pressioni è lo schema inverso del poligono funicolare

Per comprendere tale asserto basta considerare l’esempio più elementare di funicolare che èquello di un filo sospeso ad una estremità a cui sono applicate le forze F1 ed F2. Come mostrala Figura 10.5, la funicolare è rappresentata dalla configurazione assunta dalla fune nel casob). Se discostiamo la geometria del filo da questa configurazione, ad esempio, ritornando allaposizione a), questo sarà soggetto in un generico punto P, oltre che dallo sforzo normale N = Fsenα, anche da taglio T = Fcosα e da momento M = Fd. Mentre nella configurazioneassunta dalla funicolare esso e soggetto a sola trazione F = F1 + F2.«Ne segue che, in tali condizioni, verremo a dar corpo nel piano o nello spazio, ad unadirettrice ideale attraverso la quale le forze date sono, questa volta, convogliate non solo persforzi normali, ma anche per momenti flettenti. Tali momenti flettenti (...), costituiscono inogni caso sollecitazioni più impegnative da contrastare rispetto al puro sforzo normale, esseinfatti richiedono, a motivo delle più vistose deformazioni cui possono dar luogo, un impegnoprogettuale molto più gravoso di quello richiesto dal puro sforzo normale in merito alla sceltadei parametri di qualità e forma» 8.

Capitolo 10 - La lettura strutturale attraverso le linee isostatiche

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8 Ibidem, pag. 174.

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Figura 10.5 - Quanto più la geometria si discosta dalla funicolare dei carichi, tanto più ci si discostadal regime di sola trazione, con conseguente comparsa di taglio e di momento flettente

10.3.2 La spinta sulle imposte

La statica dei sistemi rigidi è inadeguata per individuare quella che è un’altra delle caratteristichepeculiari degli archi: esercitare una spinta in corrispondenza delle imposte. Infatti se risolviamol’arco di Figura 10.6a, caricato uniformemente e vincolato esternamente con due cerniere, notia-mo che per la simmetria del sistema deve essere:

HA = HB (10.1)

restando indeterminata la condizione di equilibrio alla traslazione orizzontale:

HA – HB = 0 (10.2)

Infatti, per la (10.1) si ottiene:

– HB + HB = 0 ⇒ (incognita non determinabile) (10.3)

Tuttavia se il materiale costitutivo dell’arco non è perfettamente rigido, ma ammette un certogrado di deformabilità come nella realtà accade, ossia il materiale è elastico, allora esso spingeeffettivamente nelle imposte, e la situazione risulta immediatamente palpabile attraverso la sop-pressione di un grado di libertà, ad esempio nella cerniera B, trasformandola in carrello.

Capitolo 10 - La lettura strutturale attraverso le linee isostatiche

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13IL METODO SEMIPROBABILISTICO AGLI STATI LIMITE

«Il pericolo di credere che il modello sia la realtà è sempre presente,e perciò va sempre denunciato».

LUDOVICO GEYMONAT, 1973

13.1 CONSIDERAZIONI PRELIMINARI

Se consideriamo sotto l’aspetto del «problema strutturale» l’azione del vento su di un albero(Figura 13.1) ci accorgiamo che i termini della questione sono sostanzialmente 3:

1) Come schematizzare l’azione del vento?2) Come schematizzare il «sistema strutturale albero»?3) Come schematizzare la sua capacità di far fronte all’azione del vento?

Figura 13.1

Per rispondere alla prima domanda si potrebbe pensare di elaborare una statistica dei venticaratteristici della zona in cui si trova l’albero e di assimilarne l’azione a delle forze agentiin un determinato modo. Occorrerebbe poi quantificare numericamente tali azioni e dunqueeffettuare delle misurazioni.La seconda domanda pone di fronte la questione del cosiddetto schema statico: ovvero di unmodello che riassume le caratteristiche dei vincoli, dell’assimilazione del fusto ad un’asta piùo meno rettilinea, della caratterizzazione del suolo su cui si innestano le radici, ecc.Infine, il terzo quesito, pone il problema relativo alla capacità dell’albero di far fronte all’azionedel vento senza spezzarsi. Ciò dipenderà dalle caratteristiche del materiale: ci saranno legnipiù o meno duri, più o meno umidi, e via dicendo. Per avere un’idea della resistenza dei varilegnami occorrerà dunque fare delle prove sui alcuni campioni che ne rappresentino le carat-teristiche.Ogni volta che ci troviamo di fronte a problemi del genere la sostanza della questione èsempre riconducibile ai termini di cui sopra (Figura 13.2).

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Figura 13.2

Se indichiamo con F gli effetti delle azioni esterne agenti sul modello M, che rappresentauna struttura, costituita da un materiale tale da garantire una capacità R di far fronte a talieffetti (Figura 13.3), ci accorgiamo che tutte le schematizzazioni attuate per rappresentare lasituazione reale sono sempre approssimate. In sostanza si tratta di accettare che sia l’elaborazione delle misure che conducono a determinareF ed R siano di tipo statistico, e dunque determinate da una certa probabilità di accadimento.Per quanto concerne il modello strutturale M, o schema statico, occorre osservare che anch’essosarà affetto da un certo grado di probabilità che esso rappresenti significativamente la situazionereale. Ovvero potrà essere più o meno affinato, ma non solo, ad esempio, nel passaggio di«scala» tra un ponticello costituito da un asse di legno di 2 m che attraversa un ruscello, eun ponte lungo 50 m appoggiato su spalle in calcestruzzo armato agli argini di un fiume, aparità di schema statico di trave appoggiata, non è detto che l’approssimazione di tale modellocon la realtà sia la stessa. Altro esempio riguarda l’affidabilità degli schemi statici di sistemiiperstatici, dove la soluzione del sistema si fonda sulle cosiddette condizioni di congruenza esull’ipotesi di elasticità lineare dei materiali. Evidentemente tra uno schema isostatico, fondatosolo sulle condizioni di equilibrio, e uno iperstatico, al quale si aggiungono le condizioni dicongruenza, non possono essere attribuite le stesse probabilità di approssimazione.

Capitolo 13 - Il metodo semiprobabilistico agli stati limite

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Figura 13.3

Effettuare una determinazione dettagliata, ovvero una analisi probabilistica di tutte le circostanzesopra citate, sarebbe un compito immane. Il cosiddetto Metodo Semiprobabilistico si definiscetale, cioè «semiprobabilistico», in quanto rinuncia a una rigorosa analisi accontentandosi disemplificare la procedura mediante l’introduzione di tre fattori γ che vanno ad «alterare» iparametri che determinano F, R, M, e che sono rispettivamente:

γF = coefficiente di amplificazione dei carichi, che sconta l’approssimata corrispondenzatra le azioni misurate nelle indagini preventive atte a quantificare i carichi, rispettoa quelle che realisticamente potranno verificarsi durante la vita della costruzione;

γM = coefficiente di riduzione delle caratteristiche dei materiali, che interpreta l’approssimatacorrispondenza tra le misurazioni effettuate preventivamente in laboratorio sui provinidei materiali e il reale valore di quelli eseguiti in opera;

γ0 = coefficiente del modello statico, che rappresenta la non perfetta affidabilità dello sche-ma statico.

Per tali motivazioni il Metodo Semiprobabilistico agli Stati Limite è anche detto Metodo deiCoefficienti Parziali.

13.2 MODELLI DI VALUTAZIONE DELLA SICUREZZA

Sostanzialmente sono di tre tipi:1) confronto fra tensioni agenti e tensioni resistenti (σ, τ);2) confronto fra sollecitazioni agenti e sollecitazioni resistenti (N, T, M);3) confronto fra carichi agenti e carichi resistenti.

Nel primo caso si procede secondo lo schema di Figura 13.4a. Dalle azioni applicate sul modellostatico, si determinato le caratteristiche di sollecitazione sulle sezioni delle membrature (sforzonormale N, sforzo di taglio T, momento flettente M). Si perviene dunque alla determinazionedello stato tensionale in ogni punto della sezione (σ, τ). A partire poi dalle caratteristiche delmateriale si determina lo stato tensionale ammissibile. La verifica avviene dunque nel punto, median-te il confronto fra tensioni, in simboli deve essere soddisfatta la seguente disuguaglianza

Capitolo 13 - Il metodo semiprobabilistico agli stati limite

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σagente ≤ σresistente (13.1)

Tale metodo è appunto detto delle Tensioni Ammissibili. La (13.1) rappresenta un confrontofra uno stato tensionale σagente che in generale può venire rappresentato da 6 componenti spaziali(σx, σy, σx, τxy, τxz, τyz), con uno stato tensionale resistente σresistente determinato a partire daprove monoassiali, per cui, per operare il confronto occorre dedurre dal primo membro della(13.1) una cosiddetta tensione ideale, che riassuma le caratteristiche dello stato pluriassale inmodo da poter essere comparata con una tensione desunta da prove monoassiali 1.

Figura 13.4

Capitolo 13 - Il metodo semiprobabilistico agli stati limite

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1 Cfr. Cap. 12.

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Nel caso del confronto fra sollecitazioni agenti e sollecitazioni resistenti, il percorso logico siarresta alla determinazione dello stato di sollecitazione nella sezione SA, che in generale dipendeda N, T, M (vedi Figura 5.13b). A partire poi dalle caratteristiche del materiale il percorsologico procede nel verso da destra a sinistra. Dallo stato tensionale nei punti della sezione sirisale alla sollecitazioni resistenti SR. In generale anche SR esprime una condizione compostadalle singole Nx, Ny, Nz, Tx, Ty, Tz, Mx, My, Mz. Nel caso di elementi in cui una dimensioneè predominante (elementi trave), con sistema di riferimento come fissato in Figura 13.5, questecomponenti si riducono a: Nx, Ty, Tz, Mx, My, Mz.

Figura 13.5

La verifica viene dunque eseguita nella sezione soddisfando la seguente disuguaglianza:

SA ≤ SR (13.2)

Posto che la grandezza SR dipende da più parametri, anche in questo caso il confronto di cuialla (13.2) va opportunamente istruito. Accade così che vengano determinate le cosiddette fron-tiere di rottura, ovvero i luoghi di punti che rappresentano il limite teorico di rottura dellasezione in funzione delle componenti di sollecitazione. Nel caso di pressoflessione deviata, adesempio, ovvero di uno stato di sollecitazione determinato dalle componenti Nx, My e Mz(sempre secondo il sistema di riferimento di Figura 13.5) il luogo di punti è costituito da unasuperficie di frontiera come evidenziato in Figura 13.6. La verifica risulta soddisfatta se ilpunto, che rappresenta in tale diagramma lo stato SA, è interno alla frontiera così delimitata.La frontiera può rappresentare anche lo stato limite raggiungibile dalla sezione prima del veri-ficarsi dell’evento che tale stato rappresenta. Per tali motivi il metodo viene anche detto degliStati Limite, in quanto questi possono essere definiti e rappresentare condizioni limite di varianatura (cfr. paragrafo 13.3).

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Figura 13.6 - Dominio di resistenza Nx, My, Mz

La verifica mediante confronto tra carichi agenti e carichi resistenti, avviene deducendo dallecaratteristiche dei materiali, il carico di resistenza del sistema strutturale (altrimenti detto «portanza»).Il percorso logico, dunque, procede da destra a sinistra nella Figura 13.4c, e confronta questocarico con il carico applicato. In simboli la verifica è soddisfatta se risulta l’uguaglianza:

FA ≤ FR (13.3)

Un esempio di tale procedura è relativo alla determinazione del cosiddetto carico critico Eule-riano, ovvero di quel carico di punta che determina il collasso, per perdita di equilibrio, diaste soggette a compressione semplice. È evidente tuttavia, che l’applicabilità di questo metodo di verifica, con l’aumentare della complessitàdel modello, e data la grande variabilità delle configurazioni di carico applicabili, presenta notevolidifficoltà applicative, a meno di non pervenire, anche in questo caso, a schemi semplificativi.

13.3 GLI STATI LIMITE

Le Norme Tecniche Italiane definiscono in generale due gruppi di stati limite:1) Stati Limite di Esercizio (SLE);2) Stati Limite Ultimi (SLU).

Il DM 14.01.08 così cita:

Le opere e le componenti strutturali devono essere progettate, eseguite, collaudate e soggette amanutenzione in modo tale da consentirne la prevista utilizzazione, in forma economicamentesostenibile e con il livello di sicurezza previsto dalle presenti norme.La sicurezza e le prestazioni di un’opera o di una parte di essa devono essere valutate in relazioneagli stati limite che si possono verificare durante la vita nominale. Stato limite è la condizionesuperata la quale l’opera non soddisfa più le esigenze per le quali è stata progettata.In particolare, secondo quanto stabilito nei capitoli specifici, le opere e le varie tipologie strutturalidevono possedere i seguenti requisiti:— sicurezza nei confronti di stati limite ultimi (SLU): capacità di evitare crolli, perdite di

equilibrio e dissesti gravi, totali o parziali, che possano compromettere l’incolumità dellepersone ovvero comportare la perdita di beni, ovvero provocare gravi danni ambientali esociali, ovvero mettere fuori servizio l’opera;

— sicurezza nei confronti di stati limite di esercizio (SLE): capacità di garantire le prestazionipreviste per le condizioni di esercizio;

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— robustezza nei confronti di azioni eccezionali: capacità di evitare danni sproporzionati rispettoall’entità delle cause innescanti quali incendio, esplosioni, urti.

Il superamento di uno stato limite ultimo ha carattere irreversibile e si definisce collasso. Ilsuperamento di uno stato limite di esercizio può avere carattere reversibile o irreversibile.

È evidente che la distinzione fra SLE e SLU sta proprio nel carattere irreversibile di questi ultimi.

13.3.1 Stati Limite di Esercizio (SLE)

Nel DM 14.01.08 i principali Stati Limite di Esercizio sono definiti come segue:a) danneggiamenti locali (ad es. eccessiva fessurazione del calcestruzzo) che possano ridurre

la durabilità della struttura, la sua efficienza o il suo aspetto;b) spostamenti e deformazioni che possano limitare l’uso della costruzione, la sua efficienza

e il suo aspetto;c) spostamenti e deformazioni che possano compromettere l’efficienza e l’aspetto di elementi

non strutturali, impianti, macchinari;d) vibrazioni che possano compromettere l’uso della costruzione;e) danni per fatica che possano compromettere la durabilità;f) corrosione e/o eccessivo degrado dei materiali in funzione dell’ambiente di esposizione;

Altri stati limite sono considerati in relazione alle specificità delle singole opere; in presenzadi azioni sismiche.

13.3.2 Stati Limite Ultimi (SLU)

I principali Stati Limite Ultimi, definiti dal DM 14.01.08, sono elencati nel seguito:a) perdita di equilibrio della struttura o di una sua parte;b) spostamenti o deformazioni eccessive;c) raggiungimento della massima capacità di resistenza di parti di strutture, collegamenti,

fondazioni;d) raggiungimento della massima capacità di resistenza della struttura nel suo insieme;e) raggiungimento di meccanismi di collasso nei terreni;f) rottura di membrature e collegamenti per fatica;g) rottura di membrature e collegamenti per altri effetti dipendenti dal tempo;h) instabilità di parti della struttura o del suo insieme;

Anche in questo caso, altri stati limite ultimi sono considerati in relazione alle specificità dellesingole opere; in presenza di azioni sismiche.

13.3.3 Verifiche

Le opere strutturali devono essere verificate:a) per gli Stati Limite Ultimi che possono presentarsi, in conseguenza alle diverse com-

binazioni delle azioni;b) per gli Stati Limite di Esercizio definiti in relazione alle prestazioni attese.

Le verifiche di sicurezza delle opere devono essere contenute nei documenti di progetto, conriferimento alle prescritte caratteristiche meccaniche dei materiali e alla caratterizzazione geo-tecnica del terreno, dedotta in base a specifiche indagini. La struttura deve essere verificatanelle fasi intermedie, tenuto conto del processo costruttivo; le verifiche per queste situazionitransitorie sono generalmente condotte nei confronti dei soli stati limite ultimi.Per le opere per le quali nel corso dei lavori si manifestino situazioni significativamente difformida quelle di progetto occorre effettuare le relative necessarie verifiche.

Capitolo 13 - Il metodo semiprobabilistico agli stati limite

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13.4 LA VALUTAZIONE DELLA SICUREZZA NEL DM 14.01.08

Viste le considerazioni dei punti precedenti si può passare alla trattazione delle valutazionedella sicurezza secondo quanto disposto dal DM 14.01.08 paragrafo 3.2, che di seguito cerchiamodi parafrasare e commentare.Per la valutazione della sicurezza delle costruzioni la norma dispone di adottare criteri pro-babilistici scientificamente comprovati quali il Metodo Semiprobabilistico agli Stati Limitebasato, come si è visto, sull’impiego dei coefficienti parziali di sicurezza. Il Metodo vienedefinito applicabile nella generalità dei casi e designato come metodo di primo livello. Nelleopere di particolare importanza il DM dispone che si possano (e non debbano) adottare metodidi livello superiore, tratti da documentazione tecnica di comprovata validità.Nel metodo semiprobabilistico agli stati limite, la sicurezza strutturale va verificata tramite il confrontotra la resistenza e l’effetto delle azioni. Per la sicurezza strutturale, la resistenza dei materiali e leazioni sono rappresentate dai valori caratteristici, Rki e Fkj definiti, rispettivamente, come il frattileinferiore delle resistenze e il frattile (superiore o inferiore) delle azioni che minimizzano la sicurezza. In genere, i frattili sono assunti pari al 5%. Per le grandezze con piccoli coefficienti di variazione,ovvero per grandezze che non riguardino univocamente resistenze o azioni, si possono consi-derare frattili al 50% (valori mediani).In sostanza una grandezza caratteristica definita da un valore vk il cui frattile inferiore sia del5% è relativa a una condizione per cui quel valore ha una probabilità del 5% di essere superatoin senso sfavorevole. Se fk = 25 N/mm2 è la resistenza caratteristica di frattile 5 di un datomateriale, significa che in una popolazione di 100 campioni di quel materiale, il valore diresistenza ha solo la probabilità del 5% di essere inferiore a 25 N/mm2.La verifica della sicurezza nei riguardi degli stati limite ultimi di resistenza si effettua con il«metodo dei coefficienti parziali» di sicurezza espresso dalla equazione formale:

Rd ≥ Ed (13.4)

dove:Rd è la resistenza di progetto, valutata in base ai valori di progetto della resistenza dei

materiali e ai valori nominali delle grandezze geometriche interessate;Ed è il valore di progetto dell’effetto delle azioni, valutato in base ai valori di progetto

Fdj = Fkj·γFj delle azioni, o direttamente Edj = Ekj γEj.

In pratica la (13.4) rappresenta la citata (13.2).I coefficienti parziali di sicurezza, γMi e γFj, associati rispettivamente al materiale iesimo e all’a-zione jesima, tengono in conto la variabilità delle rispettive grandezze e le incertezze relativealle tolleranze geometriche e alla affidabilità del modello di calcolo.Come si vede, la sostanza è ciò che abbiamo riportato nel paragrafo 13.1, e tuttavia bisognarilevare che il DM 14.01.08 trascura la possibilità di applicare un coefficiente γ0 che tengaconto dell’affidabilità del modello statico.

13.5 CARATTERIZZAZIONE DELLE AZIONI ELEMENTARI

Nel DM 14.01.08 la definizione probabilistica delle azioni elementari, cioè carichi di esercizio,neve, vento, variazioni di temperatura, sisma, ecc. (in generale tutte quelle azioni definite nelcapitolo 1 viene effettuata mediante i cosiddetti valori caratteristici.Si definisce valore caratteristico Qk di un’azione variabile il valore corrispondente ad un frattilepari al 95% della popolazione dei massimi, in relazione al periodo di riferimento dell’azionevariabile stessa. Il periodo di riferimento è un intervallo di tempo nel quale vengono effettuate

Capitolo 13 - Il metodo semiprobabilistico agli stati limite

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le valutazioni statistiche. Il frattile del 95% garantisce che i valori caratteristici attribuiti alle azioniabbiano una probabilità di accadimento del 95% nel periodo di riferimento, ovvero che solo nel5% dei casi si abbiano condizioni di superamento di tali valori in senso sfavorevole. Ad esempiose prendiamo la Tabella 13.1 che riporta i valori caratteristici dei carichi di esercizio dei fabbricati,troviamo che per «ambienti ad uso residenziale» il valore del carico di esercizio da applicare suisolai è di 2,00 kN/m2. Dal punto di vista statistico significa che, in un solaio di un edificio adestinazione residenziale, la probabilità che tale valore di 200 daN/m2 sia superata è del solo 5%.Nel caso in cui non siano disponibili valori caratteristici delle azioni elementari, si può assumereil valore nominale.In generale sono indicati con pedice k i valori caratteristici; senza pedice k i valori nominali.

Tabella 13.1 - Valori dei carichi di esercizio per le diverse categorie di edifici

[NT Tab. 3.1.II]

Cat. Ambienti qk [kN/m²] Qk [kN] Hk [kN/m]

A

Ambienti ad uso residenziale.Sono compresi in questa categoria i locali di abitazione e relativiservizi, gli alberghi. (ad esclusione delle aree suscettibili di affol-lamento)

2,00 2,00 1,00

BUffici.Cat. B1 Uffici non aperti al pubblicoCat. B2 Uffici aperti al pubblico

2,003,00

2,002,00

1,001,00

C

Ambienti suscettibili di affollamentoCat. C1 Ospedali, ristoranti, caffè, banche, scuole Cat. C2 Balconi, ballatoi e scale comuni, sale convegni, cinema,teatri, chiese, tribune con posti fissiCat. C3 Ambienti privi di ostacoli per il libero movimento dellepersone, quali musei, sale per esposizioni, stazioni ferroviarie,sale da ballo, palestre, tribune libere, edifici per eventi pubblici,sale da concerto, palazzetti per lo sport e relative tribune

3,004,00

5,00

2,004,00

5,00

1,002,00

3,00

DAmbienti ad uso commerciale.Cat. D1 NegoziCat. D2 Centri commerciali, mercati, grandi magazzini, librerie…

4,005,00

4,005,00

2,002,00

E

Biblioteche, archivi, magazzini e ambienti ad uso industriale.Cat. E1 Biblioteche, archivi, magazzini, depositi, laboratori mani-fatturieriCat. E2 Ambienti ad uso industriale, da valutarsi caso per caso

≥ 6,00

-

6,00

-

1,00*

-

F-G

Rimesse e parcheggi.Cat. F Rimesse e parcheggi per il transito di automezzi di pesoa pieno carico fino a 30 kNCat. G Rimesse e parcheggi per transito di automezzi di pesoa pieno carico superiore a 30 kN: da valutarsi caso per caso

2,50 2 x 10,00 1,00**

H

Coperture e sottotettiCat. H1 Coperture e sottotetti accessibili per sola manutenzione

0,50 1,20 1,00

Cat. H2 Coperture praticabili secondo categoria di appartenenza secondo categoria diappartenenza

Cat. H3 Coperture speciali (impianti, eliporti, altri) — — —

* non comprende le azioni orizzontali eventualmente esercitate dai materiali immagazzinati** per i soli parapetti o partizioni nelle zone pedonali. Le azioni sulle barriere esercitate dagli automezzi

dovranno essere valutate caso per caso

Capitolo 13 - Il metodo semiprobabilistico agli stati limite

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13.6 COMBINAZIONI DI CARICO

Più azioni elementari possono esercitare il loro effetto su di una costruzione. In tal senso lanorma prevede gli algoritmi con i quali queste possano essere combinate, ovvero le condizionidi presenza contemporanea di più azioni elementari (vento, neve, carichi di esercizio, ecc). Nella definizione delle combinazioni delle azioni che possono agire contemporaneamente, itermini Qkj rappresentano le azioni variabili della combinazione, con Qk1 azione variabile domi-nante e Qk2, Qk3, … azioni variabili che possono agire contemporaneamente a quella dominante. Le azioni variabili Qkj vengono combinate con i coefficienti di combinazione Ψ0j, Ψ1j e Ψ2j,i cui valori sono forniti nella Tabella 13.2, per edifici civili e industriali correnti.Con riferimento alla durata percentuale relativa ai livelli di intensità dell’azione variabile, ilDM definisce:

— valore quasi permanente Ψ2j x Qkj: la media della distribuzione temporale dell’in-tensità;

— valore frequente Ψ1j x Qkj: il valore corrispondente al frattile 95% della distribuzionetemporale dell’intensità e cioè che è superato per una limitata frazione del periodo diriferimento;

— valore raro (o di combinazione) Ψ0j x Qkj: il valore di durata breve ma ancorasignificativa nei riguardi della possibile concomitanza con altre azioni variabili.

Tabella 13.2 - Valori dei coefficienti di combinazione

[NT Tab. 2.5.I]

In sostanza il DM introduce ulteriori 3 coefficienti Ψ0j, Ψ1j e Ψ2j, detti coefficienti di par-tecipazione dei carichi, i quali modellano statisticamente le probabilità di presenza contem-poranea dei carichi.Ai fini delle verifiche degli stati limite si definiscono le seguenti combinazioni delle azioni.

— Combinazione fondamentale, generalmente impiegata per gli Stati Limite Ultimi (SLU):

γG1 ⋅ G1 + γG2 ⋅ G2 + γP ⋅ P + γQ1 ⋅ Qk1 + γQ2 ⋅ Ψ02 ⋅ Qk2 + γQ3 ⋅ Ψ03 ⋅ Qk3 + … (13.5)[NT 2.5.1]

— Combinazione caratteristica (rara), generalmente impiegata per gli Stati Limite diEsercizio (SLE) irreversibili, da utilizzarsi nelle verifiche alle tensioni ammissibili:

G1 + G2 + P + Qk1 + Ψ02 ⋅ Qk2 + Ψ03 ⋅ Qk3 + … (13.6)[NT 2.5.2]

Categoria/Azione variabile Ψ0j Ψ1j Ψ2j

Categoria A Ambienti ad uso residenziale 0,7 0,5 0,3

Categoria B Uffici 0,7 0,5 0,3

Categoria C Ambienti suscettibili di affollamento 0,7 0,7 0,6

Categoria D Ambienti ad uso commerciale 0,7 0,7 0,6

Categoria E Biblioteche, archivi, magazzini e ambienti ad uso industriale 1,0 0,9 0,8

Categoria F Rimesse e parcheggi (per autoveicoli di peso ≤ 30 kN) 0,7 0,7 0,6

Categoria G Rimesse e parcheggi (per autoveicoli di peso > 30 kN) 0,7 0,5 0,3

Categoria H Coperture 0,0 0,0 0,0

Vento 0,6 0,2 0,0

Neve (a quota ≤ 1000 m s.l.m.) 0,5 0,2 0,0

Neve (a quota > 1000 m s.l.m.) 0,7 0,5 0,2

Variazioni termiche 0,6 0,5 0,0

Capitolo 13 - Il metodo semiprobabilistico agli stati limite

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— Combinazione frequente, generalmente impiegata per gli Stati Limite di Esercizio(SLE) reversibili:

G1 + G2 + P + Ψ11 ⋅ Qk1 + Ψ22 ⋅ Qk2 + Ψ23 ⋅ Qk3 + … (13.7)[NT 2.5.3]

— Combinazione quasi permanente (SLE), generalmente impiegata per gli effetti a lungotermine:

G1 + G2 + P + Ψ21 ⋅ Qk1 + Ψ22 ⋅ Qk2 + Ψ23 ⋅ Qk3 + … (13.8)[NT 2.5.4]

— Combinazione sismica, impiegata per gli Stati Limite Ultimi e di Esercizio connessiall’azione sismica E:

E + G1 + G2 + P + Ψ21 ⋅ Qk1 + Ψ22 ⋅ Qk2 + … (13.9)[NT 2.5.5]

— Combinazione eccezionale, impiegata per gli Stati Limite Ultimi connessi alle azionieccezionali di progetto Ad:

G1 + G2 + P + Ad + Ψ21 Qk1 + Ψ22 Qk2 + ... (13.10)[NT 2.5.6]

Nelle combinazioni per SLE, si intende che vengono omessi i carichi Qkj che danno un contributofavorevole ai fini delle verifiche e, se del caso, i carichi G2.Altre combinazioni sono da considerare in funzione di specifici aspetti (p. es. fatica, ecc.).Nelle formule sopra riportate il simbolo + vuol dire «combinato con»; P è il valore di pre-sollecitazione nei cavi di elementi in c.a.p..I valori dei coefficienti parziali di sicurezza γGi e γQj sono dati al paragrafo 13.7, Tabella 13.3.Le verifiche agli stati limite devono essere eseguite per tutte le più gravose condizioni dicarico che possono agire sulla struttura.

13.7 AZIONI NELLE VERIFICHE AGLI STATI LIMITE

13.7.1 Stati Limite Ultimi

Nelle verifiche agli Stati Limite Ultimi si distinguono:— lo Stato Limite di Equilibrio come corpo rigido: EQU;— lo Stato Limite di Resistenza della struttura compresi gli elementi di fondazione: STR;— lo Stato Limite di Resistenza del terreno: GEO.

La Tabella 13.3, fornisce i valori dei coefficienti parziali da assumere per la determinazionedegli effetti delle azioni nelle verifiche agli stati limite ultimi, salvo diversamente specifica-to.

Capitolo 13 - Il metodo semiprobabilistico agli stati limite

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