Marchionne ai dirigenti Fiat

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Conclusione dell’intervento dell’Amministratore Delegato della Fiat, Sergio Marchione

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Conclusione dell’intervento dell’Amministratore Delegato della Fiat, Sergio Marchione

Abbiamo attraversato altre crisi, come Fiat e come Paese.

Alcuni di voi non c’erano nel 2004, ma quelli che con me hanno iniziato

questo viaggio otto anni fa sanno bene che la situazione era drammatica.

Lottavamo contro il fallimento, la svendita, la consegna dell’azienda nelle

mani delle banche o dello Stato.

Lottavamo contro l’estinzione della Fiat.

C’è stato un punto, allora, da cui ha preso vita la rinascita.

E’ stato il momento in cui abbiamo iniziato a riconoscere che il destino era

nelle nostre mani, ce ne siamo assunti la responsabilità e nel giro di poco

tempo abbiamo sconfitto i pessimisti e realizzato un turnaround che credo

finirà nei libri di storia.

Poi c’è stata la crisi del 2008, generata dal tracollo finanziario negli Stati

Uniti.

Abbiamo dovuto fare i conti con un contesto completamente stravolto.

Le condizioni di base, sulle quali avevamo disegnato i nostri programmi,

sono state spazzate in un attimo. I mercati sono stati stravolti.

Ma abbiamo rivisto le nostre strategie, contenuto i costi e compiuto altri

sacrifici.

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Abbiamo anche fatto una scelta chiara – quella che ora sta dando i suoi

frutti – di allentare il focus sull’Europa e di concentrarci sul Nord America

e sull’America Latina.

Era l’unica scelta in grado di preservare il futuro della Fiat.

Restare legati a quel modello di business, del tutto sbilanciato verso un

mercato in difficoltà, non ci avrebbe portati molto lontani.

In questo modo, siamo riusciti a proteggere la nostra azienda da impatti

che avrebbero potuto essere devastanti.

Abbiamo gestito e assorbito i problemi senza assistenza esterna e li

abbiamo superati.

Le crisi del passato forse non erano pesanti come questa, che ci impedisce

addirittura di fare previsioni affidabili, ma ne siamo sempre venuti fuori

con un grande sforzo collettivo.

Anche ora è possibile.

Ed è esattamente questo il punto cruciale del cambiamento che si richiede

oggi.

Questo è, in estrema sintesi, il contenuto dell’incontro di sabato col

presidente Monti.

Dobbiamo ripensare il modello di business al quale siamo abituati.

Dobbiamo renderci conto che, viste le attuali condizioni della domanda di

auto e le previsioni degli anni a venire, l’Italia e l’Europa non potranno per

noi più essere i soli mercati finali.

Il loro peso è diventato troppo piccolo.

Possiamo e dobbiamo pensare al settore dell’auto in Italia con una logica

diversa, orientarlo in modo differente e attrezzarlo perché diventi un

importante centro di produzione per le esportazioni fuori dall’Europa.

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Nel nostro caso, significa soprattutto verso gli Stati Uniti, oltre che nel

resto del mondo.

Non vale solo per la Fiat, ma per tutte le aziende che intendano

intraprendere questa strategia.

E’ l’unica via per mantenere una solida base industriale nel nostro Paese.

Una base che, come la storia ha già dimostrato, è garanzia di occupazione,

competenze, stabilità economica.

Tutte risorse molto preziose e molto difficili da ricreare, una volta

scomparse.

Noi ci impegniamo a fare la nostra parte, ma da soli non possiamo fare

tutto.

E’ necessario iniziare da subito a pianificare azioni, a livello italiano ed

europeo, per recuperare competitività internazionale.

Azioni che garantiscano una reale flessibilità e certezza del diritto nelle

relazioni industriali.

Iniziative che riconoscano la valenza dell’export per il rilancio

dell’economia del Paese.

Politiche, da parte della Banca Centrale Europea, per facilitare l’accesso al

credito.

E’ necessario che la Commissione Europea garantisca condizioni di equità

per tutti i costruttori, respingendo quei tentativi – specialmente da parte

tedesca – di creare condizioni più favorevoli alla propria industria, a

scapito degli altri.

Ed è altrettanto necessario che, in sede europea, si valuti con grande

attenzione la firma di nuovi accordi di libero scambio, stringendoli solo

con Paesi di reale interesse per l’industria, in modo da tutelare e

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proteggere questo settore, senza svenderlo ai concorrenti giapponesi o

sudcoreani.

La possibilità, della quale ho parlato sabato al Presidente del Consiglio,

che la nostra azienda e il nostro Paese diventino un nucleo significativo per

le esportazioni di auto esiste.

E’ credibile.

Ma, lo ripeto, la scelta non spetta solo a noi.

L’impegno a tutelare la realtà industriale italiana, a renderla competitiva e

in grado di creare occupazione richiede una cultura e obiettivi condivisi e

non può prescindere da un impegno di tutta l’Italia.

Io, personalmente, sono fiducioso.

In fondo, sono i momenti più difficili che spingono le persone a stringersi

intorno ai valori comuni e a tirare fuori il meglio di sé.

Adesso è il momento di dimostrare che siamo all’altezza della situazione e

che siamo degni della storia che abbiamo alle spalle.

E’ il momento di ripartire e di farlo nel modo che conosciamo meglio, dal

valore fondamentale su cui questo Paese è stato fondato: il nostro lavoro.

* * *

C’è un altro tema di cui vorrei parlarvi questa sera.

Negli ultimi quattro anni ho viaggiato spesso tra l’Italia e gli Stati Uniti e ho

passato molto tempo in Chrysler.

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Sarei un ingenuo se non mi fossi accorto che questo ha generato, anche

internamente, un certo stato d’animo.

Tutti eravate abituati ad una guida sempre presente.

E poi, all’improvviso, una settimana c’era e quella dopo stava a 7.000

chilometri di distanza.

So che sono nati dubbi, dentro l’azienda, e che li avete condivisi con i

vostri colleghi.

Dubbi sul mio impegno personale in Fiat e in Italia; timori che il mio ufficio

di Detroit potesse diventare quello principale.

Questi pensieri possono avere alimentato un certo senso di abbandono.

Vi ho voluti incontrare anche per questo.

Non ho mai smesso di occuparmi della Fiat e non ho intenzione di farlo.

L’impegno che ho preso il 1° giugno del 2004 – con gli azionisti, ma prima

di tutto con voi – è immutato, è vivo e forte, oggi più che mai.

Vi garantisco che essere l’amministratore delegato della Fiat non è solo un

privilegio per me. E’ una responsabilità che sento con profonda coscienza

e sono consapevole del carico di serietà che richiede.

Non ho alcuna intenzione di abbandonarvi.

Era necessario che andassi di frequente negli Stati Uniti, perché dovevamo

rimettere in moto la Chrysler e farlo in tempi record.

Era necessario per tutti quanti, proprio perché il nostro futuro è garantito

da questa alleanza.

Fiat e Chrysler dovevano iniziare a camminare insieme come un’unica

grande azienda, senza barriere geografiche né culturali.

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Ora abbiamo una storia comune da scrivere e siamo legati, oltre che da

valori profondi, anche dalle esperienze forti che abbiamo condiviso.

Come viene riconosciuto in modo unanime, quello che è successo negli

ultimi tre anni ad Auburn Hills è qualcosa di incredibile, di eccezionale.

E sarebbe anche unico se non l’avessi già visto accadere qui, in Fiat, otto

anni fa.

Fiat e Chrysler sono due aziende su cui pesava una condanna a morte e

che sono sopravvissute. Due aziende che non potrebbero essere più

vicine, per quello che una simile esperienza lascia in eredità.

Chi passa attraverso una prova del genere, chi sopravvive, non sarà mai

più come prima.

I sopravvissuti sono persone diverse, sono persone speciali, che hanno

imparato a guardare al futuro in un modo diverso da chiunque altro.

Tutti noi, in Fiat e in Chrysler, siamo oggi in grado di apprezzare ogni

singolo momento di questa nuova vita che ci è stata concessa.

Sappiamo fare tesoro, giorno dopo giorno, di quello che abbiamo vissuto e

che ci ha cambiato per sempre.

Perché oggi sappiamo che abbiamo la forza per reagire, abbiamo l’obbligo

di non acconsentire al degrado e al disimpegno dalla competizione, di non

essere complici della trascuratezza e degli sprechi.

Perché oggi sappiamo che esiste sempre un momento in cui possiamo

smettere di lavorare per limitare i danni e iniziare a passare all’attacco.

Non posso promettervi che sarà facile.

Non lo è neppure per me.

Mi dipingono, spesso, come un capo-azienda che marcia per la sua strada

senza andare troppo per il sottile.

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Ma quando si viene attaccati – come siamo attaccati noi ora – quando le

menzogne passano per verità, quando ti accorgi che vince chi urla di più…

… il rischio è che dopo la rabbia iniziale, si venga presi dallo sconforto.

Il rischio è che questo “mantra” incessante di critiche abbia il sopravvento

sulla voglia di andare avanti.

E’ successo anche a me.

A volte mi sono chiesto se ne valga la pena.

Mi sono chiesto che senso abbia fare tutto ciò per un Paese che non

apprezza, che spera nei miracoli di un investitore straniero, che ci dipinge

come sfruttatori e incapaci…. e qualunque altro insulto vi venga in mente.

Ma poi mi sono reso conto che chi urla non ha più ragione, ha solo più

fiato.

Loro non sono la maggioranza e non sono certo la parte sana del Paese.

Non dobbiamo e non possiamo lasciare che vincano.

Vorrebbe dire far vincere il declino, piegarci all’inerzia.

Io ho sempre superato i miei momenti di incertezza con la determinazione

di chi ha un progetto di valore e sente il dovere di realizzarlo.

Anche questa volta, in queste circostanze, abbiamo preso un impegno e

dobbiamo lavorare per portarlo a termine.

E anche se a volte tutto ciò si traduce nei toni duri e aggressivi che mi

addebitano, non è altro che la tenacia di chi sa che ce la possiamo fare.

Lo dobbiamo ai nostri figli, al nostro Paese e al nostro futuro.

Lo dobbiamo a noi stessi.

Sono qui anche per dirvi di non arrendervi.

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E che non siete soli.

Non lasciatevi abbattere da chi non crede in noi, da chi sta facendo di

tutto per sottrarvi la fiducia, in voi stessi e nel futuro.

La Fiat - la nostra nuova Fiat-Chrysler - è un’azienda forte e dai valori sani.

Abbiamo la forza che ci deriva dall’appartenere a un gruppo globale, in cui

la solidità dell’insieme può proteggere una singola parte, quando viene

colpita dai venti dei mercati.

Abbiamo la forza che ci deriva dalle esperienze del passato, che abbiamo

affrontato e superato insieme.

Abbiamo la forza delle nostre persone, che non si piegano a un destino già

scritto, ma scelgono la via dell’azione.

Ora, più che mai, dobbiamo continuare ad essere uniti.

Dobbiamo continuare a lavorare, con umiltà, ma consapevoli che la Fiat

siamo noi, tutti insieme.

Consapevoli che la Fiat è un esempio positivo.

E’ l’esempio di una grande impresa industriale che non si rassegna

all’abbandono, che non perde tempo a predicare, ma si impegna per fare,

per costruire, per progredire.

Siamo l’esempio di quella parte del Paese che si tira su le maniche e si

mette alla prova.

Siamo quella parte dell’Italia che vuole cambiare per sopravvivere, che non

si arrende alle difficoltà ma lotta per dar vita a qualcosa di nuovo e di

migliore.

Questa è la nostra Fiat.

Abbiamo obiettivi credibili e persone di valore.

Abbiamo idee, coraggio e determinazione.

Non ci serve altro.

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L’unica cosa che vi chiedo è di non mollare.

Vorrei che tutti ci lasciassimo questa sera ripetendo quello che Einstein

disse più di un secolo fa: “Ho deciso di guardare solo al futuro, perché è lì che ho intenzione di passare il resto della mia vita”.

Grazie per essere venuti qui oggi e grazie, di cuore, per quello che state

facendo.

Auguri di buon lavoro a tutti noi.

* * *