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a cura diAlessandro Laudanna e Miriam Voghera

Il linguaggioStrutture linguistichee processi cognitivi

Editori Laterza

© 2006, Gius. Laterza & Figli

Prima edizione 2006

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Introduzionedi Alessandro Laudanna e Miriam Voghera

L’idea di questo libro nasce da una serie di riflessioni svolte sia all’in-terno delle nostre rispettive attività scientifiche e didattiche, sia nelcorso della comune partecipazione a progetti di ricerca. Nel corso diqueste attività ci è capitato spesso di rilevare quanto sarebbe auspica-bile una più fitta collaborazione tra approcci diversi allo studio del lin-guaggio, in primis tra linguistica e psicologia del linguaggio. L’auspicioè fondato almeno su due motivazioni che riteniamo pienamente fon-date. In primo luogo, una maggiore collaborazione potrebbe assolve-re la funzione di una migliore chiarificazione concettuale, permetten-do ai temi di ricerca propri di ciascuna delle discipline di trovare unamigliore definizione con l’aiuto dell’altra: come spesso accade nella ri-cerca, infatti, gli steccati disciplinari impediscono di scorgere come glioggetti di interesse di due settori di studio in realtà non rappresentinoaltro che livelli di analisi diversi degli stessi fenomeni. In secondo luo-go, la collaborazione sarebbe auspicabile perché, probabilmente, ledelucidazioni concettuali di cui si diceva potrebbero portare ad au-mentare il potere esplicativo interno a ciascuna disciplina.

Dobbiamo aggiungere che talvolta ci è anche capitato di consta-tare con piacere che la collaborazione tra studiosi di linguistica e dipsicologia del linguaggio si è senz’altro accresciuta nel corso dell’ul-timo decennio e che più numerose sono diventate le occasioni di di-battito per scambi di idee e conoscenze. Si è creata, per dir così, unacerta consuetudine al contatto che non solo fa sì che termini, nozio-ni e temi di ricerca delle due discipline siano spesso condivisi, ma tal-volta determina anche il travaso di risultati e acquisizioni e interpre-tazioni di dati da una disciplina all’altra.

Tuttavia, se dall’osservazione generale si passa ad un esame piùattento ci si accorge che il contatto è tuttora circoscritto a livelli e set-

Proprietà letteraria riservataGius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari

Finito di stampare nel marzo 2006Poligrafico Dehoniano -Stabilimento di Bariper conto della Gius. Laterza & Figli SpaCL 20-7940-2ISBN 88-420-7940-5

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oggetti di analisi diviene inevitabilmente multidimensionale, o noncoincidente con le dimensioni tradizionali: ad esempio, per la psico-logia del linguaggio costrutti quali «rappresentazioni ortografiche» o«lessico di output» o «strategia di parsing» si presentano come ogget-ti di studio del tutto legittimi e fecondi dal punto di vista euristico.

La suddivisione qui proposta, quindi, non presume né che le di-mensioni di analisi scelte siano le uniche possibili né che il linguaggioe le lingue debbano necessariamente essere concepiti come rigidestrutture a blocchi. In altre parole, i livelli di analisi che qui presen-tiamo non solo non esauriscono l’insieme dei punti di vista dai qualisi possono indagare le lingue e il linguaggio, ma la stessa partizione danoi effettuata può in alcuni casi apparire inadeguata e riduttiva ri-spetto alla complessità dei fatti linguistici. Proprio perché consape-voli del fatto che molte altre scelte sarebbero state possibili, vogliamocitarne alcune: tra le aree nelle quali tradizionalmente si suddivide lostudio del linguaggio è qui assente la pragmatica; l’acquisizione dellinguaggio, che storicamente ha così profondamente inciso nelle svol-te paradigmatiche delle due discipline, non è stata esplicitamente te-matizzata; dal punto di vista degli approcci e dei metodi, sui quali ri-torneremo più oltre, avremmo potuto concedere più spazio alla si-mulazione su calcolatore dei processi linguistici, che negli ultimi duedecenni è stata adottata in misura crescente soprattutto dagli psico-logi, ma anche dai linguisti, seppure in forme più limitate.

La suddivisione che abbiamo scelto ha voluto privilegiare la ri-partizione tradizionale, presente in tutta la manualistica più diffusa,e favorire, quindi, una certa «riconoscibilità» dell’ambito indagatoche potesse essere trasparente sia per gli studenti sia per i lettori nonspecialisti interessati a questi argomenti. Le peculiarità dei capitoliqui raccolti e i loro numerosi rimandi interni, che riguardano argo-menti e nozioni trattati in più capitoli, guideranno il lettore a coglierele intersezioni tra le varie dimensioni, permettendogli di «ricostrui-re» a posteriori, induttivamente, la complessità dei fatti indagati.

Il volume è idealmente costruito in modo da presentare coppiedi saggi di linguistica e psicologia del linguaggio sulle varie dimen-sioni di analisi delle lingue: fonologia, morfologia, semantica, lessicoe sintassi. L’unica eccezione è costituita dai primi due saggi dedicatialla fonetica e all’ortografia. Nel primo caso, la presenza di un uni-co capitolo è giustificata dal fatto che, per quanto concerne la fone-tica, la divaricazione di approcci, teorie e metodi tra linguistica e psi-cologia del linguaggio è molto meno marcata che nelle altre aree trat-

VI Introduzione Introduzione VII

tori estremamente specialistici della ricerca. Ciò fa sì che si creinogruppi di ricerca molto avanzati in alcuni settori o su singoli temi oprogetti di ricerca, ma al contrario manchi, o sia ancora rara, l’abi-tudine a integrare i punti di vista propri della linguistica e della psi-cologia del linguaggio nella comune pratica della ricerca di base. Ciòè ancor più vero se passiamo dal terreno della ricerca a quello dellaformazione universitaria e post-universitaria, sia per quanto riguar-da la presenza di corsi, sia per i materiali didattici disponibili. Quan-to al primo punto, basti pensare alle note difficoltà ad inserire corsia cavallo di ambiti disciplinari diversi; per quanto riguarda il secon-do, gli strumenti didattici, esistono naturalmente numerosi manualidi linguistica e di psicologia del linguaggio, ma essi non sono sempresufficientemente agili per studenti che non vogliano diventare esper-ti linguisti o esperti psicologi, e che tuttavia desiderino conoscere leteorie, i metodi e i problemi empirici delle due discipline.

È sulla base di queste considerazioni che abbiamo pensato fosseutile raccogliere i capitoli di linguistica e psicologia del linguaggioqui presentati, affidando ad essi la funzione di fornire un panoramaaggiornato dei principali temi di ricerca nelle due discipline. I capi-toli, come diremo meglio tra breve, non hanno lo scopo di offrireuno stato dell’arte esaustivo nelle aree di indagine considerate, quan-to quello di mettere a fuoco le questioni più dibattute e di maggioreattualità. Si è quindi cercato da un lato di presentare alcuni risultatiche si considerano oramai acquisiti, dall’altro di discutere critica-mente i nodi ancora irrisolti e più dibattuti nella letteratura scienti-fica. Ciascun autore ha di fatto approfondito gli ambiti più proble-matici, e perciò stesso più interessanti, all’interno delle varie dimen-sioni di analisi.

La scelta degli ambiti presentati indubbiamente non esaurisce l’in-sieme delle possibili dimensioni di analisi delle lingue e del linguag-gio. Tanto la linguistica quanto la psicologia del linguaggio hanno ne-gli ultimi anni sottolineato come le tradizionali partizioni della lin-guistica, che sono state assunte anche dalla psicologia del linguaggioin una fase iniziale della sua storia, siano spesso inadeguate a descri-vere la complessità dei fenomeni linguistici. Sempre più spesso si sot-tolinea – e i saggi qui raccolti ne sono una testimonianza – che non so-lo la spiegazione di una determinata struttura o di un determinatoprocesso di elaborazione coinvolge contemporaneamente più di-mensioni (lessico e semantica, fonetica e fonologia, morfologia e fo-nologia, sintassi e pragmatica, ecc.), ma che la definizione stessa degli

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Anche il termine processo, nonostante il largo uso che ne viene fat-to in psicologia, non ha un significato del tutto univoco. Tuttavia, an-che in questo caso potremmo individuare un nucleo di significatocondiviso tra i vari usi, sostenendo che con tale termine si intende l’in-sieme dei meccanismi cognitivi che permettono o di trasformare unostimolo esterno (ad esempio, una parola scritta) in una corrispon-dente rappresentazione mentale (ad esempio, il significato di quellaparola), ovvero di trasformare una rappresentazione mentale (adesempio, l’immagine mentale del volto di una persona nota) in un’al-tra rappresentazione mentale (ad esempio, il nome di quella persona).

La distinzione tra strutture e processi, come abbiamo già accen-nato, non deve essere intesa come una rigida dicotomia, né per quan-to riguarda gli oggetti di indagine della linguistica e della psicologiadel linguaggio, né per quanto riguarda gli aspetti più propriamentedefinitori di tali oggetti. Come si può chiaramente constatare pro-prio a partire dai contributi qui raccolti, vi è un continuo riferimen-to – sia nei capitoli di linguistica sia in quelli di psicologia del lin-guaggio – tanto alle strutture quanto ai processi o, meglio, all’inte-razione tra dato strutturale ed elaborazione del dato nella realizza-zione dei processi linguistici e linguistico-cognitivi. Ciò avviene inmisura diversa in rapporto alle opzioni teoriche assunte dai vari au-tori, al tipo di oggetti e alle dimensioni indagati, al diverso incre-mento di conoscenze nelle varie aree di ricerca e, infine, in rappor-to anche alle loro diverse tradizioni.

Nella linguistica, per esempio, sono presenti aree in cui vi è tra-dizionalmente una maggiore attenzione al rapporto tra sistema e uso,tra langue e parole, tra competenza ed esecuzione: si pensi alla fone-tica e alla fonologia, ma anche alla semantica e al lessico. Si tratta didimensioni linguistiche in cui il rapporto tra aspetti sostanziali e for-mali del linguaggio appare più difficilmente distinguibile o, meglio,più costitutivamente correlato, come dimostrano anche i relativi ca-pitoli in questo volume.

Una misura del contatto sempre maggiore tra linguistica e psicolo-gia del linguaggio è la diffusione di una terminologia di base comu-ne e la condivisione di molte nozioni chiave. Sempre più spesso neisaggi di linguistica si fa riferimento alla rilevanza di componenti co-gnitive, e termini come memoria, elaborazione (processing), parsing,lessico mentale, sono diventati usuali. Allo stesso modo, nozioni dilinguistica quali tratto, parametro, costituente, e così via, sono parte

Introduzione IX

tate nel volume. Nel caso dell’ortografia, invece, ci troviamo di fron-te a uno di quei casi, citati in precedenza, nei quali un oggetto di stu-dio è tematizzato esplicitamente come tale solo all’interno di unadelle due discipline: la psicologia del linguaggio.

Come si vedrà dalla lettura dei vari capitoli, molti dei temi affronta-ti fanno emergere con forza i diversi punti di vista delle due disci-pline e richiamano problemi di definizione stessa dell’oggetto di stu-dio. La ricchezza teorica di entrambe le discipline e la varietà degliapprocci adottati sono tali da non consentire l’attribuzione di facilietichette ai punti di vista loro propri. È difficile pensare infatti allalinguistica e alla psicologia del linguaggio come a due insiemi omo-genei al loro interno. Almeno in linea di principio, tuttavia, possia-mo individuare alcuni nuclei di interesse propri delle due discipline,che nell’insieme le connotano. Tradizionalmente la linguistica studiala storia, gli usi, ma soprattutto le strutture delle lingue e del lin-guaggio. La psicologia del linguaggio è interessata principalmentealle rappresentazioni e ai processi mentali implicati nella compren-sione, produzione e acquisizione del linguaggio.

Ci è sembrato quindi di poter individuare nella coppia di termi-ni strutture e processi la coppia che più immediatamente caratteriz-za gli oggetti di indagine più tipici della linguistica e della psicologiadel linguaggio. Non tutta la linguistica né tutta la psicologia del lin-guaggio si identificherebbero totalmente negli obiettivi designati daquesti due termini, ma certamente le due discipline trovano in essiparte della loro ragion d’essere e delle loro fondamenta. Ciò non im-plica, ovviamente, che strutture e processi siano i primitivi di teorieuniversalmente accettate, dato che la loro stessa definizione non èpriva di problemi.

Il termine struttura, infatti, può avere all’interno delle teorie lin-guistiche significati diversi identificando di volta in volta fatti di lan-gue, cioè costruzioni linguistiche astratte prevalentemente determi-nate dal rapporto sociale tra parlanti, o elementi di competenza, cioècostruzioni cognitive innate determinate dalla facoltà del linguaggioo, ancora, elementi linguistici identificati sulla base dell’uso che nefanno i parlanti per realizzare le principali funzioni comunicative.Benché i punti di vista adottati siano diversi tra loro, ciò che acco-muna i vari approcci è la ricerca di elementi sistematici e discreti sul-la base dei quali i parlanti costruiscono la complessa rete di inva-rianze che costituisce la grammatica di ogni lingua.

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cialistici della metodologia, ma coinvolgono questioni più generalirelative al tipo e alla diversa osservabilità dei dati (Acquaviva 2000;Berruto 2004; Lepschy 2002; Voghera in corso di stampa). Si trattadi diversità, per così dire, costitutive, non solo legittime ma in molticasi proficue proprio perché permettono di affrontare i fatti lingui-stici da punti di vista diversi: non crediamo infatti che sia un obiet-tivo scientifico da perseguire la reductio ad unum né dal punto di vi-sta teorico né metodologico. Tuttavia, riteniamo, che si possano fa-re dei passi in avanti nella discussione comune.

Indicheremo a mo’ di esemplificazione solo due punti tra i tantipossibili. Un primo punto riguarda la necessità di lavorare insiemesu una migliore definizione dei livelli di pertinenza per l’analisi deivari fenomeni. Le ricerche linguistiche e di psicologia del linguaggiodegli ultimi anni hanno mostrato che l’allargamento del contesto lin-guistico, o l’attenzione verso lo studio dell’interazione tra livelli dielaborazione diversi, apre nuove prospettive per la comprensionedei fenomeni indagati: si pensi per esempio al ruolo del contesto sin-tattico nel determinare il riconoscimento di un’unità lessicale, al ruo-lo che la prosodia della frase può avere nei processi di risillabifica-zione delle parole o, ancora, al ruolo che la distribuzione dell’infor-mazione (per esempio la suddivisione in topic e comment) ha nellacostruzione sintattica della frase. L’insieme di questi dati mostra lanecessità di incrementare il lavoro comune su una migliore delimi-tazione dei livelli di pertinenza della ricerca sulle strutture e i pro-cessi di base.

Un secondo punto riguarda il peso e il ruolo da assegnare alla va-riabilità interlinguistica e intralinguistica. Non vi è dubbio che lascelta degli elementi pertinenti del fenomeno indagato avvenga soloall’interno di ciascuna teoria scientifica, che per definizione indivi-dua le classi di dati per essa rilevanti, facendo astrazione dagli ele-menti contingenti o spuri. Inoltre, il vaglio delle ipotesi scientifichedi una teoria deve spesso avvenire su un insieme di dati che sono pro-dotti in un ambiente controllato, o sono specifici di certe condizio-ni date. Ciò rappresenta un passaggio in molti casi utile e necessario.

Inoltre, esistono in alcuni casi delle limitazioni oggettivamentedeterminate dal contesto d’analisi. Basti qui semplicemente citare glistudi di afasiologia, che inevitabilmente si basano su quantità e qua-lità di dati che sono quelle vincolate agli specifici patterns di distur-bi che i singoli pazienti analizzati permettono di osservare. È anchevero, tuttavia, che se il tentativo è quello di conseguire teorie del lin-

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dell’armamentario abituale di ampi settori della psicologia del lin-guaggio. Nei casi più felici, la psicologia e la linguistica si sono ar-ricchite vicendevolmente. È successo talvolta che alcune nozioni ela-borate in ambito linguistico siano state produttivamente importatenella psicologia cognitiva del linguaggio, ricevendo una confermadel loro ruolo anche come unità di elaborazione del linguaggio (sipensi alle nozioni di sillaba o di morfema); così come, d’altro canto,nozioni derivanti dall’apparato teorico classico della psicologia dellinguaggio sono diventate elementi di discussione dai quali la lin-guistica può ormai difficilmente prescindere (è il caso della già cita-ta nozione di lessico mentale).

Sarebbe tuttavia un errore credere che le due discipline procedanodi concerto o congiuntamente. Nonostante molte nozioni della lingui-stica e della psicologia del linguaggio siano entrate in contatto, arri-vando ad essere pienamente condivise, le due discipline appaiono an-cora distanti quanto all’approccio ai dati. Se da un lato questa diver-sità è necessariamente connessa alla diversità di obiettivi, dall’altro es-sa pone a volte problemi di comunicazione tra i due ambiti di ricerca.

In prima battuta, possiamo dire che la psicologia del linguaggiosi presenta più omogenea al suo interno dal punto di vista metodo-logico. Pur nella diversità dei metodi propri alle diverse aree inda-gate, negli studi di psicologia del linguaggio c’è un’accettazione pres-soché unanime del metodo sperimentale e la condivisione di proce-dimenti di raccolta e di trattamento dei dati. Ciò non avviene nei la-vori di linguistica, che possono presentare molte e sostanziali diver-sità non solo nella metodologia usata, ma in ciò che si considera da-to (si vedano gli articoli contenuti nella rivista «Lingue e linguaggio»2003; 2004). È noto, per esempio, che la linguistica generativa basale sue ipotesi teoriche e la loro verifica su dati provenienti da un pro-cesso di controllo con le conoscenze grammaticali dei parlanti: i da-ti sono essenzialmente costituiti da ciò che i parlanti sanno della lin-gua più che da ciò che i parlanti fanno con la lingua. Al contrario, lalinguistica di tipo funzionalista o, più generalmente, variazionista,basa le sue ipotesi teoriche sulla raccolta di usi linguistici, cioè su ciòche i parlanti fanno con la lingua. Il dibattito su questi temi è vivacee continuo e coinvolge molteplici aspetti epistemologici, teorici emetodologici (si vedano tra gli altri i recenti contributi di Newmeyer2003, 2005; Clark 2005; Laury e Ono 2005).

Le diversità tra le due discipline e tra i vari approcci della lingui-stica non riguardano tanto – come è ovvio – gli aspetti più fini e spe-

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la ricerca in psicologia del linguaggio ha cercato di volta in volta didiscriminare in quali componenti (lessicale, semantico morfologicosintattico) del sistema di elaborazione del linguaggio il trattamentodell’informazione su nomi e verbi differisce in modo significativo.

Affermare che su tale argomento si è verificata una produttiva in-terazione tra apporti disciplinari diversi non significa che il quadrodisegnato da tali ricerche sia del tutto coerente, né che in esso nonvi siano anche punti di divergenza. Se si valutano i dati psicolingui-stici e neuropsicologici, ad esempio, vi sono pochi dubbi sul fattoche la distinzione tra nomi e verbi sia rappresentata nel lessico men-tale e che informi i processi di elaborazione del linguaggio, in com-piti sia di produzione che di comprensione. D’altra parte, tuttavia, èaltrettanto chiaro che la distinzione si situa a vari livelli del sistemadi elaborazione linguistica, e il dibattito sui risultati sperimentali in-veste di volta in volta il problema dei componenti responsabili delledissociazioni riscontrate. Inoltre, dati recenti (Laudanna, Gazzellinie De Martino 2004) inducono a dubitare del fatto che, almeno nelcaso delle forme del verbo, si possa parlare di una classe grammati-cale omogeneamente rappresentata nel lessico mentale. Se si passa aidati della linguistica, poi, ci si accorge che è la stessa distinzione tranomi e verbi ad essere più pronunciata o sfumata, a seconda dei li-velli osservati e/o delle lingue considerate. In questo caso i risultatisuggeriscono che la distinzione tra nomi e verbi si situa lungo un con-tinuum, piuttosto che attestarsi sul piano di una netta dicotomia, eche in alcune lingue essa è lungi dall’apparire ovvia.

Tuttavia, al di là delle disparità di approccio e interpretative, percerti versi persino ovvie, quello che ci interessa evidenziare è che iltentativo di integrare prospettive di studio differenti, anche se nongarantisce il raggiungimento di un fine conoscitivo, aiuta – come af-fermavamo all’inizio di questa introduzione – a chiarire il fenomenoindagato e a definirlo meglio lungo linee teoricamente rilevanti, de-rivabili solo grazie a un confronto trans-disciplinare. Non solo, maquesto passo preliminare può in seguito portare o a corroborare ul-teriormente delle interpretazioni già fornite per quel dato fenome-no, o a riformulare e migliorare le spiegazioni preesistenti in mododa adattarle a una gamma di dati più ampia.

La nostra speranza, e uno dei principali motivi che ci ha spinto ascrivere questo libro, è che lo scambio di idee e le opportunità di col-laborazione a cavallo dei confini disciplinari portino sempre piùspesso a una dinamica di miglioramento delle teorie sul linguaggio e

Introduzione XIII

guaggio sempre più ampie e integrate, non ci si può limitare a colle-zionare fenomeni isolati, ma bisogna tentare, per quel che è possibi-le, di inserire i risultati ottenuti in contesti diversi all’interno di unquadro concettualmente coerente. Tale aspirazione dovrebbe valeresia per quel che concerne la generalizzazione dei risultati sperimen-tali agli usi spontanei del linguaggio, sia per quanto attiene all’inter-pretazione di dati che, pur avendo un comune oggetto linguistico, siriferiscono a compiti diversi, che presumibilmente investono com-ponenti almeno in parte diverse del sistema di elaborazione del lin-guaggio. Per il primo punto – la generalizzazione – basti pensare alfatto che le lingue sono oggetti intrinsecamente variabili, le cui ma-nifestazioni sono profondamente influenzate dalle condizioni enun-ciative, che possono incidere sullo svolgimento dei compiti lingui-stici. Per il secondo punto – l’interpretazione – si può prendere co-me esempio il fatto che, nella psicologia del linguaggio, dati che su-perficialmente si riferiscono alla stessa entità (ad esempio, i verbi)debbono ricevere un’interpretazione limitata alla particolare inter-sezione di compiti, modalità, tipo di stimolo, ecc. all’interno dellaquale sono stati raccolti. Ogni condizione sperimentale, difatti, iso-la un sottoinsieme di componenti del sistema di elaborazione del lin-guaggio, ed è a quelle componenti che va circoscritta l’interpreta-zione dei dati.

Quanto detto finora non vuole lasciare intendere che tentativi di te-nere nel dovuto conto tutti gli aspetti e le condizioni citate non sia-no stati effettuati. Anzi, la possibilità di integrare dati provenienti davari settori di ricerca e acquisiti con tecniche e metodi diversi si è giàrivelata proficua in alcune aree, le quali sono state arricchite dallapossibilità di integrare informazioni convergenti. Ad esempio, in an-ni recenti, nello studio dei nomi e dei verbi, la ricerca in linguistica,da un lato, e in psicologia e neuropsicologia del linguaggio, dall’al-tro, ha dato un apporto prezioso nel dettagliare sia teoricamente cheempiricamente i limiti della distinzione tra le due classi di parole,nonché il modo in cui tale distinzione è codificata nella mente uma-na (per una rassegna si veda Laudanna e Voghera 2002). L’aumentodi dati linguistici provenienti da un numero sempre maggiore di lin-gue e/o di contesti linguistici diversi ha affinato la conoscenza sulleproprietà categoriali di nomi e verbi, delineando meglio i limiti diquesta distinzione ai vari livelli nei quali essa è rilevante: lessicale, se-mantico, morfologico, sintattico, pragmatico. Parallelamente anche

XII Introduzione

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Avvertenza generalesull’uso dei segni grafici

Nel volume abbiamo ridotto al minimo l’uso di segni grafici speciali.È tuttavia utile richiamare alcune convenzioni usate nei vari capitoli.

Il grassetto è usato per evidenziare termini e concetti di partico-lare rilievo.

Il corsivo è usato, oltre che come di norma per i termini stranie-ri, anche per indicare: gli usi metalinguistici di parole o frasi; il si-gnificante (in quanto opposto al segno o al significato); unità lingui-stiche usate in esperimenti.

Il MAIUSCOLETTO è usato per indicare: i lessemi; il segno (in quan-to opposto al significato o al significante).

Le barre oblique (/ /) sono usate per la trascrizione fonologica,mentre le parentesi quadre ([ ]) indicano la trascrizione fonetica chefa uso dei simboli dell’International Phonetic Alphabet (IPA), ri-portati a pagina 10.

Le virgolette alte singole (‘ ’) sono usate per indicare: il significa-to (in quanto opposto al segno o al significante); le glosse.

Nel caso in cui due parole siano separate dal simbolo >, la primaparola in tondo è quella attesa, la seconda in corsivo è quella effetti-vamente prodotta.

a una migliore reciproca consapevolezza delle conoscenze maturatein settori diversi. Uno dei modi attraverso i quali favorire questo cir-cuito virtuoso è far sì che l’esposizione a una pluralità di punti di vi-sta abbia luogo non solo tra chi è impegnato nella ricerca sul lin-guaggio, ma anche, a un livello diverso, tra chi si accosta alle nostrearee spinto da curiosità intellettuali o da esigenze formative, comenel caso – ci auguriamo – dei lettori di questo volume.

Non possiamo che concludere ringraziando tutti gli autori chehanno contribuito a questo lavoro per la pazienza e la comprensio-ne con cui hanno collaborato durante la lunga fase di preparazione.Un grazie va anche a James Brucato per l’aiuto offerto nella cura del-la bibliografia generale.

Ma il pensiero più affettuoso va alla nostra casa amica e collegaMarica De Vincenzi che, nonostante le difficoltà in cui versava, hacollaborato fino alle ultime fasi della realizzazione di questo volume.Oggi, che ci ha prematuramente lasciato, ne sentiamo dolorosamen-te la mancanza come amica e come studiosa. Vogliamo ricordarla in-sieme con tutti coloro che hanno scritto questo libro.

Di comune accordo, curatori e autori hanno deciso di devolverei diritti d’autore ad Amnesty International.

A.L. M.V.

XIV Introduzione

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Il linguaggioStrutture linguistichee processi cognitivi

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1.

Foneticadi Renata Savy

1. Introduzione

Rispetto alle altre discipline della linguistica, la fonetica è, insiemealla fonologia, quella che ha a che fare con una sola delle modalitàsemiotiche attraverso cui il linguaggio si manifesta, riferendosi perdefinizione all’analisi della lingua parlata. La fonetica è infatti, nellasua definizione «minima», la disciplina che studia i suoni, in parti-colare i suoni linguistici, prodotti dall’apparato fonatorio umano.Per questo, essa non può essere decisamente distinta e separata dal-la fonologia, che si occupa dell’organizzazione linguistica dei suoni.Il quadro sintetico della disciplina fonetica che stiamo qui per deli-neare sottende, pertanto, almeno due questioni interrelate: da un la-to, come e quanto la fonetica si rapporta ad altre discipline; dall’al-tro, se è possibile una teoria fonetica autonoma, distinta da quella dialtri settori della lingua.

L’oggetto di indagine della fonetica sembra ricavarsi, in un certosenso, per sottrazione dalle definizioni comparatorie che tradizio-nalmente si danno di fonetica e fonologia: tutte poggiano su alcunielementi comuni, ma adottano punti di vista differenti nel delinearela direzione del rapporto tra le due discipline (si vedano Romito2000; Laver 1994; Ladefoged 1988; il capitolo di Marotta in questovolume). Nella definizione comune «ampia», la fonetica si occupadegli elementi fonici della voce materiali e continui, nella loro di-mensione fisica e temporale, che convogliano al contempo informa-zione linguistica e altre informazioni paralinguistiche ed extralin-guistiche; descrive il modo in cui detti elementi vengono prodotti epercepiti, il come, il perché e le circostanze delle loro modificazioni;ma soprattutto si occupa di identificare e descrivere le proprietà dei

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to concreto rilevato) vengono descritte (cfr. § 3). Una spiegazione diquesto tipo dei processi fonetici, e dunque la loro predicibilità, di-viene di importanza fondamentale nella ricerca di invarianti che as-sicurino la comprensione (cfr. § 5).

Gli approcci alla teoria fonetica differiscono sostanzialmente nelruolo che le viene riconosciuto all’interno di una teoria semiotica ge-nerale: si va da posizioni per così dire «ancillari» della fonetica ri-spetto alla fonologia (Romito 2000), fino a quelle che sostengono cheentrambe hanno a che fare con forma e sostanza degli elementi di se-conda articolazione, con una differenza delineabile solo in termini dicentralità (Laver 1994).

La scelta del tipo di dati fondamento dell’analisi rappresentaun’importante questione teorico-metodologica. Una distinzione pri-maria va fatta tra il parlato di laboratorio (suoni prodotti specifica-mente per le analisi fonetiche in condizioni artificiali) e il parlatospontaneo (materiali sonori raccolti al di fuori delle condizioni spe-rimentali). Il primo è stato per lungo tempo la base unica di fonda-mento e verifica delle teorie fonetiche, limitando a monte il campodei fenomeni osservabili.

Una svolta decisiva nell’ampliamento della base dei dati deglistudi fonetici è rappresentata dallo sviluppo dei sistemi informaticiche consentono oggi la conservazione e la gestione di grandi corpo-ra vocali2. Le potenzialità di tali strumenti influenzano le metodo-logie e le pratiche di analisi, ma hanno ripercussioni più o meno di-rette, anche sul versante teorico: una delle strade per la costruzionedi una teoria fonetica generale è infatti quella di un ampliamentodella base di osservazioni, che copra tutto il range delle possibili va-riazioni esecutive e si sostanzi di un fondamento quantitativo e sta-tistico.

Gran parte della terminologia fonetica è in comune con quelladella fonologia, a partire dall’unità basica dell’analisi fonetica, il fo-no, termine che (insieme a quello di allofono, o variante) indica ilsuono linguistico come realizzazione concreta dell’unità astrattafonema (si veda il capitolo di Marotta in questo volume). Esistonopoi termini specifici utilizzati in ciascuna branca della fonetica.

suoni che sono necessarie, in una determinata lingua, a distinguereparole e ad assicurare la comprensione; e ancora, in altri termini, didefinire le basi fisiologiche e fisiche che servono a determinare le ca-tegorie da usare nella descrizione linguistica.

L’aspetto del continuo (o continuum) è comunemente sottolinea-to come proprietà intrinseca della materia acustica, legata al suo svi-luppo temporale come alle sue modalità di produzione (cfr. § 2.2.3).Tuttavia, l’analisi fonetica cerca di identificare e descrivere gli ele-menti, le unità che formano il continuum e deve pertanto necessa-riamente discretizzare questa materia.

L’altro elemento comune è il riconoscimento che gli elementi fo-nici veicolano, oltre l’informazione linguistica, una quota significati-va di informazione cosiddetta paralinguistica ed extralinguistica1:uno dei compiti della fonetica è dar conto delle regolarità e dei trat-ti convenzionalmente (culturalmente) utilizzati come segnali para-linguistici di attitudini, emozioni, relazioni col contesto situaziona-le, ecc., e di quelli che marcano l’identità extralinguistica del par-lante. In alcuni casi, questo viene presentato come obiettivo prima-rio e proprio dell’analisi fonetica; in altri (in verità la maggioranza)costituisce un obiettivo secondario e conseguente a quello della de-scrizione delle proprietà fisiche, pertinenti sul piano dell’analisi lin-guistica.

Dati questi obiettivi, la fonetica non può fare a meno di accede-re alle categorizzazioni del sistema, in primo luogo quello fonologi-co: ogni descrizione fonetica approda a, o ha alle spalle, una qualcheclassificazione linguistico-fonologica, che non pertiene direttamen-te al suo campo d’indagine, ma che la sostiene e giustifica, così co-me non si può trattare di fonologia senza riferirsi, per esempio, aitratti articolatori o acustici e alle loro descrizioni, appartenenti tra-dizionalmente all’ambito di studio della fonetica (si veda il capitolodi Marotta in questo volume).

Il rapporto con un livello astratto e sistemico è ancora insito nelriferimento comune e diffuso ai processi fonetici come «modifica-zioni» dei suoni: tale formulazione implica chiaramente un’unità dimisura rispetto alla quale tali modificazioni (che fanno parte del da-

4 Il linguaggio. Strutture linguistiche e processi cognitivi 1. Fonetica: le strutture e i processi 5

2 Esistono vari tipi di corpora provenienti da produzioni spontanee o semi-spontanee elicitate, vale a dire ottenute attraverso tecniche «distrattive» che con-sentono di osservare comportamenti fonici naturali, sebbene in condizioni am-bientali controllate.

1 Risiede in questo la differenza tra Language e Speech, coppia terminologicamolto in uso nella letteratura in lingua inglese e che solo parzialmente può esseretradotta in ‘Lingua e Parlato’: lo Speech veicola la lingua, ma anche altro che non faparte della lingua (si veda per esempio Ladefoged 2001).

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va e percettiva (non sempre riportata nelle rassegne sull’argomento)dà conto della differenza tra processo fisiologico e processo cogni-tivo nella ricezione. È in questa dinamica che hanno luogo i proces-si di categorizzazione e si esplica la corrispondenza tra unità astrat-te (linguistiche e fonologiche) e realizzazioni concrete, di cui la ri-cerca fonetica deve rendere conto.

Si è soliti operare un’ulteriore distinzione tra fonetica segmenta-le e fonetica soprasegmentale: la prima tratta, per definizione, leunità linguistiche identificate in forma di segmenti fonici, come vo-cali, consonanti, sillabe, ecc.; la seconda tratta elementi e/o proprietàche superano i confini del segmento: tradizionalmente ci si riferisce,con questo termine, a fenomeni ritmici e intonativi (cfr. § 2.4), ma vipossono rientrare diversi fenomeni che riguardano la connessionetra più segmenti.

2.1. Fonetica articolatoria

2.1.1. I meccanismi basilari della produzione La produzione di suo-ni avviene attraverso quattro meccanismi distinti responsabili di fasidiverse della fonazione: 1. pneumatico (l’aria prodotta dai polmoniviene sospinta dal diaframma attraverso la trachea); 2. glottidale (nel-la laringe, il flusso d’aria viene trasformato in suono udibile – segnalesonoro o glottico o laringale – dalla vibrazione delle corde o pliche vo-cali); 3. articolatorio (cfr. §§ 2.1.2 e 2.1.3); e 4. oronasale (le configu-razioni assunte attraverso le posizioni degli organi articolatori attivi –lingua e labbra – e passivi – ugola, palato duro e molle, denti – e le ca-vità nasali fungono da risuonatori e modificano il suono).

Se la descrizione dei primi due meccanismi è prevalentemente fi-siologica, i processi articolatorio e oronasale sono coinvolti più da vi-cino nella descrizione dei tratti linguistici pertinenti del suono pro-dotto, poiché in queste fasi si verifica la differenziazione dei suoniche divengono così distinguibili e classificabili.

2.1.2. Le classificazioni della fonetica articolatoria Tradizionalmen-te il meccanismo di articolazione dei suoni linguistici viene descrit-to in base a classi di suoni distinti per modo e luogo di articolazio-ne. Per modo di articolazione si intende il tipo e il grado di costri-zione che gli organi articolatori raggiungono per la produzione di undeterminato suono, includendo la posizione del velo palatino. I mo-di di articolazione comunemente descritti sono:

Con configurazione articolatoria o con il più recente gesto artico-latorio, si fa riferimento alla dinamica di produzione del suono; inrelazione all’aspetto acustico è usato spesso il termine neutro se-gnale; sul piano uditivo-percettivo è comune invece stimolo sono-ro o linguistico.

Il termine comune che ricorre più frequentemente nel lessico fo-netico è il generico segmento, dietro il cui uso si nasconde una con-cezione teorica non poco problematica3. Il segmento fonetico èun’unità lineare discreta, in via teorica corrispondente ad un’unitàlinguistica astratta e delimitabile all’interno della catena fonica. Tan-to teorie fonetiche quanto fonologiche recenti (si veda ancora Ma-rotta in questo volume) hanno messo in luce l’aspetto non linearedelle unità e negato al segmento uno statuto di realtà oggettiva (manon psicologica). Ciò nonostante esso resta un costrutto analitico eun veicolo descrittivo comodo e di facile impiego (modellato sullasegmentazione delle strutture alfabetiche), utilizzato almeno nellefasi iniziali di una descrizione (Laver 1994).

All’aspetto continuo dei suoni del linguaggio ci si può invece ri-ferire variamente con ccoonnttiinnuuuumm fonico, catena fonica o con un ge-nerico stringa fonetica.

2. Articolazioni della fonetica

La fonetica si articola tradizionalmente in tre (o quattro) sottodisci-pline. La fonetica articolatoria studia la fisiologia e il funzionamen-to degli organi fonatori per e durante la produzione dei suoni lin-guistici. La fonetica acustica studia la struttura fisica dei suoni lin-guistici sotto forma di segnali sonori. La fonetica uditiva studia la fi-siologia e il funzionamento dei meccanismi uditivi e la risposta sen-soriale (meccanica) del sistema uditivo ai suoni linguistici. Infine, lafonetica percettiva studia il modo in cui il suono linguistico come sti-molo sensoriale, una volta trasmesso al sistema centrale, viene ela-borato, identificato e riconosciuto. La distinzione tra fonetica uditi-

6 Il linguaggio. Strutture linguistiche e processi cognitivi 1. Fonetica: le strutture e i processi 7

3 Tale concezione si può far risalire alle basi dello strutturalismo europeo e agliassunti teorici di articolazione, linearità e soprattutto segmentabilità della catena lin-guistica in unità (enunciati, sostanzialmente, da Saussure 1916), che costituisconogli assiomi fondamentali del «paradigma segmentale», prospettiva che deve moltoalla rappresentazione scritta della lingua.

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cale (alto, basso, medio-alto, medio-basso) e longitudinale (anterio-re, centrale, posteriore), cui vengono aggiunte informazioni sullaconformazione delle labbra (protruse o distese).

In un’ottica squisitamente segmentale, l’oggetto di tale descrizioneè l’insieme dei segmenti fonici identificati in base alle loro proprietà di-stintive in tutti i sistemi linguistici conosciuti e analizzati. Si tratta, dun-que, di una descrizione totalmente classificatoria nella quale il rap-porto con il livello fonologico è in un certo senso autoevidente.

Tale classificazione ha un suo riflesso nella matrice principale disimboli alla base dell’IPA (International Phonetic Alphabet)4, il si-stema comunemente usato per trascrivere foneticamente. Nono-stante l’intenzione di creare un sistema di trascrizione «in grado dirappresentare tutte le possibili realizzazioni foniche al di là di quel-le che costituiscono i diversi sistemi di lingua» (Giannini e Pettori-no 1992, p. 94), l’IPA è, per stessa ammissione di uno dei suoi piùautorevoli rappresentanti (Ladefoged 1990), sostanzialmente un al-fabeto fonologico che rappresenta classi di suoni (cioè fonemi), ar-ricchito da un inventario suppletivo di simboli che catturano alcunidettagli sistematici, ma non distintivi.

Proprio su questi aspetti dell’IPA e sui principi della trascrizio-ne, si ripropone la discussione su quale grado di astrattezza, o vice-versa di dettaglio, deve o può raggiungere un sistema di trascrizio-ne. Il dibattito aperto vede posizioni di diverso taglio: da quella «an-tropofonica» di Lindblom (1990), che sostiene che ogni suono lin-guistico possibile (definito all’interno di uno spazio fonetico univer-sale) dovrebbe essere rappresentato, ma ciò avrebbe come conse-guenza un collasso del sistema stesso di rappresentazione; a quelladi Pierrehumbert (1990), che definisce utopistico e incoerente un in-ventario universale fatto di elementi discreti che non sembrano ave-re lo stesso statuto cognitivo dei segmenti fonologici; a quella me-diatrice e statistica di Ladefoged (1990), che vede come unica viapossibile l’osservazione di dati quantitativamente significativi sulmaggior numero di lingue possibili e la loro descrizione in termini dicategorie appropriate all’oggetto di descrizione.

2.1.3. Dinamica articolatoria e «setting» In tempi più recenti, conl’approfondimento delle conoscenze dei meccanismi fisiologici

Tab. 1. Modi di articolazione

modo tipo e grado di costrizione

occlusivo costrizione massima

fricativo costrizione media

approssimante costrizione minima

nasale con abbassamento del velo e passaggio d’aria nella cavità nasale

laterale con costrizione centrale e passaggio d’aria lateralmente alla lingua

vibrante con alternanza di costrizioni e rilasci

vocalico costrizione nulla

A questi si aggiungono di frequente combinazioni articolatorieche danno luogo a modalità come l’affricata (un’occlusione totale se-guita da una fase di media costrizione) o la laterale-fricativa, e simili.

Per luogo di articolazione, invece, si intende il punto o la zonadel cavo orale in cui la costrizione (di qualunque grado essa sia) haeffetto. I luoghi di articolazione primari (elencati dalla massima allaminima distanza dalla glottide) sono:

Tab. 2. Luoghi di articolazione

luogo descrizione sintetica

labiale con avvicinamento del labbro inferiore e superiore

dentale con avvicinamento della punta della lingua contro i denti superiori

alveolare con avvicinamento della punta della lingua contro gli alveoli

palatale con avvicinamento del dorso della lingua contro il palato duro

velare con avvicinamento della radice della lingua contro il palato molle (o velo)

uvulare con movimenti dell’ugola

faringale con restringimenti delle pareti alte della faringe

epiglottale con restringimenti delle pareti basse della faringe

glottale con restringimento della glottide

Il continuum fisico dell’apparato buccale discretizzato in questemacrozone, poi, viene spesso ulteriormente suddiviso, per dar con-to di articolazioni ai margini delle principali, in zone post-alveolari,pre-palatali, post-palatali, pre-velari.

Per le vocali, i luoghi di articolazione corrispondono a discretiz-zazioni più o meno fini dell’apparato rispetto alle dimensioni verti-

8 Il linguaggio. Strutture linguistiche e processi cognitivi 1. Fonetica: le strutture e i processi 9

4 Per una storia dell’IPA si vedano Giannini e Pettorino 1992; Ladefoged 1990.

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dell’articolazione, sono stati proposti altri tipi di descrizioni deisuoni, nelle intenzioni meno classificatorie e più attente alla dina-mica reale dell’articolazione. In realtà, anche in questo caso, ciòche si descrive è il segmento, o qualcosa che unisce più segmenti,anche se inteso in termini più autonomi da una pre-classificazionelinguistica.

Laver (1994) dedica diversi capitoli agli aspetti dinamici dell’ar-ticolazione, di cui diamo qui di seguito una sintesi limitata ai puntisalienti.

In primo luogo, ogni articolazione si realizza attraverso una di-namica analizzabile in almeno tre fasi: una fase di onset (o attacco),in cui gli organi articolatori iniziano il movimento verso il loro target(o bersaglio articolatorio); una fase mediana di tenuta, in cui il ber-saglio viene raggiunto o almeno approssimato; una fase di offset (orilascio), in cui si assiste ad un movimento di ritorno alla posizionedi inerzia o di transizione verso una successiva articolazione. Alcunearticolazioni mancano o hanno una notevole riduzione della fase me-diana (segmenti transizionali).

In secondo luogo, un segmento può essere prodotto con movi-menti simultanei che riguardano più di un luogo e diversi gradi dicostrizione (per esempio un’occlusione labio-velare): si parla, inquesti casi, di doppie articolazioni o articolazioni multiple, in cuiè presente una costrizione primaria ed altre secondarie. Questi ter-mini vengono utilizzati anche per riferirsi a modificazioni di un’ar-ticolazione sotto l’influsso di segmenti adiacenti: si hanno così seg-menti velarizzati, labializzati, palatalizzati, laringalizzati, ecc.(quando la modificazione è del luogo di articolazione), o retrofles-si, nasalizzati, ecc. (quando la modificazione riguarda il modo diarticolazione).

Nel parlato continuo, soprattutto veloce, le fasi articolatorie so-no spesso sovrapposte. Per questo tipo di produzione si parla di re-lazioni coordinatorie (o strutture coordinative) che si verificano al-l’interno di un setting articolatorio definito come una configurazio-ne articolatoria dinamica, coinvolta nella realizzazione di più seg-menti adiacenti che condividono alcuni tratti (Laver 1994).

Questo modello di descrizione è alla base delle più recenti teoriedell’articolazione e della coarticolazione (cfr. § 3), che costituisconoil settore della fonetica in cui si sono concentrati maggiormente glisforzi modellistici e teorici.

10 Il linguaggio. Strutture linguistiche e processi cognitivi 1. Fonetica: le strutture e i processi 11

THE INTERNATIONAL PHONETIC ALPHABET (revised to 1993, updated 1996)

VOWELS

TONES AND WORD ACCENTSLEVEL CONTOUR

Where symbols appears in pairs, the one to the rightrepresents a rounded vowel.

Front Central Back

Close

Close-mid

Open

Open-mid

Alveolo-palatal fricatives

Alveolar lateral flap

Simultaneous and

Extra High

High

Mid

Low

Extra low

Downstep

Upstep

Rising

Falling

High rising

Low rising

Raising-falling etc.

Global rise

Global fall

Affricates and double articulationscan be represented by twosymbols joined by a tie barif necessary

Voiceless

Voiced

Aspirated

More rounded

Less rounded

Advanced

Retracted

Centralized

Mid-centralized

Syllabic

Non-syllabic

Rhoticity

Breathy voiced

Creaky voiced

Linguolabial

Labialized

Palatalized

Velarized

Pharyngealized

Velarized or pharingealealized

Raised ( = voiced alveolar fricative)

Lowered ( = voiced bilabial approximant)

Advanced Tongue Root

Retracted Tongue Root

Dental

Apical

Laminal

Nasalized

Nasal release

Lateral relase

No audible release

or or

SUPRASEGMENTALS

Primary stress

Secondary stress

Long

Half-long

Extra-short

Syllable break

Minor (foot) group

Major (intonation) group

Linking (absence of a break)

DIACRITICS Diacritics may be placed above a symbol with a descender, e.g.

OTHER SYMBOLS

Voiceless labial-velar fricative

Voiced labial-velar approximant

Voiced labial-palatal approximant

Voiceless epiglottal fricative

Voiced epiglottal fricative

Epiglottal plosive

CONSONANTS (NON-PULMONIC)

Clicks Voiced implosives Ejectives

Bilabial

Dental

(Post)alveolar

Palatoalveolar

Alveolar lateral

Bilabial

Dental/alveolar

Palatal

Velar

Uvular

Examples

Bilabial

Dental/alveolar

Velar

Alveoalr frictive

CONSONANTS (PULMONIC)

Where symbols appears in pairs, the one to the right represents a voiced consonant. Shaded areas denote articulations judged impossible.

Bilabial Labiodental Dental Alveolar Postalveolar Retroflex Palatal Velar Uvular Pharyngeal Glottal

Plosive

Nasal

Trill

Tap or Flap

Fricative

LateralFricativeApproximant

LateralApproximant

Fig. 1. L’alfabeto fonetico IPA, nella versione 1996 (adattata dal «Jour-nal International Phonetic Association», 1996).

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La durata temporale è un altro parametro di cui ci si serve nellemisure acustiche, ma esso non è proprio e costitutivo del segnale,quanto della sua suddivisione in unità linguistiche.

2.2.2. Le classificazioni della fonetica acustica Le descrizioni foneti-co-acustiche dei suoni linguistici sono finalizzate, in prima istanza,all’individuazione nel segnale di regolarità dei parametri fisici chepossano essere messi in corrispondenza con tratti articolatori e condifferenze che operino a livello fonologico.

I foni consonantici si distinguono in due classi: quella a struttu-ra di rumore e quella a struttura formantica. Della prima fanno par-te i foni costrittivi (occlusivi, fricativi, affricati). Alla seconda appar-tengono le consonanti a costrizione minima o parziale (laterali, ap-prossimanti, nasali). Queste sono tutte sonore e presentano compo-nenti armoniche con risonanze (gruppi di armoniche amplificate dalrisuonatore) e antirisonanze (gruppi di armoniche smorzate o an-nullate dal risuonatore), la cui posizione in frequenza dipende dalluogo di articolazione.

I foni vocalici sono caratterizzati da strutture formantiche (risonan-ze) ben definite e di intensità elevata (maggiore per quelli più aperti,minore per quelli alti e chiusi, prodotti con maggior grado di costrizio-ne). Le differenze tra le vocali (differenze timbriche) sono da indivi-duare nel diverso posizionamento relativo in frequenza delle formanti.La frequenza delle prime due formanti, F1 ed F2, è infatti funzione ri-spettivamente dei parametri articolatori di altezza e longitudinalità.

Tab. 3. Parametri acustici

2.2. Fonetica acustica

2.2.1. I principi del suono e l’analisi dei segnali I suoni vocali si con-figurano come onde sonore complesse, analizzabili e scomponibiliin una serie di componenti semplici. Il segnale vocale può essere pe-riodico (o quasi-periodico), quando è generato da una sorgente ela-stica (le pliche vocali), o aperiodico, se generato da sorgenti sopra-glottidali (collocate in qualche punto del cavo orale), solitamente de-finito rumore. Il segnale acustico generato dalla sorgente (periodicao aperiodica) viene modificato nella sua struttura dall’azione di ri-suonatori costituiti dalle varie configurazioni assunte dal cavo oraleattraverso il posizionamento degli organi articolatori: ogni configu-razione funziona da «cassa di risonanza» con una sua specifica ri-sposta al segnale d’ingresso.

I segnali linguistici vengono solitamente descritti attraverso uninsieme di parametri5:

12 Il linguaggio. Strutture linguistiche e processi cognitivi 1. Fonetica: le strutture e i processi 13

5 Non si tratta di tutti i parametri acustici utilizzati nell’analisi dei segnali (peri quali si possono consultare manuali basilari di fisica acustica), ma solo di quellimaggiormente in uso nelle descrizioni fonetico-acustiche.

Neutra Dislocata Doppia Secondaria

labiale alveolarelabiale linguo-labiale labiale palatale labializzata

labio-dentale labiale velareinterdentalelamino-dentale

dentalealveolo-dentalealveolare apico-alveolare labiale alveolarepalato-alveolarealveololo palatalepalatale labiale palatale palatalizzatavelare labiale velare velarizzatauvularefaringale faringalizzataepiglottale laringalizzataglottale

Fig. 2. Luoghi di articolazione neutri e modificati (adattata da Laver1994, p. 139).

parametro descrizione unità di misura

frequenza fondamentale (f0)

l’inverso del periodo di oscillazione della sor-gente (1/T), indica il numero di cicli di oscil-lazione nell’unità di tempo (sec.) e corrispon-de alla frequenza della prima componente ar-monica del segnale periodico

Hz = Hertz (n° cicli/sec.)

intensità (I) pressione sonora per unità di superficie, de-terminata dall’ampiezza massima del movi-mento oscillatorio

dB = Decibel (unità relativa)

frequenza formantica (F1, F2, Fn...)

frequenza centrale (o di taglio) di ognuna del-le risonanze o antirisonanze del segnale perio-dico

Hz = Hertz

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dividuazione di un confine tra unità. La presenza di nasalità (o na-salizzazione) è poi uno dei fenomeni coarticolatori più pervasivi (cfr.§ 3), che si manifesta con un’estensione temporale variabile, ma piut-tosto ampia, modificando le strutture formantiche della sequenzacon la sovrapposizione di risonanze ed antirisonanze aggiuntive.

L’altro punto critico della descrizione acustica dei suoni emerge dal-l’osservazione dell’estrema variabilità della sostanza fonica che moltospesso rende difficile l’individuazione immediata di regolarità dei pa-rametri fisici. Tale variabilità può essere inter-segmentale o intra-seg-mentale. La prima comprende i fenomeni coarticolatori ed è in qualchemisura predicibile. La seconda riguarda, invece, da un lato le variazio-ni intersoggettive nella produzione, legate a caratteristiche extralingui-stiche e sociolinguistiche (quali sesso, età, tratti idiosincratici del par-lante), dall’altro le variazioni, anche da parte di uno stesso parlante, di-pendenti da fattori situazionali, comunicativi o del tutto aleatori.

Infine, una fonte di variabilità tutta interna al piano fonetico, eche ancora una volta richiede la valutazione di parametri relativi, èquella condizionata da fattori prosodici (cfr. § 2.4).

2.3. Fonetica uditiva e percettiva

2.3.1. I principi fisiologici del meccanismo uditivo e i fondamenti psi-coacustici Il sistema uditivo è strutturato in moduli funzionali perricevere e pre-elaborare il suono. Le porzioni più esterne dell’appa-rato uditivo, l’orecchio esterno e l’orecchio medio, si limitano a con-vogliare le onde sonore verso l’organo di trasduzione vero e proprio,l’orecchio interno: questo converte le vibrazioni meccaniche in se-gnali elettrici che giungono, attraverso il nervo acustico, come im-pulsi neurali fino alle aree primarie dell’udito presenti nelle cortec-ce dei due emisferi cerebrali.

Anche questo tipo di descrizione prende le mosse da una tasso-nomia fonemica data a priori: ciò che si descrive, in prima istanza,sono caratteristiche fisiche di classi di suoni distinti a livello di siste-ma linguistico e identificati prima di tutto su un piano articolatorio.

Esistono classificazioni dei suoni vocali più puramente acustiche,basate sull’individuazione di microsegmenti dell’onda sonora chepresentano alcune caratteristiche relazionabili a parametri articola-tori, secondo la teoria acustica di produzione del suono (Fant 1960).

2.2.3. Il «continuum» acustico, la segmentazione e la variabilità acu-stica Ciò che appare nella rappresentazione spettroacustica di unastringa di parlato è un segnale ininterrotto nel suo sviluppo tempo-rale, all’interno del quale non sono facilmente e immediatamenteidentificabili unità o microsegmenti corrispondenti alle unità dellalingua in base a caratteristiche certe e stabili. La fonetica acustica, findai suoi esordi, ha quindi messo in crisi il concetto stesso di seg-mento, inteso come somma di tratti univoci e compresenti, e di li-nearità nella disposizione delle unità foniche. Gli esempi sono innu-merevoli. Basti pensare alla definizione che, sul piano acustico, La-defoged (2001, p. 47) dà delle produzioni consonantiche in genera-le: «most consonants are just ways of beginning or ending vowels».Le consonanti, infatti, non sono determinate unicamente dalle pro-prietà di distribuzione spettrale del rumore, ma anche (e a volte so-prattutto) dagli andamenti delle transizioni formantiche delle por-zioni vocaliche adiacenti.

Casi ancora più evidenti riguardano le sequenze contenenti piùelementi vocalici consecutivi, dittonghi, o articolazioni nasali: lestrutture formantiche sono in questo caso costituite interamente dazone transizionali, senza soluzione di continuità che giustifichi l’in-

14 Il linguaggio. Strutture linguistiche e processi cognitivi 1. Fonetica: le strutture e i processi 15

Fig. 3. Spettrogrammi delle vocali italiane. Fig. 4. Andamenti transizionali nella parola «guinzaglio».

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dimostrare, infatti, che le classificazioni acustiche e articolatoriehanno un valore predittivo intrinseco perché corrispondenti a di-stinzioni uditivo-percettive. Resta il fatto che, anche in questo caso,ciò che è distintivo percettivamente per un parlante di una lingua,non lo è necessariamente per il parlante di un’altra lingua: per esem-pio, la distinzione tra una fricativa alveolare [s] e una prepalatale [∫]dà risultati interpretabili con uditori inglesi (o italiani), ma non conascoltatori olandesi, che non posseggono questa distinzione nel si-stema fonologico (Fry 1976)6.

I test di discriminazione, inoltre, hanno dimostrato che per alcu-ni suoni linguistici la percezione è categorica mentre per altri è con-tinua. Si parla di percezione categorica quando il risultato di un te-st di discriminazione, effettuato su un insieme di stimoli sonori di-sposti lungo un continuum determinato dai valori che assume un da-to parametro acustico, mostra sistematicamente picchi di massimaprestazione in coincidenza di confini categoriali (per esempio di fo-nema): in questo modo funziona, ad esempio, la percezione delle dif-ferenze consonantiche. Si parla, invece, di percezione continua nelcaso di suoni per i quali il potere discriminativo non risulta mai al-terato dalla posizione della coppia nel continuum, e per i quali le pre-stazioni degli ascoltatori non presentano praticamente mai incertez-ze (massima discriminazione): è continua, ad esempio, la percezionedelle differenze vocaliche.

I risultati di una serie di test su stimoli linguistici hanno eviden-ziato una scala di categoricità costituita, in ordine decrescente, dafoni occlusivi, nasali, liquidi, semivocali, fricativi, vocali (Uguzzoni1990).

2.4. Fonetica soprasegmentale

Il termine soprasegmentale viene normalmente e specificamente im-piegato per riferirsi agli aspetti prosodici del parlato, che compren-dono i due piani ritmico-temporale e intonativo-melodico, in cui sirealizza una stretta e complessa interazione tra articolazione, acusti-ca e percezione della voce (si veda il capitolo di Marotta in questovolume).

Le risposte sensoriali del sistema uditivo agli stimoli acustici ven-gono studiate attraverso le leggi della psicoacustica: le capacità pre-dittive di queste leggi sono limitate ad un ambito probabilistico e so-no valide soltanto all’interno di rigorosi approcci metodologici. Inbreve, a partire da stimoli sonori semplici (toni puri), si richiedonoagli ascoltatori alcune valutazioni soggettive, come: a) l’individua-zione della soglia minima di ricezione dello stimolo; b) la stima as-soluta del valore di una data grandezza acustica all’interno dello sti-molo sonoro; c) la valutazione delle differenze tra stimoli sonori si-mili, ma non uguali. In questo modo vengono identificati: a) il cam-po di udibilità, cioè l’insieme dei suoni udibili dall’orecchio umanocompresi tra soglie di frequenza e intensità; b) le relazioni tra taligrandezze fisiche e le corrispondenti sensazioni uditive (rispettiva-mente pitch o altezza, loudness o forza); c) la soglia differenziale, cioèla soglia di minima rilevazione delle differenze tra due stimoli.

2.3.2. Le classificazioni uditivo-percettive dei suoni I paradigmi del-la psicoacustica prevedono due tipi di test, comunemente denomi-nati «test percettivi» (Uguzzoni 1990).

I test di identificazione richiedono che l’ascoltatore associ ad unostimolo sonoro una etichetta descrittiva, scelta all’interno di un insie-me limitato (closed set) o non limitato (open set) di possibili opzioni.

I test di discriminazione servono a verificare sotto quali condizio-ni acustiche coppie di stimoli relativamente simili fra di loro sono rico-nosciuti come uguali o differenti: le risposte dell’ascoltatore sono im-piegate per determinare la minima differenza acustica in grado di ga-rantire la distinguibilità relativa dei due stimoli presentati nella coppia.

Nei test psicoacustici si utilizzano, di norma, stimoli sintetizzati,in cui un solo indice per volta o un’associazione controllata di indi-ci acustici vengono variati in modo quantitativamente predetermi-nato e organizzati in una serie che riproduce un ccoonnttiinnuuuumm foneti-co di rilevanza fonologica (per esempio, un passaggio graduale dauna vocale all’altra o da una consonante occlusiva bilabiale ad unadentale). In tal modo è possibile studiare come un continuum fone-tico venga segmentato in base alle categorie fonologiche di una de-terminata lingua, e quale sia il parametro acustico che funziona daindice di discriminazione. Facendo appello al sistema fonologico, irisultati di questi test sono ovviamente linguo-specifici.

I test di identificazione sono usati pure per convalidare le ipote-si fatte sul piano acustico e soprattutto articolatorio: essi tentano di

16 Il linguaggio. Strutture linguistiche e processi cognitivi 1. Fonetica: le strutture e i processi 17

6 Va ricordato, inoltre, che l’intera metodologia dei test descritti è basata su unapre-classificazione che influenza necessariamente (soprattutto nei test a rispostachiusa) le scelte e le risposte del soggetto, forzandolo a identificare categorie nellabatteria di stimoli di natura continua (Cutugno e Savy 1995).

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nologica. Sul piano strettamente fonetico la TU è identificabile at-traverso una serie di marche di confine (boundary markers: presen-za di pause nel flusso della catena fonica, andamento calante dei pa-rametri di f0 e I (declination intonativa), allungamento dell’ultima sil-laba tonica (prepausal lenghtening).

La suddivisione tra piano ritmico e intonativo ha valore solo de-scrittivo; sillaba e TU hanno infatti pertinenza per entrambi i pianie costituiscono, piuttosto che unità di costruzione, domini di feno-meni prosodici.

2.4.2. Fenomeni prosodici L’analisi ritmica consiste nell’individua-zione delle alternanze tra sillabe forti e sillabe deboli all’interno diuna stringa. L’elemento che determina la prominenza o la forza di unasillaba è l’accento, foneticamente determinato da aumento di inten-sità, aumento di durata, variazione significativa di f0 rispetto agli ele-menti adiacenti. Nelle lingue cosiddette ad accento dinamico o in-tensivo i primi due parametri costituiscono i correlati acustici più sta-bili dell’accento lessicale (stress)7, mentre nelle lingue tonali sono levariazioni di f0 ad avere maggiore significatività. La posizione e la se-quenza di accenti lessicali danno luogo al contorno ritmico di unenunciato.

Gli studi fonetici sul ritmo hanno ricevuto in generale scarsa at-tenzione e sono stati incentrati essenzialmente sul tema dell’isocro-nia, cioè sull’individuazione di regolarità temporali tra porzioni del-la stringa; la distinzione tra lingue ad isocronia sillabica (durata me-dia sillabica costante) e lingue ad isocronia accentuale (durata me-dia costante degli intervalli accentuali), sebbene ormai decisamenteridimensionata, ha avuto seguito in una serie di studi specifici voltia determinare la differenza ritmica percepibile tra le lingue (Berti-netto e Magno Caldognetto 1993; Ramus et al. 1999).

Di gran lunga più numerosi sono gli studi fonetici dell’intona-zione, cioè dei patterns melodici o tonali determinati dall’andamen-to della curva di f0 all’interno di unità intonative. Anche in questocaso si individuano zone di prominenza prosodica sulla base dellapresenza di accenti tonali (pitch accents), identificabili con accenti difrase, accenti d’enfasi o focus. Gli accenti tonali sono foneticamente

Il piano ritmico è dato dalla dinamica di interazione nel tempo dielementi prominenti e meno prominenti nella stringa fonetica, men-tre il piano intonativo è costituito dalle variazioni di pitch (variazio-ni melodiche) e loudness (variazioni intensive).

Non si può descrivere lo stato dell’arte degli studi prosodici, checostituiscono un settore di ricerca immenso e che ha avuto enormefortuna, soprattutto negli ultimi trent’anni, con l’esplosione delle de-scrizioni delle lingue europee e delle lingue tonali; ci si limiterà, per-tanto, ad una presentazione dei principali parametri, unità e feno-meni pertinenti.

2.4.1. Parametri e unità L’analisi fonetico-prosodica si fonda sul ri-levamento di variazioni e non di costanti attraverso la misurazione diparametri che hanno la caratteristica della relatività. Sono infattipertinenti, sul piano temporale, le variazioni di durata dei segmenti,sul piano intonativo, oltre che i valori di altezza (f0) e intensità (I), iloro andamenti (sotto forma di curve) nel tempo. I tre parametri co-occorrono nel segnalare le unità e le parti prominenti a diversi livel-li nella stringa fonetica, ma la definizione di prominenza si basa ne-cessariamente su un raffronto comparativo tra elementi. Inoltre, i va-lori assoluti di durata, f0 e I devono anche essere valutati in relazio-ne a valori medi del range e delle abitudini del parlante e del registroutilizzato in una determinata situazione.

Nel quadro di tale relatività assume particolare rilievo la defini-zione delle unità di analisi prosodica; anche in questo caso si pone ilproblema del rapporto tra continuità fonica e discretezza linguistica.

L’unità di base del ritmo è la sillaba, categoria linguistica funzio-nale che possiede un suo statuto a livello intuitivo e percettivo. Unapanoramica delle definizioni di sillaba rivela una sua caratterizza-zione sia come gruppo motorio che come gruppo acustico (Cutugnoet al. 2001). La sillaba viene definita, tanto sul piano fonetico che fo-nologico (si veda il capitolo di Marotta in questo volume), come unagglomerato di elementi fonici intorno ad un picco di sonorità o in-tensità (il nucleo, di norma vocalico).

L’unità d’analisi dell’intonazione è una porzione di stringa deno-minata generalmente, Unità Tonale (Tone Unit - TU), o Sintagma In-tonativo (Intonational Phrase). In molti approcci (Halliday 1976),essa è definita come un’unità melodica che demarca blocchi infor-mativi del messaggio; in altri, di stampo generativo (Beckman e Pier-rehumbert 1986), corrisponde a un costituente della gerarchia fo-

18 Il linguaggio. Strutture linguistiche e processi cognitivi 1. Fonetica: le strutture e i processi 19

7 Il termine inglese stress contrapposto ad accent dà conto della differenza traaccenti lessicali e accenti di frase o tonali (cfr. oltre).

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3. Coarticolazione e processi fonetici

Come sottolinea Marotta (2003, p. 3) la coarticolazione costituisceun «aspetto costante e assai pervasivo della produzione linguistica»,prodotto di processi dinamici di intersezione e sovrapposizione spa-zio-temporale di articolazioni: la causa primaria di tali sovrapposi-zioni risiede nell’interazione tra i meccanismi centrali, che invianocomandi neuromotori, operando in parallelo, e il principio fisiologi-co di inerzia degli organi articolatori preposti all’esecuzione.

Si fa spesso riferimento alla coarticolazione come ad un proces-so fonetico di influenza reciproca esercitata da un elemento artico-latorio sul contesto e dal contesto sull’elemento, descrivendolaquindi come fenomeno di adattamento oppure come estensione ditratti articolatori e acustici tra le unità. In questa definizione rien-trano, in prima istanza, tanto i fenomeni di variazione allofonica(grammaticalizzata e lessicalizzata, cfr. Albano Leoni e Maturi1998; per esempio la sonorizzazione di /s/ in [z] davanti a conso-nante sonora) quanto i processi di assimilazione largamente tratta-ti dalla fonetica storica tradizionale (cfr. Marotta 2003, per esem-pio l’assimilazione di nessi consonantici -ct- in -tt-, nel passaggiodal latino all’italiano), cui si aggiungono molti altri fenomeni di va-riabilità contestuale.

Nei modelli della coarticolazione (una sintesi critica è in Farne-tani e Recasens 1999) emergono, tuttavia, divergenze teoriche suquali tra i fenomeni del parlato connesso rientrino nel dominio coar-ticolatorio, e conseguentemente sulla definizione stessa della naturadel fenomeno, del livello a cui si manifesta, della sua funzione e de-gli effetti sul piano della comunicazione. Anche in questo caso il pro-blema si pone nel rapporto tra piano fonetico e fonologico: l’obiet-tivo comune delle teorie della coarticolazione risiede nel tentativo dicolmare la distanza tra le unità discrete del piano fonologico astrat-to e la realizzazione fonica concreta, attraverso modelli predittividella variabilità acustica e articolatoria.

Secondo le teorie di traslazione (o temporizzazione estrinseca),le unità di input del processo articolatorio sono le unità segmentalidella linguistica tradizionale, non specificate nella loro dimensionetemporale, che vengono tradotte nella catena fonica mediante pro-cessi di regolazione temporale e sincronizzazione. Uno dei modellipiù conosciuti è quello della Adaptive Variability sviluppato da Lind-blom (1983, 1990).

realizzati su elementi sillabici attraverso variazioni significative di f0(positive o negative) rispetto all’andamento medio (baseline) e alcontorno locale: ciò che conta è dunque, ancora una volta, non il va-lore assoluto di f0, quanto la presenza e l’entità di un movimento re-lativo.

L’analisi intonativa ha ricevuto grande impulso dallo sviluppo, inambito fonologico, della teoria autosegmentale dell’intonazione (perla quale si rimanda al capitolo di Marotta in questo volume), che haincanalato gli sforzi modellistici verso l’individuazione di categoriefonologiche discrete e distintive (i toni accentuali) con valore fun-zionale (Marotta 2003).

2.4.3. Funzioni prosodiche Più di qualunque altro settore dellateoria fonetica, il campo degli studi prosodici è quello che mag-giormente mette in crisi l’idea di una fonetica pura e dura, separa-ta dagli altri livelli della linguistica. L’aspetto più affascinante de-gli studi consiste, infatti, nell’individuazione e nell’analisi dellefunzioni linguistiche (oltre che paralinguistiche) della prosodia, inparticolar modo dell’intonazione. Da sempre è stato sottolineato ilrapporto tra organizzazione prosodica e strutturazione informati-va degli enunciati: la stessa definizione di Unità Tonale come bloc-co informativo si basa sul presupposto che essa consista in un’u-nità di pianificazione del discorso. Un aspetto dell’intonazione checontinua a suscitare l’interesse di molti studi è il rapporto tra pro-sodia e sintassi: pur rifiutando l’idea di un isomorfismo tra i duelivelli della grammatica, si è cercato di volta in volta di definire ildominio sintattico dei fenomeni intonativi e di stabilire correlazio-ni e co-estensività più probabili con alcune strutture (come quelladi clausola).

Si riconoscono dunque funzioni testuali (di marcatura di ele-menti salienti, di informazione data e nuova, di focus, ecc.) e gram-maticali (di espressione di contrasti sistematici come quelli tra mo-dalità, per esempio dichiarativa e interrogativa) tanto alla suddivi-sione della catena fonica in unità intonative quanto alla loro struttu-razione melodica interna. Infine, di particolare rilievo è il rapportodiretto tra struttura intonativa e piano della significazione, sia sulversante semantico che pragmatico.

Tutto ciò fa della prosodia un livello privilegiato di interfaccia trail piano del contenuto, i livelli di struttura grammaticale e la realiz-zazione fonica del messaggio linguistico.

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riabili, associate ad una finestra di valori, più o meno ampia a se-conda del grado di specificazione di un tratto.

Le teorie di coproduzione (dette anche di temporizzazione in-trinseca o dell’azione, Fowler 1979; Fowler e Saltzman 1993), invece,ispirate alla fonologia articolatoria (Browman e Goldstein 1992), sidistinguono dalle precedenti perché considerano come unità di inputazioni o gesti articolatori dinamici, specificati anche temporalmentegià a livello fonologico-astratto: i gesti sono strutture coordinativepianificate (cfr. anche § 2.1.3), funzionali di per sé al raggiungimentodi una meta, che non vengono modificate nella realizzazione.

Per finire, nel peso sempre maggiore attribuito alle strutture pro-sodiche come fattore di organizzazione del parlato, rientrano anchealcuni approcci alla coarticolazione, sia nel definire l’unità sillabicacome dominio di alcuni fenomeni coarticolatori (Altmann 1997), sianel considerare come determinanti o inibenti fattori quali la posi-zione dell’accento o i confini di unità prosodiche.

4. I rapporti fra le tre fonetiche

Un punto centrale della teoria fonetica è lo studio dell’interazionefra i livelli considerati per esplicitare un piano di corrispondenze cherenda predicibile il processo di decodifica. In quest’ottica una teo-ria fonetica consiste nel descrivere e predire come una determinatarealizzazione articolatoria è resa acusticamente, e quali sono i para-metri acustici che vengono utilizzati dal sistema uditivo e percettivoper decodificare il suono e risalire all’entità astratta che rappresen-

I modelli ispirati a fonologie di matrice generativa (Feature-sprea-ding Theory, Daniloff e Hammarberg 1973; Look-ahead model,Henke 1966) pongono il processo coarticolatorio non a livello di rea-lizzazione fonetica, ma a livello di pianificazione, attribuendo la va-riabilità al dominio di competenza fonologica: le unità di input, defi-nite in termini di tratti fonologici (si veda il capitolo di Marotta inquesto volume), risultano modificate prima che il comando motoriole traduca in meccanismo articolatorio, da un’espansione di tratti diun segmento a segmenti adiacenti non specificati per quegli stessitratti.

Nel modello «a finestra» (Window model, Keating 1990), infine,si introduce una relazione tra piano fonologico e fonetico con l’in-troduzione di un livello intermedio di rappresentazione: i segmentiastratti, specificati o meno per tratti, sono convertiti da regole fono-logiche in configurazioni spazio-temporali (target) dinamiche e va-

22 Il linguaggio. Strutture linguistiche e processi cognitivi 1. Fonetica: le strutture e i processi 23

livello fonologico-lessicalevalori del tratto [± alto]

V C V

+ 0 +– 0 +

V C V

– 0 –+ 0 –

+ + +– + +

+ + +– + +

+ 0 +– 0 +

– 0 –+ 0 –

– 0 –+ 0 –

– + –+ + –

risultato della regola fonologicadi riempimento

risultato della regola foneticadi implementazioneex: C=/s/

risultato della regola foneticadi implementazioneex: C=/x/ (in russo)

risultato della regola fonologicadi contesto

C resta non specificata

risultato della regola foneticadi implementazioneex: C=/h/

Fig. 5. Modello «a finestra» di Keating (adattata da Farnetani e Recasens1999, p. 47).

tempo

dominio di posticipodel gesto 2

dominio di anticipodel gesto 2

1 2 3gesto articolatorio

pro

min

enza

del

ges

to

Fig. 6. Gesto articolatorio e sovrapposizioni (adattata da Farnetani e Re-casens 1999, p. 52).

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5. Fonetica e percezione

Le teorie di percezione che affrontano il versante cognitivo del pro-cesso di ricezione fonica devono necessariamente confrontarsi conle produzioni reali ipoarticolate e variabili. In termini ristretti, essedevono spiegare come, a partire dalle differenze acustiche, suoni di-versi vengono riconosciuti come foneticamente equivalenti (e quin-di realizzazione di una categoria fonologica). In termini più ampi, es-se devono spiegare come e se la ricostruzione del messaggio lingui-stico avvenga a partire dalla percezione e riconoscimento delle sin-gole unità fonetiche.

Le teorie di percezione si rifanno a modelli di tipo bboottttoomm--uupp (dalbasso verso l’alto, dal piccolo al grande) o di tipo ttoopp--ddoowwnn (dall’altoverso il basso, dal grande al piccolo). I modelli di primo tipo vedonoil processo percettivo partire dal segnale acustico e dal riconosci-mento delle unità più piccole successivamente aggregate a formareunità sempre più grandi; il significato globale del messaggio viene ri-costruito attraverso la componenzialità dei significati. Nei modelli delsecondo tipo, viceversa, la conoscenza parte da domini superiori e damacrounità percettive (Albano Leoni 1998), cui viene associato un si-gnificato globale, confrontato poi e definito con quello di unità di li-vello via via inferiore. La maggioranza dei modelli di percezione fo-netica è per lo più incentrata su processi di tipo bottom-up, sebbeneuna componente top-down sia più o meno esplicitamente presente inciascuno di essi con peso variabile. Ciò implica necessariamente il ri-conoscimento di invarianti di «livello basso», identificate variamentea livello di pattern articolatorio o di segnale acustico.

Le teorie articolatorie (Motor Theory, Liberman e Mattingly1985; Direct Realism, Fowler 1986; fino ai più recenti modelli di Ac-tion Theory e Articulatory Phonology citati nel § 3) si basano sul pre-supposto che tra articolazione e percezione ci sia un rapporto diret-to che in qualche modo trascende la materialità del segnale fisico.Parlante e ascoltatore utilizzano le stesse categorie: l’invarianza è,dunque, nel comando neuromotorio, sottostante il gesto articolato-rio, che l’ascoltatore ricostruisce con una copia a livello del suo si-stema nervoso. Nelle teorie acustiche (Analysis by Synthesis, Stevens1996; Quantal Theory, Stevens 1989) si sostiene che l’ascoltatore de-codifica il segnale acustico (analysis) generando un pattern interno(sempre nel sistema sensoriale, periferico) di confronto (synthesis):la comparazione avviene a livello neuroacustico e l’invariante è co-

ta; in linee più generali, ciò significa osservare come il significante sisostanzia e come dalla sostanza del suono si risale alla forma del si-gnificante. In questo rapporto si esplica il ruolo della fonetica comescienza del linguaggio a tutti gli effetti.

Due appaiono gli aspetti centrali. Il primo può essere illustratoprendendo spunto dall’approccio «antropofonico» (cfr. § 2.1.2) alladescrizione dei suoni linguistici suggerito da Lindblom, il quale notache rispetto alle potenzialità fisiologiche dell’apparato, il range com-plessivo dei gesti articolatori mostra un deciso sottoimpiego (Lindblom1983). La domanda è: perché alcuni suoni, alcune articolazioni sonolargamente utilizzati ed altri no? La risposta fa riferimento da un lato afattori fisiologici, dall’altro a vincoli linguistico-comunicativi (Laver1994). Ci sono, in sostanza, tre posizioni prevalenti che pongono in evi-denza una perfetta integrazione del sistema e del suo funzionamento.

La prima (che sottosta ad alcune teorie come la Quantal Theorydi Stevens 1989) mette in relazione diretta i tre livelli sul piano del-la stabilità (perceptual stability): i suoni più frequenti sono quelli cherisultano prodotti in zone articolatorie stabili, e che danno luogo aplateau acustici all’interno dei quali le minime differenziazioni nonsono percettivamente apprezzabili.

La seconda si basa su un principio di adeguata e sufficiente di-stintività percettiva: si producono suoni che garantiscano la massi-ma distinguibilità perché il sistema percettivo ha precedenza suquello produttivo.

La terza è la cosiddetta prospettiva ecologica di Lindblom(1983), in cui requisiti articolatori come quello di economia (il siste-ma motorio, in assenza di necessità particolari, tende a compiere ilminimo sforzo possibile) e di plasticità (il sistema si adatta a rag-giungere il bersaglio articolatorio in ogni condizione) concorronocon constraints percettivi.

I tre principi determinano un nucleo di suoni statisticamente piùpresenti nelle lingue del mondo, che costituiscono una sorta di uni-versali fonetici (Ohala 1979; Lindblom 1986; Lindblom e Maddie-son 1988).

L’altro aspetto, sostanzialmente non lontano dal primo, che coin-volge il rapporto tra il versante articolatorio, acustico e percettivo,riguarda il modo in cui si riesce a risalire dalla infinita variabilità del-le realizzazioni alle invarianti astratte: la soluzione a tale questione èargomento di studi e teorie di percezione fonetica, cui possiamo so-lo brevemente accennare in questa sede.

24 Il linguaggio. Strutture linguistiche e processi cognitivi 1. Fonetica: le strutture e i processi 25

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2.

Ortografiadi Alessandro Laudanna

1. Introduzione

La capacità umana di elaborare informazioni sul linguaggio scrittoè un’acquisizione relativamente recente dal punto di vista evoluzio-nistico: il linguaggio scritto è una proto-tecnologia o, se si preferisce,una «invenzione» della nostra specie, che risale a non molto più di5000 anni or sono (i primi sistemi di scrittura cuneiformi emerseroprobabilmente solo intorno alla fine del quarto millennio avanti Cri-sto). Il linguaggio orale, invece, si è sviluppato durante la storia na-turale della specie homo sapiens, presumibilmente grazie alla con-vergenza di diverse pressioni evolutive e di un insieme di modifica-zioni biologiche (stazione eretta, lateralizzazione cerebrale, modifi-cazione del tratto vocale, ecc.) che sono venute a compimento nel-l’arco di centinaia di migliaia di anni.

È anche – o forse principalmente – da questa storia evolutiva as-sai differente che deriva una conseguenza importante dal punto divista cognitivo: i processi di elaborazione delle lingue scritte, chepermettono di leggere e scrivere a una parte sempre più estesa di es-seri umani, sono basati su meccanismi e rappresentazioni solo in par-te coincidenti con quelli che sostengono la conoscenza e l’uso dellelingue parlate (Laudanna 2004).

In primo luogo, sono sensibilmente diversi i meccanismi di ap-prendimento. I processi di elaborazione del linguaggio orale si ser-vono di dispositivi neurali specializzati e di predisposizioni biologi-che universali; per questo, anche con un grado di stimolazione nonottimale, essi si evolvono in tutti gli individui precocemente, nellostesso arco di tempo critico, attraverso tappe di maturazione similie, in gran parte, grazie a un apprendimento non volontario. Al con-

stituita da una matrice di segmenti fonetici e di tratti distintivi espli-citamente definiti su base spettrale. Nelle cosiddette teorie passivetratti distintivi estrapolati dal segnale vengono direttamente elabo-rati da un’analisi uditiva periferica (Auditory Theory, Fant 1967) omesse a confronto con rappresentazioni prototipiche immagazzina-te in memoria (Fuzzy Logic, Massaro e Oden 1980).

La teoria cosiddetta HH&&HH (Lindblom 1990, 1996), basata sulconcetto di variabilità adattiva (cfr. § 3), considera la ricerca di in-varianti effetto di una sovrastima dell’informazione presente nel se-gnale: il processo di percezione è un processo dinamico di integra-zione di informazione interna ed esterna al segnale e soprattutto in-terattivo con vari livelli di conoscenza e di esperienza dell’ascoltato-re. Il problema dell’invarianza viene superato attribuendo meno ri-lievo al segnale, e non si pone il problema della sua segmentazione,semplicemente perché essa non viene assunta come base della deco-difica del messaggio, per lo meno non ai livelli più bassi del proces-so. In questa visione si attua un vero e proprio superamento dell’ot-tica fonetica verso un modello integrato di comunicazione.

6. Conclusioni

Il quadro fin troppo sintetico della fonetica delineato in queste pagi-ne, pur avendo tralasciato molti aspetti d’interesse, può essere suffi-ciente a mostrarne la natura di disciplina di confine che copre un am-pio dominio di interazioni: nei suoi fondamenti essa ha a che fare conla fisiologia, l’acustica, la psicoacustica, la psicologia; all’interno del-la teoria linguistica dialoga necessariamente con il piano fonologicoin primo luogo, ma anche morfologico, sintattico, semantico, prag-matico, attraverso l’interfaccia affidata alla dimensione prosodica.

In quest’ottica, una teoria fonetica autonoma non è forse unobiettivo possibile né da perseguire. Sebbene a livello descrittivopossa rimanere utile una rigida separazione tra livelli d’analisi, ciònon deve far perdere di vista la complessità di un quadro costituitoda infinite relazioni e condizionato da diversi fattori. Proprio queisettori meno strutturati, come la fonetica (o la pragmatica), tradi-zionalmente trascurati dalla linguistica teorica perché non facilmen-te sistematizzabili, mostrano l’importanza di un approccio multidi-sciplinare e di teorie basate sul reticolo: le sovrapposizioni rilevabilitra le aree altro non sono, infatti, che il palesamento della strutturamultilivello e integrata della facoltà di linguaggio.

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bi del linguaggio). Nel presente capitolo verranno trattate solo alcu-ne tra le più importanti questioni concernenti il riconoscimento e lascrittura di parole singole in individui adulti (per la lettura di parolesi rimanda al capitolo di Peressotti e Job in questo volume).

Prima di entrare nel vivo della trattazione, sarà opportuno chia-rire che in questo capitolo la parola ortografia non ha il senso cor-rente, rilevabile in un dizionario dell’italiano, di «studio della scrit-tura corretta». Prendendo a prestito l’uso che, di riporto dall’ingle-se, si fa del termine anche nella letteratura specialistica in italiano,per ortografia intenderemo l’elaborazione che ha a che vedere conla forma scritta delle parole. Più specificamente, quando si parleràdi ortografia o di processi ortografici, lo si farà per indicare lo stu-dio delle modalità o dei metodi di messa in corrispondenza o di uninsieme di segni visivi con i suoni di una lingua (e viceversa), o del-l’insieme delle forme scritte delle parole con il sistema dei significa-ti. Nel prossimo paragrafo osserveremo come tali metodi varino dalingua a lingua, dando luogo a diverse tipologie di corrispondenzatra struttura fonologica e struttura ortografica di una parola.

2. I diversi sistemi di scrittura

La maggior parte dei sistemi di scrittura oggi esistenti si suddivide intre categorie: sistemi logografici, sistemi sillabici e sistemi alfabetici(Sampson 1985).

I sistemi logografici come quello del cinese o, almeno in riferi-mento alle parole-contenuto come nomi e verbi, quello Kanji delgiapponese, si caratterizzano per il fatto che in essi un simbolo, il lo-gogramma, formato da un carattere o da un insieme di due caratte-ri, corrisponde ad un’intera parola dal punto di vista fonologico. Intali sistemi di scrittura, la relazione tra simbolo grafico e parola è glo-bale e non analitica, ossia non comporta corrispondenze tra singoleparti costitutive del segno e singoli suoni della parola.

I sistemi di scrittura sillabici, come quello Kana del giapponese oquello del cherokee, prevedono una corrispondenza approssimativatra ciascun segno grafico e ciascuna delle sillabe costitutive della pa-rola. Generalmente tali segni grafici rappresentano o l’insieme di unsuono consonantico e di un suono vocalico, o un singolo suono vo-calico; in tali sistemi i segni graficamente simili non corrispondononecessariamente a sillabe con caratteristiche simili dal punto di vistafonetico.

trario, i processi di elaborazione delle lingue scritte, che ci permet-tono di svolgere i compiti di lettura e scrittura, non si sviluppano chea partire dall’età scolare attraverso un apprendimento esplicito; essiinoltre non sono universali ma appartengono, a tutt’oggi, solo a unaparte della popolazione. Queste palesi diversità evolutive tra lo scrit-to e il parlato potrebbero già giustificare in un volume come questola presenza di un capitolo dedicato all’elaborazione del linguaggioscritto e fanno capire perché abitualmente, da un punto di vista co-gnitivo, tale elaborazione venga studiata separatamente rispetto aiprocessi di produzione e comprensione del parlato. Da un punto divista psicologico, tuttavia, le differenze tra elaborazione del linguag-gio parlato e del linguaggio scritto non sono solo quelle filogeneti-che e ontogenetiche cui abbiamo accennato finora.

In secondo luogo, sono diversi i canali sensoriali e motori e i co-dici nei quali le due forme di linguaggio si dispiegano: il linguaggioorale utilizza la modalità fonico-uditiva, nella quale sono impegnatil’apparato articolatorio e il sistema uditivo; il linguaggio scritto uti-lizza la modalità grafico-visiva, che investe il sistema motorio ma-nuale e l’apparato visivo.

In terzo luogo, i processi di elaborazione della lingua scritta di-pendono maggiormente dal tipo di input al quale gli utenti sonoesposti, dal tipo di lingua scritta e dal tipo di corrispondenza che es-sa intrattiene con la lingua parlata. Per questa ragione, come vedre-mo nel paragrafo seguente, è rilevante distinguere i diversi tipi di lin-gua scritta, non solo a scopo meramente descrittivo, ma anche al fi-ne di guidare le ipotesi teoriche sull’elaborazione cognitiva delle pa-role scritte, in comprensione così come in produzione.

Infine, è diverso il corso temporale delle attività di elaborazionedel linguaggio scritto: quando scriviamo o leggiamo, abbiamo a di-sposizione molto più tempo di quando parliamo o comprendiamo illinguaggio parlato; queste ultime attività sono quindi più automati-che e immediate delle prime.

A questo punto, per tutte le ragioni esposte, dovrebbe apparirechiaro perché sia addirittura necessario impostare in modo autono-mo la trattazione dei processi ortografici di riconoscimento e produ-zione. Un’attività di ricerca in profondità sui processi ortografici si èdi fatto sviluppata soprattutto negli ultimi tre decenni e ha preso inesame i fattori cognitivi che soggiacciono all’elaborazione di tutte leunità linguistiche, sia nel riconoscimento che nella produzione, pres-so varie fasce della popolazione (bambini e adulti, senza o con distur-

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Prima di passare alla rassegna dei modelli e dei risultati speri-mentali, è basilare una chiarificazione terminologica: anche se l’unitàdi base delle lingue alfabetiche è la lettera, nel prosieguo di questocapitolo si farà spesso riferimento alla nozione di grafema. Le no-zioni di grafema e lettera non coincidono necessariamente, giacchéil grafema è definito come la lettera o l’insieme di lettere che rap-presentano un singolo fonema; pertanto, nella parola ghermisce avre-mo 9 lettere ma solo 7 grafemi, in quanto i gruppi gh e sc equivalgo-no ciascuno a un singolo suono.

3. Il riconoscimento delle parole scritte

3.1. I movimenti oculari

Il primo contatto tra lo stimolo scritto e il sistema linguistico-cogni-tivo avviene attraverso l’apparato percettivo visivo ed è stato studia-to soprattutto mediante la tecnica dei movimenti oculari. Quando inostri occhi esplorano il testo scritto non lo fanno in modo continuoe regolare, bensì compiendo dei rapidi movimenti, chiamati saccadi.Durante le saccadi, la cui durata di 10-20 millisecondi è sufficientea «scavalcare» anche più di 10 caratteri, i movimenti oculari sonotroppo rapidi perché possano essere rilevate delle informazioni or-tografiche.

Vi sono tuttavia anche dei periodi di tempo tra un movimento el’altro, le fissazioni, durante i quali gli occhi restano immobili el’informazione può essere recepita dal sistema visivo. La maggiorparte delle parole viene fissata solo per una volta per periodi che van-no dai 50 ai 250 millisecondi e la cui durata dipende sia dalla diffi-coltà del testo, sia dalla velocità individuale di lettura, sia dalla pre-senza nel testo di snodi critici (ad esempio dal punto di vista sintat-tico): è per quest’ultimo motivo che le fissazioni sono utilizzate co-me indicatori della difficoltà di elaborazione cognitiva legata alle di-verse strutture linguistiche presenti in un testo.

A volte i movimenti oculari seguono una direzione opposta aquella naturale del testo (da sinistra verso destra in un’ortografia co-me quella dell’italiano o da destra a sinistra nell’ebraico), ovvero sitorna su parti della riga già lette: si tratta delle cosiddette ricorsioni(regressions), le quali spesso segnalano un bisogno del lettore di rie-saminare parti del testo, ad esempio singole parole, già analizzate. Èstato notato che talvolta vengono saltate le parole brevi, che molto

2. Ortografia 31

I sistemi di scrittura alfabetici si avvalgono di un insieme moltopiù ristretto di segni grafici, le lettere, che corrispondono a grandi li-nee ai suoni distintivi (fonemi) della corrispondente lingua parlata.Nei sistemi di scrittura alfabetici consonantici, come quelli di moltelingue semitiche, come l’arabo o l’ebraico, in scrittura vengono ri-portati obbligatoriamente soltanto i segni corrispondenti ai suoniconsonantici. Nei sistemi di scrittura alfabetici regolari, quelli a noipiù familiari perché usati nella grandissima maggioranza delle lingueeuropee, un segno scritto o un insieme di segni scritti riproducono,in modo più o meno approssimato, un fonema. Nelle lingue con si-stemi di scrittura alfabetici fonologicamente trasparenti (o superfi-ciali), come l’italiano o il finnico, la corrispondenza tra lettere e suo-ni tende a essere biunivoca, fatte salve talune deviazioni locali da ta-le corrispondenza che spesso sono previste dal contesto ortograficoimmediato: in italiano la lettera g ha valore velare davanti a conso-nante o alle vocali a, o, u, mentre ha valore palatale davanti alle vo-cali i ed e. Le lingue scritte alfabetiche ortograficamente opache (oprofonde) come l’inglese presentano una corrispondenza «uno amolti», tanto tra fonemi e lettere in scrittura quanto tra lettere e fo-nemi in lettura.

Nei paragrafi seguenti si osserverà come lo studio dei processi diriconoscimento e produzione ortografica sia stato ispirato soprat-tutto dalle lingue alfabetiche ortograficamente opache. Perché talilingue rivestono un chiaro interesse per lo studio dei processi di ela-borazione della lingua scritta? Per dirla in modo molto succinto,perché in esse uno stesso fonema o insieme di fonemi può avere rea-lizzazioni grafiche diverse in unità lessicali diverse: in inglese, adesempio, il dittongo [ei] viene reso per iscritto come ei nella parolaveil, come a nella parola name, come ai nella parola train, o come eanella parola steak. Come appena detto, solitamente in tali ortografieuna corrispondenza non univoca è operante anche in lettura tra let-tere e suoni, dato che una stessa lettera, o uno stesso insieme di let-tere, può essere letto diversamente a seconda della parola nella qua-le appare (sempre in inglese, il gruppo vocalico ea viene letto [ei]nella parola steak, [i:] nella parola please, [e] nella parola head, [a:]nella parola heart, ecc.)1.

30 Il linguaggio. Strutture linguistiche e processi cognitivi

1 In altri casi ancora, il rapporto tra forma fonologica e forma ortografica dellastessa parola è del tutto impredicibile ed eccezionale: è il caso di parole come yachto colonel.

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ti ortografici primari: la lettera maiuscola A è costituita da due seg-menti obliqui e uno orizzontale, la F da due segmenti orizzontali euno verticale, e così via. Studi sulla percezione di lettere presentatecon tempi di esposizione molto rapidi (poche decine di millisecon-di) hanno mostrato che i tratti interni alle lettere hanno un ruolo im-portante nel riconoscimento corretto delle lettere presentate: lettereche condividono un certo numero di tratti (ad esempio P-R o E-F)tendono ad essere maggiormente confuse tra loro rispetto a letteretra loro più dissimili visivamente. Ciò viene interpretato come l’ef-fetto di un’attivazione precoce dei tratti che si propaga a tutte le let-tere che contengono quei tratti, creando possibili interferenze quan-do alcuni tratti sono condivisi da più lettere.

3.2.2. Le lettere Nelle ortografie di tipo alfabetico anche le letteresono considerate da molti ricercatori come delle unità percettive dibase nel riconoscimento di parole scritte, appartenenti a un livelloseparato di rappresentazione. A tale livello, le lettere sarebbero rap-presentate come entità astratte, in modo indipendente dalla loro ma-nifestazione fisica, dal fatto cioè che siano minuscole o maiuscole, orealizzate in un dato carattere tipografico piuttosto che in un altro(Evett e Humphreys 1981). Come vedremo tra breve esaminando ilmodello ad attivazione interattiva, lo stadio di riconoscimento dellelettere è intermedio tra quello di riconoscimento delle caratteristi-che e quello di riconoscimento della parola, interagendo con en-trambi. Diversi modelli postulano una codifica in parallelo sia del-l’identità della lettera, sia della sua posizione all’interno della paro-la. La gran parte delle prove a favore di un modello parallelo di ri-conoscimento delle lettere proviene dalla letteratura sui movimentioculari, cui si è già accennato.

Uno studio recente basato sulla risonanza magnetica funzionale(Polk et al. 2002) ha valutato l’attività neurale durante la visione distringhe di lettere e ha dimostrato che una specifica area dell’emi-sfero sinistro (il giro fusiforme) risponde in maniera specifica alle let-tere più che ad altri stimoli visivi significativi, come ad esempio le ci-fre arabe. Inoltre, il risultato veniva replicato anche quando le lette-re e gli altri stimoli visivi di controllo erano bilanciati per la presen-za degli stessi tratti ortografici. Si può quindi concludere che vi è unaspecializzazione neurale per il riconoscimento delle lettere, indipen-dente da quella per le caratteristiche ortografiche, e che il livello di

spesso coincidono con i funtori grammaticali (articoli, congiunzio-ni, preposizioni), spesso meno informativi delle parole di contenuto(nomi, verbi, aggettivi), mentre al contrario le parole più lunghe omeno frequenti possono essere fissate più di una volta.

Come già accennato, la velocità di riconoscimento dei caratterivaria a seconda delle abilità individuali e del tipo di testo, ma vi so-no precisi limiti fisici a un’illimitata compressione dei tempi di let-tura: l’ampiezza del testo all’interno della quale il sistema percettivoè in grado di raccogliere dell’informazione generica è al massimo di4 lettere a sinistra e 15 a destra nelle ortografie che costruiscono iltesto da sinistra a destra. La precisa identità delle lettere, invece, puòessere determinata solo per una gamma ristretta di lettere, fino a cir-ca 12 caratteri per quanto riguarda l’informazione visiva e fino a cir-ca 6 per l’estrazione dell’informazione semantica. Al di là di questefinestre, vengono percepite solo la forma delle lettere e la lunghezzadelle parole (Pollatsek e Rayner 1990).

3.2. Rappresentazioni ortografiche e riconoscimento di parole:tratti, lettere, parole

Da un punto di vista cognitivo, capire come avviene il riconosci-mento di una parola scritta significa descrivere e spiegare i meccani-smi attraverso i quali dapprima una sequenza di caratteri grafici (laparola, o alcune sue sottoparti) viene elaborata dal sistema visivo epoi la rappresentazione percettiva così acquisita entra in contattocon (o rende disponibili) una o più forme di rappresentazione nellessico mentale, come ad esempio quella semantica, che permette lacomprensione della parola. Il riconoscimento di parole scritte èquindi un’attività complessa, che al suo interno può essere suddivi-sa in stadi distinti di elaborazione dell’informazione, i quali operanosu più tipi di rappresentazioni.

In un’ortografia di tipo alfabetico, la struttura interna delle paro-le scritte fornisce un numero rilevante di informazioni, a diversi livel-li di complessità. Il problema del riconoscimento delle parole, dun-que, può essere inquadrato a vari livelli. Possiamo distinguerne alme-no tre, tra quelli teoricamente rilevanti: i tratti, le lettere e le parole.

3.2.1. Le (micro) caratteristiche o tratti delle lettere A tale livello, ilpiù elementare, lo stimolo è descritto dalle singole caratteristiche fi-siche che compongono le lettere dell’alfabeto. Le lettere che com-pongono la parola sono descrivibili come una configurazione di trat-

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qualsiasi modello che voglia spiegare il riconoscimento di parole co-me un processo rigidamente sequenziale nel quale il riconoscimentodelle lettere avviene in modo esaustivo prima che abbia inizio il pro-cesso di riconoscimento della parola. Se ciò fosse vero, infatti, il rico-noscimento della singola lettera non dovrebbe essere influenzato dal-la stringa in cui si trova, e sarebbe difficile spiegare come una parolanota (che evidentemente deve essere stata già in parte riconosciuta oattivata) faciliti la rilevazione di una particolare lettera al suo interno.Una possibilità di spiegazione dell’ESP rimane quella di ipotizzare unfeedback («retroazione») dal livello delle parole a quello delle lettere,ossia un’interazione tra i due livelli: l’attivazione di un’unità-parolanel lessico mentale potrebbe potenziare l’attivazione delle lettere inessa contenute, permettendo un loro riconoscimento più rapido ri-spetto a quando, nelle pseudo-parole, l’accrescimento di attivazioneviene a mancare. Una spiegazione di tal genere è stata avanzata da unotra i più influenti modelli del riconoscimento di parole scritte: il mo-dello ad attivazione interattiva (Interactive Activation Model) di Mc-Clelland e Rumelhart (1981).

3.3. Due modelli del riconoscimento della parola scritta

La nozione di riconoscimento implica che le parole conosciute dallettore siano rappresentate in una parte della sua memoria, il lessicomentale. Secondo la prospettiva più diffusa, il lessico mentale è uninsieme organizzato di unità di rappresentazione corrispondenti aparole che si attivano in risposta alla stimolazione sensoriale. Taliunità sarebbero quindi delle strutture dinamiche, e il meccanismoche permetterebbe l’accesso ad esse sarebbe di tipo passivo: sulla ba-se delle informazioni sensoriali, una delle unità si attiverebbe più ra-pidamente delle altre fino a raggiungere il livello della soglia di rico-noscimento della parola corrispondente. La più importante esem-plificazione di tali principi è costituita dal modello Logogen di Mor-ton (1979), il primo in ordine di tempo tra i moderni modelli di ri-conoscimento di parole. Secondo tale modello, ogni parola cono-sciuta ha una rappresentazione (un llooggooggeenn), che funziona come unrilevatore della parola stessa: tale rilevatore agisce selettivamente sul-la base delle caratteristiche ortografiche della parola ed è contenutoin un sistema di rilevazione, chiamato appunto sistema Logogen.Ogni unità logogen ha un proprio valore di soglia che deve essereraggiunto per il riconoscimento; quando le informazioni ortografi-che provenienti dallo stimolo sono compatibili con quelle di un lo-

elaborazione delle lettere è un livello autonomo, seppure interagen-te con altri livelli, nel processo di riconoscimento di parole scritte.

Molti risultati sperimentali dimostrano che lo schema di codificadelle lettere è basato su informazioni relative sia all’identità delle let-tere contenute nella parola, sia alla loro posizione. In un esperimentosul francese, Peressotti e Grainger (1999) hanno trovato un effetto difacilitazione nel riconoscimento di una parola come balcon quandoquesta parola era preceduta sia da una sequenza come b_lc_n che dauna sequenza come blcn. Questi risultati suggeriscono che il sistemadi riconoscimento delle parole utilizza le informazioni sulla posizio-ne delle lettere e, inoltre, che tali informazioni si riferiscono alla posi-zione di una lettera rispetto alle altre, piuttosto che alla sua posizioneassoluta nella stringa. Altri esperimenti hanno ulteriormente precisa-to questa ipotesi, mostrando che vi è differenza nella codifica delle let-tere iniziali e finali da un lato e centrali dall’altro: la posizione delleprime è codificata con precisione, quella delle seconde è codificatasulla base della loro collocazione reciproca.

3.2.3. Le parole intere A tale livello, una stringa di tratti e lettere èrappresentata come un’unità familiare. Una volta riconosciuta la pa-rola scritta come forma visiva, diventano disponibili varie proprietàdelle parole: quelle sintattiche, semantiche, fonologiche, ecc.

Alcuni studi neuropsicologici hanno mostrato che il riconosci-mento delle parole è indipendente dai processi di riconoscimentodegli oggetti in genere. Infatti sono stati documentati casi di pazien-ti con buone capacità di riconoscimento delle parole, basate sullaforma intera e non sull’assemblaggio delle singole lettere, ma con no-tevoli difficoltà nel riconoscimento di oggetti (Rumiati et al. 1994).

Come abbiamo osservato parlando di tratti, lettere e parole, esi-stono fondate prove sperimentali a favore del ruolo giocato da tutti etre i livelli nel riconoscimento di parole e nel successivo accesso al les-sico mentale. Il problema è se i tre livelli intervengano nel processo se-rialmente, a un crescente livello di complessità (prima i tratti, poi lelettere e infine le parole intere) o se essi agiscano in maniera interatti-va. A favore di quest’ultima ipotesi gioca un importante effetto speri-mentale: l’effetto di superiorità della parola (ESP) (Reicher 1969).L’ESP consiste nel fatto che le persone incontrano una maggiore fa-cilità, e quindi impiegano meno tempo, nel riconoscere una singolalettera, ad esempio la s, in una parola reale come pensare piuttosto chein una pseudo-parola come pansera. Tale effetto mette in difficoltà

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L’IInntteerraaccttiivvee AAccttiivvaattiioonn MMooddeell (IAM) di McClelland e Ru-melhart, schematizzato nella figura 1, parte proprio dall’assunto che ilsistema di riconoscimento sia organizzato in tre strati, tre livelli di ela-borazione che corrispondono alle diverse unità rilevabili nella parola.

I tratti ortografici si presentano come il primo elemento di ela-borazione da parte del sistema: essi vengono attivati in varia misuraa seconda dello stimolo e, combinati correttamente tra loro, deter-minano l’attivazione delle rappresentazioni corrispondenti alle let-tere contenute nella parola, attraverso connessioni rappresentate daisegmenti con la freccia. Il secondo gruppo di unità attivate duranteil riconoscimento della parola corrisponde alle lettere astratte2. In

gogen, questo si attiva, grazie a una corrispondenza diretta tra la pa-rola scritta e una rappresentazione della parola intera, e quando l’at-tivazione raggiunge il livello di soglia la parola può dirsi identifica-ta. Ogni logogen ha un proprio livello di attivazione, che varia in fun-zione di numerose variabili cognitive e dipende prima di tutto dallafrequenza d’uso della parola; logogen corrispondenti a parole ad al-ta frequenza hanno una soglia più bassa e per tale motivo hanno bi-sogno di una minore quantità di attivazione per il raggiungimentodella soglia, permettendo così un riconoscimento più rapido di taliparole rispetto a parole a bassa frequenza. Il modello spiega in talmodo l’effetto di frequenza (cfr. § 3.5.1). Inoltre, il modello di Mor-ton postula un principio di competizione tra le diverse unità candi-date al riconoscimento, anticipando i risultati sui vicini ortograficiche sarebbero stati ottenuti anni dopo (cfr. § 3.4): un’ipotesi del mo-dello, infatti, è che ogni parola scritta attiverebbe non uno ma più lo-gogen, in funzione diretta della loro somiglianza ortografica con laparola scritta. Al termine del processo competitivo solo un logogenraggiungerebbe la soglia per l’identificazione.

Una volta identificata la forma superficiale della parola, l’attiva-zione viene trasmessa al sistema semantico (chiamato da Morton «si-stema cognitivo»), dove è recuperata l’informazione sul significatodella parola. Il modello Logogen prevede un’interattività tra il siste-ma Logogen di riconoscimento e il sistema cognitivo, responsabiledel recupero del significato delle parole. In altri termini, si proponeche i contesti semantico e sintattico siano in grado di modulare la so-glia di attivazione dei logogen: la presentazione di una parola (adesempio cane) abbasserebbe la soglia di attivazione di tutte le paro-le ad essa semanticamente associate (gatto, abbaiare, ecc.), provo-cando in tal modo il noto fenomeno chiamato pprriimmiinngg semantico (siveda il capitolo di Tabossi in questo volume), che è dato dalla facili-tazione nel riconoscimento di una parola quando tale parola è pre-ceduta da un’altra parola ad essa collegata semanticamente.

Ora, quello che ci preme osservare sul modello Logogen è che inesso il riconoscimento di una parola scritta non avviene attraversol’attivazione di unità più piccole della parola stessa, ma procede gra-zie allo stabilirsi di una corrispondenza tra la parola intera e il suologogen. Tuttavia, abbiamo già rilevato che le parole scritte hannouna struttura interna analizzabile a più livelli, ognuno dei quali è po-tenzialmente rilevante, giacché potrebbe fornire informazioni utiliper l’accesso al lessico mentale.

36 Il linguaggio. Strutture linguistiche e processi cognitivi 2. Ortografia 37

2 Per «astratte» si intende il fatto che la rappresentazione delle lettere è indi-pendente dai dettagli grafici (grandezza, carattere tipografico, ecc.).

Fig. 1. Il modello Interactive Activation del riconoscimento di parolescritte.

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3.4. I vicini ortografici

Negli stadi iniziali del riconoscimento di una parola scritta, la paro-la da riconoscere attiva in memoria non solo la rappresentazione cor-rispondente alla parola stessa, ma anche le rappresentazioni relativealle parole che sono ad essa ortograficamente simili. Si tratta di unproblema teoricamente interessante per il riconoscimento, poiché leparole di fatto variano tra loro per il numero di parole ad esse simi-li (i loro vicini) presenti nella lingua. Il numero di parole simili vie-ne convenzionalmente stabilito in base a una procedura che ha il no-me di N-count (Coltheart, Davelaar, Jonasson e Besner 1977) e chefornisce il numero di parole che si possono ricavare permutando cia-scuna lettera della parola critica con tutte le altre lettere dell’alfabe-to, una alla volta. Secondo tale procedura, quindi, la parola osti haun N-count pari a 8 (e formato dalle parole opti, orti, osai, osci, ossi,osta, oste, osto) o a 9 se si considera, come sarebbe giusto, anche ilnome proprio Asti. In relazione al riconoscimento di parole scritte,sono stati studiati gli effetti dell’ampiezza e della frequenza del vici-nato ortografico. Cerchiamo di spiegare con due esempi che cosa siintende per ampiezza e frequenza del vicinato ortografico.

Ampiezza del vicinato: due parole come corte e certe, entrambedi frequenza medio-alta, della stessa lunghezza e tra loro ortografi-camente simili, hanno un numero diverso di vicini ortografici, ri-spettivamente 18 (tra di essi le parole porte, conte, coste, corde) e 8(ad esempio verte, carte, ceste).

Frequenza del vicinato: altre due parole, stavolta entrambe difrequenza medio-bassa, come spala e sfuma, hanno un N-count simi-le (rispettivamente 6 e 5), ma nel primo caso tra i vicini sono com-prese parole (come ad esempio scala e spara) che sono di frequenzapiù alta rispetto a quella dei vicini della seconda parola (ad esempiospuma e sfama).

In base agli studi effettuati, sappiamo che l’ampiezza del vicina-to ortografico di una parola scritta influenza il suo riconoscimento:le parole con più vicini sono riconosciute più rapidamente di quellecon pochi vicini (Andrews 1989), anche se la facilitazione è signifi-cativa solo per le parole a bassa frequenza, e anche se l’identità del-la parte finale della parola è più rilevante nel determinare l’effetto:in altri termini, per il riconoscimento di una parola come corte, a pa-rità di altre condizioni, un vicino come torte ha un’influenza mag-giore rispetto a uno come corse (Peereman e Content 1997). Tutta-

particolare, si ipotizza che siano attivate tutte le lettere che, combi-nate tra loro, formano la parola bersaglio da riconoscere e che talilettere inviino a loro volta un’attivazione, rappresentata dalle lineecurve con le frecce, alle parole con esse compatibili. Il livello delleparole rappresenta il terzo e ultimo insieme di unità attivate duran-te il processo di identificazione. A questo livello avverrà il ricono-scimento di una singola parola, quella che avrà accumulato il più al-to grado di attivazione nel corso del processo sviluppatosi all’inter-no dell’intera rete.

Oltre all’organizzazione in più strati, vi sono altri tre elementi diinteresse nel modello di McClelland e Rumelhart. In primo luogo,come si può osservare nella figura 1, il modello prevede due tipi diprocessi: processi di attivazione (rappresentati dalle frecce), che col-legano i tratti alle lettere compatibili e le lettere alle parole compati-bili; processi di inibizione (rappresentati dalle linee con i pallini),che uniscono tratti e lettere non compatibili, lettere e parole noncompatibili, lettere tra loro alternative e parole tra loro alternative.Nel postulare questi due tipi di processi, il modello IAM si accordacon un’ipotesi che, come vedremo nel successivo paragrafo sui vici-ni ortografici, trova conferma nei dati sperimentali: il riconoscimen-to di una parola è funzione non solo dell’attivazione e della selezio-ne di una rappresentazione nel lessico mentale, ma anche dell’inibi-zione di rappresentazioni concorrenti che competono con la parolabersaglio per l’identificazione.

In secondo luogo, il modello, come esplicitamente affermato nelnome, è un modello interattivo: il riconoscimento delle lettere è gui-dato dall’attivazione dei tratti ortografici, ma è influenzato anchedall’attivazione positiva di ritorno proveniente dalle parole compa-tibili. Tale attivazione favorisce il riconoscimento delle singole lette-re all’interno della parola e dà conto dell’ESP (cfr. § 3.2.3).

In terzo luogo, secondo il modello IAM, il funzionamento del si-stema di riconoscimento è parallelo, in un senso che potremmo de-finire sia «orizzontale» che «verticale». In senso orizzontale, cioè al-l’interno della parola, perché non vi sarebbe una scansione serialedelle lettere da sinistra verso destra, ma verrebbero contemporanea-mente attivati gruppi di lettere, in modo relativamente indipenden-te dalla loro posizione nella stringa. In senso verticale, cioè tra livel-li, perché la loro attivazione è a cascata: non è necessario, poniamo,che sia terminata l’elaborazione nello strato delle lettere, perché ab-bia inizio l’attivazione nello strato delle parole.

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in questo volume). Per il problema che qui ci riguarda è da citare ilpprriimmiinngg ortografico, una tecnica che consiste nel far precedere unaparola scritta (cane) da una parola ad essa ortograficamente simile(case). L’uso di questo paradigma ha permesso di evidenziare comeparole visivamente simili competano tra loro per il riconoscimento.Inoltre, il fatto che l’effetto si modifichi al variare delle condizionisperimentali, delle modalità di presentazione del prime e dell’inter-vallo temporale tra la prima e la seconda parola, ha permesso di ge-nerare interessanti inferenze su quali sono i principi di organizzazio-ne del lessico ortografico. L’effetto è particolarmente evidente quan-do le condizioni di presentazione del prime sono tali da non permet-terne un’identificazione cosciente (Humphreys, Besner e Quinlan1988).

3.5.3. La regolarità Si è detto nel § 2 che le lingue a ortografia nontrasparente includono parole irregolari dal punto di vista del rap-porto tra scrittura e pronuncia. Non è chiaro se le parole regolarivengano elaborate con maggiore efficienza rispetto a quelle irrego-lari. Quello che sembra accertato è che in compiti di riconoscimen-to e lettura un effetto di regolarità si riscontri soprattutto, se nonesclusivamente, tra le parole a bassa frequenza d’uso. In altri termi-ni, mentre tra le parole ad alta frequenza le differenze di rapidità eaccuratezza tra parole regolari e irregolari tendono a essere sfumateo nulle, si riscontra un forte effetto di regolarità sulle parole irrego-lari a bassa frequenza (come ad esempio la parola inglese pint,[paint], «pinta»), che vengono lette peggio di quelle regolari di parifrequenza (come ad esempio lint, [lint], «garza»).

3.5.4. La lunghezza Nel riconoscimento di parole scritte la rapiditàe l’efficienza del processo sembrano essere influenzate dal numerodi lettere di cui la parola si compone. Tuttavia, l’effetto è meno chia-ro di quanto si potrebbe immaginare: è forte solo nelle parole a bas-sa frequenza e più nei lettori non esperti rispetto a quelli esperti.Inoltre, la lunghezza può essere misurata in almeno due modi: a par-tire dal numero di lettere o a partire dal tempo medio di pronunciadella parola stessa. Infine, in analogia con quanto già detto per l’ef-fetto di frequenza, anche per la lunghezza non è stato chiarito qua-le ruolo svolgano le unità sillabiche e morfemiche presenti nella pa-rola il cui numero, ovviamente, tende a correlare con la lunghezzain lettere.

via, l’effetto dei vicini ortografici sul riconoscimento delle parolescritte è soggetto a numerosi altri fattori e può cambiare di segno,trasformandosi da facilitatorio in inibitorio quando una parola (spa-la) ha tra i suoi vicini almeno una parola (spara) di frequenza più al-ta (Grainger et al. 1989). Dunque, anche la frequenza dei vicini, o dialmeno uno di essi, può giocare un ruolo considerevole nel ricono-scimento di una parola.

3.5. Altri effetti nel riconoscimento di parole scritte

Oltre alla quantità e alla frequenza delle parole simili dal punto divista ortografico, vi sono altri parametri e altri fattori distribuziona-li che guidano i processi di elaborazione delle parole scritte. La let-teratura sperimentale al riguardo è assai vasta, dato che la specifica-zione dei modi e dei contesti in cui tali fattori operano è fondamen-tale per vincolare le teorie del riconoscimento e della produzione diparole. In questo paragrafo non si potrà fornire che un succinto elen-co dei principali tra tali fattori.

3.5.1. La frequenza La frequenza d’uso di una parola è il fattore piùinfluente nei compiti di natura lessicale in genere (Whaley 1978). Leparole usate più di frequente sono riconosciute e prodotte in modopiù rapido e più accurato. L’effetto concerne certamente la frequen-za delle parole intere ma anche, seppure in maniera più controver-sa, alcune delle unità di cui è composta (ad esempio, le sillabe o imorfemi; cfr. § 3.6). Inoltre la frequenza è intrinsecamente correla-ta ad altri parametri come il giudizio soggettivo di familiarità dei par-lanti e l’età di acquisizione delle parole. Ciò ha dato luogo ad alcu-ne controversie circa la localizzazione di tale effetto all’interno delsistema lessicale, ma ha anche permesso di sviluppare ipotesi sui pos-sibili stadi di elaborazione in cui la frequenza ha effetto.

3.5.2. Il «priming» ortografico Il pprriimmiinngg (cfr. § 3.3) è uno dei pa-radigmi più usati in psicologia sperimentale. Esso si basa sulla pre-sentazione di una parola bersaglio (il target) che viene fatta precede-re a distanza temporale variabile dalla presentazione di un’altra pa-rola (il prime) ad essa collegata per uno o più particolari aspetti. Loscopo è osservare in che modo l’informazione condivisa tra le due pa-role influenza l’elaborazione della seconda. La variante più usata èquella del già citato priming semantico (si veda il capitolo di Tabossi

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comprensione. Inoltre, mentre nello studio dei processi di ricono-scimento e comprensione lessicale la modalità scritta ha ricevuto uninteresse maggiore rispetto a quella uditiva, nello studio, pur mino-ritario, dei processi di produzione lo stato delle cose è simmetrica-mente contrario: i processi di produzione del parlato sono stati mag-giormente indagati rispetto a quelli della scrittura. Cosicché non èazzardato affermare che nella psicologia dei processi lessicali la scrit-tura appare come la parente povera. Di fatto, la maggioranza dei da-ti che oggi ci permettono di tracciare delle ipotesi sull’architetturacognitiva del sistema di scrittura, e sui meccanismi dei quali esso siserve, derivano dalla neuropsicologia del linguaggio, che in anni re-centi ha studiato a fondo i disturbi della scrittura negli adulti: le di-sgrafie acquisite. È di questo filone di studi, dunque, che ci servire-mo in prevalenza per delineare il quadro delle conoscenze sui pro-cessi ortografici in produzione.

Come la lettura (si veda il capitolo di Peressotti e Job in questovolume), anche la scrittura di parole è un’attività complessa, checoinvolge nel sistema cognitivo varie componenti, ognuna delle qua-li è deputata a un certo insieme di operazioni. Nel caso della scrittu-ra, tali operazioni si situano tra il momento in cui la sequenza di suo-ni linguistici che costituisce la parola viene percepito dal sistema udi-tivo (nella scrittura sotto dettatura) e il momento in cui il significatoattivato da quella sequenza, o attivato autonomamente da chi scrive(nella scrittura spontanea), viene tradotto in una sequenza di segnigrafici. La ricerca sulla scrittura si è interessata soprattutto allo ssppeell--lliinngg, ossia alla capacità di produrre la corretta forma scritta di unadata parola. Nei paragrafi seguenti ci occuperemo soprattutto dellefasi finali del processo di scrittura, quelle che più interessano l’ela-borazione delle rappresentazioni ortografiche.

Nel processo di scrittura spontanea sono stati individuati tre sta-di (Hayes e Flower 1986): il primo è quello della pianificazione, nelquale vengono stabiliti gli scopi, generate delle idee e l’informazio-ne è recuperata dalla memoria a lungo termine e organizzata nel pro-gramma di ciò che si deve scrivere. Qui si può distinguere tra la ge-nerazione iniziale delle idee e la loro successiva manipolazione inuna forma già adatta alla loro traduzione nel testo finale. Il secondostadio è quello della traduzione: il linguaggio scritto è prodotto apartire dalle rappresentazioni in memoria e il programma deve esse-re tradotto in frasi. Nel terzo stadio, la revisione, lo scrivente leggee corregge ciò che ha scritto.

3.6. Distinguere gli effetti ortografici da quelli sillabici e morfologici

In altri capitoli di questo volume – in particolare quelli sulla fono-logia e sulla morfologia – viene discussa la rilevanza, dal punto di vi-sta sia strutturale che dell’elaborazione, di elementi interni alla pa-rola quali le sillabe e i morfemi. A proposito di tali elementi, si è datempo ipotizzato che possano servire come chiave di accesso al-l’informazione lessicale non solo nel riconoscimento e nella produ-zione del parlato, ma anche nella produzione e nel riconoscimentodelle parole scritte. Su questi ultimi processi, tuttavia, uno dei pro-blemi centrali nell’interpretazione dei dati sperimentali è che gli ef-fetti che potrebbero essere determinati dalla struttura sillabica omorfemica potrebbero molto spesso derivare semplicemente dallastruttura ortografica delle parole: ad esempio, due parole morfolo-gicamente collegate, tra le quali si rileva un reciproco effetto di fa-cilitazione nel riconoscimento, sono quasi sempre anche ortografi-camente simili. In altre parole, l’esistenza di relazioni morfologichee sillabiche tra le parole si confonde spesso con la loro somiglianzaortografica. Nella letteratura sperimentale vi è quindi un dibattitomolto serrato tra due diverse visioni. Alcuni modelli, in particolaredi tipo connessionista, affermano che le proprietà morfologiche esillabiche non sono esplicitamente rappresentate nel lessico, ma so-no solo proprietà emergenti di un sistema lessicale che fornisce so-lo delle mere correlazioni tra la struttura ortografica e fonologicadelle parole da un lato e il loro significato lessicale dall’altro (Sei-denberg e Gonnerman 2000). Altri modelli, prevalentemente di ti-po simbolico, sostengono che le rappresentazioni di tipo morfolo-gico e sillabico non possono essere ridotte a semplici epifenomenidella struttura ortografica e, sulla base di alcuni risultati sperimen-tali (Laudanna, Badecker e Caramazza 1989, 1992; Rapp 1992), at-tribuiscono uno status indipendente a tali rappresentazioni nel les-sico mentale.

4. Le rappresentazioni ortografiche nella scrittura

In linea con una comune tendenza della ricerca in psicologia del lin-guaggio, che a vari livelli di analisi ha spesso privilegiato lo studio deiprocessi di ricezione del linguaggio, le ricerche sulla produzione diparole scritte sono meno numerose di quelle sul riconoscimento e la

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gica e converte progressivamente tale sequenza in una rappresenta-zione seriale di grafemi che andrà anch’essa ad attivare le compo-nenti di uscita. Questa seconda via permette, ad esempio, la scrittu-ra di una parola nuova: si pensi al caso di un cognome mai udito inprecedenza.

Nel caso della scrittura spontanea, l’elaborazione comincia nel si-stema semantico (si vedano i capitoli di Lepschy e Tabossi in questovolume) e poi interessa due successivi stadi di elaborazione, che ma-nipolano entrambi informazione ortografica ma realizzano due di-verse funzioni. Tali stadi sono il lessico ortografico, che attiva la co-noscenza a lungo termine sulla forma scritta della parola, e il bbuuffffeerrgrafemico, che mantiene l’informazione ortografica in una memoriatemporanea.

4.2. Il lessico ortografico di «output» e il «buffer» grafemico

Quando scriviamo parole a noi note, sulla cui forma scritta si è sedi-mentata una conoscenza a lungo termine nel nostro lessico mentale,solitamente recuperiamo l’informazione necessaria nel lessico orto-grafico, ossia nel componente del lessico mentale che rappresenta leforme scritte di quelle parole. Il ricorso a tale tipo di conoscenza di-venta tanto più probabile quanto più le parole sono frequenti, o puòdiventare addirittura necessario per le parole irregolari presenti inquelle lingue – come l’inglese – nelle quali non sempre vi è una cor-rispondenza precisa o prevedibile tra struttura fonologica e struttu-ra ortografica. Tali parole potrebbero essere scritte in modo scorret-to in assenza di informazioni precise sulla loro specifica forma orto-grafica: ricordando quanto detto nel § 2, una parola come brain(«cervello») in linea di principio potrebbe anche essere scritta comebrane, conservando la stessa pronuncia. L’idea che la scrittura delleparole possa sfruttare due vie indipendenti, seppure attivate in pa-rallelo e, come vedremo, interagenti nel buffer grafemico, ha ricevu-to puntuali conferme dall’analisi dei disturbi acquisiti della scrittu-ra. Infatti, da una parte sono stati riportati casi di pazienti con un di-sturbo acquisito della scrittura, la disgrafia fonologica, che consistein un disturbo selettivo dell’elaborazione non-lessicale (la parte sini-stra colorata in grigio del modello in figura 2): tale disturbo si espri-me in una scrittura corretta delle parole, sia regolari che irregolari, adifferenza di quanto accade per le parole nuove. D’altra parte, sonostati riportati casi di pazienti con un altro disturbo acquisito, la di-sgrafia superficiale, che colpisce selettivamente l’elaborazione non-

4.1. Architettura funzionale del sistema di scrittura

Il modello maggiormente accreditato della scrittura di parole è quel-lo standard riassunto nella figura 2.

Il modello dà conto sia della scrittura spontanea sia della scrittu-ra sotto dettatura. In quest’ultimo caso, l’accesso al sistema seman-tico avviene a partire da uno stimolo esterno: la parola pronunciata(e ascoltata da chi scrive) deve essere sottoposta ad un’analisi acu-stico-fonologica, che la segmenta in unità più piccole (ad esempio,sillabe). Attraverso questa procedura può essere attivato prima il les-sico fonologico di input, che conserva le informazioni sulla forma fo-nologica delle parole conosciute, e infine il sistema semantico, nelquale sono rappresentati i significati delle parole. Contemporanea-mente all’elaborazione dell’informazione lessicale, una proceduranon-lessicale analizza i suoni che compongono la sequenza fonolo-

44 Il linguaggio. Strutture linguistiche e processi cognitivi 2. Ortografia 45

parola detta

Analisi acustico-fonologica

Lessico ortografico di output

parola scritta

Conversionedalla fonologiaall’ortografia

Sistema semantico

Lessico fonologico di input

Buffer grafemico

?

?

Lessicofonologicodi output

Componenticoinvolte

nella scritturasotto dettatura

Fig. 2. Il modello standard della scrittura di parole.

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le loro forme superficiali, la quale è a sua volta regolata da un ordi-ne temporale.

4.3. Rapporto tra rappresentazioni ortografiche e fonologiche

Nello studio dei processi di scrittura vi è un acceso dibattito tra chisostiene che l’accesso alle conoscenze ortografiche avviene diretta-mente dal sistema semantico, come mostrato nella figura 2 non con-siderando il percorso tratteggiato, e chi invece formula la tesi che perattivare le rappresentazioni ortografiche a partire dal sistema se-mantico sia necessaria una mediazione fonologica, come raffiguratodal percorso tratteggiato della figura 2. La teoria della mediazionefonologica, in altri termini, sostiene che, quando scriviamo, primarecuperiamo la forma fonologica della parola (come se stessimo perpronunciarla) e in un secondo momento produciamo la parola scrit-ta. Dunque, mentre per la teoria standard della scrittura vi sarebbeun’indipendenza funzionale dei sistemi lessicali di output, prepostirispettivamente alla lettura e alla scrittura, per la teoria della media-zione fonologica il significato attiverebbe prima la forma fonologicadella parola nel lessico fonologico e, solo in seguito, la corrispon-dente forma ortografica nel lessico ortografico. I dati neuropsicolo-gici di cui disponiamo indicano, se non altro, che la teoria non spie-ga alcuni tra i casi documentati in letteratura. Infatti, la tesi della me-diazione fonologica predice che un disturbo al lessico fonologico do-vrebbe avere necessariamente delle conseguenze sia sulla lettura chesulla scrittura. Da questo punto di vista, il fatto che siano stati tro-vati pazienti con un disturbo del lessico fonologico ma con buonecapacità di scrittura parrebbe indebolire la tesi di una necessaria me-diazione fonologico-lessicale nello spelling: Caramazza, Berndt e Ba-sili (1983), ad esempio, hanno descritto il caso di un paziente capa-ce di scrivere parole che invece non riusciva a produrre oralmente.La stessa esistenza della disgrafia fonologica costituisce un’indirettaprova sperimentale contro l’ipotesi della mediazione fonologica: in-fatti i pazienti con tale disturbo scrivono attraverso la via lessicale leparole familiari, ma non riescono a generare la scrittura a partire daisuoni delle parole che vengono loro dettate.

lessicale: tale disturbo si esprime in una scrittura corretta delle pa-role regolari ma non di quelle irregolari.

Se nella disgrafia fonologica si osserva l’impossibilità o la diffi-coltà di scrivere parole nuove, ciò significa che il problema è nel-l’assemblaggio della corretta forma scritta a partire dai singoli suonidella corrispondente parola orale, attraverso le procedure di con-versione non-lessicali. D’altra parte, se nella disgrafia superficiale èla scrittura delle parole irregolari ad essere colpita in modo specifi-co, la spiegazione va ricercata in un disturbo della via di elaborazio-ne lessicale che è la sola a consentire l’accesso alla corretta formascritta di quel tipo di parole. Questa doppia dissociazione dimostranei processi di scrittura (come in quelli di lettura, si veda il capitolodi Peressotti e Job in questo volume) l’esistenza di rappresentazionilessicali di uscita (nel lessico ortografico di output), dalle quali si puòrecuperare lo spelling corretto dell’intera parola, anche quando que-sta non è regolare e non può essere scritta prescindendo dalle cono-scenze lessicali specifiche sulla sua forma ortografica.

Successivamente all’attivazione del lessico ortografico, affinché ilprocesso di scrittura delle parole sia completato correttamente, è ne-cessario l’intervento di un secondo componente, che svolge un’altrafunzione cruciale. Nel lessico ortografico sono contenuti grafemiastratti che devono essere tradotti materialmente in lettere scritte.Questa operazione richiede tempo. Ciò richiede che in una fase suc-cessiva, l’informazione circa i grafemi che compongono la parolavenga conservata temporaneamente in un magazzino di memoria abreve termine, il bbuuffffeerr grafemico, dove il livello di attivazione del-la sequenza di lettere da scrivere viene mantenuto sufficientementealto, sia prima che inizi la produzione seriale delle lettere, sia duran-te l’esecuzione materiale della scrittura.

L’attività del buffer grafemico è basilare, se consideriamo che lascrittura di parole richiede tempo, molto più tempo della produzio-ne della corrispettiva parola orale, e che in ogni momento del pro-cesso il sistema deve disporre dell’informazione circa l’identità deigrafemi e il loro ordine, monitorando costantemente il punto delprocesso in cui ci si trova, quali elementi sono stati già prodotti equali invece sono ancora da produrre. All’interno del buffer grafe-mico avvengono almeno due operazioni (Rapp e Kong 2002): 1. ilmantenimento dell’attivazione dei grafemi che compongono la pa-rola, necessario affinché non si disperda la traccia di memoria ad es-si relativa; 2. la loro selezione seriale, finalizzata alla produzione del-

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2. Fonologia segmentale

2.1. Il fonema

Nozione centrale e tradizionale della fonologia segmentale, la suadefinizione rinvia allo strutturalismo, in particolare alla cosiddettaScuola di Praga. In questo ambito, fonema indica un elemento fo-nico dotato di valore distintivo e oppositivo, in quanto consente didistinguere significati lessicali diversi in rapporto alla sua presenzaversus assenza all’interno di una stessa parola. Sono, ad esempio, fo-nemi in italiano le due consonanti nasali /m/ e /n/ che si oppongo-no nella coppia minima1 mano~nano, oppure le due vocali /a/ e /e/nella coppia rana~rena. I fonemi sono detti anche invarianti, perchéla loro occorrenza non è limitata a specifici contesti, ma è potenzial-mente libera.

I segmenti che non hanno funzione distintiva sono invece deno-minati allofoni, o varianti, di un fonema, e sono in genere conte-stualmente determinati. Consideriamo ad esempio la classe delleconsonanti nasali in italiano. Sulla base dell’analisi distribuzionale,cioè dell’esame dei possibili contesti di occorrenza, si individuanocinque diversi segmenti: una nasale bilabiale ([m]), una labiodenta-le ([M]), una dentale ([n]), una palatale ([ˆ], scritta <gn>) ed una ve-lare ([N]). La distribuzione di [m], [n] e [ˆ] è libera (mano, nano,gnomo, campo, canto, anello, agnello), mentre quella di [M] e [N] nonlo è, dal momento che questi due segmenti possono ricorrere solo incontesto preconsonantico, rispettivamente prima di una consonan-te labiodentale (anfora, invidia) e prima di un’occlusiva velare (ban-ca, anguilla). Si dirà pertanto che [M] e [N] sono varianti combina-torie del fonema /n/.

Una concezione alternativa del fonema è invece quella cognitivi-sta, che lo considera come entità di carattere mentale. Il fonema di-viene in questa prospettiva un’unità astratta e ideale, una sorta di«intenzione fonica» (in tedesco Lautabsicht) che si realizza concre-tamente nella produzione fonetica. A questa linea di pensiero è pos-sibile assegnare le riflessioni teoriche di Sapir (1921), il quale, muo-vendo da una prospettiva antropologica, tipica di una parte dello

3.

Fonologia: le strutturedi Giovanna Marotta

1. Introduzione

La fonologia è tradizionalmente la disciplina che si occupa degli ele-menti fonici impiegati nelle lingue naturali per trasmettere significati.

Si è soliti contrapporre la fonologia alla fonetica: la prima disci-plina è di carattere astratto e tratta elementi mentali e discreti, men-tre la seconda, fisica e fisiologicamente condizionata, tratta elemen-ti materiali e continui (si veda il capitolo di Savy in questo volume).Mentre la fonetica appartiene da sempre allo studio della lingua, lafonologia si è imposta come disciplina autonoma soltanto nel corsodel secolo scorso. Si deve alla teoria strutturalista, sviluppatasi neiprimi decenni del Novecento, il primo riconoscimento esplicito del-la necessità di un livello di descrizione diverso ed almeno in parte au-tonomo rispetto a quello fonetico.

In rapporto al dominio di analisi, distinguiamo tradizionalmentetra fonologia segmentale e fonologia soprasegmentale; nella fono-logia segmentale, il dominio è dato dal segmento, considerato sia co-me elemento unitario che come entità a sua volta scomponibile intratti simultaneamente presenti (cfr. § 2.2). I domini di analisi supe-riori al singolo segmento sono di pertinenza della fonologia sopra-segmentale, o prosodica, cui appartengono la sillaba, l’accento, il rit-mo e l’intonazione. Le analisi di carattere prosodico si sono svilup-pate soprattutto negli ultimi decenni, in stretta dipendenza dall’im-porsi di modelli teorici non lineari (cfr. § 3), i quali adottano livelliplurimi di rappresentazione.

3. Fonologia: le strutture 49

1 Per coppia minima s’intende una coppia di parole che contrastano per signi-ficato al variare di un solo segmento nella stessa sequenza fonica.

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una classe naturale richiede un numero di tratti inferiore a quello ne-cessario a definire il singolo fonema appartenente a quella stessaclasse naturale. Consideriamo i segmenti [i e ε] dell’italiano: essihanno in comune i tratti di vocalicità, sonorità intrinseca, continuità,anteriorità; quest’ultimo tratto, in particolare, determina la loro co-mune appartenenza alla classe naturale delle vocali anteriori, che sicontrappone a quella delle vocali posteriori arrotondate [u o O].D’altra parte, per identificare in maniera non ambigua il fonema /i/tra le vocali anteriori, ai succitati tratti si dovrà aggiungere quello dialtezza.

In virtù della loro capacità di identificare, discriminandoli, i fo-nemi di una lingua, ai tratti deve essere attribuita anche una funzio-ne distintiva, ed è per questa ragione che vengono di norma deno-minati tratti distintivi. L’impiego dei tratti nella prassi analitica con-sente una descrizione più semplice dei fenomeni fonologici, riduci-bili a semplice aggiunta o sostituzione di tratti.

La rilevanza psicolinguistica dei tratti è dimostrata in primo luo-go dai lapsus: negli errori linguistici di tipo fonologico-lessicale, il fo-nema target viene spesso sostituito da un altro fonema che differiscedal primo solo per un tratto; se ad esempio un parlante italiano pro-duce la parola tana al posto di sana, l’errore fa riferimento crucialeal tratto di continuità (cfr. § 2.3), mentre se viene prodotto tino an-ziché pino, sarà coinvolto il punto di articolazione (si veda il capito-lo di Romani in questo volume).

Condizione necessaria affinché i tratti possano svolgere le funzio-ni ad essi proprie, è che formino un insieme finito e limitato numeri-camente. In considerazione delle comuni capacità e restrizioni del-l’apparato fonatorio degli esseri umani, possiamo assumere non soloche il numero dei segmenti possibili nelle varie lingue parlate nel mon-do sia finito, ma anche che i tratti che li compongono costituiscano uninsieme ridotto. Ai tratti distintivi viene dunque assegnato carattereuniversale (si veda il capitolo di Savy in questo volume).

Un ulteriore attributo che viene di norma riconosciuto ai tratti èil binarismo. Secondo l’opinione espressa da Jakobson (1963), tuttii tratti distintivi sono binari, nel senso che i singoli fonemi possonorispondere soltanto positivamente o negativamente ad ogni possibi-le tratto compreso nell’inventario universalmente definito. Nell’op-posizione tra /p/ e /b/ in italiano, il primo fonema sarà marcato (perla nozione di marca, cfr. § 2.5) negativamente rispetto al tratto di so-norità, mentre il secondo sarà marcato positivamente. Analogamen-

strutturalismo americano della prima metà del Novecento, perven-ne ad una concezione della fonologia in chiave mentalistica: il fone-ma è definito come entità avente natura psicologica prima ancorache funzionale.

La prospettiva mentalistica sapiriana è stata rivalutata dallagrammatica generativa, per la quale forme soggiacenti ed unità fo-nologiche fanno parte della competenza linguistica del parlante-ascoltatore. Va tuttavia ricordato che la nozione di fonema è stata cri-ticata dalla teoria generativa, in cui il componente fonologico vieneconcepito come interpretativo, diversamente da quanto accade peril componente sintattico. Al posto di fonema, i generativisti preferi-scono il più generico segmento, neutro in rapporto al livello di ana-lisi. In ogni caso, indipendentemente dal termine impiegato (fonemao segmento), la rilevanza di un’unità fonologica contrastiva risultadimostrata dagli studi condotti sugli errori linguistici (lapsus lin-guae), perlomeno a partire da Fromkin (1971).

Nell’ambito della Scuola di Praga, il fonema era inteso come mi-nima unità fonologica, non suscettibile di ulteriore scomposizione inunità minori. Ma già la complessa classificazione delle opposizionifonologiche elaborata da Trubeckoj (1939) mostrava che l’elementofonico minimo è il tratto distintivo; ad esempio i due fonemi /p/ e/b/ in italiano, come in molte altre lingue naturali, si differenzianosoltanto per il tratto di sonorità (cfr. infra), essendo per il resto iden-tici. Analogamente, Bloomfield (1933), esponente di spicco dellostrutturalismo americano, definiva il fonema come fascio di tratti chericorrono simultaneamente. La nozione di tratto si è ben presto im-posta nella disciplina, tanto da divenire entità imprescindibile sia sulpiano teorico che su quello metodologico.

2.2. I tratti distintivi

Nell’analisi fonologica corrente, ogni segmento viene scomposto inelementi sub-segmentali simultanei, denominati tratti. Se ad esem-pio classifichiamo il fonema /f/ come consonante fricativa labioden-tale sorda, questi attributi corrisponderanno ad altrettanti tratticomposizionali, vale a dire a proprietà caratteristiche la cui com-presenza definisce quel fonema.

Oltre alla funzione combinatoria, i tratti hanno anche una fun-zione classificatoria, dal momento che consentono di classificare i fo-nemi in classi naturali. I fonemi che appartengono ad una stessa clas-se naturale condividono alcuni tratti. La specificazione in tratti di

50 Il linguaggio. Strutture linguistiche e processi cognitivi 3. Fonologia: le strutture 51

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4. compatto~diffuso: tratto acustico, che si riferisce alla zona piùo meno ampia occupata dalle formanti nello spettro; articolatoria-mente, oppone le vocali aperte (compatte) a quelle chiuse (diffuse);date le difficoltà sorte per l’interpretazione dei sistemi vocalici a tregradi di apertura, questo tratto è stato in seguito scisso in due op-posizioni:

4a) compatto~non compatto: oppone /a/, compatta, a /e o/, noncompatte;

4b) diffuso~non diffuso: oppone /i u/, diffuse, a /e o/, non dif-fuse;

5. teso~rilassato: tratto polivalente, in quanto attivo sia nel vo-calismo che nel consonantismo; ad esempio, oppone le vocali semi-chiuse /e o/, tese, a quelle medio-aperte /ε O/, rilassate; oppure op-pone fonemi lunghi, sia consonantici che vocalici (tesi), ai corri-spondenti brevi (rilassati);

6. sonoro~non sonoro: nel consonantismo, oppone le ostruentisonore a quelle sorde; vocali, come pure liquide e nasali, sono mar-cate intrinsecamente come sonore;

7. nasale~non nasale: tratto attivo di norma nel consonantismo,ove oppone le ostruenti nasali a quelle non nasali (ad esempio /n/ a/d/, /m/ a /b/, ecc.), può interessare anche il vocalismo, nei sistemiche oppongono distintivamente vocali nasali a vocali orali (ad esem-pio il francese).

2.4. I tratti chomskiani

Pur assumendo l’universalismo e il binarismo della proposta jakobso-niana, Chomsky e Halle (1968) hanno proposto una serie di tratti fo-nologici in parte diversa da quella di Jakobson. I tratti chomskiani so-no identificati sulla base di parametri fonetici articolatori, e non acu-stici. Il loro numero è superiore, essendo in totale una ventina.

Le innovazioni più importanti riguardano i seguenti tratti:– sillabicità: sostituisce vocalicità del sistema jakobsoniano; sono

marcati positivamente i segmenti vocalici, ma anche le liquide e lenasali con funzione di apice sillabico; negativamente, tutti gli altrisegmenti, legamenti (glides) compresi;

– sonoranza: marcato positivamente nei segmenti vocalici, liqui-di e nasali, intrinsecamente sonori; negativamente in quelli ostruen-ti, vale a dire le consonanti fricative, affricate ed occlusive;

– altezza: si riferisce alla posizione della lingua durante la pro-duzione dei foni; sono alte le vocali /i u/, tradizionalmente dette

te, le due vocali /i/ e /u/ si opporranno in rapporto al tratto binariodi arrotondamento, marcato negativamente nel primo segmento, mapositivamente nel secondo.

Tuttavia, il carattere binario risulta intrinseco ed immediatamen-te esprimibile soltanto nel caso di alcuni tratti, come quelli fin qui con-siderati, mentre per altri tratti la riduzione a due soli valori (+ oppu-re −) non è affatto immediata. L’altezza vocalica in sistemi fonologicia tre gradi di apertura, ad esempio, non risulta riducibile ad un solotratto binario: le vocali chiuse sono infatti marcate dal tratto [+alto],mentre tanto la vocale aperta quanto le vocali di media apertura sa-ranno marcate, in modo ambiguo, dal tratto [-alto]. Per rendere bi-naria un’opposizione n-aria è necessario introdurre tratti aggiuntivi;ad esempio, nel caso qui discusso, il tratto [compatto], o [basso].

2.3. I tratti jakobsoniani

La teoria jakobsoniana dei tratti distintivi rappresenta sia il puntoestremo dello strutturalismo, nella sua conferma della natura opposi-tiva e relazionale delle unità linguistiche, sia il suo superamento, conla svolta in senso universalistico, che già prelude all’avvento del ge-nerativismo. Il modello elaborato da Jakobson, Fant e Halle (1952)rappresenta uno dei tentativi più ambiziosi di coniugare fonetica e fo-nologia. Una caratteristica innovativa della proposta jakobsoniana ri-guarda infatti il ricorso all’analisi spettrografica: i tratti proposti sonodefiniti sulla base non solo dell’articolazione dei foni, ma anche deiloro parametri acustici (si veda il capitolo di Savy in questo volume).

Jakobson identificò inizialmente 12 tratti distintivi (in seguitoportati a 13), concepiti come universali e binari. Mediante il sempli-ce ricorso a questo insieme definito di tratti diventa possibile carat-terizzare i fonemi di ogni sistema fonologico attestato.

I principali tratti distintivi proposti da Jakobson sono i seguenti:1. vocalico~non vocalico: i segmenti vocalici e liquidi (marcati +

per questo tratto) sono opposti a quelli consonantici e ai legamenti(marcati −);

2. consonantico~non consonantico: oppone i segmenti conso-nantici e la classe delle liquide alle vocali e ai legamenti;

3. grave~acuto: nell’ambito del vocalismo, in riferimento alla po-sizione occupata dalle formanti nello spettro, oppone le vocali po-steriori, gravi, a quelle anteriori, acute; nel consonantismo, opponei fonemi periferici a quelli centrali; per la classe delle occlusive ita-liane, /p b k g/, gravi, si oppongono pertanto a /t d/, acute;

52 Il linguaggio. Strutture linguistiche e processi cognitivi 3. Fonologia: le strutture 53

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co in esame, legata al segno positivo o negativo che caratterizza undato fonema in rapporto ad uno specifico tratto distintivo.

Nella fonologia generativa, la nozione acquista invece una fortecaratterizzazione in senso universalistico. Marcato diventa così si-nonimo di scarsamente attestato nelle lingue naturali e, nel contem-po, di appreso tardi dal bambino durante il processo di acquisizio-ne linguistica; al contrario, non marcato viene a significare relativa-mente frequente dal punto di vista tipologico e, in parallelo, acqui-sito precocemente dal bambino.

Una matrice come quella presentata nella tabella 1 è intera-mente specificata, perché ogni incrocio tra righe e colonne è riem-pito da un segno positivo o negativo. I tratti presenti in questo ca-so devono essere tutti specificati, perché pertinenti. Se aggiunges-simo i tratti di sonorità o di continuità, il loro valore sarebbe in-vece diverso, dal momento che la marca positiva per questi due ul-timi tratti può essere derivata dal tratto di vocalicità. Non tutti itratti che concorrono a definire un segmento nei termini di unamatrice hanno lo stesso valore: alcuni sono da considerarsi prima-ri o pertinenti, mentre altri possono essere considerati ridondanti,nel senso che il loro valore può essere derivato a partire da un al-tro tratto presente nella matrice. Tenendo conto delle solidarietàche esistono fra i tratti all’interno dei segmenti, diventa quindipossibile non indicare i valori dei tratti ridondanti nelle matrici fo-nologiche; in questo caso, si dirà che uno o più tratti sono sotto-specificati.

2.6. Le regole fonologiche

Nella teoria generativa standard, il passaggio dalla struttura profon-da, o soggiacente, a quella superficiale avviene mediante le regole.Le regole fonologiche sono dispositivi formali che esprimono i mu-tamenti che ricorrono nella conversione di una rappresentazionesoggiacente astratta nella corrispondente forma fonetica concreta. Ilformato tipico di una regola è il seguente:

(1) A � B / C

da leggersi: «l’unità (segmento o tratto) A diventa (�) B nel conte-sto (/) indicato da C».

Il processo di spirantizzazione attivo in Toscana in contesto in-tervocalico, comunemente noto come gorgia, che genera forme su-

chiuse, e diffuse nel sistema di tratti jakobsoniano, mentre sono bas-se le vocali aperte, compatte per Jakobson;

– coronalità: i segmenti marcati [+ coronale] sono prodotti conla corona della lingua in posizione relativamente innalzata rispettoalla posizione neutra; i corrispondenti punti di articolazione tradi-zionali sono dentale, alveolare e palatale.

2.5. La marcatezza

La nozione di marca risale a Trubeckoj (1939), il quale propose unacomplessa tassonomia delle opposizioni fonologiche; tra queste, leopposizioni bilaterali privative, che oppongono due fonemi per lapresenza versus assenza di una certa proprietà (ad esempio /t/ si op-pone a /d/ per il solo tratto di sonorità).

La nozione di marca si pone alla base del binarismo dei tratti (cfr.supra). Va tuttavia osservato che per Trubeckoj solo la classe delleopposizioni bilaterali privative è binaria, mentre Jakobson ha este-so il binarismo a tutte le opposizioni fonologiche. I tratti distintivibinari consentono la rappresentazione dei fonemi in forma di matri-ci fonologiche, che, analogamente a quanto accade nelle matrici ma-tematiche, presentano una struttura bidimensionale in cui ogni ele-mento è identificato in maniera univoca dagli indici impiegati. Dinorma, nelle matrici, le righe indicano i tratti distintivi, mentre le co-lonne i fonemi; la matrice è riempita di valori positivi o negativi perogni associazione tra fonema e tratto.

Diamo qui di seguito la matrice relativa al vocalismo italiano conl’impiego dei tratti jakobsoniani:

Tab. 1. Matrice relativa al vocalismo italiano con l’impiego dei tratti jakobsoniani

a e ε O o i u

vocalico + + + + + + +

consonantico − − − − − − −

compatto + − − − − − −

diffuso − − − − − + +

grave − − − + + − +

teso − + − − + + +

Nell’ambito della teoria fonologica di impianto strutturalista, lamarca è dunque nozione formale e dipendente dal sistema fonologi-

54 Il linguaggio. Strutture linguistiche e processi cognitivi 3. Fonologia: le strutture 55

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I tratti elencati a sinistra della freccia individuano la classe natu-rale dei segmenti occlusivi sordi che subisce il processo in esame; adestra della freccia viene indicato il tratto il cui valore viene modifi-cato; dopo la barra obliqua, segue il contesto rilevante, che contienecrucialmente la posizione occupata dal segmento in entrata, indica-ta dal tratto orizzontale.

Le regole fonologiche possono eliminare (cancellazione) o inse-rire segmenti (epentesi) all’interno di una stringa; oppure possonomodificare il valore dei tratti, di norma a causa di un condiziona-mento contestuale. L’alternanza tra [s] e [z] nelle forme del pluralein inglese è, ad esempio, determinata dal segmento che precede la si-bilante, per cui cats, books, con [-s], ma dogs, bags, con [-z]. La re-gola sub-segmentale corrispondente avrà questa forma (si veda il ca-pitolo di Thornton in questo volume):

3. La fonologia non lineare

3.1. Derivazione e rappresentazione

Nello sviluppo del generativismo, la distanza tra la struttura profon-da e quella superficiale è andata progressivamente riducendosi. Apartire dagli anni Settanta del Novecento, in fonologia, analoga-mente a quanto è accaduto in sintassi, la rappresentazione e i prin-cipi che la governano hanno assunto una rilevanza sempre maggio-re, a discapito dell’apparato derivazionale (si veda il capitolo di Riz-zi in questo volume). Di conseguenza, abbiamo assistito alla scom-parsa pressoché totale delle regole, sostituite ora da restrizioni (con-straints) sulla rappresentazione.

La critica del paradigma derivazionale ha avuto come bersaglioprincipale il principio di linearità, risalente già a Saussure (1916). Ta-le principio deriva dall’immagine del continuum fonico come una li-nea ininterrotta di elementi, immagine espressa nell’adozione del sin-tagma tradizionale catena fonica: ogni anello della catena corrispon-de ad un fonema, ed è inserito in una successione ordinata nel tempo.

In primo luogo, la scomposizione del fonema in tratti distintivimette in crisi la linearità stretta: i tratti sono infatti simultanei e nonorganizzati linearmente. In secondo luogo, molti processi fonologi-ci sono sensibili ad un contesto più ampio del segmento e non ri-stretto a segmenti contigui; ad esempio la metafonia. Lo studio del-le lingue tonali africane ha dato un impulso determinante allo svi-luppo della fonologia non lineare, in particolare nel suo modulo au-tosegmentale (Goldsmith 1990). I toni sono infatti unità sopraseg-mentali; inoltre, i toni complessi, del tipo ascendente-discendente o,viceversa, discendente-ascendente, mostrano l’associazione non biu-nivoca sia con le unità segmentali sia con quelle sillabiche.

Dal superamento della linearità sono derivati i vari moduli dellafonologia non lineare, tutti basati sull’adozione di livelli plurimi dirappresentazione. Di norma vengono riconosciuti i livelli segmenta-le, scheletrico, sillabico, metrico e tonale. I vari modelli proposti ne-gli anni Ottanta sono essenzialmente configurazionali, e non più de-rivazionali.

3.2. Il livello scheletrico

Nella fonologia non lineare, il livello astratto, detto scheletrico (ske-letal tier), è responsabile dell’assetto della stringa fonetica, ed è rap-presentato formalmente mediante una serie di x, ciascuna delle qua-

perficiali quali [a'mi:ho], ['sta:Qo], [a'φεrto] per amico, stato, aperto,può essere descritto mediante il ricorso alla regola segmentale:

(2) /k, t, p/ � [h, Q, φ] / V _ V

che si leggerà: «i segmenti /k, t, p/ diventano spiranti nel contesto incui siano preceduti e seguiti da un segmento vocalico».

La stessa regola espressa mediante il ricorso ai tratti sub-seg-mentali avrà invece la seguente forma:

56 Il linguaggio. Strutture linguistiche e processi cognitivi 3. Fonologia: le strutture 57

− sill+ cons− cont− son

[+cont] / + sill− cons

+ sill− cons−

(3)

� #

− sill+ cons+ cor+ cont+ ant− son

[+son] / _

− sill+ cons+ son− cont

(4)

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La rilevanza della rima è dimostrata dal fatto che nelle lingue natu-rali, gli algoritmi di assegnazione dell’accento lessicale sono spessosensibili alla struttura di questo costituente, mentre la ricchezza mag-giore o minore dell’attacco non sembra giocare alcun ruolo. Ad esem-

I costituenti sillabici sono il Nucleo (N), l’Attacco (A) e la Coda(Cd); nucleo e coda costituiscono la Rima (R). Questa struttura è ditipo gerarchico binario. L’unico elemento imprescindibile della sil-laba è il nucleo, come risulta formalmente dall’uso delle parentesi2.In riferimento al modulo X-barra della sintassi generativa, potrem-mo dire che il nucleo è la testa della struttura sillabica, mentre l’at-tacco corrisponde allo specificatore e la coda al complemento (si ve-da il capitolo di Rizzi in questo volume). Formalmente:

La sillaba può essere definita come l’unità soprasegmentale checonsiste di almeno un nucleo, o apice sillabico, in cui si concentra ilmassimo della sonorità. Di norma, l’apice sillabico coincide con unavocale, ma in molte lingue può essere costituito anche da segmentisonoranti (ad esempio cèco Vltava, Brno).

4.2. La struttura sillabica

Il modello di sillaba assunto di norma nella teoria fonologica è il se-guente:

li corrispondente ad un’unità temporale (timing slot). Questo livellogioca un ruolo cruciale nella struttura fonologica, in quanto costi-tuisce il punto di collegamento per le unità che appartengono ai di-versi livelli della rappresentazione.

Per illustrare la funzione dello scheletro, si ricorre di solito allametafora del libro: i singoli livelli di rappresentazione sarebbero as-similabili alle pagine, mentre lo scheletro sarebbe la costola del libro,che tiene insieme le singole pagine. Le unità dei diversi livelli devo-no trovare il loro punto di ancoraggio nello scheletro; se un’unità diun qualsiasi livello non è ancorata al livello scheletrico, rimane flut-tuante (floating) e non può essere prodotta a livello fonetico.

Le unità di un livello sono messe in rapporto con quelle degli al-tri livelli grazie ad alcuni principi di collegamento, che obbedisconoin primis al vincolo del binarismo. Formalmente, il collegamento av-viene mediante linee di associazione, massimamente binarie. I sin-goli livelli, o strati, per quanto collegati tra di loro, sono autonomil’uno rispetto all’altro; in particolare, non esiste un rapporto di biu-nivocità stretta tra le unità di livello diverso.

4. La sillaba

4.1. Rilevanza e definizione

Sia la fonologia strutturale che quella generativa standard hanno ge-neralmente escluso la sillaba dall’analisi fonologica (con l’eccezionedi Jakobson). In Chomsky e Halle (1968), le questioni legate alla sil-laba venivano risolte mediante il semplice ricorso al tratto [sillabico].Negli anni Settanta, si assiste ad una svolta radicale. Il successo dellasillaba nella letteratura fonologica degli ultimi trent’anni è stretta-mente connesso con lo sviluppo della fonologia non lineare, di cui co-stituisce un livello di rappresentazione imprescindibile (cfr. supra).

Va ricordato che sia il termine che la categoria di sillaba appar-tengono stabilmente al lessico tradizionale della grammatica. Unanozione intuitiva di questa entità è del resto presente nella coscien-za metalinguistica dei parlanti di ogni lingua naturale. La rilevanzadella sillaba è dimostrata anche dagli studi sugli errori linguistici,commessi sia da parlanti normali che afasici, tanto che nella lettera-tura psicolinguistica recente la rappresentazione sillabica è di normaassunta come livello del lessico mentale (si veda il capitolo di Roma-ni in questo volume).

58 Il linguaggio. Strutture linguistiche e processi cognitivi 3. Fonologia: le strutture 59

2 Nella prassi invalsa in fonologia generativa, le parentesi tonde indicano l’op-zionalità dell’elemento incluso tra di esse.

$

N (Cd)

R

(A)

(5)

(6) N''

N (Comp)

N'

(Spec)

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Un principio generale della struttura sillabica prevede che i seg-menti si dispongano secondo valori crescenti di sonorità (e decre-scenti di forza), a partire dal margine sinistro verso il nucleo, e se-condo valori decrescenti di sonorità (e crescenti di forza), a partiredal nucleo verso il margine destro della sillaba. In rapporto a questoprincipio, i due segmenti di sequenze quali rt o lp potranno esseretautosillabici soltanto se associati al costituente coda, visto che la so-norità diminuisce passando da una liquida ad un’occlusiva; vicever-sa, le sequenze speculari (tr e pl) potranno costituire un attacco com-plesso, ma non essere associate ad una stessa coda.

4.4. Il peso sillabico

La nozione di peso sillabico dipende dal riconoscimento della rima,dal momento che solo i costituenti nucleo e coda concorrono a de-terminare se una sillaba è pesante o leggera. Data la stretta solida-rietà esistente nelle lingue naturali tra peso e accento lessicale, po-tremmo dire che le sillabe accentate tendono ad essere pesanti.

Come abbiamo visto nel § 3.2, la fonologia non lineare assume unlivello astratto, detto scheletrico. In questa prospettiva, una rimasarà pesante se associata a due unità scheletriche astratte3, mentresarà leggera se associata ad una sola unità. La forma canonica di unasillaba leggera è data da una rima costituita soltanto da un nucleobreve, mentre una sillaba pesante può avere essenzialmente il for-mato di una vocale lunga o di un dittongo, oppure di un nucleo bre-ve seguito da una consonante tautosillabica che occupa la posizionedi coda. Saranno pertanto pesanti le sillabe iniziali di carta o etto, leg-gere quelle di farina o casetta.

Il tratto di lunghezza (o tensione) conferisce peso alla sillaba; initaliano la lunghezza è distintiva nel consonantismo (si vedano lecoppie minime casa~cassa, calo~callo, ecc.), ma non nel vocalismo.Tuttavia, a livello fonetico superficiale, ricorrono anche vocali lun-ghe, limitate al contesto di sillaba accentata aperta non finale di pa-rola, ad esempio /'sa.le/ = ['sa:le]. In sillaba tonica finale, invece, levocali sono sempre brevi, ad esempio città, cantò, caffè.

In un quadro non lineare, l’allungamento viene interpretato allaluce di una restrizione (constraint) operante sulla struttura sillabica:

pio, nel latino classico, l’accento di parola cade sulla penultima sillabase lunga, vale a dire se comprende una vocale lunga o un dittongo, op-pure una vocale breve seguita da una consonante in coda; altrimenti,cioè se la penultima sillaba è formata da una vocale breve priva di con-sonante in coda, l’accento cade sulla terzultima sillaba. L’algoritmo ac-centuale dipende quindi dalla struttura interna della rima sillabica.

4.3. La scala di sonorità e la gerarchia di forza

I diversi segmenti di una lingua naturale possono essere disposti suuna scala con indici di sonorità diversi e progressivi per ogni gradino(si veda il capitolo di Savy in questo volume). I segmenti vocalici equelli sonoranti, che hanno valori di sonorità maggiori a quelli relati-vi alle consonanti ostruenti, occupano posizioni alte nella scala; tra leostruenti, le occlusive sorde occupano il gradino più basso della sca-la. Data una stringa fonetica, la posizione di nucleo sillabico è asso-ciata ai segmenti che presentano il maggiore valore di sonorità, men-tre i segmenti con valori bassi di sonorità tenderanno ad occupare imargini della sillaba, vale a dire, le posizioni di attacco e coda.

Speculare rispetto alla scala di sonorità è la gerarchia di forzaconsonantica: ai segmenti di maggiore sonorità è associato un indi-ce minimo di forza; viceversa, le consonanti con indici minimi o nul-li di sonorità occupano le posizioni più elevate nella gerarchia. In sin-tesi, i valori di sonorità e di forza sono opposti.

Con riferimento ai segmenti italiani, la scala di sonorità e l’oppo-sta gerarchia di forza sono le seguenti:

(7) + sonoro a − forteε Oe oi ui 8 u8j wliquidenasalifricative sonorefricative sordeaffricate sonoreaffricate sordeocclusive sonore

− sonoro occlusive sorde + forte

60 Il linguaggio. Strutture linguistiche e processi cognitivi 3. Fonologia: le strutture 61

3 Le unità astratte che concorrono a determinare il peso sillabico, necessaria-mente associate ai costituenti nucleo e coda, sono dette talora anche more.

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penultima sillaba che presenti una consonante in coda è di norma ac-centata; ad esempio cipolla, ornamento5.

All’interno del dibattito teorico sviluppatosi in seno alla fonolo-gia generativa sul contrasto derivazione versus rappresentazione,una posizione centrale è stata occupata fin dall’inizio dalle tematicheaccentuali. L’affermazione di una prospettiva gerarchica e polistrati-ca ha infatti trovato un impulso primario nello studio degli aspettisoprasegmentali del linguaggio.

Nella fonologia generativa standard, l’accento lessicale era trattatoalla stregua di un tratto segmentale, associato alla vocale tonica di pa-rola. Gli studi di fonetica sperimentale hanno dimostrato che l’accentoha un dominio più ampio del singolo segmento vocalico. Inoltre, è pos-sibile stabilire se una qualsiasi sillaba è accentata o atona solo compa-randola con almeno un’altra sillaba per i parametri fonetici (durata, in-tensità, tono) di volta in volta pertinenti per la percezione dell’accento.

Dalla critica del trattamento dell’accento in Chomsky e Halle(1968), nonché dal parallelo riconoscimento della natura relativa econtrastiva della fenomenologia accentuale, ha preso le mosse la fo-nologia metrica, un modulo della fonologia non lineare. I modelli dirappresentazione formale proposti sono essenzialmente due, basatirispettivamente sul piede metrico e sulla griglia metrica (Libermane Prince 1977). Poiché i principi sottesi sono fondamentalmente glistessi, ci limiteremo ad illustrare, sia pure sinteticamente, solo il pri-mo dei due modelli sopra citati.

5.2. Il piede metrico

Elemento fondamentale dell’intera architettura del modulo accentua-le, il piede metrico (metrical foot)6 è il costituente dell’albero prosodi-co che si compone di due sillabe, di cui una prominente, associata alnodo forte, e l’altra non prominente, associata al nodo debole. Nello

3. Fonologia: le strutture 63

6 Da rilevare che nelle parole di nuova formazione, come pure nei prestiti piùrecenti, si osserva un superamento di questa tendenza, poiché si tende a ritrarrel’accento lessicale verso il margine sinistro della parola, indipendentemente dallapesantezza della penultima sillaba; per esempio Ìnternet, Èternit, Fìninvest.

7 Foot rinvia alla tradizione degli studi prosodici di area anglosassone, cui ap-parteneva stabilmente già prima dell’avvento del generativismo e in cui indicavail gruppo ritmico costituito da una sillaba tonica e dalle sillabe atone seguenti.L’accento tendenzialmente protosillabico dell’inglese ha senz’altro favorito l’i-dentificazione del foot con il trocheo, che ha il suo elemento forte, la ‘testa’, sullato sinistro.

una sillaba accentata deve avere la rima pesante. Questo requisitoappare soddisfatto nel caso in cui la rima sillabica contenga un seg-mento in coda. Se questa condizione non si verifica, l’allungamentodella vocale accentata provvede a ripristinare il giusto peso sillabico,operando come una vera e propria strategia di riparazione. Di con-seguenza, in parole come cam.po, sas.so, bar.ca, la vocale accentata ri-mane breve, perché il giusto peso sillabico è garantito alla sillaba to-nica dalla presenza di una consonante in coda, mentre in parole co-me so.le, ma.re, ta.vo.lo, l’allungamento vocalico provvede ad assi-curare il peso sillabico adeguato alla sillaba accentata.

In sillaba finale accentata, l’adeguamento del peso sillabico av-viene invece mediante il Rafforzamento Fonosintattico (RF), pro-cesso fonologico che consiste nella geminazione, o allungamento,della consonante iniziale di una parola, quando sia preceduta da pa-rola terminante con vocale accentata (parlò bene [parªlO 'b:ε:ne], caffèlungo [kaªf:ε 'l:uNgo], oppure da alcuni morfemi specifici (ad esem-pio a casa [a 'k:a:sa], io e lui [ªi:o e 'l:ui]4.

5. Fonologia metrica

5.1. L’accento lessicale

L’accento lessicale ha funzione distintiva in alcune lingue (ad esem-pio l’italiano: càpito/capìto/capitò, àncora/ancóra), ma non in altre(ad esempio il francese). Nel primo caso, l’accento non ha di normauna posizione fissa nella parola, ma è libero e, almeno entro certi li-miti, impredicibile; l’informazione relativa alla posizione dell’accen-to deve pertanto essere contenuta nel lessico, diversamente da quan-to avviene nelle lingue ad accento fisso. Vi sono anche lingue nellequali l’accento, pur non essendo fisso, è prevedibile sulla base delpeso sillabico; ad esempio, il latino classico era sensibile al peso del-la penultima sillaba di parola, che funzionava come «pendolo» pro-sodico (cfr. § 4.4). Un residuo dell’algoritmo latino è ancora visibilein italiano, dal momento che, nel lessico di derivazione latina, una

62 Il linguaggio. Strutture linguistiche e processi cognitivi

4 Diacronicamente, il processo è generato in entrambi i contesti dall’assimila-zione della consonante finale di una parola (o di un morfema) con quella inizialedella parola seguente; ad esempio, lat. ad casam > ital. [a 'k:a:sa]. In sincronia, inconsiderazione del diverso contesto che innesca il processo, si è soliti tenere distintoil RF morfologico, indotto da specifici morfemi (preposizioni, congiunzioni, ecc.),dal RF fonologico, che risulta prosodicamente condizionato.

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6. La teoria autosegmentale dell’intonazione

6.1. Il livello tonale

L’intonazione è uno dei macro-fenomeni prosodici la cui analisi èstata a lungo negletta nell’ambito degli studi linguistici in generale efonologici in particolare. Anche in questo caso, l’avvento della fo-nologia non lineare ha segnato una svolta, non solo per aver intro-dotto uno specifico livello di analisi ad essa consacrato, ma anche peraver affermato l’esistenza di una competenza prosodica autonomacome parte integrante della competenza fonologica dei parlanti diuna qualsiasi lingua naturale, e non solo di una lingua tonale (si ve-da il capitolo di Savy in questo volume).

L’intonazione può essere definita come l’andamento melodicodell’enunciato; il suo parametro acustico è la frequenza fondamen-tale, determinata dalla velocità di vibrazione delle pliche vocali. Lefunzioni fondamentali della curva tonale sono sintattiche (segnala-zione della modalità, nonché dei confini sintattici maggiori), prag-matiche (intenzioni comunicative del parlante, fenomeni di focaliz-zazione) ed emotive (espressione degli stati d’animo).

Gli approcci teorici elaborati tradizionalmente in linguistica perdescrivere ed interpretare la fenomenologia intonativa sono fonda-mentalmente due:

a) modello olistico, o a profili tonali; b) modello discreto, o a livelli tonali.Nel primo modello, il contorno tonale è descritto in riferimento

ai movimenti (ascendenti o discendenti) ed alla pendenza delle va-riazioni della frequenza, mentre nel secondo modello si consideranopertinenti soltanto i livelli.

Appartiene al secondo tipo di approccio la teoria autosegmenta-le dell’intonazione, che condivide gli assunti teorici e metodologicidella fonologia non lineare, tra cui in primo luogo il binarismo e ilriconoscimento di livelli multipli di rappresentazione. L’intonazioneviene rappresentata su uno specifico livello, il livello tonale.

6.2. I «Pitch Accents»

Le categorie tonali basilari sono i PitchAccents, o Toni Accentuali (TA),che possono essere monotonali, o semplici (Alto o Basso), oppure bi-tonali, o complessi (A+B, B+A). Non sono ammessi TA tritonali, in os-servanza del binarismo stretto. I toni di confine sono soltanto monoto-nali e si differenziano a seconda che si collochino al termine del sintag-

3. Fonologia: le strutture 65

La sillaba forte costituisce la testa del piede. La posizione dellatesta nel piede rappresenta uno dei parametri assunti dalla fonolo-gia metrica. Come in sintassi, sono ammesse due sole opzioni, mu-tuamente esclusive: testa iniziale o finale. L’italiano seleziona il pa-rametro «testa iniziale», vale a dire sillaba forte collocata al marginesinistro del piede, il che produce un ritmo di tipo trocaico; il fran-cese seleziona il parametro sull’opzione opposta, il che genera un rit-mo giambico.

Nelle parole polisillabiche, come pure all’interno della parola fo-nologica, possono essere presenti più piedi. Ad esempio, in ammira-re, vi sono due piedi, di cui il primo è sede di accento secondario eil secondo di accento primario; alla penultima sillaba sarà assegnatolo statuto di DDeessiiggnneedd TTeerrmmiinnaall EElleemmeenntt (DTE), formalmente de-finito come l’elemento che risulta dominato da nodi forti nell’interoalbero metrico.

In rapporto all’ampiezza del piede, in una lingua a testa iniziale,come l’italiano, o l’inglese, sono ammessi trochei (formati da due sil-labe, di cui la prima forte) e dattili (tre sillabe, sempre con elemen-to forte iniziale). Per molto tempo, sono in realtà stati impiegati sol-tanto piedi trocaici (o giambici, a seconda della selezione operata peril parametro «testa»), in osservanza del binarismo stretto. Per inter-pretare le strutture accentuali di tipo dattilico, si preferiva ricorrerealla nozione di extrametricalità: una sillaba atona collocata al margi-ne della parola veniva considerata extrametrica, cioè invisibile dal-l’algoritmo metrico.

64 Il linguaggio. Strutture linguistiche e processi cognitivi

7 In questo schema, $f = sillaba forte, $d = sillaba debole, P = piede metrico. Suifondamenti della teoria metrica, si vedano Goldsmith (1990), Kenstowicz (1994) e,più criticamente, Laks (1997).

t a s t o

P

$f $d

(8)

schema seguente, presentiamo il grafo ad albero della parola italianatasto7:

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derivazionale a vantaggio della rappresentazione che si è rivelataproficua anche in altri settori della grammatica.

Nel mutato quadro teorico, alcune nuove nozioni si sono da tem-po imposte. Tra queste, risulta cruciale quella di constraint, traduci-bile con «restrizione, vincolo». Ed è proprio questa nozione che sipone alla base della più recente proposta teorica elaborata in senoalla fonologia generativa, vale a dire la teoria ottimalista, originaria-mente avanzata da Prince e Smolensky (1993).

Optimality Theory (= OT), pur muovendosi sulle linee portantidella ricerca in grammatica generativa, sembra per più di un versorappresentarne il punto estremo. La grammaticalità delle forme ri-levabili in superficie è condizionata dalle restrizioni date in parten-za: è l’output a determinare quali restrizioni debbano operare e inche modo. La stessa Grammatica Universale è ora vista come unaserie di restrizioni che costituiscono l’ossatura della grammatica del-le lingue naturali (cfr. Archangeli e Langendoen 1999).

L’elemento di maggiore novità presente in OT è dato dalla violabi-lità delle restrizioni: non essendo reciprocamente coerenti, ma anzi l’u-na in conflitto con l’altra, le restrizioni non sono più concepite comedivieti rigidamente imposti sulla rappresentazione, ma come vincoliche possono essere violati, a seconda delle condizioni contestuali.

I singoli vincoli si collocano su una gerarchia di dominanza stret-ta, cioè ogni vincolo ha assoluta priorità su tutti gli altri che occupa-no una posizione più bassa nella gerarchia. La gerarchia dei vincoli(constraint ranking) è determinata dall’output superficiale. La diffe-renza tra le lingue viene così ridotta ad una differenza nell’ordinedelle restrizioni, universali.

Un ulteriore elemento di novità di OT consiste nella sua possibi-le applicazione anche alla sintassi e alla morfologia. Diversamenteche in passato, in questo caso è la fonologia che ha elaborato un mo-dello teorico esportabile anche al di fuori del proprio livello di ana-lisi. Elemento portante di OT è l’affermazione che la grammaticadelle diverse lingue naturali debba rispettare il più possibile le con-venzioni di marcatezza della Grammatica Universale. Da qui l’ideastessa di ottimalità, intesa come minimo scarto tra input e output.

7.2. La struttura di OT

I componenti essenziali di una grammatica in OT sono il generatore(= GEN), i candidati e il meccanismo di valutazione (= EVAL). GENproduce i vari candidati, vale a dire tutte le forme virtualmente possi-

ma intermedio (B−, A−) oppure del sintagma intonativo (A%, B%). Ilcontorno melodico, di un sintagma o di un enunciato, è rappresentatosul livello tonale come una sequenza lineare di TA e di toni di confine.

I TA sono associati con le sillabe prominenti della stringa. Al TA as-sociato alla sillaba accentata che costituisce il nodo più forte dell’albe-ro metrico (cioè il cosiddetto DTE; cfr. § 5.2) viene assegnato lo statu-to di tono nucleare; ad esempio, in «la cugina di mia cognata», il DTEe il nucleo tonale saranno associati alla penultima sillaba del sintagmanominale. Modulo intonativo e modulo metrico sono dunque stretta-mente collegati, dal momento che la gerarchia metrica non solo deter-mina le potenziali sedi per i TA, ma individua anche la sillaba nucleare.

Ancorare la rappresentazione del livello tonale a quella del livel-lo metrico risulta teoricamente motivato all’interno di un’ottica mul-tilineare; ma assumere una dipendenza può implicare l’assegnazionedi un carattere sussidiario alla struttura intonativa, rispetto a quellaaccentuale. Il riconoscimento automatico dell’identità di TA nu-cleare e DTE comporta, inoltre, l’esclusione di ulteriori fattori, tipi-camente pragmatici, che nel parlato spontaneo spesso concorrono aselezionare la posizione del nucleo nell’enunciato.

L’individuazione dei TA richiede il duplice riferimento ai due pa-rametri noti in letteratura come aalliiggnnmmeenntt e ssccaalliinngg, vale a dire alli-neamento sull’asse temporale e valore in frequenza dei bersagli to-nali. Il primo dei due parametri citati è stato in particolare oggettodi dibattito negli studi recenti di fonologia intonativa. L’aspetto pro-blematico riguarda essenzialmente l’assegnazione del diacritico *,che indica quale delle due sillabe associate ad un TA complesso è ac-centata; ad esempio, se il TA è marcato B+A*, significa che siamo inpresenza di due bersagli tonali, il secondo dei quali (A*) è associatoalla sillaba tonica; viceversa, nella notazione B*+A, è la sillaba su cuisi realizza il bersaglio Basso ad essere accentata e seguita da una sil-laba atona, associata con il bersaglio Alto.

7. «Optimality Theory»

7.1. Aspetti preliminari

Gli sviluppi recenti della teoria generativa hanno puntato coerente-mente verso il recupero della struttura superficiale. In ambito fono-logico, in particolare, l’accresciuto interesse nei confronti della pro-sodia ha accelerato quella tendenza verso la riduzione dell’apparato

66 Il linguaggio. Strutture linguistiche e processi cognitivi 3. Fonologia: le strutture 67

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(10) mirto NUCLEUS N/C *COMPLEX ONSET NO-CODA

a. mi.rto √ √ * !� b. mir.to √ √ √ √ *

c. m.i.rto √ * !

Dei tre candidati presi in esame, il primo e il terzo sono esclusi inquanto violano restrizioni poste in alto nella gerarchia dei vincoli10,mentre il secondo viene selezionato come ottimale, e quindi vincen-te, nonostante violi anch’esso una restrizione (NO-CODA), perché inquesto caso il vincolo è di basso livello. Se la restrizione NO-CODA

fosse stata collocata più in alto nella gerarchia, crucialmente primadi *COMPLEX, il candidato vincente sarebbe invece stato il primo.

Nell’analisi della fenomenologia accentuale, è operativo il vinco-lo NON-FINALITY (= il margine finale della parola non deve esseremetrificato), che corrisponde alla classica nozione di extrametrica-lità (cfr. § 6.2).

Un esempio di applicazione di OT in morfologia può essere co-stituito dalla formazione del plurale nei nomi inglesi (si veda la re-gola fonologica che rende conto dell’alternanza tra cats e dogs, cfr. §2.6). In un’ottica ottimalista, si dovrà fare ricorso ad un vincolo VOI-CE HARMONY, che prevede uniformità di sonorità nei gruppi conso-nantici eteromorfemici, e che andrà posto in posizione alta nella ge-rarchia delle restrizioni.

8. Conclusioni

In questo capitolo abbiamo inteso delineare un quadro della disci-plina che, per quanto sintetico, fosse in grado di illustrare le temati-che di maggiore interesse teorico, seguendo a grandi tappe il per-corso diacronicamente svolto in questo campo di studi.

La fonologia presenta uno statuto del tutto peculiare nella lin-guistica del XX secolo. Oltre ad aver giocato un ruolo centrale e fon-dante, soprattutto nella prima metà del secolo, il suo campo d’azio-ne empirico risulta da tempo ben definito ed essenzialmente unita-

3. Fonologia: le strutture 69

non violazione del vincolo sopra indicato; * = violazione; * ! = violazione fatale; . = confine di sillaba; � indica il candidato vincente.

9 Nel tableau, in realtà, poste a sinistra nella linea delle restrizioni collocate sul-la prima riga in alto.

bili per un lessema. Si osservi che il dispositivo di GEN non è limitato:in teoria, può produrre un numero di candidati infinito. I candidati,cioè le forme generate, vengono quindi valutati da EVAL in rapportoalle restrizioni della Grammatica Universale ed alla loro eventuale vio-lazione. L’interazione tra i vincoli e i candidati è rappresentata con-venzionalmente in tavole di formato speciale, denominate tableaux.

I vari candidati sono in competizione tra di loro; la loro vittoria di-pende dalla risposta che ottengono nella prova di verifica dei vincoli.La posizione occupata da un vincolo nella gerarchia gioca un ruolodeterminante nel processo di valutazione: le restrizioni collocate in al-to nella gerarchia rivestono un ruolo più significativo rispetto a quel-le poste in basso. Ogni qual volta una forma non è in linea con una re-strizione posta in posizione elevata nella gerarchia si verifica una vio-lazione detta fatale, che comporta l’automatica esclusione di quel can-didato dalla competizione. Il candidato vincente, l’unico che viene ef-fettivamente prodotto a livello superficiale tra tutti i candidati gene-rati, non è tanto quello che presenta il minor numero di violazioni deivincoli, quanto piuttosto quello che viola restrizioni di basso livello.

In questo modello, il dispositivo di produzione delle forme su-perficiali può dirsi ipertrofico, visto che non genera soltanto una for-ma, quella effettiva, ma una serie di forme, più o meno compatibilicon il set di vincoli postulati.

7.3. Esempi

Presentiamo ora qualche restrizione che concerne la struttura sillabica:

(9) ONSET = tutte le sillabe devono avere un attacco;NUCLEUS = tutte le sillabe devono avere un nucleo;NO-CODA = le sillabe non hanno coda;*COMPLEX = i costituenti sillabici non devono essere com-

plessi;*N/C = le consonanti non devono occupare il nucleo sil-

labico.

Alla luce di questi vincoli, la sillabazione della parola italiana mir-to può essere rappresentata mediante il seguente tableau8:

68 Il linguaggio. Strutture linguistiche e processi cognitivi

8 Un tableau si compone di: un input (posto in alto a sinistra), la lista dei possi-bili candidati in output (a sinistra, in colonna); la serie dei vincoli (collocati sullaprima riga in alto). I simboli convenzionalmente usati in OT sono i seguenti: √ =

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4.

Fonologia: i processidi Cristina Romani

1. Introduzione

Le parole sono oggetti complessi. La produzione di parole implical’accesso sequenziale a vari tipi di rappresentazione. Un messaggiodeve essere decomposto in concetti. Ad ogni concetto deve essereassociata una forma fonologica e questa deve essere quindi realizza-ta da programmi articolatori. Infine, questi programmi devono in-viare i giusti comandi ai muscoli dell’apparato fonatorio. Questeoperazioni avvengono velocemente, dato che di norma, durante unaconversazione, produciamo dalle due alle cinque parole al secondo.Per cercare di penetrare l’alchimia di queste trasformazioni sono sta-ti in genere impiegati due metodi.

Il primo consiste nell’esaminare cosa succede quando il sistemas’inceppa e la parola prodotta risulta diversa da quella che si inten-de produrre. Alcuni ricercatori hanno raccolto gli errori compiutiaccidentalmente nella conversazione da parlanti normali (Fromkin1971; Shattuck-Hufnagel 1979; Stemberger 1985); altri hanno ana-lizzato gli errori prodotti da parlanti afasici con difficoltà dovute alesioni cerebrali che coinvolgono le aree di rappresentazione del lin-guaggio (Blumstein 1978; Romani e Galluzzi 2005; Romani, Olson,Semenza e Granà 2002). Questi errori seguono delle regole ben pre-cise che valgono indipendentemente dalla lingua, dalla condizionedel parlante (normale o afasico) e dal tipo di produzione considera-ta (ripetizione, linguaggio spontaneo, scioglilingua). Sono queste ca-ratteristiche che hanno attratto l’attenzione di psicologi e linguisti.

Il secondo metodo consiste nel condurre esperimenti di labora-torio in cui delle parole devono essere prodotte in tempi ristretti. Siè guardato a come la presentazione di vari tipi di stimoli distrattori

rio, così che la disciplina mostra un assetto delle proprie conoscen-ze cumulativo e solo in parte antitetico. Si pensi ad esempio ai trattisub-segmentali, assunti da tutti i modelli correnti, indipendente-mente dal tipo e dal numero di tratti prescelti; oppure alla nozionestessa di fonema, comunque presente, sia pure sotto nuova etichet-ta terminologica.

Fulcro del dibattito in corso appare il ruolo della derivazione, e,più in generale, il rapporto tra struttura soggiacente (o lessicale) estruttura superficiale (o fonetica). Ridurre il più possibile lo scartotra i due piani di analisi, magari fino ad eliminarlo, sembra essere ildiktat dei modelli correnti, soprattutto di quello ottimalista; ma inquesto sforzo riduzionista si rischia di cancellare le nozioni di di-stintività e pertinenza, che, a nostro parere, sono invece essenziali infonologia.

70 Il linguaggio. Strutture linguistiche e processi cognitivi

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(giraffa>giriaffa) e trasposizioni di fonemi (giraffa>ragiffa). Nel lin-guaggio dei parlanti afasici, ma non in quello di parlanti normali, av-vengono con una certa frequenza anche errori fonetici; questi sono er-rori in cui i segmenti fonologici sono selezionati correttamente, ma rea-lizzati in maniera scorretta; per esempio, in italiano, un’ostruente pro-dotta con un’aspirazione iniziale o una nasale dove il velo non è statocompletamente abbassato. Il fatto che alcuni pazienti afasici commet-tano quasi esclusivamente errori circoscritti ad un tipo specifico (adesempio, solo semantici, o solo fonologici lessicali o solo fonologicinon-lessicali) costituisce una prova ancor più forte a sostegno della na-tura componenziale del sistema linguistico.

2.1.2. Selezione delle rappresentazioni I modelli di Dell e Levelt con-dividono con altri modelli alcune assunzioni su come le rappresenta-zioni mentali vengano «ripescate» dai corrispondenti magazzini dimemoria. La metafora, inizialmente suggerita da Morton (si veda ilcapitolo di Laudanna in questo volume) negli anni Settanta, ma an-cora attuale, è che ogni rappresentazione abbia associato un livello diattivazione. Il livello di base varia con la frequenza d’uso: più alta è lafrequenza, più alto il livello di attivazione. In presenza di un input, illivello di attivazione sale a seconda del grado di somiglianza con l’in-put. Per essere selezionate, le rappresentazioni competono tra loro. Aseconda dei modelli, vince quella che per prima raggiunge una certasoglia o quella che ha il più alto grado di attivazione ad un momentostabilito. Gli errori di selezione hanno luogo perché occasionalmen-te una rappresentazione alternativa raggiunge un livello di attivazio-ne più alto di quella target. Tale spiegazione implica l’attivazione si-multanea di più rappresentazioni a un dato livello.

L’attivazione simultanea di varie rappresentazioni nel sistema se-mantico è spiegata in modo diverso dai modelli di Levelt e di Dell.Nel modello di Dell, i significati sono rappresentati da sotto-insiemidi tratti distintivi. Questo vuol dire che quando il significato ‘cane’è attivato, anche il significato ‘gatto’ è parzialmente attivato, poichécondivide con ‘cane’ i tratti: animale, mammifero, domestico, ecc.Nel modello di Levelt i significati corrispondono a unità non de-composte. Tuttavia sono collegati da una rete di legami semanticiche specificano la loro relazione (ad esempio, il legame tra i signifi-cati di ‘cane’ e ‘gatto’ dice che appartengono alla stessa categoria dianimali domestici). Poiché l’attivazione si diffonde lungo questi le-gami, unità semanticamente relate sono co-attivate.

in diverse condizioni influenzi la velocità e l’accuratezza con cui leparole target sono prodotte.

Questo capitolo si concentrerà prevalentemente sulle informazioniche ci forniscono gli errori fonologici sui processi di produzione delleparole. Nella prima parte confronteremo due modelli di produzione diparole considerati tra i più influenti nella letteratura recente: quello diDell (Dell 1986, 1988; Dell, Schwartz, Martin, Saffran e Gagnon 1997;Foygel e Dell 2000) e quello di Levelt (Levelt 1992; Levelt, Roelofs eMeyer 1999). Esamineremo in particolare come viene elaborata l’infor-mazione e come viene rappresentata la struttura sillabica. Vedremo co-me i due modelli rendono conto delle caratteristiche degli errori fono-logici commessi da parlanti normali. Nella parte successiva esaminere-mo i principali patterns di errore prodotti da parlanti afasici. Nell’ulti-ma parte presenteremo un nuovo modello che cerca di superare alcu-ne delle carenze teoriche ed empiriche dei modelli esistenti, integran-do idee provenienti dalla afasiologia e dalla psicologia sperimentale.

2. Modalità di elaborazione dell’informazione

2.1. Il modello di Dell e il modello di Levelt a confronto

2.1.1. Suddivisione in componenti Come quasi tutti i modelli attuali,anche quelli di Dell e Levelt assumono che il sistema linguistico inclu-da componenti diverse che rappresentano il significato delle parole (ilsistema semantico) e la loro forma fonologica (il lessico fonologico).All’interno del lessico si distinguono poi unità che rappresentano pa-role e fonemi. Questa suddivisione spiega la presenza di errori corri-spondenti a unità semantiche, a unità fonologiche lessicali e a singolifonemi che avvengono comunemente nel linguaggio normale e afasi-co. Chiameremo errori semantici quelli in cui una parola viene sosti-tuita con un’altra di significato simile od opposto. Per esempio: «Fa ungran caldo..mh..freddo oggi». «Ho visto un cane..mh..gatto». Chia-meremo errori fonologici quelli in cui alcuni dei fonemi della parolasono prodotti scorrettamente. Chiameremo fonologici lessicali gli er-rori che risultano in una parola reale della lingua (cavolo>tavolo; in-fermiera>cerniera). Questi errori sono stati anche chiamati malapro-pismi, dal nome del reverendo Malaprop, famoso per l’abbondanzacon cui li produceva (Fay e Cutler 1977). Chiameremo fonologici non-lessicali gli errori che non danno luogo a una parola reale. Sono possi-bili sostituzioni (giraffa>ciraffa), elisioni (giraffa>giaffa), inserzioni

72 Il linguaggio. Strutture linguistiche e processi cognitivi 4. Fonologia: i processi 73

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è un modello a senso unico, dove le parole attivano i fonemi corri-spondenti ma non avviene il contrario.

2.1.5. Confronto teorico Un sistema a cascata può essere più veloce diuno a stadi discreti, perché l’elaborazione della parola target comincianon appena questa riceve un certo grado di attivazione. Tuttavia, que-sto sistema è più soggetto ad errore perché più parole sono elaborate inparallelo. L’interattività tra i nodi fonema e i nodi parola può forse tro-vare la sua giustificazione nella necessità di un sistema di controllo cheselezioni delle produzioni corrispondenti a parole ed elimini errori cor-rispondenti a non-parole. Tuttavia, il sistema proposto da Dell com-porta la simultanea attivazione di migliaia di rappresentazioni e riducela discriminazione tra unità attivate e non. L’implementazione compu-tazionale del modello è stata compiuta con pochissime parole (8 nel mo-dello di Dell et al. 1997), tutte di tre fonemi; non è chiaro come il siste-ma funzionerebbe cambiando l’ordine di grandezza delle unità. La do-manda, dunque, è se le caratteristiche degli errori fonologici e i risulta-ti di esperimenti di laboratorio possano essere spiegati ugualmente be-ne anche da un modello più semplice come quello di Levelt.

2.2. Caratteristiche degli errori fonologici lessicali

I modelli di Dell e di Levelt variano nel modo e nella facilità con cuispiegano l’esistenza degli errori fonologici lessicali (bias lessicale) ela presenza di un sottogruppo di errori che sono semanticamente, ol-tre che fonologicamente, relati (errori misti).

2.2.1. Il «bias» lessicale Gli errori fonologici lessicali sembrano in-dicare la selezione di una parola errata nel lessico fonologico. Unadomanda che ci si può porre subito, tuttavia, è se questi errori nonsiano errori fonologici come tutti gli altri che danno luogo ad una pa-rola della lingua «per caso». L’errore tavolo>cavolo, per esempio,potrebbe essere sì un errore di selezione lessicale, ma potrebbe an-che essere un errore di selezione fonemica, dove il fonema /k/ è sta-to selezionato e prodotto invece di /t/ (Butterworth 1979; Ellis 1985,pp. 125-126). Questa è una ipotesi plausibile specialmente per il lin-guaggio afasico, in cui gli errori fonologici lessicali sono rari mentrequelli non-lessicali sono comuni. Alcuni studi, infatti, hanno mo-strato un’incidenza degli errori lessicali non superiore a quella che cisi aspetterebbe in base alla proporzione degli errori non-lessicali

Entrambi i modelli spiegano gli errori fonologici non-lessicali ipo-tizzando che la fonologia di una parola sia rappresentata accedendoad un insieme comune di fonemi. Questo vuol dire che, per esempio,la parola lana e la parola mela attivano la stessa unità corrispondenteal fonema /l/. I legami tra la parola e i fonemi specificano l’ordine diquesti ultimi. Questa modalità di rappresentazione in cui i fonemi de-vono essere ogni volta selezionati ben spiega la presenza degli errorifonologici non-lessicali, ma ha difficoltà nel rappresentare l’ordinedei fonemi specialmente in parole dove lo stesso fonema è ripetuto.

La maggior differenza tra i modelli di Dell e Levelt è nel grado diinterdipendenza tra i livelli del sistema, in particolare tra il livello dirappresentazione delle parole e quello dei fonemi. Queste diversitàhanno conseguenze su come i due modelli spiegano alcune impor-tanti caratteristiche degli errori fonologici lessicali che descriveremosuccessivamente.

2.1.3. La sovrapposizione temporale I due modelli variano nell’am-mettere o meno che l’elaborazione ad un dato livello possa comincia-re prima che quella al livello precedente sia terminata. In entrambi imodelli, le rappresentazioni parzialmente attivate nel sistema seman-tico attivano le corrispondenti rappresentazioni «parola» nel lessicofonologico. Tuttavia, nel modello a stadi discreti di Levelt, i processiche attivano e ordinano i fonemi (codifica fonologica) cominciano so-lo quando la parola target ha vinto la competizione ed è stata selezio-nata. Invece, nel modello a cascata di Dell, la codifica fonologica co-mincia non appena le entrate lessicali cominciano ad essere attivate.Questo vuol dire che più parole sono codificate fonologicamente al-lo stesso tempo (la parola target, ma anche altre parole semantica-mente relate). Solo quando una di queste parole raggiunge un gradodi attivazione sufficiente riceve un’ulteriore attivazione che le per-mette di dominare nel processo di codifica fonologica.

2.1.4. L’interattività Il modello di Dell è un modello interattivo do-ve tutti i legami di attivazione sono bi-direzionali. In particolare, leunità parola attivano i fonemi corrispondenti (feed-forward), maquesti fonemi attivano di rimando tutte le parole che sono con lorocongruenti (feed-back). Così la parola cane attiva i corrispondenti fo-nemi /k/, /a/, /n/, /e/. Ma il fonema /k/ attiva di rimando /'karta/,/'korto/, /lu'maka/, /'bruko/, ecc. Il fonema /a/ attiva di rimando/'anna/, /a'more/, /kar'tεlla/ e così via. Il modello di Levelt, invece,

74 Il linguaggio. Strutture linguistiche e processi cognitivi 4. Fonologia: i processi 75

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2.3. Gli errori fonologici: implicazioni per i modelli di Dell e Levelt

Il modello di Dell è nato proprio per spiegare le due caratteristichedi errori che abbiamo descritto. Il bias lessicale è una conseguenzadella natura bi-direzionale dei legami di attivazione. Facciamo l’e-sempio di produzione della parola cane. Durante il processo di sele-zione dei fonemi, anche l’unità pane avrà un certo stato di attivazio-ne, e questo perché i fonemi /a/, /n/, /e/ attivati da cane attivano dirimando la parola pane. In circostanze normali, la parola prodottasarà cane, perché il fonema /k/ riceve maggiore attivazione dalla pa-rola cane attivata dal sistema semantico. Tuttavia, in condizioni nonottimali (rumore di fondo più elevato, danno alle rappresentazionisemantiche o lessicali, livelli di attivazione che decadono più veloce-mente del normale, ecc.), l’unità pane può guadagnare terreno nellacompetizione e determinare la selezione di /p/. La selezione di unfonema che non dà come risultato una parola reale (ad esempio, /d/> /dane/) è un evento più raro perché un tale fonema non riceveràuna dose di attivazione significativa da nessuna unità lessicale.

La realtà degli errori misti è una conseguenza diretta della mo-dalità di elaborazione a cascata in cui il processo di codifica fonolo-gica si sovrappone temporalmente al processo di selezione lessicalee può essere influenzato da esso. Prendiamo come esempio l’errorepera > mela. Questo errore è facilitato da due condizioni. Mela con-divide con pera due fonemi, e quindi riceve un certo grado di attiva-zione dal basso in alto (bottom-up). Ma, in aggiunta, riceve un certogrado di attivazione dal sistema semantico dall’alto in basso (top-down), poiché mela e pera condividono una serie di tratti semantici.Questo spiega perché questi errori sono relativamente più frequen-ti di errori dove la relazione con il target è solo fonologica.

Per il modello di Levelt spiegare gli errori fonologici lessicali èpiù difficile perché non vi è alcuna co-attivazione tra unità parolache condividono fonemi (non vi è attivazione dal basso in alto).Ugualmente, è più difficile spiegare la presenza di errori misti per-ché quando comincia la codifica fonologica, l’accesso dal sistema se-mantico al lessico è terminato, e quindi non vi è posto per una si-multanea influenza di fattori fonologici e semantici. Levelt risolve ilproblema facendo derivare il bias lessicale e gli errori misti da mec-canismi di controllo che vengono esercitati sulle rappresentazioni diuscita. Questi meccanismi agirebbero sulle rappresentazioni interne

(Nickels e Howard 1995); altri studi, tuttavia, hanno descritto pa-zienti che commettono quasi esclusivamente errori fonologici lessi-cali, dimostrando così la realtà indipendente di questi errori (Best1996; Blanken 1990, 1998; per un caso analogo in produzione scrit-ta, cfr. Romani, Olson, Ward e Ercolani 2002).

La maggior frequenza degli errori fonologici lessicali rispetto aquanto atteso sulla base di quelli non-lessicali è stata chiamata bbiiaasslessicale. Il bias lessicale è stato spesso dimostrato negli errori pro-dotti da soggetti normali in condizioni di laboratorio. Per elicitare glierrori, viene in genere richiesto di produrre degli scioglilingua (adesempio, «sopra la panca la capra campa, sotto la panca la capra crepa»)o, più semplicemente, una serie di parole (in genere 3 o 4) che hannodei fonemi in comuni: ad esempio, 1) tappo, fatto, tipo, fino; 2) tela, fi-la, tana, fata, ecc. In queste circostanze, gli errori sono più frequentiquando uno scambio di fonemi genera delle parole esistenti (foglio-vino > voglio-fino) piuttosto che quando il risultato consiste in dellenon-parole (teglia-fungo >feglia-tungo). È stato anche visto che il biaslessicale dipende dalla velocità di produzione: è più forte quando lavelocità è moderata, ma diminuisce quando la velocità aumenta (Dell1988). Per questo Dell ha considerato il bias lessicale un’indicazionedella qualità della elaborazione linguistica. Un sistema che funzionain condizioni ottimali produrrebbe più errori fonologici lessicali di unsistema in condizioni di stress. Questa ipotesi tuttavia mal si accordacon l’esistenza di pazienti afasici, il cui sistema non funziona in modoottimale, e che perciò commettono un gran numero di errori formali(fonologici od ortografici), ma in cui il bias lessicale è fortissimo, tan-to che la stragrande parte degli errori è di questo tipo.

2.2.2. Gli errori misti Per definizione, gli errori fonologici lessicalicondividono delle caratteristiche formali con il loro target, insiemead altre caratteristiche: spesso la classe grammaticale e a volte trattidi significato. Nel caso di errori che sono insieme fonologici e se-mantici (ad esempio, martello>mattarello; mela>pera) ci si è chiestidi nuovo se questi errori non siano per caso misti. Per esempio, po-trebbero essere errori semantici puri, con la condivisione casuale dialcuni fonemi. Contro questa possibilità, però, una serie di studi hadimostrato che la frequenza degli errori misti è significativamentesuperiore a quanto ci si aspetterebbe sulla base della frequenza del-le due classi di errori puri (lessicali-fonologici e semantici; Martin1996).

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sul pocte) (Fromkin 1971; MacKay 1970; Shattuck-Hufnagel 1979).Inoltre quando gli errori coinvolgono fonemi adiacenti, questi corri-spondono più frequentemente a sequenze che possono costituire ilcomponente sillabico rima, per esempio VC (si veda il capitolo di Ma-rotta in questo volume; Dell, Juliano e Govindjee 1993).

c) Preservazione della distinzione in consonanti e vocali. Gene-ralmente le vocali sono sostituite con altre vocali e le consonanti conaltre consonanti. MacKay (1970) e Stemberger (1983) non riporta-no nessuna violazione di questa regola. Secondo Shattuck-Hufnagel(1979), queste violazioni sono estremamente rare. Lo stesso feno-meno si verifica nel linguaggio afasico.

d) Preservazione delle regole fonotattiche della lingua. Le regole fo-notattiche stabiliscono quali sequenze di suoni sono possibili nella lin-gua e quali sono escluse. La stragrande maggioranza degli errori pre-serva queste regole. Per esempio, l’italiano non ha attacchi costituiti dauna nasale più una liquida (*/nra/, */mla/). Questi attacchi non ven-gono prodotti neanche negli errori (con minime eccezioni). Questi vin-coli sono rispettati con grande sistematicità sia da parlanti normali cheafasici in tutte le condizioni in cui è prodotto linguaggio: linguaggiospontaneo, lettura, scioglilingua, denominazione di figure, ecc.

e) Ruolo speciale per il fonema all’inizio della parola. La gran partedegli errori di movimento commessi da parlanti normali avviene in lin-guaggio spontaneo e coinvolge lo scambio del fonema iniziale di dueparole (in genere una consonante e quindi un attacco). La frequenza diquesti errori mette in dubbio la necessità di postulare un più generaleprincipio di rispetto della posizione sillabica (Berg 1991; Meijer 1997;Shattuck-Hufnagel 1992). Questa propensione all’errore per i fonemiiniziali, però, non è presente in tutte le condizioni. Per esempio, Wil-shire (1998) ha trovato che è presente nella ripetizione di serie di paro-le, ma non di non-parole. Inoltre, nel caso di pazienti afasici o di par-lanti normali con la parola «sulla punta della lingua», l’inizio della pa-rola mostra un vantaggio invece di uno svantaggio, nel senso che è re-cuperato più facilmente. Wilshire spiega questi risultati contrastantiipotizzando un modello di attivazione lessicale con due caratteristiche:

1. i fonemi di una parola hanno un gradiente di attivazione percui il fonema iniziale ha un’attivazione massima e quelli seguentiun’attivazione progressivamente inferiore; questo garantirebbe laproduzione dei fonemi nell’ordine corretto. Questo spiegherebbeanche perché i fonemi iniziali sono recuperati meglio in compiti didenominazione.

pre-articolatorie, come dimostrato dal fatto che autocorrezioni pos-sono essere molto precoci, quando solo una parte della parola erra-ta è stata già prodotta vocalmente. La proposta di Levelt è che que-sti meccanismi di autocontrollo si realizzino rinviando le rappresen-tazioni fonetiche pronte per la produzione al sistema semantico. Glierrori che corrispondono a parole reali e quelli che condividono ca-ratteristiche, sia fonologiche sia lessicali, con il target sarebbero piùcomuni perché passano più facilmente inosservati. Il problema prin-cipale è che senza maggiori dettagli questa spiegazione è poco più diuna ridescrizione dei fenomeni da spiegare (cfr. Roelofs 1997).

3. Modalità di rappresentazione sillabica

In questa parte del capitolo ci chiederemo se le rappresentazioni fo-nologiche siano organizzate in unità intermedie tra i fonemi e i mor-femi; in altre parole, se siano organizzate in sillabe, e discuteremo lemodalità e le funzioni di questa organizzazione. Le caratteristichedegli errori fonologici non-lessicali sono state importanti nel moti-vare la rappresentazione delle sillabe nei modelli di Levelt e Dell.Cominceremo dunque con il descriverle.

3.1. Caratteristiche degli errori fonologici non-lessicali

Come gli errori fonologici lessicali anche quelli non-lessicali hannodelle caratteristiche comuni che sono state importanti nell’informa-re i modelli di produzione di parole.

a) Unità oggetto di errore. Gli errori riguardano per la maggiorparte singoli fonemi. Assai meno comunemente corrispondono agruppi consonantici o a combinazioni di consonanti e vocali(Fromkin 1971; Wilshire 1998).

b) Preservazione della posizione sillabica. Gli errori commessi daparlanti normali in linguaggio spontaneo riguardano per la maggiorparte movimenti di fonemi. Quando un fonema è anticipato, ripetu-to o trasposto va, in genere, ad occupare lo stesso tipo di posizione al-l’interno di un’altra sillaba. L’attacco della sillaba è la parte iniziale cheprecede la vocale; la coda è la parte finale dopo la vocale: ad esempio,in /’pon.te/, /p/ è l’attacco e /n/ la coda della prima sillaba. Gli spo-stamenti sono da attacco ad attacco (il cartello sul ponte> il partellosul conte) o da coda a coda (il cartello sul ponte> il cantello sul porte),ma non da attacco a coda o viceversa (il cartello sul ponte> il nartello

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laba. Il meccanismo di selezione e copia assume una separazione traforma (la struttura sillabica) e contenuto (i fonemi) che è alla base diun approccio linguistico detto fonologia autosegmentale (si veda il sag-gio di Marotta in questo volume). Secondo questo approccio, ogni pa-rola è costituita da più livelli o piani. Struttura e contenuto fonologicosono due di questi piani. Un esempio è fornito qui sotto.

2. vi sono legami reciproci di inibizione tra entrate lessicali. Piùuna rappresentazione è attiva, più inibisce rappresentazioni rivali.Questa competizione spiegherebbe perché i fonemi iniziali sono piùsoggetti ad errore in produzione di frasi. La competizione sarebbemeno forte per gli altri fonemi per l’inibizione crescente esercitatadalla parola target sulle rivali.

f) Maggiore probabilità d’errore in contesti fonologici simili.Scambi di posizione tra fonemi sono più frequenti quando questicondividono la maggior parte dei tratti distintivi. Inoltre anticipa-zioni, ripetizioni e scambi di fonemi sono tutti più comuni quandoun fonema si muove in una posizione che è circondata da fonemi si-mili a quelli che circondavano la posizione originaria (una bella ca-ramella > una mella carabella).

3.2. Rappresentazione sillabica: implicazioni per i modelli di Dell e Levelt

3.2.1. Meccanismi di selezione e copia I modelli di Dell e Levelt han-no usato un meccanismo simile per rendere conto del fatto che gli er-rori rispettano la posizione sillabica. Questo meccanismo, noto comeselezione e copia (scan and copier mechanism), è stato proposto per laprima volta da Shattuck-Hufnagel (1979, 1992). I fonemi presentinella parola verrebbero copiati in una serie di caselle vuote categoriz-zate per posizione sillabica. Queste caselle rappresenterebbero unasorta di scheletro sillabico della parola. Sarebbero associate alla rap-presentazione lessicale (nodo parola), così come i fonemi, ma solo almomento della produzione le caselle verrebbero per così dire «riem-pite» con i fonemi corrispondenti. In condizioni non ottimali, un fo-nema può essere saltato, copiato due volte o assegnato alla posizionesbagliata. Il rispetto del vincolo di posizione è garantito dal fatto chei fonemi sono categorizzati in tre gruppi: fonemi attacco, fonemi co-da e fonemi nucleo (ci sarebbero dunque due /n/: /n/attacco e /n/co-da). Il meccanismo di copia funziona solo se l’etichetta sillabica delfonema e quella della casella coincidono (per modelli simili cfr. ancheMacKay 1972; Meijer 1997; Stemberger 1991).

Il meccanismo di selezione e copia spiega anche la preservazionedella distinzione in consonanti e vocali (solo una consonante, infatti,potrà essere inserita nelle caselle marcate attacco e coda, e soltanto unavocale nelle caselle marcate nucleo) e la preservazione delle regole fo-notattiche: è chiaro che se un fonema era ammesso in una certa posi-zione in una sillaba lo sarà anche nella stessa posizione in un’altra sil-

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A A N A N

X X X X X

t r ε n o

σ′ σ Livello sillabico

Livello scheletrico

Livello vocalico

Livello consonantico

Nei modelli di Shattuck-Hufnagel, Dell e Levelt, questa separa-zione è portata alle sue estreme conseguenze. Nella fonologia auto-segmentale, contenuto e struttura fonologica sono messi in stretta re-lazione l’uno con l’altra da legami di congiunzione che seguono re-gole precise. Nei modelli psicolinguistici, invece, ogni relazione èperduta. Nel modello di Dell, la sequenza di fonemi corrispondentiad una parola e la struttura sillabica sono rappresentate nel lessicoda nodi completamente distinti. Nel modello di Levelt, solo le paro-le irregolari sono associate a delle unità che rappresentano numerodi sillabe e accento. In entrambi i modelli, tuttavia, il sistema lingui-stico recupera dal lessico o computa per ogni parola una serie di ca-selle sillabiche in cui solo successivamente copia i relativi fonemi.

Il meccanismo di selezione e copia ipotizzato da Shattuck-Huf-nagel, Dell e Levelt, ha due punti deboli fondamentali. Il primo è l’i-potesi di unità strutturali formali slegate dai fonemi che organizza-no. Questa separazione è in contrasto con la ragione d’essere dellesillabe, che è appunto quella di organizzare il contenuto fonologico.I dati sperimentali non hanno inoltre fornito prove a sostegno del-l’esistenza di unità strutturali «vuote». Il secondo è l’ipotesi che i fo-nemi nel lessico siano categorizzati per posizione sillabica. Questadistinzione potrebbe avere una giustificazione a livello fonetico, vi-sto che in alcuni casi i fonemi hanno realizzazioni articolatorie di-verse a seconda della posizione sillabica (in inglese, per esempio, le

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leggerirebbe il lavoro di programmazione articolatoria. La sillabainoltre sarebbe l’unità ideale perché il sistema non deve preoccu-parsi della variazione allofonica che è generalmente intra-sillabica.Le sillabe verrebbero attivate in funzione della loro congruenza conil contenuto fonologico e secondo un gradiente di frequenza. Le sil-labe più comuni sarebbero attivate più velocemente e accuratamen-te delle sillabe meno comuni.

Le considerazioni empiriche non sostengono però l’ipotesi diunità corrispondenti a sillabe sia a livello fonologico che articolato-rio. Levelt e Wheeldon (1994) hanno riportato risultati che indica-no una maggior facilità nel produrre parole costituite da sillabe fre-quenti piuttosto che poco frequenti. Tuttavia, è assai difficile sepa-rare effetti dovuti alle sillabe da effetti dovuti ai segmenti che le com-pongono e, controllando questo fattore, i risultati non sono stati re-plicati (Levelt et al. 1999). Anche le caratteristiche degli errori fo-nologici non sono a favore dell’esistenza di unità corrispondenti asillabe. Secondo Levelt, il processo di attivazione e selezione dellesillabe ha caratteristiche simili a quelli che coinvolgono parole e fo-nemi. Non è chiaro, quindi, perché errori corrispondenti a sillabesiano così rari. Per spiegare questa mancanza, Levelt sostiene che: a)le sostituzioni di sillabe sono comuni ma indistinguibili da quelle difonemi, perché due sillabe simili avranno spesso tutti i fonemi in co-mune tranne uno; b) le trasposizioni di sillabe sono rare perché glierrori di movimento avvengono solo nel processo di copia dal lessi-co al buffer fonologico e nel lessico non ci sono unità sillaba; c) le in-serzioni ed elisioni di sillabe sono rare, ma lo stesso vale per i fone-mi. Queste spiegazioni potrebbero essere meglio verificate da studifuturi che utilizzino il linguaggio afasico, in cui gli errori sono piùnumerosi e più complessi. L’ipotesi di unità corrispondenti a sillabepredice che una buona parte degli errori nei quali fonemi adiacentisono cancellati o inseriti corrisponderanno a sillabe.

4. Gli errori dei pazienti afasici

Un buon modello deve render conto non solo di come si comportail sistema linguistico in condizioni ottimali, ma anche delle sue ca-ratteristiche in condizioni di stress, apprendimento o danno cere-brale. In questa sezione vogliamo descrivere brevemente i diversipatterns di errori prodotti dai pazienti afasici e il modo in cui sonostati simulati dai modelli di Dell e Levelt.

consonanti ostruenti sono pronunciate aspirate in posizione di at-tacco, ma non in posizione di coda), ma non ha alcuna motivazionead un livello fonologico, che per definizione è più astratto.

3.2.2. Unità segmentali corrispondenti a sillabe Tanto il modello diDell che quello di Levelt ipotizzano sia unità strutturali vuote corri-spondenti a sillabe sia unità piene corrispondenti ciascuna ad una sil-laba con un contenuto fonologico preciso. I due modelli, tuttavia, ipo-tizzano che queste unità esistano a livelli diversi. Nel modello di Dellsono a livello fonologico. La loro funzione è di rappresentare l’ordi-ne dei fonemi. Ogni unità parola è legata alle corrispondenti unità sil-labe tramite legami con diverso grado di attivazione (il legame con laprima sillaba è il più forte di tutti, seguito dal secondo, che è più for-te del terzo e così via). Ciò fa sì che le sillabe siano selezionate in ordi-ne una dopo l’altra (Dell 1986). L’ordine all’interno della sillaba è ga-rantito dal fatto che i fonemi sono etichettati per posizione sillabica.

Levelt, invece, ritiene poco utile un’organizzazione delle rappre-sentazioni lessicali in sillabe. Egli nota che, per garantire una produ-zione fluida, le parole devono essere comunque spesso risillabificatetenendo conto delle parole adiacenti. In inglese e in olandese è co-mune il caso di parole che terminano con una coda e sono seguite dauna parola che comincia per vocale. In questo caso, la coda si trasfor-ma nell’attacco della sillaba successiva. Per esempio, un’espressionecome run away può essere realizzata come ['rUn.ë'wei] oppure come['rU.në.ªwei], dove la /n/, originariamente in coda, diviene l’attaccodella sillaba seguente. Levelt ipotizza, invece, che unità corrispon-denti a sillabe esistano a livello fonetico con la funzione di facilitare laproduzione articolatoria. Dopo la codifica fonologica, le rappresen-tazioni (costituite a questo punto da caselle sillabiche riempite) sa-rebbero mantenute attive in un buffer di uscita e trasformate in al-trettante rappresentazioni articolatorie. Vi sono buone ragioni per ri-tenere necessario il computo di rappresentazioni articolatorie primache i comandi siano inviati ai rispettivi muscoli motori. Nella produ-zione sia di frasi sia di parole bisogna stabilire il contorno prosodico,la qualità della voce (dolce, arrabbiata, ecc.) e la forma fonetica dei fo-nemi. Nel caso di una frase, inoltre, è necessario che le parole siano le-gate l’una all’altra in una produzione fluente.

Levelt assume che le rappresentazioni fonologiche nel buffer ac-cedano ad un sillabario, ovvero a un magazzino di pacchetti artico-latori corrispondenti a sillabe. Avere dei pacchetti pre-computati al-

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stamento di fonemi tra parole. Nei parlanti afasici, invece, sono gene-ralmente commessi nella produzione di parole singole (ripetizione diparole e denominazione di figure) e raramente riguardano movimentidi fonemi. Le trasposizioni sono rare e gli errori di anticipazione e per-severazione spesso non sono più frequenti di quanto ci si aspettereb-be per caso (Romani e Galluzzi 2005). Inoltre, questi errori di movi-mento non sempre preservano il vincolo di posizione sillabica (circa il30% di violazioni nel nostro corpus di trasposizioni). Questi risultatisuggeriscono che gli errori commessi in produzione di frasi e gli erro-ri di denominazione di parole singole abbiano una origine diversa. C’èbisogno quindi di studi che comparino gli errori commessi in questedue condizioni nella stessa popolazione di parlanti (normali o afasici).

4.1.2. Errori afasici ed errori simulati In una serie di studi, Dell e col-laboratori hanno cercato di simulare gli effetti cognitivi di lesioni cere-brali «danneggiando» in vari modi il loro modello computazionale.Una prevalenza di errori lessicali è stata simulata aumentando la velo-cità con cui l’attivazione decade nel sistema (Dell et al. 1997; Martin eSaffran 1992; Martin, Saffran e Dell 1996). Ciò ha l’effetto di ridurre ilvantaggio della parola target sui suoi competitori lasciando però inva-riato il bias lessicale. Gli errori non-lessicali sono stati simulati sia ridu-cendo il numero di interazioni tra i livelli (Dell 1988, 1990) sia indebo-lendo le connessioni tra le unità parola e i rispettivi fonemi (Schwartz,Saffran, Bloch e Dell 1994). Entrambe queste manipolazioni riduconol’influenza che le entrate lessicali hanno nella selezione dei fonemi, ren-dendo così più facile la selezione di fonemi errati anche quando la se-quenza risultante non corrisponde ad una parola della lingua.

Queste simulazioni hanno modificato parametri globali, che siapplicano cioè a tutti i livelli del sistema. Ciò determina un aumen-to indiscriminato degli errori lessicali, mentre ci sono pazienti cheproducono quasi esclusivamente o errori semantici lessicali o errorifonologici lessicali. Un’altra limitazione dei modelli correnti (com-putazionali e non) è che non sono in grado di render conto degli ef-fetti di complessità sillabica descritti sopra. Levelt ha suggerito cheeffetti di complessità possano essere collocati al livello dei processidi sillabificazione (Levelt et al. 1999, p. 67). Non è chiaro, però, per-ché debba essere più difficile sillabificare un gruppo consonanticopiuttosto che un’alternanza di consonanti e vocali (strano vs. tavolo).Inoltre, come discusso sopra, i nostri studi legano effetti di com-plessità al livello articolatorio e non a quello fonologico.

Gli errori fonologici nei pazienti afasici presentano caratteristi-che eterogenee che sono da mettere in relazione con tipi diversi didanno cognitivo. Abbiamo già visto che alcuni pazienti commetto-no prevalentemente errori fonologici lessicali. Questi errori potreb-bero derivare da un elevato livello di «rumore» nel lessico che ren-de la discriminazione tra unità relate più difficile. Un problema perquesta interpretazione è che, in produzione, le entrate nel lessico so-no attivate dal sistema semantico. Dato un input semantico, errori diselezione dovrebbero essere semanticamente e non fonologicamen-te relati. Abbiamo visto che il modello di Dell risolve il problemaipotizzando non solo un’attivazione delle entrate lessicali semanti-che (dall’alto in basso), ma anche un’attivazione fonologica di ritor-no (dal basso in alto). Questa attivazione di ritorno è responsabiledegli errori lessicali anche nei parlanti afasici.

La maggior parte dei pazienti afasici, però, commette errori fono-logici che non producono un’altra parola della lingua. Questi errori ri-guardano spesso la sostituzione o elisione di singoli fonemi o più rara-mente la loro inserzione e trasposizione. Studi dal nostro laboratorioindicano che questi errori hanno due fonti principali (Romani e Cala-brese 1998; Romani et al. 2002; Romani e Galluzzi 2005). Alcuni pa-zienti hanno un deficit di selezione fonologica. In questi pazienti, glierrori riflettono una degradazione/disorganizzazione dell’informazio-ne sull’identità e l’ordine dei fonemi corrispondenti alle parole. Un se-condo gruppo di pazienti ha un deficit che definiremo fonologico-ar-ticolatorio. Questi pazienti fanno errori superficialmente simili a quel-li dei primi. La differenza è che gli errori sono per lo più mirati a ridurrela complessità sillabica e presumibilmente articolatoria delle sequen-ze da produrre. Ad esempio, errori di elisione e inserzione eliminanostrutture sillabiche marcate come attacchi complessi, code, iati e vo-cali all’inizio di parola; le sostituzioni riducono la sonorità delle con-sonanti in attacco ma non in coda, cosa che secondo il principio di di-spersione di sonorità semplifica il profilo della sillaba (Clements 1990;si vedano i capitoli di Savy e Marotta in questo volume).

4.1. «Pattern» di errori a confronto

4.1.1. Errori nei parlanti normali e afasici Abbiamo attribuito gli er-rori fonologici dei pazienti afasici ad un deficit fonologico-lessicale oarticolatorio. Questa ipotesi è più difficile da sostenere per gli erroriprodotti da parlanti normali. Inoltre, nei parlanti normali gli errori so-no in genere commessi in linguaggio spontaneo e riguardano lo spo-

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te sarebbero trasferite in blocco nel buffer di uscita. Qui la sillabifica-zione ai margini delle parole se necessario potrebbe essere cambiata.

Il secondo punto di differenza è che gli errori fonologici avver-rebbero non nel processo di copia, ma quando una rappresentazio-ne fonologica imperfetta viene riparata nel buffer di uscita. I proces-si di riparazione dell’informazione nel buffer avverrebbero automa-ticamente (senza controllo volontario), a intervalli regolari. Nei par-lanti normali avrebbero la funzione di supplire al naturale decadi-mento dell’informazione. Nei pazienti afasici metterebbero in con-dizioni di essere prodotte rappresentazioni che sono degradate. Iprocessi di riparazione utilizzerebbero due tipi di informazione: leconoscenze fonotattiche e le conoscenze lessicali semantiche. L’ideadi meccanismi di riparazione basati sulle conoscenze fonotattiche ègià stata utilizzata nella spiegazione degli errori afasici (Beland, Pa-radis e Bois 1993; Romani e Calabrese 1998). L’idea di meccanismidi reintegrazione basati sull’informazione lessicale-semantica è statausata per spiegare effetti di lessicalità, frequenza e concretezza incompiti di memoria a breve termine (si vedano i capitoli di Burani eLaudanna in questo volume) ad esempio, è più facile ricordare unaserie di parole che di non-parole, Hulme et al. 1997. La nostra pro-posta è che queste idee possano essere combinate per spiegare unapiù ampia fascia di fenomeni, tra cui tutte le principali caratteristi-che degli errori fonologici descritte in questo capitolo.

Le conoscenze fonotattiche sarebbero la prima fonte di infor-mazione utilizzata per riparare l’informazione nel buffer. Questospiegherebbe l’ubiquità del rispetto delle regole fonotattiche nellaproduzione di parole. Consideriamo, per esempio, la rappresenta-zione seguente, dove l’identità del secondo fonema e la posizione re-lativa dei fonemi /n/ e /t/ sono andate perdute.

5. Un modello di produzione alternativo

Abbiamo visto come i modelli di Dell e Levelt rendano sì conto diuna serie di caratteristiche degli errori commessi da parlanti norma-li e afasici, ma a costo di alcune assunzioni poco plausibili, che rias-sumiamo qui di seguito.

a) L’esistenza degli errori fonologici è spiegata con il fatto che lerappresentazioni lessicali accedono ad un insieme di fonemi comu-ni. Questo crea però problemi nella rappresentazione dell’ordine.

b) L’esistenza di errori fonologici lessicali è spiegata da Dell conmeccanismi di interazione, per cui ogni fonema riattiva di rimandotutte le parole con cui è congruente. Questo vuol dire che ogni vol-ta che una parola viene codificata fonologicamente anche gran par-te delle altre rappresentazioni lessicali viene attivata (si pensi a quan-te parole italiane contengono il fonema /a/). Questo può portare auna generale «sovraeccitazione» delle entrate lessicali riducendo lepossibilità di discriminazione.

c) Il rispetto dei vincoli sillabici ha motivato l’ipotesi di meccani-smi di selezione e copia. Una rappresentazione sillabica distinta dalcontenuto che dovrebbe organizzare, però, è poco plausibile, cosìcome l’ipotesi di fonemi categorizzati per posizione sillabica.

d) Non vi è alcuna evidenza empirica per unità sillabiche «pie-ne», sia a livello fonologico che articolatorio.

e) Gli errori che hanno motivato i modelli di Dell e Levelt sono er-rori prodotti da parlanti normali in produzione spontanea. Questi er-rori sono errori di movimento tra parole. Gli errori prodotti da pa-zienti afasici hanno caratteristiche diverse che devono essere spiegate.

Il modello che qui proponiamo presenta due differenze fondamen-tali con quelli di Dell e Levelt. Prima di tutto ipotizziamo che le rap-presentazioni lessicali siano costituite ognuna dalla sua specifica se-quenza di fonemi (senza l’accesso ad un insieme comune) e che questerappresentazioni siano organizzate in sillabe secondo modalità simili aquelle suggerite dalla fonologia autosegmentale (si veda il capitolo diMarotta in questo volume). Questa modalità di rappresentazione ren-de ridondante l’accesso a unità fonologiche distinte corrispondenti asillabe, ha il vantaggio di eliminare problemi di rappresentazione di or-dine e restituisce alle sillabe il loro ruolo «naturale» di organizzazionedei fonemi; infine, rende ridondante un meccanismo di copia basato suuna rappresentazione separata prima, e ricombinata poi, di contenutofonologico e struttura sillabica. Le rappresentazioni lessicali sillabifica-

86 Il linguaggio. Strutture linguistiche e processi cognitivi 4. Fonologia: i processi 87

Rappresentazione originaria Rappresentazione degradata

σ σ

A N C A N

t r ε n t o

σ σ

A N C A N

t ? ε n ot

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zione rimasta nel buffer sia /?e?a/. Tale informazione corrisponde a/'mela/, /'pera/, /'tela/, ecc., ma /'pera/ o /'mela/ saranno seleziona-te se l’attivazione residua nel sistema semantico indica un frutto.

Naturalmente, ci si deve domandare come il nostro modello spie-ghi i diversi patterns di errori fonologici osservati in individui nor-mali e afasici. Abbiamo visto che alcuni pazienti afasici produconoprevalentemente errori fonologici lessicali. È possibile che in tali pa-zienti le rappresentazioni nel buffer decadano troppo velocemente eche l’informazione lessicale venga utilizzata per ricostruirle. In al-ternativa o in aggiunta è possibile che questi pazienti abbiano pro-blemi non di attivazione ma di discriminabilità lessicale, per cuil’informazione nel buffer fonologico attiva fortemente non solo larappresentazione target ma anche altre rivali (Romani et al. 2002).

Il secondo pattern da spiegare è quello, più comune nell’afasia, incui la maggior parte degli errori è fonologica non lessicale. Abbiamoipotizzato che questi errori abbiano due fonti. In alcuni pazienti, de-rivano dal fatto che l’informazione contenuta nel lessico circa l’iden-tità e l’ordine dei fonemi è danneggiata e/o difficile da recuperare; inaltri pazienti, derivano da un disturbo articolatorio. In entrambi i ca-si, tuttavia, l’informazione lessicale non può essere utilizzata per ri-parare le rappresentazioni fonologiche. Nel primo caso, vi è una dif-ficoltà di accesso all’informazione lessicale che causa in primis questierrori. Nel secondo caso, riparare gli errori vanificherebbe la sempli-ficazione articolatoria che permette la pronunciabilità della parola.

L’ultimo pattern che si deve spiegare è costituito dagli errori com-messi da parlanti normali nel parlato connesso. Questi errori riguar-dano prevalentemente scambi di fonemi tra parole e sono molto in-fluenzati dalla somiglianza del contesto sillabico e più generalmentedel contesto fonologico. Per spiegare queste caratteristiche si può ipo-tizzare che tali errori derivino per la gran parte da confusioni nel buf-fer di output quando l’informazione è selezionata per essere trasfor-mata in programmi articolatori. Normalmente, il buffer di output con-tiene più parole. Le confusioni di ordine potrebbero essere ampliatedal fatto che all’ordine all’interno della parola si sovrappone l’ordineall’interno della frase (vi è un fonema in terza posizione nella prima pa-rola, ma anche un fonema in terza posizione nella seconda parola).

5.1. Una rappresentazione senza sillabe

Nella discussione precedente abbiamo legato le regole fonotattiche alconcetto di sillaba. Le regole fonotattiche ci dicono quali segmenti so-

Una conoscenza delle regole fonotattiche dell’italiano ci dice chesolo una liquida (/r/ o /l/) o una semiconsonante (/y/ o /w/) possonooccupare la posizione interna di un attacco complesso. Data la stessarappresentazione, il fonema /n/ deve precedere /t/, poiché l’italianonon permette ostruenti in coda (eccetto che per le geminate). Questeconoscenze non solo evitano la produzione di sequenze illegali (adesempio */'tεtno/), ma facilitano di molto la ricostruzione della rap-presentazione originale. In aggiunta, l’uso delle conoscenze fonotat-tiche può rendere conto almeno in parte del vincolo di posizione sil-labica. Consideriamo la rappresentazione seguente dove l’informa-zione riguardo alla posizione di alcuni fonemi è andata perduta.

88 Il linguaggio. Strutture linguistiche e processi cognitivi 4. Fonologia: i processi 89

N C A N C A N C A N A N C A N C A N

I l k a r t ε l l o s u l p o n t e? ? ? ?

Data questa rappresentazione, le regole fonotattiche consenti-ranno lo scambio dei fonemi /k/ e /p/ o dei fonemi /r/ e /l/, ma nonaltre combinazioni. In altre parole, ci saranno scambi attacco-attac-co e coda-coda, dovuti non al fatto che il segmento deve mantenerela posizione sillabica originaria, ma al fatto che l’italiano permettesono alcuni segmenti in coda (*/kaptεllo/ ). Questo, aggiunto al fat-to che la maggior parte degli scambi sono tra attacchi all’inizio del-la parola, può rendere superflua ogni spiegazione ulteriore. Infine, ilrispetto delle regole fonotattiche implica il rispetto di una catego-rizzazione in consonanti e vocali: in italiano solo una vocale può oc-cupare un nucleo e solo una consonante può occupare un attacco ouna coda (cfr. anche Dell et al. 1993).

La seconda fonte principale di informazione utilizzata per ripara-re le rappresentazioni nel buffer è l’informazione lessicale-semanti-ca. L’uso di questa informazione spiega gli errori fonologici lessicali egli errori misti. Le rappresentazioni nel buffer verrebbero riparateriattivando all’indietro l’informazione lessicale e semantica. Sel’informazione nel buffer è degradata e corrisponde sia alla rappre-sentazione lessicale della parola target, sia a quella di una parola al-ternativa, si può verificare un errore fonologico lessicale. Tuttavia,poiché l’informazione lessicale attiva a sua volta «all’indietro» la cor-rispondente informazione semantica, una parola che condivide sia fo-nemi che unità di significato con quella target sarà ancora più facil-mente prodotta per errore. Ad esempio, supponiamo che l’informa-

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role. Queste caratteristiche sono in gran parte derivate dalle caratte-ristiche degli errori fonologici. Abbiamo sottolineato una serie di de-bolezze nelle spiegazioni ipotizzate da questi modelli e proposto unmodello alternativo. Questo modello assegna alla struttura sillabicaun ruolo importante nell’organizzare e stabilizzare le rappresenta-zioni lessicali. Abbiamo sostenuto che gli errori fonologici possonoderivare dalla combinazione di rappresentazioni degradate integra-te con le conoscenze linguistiche a disposizione del parlante, e ab-biamo descritto il ruolo delle conoscenze fonotattiche e di quelle les-sicali-semantiche. Nell’applicazione delle regole fonotattiche, ab-biamo nuovamente fatto riferimento al concetto di sillaba. Sono lesillabe che raggruppano i suoni in unità secondo regole precise epongono così dei limiti al numero (altrimenti astronomico) di possi-bili combinazioni.

no possibili in diverse posizioni sillabiche. Ci si può chiedere ora se leregole fonotattiche possano essere espresse senza ricorrere al concettodi sillaba. Una prima possibilità è ricondurre queste regole al concettodi pronunciabilità o difficoltà articolatoria. Questo, tuttavia, è esclusodal fatto che le regole fonotattiche variano da lingua a lingua. Una se-quenza fonotatticamente ammessa in una lingua non lo è in un’altra.Una seconda possibilità è ridurre le regole fonotattiche ad una lista chespecifichi quali sequenze sono possibili ed escluda automaticamentetutte le altre. Ma questo è più difficile di quanto si possa pensare. Con-sideriamo, per esempio, il fatto che, in italiano, sequenze come /ardo-re/, /alTSe/, /ampjo/, /antonjo/, ecc. sono legali mentre altre come */ag-to/, */azta/, */pavza/, ecc. non lo sono. Questo pattern si può facil-mente descrivere con la regola che solo liquide e nasali sono possibili incoda. L’alternativa di una lista non solo è poco economica, ma presen-ta il problema della lunghezza delle sequenze da rappresentare (bifo-nemiche, trifonemiche, ecc.). Sequenze bifonemiche sono chiaramen-te inadeguate (per esempio, /tr/ e /pr/ sono due sequenze possibili mala combinazione /trpr/ non lo è), ma più le sequenze sono lunghe, piùlunga è la lista. Più è lunga la lista, meno chiaro è il suo vantaggio (peruna discussione e dati sperimentali cfr. Olson e Caramazza 2004).

Infine, una terza possibilità è quella di rappresentare le regole fo-notattiche implicitamente nelle rappresentazioni lessicali, come nelmodello di Dell e collaboratori (Dell et al. 1993). Il modello simula ilprocesso di codifica fonologica: l’input è un’entrata lessicale; l’outputuna serie di tratti fonologici. L’elaborazione è del tipo PDP (ParallelDistributed Processing, si vedano anche i capitoli di Laudanna e Pe-ressotti e Job in questo volume): le regole sulla co-occorrenza di fo-nemi sono rappresentate in maniera distribuita sulla base di patternsdi attivazione di gruppi di unità e sulle loro relazioni. Questa pro-prietà fa sì che, dati una serie di esempi, il modello «impari» a com-portarsi secondo «le regole» senza però avere di queste una rappre-sentazione discreta. Ad apprendimento terminato, la maggior partedegli errori commessi dal modello rispetta le regole fonotattiche. Unaparte degli errori però rimane implausibile, mettendo in dubbio se ea che costo si possa fare a meno di una organizzazione in sillabe.

6. Conclusioni

Abbiamo discusso alcune tra le principali caratteristiche dei model-li di Dell e Levelt, due tra i più influenti modelli di produzione di pa-

90 Il linguaggio. Strutture linguistiche e processi cognitivi 4. Fonologia: i processi 91

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(2) nottefacilmente

Le parole in (2) sono segmentabili in unità più piccole, ciascunadelle quali è portatrice di una parte del significato dell’intera parola:in notte, nott- porta il significato lessicale di ‘periodo in cui non è vi-sibile la luce del sole’, ed -e porta il significato grammaticale di ‘sin-golare’; in facilmente, facil- porta il significato lessicale di ‘agevole’, e-mente porta un significato grammaticale che in prima approssima-zione potremmo definire ‘avverbio di modo’. Le unità nott-, facil-,-mente e -e presentano tutti i requisiti di un segno linguistico: si trattadi unioni tra un significato e un significante, ciascuna ricorrente an-che in altri contesti (nott-urn-o, voc-e, facil-ità, stabil-mente, ecc.). Cia-scuna di esse costituisce anche un segno linguistico minimo, cioèun’unità non ulteriormente scomponibile in sottounità che rappre-sentino associazioni stabili tra una stringa di fonemi e un significato.Nella linguistica moderna, un’unità di questo tipo è detta morfema.

Una caratteristica importante dei morfemi è che almeno alcuni diessi possono presentarsi in forme diverse in contesti diversi. Si consi-derino gli esempi in (3) - (5): in (3)a - (5)a sono elencati dei nomi in-glesi al singolare, in trascrizione ortografica e fonologica, in (3)b –(5)b è indicato il plurale degli stessi nomi, in trascrizione fonologica:

(3)a ass /æs / (3)b /æsız / ‘asino’

(4)a cup / kUp / (4)b / kUps / ‘tazza’

(5)a room / ru:m/ (5)b / ru:mz / ‘stanza’key / ki: / / ki:z / ‘chiave’

Appare chiaro che il significato grammaticale di ‘plurale’ in (3)bè portato da /ız/, in (4)b da /s/, in (5)b da /z/. Ciascuno di questi treelementi è un morfo, cioè il significante di un morfema; poiché ognirappresentante fonologicamente diverso di uno stesso morfema èdetto allomorfo, i tre morfi /ız/, /s/ e /z/ sono tre allomorfi del mor-fema inglese che porta il significato di ‘plurale’ (si veda il capitolo diMarotta in questo volume).

Le parole possono essere monomorfemiche, cioè costituite da unsolo morfema, come gru, se, in, o polimorfemiche, cioè composte da

5.

Morfologia: le strutture di Anna M. Thornton

1. Introduzione

Tradizionalmente, la morfologia è definita come la disciplina chestudia la struttura interna delle parole. La nozione di parola però ènotoriamente ambigua. Quante parole ci sono nella frase (1)?

(1) Anno nuovo, vita nuova

Da un certo punto di vista, quattro. Ci sono infatti quattro og-getti diversi, che nello scritto si presentano preceduti e seguiti daspazi bianchi, cioè quattro parole grafiche diverse. Ma si può anchedire che nella frase (1) ci sono solo tre parole: se dovessimo cercaresul vocabolario il significato di ciascuna delle parole contenute in(1), ci basterebbe infatti cercare ANNO, VITA e NUOVO. La frase (1)contiene cioè quattro occorrenze di tre lessemi, ovvero di tre ele-menti del lessico della lingua italiana: i lessemi VITA e ANNO occor-rono una volta ciascuno, nelle forme vita e anno; il lessema NUOVO

invece occorre due volte, in due diverse forme, nuovo e nuova. Le di-verse forme dei lessemi VITA, ANNO e NUOVO sono forme flesse diquesti lessemi, ossia forme che portano il significato lessicale del les-sema unito ad alcuni significati grammaticali, quali numero e gene-re. Sono considerati tradizionalmente oggetto della morfologia sia lastruttura interna dei lessemi sia la struttura interna delle forme fles-se dei lessemi. Il fatto che tradizionalmente si sia usato il termine«parole» per riferirsi sia a lessemi che a forme flesse di lessemi ha in-generato confusione.

Che le parole abbiano una struttura interna è dimostrabile con-siderando esempi come quelli in (2):

5. Morfologia: le strutture 93

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combinino in parole secondo regole e criteri analoghi a quelli chepresiedono alla combinazione di parole in sintagmi e frasi, e chedunque ogni combinazione di morfemi in unità più ampie sia da ri-condurre a un singolo insieme di principi. Al massimo, si potrebbeipotizzare che la morfologia debba occuparsi dell’allomorfia: ma an-che l’allomorfia si potrebbe provare a descriverla e spiegarla facen-do appello ai principi di un altro livello dell’analisi linguistica indi-pendentemente necessario, la fonologia. Ad esempio, la distribuzio-ne degli allomorfi del plurale inglese presentati in (3)b - (5)b è spie-gabile in base a principi fonologici: si ha /ız/ dopo sibilanti alveola-ri o alveopalatali, /s/ dopo consonanti sorde che non siano sibilantialveolari o alveopalatali, /z/ in tutti gli altri casi.

Il problema è dunque il seguente: la combinazione di unità chedanno luogo a parole obbedisce agli stessi principi della combina-zione di unità che danno luogo a sintagmi e a frasi?

Questo problema ha due versanti, che potremmo definire ver-sante sintattico e versante fonologico. Da una parte, è necessario ve-rificare se la combinazione di segni in parole ha luogo secondo prin-cipi identici a quelli della combinazione dei segni in sintagmi e fra-si, cioè secondo i principi della sintassi, o in base a principi anche inparte diversi. Dall’altra, è necessario verificare se le allomorfie che sipresentano nella combinazione di morfi per dare luogo a parole so-no completamente spiegabili in base ai principi della fonologia, o seobbediscono anche a principi diversi.

Se almeno uno dei due versanti non è riducibile ai principi di unaltro livello dell’analisi linguistica (la sintassi o la fonologia), lamorfologia, intesa come disciplina che studia i principi che regolanola formazione delle parole (intese sia come lessemi che come formeflesse), ha ragione di esistere. Se invece entrambi i versanti dellacombinazione di morfemi in parole risultassero riducibili ai principidella sintassi e della fonologia, non avrebbe senso postulare un li-vello di analisi aggiuntivo, quello della morfologia.

3. Assenza e ritorno della morfologia nei modelli generativi

Nelle sue prime formulazioni, la grammatica generativa ha sposato l’i-potesi della riducibilità dell’oggetto tradizionale della morfologia al-la sintassi e alla fonologia. Nel modello di Chomsky (1957), regole diuno stesso tipo, le regole di riscrittura, introducono sia parole che af-fissi nella struttura di una frase, e un altro tipo di regole, le trasforma-

5. Morfologia: le strutture 95

più morfemi. Tra le parole polimorfemiche si distinguono tradizional-mente almeno tre sottogruppi, che possiamo esemplificare rispettiva-mente con notte, barista e portacenere. Notte è una forma flessa del les-sema NOTTE, costituita, come abbiamo già visto, da una radice, o mor-fema lessicale, che porta il significato di ‘periodo in cui non è visibilela luce del sole’, e una desinenza, o morfema grammaticale flessivo, cheporta il significato di ‘singolare’; in barista, oltre a un morfema lessica-le bar e un morfema grammaticale flessivo -a, troviamo anche un mor-fema grammaticale derivazionale -ist-, che è usato per derivare nomidi mestieri e professioni a partire da altri nomi che indicano un ele-mento essenziale allo svolgimento del lavoro in questione (bar → bari-sta, dente → dentista, camion → camionista, ecc.); in portacenere, tro-viamo due morfemi lessicali, che rappresentano il verbo PORTARE e ilnome CENERE. Barista è una parola derivata, mentre portacenere è unaparola composta. Si noti che queste ultime due entità andrebbero de-nominate, più correttamente, lessema derivato e lessema composto:nella letteratura, però, si continuano a trovare le espressioni «parola de-rivata» e «parola composta». Una parola composta è formata a partireda (almeno) due morfemi lessicali, rappresentanti di due diversi lesse-mi; una parola derivata è formata unendo un morfema grammaticalederivazionale a un morfema lessicale; i morfemi derivazionali sono det-ti prefissi, se precedono il morfema lessicale (come in- in inutile) e suf-fissi se lo seguono (come -ista in barista). Le parole polimorfemichepossono essere definite anche parole morfologicamente complesse1.

2. Problema: esiste la morfologia?

Se si adotta un punto di vista secondo il quale le parole (sia lessemiche forme flesse) sono sequenze di morfemi, ognuno dei quali costi-tuisce un segno linguistico, non è immediatamente evidente la ne-cessità di istituire una disciplina che studi la combinazione di segniin parole (cioè la morfologia) come settore della linguistica autono-mo e distinto dalla disciplina che studia le combinazioni dei segni ingenerale, cioè la sintassi. È infatti possibile ipotizzare che i segni si

94 Il linguaggio. Strutture linguistiche e processi cognitivi

1 Scalise riserva la denominazione di «parole morfologicamente complesse» peri soli lessemi polimorfemici, non per le forme flesse polimorfemiche, che nella suaterminologia, se sono forme di un lessema non derivato né composto, sono «paro-le semplici» (Scalise 1990, p. 127, dove si danno come esempi di parole semplici leforme italiane ama, libro, bello).

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(7)b *John doubts about their proposal ‘John dubita su la-loro proposta’

(7)c John doubts their proposal‘John dubita la-loro proposta’John dubita della loro proposta

(7)d *John’s doubting about their proposal‘John-di dubitare su la-loro proposta’

(7)e John’s doubting their proposal‘John-di dubitare la-loro proposta’Il dubitare della loro proposta da parte di John

In (7)a vediamo che il nome doubt regge un complemento intro-dotto dalla preposizione about, mentre in (7)c e (7)e vediamo che ilverbo to doubt e il nominale gerundivo doubting reggono un ogget-to diretto, e le strutture nelle quali sono seguiti da un sintagma pre-posizionale con about [(7)b e (7)d] sono agrammaticali. Dunque nonè possibile che una frase come (7)c sia la base dalla quale derivare(7)a trasformazionalmente, dato che (7)c non contiene about, e nonci sarebbe modo di render conto trasformazionalmente dell’appari-re di questo elemento. Quindi si può sostenere che i nominali ge-rundivi siano la trasformazione di una frase, ma non si può sostene-re lo stesso per i nominali derivati. Si deve quindi concludere che al-meno alcuni nomi derivati da verbi non possono essere generati at-traverso regole dello stesso tipo di quelle che rendono conto dellagenerazione di frasi (cioè le trasformazioni, nel modello dell’epoca).

Poco dopo l’uscita di Chomsky (1970) si fa strada l’idea che i les-semi derivati debbano essere generati non attraverso trasformazio-ni, ma attraverso regole di un altro tipo, che hanno il compito di ge-nerare lessemi, non di generare frasi. A queste regole possiamo dareil nome di regole di formazione di lessemi2.

4. Le regole di formazione di lessemi

Una regola di formazione di lessemi (d’ora in poi RFL) permette diderivare un nuovo lessema a partire da un lessema già esistente (o da

zioni, sono responsabili sia della formazione di alcune parole poli-morfemiche (come alcune forme flesse verbali, e nomi derivati e com-posti) sia di alcuni tipi di frasi (come le dichiarative passive). In un mo-dello di questo tipo, la parola non ha alcuno statuto privilegiato, nonc’è differenza di principio tra sequenze di morfemi che si assemblanoin parole e sequenze che si assemblano in sintagmi e frasi.

Riflessioni successive hanno però portato a ipotizzare che la for-mazione di almeno alcune parole derivate non fosse spiegabile fa-cendo ricorso allo stesso tipo di regole responsabili della formazio-ne di sintagmi e frasi. Chomsky (1970) ha osservato che sono possi-bili, a partire da verbi inglesi, due tipi di nominalizzazioni, che egliha denominato rispettivamente «nominali gerundivi» e «nominaliderivati». I due tipi di deverbali differiscono per diverse proprietà.In particolare, mentre quasi ad ogni frase con verbo corrisponde unpossibile nominale gerundivo, non ad ogni frase con verbo corri-sponde un possibile nominale derivato: un esempio citato da Chom-sky (1970, p. 268) è il contrasto tra (6)a-b e (6)c:

(6)a John amused (interested) the children with his storiesJohn divertì (interessò) i bambini con le sue storie

(6)b John’s amusing (interesting) the children with his storiesIl divertire (interessare) i bambini con le sue storie da parte diJohn

(6)c * John’s amusement (interest) of the children with his stories‘John-di divertimento (interesse) di i bambini con le-sue storie’

Dunque ci sono delle limitazioni sulla produttività della deriva-zione di nominali derivati, mentre la derivazione di nominali gerun-divi, come altre regole sintattiche, ha produttività quasi illimitata.Inoltre, mentre i nominali gerundivi si formano sempre con il suffis-so -ing, i nominali derivati si formano con una varietà di suffissi, lacui distribuzione non è predicibile in base a principi di ordine esclu-sivamente sintattico. Infine, si hanno anche casi di esistenza di no-minali derivati la cui sintassi non corrisponde a quella di frasi benformate né di nominalizzazioni gerundive possibili, come mostranogli esempi in (7)a-e:

(7)a John’s doubts about their proposal‘John-di dubbi su la-loro proposta’I dubbi di John sulla loro proposta

96 Il linguaggio. Strutture linguistiche e processi cognitivi 5. Morfologia: le strutture 97

2 La proposta di denominare le regole che permettono di formare nuovi lesse-mi «regole di formazione di lessemi» appare esplicitamente solo in Aronoff (1994).Tradizionalmente queste regole sono state chiamate «regole di formazione delle pa-role» (in inglese, word formation rules).

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sta: secondo alcuni si tratta di una restrizione sintattica, secondo al-tri di una restrizione semantica, mentre altri ancora osservano che èdifficile operare una distinzione netta tra sintassi e semantica a que-sto livello, e parlano di restrizioni sintattico-semantiche. Oltre allerestrizioni sintattiche e semantiche, si hanno anche restrizioni chia-mate solitamente morfologiche, tra le quali le più comuni riguarda-no l’impossibilità di certi suffissi di apparire dopo certi altri. Adesempio, in italiano, sia -mento che -zione sono suffissi che si attac-cano a verbi per formare nomi d’azione, e moltissimi verbi presen-tano derivati sia in -mento che in -zione; tuttavia, -zione non si attac-ca mai a verbi derivati con il suffisso -eggiare (per questo percepia-mo *danneggiazione come lessema mal formato). Infine, si hanno re-strizioni di tipo fonologico: in italiano, il prefisso s- che forma, a par-tire da aggettivi, aggettivi di significato contrario (come scontento dacontento), non si attacca a basi che cominciano in vocale (per questo*sutile ci appare mal formato, e diciamo invece inutile).

Un’ulteriore caratteristica delle RFL è che esse sono dotate di uncerto grado di produttività, diverso da una regola all’altra. La defi-nizione di produttività maggiormente condivisa è ancora quella pro-posta da Schultink (1961, p. 113): «la possibilità [...] per gli utentidella lingua di formare non intenzionalmente attraverso un procedi-mento morfologico una quantità di nuove formazioni in linea diprincipio innumerevole». In pratica, una RFL è produttiva nella mi-sura in cui si formano con essa nuovi lessemi (neologismi), ed è tan-to più produttiva quanti più neologismi forma.

5. Flessione e formazione di lessemi

Abbiamo visto che, dopo l’impulso dato alla ricerca dalle osserva-zioni di Chomsky (1970), si è ipotizzato che le regole che permetto-no di generare nuovi lessemi siano di natura diversa dalle regole sin-tattiche che generano sintagmi e frasi.

Una questione non affrontata da Chomsky (1970) è, però, se an-che le regole che generano le diverse forme flesse dei lessemi sianodi natura diversa dalle regole sintattiche. Nei lavori pubblicati neglianni immediatamente successivi all’uscita di Chomsky (1970), le opi-nioni su questo punto divergono radicalmente. Jackendoff, mentreammette che le trasformazioni non possano formare nuovi lessemi(derivati o composti), le considera ancora lo strumento per la for-mazione di forme flesse: «the only change that transformations can

due, nel caso della formazione di lessemi composti), attraverso un’o-perazione che ha effetti sintattici, semantici e fonologici. Ogni RFLspecifica una classe di lessemi cui la regola può applicarsi, detti ba-si della regola, e un’uscita, cioè il tipo di lessema risultante dall’ap-plicazione della regola a una base. Il significato dell’uscita è funzio-ne del significato della base combinato con il significato della rego-la; le regole di derivazione spesso, ma non sempre, introducono unaffisso che si lega alla base; esistono anche regole, dette di conver-sione, che hanno effetti paragonabili a quelli di regole di suffissa-zione o prefissazione, ma non introducono nessun affisso (ad esem-pio, arrivo è derivato per conversione da arrivare, come partenza èderivato da partire tramite il suffisso -enza). Sul piano fonologico,l’applicazione di una RFL (di affissazione, di conversione o di com-posizione) può avere effetti più o meno rilevanti: si va dalla sempli-ce concatenazione di base e affisso, a vari tipi di allomorfia che pos-sono colpire sia la base che l’affisso.

Le RFL sono soggette a restrizioni: non ogni affisso può unirsi aogni base, come prova il giudizio di non grammaticalità che parlan-ti dell’italiano danno di fronte a parole come *bevista, *moritore,*danneggiazione, *sutile. L’inaccettabilità di questi lessemi non di-pende da una loro inconcepibilità semantica: potremmo parafrasarequesti lessemi con sintagmi dotati di senso e interpretabili. La sen-sazione di agrammaticalità che proviamo nei confronti dei lessemiche abbiamo asteriscato è dovuta al fatto che ciascuno di essi è sta-to costruito violando almeno una restrizione sulla RFL che introdu-ce l’affisso che questi lessemi contengono.

Le restrizioni sulle RFL vengono di solito ricondotte ai diversi li-velli di analisi linguistica: si possono individuare restrizioni fonolo-giche, morfologiche, sintattiche e semantiche. Innanzitutto, i suffis-si, di solito, si attaccano solo a basi di una determinata categoria: adesempio, il suffisso -ista si attacca a nomi, non a verbi, ed è per que-sto che un lessema come *bevista ci appare mal formato, anche se in-terpretabile. Tuttavia, si hanno restrizioni che vanno al di là di quel-la sulla categoria della base: i suffissi possono selezionare, tra le ba-si che appartengono a una certa categoria, solo quelle che presenta-no determinati tratti, ed escludere quelle che ne presentano altri. Adesempio, -tore si attacca a verbi, ma non ai verbi il cui soggetto nonha le caratteristiche di Agente, tra cui morire, ed è per questo che illessema *moritore ci appare mal formato. Gli studiosi oscillano nelclassificare le restrizioni sui tratti della base, come quella appena vi-

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nomi si presenta necessariamente o in forma singolare o in formaplurale; ogni lessema che appartenga alla classe dei verbi si presentanecesariamente in un certo modo, tempo e persona. È importantesottolineare che questo vale anche per quei lessemi cosiddetti difet-tivi, quali i nomi pluralia tantum, che non hanno una forma singola-re (come nozze), o i nomi massa (come burro) e alcuni nomi astratti(come pazienza), che non sono pluralizzabili, o i verbi difettivi, chenon hanno alcune forme (come soccombere, che non ha un partici-pio passato, o piovere, che non ha forme di prima e seconda perso-na). Nonostante l’assenza nel loro paradigma di alcune delle formeteoricamente possibili per un lessema della rispettiva classe, questilessemi quando si presentano in un testo si presentano comunque inuna forma che porta un determinato valore di una determinata ca-tegoria grammaticale: non è possibile usare in italiano un nome sen-za che la forma usata sia o singolare o plurale, o usare un verbo sen-za che la forma usata esprima un determinato tempo e modo e unadeterminata persona.

Ogni lingua ha una grammatica che rende obbligatoria l’espres-sione di determinate categorie grammaticali da parte dei lessemi cheappartengono a determinate classi di parole. Le lingue possono dif-ferire per il numero e il tipo di categorie grammaticali la cui espres-sione è resa obbligatoria dalla loro grammatica, e per i valori che laloro grammatica seleziona come esprimibili nell’ambito di una de-terminata categoria grammaticale. Possiamo quindi dire che le for-me flesse dei lessemi esprimono valori delle categorie grammaticaliobbligatorie nella grammatica della lingua cui appartengono.

Diversi autori (in particolare Anderson) hanno sostenuto che leforme flesse dei lessemi servono ad esprimere valori grammaticaliche hanno rilevanza per la sintassi: «Inflectional morphology is whatis relevant to the syntax» (Anderson 1982, p. 587). L’elemento im-portante che questa ipotesi sottolinea è il seguente: le regole dellasintassi non richiedono mai che una parola inserita in un certo con-testo sia un lessema derivato: la formazione e l’uso di un derivato nonsono mai obbligatori, sono sempre frutto di una scelta del parlante;invece, la scelta di determinate forme flesse a volte è obbligatoria: adesempio, in italiano, un verbo deve accordarsi in persona e numerocon il suo soggetto, un aggettivo deve accordarsi in genere e nume-ro con il nome cui si riferisce, ecc.

Ma non tutte le forme flesse sono scelte obbligatoriamente in ba-se a regole sintattiche. In un sintagma come le case rosse, la sintassi

make to lexical items is to add inflectional affixes» (Jackendoff 1972,p. 13, cit. in Scalise 1983, p. 32). Al contrario, Halle, forse il primoad introdurre la denominazione di «rules of word formation ormorphology» (Halle 1973, p. 3), ritiene che «the rules of word for-mation should […] also include rules for positioning the inflectionalaffixes appropriately or for handling […] other inflectional pheno-mena» (ivi, p. 6). Aronoff, nel lavoro più influente tra tutti gli studidi morfologia pubblicati tra il 1970 e l’inizio degli anni Novanta, re-stringe esplicitamente il suo campo di indagine alla formazione dinuovi lessemi e identifica le «word formation rules» (letteralmente,«regole di formazione di parola», con tutta l’ambiguità del termine«parola») esclusivamente con regole di formazione di nuovi lessemi;egli osserva che la formazione di forme flesse è di natura sintattica(Aronoff 1976, p. 4), così come l’incorporazione di clitici e altri ele-menti in una parola fonologica, ed esclude la formazione delle for-me flesse dal suo campo d’indagine.

La risposta alla questione se la formazione di forme flesse e la for-mazione di lessemi avvengano grazie allo stesso tipo di meccanismo,e nello stesso componente della grammatica, o invece attraverso mec-canismi diversi, e in componenti diversi della grammatica, non è af-fatto scontata. Infatti, la formazione di nuovi lessemi e la formazionedi forme flesse di lessemi condividono alcune caratteristiche superfi-ciali, ma differiscono per aspetti molto significativi. Ciò che i due tipidi processi hanno in comune è il tipo di mezzi formali con i quali siopera un’aggiunta di tratti a un elemento di base: sia nella formazio-ne di lessemi che nella formazione di forme flesse si usano procedi-menti quali l’affissazione, l’introflessione, la reduplicazione, la mani-polazione della struttura prosodica, ecc. Ciò in cui i due processi dif-feriscono è, però, la ragione stessa del loro esistere. Nuovi lessemi siformano per denominare nuovi concetti (come autocertificazione, Eu-rolandia, palestrato, torrentismo) o per riferirsi anaforicamente con ununico lessema a uno stato di cose complesso (come calendarizzare, sin-glitudine). Ma perché si formano forme flesse di un lessema?

6. Flessione e sintassi

Le forme flesse di un lessema si formano per esprimere una serie divalori di determinate categorie grammaticali che la grammatica diuna lingua richiede che siano obbligatoriamente espressi. Facciamoun esempio: in italiano, ogni lessema che appartenga alla classe dei

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getto). Di solito, nelle lingue, si presentano come inerenti le catego-rie di genere e numero nei nomi, di grado negli aggettivi, di aspettoe tempo nei verbi (con l’eccezione di casi di consecutio temporum,nei quali il tempo del verbo in una frase subordinata dipende daltempo della principale, e si configura quindi come caso di flessionecontestuale, cioè determinata da una regola sintattica); si presenta-no, invece, come flessione contestuale la categoria di caso nel nome(che dipende dalla funzione sintattica del nome nella frase), le cate-gorie per le quali gli aggettivi concordano con il nome (quindi gene-re e numero in italiano, genere, numero e caso in latino, ecc.), le ca-tegorie di persona e numero nel verbo.

7. «Split morphology?»

Stabilita una distinzione tra flessione inerente e flessione contestuale,possiamo tornare a un problema lasciato aperto poco fa, e cioè se laformazione di forme flesse si attui attraverso regole specifiche o, in-vece, tramite regole della stessa natura di quelle della sintassi. Abbia-mo visto che a partire da Chomsky (1970) si è riconosciuto che la for-mazione di nuovi lessemi non sembra poter essere effettuata dallestesse regole che permettono la formazione di sintagmi e frasi, e che èpreferibile supporre che esistano specifiche regole di formazione dilessemi. Abbiamo anche visto che una parte delle regole di formazio-ne di forme flesse, quelle che abbiamo chiamato flessione inerente,condividono una caratteristica fondamentale con le regole di forma-zione di lessemi: la loro applicazione è determinata da una libera scel-ta dei parlanti, e non richiesta da regole sintattiche. Si potrebbe quin-di supporre che anche la formazione di forme flesse che portano infor-mazione flessiva di tipo inerente si attui tramite regole diverse da quel-le della sintassi, e in tutto simili alle regole di formazione dei lessemi,regole che si applicano prima dell’inserimento di una parola in unastruttura sintattica. Resta però da vedere se anche la formazione diforme flesse che portano informazione flessiva di tipo contestuale siaattuata tramite regole diverse da quelle della sintassi.

In effetti, l’ipotesi che la formazione di nuovi lessemi si attui at-traverso RFL che operano nel componente lessicale, prima dell’in-serzione di un lessema in una struttura sintattica, mentre quella diforme flesse si attui nella stessa fase in cui si applicano le altre rego-le sintattiche, è sostenuta da diversi autori. Questa ipotesi è nota conil nome di sspplliitt mmoorrpphhoollooggyy, cioè morfologia «spaccata» o «divisa»,

mi obbliga a scegliere il femminile plurale dell’articolo IL e dell’ag-gettivo ROSSO, cioè a scegliere le forme flesse le e rosse, perché in ita-liano articolo e aggettivo concordano obbligatoriamente in genere enumero con il nome che è la testa del sintagma nominale (SN) in cuicompaiono; ma la scelta di case, un nome femminile usato al plura-le, invece di casa, lo stesso nome usato al singolare, o invece di edifi-ci, un nome dal significato parzialmente sovrapponibile a quello diCASA, ma maschile, non è dettata da alcuna regola della sintassi. Lascelta di usare al singolare o al plurale un nome che è testa di un sin-tagma nominale è una libera scelta del parlante, così come è una li-bera scelta del parlante quella di usare un lessema semplice o un les-sema complesso (derivato o composto), o anche quella di usare unospecifico lessema invece di un altro.

Ma se scegliere di usare CASA al singolare o al plurale è una libe-ra scelta del parlante tanto quanto è libera la scelta di usare, invecedi CASA, CASETTA o EDIFICIO, cioè se questa scelta non è dettata dauna regola della sintassi (come invece è dettata da una regola dellasintassi la scelta di le e rosse una volta scelto case), come mantenereuna distinzione tra forme flesse di un lessema e lessemi derivati?Sembra, infatti, che tanto l’uso della forma flessa case quanto l’usodel lessema derivato CASETTA siano determinati da libera scelta delparlante, e non da regole della sintassi, rendendo almeno parzial-mente inadeguata la definizione di flessione proposta da Andersone citata sopra.

Tuttavia, ci sono casi, come abbiamo visto, in cui la scelta di unadeterminata forma flessa di un certo lessema invece di un’altra è de-terminata da regole della sintassi: lo è, per esempio, la scelta tra le ela, e tra rosse e rossa, che dipende dall’accordo con la forma del no-me testa, case o casa (questa sì liberamente scelta dal parlante). Al-cuni studiosi, quindi, hanno proposto di distinguere due sottotipi diflessione, denominati flessione inerente e flessione contestuale: laflessione inerente «is the kind of inflection that is not required by thesyntactic context, although it may have syntactic relevance», mentrela flessione contestuale «is that kind of inflection that is dictated bysyntax» (Booij 1996, p. 2). È importante rilevare che non è possibi-le definire come inerente o contestuale una certa categoria gramma-ticale in assoluto, ma solo una certa relazione fra una categoria gram-maticale e una classe di parole: il numero, in italiano, è flessione ine-rente nei nomi, mentre è contestuale negli articoli, negli aggettivi enei verbi (dipende cioè dall’accordo con la testa del SN o con il sog-

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Se proviamo a segmentare le forme flesse di LUPUS, riusciamo fa-cilmente ad isolare un morfo lup- che rappresenta un morfema les-sicale (radice) con il significato di ‘lupo’, ma non riusciamo altret-tanto agevolmente a separare in ogni forma una porzione di signifi-cante che porti uno dei valori della categoria di numero e un’altraporzione che porti uno dei valori della categoria di caso. Le infor-mazioni di numero e caso si presentano, invece, amalgamate, edespresse insieme, inscindibilmente l’una dall’altra, da un suffissonon ulteriormente segmentabile in parti dotate di significato: così di-ciamo che -∞ significa ‘genitivo singolare’, senza poter riconoscere unelemento che significhi ‘genitivo’ e uno che significhi ‘singolare’: in-fatti, un elemento /i:/ non è presente in nessuna delle altre forme chehanno il valore singolare della categoria di numero, e nemmeno nel-l’altra forma che ha il valore di genitivo nella categoria di caso, il ge-nitivo plurale luporum, dove è tutto il suffisso -orum che porta amal-gamati i due valori di genitivo e plurale.

Il fatto che in almeno alcune lingue, come il latino, i valori di ca-tegorie flessive inerenti, come il numero nel nome, si presentinoamalgamati in uno stesso morfo ai valori di categorie flessive di tipocontestuale, come il caso, rende difficile sostenere che le due infor-mazioni siano aggiunte alla forma flessa in momenti diversi, da re-gole appartenenti a diversi componenti della grammatica, cioè il les-sico e la sintassi (cfr. Booij 1996, p. 13).

In effetti, gli autori che sostengono che gli affissi che portanoinformazione flessiva contestuale sono aggiunti alle parole tramiteregole della sintassi hanno per lo più lavorato su lingue di tipo ag-glutinante, nelle quali fenomeni di amalgama sono più rari, ed in cuiè più facile segmentare le forme flesse in morfi portatori ciascuno diun determinato valore di una determinata categoria. Anche in linguedi questo tipo, però, si presentano problemi per l’ipotesi che la fles-sione contestuale sia aggiunta da regole sintattiche. Il fatto che i mor-fi flessivi contestuali, cioè quelli che esprimono valori di certe cate-gorie richiesti in un determinato contesto da regole sintattiche, sia-no aggiunti a una radice dopo i morfi che esprimono valori di cate-gorie inerenti, è da alcuni autori considerato un principio che impo-ne restrizioni alla forma di tutte le grammatiche possibili. Questoprincipio è noto come mirror principle, cioè «principio del rispec-chiamento» o «principio dello specchio», e consiste nell’ipotesi chel’ordine di apparizione dei morfi all’interno di una parola rispecchil’ordine con cui viene generata l’informazione che questi morfi por-

spaccata a metà tra il componente lessicale, dove si formano nuovilessemi, e il componente sintattico, dove si formano le loro formeflesse. Anche nel capitolo di Rizzi in questo volume si assume che laformazione di forme flesse (sia quelle che portano informazione ine-rente che quelle che portano informazione contestuale) abbia luogonel componente sintattico e non in quello lessicale di una lingua.

Su questa questione, però, non c’è accordo unanime fra gli stu-diosi. Molti sono convinti che non sia possibile separare e collocarein componenti diversi della grammatica le regole di formazione dinuovi lessemi e le regole di formazione di forme flesse, e neppurecollocare formazione di lessemi e flessione inerente da una parte, eflessione contestuale dall’altra.

Per capire perché molti studiosi non accettino l’ipotesi che unaparte almeno della formazione di forme flesse possa essere attuata daregole di tipo sintattico, e non da regole interne al componente les-sicale, bisogna esaminare un aspetto delle forme flesse che finora ab-biamo lasciato in ombra, e cioè la struttura del loro significante. Fi-nora abbiamo illustrato la distinzione tra flessione inerente e flessio-ne contestuale parlando delle categorie di significati grammaticaliche sono espressi secondo l’uno o l’altro principio, ma non abbiamoparlato di come questi significati si esprimano in significanti.

Il problema è che spesso non è possibile distinguere nettamente,nel significante di una forma flessa, i morfi che rappresentano un va-lore di una categoria flessiva inerente da quelli che rappresentano unvalore di una categoria contestuale. Prendiamo ad esempio un nomelatino, come LUPUS, ‘lupo’: questo lessema, inerentemente di generemaschile, ha le forme flesse elencate in (8), che esprimono diversi va-lori delle due categorie di numero (che per il nome è flessione ine-rente) e caso (che è flessione contestuale):

(8) caso forme flesse glossanominativo sing. lupus pl. lupı ‘lupo’ usato come soggetto genitivo sing. lupı pl. luporum ‘del lupo’dativo sing. lupo pl. lupıs ‘al lupo’accusativo sing. lupum pl. lupos ‘lupo’ usato come compl. og-

getto vocativo sing. lupe pl. lupı forma allocutiva (‘oh lupo!’)ablativo sing. lupo pl. lupıs forma del lessema usata, con

o senza preposizioni, per di-versi complementi

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sivo è una categoria flessiva inerente, dato che dipende dalla sceltadel parlante se dire o meno a chi appartiene il referente indicato daun certo nome, mentre il caso è una categoria contestuale. Dunque,ci aspetteremmo di trovare all’interno delle forme flesse prima unmorfo che esprime un valore della categoria di possessivo e poi unmorfo che esprime un valore della categoria di caso. Invece accadeil contrario: in finlandese, l’espressione del caso precede quella delpossessivo, come si vede negli esempi in (10):

(10) kirja nominativo singolare il libro (soggetto)kirja-ni nominativo singolare il mio libro (soggetto)

possessivo di prima persona

kirja-a partitivo3 singolare il libro (oggetto)kirja-a-ni partitivo singolare il mio libro (oggetto)

possessivo di prima persona

Questo tipo di situazione e altri problemi simili, che si presenta-no anche in lingue agglutinanti (cfr., per una rassegna, Spencer1992), hanno portato alcuni studiosi a concludere che della forma-zione di forme flesse si deve render conto tramite regole specificheche operano nel componente lessicale di una grammatica, e non tra-mite l’aggiunta di affissi da parte di regole sintattiche, neppure nelcaso di flessione contestuale. Ovviamente, questa conclusione haforti ripercussioni sul modello di sintassi da adottare, ma in questasede non possiamo esplorare ulteriormente questo tema.

8. Non biunivocità delle corrispondenze tra significati e significantiin flessione

Le forme flesse rappresentano un banco di prova cruciale per la que-stione dei rapporti tra morfologia e sintassi anche per un altro motivo.Infatti, è soprattutto nel caso delle forme flesse che si presentano di-versi tipi di sistematiche e frequenti deviazioni dal modello ideale di

tano (si veda il capitolo di Rizzi in questo volume). Dunque morfiderivazionali, che servono a derivare nuovi lessemi, dovrebbero ap-parire sempre più vicini alla radice dei morfi flessivi, e tra i morfi fles-sivi quelli inerenti dovrebbero apparire più vicini alla radice di quel-li contestuali, dato che avviene prima la formazione di lessemi, poila selezione dei valori di categorie flessive inerenti con i quali utiliz-zare i lessemi, e solo alla fine, dopo che il lessema corredato di certescelte nell’ambito delle categorie flessive inerenti è inserito in unacerta struttura sintattica, l’assegnazione dei valori delle categorieflessive contestuali. Il fatto che nelle lingue sia molto comune trova-re i morfi derivazionali più vicini alla radice di quelli flessivi è statoriconosciuto da molto tempo. Nella lista di universali linguistici pro-posta da Greenberg (1963), l’universale n. 28 è il seguente: «Se tan-to la derivazione quanto la flessione seguono il radicale, o se esse pre-cedono entrambe il radicale, la derivazione si trova sempre tra il ra-dicale e la flessione» (Greenberg 1976, p. 136). Questa affermazio-ne è stata corretta recentemente, dopo che diversi studi avevanomesso in luce l’esistenza di casi in cui alcuni morfi flessivi si presen-tavano più vicini alla radice di alcuni morfi derivazionali, come ne-gli esempi yiddish in (9), dove un morfo derivazionale (diminutivo)appare dopo un morfo flessivo (plurale):

(9) singolare plurale diminutivo plurale

kind ‘bambino’ kinder kinderlexdorn ‘spina’ derner dernerlexguf ‘corpo’ gufim gufimlex(dati da Perlmutter 1988, p. 80)

Dopo l’acquisizione della distinzione tra flessione inerente e fles-sione contestuale, è stato possibile ipotizzare che siano i morfi fles-sivi contestuali ad essere sempre periferici rispetto ai morfi deriva-zionali, mentre i morfi flessivi inerenti possono anche apparire piùvicini alla radice dei morfi derivazionali.

Un vero banco di prova per il mirror principle, quindi, non è tan-to l’ordine di apparizione tra morfi flessivi e morfi derivazionali, mal’ordine di apparizione tra morfi flessivi inerenti e contestuali. Saràquindi necessario esaminare lingue in cui i morfi dei due tipi si pre-sentano non amalgamati.

In finlandese e in altre lingue ugro-finniche i nomi sono flessi siaper la categoria di possessivo che per la categoria di caso: il posses-

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3 Il partitivo in finlandese è un caso usato per marcare l’oggetto diretto in al-cuni tipi di costruzioni (per esempio, in frasi negative). Ringrazio Krista Ojutkan-gas per avermi aiutato nella selezione dell’esempio finlandese.

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ANDARE) corrispondono non uno, ma quattro significanti diversi.Nelle diverse forme di terza persona singolare in (11)c, il morfo di ter-za persona è -a in am-a, ma -e in tem-e e dorm-e. Anche qui, a uno stes-so significato corrispondono due diversi significanti. La cosa impor-tante da osservare è che in entrambi questi casi la distribuzione degliallomorfi non è governata da regole fonologiche. Ad esempio, i mor-fi lessicali in (11)c terminano tutti in /m/, ma il morfo flessivo che lisegue varia. Anche la distribuzione dei diversi allomorfi del verbo AN-DARE non è governata da regole fonologiche né semantiche (c’è sino-nimia completa tra i quattro allomorfi individuati).

9. «Morphology by itself»

La distribuzione degli allomorfi, sia dei morfemi lessicali che di quel-li grammaticali, nelle diverse forme flesse di uno stesso lessema e/onelle diverse forme flesse di lessemi diversi appartenenti a una stes-sa categoria lessicale, sembra costituire un campo di indagine auto-nomo. Per spiegare le allomorfie non semanticamente né fonologi-camente governate, del tipo di quelle esemplificate in (11), è neces-sario fare appello a principi specifici, non riducibili né a quelli dellasintassi né a quelli della semantica né a quelli della fonologia. Que-sto campo è stato denominato da Aronoff «morphology by itself»:questa formula costituisce il titolo del lavoro di Aronoff (1994), cheha come sottotitolo «Stems and inflectional classes». Sia la distribu-zione delle stems, cioè degli allomorfi dei morfemi lessicali, sia la di-stribuzione dei lessemi in diverse classi di flessione, costituiscono ca-si di corrispondenze «uno a molti» a livello paradigmatico: diversimorfi portano uno stesso significato, lessicale nel caso delle diversestems di uno stesso lessema, grammaticale nel caso delle diverse rea-lizzazioni di un valore di una categoria grammaticale flessiva (o di unamalgama di valori di diverse categorie) in diverse classi di flessione.

Il contributo originale dello studio di Aronoff sta nella propostache la morfologia costituisca un livello autonomo di analisi, che me-dia tra l’informazione semantica e quella fonologica: l’unione di si-gnificato e significante non è più vista (come era nel modello strut-turalista, sia saussuriano che americano) come diretta, il che impli-cherebbe necessariamente una corrispondenza biunivoca tra signifi-cati e significanti (con al massimo la possibilità di allomorfie fonolo-gicamente governate), ma come mediata dal livello morfologico, cheè dotato di suoi autonomi principi di organizzazione.

una parola composta da una sequenza di morfemi, ciascuno dei qualicostituisca un segno biplanare, con un determinato significato e un de-terminato significante, un modello comune alle due principali teorielinguistiche del XX secolo, quella saussuriana e quella generativista. Idiversi tipi di deviazioni riscontrate sono stati illustrati da Carstairs(1987, pp. 12-18; cfr. anche Matthews 1991, cap. 9), che osserva comespesso si presenti in forme flesse, invece di una corrispondenza «unoa uno» tra significati e significanti, una corrispondenza «uno a molti»o «molti a uno», dal punto di vista sintagmatico o paradigmatico.

Abbiamo già avuto modo di osservare casi di corrispondenza«molti a uno» a livello sintagmatico, cioè all’interno della stessa pa-rola. Si tratta dei casi di amalgama, nei quali molti significati sonoportati da un unico significante: ad esempio, diversi valori di diver-se categorie grammaticali sono fusi insieme in un unico morfo, co-me -orum, che nei nomi della seconda declinazione in latino portasia il valore di genitivo nella categoria di caso che quello di pluralenella categoria di numero. Tra i dati latini in (8) è esemplificata an-che la corrispondenza «molti a 1» a livello paradigmatico: la formalupıs rappresenta sia il dativo plurale che l’ablativo plurale del lesse-ma LUPUS, dunque il morfo -ıs porta sia il significato di dativo plu-rale che quello di ablativo plurale. Una corrispondenza «uno a mol-ti» a livello sintagmatico si ha quando diversi morfi all’interno di unaparola portano lo stesso significato: ad esempio, nel greco anticolelúkate ‘avete sciolto’ il valore di perfetto è portato sia dal raddop-piamento le-, prefissato alla radice lu-, che dal suffisso ka-, che seguela radice e precede il suffisso di persona e numero -te. Esempi di cor-rispondenza «uno a molti» a livello paradigmatico si hanno nellaflessione verbale italiana: si osservino le forme del presente indicati-vo del verbo ANDARE, riportate in (11)a e poste a confronto con quel-le del verbo PARLARE in (11)b, e le forme di terza persona singolaredei verbi AMARE, TEMERE e DORMIRE, presentate in (11)c:

(11) a. vad-o va-i v-a and-iamob. parl-o parl-i parl-a parl-iamoc. am-a tem-e dorm-e

Mentre nelle diverse forme di PARLARE in (11)b il significato lessi-cale è sempre portato dal morfo parl-, il significato lessicale di ANDAREnelle quattro forme in (11)a è portato da quattro morfi diversi: vad-,va-, v- e and-. Dunque a un unico significato (il significato lessicale di

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finisconoAnzi, i tipi (13)c e (13)d avrebbero anche il pregio di regolariz-

zare la struttura del paradigma, semantizzando la distribuzione de-gli allomorfi, dato che presentano un allomorfo per tutte le forme delsingolare e l’altro per tutte le forme del plurale. Tuttavia, i patternspresentati in (13) non sono attestati né per il verbo UDIRE né per al-tri verbi dell’italiano. Invece il pattern in (12) è ben stabile, e in dia-cronia ha avuto anche la forza di attrarre verbi che originariamentenon presentavano alternanze, quali quelli con -isc- e uscire. Dati co-me quelli appena illustrati portano a concludere che la struttura diun paradigma è un principio di organizzazione della distribuzionedegli allomorfi, che merita riconoscimento in una teoria della strut-tura di una lingua, tanto quanto i principi della fonologia, della sin-tassi e della semantica5. Basterebbe questo a giustificare l’esistenzadi un livello di analisi autonomo dagli altri tre appena menzionati,che possiamo chiamare morfologia6.

In (12), vediamo che diversi verbi presentano nelle forme del pre-sente indicativo (almeno) due allomorfi, la cui forma è molto diver-sa da verbo a verbo: si va dall’alternanza tra forme con -isc- e formesenza -isc- nel verbo FINIRE (e in moltissimi altri verbi in -ire dell’ita-liano), all’alternanza tra forme con e senza il cosiddetto dittongo mo-bile nel verbo SEDERE (e in qualche altro verbo in -ere o in -ire), al-l’alternanza tra esc- e usc- e tra od- e ud-, propria solo dei due verbiUSCIRE e UDIRE, all’alternanza tra v(a(d))- e and- nel verbo ANDARE.Quello che è importante osservare qui è che la sostanza fonologicache alterna è molto diversa nei diversi casi (presenza o assenza di -isc- o di un dittongo, alternanza tra determinate vocali o sequenzepriva di paralleli in altri lessemi dell’italiano), ma la sede in cui si pre-sentano i due alternanti è la stessa nei diversi verbi: è la struttura delparadigma del presente indicativo dei verbi italiani che detta la re-

FINIRE finisco finisci finisce finiamo finite

SEDERE siedo siedi siede sediamo sedete siedono

USCIRE esco esci esce usciamo uscite escono

UDIRE odo odi ode udiamo udite odono

ANDARE vado vai va andiamo andate vanno

gola per cui quando si hanno due allomorfi non fonologicamente go-vernati di un morfema lessicale verbale, essi si distribuiscono nel mo-do illustrato in (12), e non in altri modi teoricamente possibili. Poi-ché il significato, ad esempio, di od- e ud-, è lo stesso, nulla impedi-rebbe di avere presenti indicativi come quelli in (13):

5. Morfologia: le strutture 111

5 Per una presentazione particolarmente illuminante di quest’idea, cfr. Maiden(1992); per un’applicazione accurata alla flessione verbale italiana, cfr. Pirrelli eBattista (2000), Maiden (2003); per altri dati sull’italiano, cfr. anche Thornton(1999).

6 Per approfondire gli argomenti trattati in questo capitolo, si rimanda aMatthews (1991) e a Thornton (2005).

Uno dei più importanti criteri di organizzazione del livello morfo-logico sta nel fatto che le diverse forme flesse dei lessemi si organiz-zano in paradigmi e i diversi lessemi si organizzano in classi di flessio-ne: sono entità quali i paradigmi e le classi di flessione che governanola distribuzione degli allomorfi non fonologicamente governati4. Unesempio semplice ma efficace del fatto che la distribuzione di alcuniallomorfi di morfemi lessicali è governata dalla struttura di un para-digma (cioè un’entità che non è né fonologica né semantica né sintat-tica, ma puramente morfologica) è offerto dai dati italiani in (12):

(12) Distribuzione di alcune allomorfie nella flessione verbale ita-liana

110 Il linguaggio. Strutture linguistiche e processi cognitivi

4 Questo senza negare naturalmente l’esistenza di allomorfi fonologicamentegovernati, quali i diversi allomorfi del plurale inglese esemplificati in (3)b - (5)b. Unlivello morfologico autonomo, però, serve comunque a spiegare la distribuzione diquelle allomorfie che NON sono spiegabili come semplice effetto di regole fono-logiche.

(13)a * udo odi ude odiamo udite odono

(13)b * odo udi ode udiamo odite udono

(13)c * udo udi ude odiamo odite odono

(13)d * odo odi ode udiamo udite udono

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molto frequente. Anche le caratteristiche fonologiche e di significa-to della parola e dei suoi morfemi incidono sulla probabilità che laparola venga elaborata facendo ricorso alle unità morfologiche.Quanto più una parola derivata conserva le caratteristiche fonologi-che della parola di base, e quanto più è collegata ad essa per signifi-cato, tanto più sarà riconoscibile e capibile scomponendola nei mor-femi costituenti. Così il significato della parola osservazione è facil-mente individuabile combinando il significato di osservare, la paro-la da cui deriva, con quello del suffisso -zione, che indica ‘l’azionedi…’; al contrario, la parola concezione molto più difficilmente saràmessa in collegamento con la parola di base concepire, da essa di-stante sia fonologicamente che per significato. La parola osservazio-ne è trasparente sia fonologicamente che semanticamente rispetto al-la sua base, mentre la parola concezione è considerata opaca sia fo-nologicamente che per significato rispetto alla base.

In questo capitolo si illustreranno le ricerche che hanno preso inconsiderazione il contributo al processo di elaborazione morfologi-ca delle variabili quantitative associate ai costituenti morfologici.Queste ricerche mostrano che, a parità di altre caratteristiche delleparole, quali la trasparenza semantica e fonologica, la probabilità dielaborazione della parola mediante attivazione dei suoi costituentimorfologici, sia radici che affissi (suffissi flessivi, derivazionali, e pre-fissi: cfr. Scalise e Thornton 1993), è tanto maggiore quanto mag-giore è il numero di combinazioni nelle quali un costituente morfo-logico è coinvolto. Sarà tanto più probabile che una parola con il suf-fisso -zione venga capita utilizzando il significato del suffisso, pre-sente in tantissime parole dell’italiano, rispetto a una parola come al-terigia, formata dalla radice della parola altéro e dal suffisso -igia,presente solo in un paio di altre parole dell’italiano contemporaneo,quali ingordigia e cupidigia.

I risultati che illustreremo provengono da ricerche sperimentalicondotte prevalentemente su adulti coinvolti in compiti di elabora-zione di parole singole presentate in forma scritta. Il compito speri-mentale più utilizzato è la decisione lessicale, che consiste nel pre-sentare in successione rapida, sullo schermo di un computer, dellestringhe di lettere che possono corrispondere o a una parola reale o auna parola inventata (non-parola o pseudoparola). Gli stimoli speri-mentali sono presentati uno per volta, e si registra il tempo necessarioal partecipante per riconoscere lo stimolo come parola o come non-parola, usando un tasto per la risposta SÌ (parola) e uno per la rispo-

6.

Morfologia: i processidi Cristina Burani

1. Introduzione

Una parola morfologicamente complessa è formata da due o piùparti diverse, ciascuna dotata di significato proprio. Parole come baro sopra non hanno parti interne, se si eccettuano le lettere, i suoni ole sillabe che la compongono. Né lettere, né suoni, né sillabe che co-stituiscono la parola hanno di per sé significato. Al contrario, una pa-rola come bambine è costituita da due parti (o morfemi) (si veda ilcapitolo di Thornton in questo volume): la radice bambin-, che por-ta il significato principale (‘essere umano di pochi anni di età’), e ilsuffisso flessivo -e, che specifica che gli esseri umani di pochi anni dietà, a cui si fa riferimento sono più di uno e sono di sesso femmini-le. Anche una parola come bambinesco è un aggettivo derivato me-diante il suffisso -esco dalla radice bambin-. Le parole possono esse-re costituite da più morfemi. Ad esempio, la parola deindustrializza-zione è composta da molte unità morfologiche, che ne rendono pos-sibile la comprensione anche se non la si è mai sentita o letta in pre-cedenza. Per capirne il significato, si può ricorrere alla conoscenzadelle parti che la compongono (industria, industriale, industrializza-re, industrializzazione, de-), ricombinandole per formare il significa-to complessivo.

La psicolinguistica studia i processi mentali e linguistici che per-mettono di riconoscere, capire, produrre o leggere una parolamorfologicamente complessa. La probabilità che la parola venga ela-borata mediante i suoi costituenti morfologici dipende da molti fat-tori. È intuitivo che la probabilità di ricorrere alla scomposizionemorfologica sia maggiore per riconoscere e capire una parola comedeindustrializzazione rispetto a una parola come casa, corta e di uso

6. Morfologia: i processi 113

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po di stimolo: l’attivazione di tali rappresentazioni innescherebbe inparallelo sia la procedura d’accesso diretta, sia quella basata su scom-posizione-ricomposizione. Questo modello non prevede, in mododeterministico, l’utilizzo di una particolare procedura in funzione diuno specifico tipo di stimolo, ma la probabilità di successo di una viaa scapito dell’altra dipende dai costi e dai benefici ad essa associati. Ibenefici si riferiscono essenzialmente alla velocità di attivazione del-le rappresentazioni, dovuta alla frequenza d’uso di queste (siano essela parola intera o i costituenti morfologici). I costi, invece, si riferi-scono esclusivamente all’utilizzo della via morfo-lessicale; essi riflet-tono il tempo necessario per attuare le procedure di controllo dellaammissibilità della combinazione radice + affisso, e di combinazionedel significato della parola intera a partire da quello dei singoli com-ponenti. Il Race model prevede che parole poco frequenti che con-tengono però radici molto frequenti (ad esempio chiamaste) sarannocon maggiore probabilità riconosciute su base morfemica, dato che ilvantaggio derivante dall’utilizzo di rappresentazioni morfemichemolto frequenti (chiam-) sarà tale da compensare i costi di elabora-zione derivanti dal controllo della liceità della combinazione di radi-ce + affisso. Nel caso in cui, invece, la radice non sia sufficientemen-te frequente da indurre tale vantaggio, è probabile che il riconosci-mento derivi dalla via diretta, basata sulla parola intera.

2. Frequenza della radice e frequenza della parola

Alcune delle prime ricerche hanno evidenziato l’effetto di frequen-za della radice: quanto più una forma morfologicamente complessacontiene una radice usata frequentemente, tanto più quella parolasarà riconosciuta velocemente e con accuratezza. Il fatto che la velo-cità di riconoscimento della parola sia funzione della frequenza del-la radice prova che la parola viene riconosciuta mediante scomposi-zione in radice e affisso, o mediante attivazione simultanea delle al-tre parole che condividono quella radice, la cui frequenza comples-siva contribuisce a facilitare il riconoscimento della parola stessa.Così la parola chiamavo, poco usata in forma scritta ma contenenteuna radice usata frequentemente (chiam- del verbo chiamare), com-porterà tempi di decisione lessicale più veloci rispetto a una parolacome fiutavo, altrettanto poco usata in forma scritta ma, in più, pro-veniente da un verbo (fiutare) usato molto raramente (Burani, Sal-maso e Caramazza 1984).

sta NO (non-parola). Vengono registrati anche gli errori. Dal tempodi reazione medio e dalla percentuale di errore ai diversi stimoli sitraggono inferenze su come avvenga l’accesso al lessico per i diversitipi di parole, e sulle variabili che influiscono su tale processo.

Verranno passate in rassegna ricerche condotte sull’italiano, maanche su altre lingue (l’olandese, l’inglese, il serbo-croato e il finlan-dese). Queste ricerche mostrano che la probabilità di elaborazionedei costituenti morfologici di una parola è condizionata da: frequen-za della radice (cfr. § 2); ampiezza del paradigma flessivo (o famigliamorfologica flessiva) (cfr. § 3); ampiezza della famiglia morfologicaderivazionale, cioè delle diverse parole derivate e composte in cui unadeterminata radice è presente (cfr. § 4; si veda anche il capitolo diThornton in questo volume); frequenza relativa della parola derivatae della sua base (cfr. § 5); frequenza, numerosità e produttività del-l’affisso (cfr. § 6); salienza dell’affisso derivazionale, rispetto a se-quenze uguali ortograficamente ma non corrispondenti ad affissi (cfr.§ 7). Verranno infine descritte alcune ricerche che utilizzano compitidiversi dalla decisione lessicale, quali la lettura ad alta voce (cfr. § 8) ei giudizi metalinguistici su familiarità, complessità morfologica e in-terpretabilità delle parole morfologicamente complesse (cfr. § 9).

Questi risultati trovano interpretazione in una classe di modelliche non prevedono un’unica possibilità di accesso al lessico e di rap-presentazione per le parole costituite da più morfemi, bensì due mo-dalità di elaborazione degli stimoli percepiti visivamente: una che sibasa sulla parola intera, più rapida e diretta, e una che utilizza la rap-presentazione della radice e degli affissi separatamente, più lentaperché implicherebbe fasi di scomposizione e di verifica della plau-sibilità della combinazione radice + affisso (ad esempio, cantevi, puressendo costituito da una radice, cant-, e da un suffisso, -evi, reali,non è una parola). Tra i modelli che prevedono entrambe le moda-lità di accesso al lessico mentale, particolare rilevanza hanno assun-to l’AAM (Augmented Addressed Morphology) (Burani e Caramazza1987; Caramazza, Laudanna e Romani 1988; Chialant e Caramazza1995) e il Race model di Schreuder e Baayen (1995).

Nell’AAM, la scomposizione morfemica è una procedura attivatasoltanto per parole rare, neologismi e pseudoparole, cioè per stimoliche, non avendo una propria rappresentazione di tipo globale, pos-sono essere decodificati a partire dalle rappresentazioni dei morfemiin essi contenuti. Il RRaaccee mmooddeell prevede invece l’attivazione automa-tica sia di componenti morfemiche sia di parole intere per qualsiasi ti-

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presenti in parole trasparenti. Al contrario, lingue con strutturamorfologica non particolarmente ricca potrebbero non essere sensi-bili alla frequenza della radice, ma solo a quella della parola intera. Edinfatti le parole flesse dell’inglese, lingua caratterizzata da una morfo-logia flessiva scarsa, sembrano risentire della sola frequenza della pa-rola intera (Katz, Rexer e Lukatela 1991; Sereno e Jongman 1997).

3. Ampiezza della famiglia morfologica flessiva

La probabilità di scomporre una parola flessa nei morfemi costi-tuenti non risente solo della ricchezza morfologica della lingua, maanche dell’ampiezza del paradigma flessivo della categoria gram-maticale di appartenenza. Anche in lingue morfologicamente moltoricche, quali l’ebraico o il serbo-croato, a parità di altre proprietà,quanto più ampio è il paradigma flessivo di una categoria gramma-ticale, tanto maggiore è la probabilità di elaborazione morfologica(Deutsch, Frost e Forster 1998; Kostic e Katz 1987). In italiano, no-mi, aggettivi e verbi hanno paradigmi flessivi di ampiezza diversa.Mentre nomi e aggettivi hanno da due a quattro suffissi flessivi (in-dicanti il genere, maschile o femminile, e il numero, singolare o plu-rale), i verbi hanno un paradigma flessivo caratterizzato da circa cin-quanta forme flesse in media. Questa diversa ampiezza del paradig-ma flessivo potrebbe comportare una maggiore probabilità, per iverbi dell’italiano, di venire elaborati mediante attivazione della ra-dice: la radice verbale costituirebbe un’unità di elaborazione più sa-liente e disponibile, in quanto presente in più combinazioni, con unmaggior numero di suffissi flessivi. La probabilità di elaborazionemorfologica sarebbe minore, invece, sia per i nomi che per gli ag-gettivi, caratterizzati da un numero inferiore di combinazioni radi-ce-suffisso flessivo: nomi e aggettivi verrebbero riconosciuti preva-lentemente come parole intere, senza scomporli in radice e suffissoflessivo (Baayen, Burani e Schreuder 1997; Baldi 1998; Colombo eBurani 2002; Laudanna, Voghera e Gazzellini 2002; Traficante e Bu-rani 2003; Traficante, Barca e Burani 2004).

Quando una parola flessa fa parte di una famiglia numerosa diforme flesse, è in certo senso inevitabile l’accesso mediante ricono-scimento di radice e suffisso flessivo, nonostante questa modalità discomposizione (parsing morfologico) possa avere dei costi computa-zionali, soprattutto in parole singole presentate fuori contesto di fra-se (Laine, Vainio e Hyönä 1999; Traficante e Burani 2003; Trafican-

L’effetto della frequenza cumulata della radice si riscontra, in in-glese e in italiano, sia per parole con suffisso flessivo come grouped(«raggruppato»), tales («storie»), o chiamavi (Taft 1979; Burani et al.1984), sia per parole con suffisso derivazionale come singer («cantan-te»), advancement («avanzamento»), amabile o traditore (Burani e Ca-ramazza 1987). In francese, l’effetto di frequenza della radice è statomostrato per le parole derivate con suffisso come jardinier («giardi-niere»), ma non per le parole prefissate come incomplet («incomple-to») (Colé, Beauvillain e Segui 1989). Secondo gli autori, l’effetto difrequenza della radice sarebbe dovuto alla sequenzialità del processodi elaborazione della parola, che procedendo da sinistra a destra com-porterebbe l’accesso alla radice quando questa si trova in prima posi-zione, seguita dal suffisso, ma non quando la parola inizia con un pre-fisso (ma cfr. § 6). Tale direzionalità dell’accesso si avrebbe anche perle parole scritte, analogamente a quanto avviene per quelle presenta-te uditivamente (Meunier e Segui 1999): la parte iniziale delle parolesuffissate renderebbe disponibile l’informazione semantica essenzia-le fornita dalla radice, favorendo una organizzazione delle parole infamiglie morfologiche che condividono la stessa radice. L’effetto difrequenza della radice si riscontra prevalentemente in parole traspa-renti, fonologicamente e per significato, rispetto alla base. Effetti difrequenza della radice sono stati comunque riscontrati anche per pa-role non completamente trasparenti rispetto alla base (Taft 1979;Holmes e O’Regan 1992; Schreuder, Burani e Baayen 2003), quandoqueste contengono affissi frequenti e produttivi (cfr. § 5).

Secondo alcuni autori, è più facile riscontrare effetti morfologiciin lingue che presentino relazioni sistematiche (cioè ricorrenti e re-golari) fra aspetti di forma e di significato (Rueckl e Raveh 1999), inlingue con struttura morfologica ricca, come l’ebraico (Frost, Deut-sch, Gilboa, Tannenbaum e Marslen-Wilson 2000; Plaut e Gonner-man 2000) o l’italiano (per le nozioni di ricchezza e complessità morfo-logica, cfr. Dressler 1999). In una lingua morfologicamente ricca sa-rebbe più probabile cogliere una relazione fra due parole come statoe statura, anche se non più collegate per significato, o come eccepire erecepire, che derivano da una radice non più esistente (Burani, Lau-danna e Cermele 1992; Chialant e Burani 1992), perché in una tale lin-gua l’organizzazione complessiva del lessico, comprese le parole opa-che, è più strutturata morfologicamente rispetto a una lingua poverain morfologia. In una lingua morfologicamente ricca, anche gli ele-menti contenuti in parole opache sarebbero analizzati come quelli

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rebbe di tipo semantico: in una famiglia derivazionale ampia, l’attiva-zione del significato della parola di base si diffonde a un alto numerodi membri della stessa famiglia che, condividendo parte del significa-to, contribuiscono alla immediatezza del riconoscimento. Gli effettidi facilitazione si riscontrerebbero, dunque, prevalentemente quan-do la maggior parte dei membri della famiglia derivazionale sono tra-sparenti per significato rispetto alla base.

Questa misura di numerosità dei tipi di parole (types) che condi-vidono una stessa radice non si identifica con la frequenza con cuitali parole occorrono (tokens). Anche se correlate (nel senso che pa-role con radice molto frequente tendono anche ad essere presenti inun largo numero di parole derivate), numerosità e frequenza sonoperò misure differenti. Si può avere una famiglia di una decina di pa-role derivate dalla stessa radice, ciascuna delle quali molto rara, co-sì come si può avere una famiglia composta da dieci parole derivatetutte molto frequenti. La dimensione determinante per favorire ve-locità e accuratezza dell’accesso al lessico sarebbe la numerosità deidiversi tipi di parole che condividono una stessa radice, più che lafrequenza di occorrenza delle stesse. La distinzione fra numerosità efrequenza verrà ripresa nel § 6.

Una domanda interessante è se il ruolo della famiglia derivazio-nale si riscontri solo o principalmente in lingue in cui le famiglie de-rivazionali assumono dimensioni molto ampie, come l’olandese, ca-ratterizzato da molte parole composte. In italiano, per la presenzamolto minore di parole composte, le differenze di ampiezza fra le fa-miglie morfologiche derivazionali non sono molto grandi e potreb-bero non influire in modo decisivo sull’elaborazione lessicale. DeJong e collaboratori (2000) sostengono comunque che, più che l’am-piezza assoluta della famiglia derivazionale, quello che conta è lacoerenza di significato fra le parole che la costituiscono.

5. Frequenza relativa di parola derivata e parola di base

La probabilità di accesso lessicale mediante parsing morfologico ècondizionata dalla frequenza dei costituenti morfologici in rappor-to alla frequenza della parola intera. I principali modelli ad accessoparallelo assumono che la probabilità di parsing morfologico siamaggiore per le parole di bassa frequenza che includono costituentidi alta frequenza (Burani e Laudanna 1992; Frauenfelder e Schreu-der 1992; Bybee 1995a; Chialant e Caramazza 1995; Schreuder e

te et al. 2004). In un modello in cui sono attivate in parallelo sia unitàdi elaborazione corrispondenti alla parola intera, sia unità corri-spondenti ai morfemi, l’accesso al lessico mediante attivazione dellaparola intera è più immediato dell’accesso mediante attivazione deicostituenti. Le unità di riconoscimento corrispondenti alla parola in-tera, infatti, forniscono un accesso diretto alla rappresentazionementale della parola e alle sue proprietà semantico-concettuali. L’ac-cesso al lessico mediante attivazione dei costituenti morfologici com-porta invece un processo più elaborato. Secondo il modello di Sch-reuder e Baayen (1995), l’elaborazione morfologica comporta unprocesso di segmentazione della parola, seguito dalla ri-composizio-ne degli elementi costituenti e dal controllo dell’appropriatezza se-mantico-sintattica della combinazione, necessaria per il processo dicomprensione e integrazione del significato. Esistono dunque, oltreai benefici, anche costi connessi all’elaborazione morfologica. Le pa-role che presentano costi di elaborazione hanno un paradigma fles-sivo ampio, in cui ad una stessa forma flessa possono essere associa-te diverse funzioni sintattiche e diversi significati, indipendente-mente dal fatto che in una determinata lingua (ad esempio il serbo-croato o il finlandese) queste parole corrispondano alla categoriagrammaticale dei nomi (Kostic 1995; Laine et al. 1999), mentre inun’altra lingua (ad esempio l’italiano) corrispondano ai verbi (Trafi-cante e Burani 2003).

4. Ampiezza della famiglia morfologica derivazionale

In alcuni casi, una famiglia morfologica ampia può invece facilitare lavelocità e l’accuratezza dell’accesso al lessico (si veda il capitolo di Pe-ressotti e Job in questo volume). Questo avviene quando la parola faparte di un’ampia famiglia morfologica derivazionale, cioè contieneuna base (o una radice) presente in un gran numero di parole deriva-te o composte. La facilitazione dovuta all’ampiezza della famiglia de-rivazionale è stata trovata con parole monomorfemiche dell’olande-se: una parola come meel («farina»), presente in molte parole deriva-te e composte, viene riconosciuta più velocemente ed accuratamenterispetto ad una parola come regio («regione») che invece è presentein una sola altra parola dell’olandese (Schreuder e Baayen 1997). L’ef-fetto è stato riscontrato, per l’olandese, anche con parole flesse (DeJong, Schreuder e Baayen 2000) e derivate (Bertram, Baayen e Sch-reuder 2000). La facilitazione indotta dalla famiglia derivazionale sa-

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fissi molto frequenti (ad esempio comprista), e queste pseudoparolevenivano confrontate con pseudoparole in cui le stesse radici veniva-no combinate con sequenze ortografiche molto frequenti in posizio-ne finale di parola, che non costituivano però dei suffissi (comprosto).Nel secondo gruppo, le pseudoparole morfologiche erano costituiteda radici reali combinate con suffissi di bassa frequenza (ad esempiosentigia), messe a confronto con pseudoparole con la stessa radice masequenza ortografica finale (di bassa frequenza) non corrispondentea un suffisso (sentegio). Per decidere che si trattava di parole non esi-stenti, le pseudoparole con suffissi reali hanno richiesto più tempo diquelle che non contenevano suffissi, originando molti errori. Questo,però, è avvenuto solo quando la pseudoparola conteneva un suffissomolto frequente: le persone sono propense a considerare come paro-la possibile una combinazione nuova radice-suffisso, ma solo quandoil suffisso è sufficientemente frequente, cioè è usato molto spesso nel-la lingua. La probabilità che i suffissi influenzino l’elaborazionemorfologica sembra dunque condizionata dalla loro frequenza, comeè stato confermato da Burani e Thornton (2003) con pseudoparolemorfologiche costituite dal solo suffisso combinato con una radicenon esistente (ad esempio cempenista). Anche in questo caso venivaimpiegato più tempo, rispetto a una pseudoparola non morfologica(cempenosto), per decidere che la pseudoparola con suffisso non co-stituiva una parola reale. Ciò accadeva però solo quando la pseudo-parola conteneva un suffisso molto frequente. Le pseudoparole consuffisso frequente (come cempenista) davano anche luogo a falsi al-larmi: tendevano cioè a essere considerate parole possibili, nonostan-te l’assenza di una radice reale.

Anche per i suffissi, così come per le radici o basi (cfr. §§ 2 e 4),è possibile distinguere due misure quantitative: la frequenza delleoccorrenze e la numerosità delle differenti parole, o lemmi, nellequali ciascun suffisso è contenuto. La frequenza del suffisso è calco-lata sommando tutte le occorrenze in un corpus delle parole che con-tengono un determinato suffisso. La numerosità (Burani et al. 1995;Thornton 1998) è ricavata, invece, calcolando il numero totale di pa-role diverse con quel determinato suffisso esistenti nella lingua. Lanumerosità del suffisso sembra una caratteristica quantitativa piùimportante per determinare la probabilità di parsing morfologico.Un suffisso «numeroso», infatti, compare in molte combinazioni di-verse con radici diverse, e potrebbe favorire l’emergere del suffissocome unità di elaborazione indipendente. È comunque difficile

Baayen 1995). Una parola derivata trasparente, poco frequente nel-la lingua italiana, come bassezza, composta però da una radice (bass-)e da un suffisso molto frequenti (-ezza), sarà facilmente riconoscibi-le mediante attivazione dei morfemi costituenti, piuttosto che del-l’unità corrispondente alla parola intera, che presumibilmente èscarsamente disponibile nel lessico. Come già visto, le parole com-poste da più di un morfema attivano in parallelo due tipi di unità diaccesso: unità corrispondenti alla parola intera (bassezza) e unità cor-rispondenti ai morfemi che la costituiscono (bass- ed -ezza). Ed è lafrequenza relativa della parola intera rispetto a quella dei suoi costi-tuenti che influisce sull’andamento temporale dell’attivazione delleunità (parola, radice, affisso): quanto più alta è la frequenza di un’u-nità lessicale, tanto più alta è la probabilità che quell’unità venga ela-borata velocemente nelle varie fasi di accesso al lessico. Ciò che ècruciale nel determinare la probabilità che l’accesso al lessico si ba-si sulla parola intera o sui suoi costituenti morfologici, è l’equilibrioesistente fra la frequenza delle diverse unità, cioè la frequenza rela-tiva, piuttosto che quella assoluta.

6. Frequenza, numerosità e produttività del suffissoderivazionale

La grande maggioranza delle ricerche ha considerato la frequenzadella radice o la numerosità della famiglia derivazionale. Sorpren-dentemente, nonostante si possa ritenere che entrambi i costituenti(radice e affisso) giochino un ruolo nella probabilità di accessomorfologico, poche ricerche hanno indagato il contributo delle ca-ratteristiche quantitative degli affissi. Le proprietà quantitative degliaffissi derivazionali sono state studiate in compiti di elaborazione dipseudoparole morfologiche, cioè combinazioni di costituenti morfo-logici inesistenti nella lingua (Burani, Thornton, Iacobini e Laudan-na 1995; Laudanna e Burani 1995). Tali pseudoparole permettonodi indagare il riconoscimento di parole nuove o potenziali per lacomprensione delle quali il contributo del suffisso è determinante.

Per mostrare che la probabilità di accesso morfemico è condizio-nata dalla frequenza del suffisso, Burani, Dovetto, Thornton e Lau-danna (1997) hanno sottoposto a un compito di decisione lessicaledelle pseudoparole costituite da una radice reale in combinazione conun suffisso derivazionale non compatibile con quella radice. In un pri-mo gruppo di stimoli sperimentali, le radici erano combinate con suf-

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a differenze di produttività, così come non sempre le differenze diproduttività corrispondono a differenze di frequenza o numerosità.Consideriamo ad esempio i tre suffissi -ista, -ezza e -oide. I primi duesono molto frequenti e numerosi in corpora di lingua scritta, però dif-feriscono in produttività, prendendo come indicatore della produt-tività il numero di neologismi coniati con quel suffisso in un certo ar-co di tempo (Thornton 1998). Mentre -ista compare in un numeroaltissimo di neologismi, -ezza è presente solo in un paio di questi. Uncaso diverso è quello di -oide, che ha frequenza e numerosità moltobasse, ma compare in un numero di neologismi quattro volte mag-giore di quello in cui è presente il pur frequentissimo -ezza. Per cuipotrebbe non essere irrilevante, anche se difficile, tenere separatisperimentalmente gli effetti di produttività da quelli di frequen-za/numerosità del suffisso.

7. Confondibilità ortografica per i prefissi?

Le proprietà quantitative che incidono sulla probabilità di attivare unaffisso derivazionale valgono in linea di principio tanto per i suffissiche per i prefissi. Nel caso dei prefissi, la proprietà statistico-quanti-tativa più importante sembra però essere un’altra rispetto a quelle di-scusse. Questa proprietà, probabilmente connessa alla posizione al-l’inizio di parola del prefisso, può essere chiamata confondibilità or-tografica (Laudanna, Burani e Cermele 1994) del prefisso rispetto asequenze ortografiche uguali ma non corrispondenti a un prefisso.

In italiano, le parole che contengono il prefisso dis- (ad esempiodisabile, dismisura, disperdere) costituiscono più del 75% di tutte leparole che cominciano con dis, prefissate e non (come discoteca, di-spotico). Al contrario, solo il 26% di tutte le parole che comincianocon pre- sono parole prefissate come prematuro, preavviso, prevalere,mentre la grande maggioranza delle parole che cominciano con prenon sono prefissate (come prefetto, pregare, premuroso). Quindi unprefisso come dis- è un’unità di elaborazione morfologica molto piùsaliente e meno confondibile con sequenze non corrispondenti aprefissi, rispetto a un prefisso come pre-. Nella ricerca di Laudanna,Burani e Cermele (1994) sono state sottoposte a decisione lessicalevisiva delle pseudoparole formate da un prefisso in combinazioneinappropriata con una parola (ad esempio discorpi), confrontandolecon pseudoparole non prefissate, come pascorpi (pas non è un pre-fisso). Il prefisso contenuto nella pseudoparola poteva essere più o

scorporare frequenza e numerosità del suffisso, che tendono ad es-sere molto correlate: i suffissi particolarmente disponibili nel pro-cesso di parsing morfologico sono caratterizzati sia da alta frequen-za che da alta numerosità.

Un solo studio ha indagato il contributo delle proprietà quanti-tative dei suffissi all’interno di parole reali. Burani e Thornton(2003) hanno sottoposto a decisione lessicale quattro gruppi di pa-role derivate di bassa frequenza, costituite rispettivamente da: 1) ra-dice e suffisso entrambi di alta frequenza (ad esempio bassezza); 2)radice di alta frequenza e suffisso di bassa frequenza (ad esempiofrutteto); 3) radice di bassa frequenza e suffisso di alta frequenza (adesempio saldezza); 4) radice e suffisso entrambi di bassa frequenza(ad esempio roveto). Il tempo e l’accuratezza di decisione lessicalesono risultati funzione della frequenza di entrambi i costituenti, ra-dice e suffisso, con la decisione per le parole di tipo (1), più veloceed accurata rispetto a quella per parole di tipo (2) e (3), a loro voltapiù veloci ed accurate delle parole di tipo (4). Le parole sono risul-tate tanto più familiari quanto più contenevano morfemi frequenti.Una volta pareggiate per familiarità, risultavano più veloci ed accu-rate le parole contenenti una radice di alta frequenza (cfr. § 9 per unadiscussione della misura di familiarità soggettiva).

Alcune ricerche hanno indagato il ruolo di altre proprietà dei suf-fissi derivazionali correlate a frequenza e numerosità. Esiste un for-te legame fra produttività del suffisso e probabilità di parsing morfo-logico (Hay e Baayen 2002). Per produttività del suffisso si intendela relativa facilità con cui un suffisso viene combinato con un grannumero di radici diverse, dando così luogo a parole nuove o neolo-gismi (si veda il capitolo di Thornton in questo volume). Per il fin-landese e per l’olandese, è stato mostrato che sia la produttività chel’omonimia del suffisso (cioè l’ambiguità nel servire a più di una fun-zione sintattico-semantica) influenzano l’elaborazione lessicale: pa-role con un suffisso produttivo e non omonimo, cioè non ambiguosemanticamente, vengono più facilmente elaborate in morfemi (Ber-tram, Laine e Karvinen 1999; Bertram, Laine, Baayen, Schreuder eHyönä 2000). La produttività è molto correlata alla frequenza e so-prattutto alla numerosità del suffisso, anche se non si identifica ne-cessariamente con esse (Baayen 1992; Bybee 1995b; Thornton 1998;Gaeta e Ricca 2002). In genere una variazione in produttività corri-sponde a una differenza di frequenza/numerosità. Tuttavia, possonoaversi differenze nella numerosità di un suffisso non corrispondenti

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interno. Una parola mai incontrata prima in forma scritta può esse-re letta, invece, non tanto consultando il lessico, nel quale essa nonè (ancora) presente, ma utilizzando le regole ortografico-fonologi-che che permettono di tradurre la forma scritta nella corrisponden-te forma fonologica. La lettura per regola è più analitica, più lenta epiù soggetta ad errore rispetto alla lettura lessicale (si vedano i capi-toli di Laudanna e di Peressotti e Job in questo volume).

Un modo per appurare la disponibilità nel lessico dei costituentimorfologici di una parola è quello di indagare se tali costituenti ven-gano utilizzati per leggere parole nuove costituite da elementi morfo-logici conosciuti. Se il sistema di elaborazione lessicale operasse so-lo su forme intere, una combinazione nuova di radice e suffisso po-trebbe essere letta solamente mediante regole di conversione grafe-ma-fonema: quella particolare combinazione di radice e suffisso nonè infatti presente nel lessico interno. Una pseudoparola come donni-sta, ad esempio, non esiste per intero nel lessico interno, quindi po-trebbe essere letta solo per regola, se non fosse possibile scomporla inmorfemi (donn- e -ista). Dovrebbe essere letta quindi con tempi e ac-curatezza simili a quelli rilevati per una pseudoparola come dennosto,simile per lunghezza e struttura ortografico-fonologica, ma non com-posta da radice e suffisso. Se, invece, il sistema di elaborazione com-porta l’accesso a unità morfologiche, sarà possibile leggere donnistanon solo per regola ma anche per via morfo-lessicale, attivando nellessico interno le unità corrispondenti alla radice donn- e al suffisso -ista, e utilizzandole per leggere lessicalmente la parola nuova. Ciòcomporterà una lettura più veloce e più accurata rispetto a una pseu-doparola come dennosto, che, non potendo usufruire di una letturamorfo-lessicale, può solo basarsi sul riconoscimento analitico dei gra-femi e sulla traduzione di questi nei fonemi corrispondenti, assem-blandoli ai fini della coarticolazione e della pronuncia. Essendo que-sto secondo processo molto più analitico e sequenziale, ci si potran-no dunque aspettare tempi più lunghi di lettura e una maggiore pro-babilità di errore con dennosto, rispetto a donnista.

In vari esperimenti di lettura con pseudoparole morfologiche èstato mostrato che anche in una lingua come l’italiano, in cui la lettu-ra per regola è particolarmente semplice, essendo le corrispondenzegrafema-fonema molto trasparenti e regolari, il ricorso alla letturamorfo-lessicale è estremamente efficiente nel caso di combinazionimorfologiche nuove, traducendosi in maggiore velocità e accuratez-za rispetto a parole nuove in cui non è possibile avvalersi della strut-

meno confondibile, cioè presente in una proporzione più o menogrande di parole veramente prefissate. Indipendentemente dal nu-mero assoluto di parole nel quale un determinato prefisso è presen-te, i risultati hanno mostrato tempi più lunghi e un numero maggio-re di errori nelle decisioni su quelle pseudoparole che includevanoprefissi contenuti in un’alta percentuale di parole veramente prefis-sate. Questa variabile contribuisce a determinare il grado di salienzadel prefisso: quanto maggiore è nella lingua la proporzione di paro-le veramente prefissate, tanto più alta è la probabilità che quel pre-fisso giochi un ruolo come unità di accesso e rappresentazione.

Secondo Schreuder e Baayen (1994), che hanno indagato le con-seguenze computazionali della diversa distribuzione delle forme pre-fissate in lingue diverse, i vantaggi del parsing morfologico sarebberostrettamente dipendenti dalla proporzione di parole prefissate ri-spetto a quelle pseudo-prefissate. Se una parola che inizia con un pos-sibile prefisso venisse sempre scomposta, in diversi casi (come adesempio con le parole dell’italiano inizianti con pre, in maggioranzanon prefissate), si incorrerebbe in difficoltà o ritardi nell’accesso allessico (prefetto sarebbe erroneamente scomposto in pre e fetto, chenon significa nulla, e pregare in pre e gare, la cui combinazione signi-fica un’altra cosa). La maggior probabilità di parsing morfologico perle parole con prefisso non confondibile è stata mostrata non solo perl’italiano, ma anche per l’inglese. Wurm (2000) ha mostrato che, perstimoli presentati uditivamente, la confondibilità di un prefisso inte-ragisce con altre variabili, quali la trasparenza semantica della parolao la frequenza della radice: è tanto più probabile scomporre una pa-rola contenente un prefisso presente in una larga proporzione di pa-role prefissate, quando la parola è trasparente per significato rispettoalla radice da cui è formata, e la radice è frequente.

8. Lettura di pseudoparole morfologiche

Un compito non molto utilizzato con stimoli morfologicamentecomplessi è la lettura ad alta voce, che consiste nel leggere il più ve-locemente e accuratamente possibile le parole o le pseudoparolepresentate una per volta in successione rapida sullo schermo di uncomputer. Per ogni stimolo viene rilevato il tempo necessario per ini-ziare (onset) la pronuncia, e vengono registrati gli errori. La letturarapida ed automatica si avvale del ricorso al lessico: una parola vie-ne letta tanto più velocemente quanto più è disponibile nel lessico

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co frequente nella lingua ma costituita da radice e suffisso presentiin poche parole. Il valore di familiarità attribuito alla parola suffis-sata è risultato strettamente correlato alla velocità e accuratezza diriconoscimento (Burani e Thornton 2003).

Un altro tipo di giudizio è quello di complessità morfologica.Hay (2001) ha sottoposto a parlanti inglesi delle coppie di paroleprefissate o suffissate, chiedendo di giudicare quale delle due sem-brasse loro «più complessa». Un esempio di coppia era generally(‘generalmente’) ed equally (‘ugualmente’). Nonostante entrambe leparole fossero molto frequenti (quindi ugualmente poco soggette ascomposizione morfologica), generally veniva giudicata più com-plessa (più scomponibile in parti) di equally: generally contiene in-fatti una base (general) molto più frequente della sua derivata gene-rally. Al contrario, la base di equally (equal) è meno frequente diequally. Il giudizio sembra dunque risentire della frequenza relativadella parola di base e della parola derivata: le persone percepisconocome meno complesse morfologicamente le parole derivate la cuibase è meno frequente di esse, mentre ritengono più complesse quel-le parole derivate che contengono una base più frequente della pa-rola derivata (cfr. § 5).

La presenza in una parola nuova (o pseudoparola) di un suffissofrequente e produttivo permette anche di fornire giudizi di inter-pretabilità sulla neoformazione. Il giudizio di interpretabilità, valu-tato mediante una scala a sette punti (1= per nulla o scarsamente in-terpretabile; 7= completamente interpretabile), risente della distri-buzione dei morfemi nella lingua e delle regole di formazione delleparole. Dovetto, Thornton e Burani (1998) hanno sottoposto a giu-dizio di interpretabilità tre tipi di parole di nuova coniazione o in-ventate (pseudoparole), tutte formate con suffissi frequenti e pro-duttivi (-aio, -ale, -ese, -iere, -ista e -oso). Il primo gruppo (A) dineoformazioni violava le regole di combinabilità grammaticale, se-condo cui certi tipi di suffissi si combinano solo con radici di una de-terminata categoria grammaticale (ad esempio, un suffisso che sicombina solo con basi nominali, come -aio, veniva combinato conuna base verbale, come in seppellaio). Nel secondo gruppo (B), glistessi suffissi erano combinati con radici adeguate dal punto di vistagrammaticale, che però non avevano le caratteristiche sintattico/se-mantiche richieste dal suffisso. Ad esempio, il suffisso -aio, che sicombina con nomi concreti per formare nomi di mestiere (corniciaio,vetraio, ecc.), di luogo (pollaio, pagliaio) o, raramente, di strumento

tura morfologica (Burani e Laudanna 2003). La lettura morfo-lessi-cale si sviluppa già dal secondo ciclo della scuola elementare (Burani,Marcolini e Stella 2002; Marcolini e Burani 2003), ed è tanto più effi-ciente quanto più i suffissi sono frequenti (Burani et al. 1997).

9. Giudizi metalinguistici

Fino ad ora abbiamo parlato esclusivamente di compiti sperimenta-li cosiddetti oonn--lliinnee, che rilevano cioè il tempo di reazione e l’accu-ratezza nel rispondere a stimoli linguistici presentati in successionerapida e con limiti di tempo. Alcuni studi hanno confrontato le pre-stazioni on-line con i giudizi ooffff--lliinnee forniti, sugli stessi stimoli lin-guistici, da persone cui si richiedono valutazioni soggettive senzaparticolari limiti di tempo. Le misure off-line sono risultate correla-te in modo sistematico tanto con le misure on-line, cioè con i tempie l’accuratezza di decisione lessicale e lettura ad alta voce, quantocon le proprietà quantitative dei morfemi che incidono sui compitidi riconoscimento e lettura, fornendo così una conferma indipen-dente del ruolo di queste.

Sono stati utilizzati giudizi di familiarità o frequenza soggettiva,in cui si chiede di valutare quanto una parola è conosciuta o fami-liare, con valori crescenti di familiarità da uno a sette. Una parolamonomorfemica caratterizzata da un’ampia famiglia morfologicaderivazionale, come schijf («disco» in olandese) oppure bean («fa-giolo» in inglese), è stata valutata più familiare di una parola altret-tanto frequente nella lingua e di struttura simile, come rund («muc-ca» in olandese) o come sofa («divano» in inglese), che però noncompare in un numero altrettanto ampio di parole derivate o com-poste (Schreuder e Baayen 1997; Baayen, Lieber e Schreuder 1997,per l’olandese e l’inglese rispettivamente). Le parole monomorfemi-che valutate più familiari erano anche quelle che altri partecipanti ri-conoscevano più velocemente e con maggiore accuratezza in compi-ti on-line di decisione lessicale (Schreuder e Baayen 1997). Come os-servano gli autori, paradossalmente anche una parola semplice, sen-za struttura morfologica interna, come boek o bean, presenta unacomplessità morfologica, dato che il numero di parole complesse checontengono quella parola ne influenza il riconoscimento. Analoga-mente, una parola derivata di bassa frequenza dell’italiano, come ac-quario, costituita da radice e suffisso presenti in molte altre parole, èstata giudicata più nota di una parola come querceto, altrettanto po-

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parola come costituita da radice e affisso, e questa consapevolezza èin larga misura plasmata dalle caratteristiche quantitative dei morfe-mi.

In conclusione, è interessante notare che la consapevolezzamorfologica sembra svilupparsi precocemente nei bambini (Lo Du-ca 1987, 1990), fornendo un contributo determinante alla capacitàdi lettura e soprattutto di comprensione delle parole nuove (Bimon-te e Burani 2005). La capacità dei bambini di capire e definire unaparola mai incontrata prima risente delle proprietà quantitative deimorfemi: bambini italiani di scuola elementare sanno definire me-glio parole nuove o poco frequenti quando queste contengono radi-ci conosciute e suffissi frequenti e produttivi (ad esempio valigeria),rispetto, nell’ordine, a parole derivate altrettanto nuove e poco fre-quenti che contengano però suffissi poco frequenti e produttivi (adesempio bananeto), o rispetto a parole che non siano scomponibiliin radice e suffisso (ad esempio corteccia) (Bimonte e Burani 2005).

(telaio), veniva combinato con basi nominali astratte (ad esempioumoraio o terroraio). Infine, nel terzo gruppo (C), il suffisso -aio po-teva essere combinato con basi nominali concrete, dando luogo a pa-role possibili, anche se non attestate (ad esempio quadernaio o diva-naio). Nel dare il giudizio di interpretabilità le persone mostravanosensibilità alla distribuzione dei morfemi nella lingua e alle regole diformazione delle parole: giudicavano infatti più interpretabili lepseudoparole del tipo C rispetto a quelle del tipo B, a loro volta giu-dicate più interpretabili di quelle del tipo A. Il giudizio off-line nonveniva però rispecchiato completamente nella prestazione al compi-to on-line di decisione lessicale: nel decidere che la pseudoparolanon esiste nella lingua, si impiegava più tempo e si facevano più er-rori quando la pseudoparola era più interpretabile, indipendente-mente dal fatto che la sua base fosse compatibile grammaticalmentecon il suffisso (Burani, Dovetto, Spuntarelli e Thornton 1999).

Anche Coolen, Van Jaarsveldt e Schreuder (1991) hanno mo-strato che la decisione lessicale su parole non esistenti o pseudopa-role composte dell’olandese (ad esempio citroenmarkt, ‘mercato deilimoni’) risentiva del giudizio di interpretabilità dato alla combina-zione nuova: la decisione «non parola» era tanto più lenta ed incer-ta quanto più la neo-combinazione veniva giudicata interpretabile.Van Jaarsveld, Coolen e Schreuder (1994) si sono chiesti quanto l’in-terpretabilità di un neo-composto risenta della produttività dei no-mi costituenti il composto, per cui un determinato nome (ad esem-pio trein, ‘treno’) può comparire in molte parole composte dell’o-landese mentre un altro (ad esempio sok, ‘calza’) in poche. I risulta-ti hanno mostrato che il tempo e l’accuratezza di decisione lessicaleerano funzione tanto del grado di interpretabilità del neo-composto,quanto del numero di parole composte nelle quali erano presenti glielementi costituenti, e i due fattori avevano effetti indipendenti: unneo-composto tendeva ad essere preso come parola possibile quan-do era molto interpretabile e quando era formato da nomi presentiin molte parole composte dell’olandese. Quest’ultimo è un effetto diampiezza della famiglia derivazionale (cfr. § 4): i composti nuovi for-mati da costituenti presenti in molte parole composte (cioè conun’ampia famiglia derivazionale) risultano più simili ad una parolareale, ed è quindi più difficile rifiutarli come parole non esistenti. Lepersone, dunque, sembrano possedere una consapevolezza implici-ta della composizione morfologica delle parole, anche se probabil-mente molti non saprebbero neppure definire esplicitamente una

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Garzanti 1987, il Disc 1997 e il De Mauro 2000a) contengono fra le90.000 e le 130.000 parole, o meglio lemmi, in quanto molti dizionarilemmatizzano anche prefissi (ana-, eso-...), suffissi (-ale, -ario...), locu-zioni, ecc. Il più completo dizionario generale dell’italiano, il recenteGradit 1999, riporta 286.272 entrate. Anche sottraendo a questa cifrale circa 3400 abbreviazioni, sigle e simboli, circa 2900 formativi di pa-rola, e quasi 700 interiezioni e fonosimboli, nonché 1788 locuzioni oespressioni idiomatiche lemmatizzate autonomamente (De Mauro1999a), rimangono pur sempre quasi 280.000 vocaboli. Ma si tengaconto che si calcola che il lessico posseduto da un parlante medio, an-che piuttosto colto, non superi in genere le 50.000 unità (cfr. § 8).

Circa il secondo punto critico del lessico, la caoticità e asistemati-cità, dovute al fatto che il lessico in fondo riflette la realtà esterna e in-camera tutte le conoscenze che abbiamo del mondo reale e di quellivirtuali, basti osservare il fatto, esteriore ma pur sempre significativo,che l’unico ordinamento sistematico inoppugnabile ed esaustivo dellessico è quello totalmente basato sul significante, l’ordine alfabeticonormalmente adottato dai dizionari. Ma, come vedremo, al di là del-l’apparenza è possibile porre ordine, basato su criteri interni lingui-sticamente significativi e non solo su caratteristiche esteriori del tut-to inessenziali, anche in un insieme così complesso e sterminato.

2. Classificazione delle parole

Una prima classificazione, sommaria ma basilare, delle unità del les-sico è quella, risalente all’antica grammatica greca e poi latina, che di-stingue diverse parti del discorso (partes orationis) o classi lessicali,classi di parole (o anche categorie grammaticali), nove nella versionescolastica corrente (nome, verbo, aggettivo, avverbio, pronome, arti-colo, preposizione, congiunzione, interiezione). Tale classificazione èsia su base morfosintattica sia su base semantica, cioè fa appello con-giuntamente, e a volte in maniera confusa e contraddittoria, al com-portamento e funzione grammaticale e al tipo di significato delle pa-role: nomi o sostantivi sono, per esempio, quelle parole che designa-no esseri, cose, oggetti, entità, proprietà, che assumono certi tipi dimarcature morfologiche e che sono suscettibili di occupare nell’arti-colazione combinatoria delle frasi una certa posizione funzionale (so-no teste di sintagmi che svolgono le funzioni sintattiche di soggetto,oggetto, complemento), agendo, in termini logici, da argomenti di unpredicato; verbi sono quelle parole che designano azioni, processi,

7.

Lessico: le strutturedi Gaetano Berruto

1. Introduzione

Il lessico, l’insieme delle parole di una lingua, si presenta agli occhi dellinguista in una duplice veste, con aspetti largamente contraddittori.Da un lato, il lessico – assieme ai principi, alle regole e ai costrutti del-la grammatica – è uno dei due componenti assolutamente essenzialidi una lingua; senza lessico non esisterebbe una lingua, non potrem-mo comunicare verbalmente, i messaggi sarebbero vuoti. Dall’altrolato, per molti versi il lessico è anche allo stesso tempo lo strato piùesterno e superficiale della lingua, più esposto alle contingenze ex-tralinguistiche e più condizionato da fattori estranei al sistema lingui-stico. Nel lessico si fondono, infatti, conoscenza del mondo e cono-scenza della lingua (Lepschy 1979; Dardano 1993). Per certi aspetti,il lessico è quindi per il linguista teorico anche il livello d’analisi me-no «linguistico», e dunque relativamente meno interessante per adi-re ai recessi interni del sistema, alla struttura immanente della lingua.

Il lessico, inoltre, è lo strato della lingua più ampio, costituito, ri-spetto alla fonologia e alla morfologia, dall’inventario incomparabil-mente più numeroso di elementi; e meno strutturato, apparentemen-te asistematico e caotico, composto da elementi eterogenei. Si tratta in-fatti di un insieme aperto e fluttuante, suscettibile di essere continua-mente incrementato di nuove unità. Circa il primo punto, l’ampiezzadell’inventario, risulta in pratica impossibile enumerare con esattezzatutte le parole di una lingua che oggi o nel passato sono state adopera-te in qualche circostanza nello scrivere e/o nel parlare e che quindi han-no diritto di essere computate come unità lessicali di quella lingua.

I comuni dizionari generali di consultazione (per l’italiano, adesempio, lo Zingarelli, che esce ogni anno in versione aggiornata, il

7. Lessico: le strutture 131

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te, e rappresentano in fondo propriamente il «vero» lessico, mentrele seconde (pronomi, articoli, preposizioni, congiunzioni) non cor-rispondono a entità concettuali esterne, costituiscono classi chiuse,e fanno quindi più propriamente parte della grammatica. Sedia è unatipica parola piena, di una tipica parola vuota.

Un’altra possibilità di classificazione di tipi diversi di parole è ba-sata sulla struttura interna delle parole, sul modo in cui sono artico-late in morfemi, cioè sulla loro costituzione morfologica (si veda ilcapitolo di Thornton in questo volume). Da questo punto di vista, sidistinguono basi lessicali, parole derivate, parole composte edespressioni stereotipe o locuzioni o fraseologismi o unità polilesse-matiche (o plurilessematiche; chiamate spesso anche polirematiche:vedere rosso, libro bianco, essere al verde).

Le parole derivate possono arrivare a un grado anche elevato dicomplessità interna, se sono formate da un numero relativamente al-to di morfemi, attraverso l’applicazione a passi successivi di diversimoduli di suffissazione e prefissazione: smobilitazione, per esem-pio, è formata a partire dall’aggettivo mobile, con suffissazione ver-bale (mobilitare), prefissazione (smobilitare), ulteriore suffissazionenominale deverbale (smobilitazione).

Un’ulteriore via per porre ordine e cercare sistematicità nel lessi-co consiste nel rintracciare parentele fra parole in base, contempo-raneamente, alla comunanza di forma, significante, e di significato,dovuta solitamente all’origine da, o al rimando a, una comune baseetimologica. Abbiamo così vere e proprie famiglie lessicali, o fami-glie semantiche, costituite da tutte le parole derivate dalla medesi-ma radice o base: per esempio, mano, manuale, maniglia, manomet-tere, manomissione, manovella, manopola, manodopera, manutenzio-ne, smanacciare, maneggiare, maneggevole, ecc., sono tutte paroleche fanno parte della famiglia lessicale di mano, aventi il comune ca-postipite in diacronia nel latino MANU(M) e in sincronia nella radicelessicale man-.

3. Forma e significato delle parole

Per quanto riguarda la forma con cui si presentano nel discorso, inmolte lingue1 le parole possono essere variabili o invariabili. Sono

stati, eventi, che assumono marcatura per categorie flessive come mo-do, tempo, aspetto, persona, ecc., che (almeno in molte lingue) sonoassoggettati a morfologia di accordo e che funzionano da predicati,facendo da perno alle strutture frasali (Graffi 1994).

Pur essendo tuttora fondamentale nella classificazione del lessi-co, la suddivisione corrente delle parole in parti del discorso non èesente da problemi. Ne citiamo qualcuno. Le interiezioni, almeno leinteriezioni primarie (ahi, uffah), per esempio, non sembrano pre-sentare a pieno titolo le caratteristiche di segni linguistici integrati inun sistema, ed è pertanto difficile considerarle parole. Nella classedegli aggettivi andrebbero probabilmente distinte categorie separa-te che presentano per l’uno o l’altro dei parametri sopra elencati ca-ratteri significativamente diversi. Sono presenti plurivocità, sovrap-posizioni e incertezze di classificazione: non solo i possessivi e i di-mostrativi, per esempio, possono funzionare, in dipendenza dal con-testo sintattico, sia da aggettivi sia da pronomi, ma soprattutto uncerto numero di parole vengono classificate sia come preposizioniche come avverbi (per esempio, sopra), o sia come avverbi che comecongiunzioni (per esempio, comunque). Il tutto è complicato dallaproprietà nota come conversione, per cui una parola può passare dauna categoria lessicale ad un’altra: sapere verbo e il sapere nome, sag-gio aggettivo e il saggio nome (si veda il capitolo di Thornton in que-sto volume). I nomi propri (Antonio, Milano, Pietro Rossi) hanno poiuna posizione del tutto particolare all’interno della classe dei nomi,in quanto hanno referenza unica, designano cioè un individuo e nonuna classe, e in maniera tale che non hanno intensione, ma soloestensione (si veda il capitolo di Lepschy in questo volume).

Nella grammatica generativa, vengono individuate quattro classilessicali maggiori, che fungono da teste dei sintagmi o costituentimaggiori di frase: nomi (N), verbi (V), aggettivi (A), preposizioni(P), definite in base ai due tratti binari fondamentali [Nome] ([±N])e [Verbo] ([±V]). N sarebbe [+N, -V], V [-N, +V], A [+N, +V], P[-N, -V]. I valori che i due tratti assumono nelle teste lessicali mag-giori consentirebbero di formulare generalizzazioni che giocano unruolo importante nei meccanismi della sintassi, come per esempio«solo le categorie [- N] (cioè, verbi e preposizioni) assegnano Caso».

Una distinzione estremamente importante all’interno del lessico,infine, è quella fra parole piene, o parole lessicali, o parole di con-tenuto, e parole vuote, o parole grammaticali, o parole funzionali.Le prime (nomi, aggettivi, verbi, avverbi) costituiscono classi aper-

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1 Anche se non in tutte: le lingue isolanti non conoscono in genere morfologiaflessionale e le parole si presentano dunque sempre in un’unica medesima forma.

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toinsieme di membri della categoria. I vari membri della categoriasaranno più centrali (vicini al punto focale) o periferici a secondadella quantità di proprietà del prototipo condivise: lo struzzo è unuccello, ma non vola, né è di piccole dimensioni; l’aquila non è di pic-cole dimensioni, ma vola, e quindi è «più» uccello dello struzzo. Tut-te le proprietà si ritrovano invece nel prototipo della categoria, cheevidentemente è un uccelletto come il passero2.

Seguendo Coleman e Kay (1981), e traducendo in tratti semanti-ci convenzionali, in maniera tale da unire in un certo modo l’analisiprototipica e l’analisi componenziale, si può proporre la seguentedescrizione prototipica del significato di (to) lie ‘mentire’ (Berruto1987): /+ ASSERZIONE, + INTENZIONALE, <+ PER INGANNARE>α, <−VE-RO>β, <+ RIPROVEVOLE>γ/, dove fra parentesi uncinate e con un in-dice in alfabeto greco indichiamo gerarchicamente i tratti che risul-tano non categoricamente presenti, nel giudizio dei parlanti, non ne-cessariamente in tutte le istanze di atti linguistici definibili come«menzogna»3.

La natura del significato delle parole è molto eterogenea, e nellessico possono quindi trovare realizzazione categorie semanticheassai diverse, secondo varie dimensioni. Alcune di queste dimensio-ni oppositive hanno particolare importanza, giacché intervengononel caratterizzare il significato di un numero molto alto di lessemi. Èper esempio il caso della dimensione astratto vs. concreto (bontà vs.pietra); oggetto vs. evento (libro vs. temporale); relazionale vs. nonrelazionale (moglie vs. gatto); enumerabile vs. non enumerabile (li-bro vs. acqua); animato vs. inanimato (gatto vs. libro); referenziale vs.non referenziale (libro vs. perché); valutativo vs. non valutativo (buo-no vs. liquido); naturale vs. artefatto (grotta vs. casa); ecc. Tutte que-ste conoscenze, assieme ad altre di svariatissima natura, entrano a farparte della competenza lessicale.

variabili le parole che sono suscettibili di essere marcate per le cate-gorie morfematiche flessive operanti in una certa lingua e che quin-di danno luogo a paradigmi di forme. È qui opportuna una distin-zione fra ‘parola’ (in questo senso, da alcuni definita più precisa-mente come lessema) e forma di parola: alto, alta, alti, alte sono for-me diverse della parola alto; tutte le voci della coniugazione del ver-bo mangiare (mangio, mangiamo, mangiando, ecc.) sono forme di-verse della parola mangiare (si veda il capitolo di Thornton in que-sto volume). Nelle classi di parole variabili, a una parola come unitàdel lessico corrisponde sempre un paradigma di forme, le forme fles-se in cui la parola può occorrere.

Il significato delle parole piene può essere concepito e rappre-sentato secondo due prospettive diverse (si veda il capitolo di Le-pschy in questo volume). Un primo modo di vedere il significato diun lessema consiste nel rappresentarlo come un fascio di tratti ocomponenti semantici (o semi) che lo differenziano pertinentemen-te dal significato di ogni altro lessema e che si realizzano in simulta-neità. Uomo sarà per esempio analizzato come /+ UMANO, + MA-SCHIO, + ADULTO/; uccello potrà essere analizzato come /+ ANIMALE,− MAMMIFERO, + CON LE ALI/; lanciare potrà essere analizzato come/+ AZIONE, X CAUSA (ALLONTANAMENTO Y), + VELOCE, + MEDIANTEFORZA FISICA O STRUMENTI, + CON UN MOVIMENTO PARTICOLARE DE-GLI ARTI SUPERIORI/ (dove X e Y stanno per variabili individuali sucui operano i tratti; Berruto 1987); vecchio come /+ AGGETTIVO DIETÀ, + DI GRADO RELATIVAMENTE ALTO/ (Berruto 1976).

A questa visuale del significato denotativo di un lessema comeuna lista di tratti semantici categorici, tutti contemporaneamente ne-cessari e sufficienti per stabilirne l’intensione, è stata contrappostauna prospettiva che guarda al significato piuttosto come un’imma-gine concettuale coincidente con una certa rappresentazione costi-tuita da una lista di proprietà graduali, alcune più rilevanti e altremeno nel definire la categoria concettuale, e non tutte ugualmentepossedute da tutti i referenti che sono compresi nella categoria. Il si-gnificato di uccello potrà quindi essere rappresentato (Smith e Me-din 1981) da una lista di tratti, alcuni dei quali decisamente enciclo-pedici, come /SI MUOVE, ALATO, CON PIUME, VOLA, CANTA, PICCOLEDIMENSIONI…/, che sono ben lungi dall’avere tutti la stessa catego-ricità e la stessa importanza: solo i primi tre saranno posseduti da tut-ti gli animali che designiamo come uccelli, mentre le altre proprietàsono, in maniera via via decrescente e scalare, godute solo da un sot-

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2 Sulla concezione prototipica del significato dei lessemi, che riprende idee del-la psicologa Rosch e che viene a integrarsi con i risultati di studi in prospettiva piùsociolinguistica, come quello di Labov (1975) sulla precarietà dei confini tra i si-gnificati di termini come tazza, tazzone, ciotola, scodella, si vedano fra gli altri Klei-ber (1990) e Tsohatzidis (1990).

3 Da cui si vede che lo stesso /+ PER INGANNARE/, che tutti credo saremmo pron-ti a ritenere un tratto essenziale, può essere in certi casi «rilasciato»: un’asserzioneintenzionale non vera è una menzogna – sia pure non prototipica – anche se non èfatta per ingannare, e così un’asserzione intenzionale fatta per ingannare, anche seè vera.

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mativo, con il miglior rapporto fra quantità di informazione ed elen-co di proprietà contenute, che unisce precisione di riconoscimentocon sforzo categorizzante relativamente ridotto.

Sulla base della relazione di iponimia si possono individuare sot-toinsiemi organizzati del lessico, i campi semantici o campi lessicali.Un campo semantico è dato da tutti i lessemi che sono iponimi di-retti di uno stesso sovraordinato. Un esempio classico di campo se-mantico è costituito dai nomi dei colori, bianco, nero, rosso, ecc.: cia-scun lessema del campo è tale in quanto è iponimo diretto dell’ipe-ronimo colore, e occupa una spazio ben determinato nell’area glo-bale di significato codificata come «colore».

Non va confusa con l’iponimia un’altra relazione semantica, me-no rilevante linguisticamente ma importante enciclopedicamente, lameronimia. Si ha meronimia quando un lessema X designa una par-te, un membro, di un tutto designato dal lessema Y: braccio è mero-nimo di corpo (umano), tetto è meronimo di edificio (e corpo ed edi-ficio sono olonimi rispetto a braccio e tetto). Un rapporto meronimi-co speciale, in cui la definizione semantica dei lessemi interessati èparticolarmente precisa e rigida, e che coinvolge un’intera serie ditermini, è quello di gerarchia lessicale, o gerarchia semantica. Unagerarchia semantica si ha quando un lessema X designa una partedel referente designato da un lessema Y, nel senso che ne è una sud-divisione di misura, un’unità più piccola di un sistema di misura diuna certa dimensione: secondo, minuto, ora, giorno, settimana, mese,anno, ecc. costituiscono, per esempio, una gerarchia semantica,quella delle unità di tempo cronologico.

Un’altra relazione semantica fra lessemi di fondamentale impor-tanza è la (quasi) sinonimia. Due lessemi sono sinonimi quando han-no lo stesso significato denotativo, e sono quindi intercambiabili(teoricamente) in qualunque contesto senza che il significato deno-tativo globale dell’espressione muti: porta/uscio, capo/testa, urla-re/gridare, spedire/mandare/inviare. La relazione di sinonimia si puòconsiderare in un certo senso derivata da quella di iponimia: si trat-ta in effetti di un rapporto di iponimia bilaterale, in cui è vero chetutti gli X sono Y, ma è vero contemporaneamente anche l’opposto,cioè che tutti gli Y sono X. La specificazione di «quasi sinonimia» sipresenta necessaria in ragione del fatto che l’intercambiabilità asso-luta e totale in qualunque contesto in genere non si dà; vi è semprequalche contesto in cui, per qualche ragione, non necessariamentesolo sociolinguistica o pragmatica, l’intercambiabilità in effetti non

4. Relazioni semantiche nel lessico

La rete più fitta, e più interessante per la teoria linguistica, di rap-porti fra gli elementi costitutivi del lessico, e in particolare del lessi-co vero e proprio, dato dalle classi di parole piene, è tuttavia quellabasata sulla semantica, sulle relazioni di significato che si pongonofra le parole. In questa prospettiva, le parole sono viste esclusiva-mente dal piano del significato; un termine che viene spesso usatoappunto per indicare le parole considerate dal punto di vista del si-gnificato è quello di lessema4: in questo paragrafo parleremo quin-di più propriamente di lessemi. Particolarmente importante in que-sta prospettiva è la relazione di iponimia. Si ha un rapporto di ipo-nimia fra due lessemi X e Y quando la classe rappresentata da X èinclusa o contenuta in quella rappresentata da Y, nel senso che pertutti gli elementi n di cui si può dire «n è (un) X» si può anche dire«n è (un) Y», ma non è vero il viceversa, non tutti gli Y sono ancheX. Si dice allora che X è iponimo di Y, o, specularmente, che Y è ipe-ronimo (o sovraordinato) di X. Per esempio, cipresso e automobilesono iponimi rispettivamente di albero e di veicolo. In termini di in-tensione/estensione, X ha allora intensione maggiore (più proprietàsemantiche caratterizzanti) e quindi estensione minore (meno refe-renti per la cui designazione essere assegnato) di Y.

Si ha iponimia diretta quando non ci sono lessemi per così dire in-termedi fra un termine e l’altro: gatto è iponimo diretto – almeno nel-la lingua comune – di felino, ed è anche iponimo, ma non diretto, dimammifero e di animale. La catena iponimica potrebbe ancora esse-re estesa sia verso sinistra (termine con estensione ancora minore) siaverso destra (termine con estensione ancora maggiore). Nelle tasso-nomie popolari, come sono appunto le categorizzazioni non scienti-fiche delle specie naturali o degli oggetti artefatti, si riconoscono trefondamentali livelli di categorizzazione, un livello sovraordinato(per esempio, appunto, animale, frutto, calzatura), un livello di base(rispettivamente cane/gatto, ecc.; mela/pera, ecc.; scarpa/stivale,ecc.) e un livello subordinato (rispettivamente mastino/bassotto ecc.per cane; delizia/renetta ecc. per mela; mocassino/ballerina ecc. perscarpa): il livello di base (cane) è quello più funzionale e meglio infor-

4 Si badi che in altre terminologie «lessema» indica invece la parola come en-tità fono-morfologica astratta, sinonimo di «parola» come opposto a «forma di pa-rola»: cfr. § 3 (si veda il capitolo di Thornton in questo volume).

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non-X, si ha complementarità: uomo/donna, parlare/tacere sono com-plementari. Nel caso di termini relazionali, quando cioè il significatodei lessemi implica il riferimento a termini o individui posti fra loro inuna certa relazione, si può avere un altro rapporto oppositivo, l’in-versione; due lessemi X e Y sono inversi se designano la stessa rela-zione, lo stesso stato di cose o evento implicante le stesse entità, maconsiderato da punti di vista opposti: per esempio, marito/moglie,comprare/vendere. In determinati casi, i rapporti di opposizione se-mantica possono sovrapporsi: per un certo verso possiamo, per esem-pio, considerare sotto/sopra come antonimi, per un altro invece li dob-biamo considerare inversi («non essere sopra» non implica «essere sot-to», si può essere né sotto né sopra una certa cosa, un certo punto di ri-ferimento, e d’altra parte si può sempre essere più o meno sopra o sot-to una certa cosa, l’opposizione è graduale, quindi c’è antonimia; mad’altra parte se A è sopra B, B è sotto A, quindi c’è inversione).

Infine, una relazione semantica che merita di essere tenuta pre-sente nell’ordinamento del lessico, e che contrariamente alle relazio-ni che abbiamo sopra elencato, che si collocano sull’asse paradigma-tico, in absentia, si situa sull’asse sintagmatico, è la solidarietà lessi-cale, o solidarietà semantica. È il rapporto che vige fra denti e mor-dere, in cui uno dei lessemi è per così dire contenuto nell’altro, che loimplica: si morde solo con i denti (non teniamo conto qui, ovviamen-te, dei traslati e degli spostamenti metaforici, o di altra natura, del si-gnificato dei lessemi); i lessemi legati da solidarietà semantica tendo-no quindi, spesso, a comparire usati in contiguità sintagmatica.

5. Lessico e grammatica

Il lessico non è semplicemente la lista delle parole di una lingua, ma èl’inventario delle parole con le loro proprietà semantiche e sintattiche.Le parole del lessico si presentano come dotate intrinsecamente di pro-prietà sintattiche, tratti che ne determinano la combinabilità e che siinseriscono negli schemi previsti dalla sintassi. Già l’appartenenza del-le parole all’una o all’altra delle categorie lessicali rappresenta un trat-to distintivo di sottocategorizzazione assai importante; a questo si ag-giungono tratti che specificano l’intorno sintattico in cui la parola puòcomparire e che partecipano più o meno direttamente alla creazionedelle strutture sintattiche stesse. Inoltre, alcuni dei tratti o componen-ti semantici propriamente detti (o semi) che costituiscono inerente-mente il significato dei lessemi (cfr. § 3 e il capitolo di Lepschy in que-

si dà: pietra e sasso costituiscono un buon esempio di sinonimia, mavi sono contesti in cui si impiega solo l’uno o solo l’altro dei due les-semi (*una statua di sasso, *rimanere di pietra). Se teniamo conto del-l’articolazione di una lingua in varietà, la (quasi) sinonimia diventaancora più frequente. Si dànno infatti, spesso, lessemi che hanno lostesso significato denotativo ma appartengono a varietà di lingua di-verse: a diverse varietà diafasiche, sia sull’asse dei registri (gatto, lin-gua comune / micio, registro informale, affettivo) che sull’asse deisottocodici e lingue speciali (raffreddore, lingua comune / rinite, lin-gua della medicina); o a diverse varietà diatopiche (padre / babbo to-scano ed emiliano, appartamento / alloggio piemontese / quarto me-ridionale, ecc.). Si tratta qui in effetti di geosinonimi, cioè di sinoni-mi appartenenti a diverse varietà geografiche di lingua; la geosino-nimia rappresenta un caso piuttosto frequente in italiano.

Mentre la sinonimia concerne un rapporto plurivoco fra signifi-canti e significato, il rapporto di senso opposto, vale a dire plurivo-co fra significati e significante, costituisce l’omonimia o polisemia.Se i differenti significati corrispondono a differenti etimi o a una dif-ferente categoria lessicale, si ha omonimia, con parole o entrate les-sicali diverse casualmente uguali nella forma; se invece i differenti si-gnificati rappresentano la separazione di sensi diversi attribuibili al-la medesima parola, si ha polisemia; porta ‘uscio’ e porta ‘3a pers.sing. del presente di portare’ sono un caso di omonimia, capo ‘testa’e capo ‘comandante’ (e, se vogliamo, capo ‘promontorio’, capo ‘pun-to terminale’) sono un caso di polisemia. Un caso molto particolaredi polisemia è dato dall’enantiosemia, che si ha quando due diversisignificati della stessa parola, attraverso diverse trafile di sposta-mento semantico, vengono a risultare opposti: per esempio, tirare‘lanciare’ (come tirare il pallone in porta) e tirare ‘trarre, trascinare’(come in tirare la carretta).

Altre relazioni semantiche che meritano di essere considerate nelquadro dell’organizzazione interna del lessico sono le relazioni di op-posizione semantica. Si distinguono qui tre principali rapporti. L’an-tonimia si ha fra lessemi che designano gli estremi opposti di una di-mensione o un’asse di valutazione graduale, senza che vi sia opposi-zione esclusiva tra i due estremi, ma con la possibilità di gradini inter-medi, per cui vale quindi che X implica non-Y, ma non è vero il con-trario, non-Y non implica X, e si può dare non-X e non-Y: alto/basso,bello/brutto, vincere/perdere sono antonimi. Se due lessemi sono in-vece in rapporto di mutua esclusione, X implica non-Y e Y implica

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Grammatiche cognitive più recenti (Levelt 1989; Jackendoff1990, e, in un quadro più strettamente generativista, Pustejovsky1995) accentuano ulteriormente questa primarietà del lessico come lostrato più profondo della grammatica, concependo il processo di for-mulazione di una frase come muovente dall’attivazione, da parte delparlante, di una struttura lessicale-concettuale profonda, in cui le in-tenzioni comunicative si organizzerebbero in un fascio di tratti se-mantici e pragmatici, in modo da proiettare una struttura tematicaparticolare (comprendente sia i ruoli semantici che le funzioni dellastruttura informativa e discorsiva, come ttooppiicc e ffooccuuss; si veda il capi-tolo di Rizzi in questo volume); in un secondo passo, quindi, verreb-be generata una determinata struttura predicato-argomenti, cheproietta la struttura tematica in quella sintagmatica gerarchica di unCP (proiezione di complementatore, nella grammatica generativa re-cente: corrisponde all’incirca, mutatis mutandis, al nodo iniziale F,frase, nell’indicatore sintagmatico di una rappresentazione sintattica«ingenua»); infine, in un terzo passo, a questa verrebbero assegnatipatterns di realizzazione morfologica, che regolano l’ordine degli ele-menti e la marcatura flessiva e inseriscono eventuali parole funziona-li richieste dalle condizioni di buona formazione di una data lingua.

6. Formazione delle parole e arricchimento del lessico

Le parole nuove che vengono create e possono entrare a far parte dellessico di una lingua sono chiamate neologismi. La formazione dei neo-logismi e il loro ingresso nella lingua possono seguire diverse strade.Una prima dicotomia si ha fra i neologismi che vengono prodotti conmateriale indigeno ed endogeno, interno alla lingua stessa, e quelli chevengono invece presi da un’altra lingua, una lingua straniera, i fore-stierismi (in italiano, non raramente, anche dai dialetti: dialettismi).

I neologismi interni possono essere creati attraverso diversi mec-canismi. Quando abbiamo bisogno di coniare una nuova parola perdesignare un nuovo concetto o un nuovo referente, concreto o astrat-to, o dare un nome nuovo a un concetto o referente già esistente, se nonla prendiamo da un’altra lingua ci si presentano fondamentalmente trevie: o assegniamo semplicemente un nuovo significato a un significan-te già esistente nella lingua, o creiamo un significante completamentenuovo, o facciamo ricorso ai processi di formazione di parola. Nel pri-mo caso, si tratta di un neologismo semantico. Un esempio è curva nelsenso di ‘settore di uno stadio in cui trovano posto i tifosi di una de-

sto volume), come per esempio [± Animato], [± Umano], [± Enume-rabile] per i nomi (Chierchia 1997), [+ Azione], [+ Processo] per i ver-bi, ecc., possono avere conseguenze importanti sulla sintassi.

Nella teoria generativa, e in correnti che ad essa si ispirano, a unaparola è anche associata una struttura tematica, una configurazioneargomentale o costellazione di ruoli semantici, o, secondo altre im-postazioni teoriche, uno schema valenziale, riempito dai sintagminominali previsti dallo schema sintattico che il significato della pa-rola implica: vedere comporta una configurazione argomentale (Spe-rimentatore o: Esperiente, ingl. Experiencer), (Paziente), dove natu-ralmente il primo argomento, lo Sperimentatore (chi vede), coincidecol sintagma nominale soggetto, e il secondo argomento, il Paziente(la cosa vista), cancellabile, coincide col sintagma nominale oggetto.I nomi deverbali avrebbero anch’essi una configurazione argomen-tale, ereditata dal verbo da cui derivano: nel caso di vedere, sono duei nomi deverbali diretti, visione, che eredita lo schema a due argo-menti (è il vedere qualcosa), e vista, che eredita lo schema a un soloargomento (è il vedere, come facoltà).

In certi sviluppi della linguistica formale è addirittura il lessico agenerare le strutture sintattiche, che non rappresenterebbero altroche proiezioni delle unità lessicali coi loro schemi sintattici profon-di e con le loro specificazioni morfologiche flessive. Così, nella lleexxii--ccaall--ffuunnccttiioonnaall ggrraammmmaarr (Bresnan 1982), la voce offre sarebbe, peresempio, specificata nel lessico come:

(1) offre PRED = ‘OFFRIRE <(↑SOGG) (↑OGG) (↑OGG IND)>’AFF[TEMPO= PRES& (↑SOGG PERS) = 3 & (↑SOGG NUM) = SG]

La prima riga contiene lo schema di argomenti implicato da unpredicato a tre posti come offrire. Nel caso dell’occorrenza offre, sidà (a) l’entrata lessicale offrire, con il contenuto semantico che la ca-ratterizza, associata a tre posizioni argomentali, la prima riempitadalla funzione sintattica soggetto, la seconda riempita dalla funzio-ne sintattica oggetto, la terza riempita dalla funzione sintattica og-getto indiretto (le freccette, detto molto sommariamente, indicanola direzione, superiore – o inferiore – in un albero strutturale, in cuisi inserisce l’elemento che realizza la funzione: quindi, è rappresen-tata nella formula anche la relazione con la struttura in costituenti);e (b) la flessione marcata con gli affissi di tempo verbale (presente),di accordo col soggetto di 3a persona e di numero singolare.

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realize, che ha appunto questo significato. Si tratta dunque di una for-ma di neologismo semantico: la varia tipologia dei forestierismi se-mantici è spesso trattata sotto la categoria di calco.

Come fonte più produttiva per i neologismi, tuttavia, va conside-rato il ricorso alla derivazione (in cui la parte del leone è fatta dallasuffissazione: Iacobini e Thornton 1992).

7. Dizionario mentale e competenza lessicale

Dal punto di vista dell’individuo parlante, come sono organizzate leinformazioni inerenti al lessico, e quale genere di competenza è im-plicato per l’impiego appropriato delle parole nel discorso? A que-stioni del genere si può dare una risposta molto più argomentata dal-l’ottica della psicolinguistica che non da quella della linguistica, manondimeno alcuni aspetti della questione sono affrontabili anche dauna prospettiva strettamente linguistica.

Una concezione plausibile, confortata da numerosi dati empirici esperimentali (Laudanna e Burani 1993), vede il dizionario mentale, intermini cognitivi, come un insieme di rappresentazioni (oggetti men-tali che codificano i tratti rilevanti degli elementi della realtà a cui cor-rispondono) e di processi (operazioni e correlazioni fra le rappresen-tazioni), connessi in reti. Ogni parola avrebbe una rappresentazionementale, presumibilmente in termini di proprietà intrinseche ad essaassociate (cfr. § 5) e di ffrraammeess, intorni schematici contenenti i contestitipici di impiego della parola coi concetti e le parole a loro volta ad es-si pertinenti (Blank 1997; per una prospettiva un po’ diversa, Petrilli1999), che rappresentano situazioni e impongono una struttura agliaspetti della nostra esperienza, mediando fra lingua e conoscenza delmondo (dizionario e enciclopedia non sono qui più separati/separabi-li). Nella mente umana esisterebbe un inventario di frames per inter-pretare e classificare tutte le esperienze; ogni parola sarebbe associatanella memoria a uno o più frames particolari: l’occorrenza della parolain un determinato contesto attiva un frame appropriato, che a sua vol-ta dà accesso ad altro materiale linguistico associato allo stesso frame.

Rimane largamente aperto il problema di quale sia l’ordinamen-to delle parole nel dizionario mentale (si veda il capitolo di Peres-sotti e Job in questo volume), se cioè il dizionario mentale sia orga-nizzato in base a principi semantici, o formali, o associativi, o di al-tro genere. Dati empirici e sperimentali a volte contrastanti (prove-nienti dai lapsus, dalle afasie, dai disturbi del linguaggio di vario ge-

terminata squadra’, e per estensione i ‘tifosi’ stessi. Si noti che spesso ineologismi sono effimeri (sono cioè degli occasionalismi), e nel giro diqualche anno cadono fra le parole in disuso.

Ciascuno dei moduli di creazione dei neologismi con materialeproprio, interno al sistema linguistico, che abbiamo delineato pre-senta vantaggi e svantaggi dal punto di vista funzionale: il neologi-smo semantico è economico per quel che riguarda il significante,non richiede l’immagazzinamento in memoria di una nuova stringadi fonemi come parola autonoma, ma essendo sempre caratterizza-to da un alto grado di arbitrarietà e dando luogo a polisemia ponerischi di ambiguità nella decodificazione. La creazione di una paro-la totalmente nuova come base lessicale a sé sarebbe ottimale dalpunto di vista dell’economia sintagmatica e della biunivocità para-digmatica, ma introduce la necessità di memorizzare un elementodel tutto nuovo. La derivazione è più economica dal punto di vistadel carico della memoria, riutilizzando una base lessicale già nota eprocedimenti contenuti nella grammatica, come i moduli di prefis-sazione e suffissazione, ed è più trasparente, ma crea un significantelungo, a volte con ambiguità quando, per esempio, si abbiano suf-fissi omonimi. La composizione è ancora più trasparente, non ri-chiede alcuna nuova entrata nella memoria lessicale, ma produce si-gnificanti lunghi e aumenta il carico sintagmatico, è poco «agile».

La creazione di una parola nuova, tuttavia, può essere risolta an-cora in un altro modo, cioè importando una parola da una lingua stra-niera. Immaginiamo di dover dare il nome ad una nuova macchinet-ta per spargere rapidamente il formaggio, che fosse, abbastanza sor-prendentemente, stata inventata negli Usa, dove poniamo fosse statachiamata *cheese-strewer, e venisse di lì. La soluzione in un certo sen-so più «facile» è quella di introdurre in italiano una nuova parola stra-niera. Si tratta in questo caso di un prestito, più o meno adattato nel-la misura in cui viene assoggettato a convenzioni di pronuncia più in-digene: [t∫ize’struer], per esempio, invece che [t∫i:z’stru:∂]. Il prestitoinglese avrebbe il rinforzo derivante dal prestigio che gli anglismi re-cano sempre con sé come connotazione. Il passaggio di elementi les-sicali da una lingua ad un’altra può avvenire anche per quel che ri-guarda il solo piano del significato, quando si ha la riutilizzazione diuna parola già esistente nella lingua in oggetto con un nuovo signifi-cato preso da un termine di una lingua straniera, parallelo nella for-ma: è per esempio il caso dell’acclimatarsi di realizzare nel senso di ‘ca-pire, rendersi conto’, significato assunto sul modello dell’inglese (to)

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che in relazione all’italiano hanno lavorato in particolare Tullio DeMauro e la sua scuola (De Mauro 1980; De Mauro e Vedovelli 1999).Nel lessico occorre, dunque, distinguere anzitutto un nucleo centra-le, essenziale, detto di solito vocabolario di base. Per l’italiano, esso ècostituito da circa 6800 parole ed è formato a sua volta da tre sottoin-siemi. Il primo di questi è il vocabolario fondamentale, di circa 2000parole, costituito da parole vuote (di, a, il, questo, che) e da lessemi pie-ni con significati molto ampi e generici (cosa, casa, fare, andare, dire,bello, alto). Si tratta di parole ad altissima frequenza nell’uso, il cui in-sieme da solo, contando le loro repliche, copre fra il 90% e il 94% cir-ca delle unità lessicali contenute nei testi parlati e scritti. Il secondosottoinsieme del vocabolario di base è dato dal vocabolario di alta fre-quenza o alto uso, costituito da circa 3000 parole che compaiono conuna frequenza relativamente alta, e coprono nell’insieme con le lororepliche un altro 5% circa dei testi: si tratta di termini come affitto,canzone, cartolina, fiutare, veloce. Infine, il vocabolario di base contacirca 1800 parole che vanno considerate vocabolario di alta disponi-bilità (o di alta familiarità), in quanto pur trattandosi di termini checompaiono solo in maniera relativamente rara nell’uso effettivo si ri-feriscono ad azioni, oggetti ed eventi della vita quotidiana, e quindihanno notevole importanza pratica, come acceleratore, ambulanza,bollo, cipolla, forchetta, pigro, sciatore, zuppa.

Attorno a questo nucleo centrale del lessico, vi è uno strato, sti-mabile attorno alle 13.000 unità, di «parole correnti», di caratterepiù tecnico delle precedenti, ma «specialmente utili per muoversinella vita sociale e per entrare in campi tecnici e speciali elementari»(De Mauro 1999b, p. 28), come abbreviazione, addizionare, diaboli-co, scialbo, zolfo. Viene poi il grosso di quelle che vengono conside-rate «parole comuni», tutti quei termini cioè che possono esserecompresi e all’occorrenza usati senza far riferimento a specifici am-biti tecnici, come per esempio alieno, bisturi, diagnosi, frodare, li-vrea, teologia: per l’italiano si tratterebbe di circa 40.000-60.000 vo-caboli. Saremmo arrivati a questo punto a un inventario fra le 60.000e le 80.000 parole. Lo strato più esterno del lessico consiste nellagrande pletora delle parole tecnico-specialistiche o esclusivamenteletterarie, usate solo in ambiti molto settoriali e speciali, che am-monterebbero ad alcune centinaia di migliaia. Anche nel lessico spe-cialistico è utile distinguere più strati, che vanno dallo strato dei ter-mini tecnici di grande rilevanza e ampio uso in una disciplina (come,per esempio, fonema in linguistica, oncologico in medicina, equazio-

nere, dall’acquisizione, dagli errori di comprensione e produzione,dai test di associazione, ecc.) inducono a ritenere che sia probabileun’organizzazione di natura molteplice, modulare e interrelata, nel-la quale il lessico, o meglio le sue parti sono accessibili a seconda de-gli stimoli da più punti di vista; ogni stimolo dà accesso a una rete dicollegamenti sollecitati dal frame di riferimento in quella situazione(Aitchison 1987).

Con la concezione generale del dizionario mentale che abbiamoschizzato sopra è compatibile la teoria della competenza lessicale og-gi forse più accreditata, che vede (Marconi 1999) la padronanza deisignificati delle parole composta di due aspetti distinti, da un lato lacompetenza referenziale, cioè la capacità di riconoscere istanze rea-li del significato della parola, di associare parole a referenti (di sape-re, riconoscendolo quindi come istanza della classe omonima, se equando incontriamo un gatto); e dall’altro la competenza inferen-ziale, cioè la capacità di vedere e porre relazioni fra (i significati di)parole, e di utilizzarle per compiere inferenze semantiche (di rico-noscere quindi parafrasi, sinonimie, rapporti fra parole e definizio-ni; e di sapere che se in un luogo è vietato introdurre animali, nonpossiamo portarci un gatto). Nel caso delle parole vuote e delle pa-role con un significato astratto, non corrispondenti a entità del mon-do reale o di un mondo possibile (come per esempio ciononostante,improbabile), la competenza lessicale si baserebbe naturalmente sulsolo aspetto inferenziale, che assorbirebbe tutto ciò che conosciamoe sappiamo fare con una data parola. La competenza lessicale è par-te della più generale competenza semantica, e come tale non è ac-cessibile direttamente all’osservazione scientifica, ma deve esserestudiata attraverso i dati empirici (usi delle parole nel più alto nu-mero possibile di contesti) e i giudizi intuitivi dei parlanti. Studi checercano di ricostruire la competenza lessicale dell’italiano in chiavecognitiva e tenendo conto degli aspetti sia semiologici che semanti-ci, sintattici e pragmatici connessi con un’entrata lessicale si sono in-fittiti negli ultimi tempi: si vedano, per esempio, in direzioni diver-se, Basile (2001) e Moneglia (1997, 2001).

8. Strati del lessico: lessico comune e vocabolari tecnico-specialistici

Nel lessico si distinguono e si sovrappongono più strati di parole, daquelli più frequenti, elementari e basilari, alla portata di tutti i par-lanti, a quelli via via più settoriali, specialistici, rari. Su queste temati-

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ELECTRUM, ‘ambra gialla’, a sua volta dal greco elektron, attraverso lamediazione del francese électrique). Coniazioni di termini su una ba-se greco-latina sono state del resto, e sono ancora oggigiorno, fre-quentissime nel lessico colto e nelle terminologie scientifiche: psicolo-gia, bibliofilia, ecografia. A volte da una stessa base etimologica latinaprovengono due parole diverse in italiano, l’una per tradizione diret-ta, l’altra per ripresa dotta.

Un altro serbatoio importante di materiali per il lessico di una lin-gua è costituito dai contatti fra culture e fra lingue. Quando due lin-gue sono in contatto e due comunità linguistiche hanno rapporti, ese il contatto e i rapporti durano almeno un certo tempo, avvienemolto facilmente il passaggio di elementi dall’una all’altra. E le pa-role sono i primi e più vistosi materiali a passare da una lingua aun’altra, sotto forma di prestiti, più evidenti, o di calchi (cfr. § 6).Quando le culture delle due lingue hanno peso e prestigio analogo,sono normali scambi nei due sensi, con particolare rilevanza per lesfere di significato relative ai settori in cui una o l’altra delle cultureè più sviluppata; se invece una cultura ha maggior peso e più altoprestigio, i passaggi tendono ad avvenire dalla lingua di maggior pre-stigio e diffusione alla lingua meno diffusa. È questa la situazione at-tuale del lessico italiano rispetto all’anglo-americano. Nel 12% cir-ca di parole italiane provenienti da altre lingue, bisogna anzitutto te-ner conto di molti termini entrati nella nostra lingua durante i seco-li passati, dei quali spesso in sincronia, e al non linguista, non è (più)per nulla evidente né nota l’origine straniera: è il caso per esempiodi elettrico, elettricità visto appena sopra, o di marciare (entrato initaliano dal francese, marcher, a inizio ’500)5. Fra le altre lingue chehanno contribuito al lessico italiano vanno anche citate, almeno il te-desco, lo spagnolo, il portoghese, il provenzale, il russo, il turco, ilgiapponese (Zolli 1991). Nel nostro secolo l’influsso di gran lungapredominante è, ovviamente, quello dell’inglese.

Un’altra fenomenologia importante della vita del lessico durantei secoli è data dai mutamenti semantici, su cui non abbiamo tempodi fermarci in questa sede. Il mutamento semantico può interessare,a largo raggio, sia la vita di una parola lungo i secoli (testa viene peresempio dal lat. TESTA(M), ‘vaso di terracotta’, con spostamento pro-

ne in matematica, ecc.), che possono essere almeno passivamente no-ti anche a non addetti ai lavori, a quello dei termini molto rari e spe-cifici, noti esclusivamente agli addetti ai lavori. De Mauro (ivi, p. 29)mette in correlazione gli strati del vocabolario con il grado d’istru-zione dei parlanti, stimando che le 2000 parole del vocabolario fon-damentale siano integralmente note a chi ha un livello d’istruzioneelementare; le 7000 parole circa del vocabolario di base sarebberopossedute da tutti coloro che hanno un livello d’istruzione medio-inferiore (il 52% della popolazione italiana); il vocabolario correntedovrebbe essere posseduto da chi ha frequentato la scuola media su-periore (un altro 25% della popolazione), mentre il vocabolario co-mune o buona parte di esso dovrebbe essere patrimonio dei laurea-ti (o almeno di «chi ha conseguito una buona laurea in una buona fa-coltà universitaria»; ibid.).

9. Strati del lessico: sedimentazione storica e contatti linguistici

Dal punto di vista della sua provenienza e della sua storia, il lessicodi una lingua è costituito da tre tipi di materiali: lessico indigeno ori-ginario, a volte chiamato «patrimoniale» (Migliorini), possedutodalle determinate lingue sin dal loro cominciare ad esistere come lin-gue autonome; lessico, sempre indigeno, formato successivamente inbase ai moduli di formazione di parola propri della data lingua(neoformazioni endogene); e lessico straniero, esogeno, provenien-te dal contatto linguistico con altre lingue e altre culture.

Per quanto riguarda il tronco ereditario dell’italiano, De Mauro(1999a) calcola che sul complesso dei lemmi del Gradit 1999 (cfr. §1) circa il 14% sia di origine latina; la percentuale sale però al 52%circa se si considera il solo vocabolario di base (cfr. § 8). Sempre ri-manendo al vocabolario di base, che pare un metro di riferimentopiù valido per i ragionamenti che stiamo facendo, il 34% circa dellessico (De Mauro 2000b, p. 173) sarebbe costituito da neoforma-zioni indigene, mentre un 12% circa proverrebbe da altre lingue el’1,6% sarebbe di etimologia dubbia o ignota.

Il lessico di origine latina, tuttavia, va a sua volta distinto in stratidiversi: vi è infatti il lessico ereditato di tradizione diretta, cioè passa-to dal latino volgare all’italiano senza interruzione, di trasmissionequindi «popolare»: per esempio fuoco dal lat. FOCU(M); e vi è quello ditrafila dotta, non di trasmissione diretta ininterrotta, entrato in italia-no in epoca medievale o moderna (per esempio, elettrico dal lat.

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5 Calcoli statistici accurati dell’apporto delle diverse lingue romanze al lessicoitaliano suddiviso per secoli sono forniti da Lorenzetti (1998).

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8.

Lessico: i processidi Francesca Peressotti e Remo Job

1. Introduzione

Il lessico mentale può essere definito come l’insieme delle cono-scenze di un parlante sulle parole della propria lingua. Le parole so-no coinvolte in tutti i processi di produzione e comprensione; il lo-ro riconoscimento ha le caratteristiche dei processi automatici: è ra-pido, non richiede sforzo apparente ed è impenetrabile alla consa-pevolezza. Nonostante il parlante sia consapevole solo del prodottofinale, cioè il significato e/o il suono di un determinato vocabolo,l’accesso alle conoscenze lessicali è caratterizzato dall’attivazione ditipi diversi di informazione, probabilmente resi disponibili a livellidi rappresentazione diversi. I modelli del riconoscimento di parolee della lettura formulano ipotesi diverse sul modo in cui tali rappre-sentazioni sono attivate. L’assunto principale, comune ai diversi ap-procci teorici, è che i processi di elaborazione delle parole consista-no principalmente nell’attivazione di conoscenze contenute in me-moria: tutto ciò che il lettore sa di una data parola a partire da unadata rappresentazione visiva (la serie di lettere, o segni, che la com-pongono). In tal senso, dunque, la letteratura sui processi di letturacostituisce un ponte tra i processi di elaborazione visiva delle infor-mazioni sensoriali e i processi legati agli aspetti semantici ed inter-pretativi della conoscenza. Anche se il lessico è coinvolto in altri pro-cessi (produzione spontanea di parole, comprensione di parole nel-la modalità uditiva, scrittura, ecc.), in questo capitolo ci occupere-mo di riconoscimento di parole scritte e soprattutto di lettura. Esa-mineremo le diverse proposte teoriche ed espliciteremo sia gli as-sunti teorici di partenza di ciascun approccio, sia l’architettura fun-zionale dei diversi modelli.

gressivo di significato attraverso i valori connotativi metaforici dellatesta paragonata a un vaso; si pensi oggi all’analogo valore metafori-co scherzoso di zucca) sia configurarsi in sincronia come neologia se-mantica (si veda l’esempio di curva nel § 6). Molto importanti per lafenomenologia del mutamento semantico sono i processi della me-tafora (basata sulla somiglianza di proprietà: il bosco si addormenta,Gianni è un coniglio) e della metonimia (basata su rapporti di conti-guità: bere una bottiglia, contenuto per contenente). Gli usi metafo-rici, in particolare, applicabili in linea di principio a qualunque en-tità lessicale, e che consentono quindi di usare una parola in un si-gnificato traslato diverso rispetto a quello previsto dal sistema lessi-cale e comunemente inteso, costituiscono un ingrediente molto im-portante dell’illimitata creatività lessicale.

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scritte. In origine, tale dibattito si è soprattutto concentrato sulla distin-zione tra i modelli che proponevano l’esistenza di due vie (Coltheart1987; Coltheart, Curtis, Atkins e Haller 1993; Coltheart, Rastle, Perry,Langdon e Ziegler 2001) e quelli che sostenevano l’esistenza di un’uni-ca via (Glushko 1979). Attualmente, come si vedrà in seguito, i modellicomputazionali prevedono tutti l’esistenza di più percorsi che consen-tono di recuperare la forma fonologica a partire dalla rappresentazioneortografica, e la discussione riguarda, piuttosto, quali siano i livelli di rap-presentazione implicati e la natura dei processi di elaborazione.

3.1. Il modello a due vie di Coltheart

L’architettura funzionale di questo modello prevede l’esistenza di dueprocedure in grado di produrre una forma fonologica (cfr. figura 1).

2. Modelli «a ricerca» e modelli «ad attivazione»

Riconoscere una parola presuppone il fatto che tale parola sia rappre-sentata nella memoria del lettore. Possiamo definire questa porzionedella memoria a lungo termine il lessico mentale, costituito dall’insie-me delle rappresentazioni delle parole conosciute. A parte il problemadell’acquisizione di ciò che è contenuto in tale magazzino, che nonverrà qui considerato, le ricerche in questo settore hanno principal-mente affrontato due tipi di problemi: la natura del lessico mentale daun lato (cioè quali tipi di informazione siano in esso contenuti e in qua-le formato), e i meccanismi di accesso dall’altro. A proposito dei mec-canismi di accesso, esistono due concezioni generali. La prima para-gona il lessico mentale a un dizionario composto da molte entrate,ognuna delle quali corrisponde ad una parola, organizzate secondo al-cune dimensioni psicologicamente salienti (Forster 1976). Secondo ta-le teoria, le entrate lessicali sono viste come strutture passive. Per atti-vare una di esse è necessario mettere in atto appropriate strategie di ri-cerca e un conseguente processo di selezione. Secondo la prospettivaalternativa, il lessico mentale è concepito come un insieme di unità dirappresentazione (unità-parole) che possono attivarsi in risposta allastimolazione sensoriale (Morton 1970, 1979; si veda anche il capitolodi Laudanna in questo volume). Tali unità sarebbero delle strutture at-tive e dinamiche, mentre il meccanismo di accesso al lessico è conce-pito come un processo passivo: sulla base delle informazioni sensoria-li, una delle unità si attiverebbe prima delle altre fino a raggiungere illivello della soglia di riconoscimento della parola corrispondente.

Un terzo modello sul riconoscimento delle parole, che ha in-fluenzato la modellistica in quest’ambito, è il modello ad Attivazio-ne Interattiva (IAM, Interactive Activation Model; McClelland e Ru-melhart 1981; Rumelhart e McClelland 1982), per la descrizione delquale si rimanda al capitolo di Laudanna in questo volume. Alcunecaratteristiche di questo modello verranno riprese nella descrizionedei modelli computazionali più recenti.

3. Modelli di lettura a due vie e modelli di lettura a una via

Un settore che ha prodotto una notevole quantità di dati empirici e mo-delli interpretativi sul riconoscimento delle parole è quello della lettura.La letteratura in quest’ambito è caratterizzata dal dibattito sui processiimplicati nel recupero della fonologia di una data sequenza di lettere

150 Il linguaggio. Strutture linguistiche e processi cognitivi 8. Lessico: i processi 151

stimolo

suono

Regole diconversione

G/FSistema

semantico

Lessico di inputortografico

Lessico di outputfonologico

Bufferfonemico

Identificazionedelle lettere

Fig. 1. Architettura funzionale del modello di lettura a due vie. La procedu-ra lessicale è rappresentata a sinistra e la via sub-lessicale a destra. Ambedueconfluiscono nel buffer fonemico, struttura dedicata alla computazione del-la pronuncia definitiva attribuita dal sistema allo stimolo. La parte in gras-setto è quella implementata da Coltheart et al. 1993 e Coltheart et al. 2001.

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di conversione grafema-fonema, dunque, produrrebbe semprepronunce con accento piano e tenderebbe a regolarizzare le paro-le sdrucciole che, invece, possono essere lette correttamente soloattraverso la via lessicale (cfr., tuttavia, Burani e Arduino 2004). Ledue vie sono sempre attivate da qualunque stimolo ortografico.Come si può vedere dalla figura 1, l’architettura del modello è ta-le per cui esse condividono gli stadi iniziali e gli stadi finali del pro-cesso di lettura. Ambedue hanno origine dalla rappresentazionedella sequenza dei grafemi elaborata sulla base delle informazionivisive, e in seguito convergono sulla stessa struttura, il bbuuffffeerr fo-nemico, che computa la sequenza dei fonemi che costituisce lo sti-molo. Esse quindi possono interagire nella produzione della pro-nuncia di una parola. Infatti, entrambe le procedure inviano infor-mazioni al buffer fonemico, informazioni congruenti nel caso diuna parola regolare e incongruenti nel caso di una parola irregola-re, producendo tempi di lettura rispettivamente più lunghi e piùbrevi per i due tipi di stimoli. L’interazione tra regolarità e fre-quenza che si osserva nei dati comportamentali (Taraban e Mc-Clelland 1987), per cui non vi è differenza nei tempi di lettura traparole ad alta frequenza regolari ed irregolari, mentre si ottiene uneffetto di regolarità per le parole a bassa frequenza, è spiegata nelmodello sulla base della velocità relativa di elaborazione lungo ledue vie. La via lessicale elabora le rappresentazioni fonologiche infunzione della frequenza della parola; essa è perciò molto rapidaper le parole ad alta frequenza e lenta, invece, per le parole a bas-sa frequenza. La via non lessicale, dovendo applicare l’insieme del-le regole di corrispondenza, procede per tutti gli stimoli piuttostolentamente. L’output da essa prodotto non sarebbe perciò in gradodi interferire con l’output della via lessicale quando questa elaboraparole ad alta frequenza.

3.2. Modelli di lettura a una via: leggere per analogia

I modelli a due vie descritti nel paragrafo precedente propongonol’esistenza di un meccanismo ortografico basato sulla conoscenzadelle regole di corrispondenza grafema-fonema, che serve per pro-nunciare quelle stringhe di lettere la cui pronuncia non è codificatain memoria, cioè le non-parole o le parole sconosciute al lettore. Leregole ortografiche sono concepite come conoscenze esplicite circala traduzione di una data lettera o gruppo di lettere in un fonema (c-> /k/ o gn −> /ˆ/), oppure come principi relazionali astratti (c cor-

La prima procedura, detta via lessicale, deriva la forma fonolo-gica di una data parola dall’accesso al lessico ortografico. All’inter-no di tale procedura sono individuabili due percorsi. Il primo, chia-mato via lessicale diretta, collega il lessico ortografico con il lessicofonologico. Quando un’unità ortografica si attiva sulla base delleinformazioni provenienti dal sistema visivo, l’attivazione si trasmet-te alla corrispondente unità fonologica. Il secondo percorso, chia-mato via lessicale-semantica, attiva il lessico fonologico attraverso leconnessioni con il sistema semantico; l’attivazione, perciò, si tra-smette dalle unità ortografiche alle unità semantiche e da queste aquelle fonologiche.

La seconda procedura, detta via non lessicale, elabora la pro-nuncia applicando l’insieme di regole, specifiche per ciascuna lin-gua, sulla base delle quali ogni lettera (o gruppo di lettere) è tradot-ta nel fonema corrispondente. Solo questa via è in grado di produr-re un output corretto nel caso in cui la sequenza di lettere sia scono-sciuta al lettore.

La via lessicale può essere utilizzata per leggere correttamente leparole conosciute e, poiché le diverse unità-parola si attivano più omeno rapidamente in funzione della loro frequenza d’uso, essa è an-che responsabile degli effetti di frequenza nei compiti di riconosci-mento di parole. Tale via, inoltre, ha un ruolo fondamentale nella let-tura delle parole irregolari, per le quali non vi è corrispondenza tra lapronuncia derivata attraverso le regole di conversione grafema-fone-ma e la pronuncia corretta. Queste parole caratterizzano soprattuttolingue, come l’inglese o il francese, ad ortografia opaca (si pensi allaparola have /hæv/, la cui pronuncia non corrisponde a quella ottenu-ta dalle regole di conversione grafema-fonema come per save /seiv/ ogave /geiv/). Per pronunciare correttamente la parola have è necessa-rio conoscerne la pronuncia e recuperarla dal lessico mentale.

In italiano le parole irregolari sono praticamente inesistenti dalpunto di vista segmentale; tuttavia se prendiamo in considerazioneuna caratteristica soprasegmentale come l’accento delle parole tri-sillabiche è possibile creare un parallelismo interessante con l’in-glese. La gran parte delle parole trisillabiche in italiano ha una ac-centazione piana, cioè sulla penultima sillaba (ad esempio, merca-to, sapone). Per un numero minore di parole (circa il 30%), chia-mate parole sdrucciole, la sillaba accentata è la prima (ad esempio,angelo, cellula). Colombo (1992) ha proposto di considerare le pa-role piane come regolari e quelle sdrucciole come irregolari. La via

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le regole di trasformazione grafema-fonema, non dovrebbero esser-ci differenze tra una non-parola e l’altra, a parità di lunghezza dellastringa e complessità delle regole coinvolte. Inoltre, la pronunciaprodotta dovrebbe essere sempre «regolare» e riflettere l’applica-zione di regole. Se invece, come sostiene Glushko, nel generare lapronuncia di una non-parola si utilizzano anche le conoscenze sulleparole conosciute, allora le parole irregolari potrebbero in qualchemodo influenzare la pronuncia delle non-parole. Così, la non-paro-la heaf, che attiva sulla base della somiglianza ortografica la parolairregolare deaf [dεf], potrebbe essere occasionalmente pronunciatacome quest’ultima anziché in modo regolare, e cioè [hif]. Al contra-rio, alla non-parola hean, che attiva la parola regolare dean [din],verrà sempre attribuita la pronuncia regolare [hin].

Le previsioni del modello sono state confermate dai risultati spe-rimentali. Le non-parole eccezione, come heaf, hanno tempi di ri-posta più lunghi rispetto alle non-parole regolari come hean. Inol-tre, nel 18% dei casi, alle prime viene attribuita una pronuncia si-mile alla parola eccezione alla quale assomigliano. Risultati analoghisi sono ottenuti anche quando la lista sperimentale conteneva esclu-sivamente delle non-parole, il contesto più adeguato per favorire l’u-so delle regole di conversione grafema-fonema. Sulla base di questidati empirici, Glushko «rivisita» anche l’effetto di regolarità orto-grafica, proponendo che esso risulti dall’attivazione di pronunce piùo meno incongruenti. Secondo questa prospettiva, una parola nonsarebbe regolare o irregolare rispetto alle regole di corrispondenzatra lettere e suoni, ma sarebbe congruente o incongruente rispettoalle parole ortograficamente e fonologicamente simili che essa atti-va. A differenza delle parole regolari, quelle irregolari attiverebbe-ro sempre informazioni ortografiche e fonologiche incongruenti ri-spetto alla loro pronuncia; dal livello dell’incongruenza dipende-rebbe lo svantaggio che accumulano per essere lette rispetto alle pa-role regolari, che spesso attivano un pattern di pronunce ad essecongruenti. Dunque, secondo Glushko, alla lettura delle parole edelle non-parole è sotteso uno stesso meccanismo, sensibile: (a) allepronunce delle parole ad esse ortograficamente simili e (b) a speci-fici insiemi di corrispondenze tra gruppi di lettere e suoni. Le diffe-renze nei tempi di risposta tra i diversi tipi di parole e non-parolesono spiegate dal conflitto tra le pronunce alternative che sono atti-vate in modo automatico e parallelo quando si pronuncia una datasequenza di lettere.

risponde a /k/ o /t∫/ in funzione della lettera che segue). Questo mec-canismo, basato su regole, integra un meccanismo specifico per leparole che recupera le forme fonologiche direttamente dal lessicomentale. Una teoria alternativa, la lettura per analogia, mette in dub-bio l’esistenza di meccanismi separati, basati cioè su tipi di informa-zione distinti, per la lettura di parole e non-parole.

Se si considera il fatto che le parole scritte in maniera simile so-no anche pronunciate in maniera simile, si può ipotizzare che per ge-nerare la pronuncia di una non-parola ci si basi sulla conoscenza del-le parole note ad essa simili. Secondo la teoria della lettura per ana-logia, la pronuncia di qualsiasi stringa di lettere è assemblata inte-grando informazioni che sono automaticamente attivate in parallelodurante la lettura. Tali informazioni includono le rappresentazionifonologiche delle parole conosciute, le rappresentazioni fonologichedelle parole che contengono sequenze di lettere simili a quelle dellostimolo da pronunciare, nonché le conoscenze sulla corrispondenzatra le lettere e i suoni di varie parti della stringa di lettere. La pro-nuncia viene generata da meccanismi che modificano e integrano levarie informazioni attivate e sintetizzano l’adeguato programma ar-ticolatorio.

3.3. Il modello di Glushko sulla conoscenza ortografica

Le ricerche di Glushko (1979) costituiscono un caposaldo per lo svi-luppo dei modelli ad una via, poiché consentono di anticipare con-cetti fondamentali per questo approccio, quale quello di attivazioneparallela di varie fonti di informazione utili per generare la pronun-cia. Glushko ipotizza che la conoscenza ortografica consista nella ca-pacità di mettere in relazione insiemi di lettere di grandezza variabi-le con le corrispondenti pronunce. Gli insiemi di lettere possonocontenere una sola lettera o, più spesso, un numero ampio di lette-re, che possono costituire anche intere parole. Per questo motivo, trala pronuncia di una parola e di una non-parola esiste solo una diffe-renza quantitativa. Mentre le parole sono pronunciate utilizzandoinsiemi molto ampi di lettere, la pronuncia di una non-parola vieneassemblata sulla base di unità più ristrette, attivate per analogia consequenze già note, o sulla base di specifici insiemi di corrisponden-ze tra gruppi di lettere e suoni. Per verificare le sue ipotesi, Glushkoha condotto una serie di esperimenti in cui ha analizzato principal-mente la lettura delle non-parole. Le predizioni da cui parte sonomolto semplici. Se le non-parole sono lette applicando l’insieme del-

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1974), che si attivano in presenza delle caratteristiche nello stimolo,e 14 rilevatori dell’assenza di caratteristiche, che si attivano, invece,quando le caratteristiche sono assenti nello stimolo (si veda il capi-tolo di Laudanna in questo volume). L’attivazione di una lettera inuna determinata posizione attiva tutte le unità ortografiche del lessi-co che contengono quella lettera in quella posizione; quando un’u-nità lessicale si attiva, invia inibizione a tutte le altre unità. Le unitàdel lessico ortografico e quelle del lessico fonologico sono sensibilialla frequenza d’uso e a ciascuna di esse è associato un determinatovalore, derivato dalla frequenza della parola corrispondente, che nedetermina la velocità di attivazione: l’attivazione di una parola ad al-ta frequenza cresce più rapidamente dell’attivazione di una parola abassa frequenza. Infine, a livello del buffer fonemico, l’attivazione diun’unità nel lessico fonologico produce l’attivazione di un fonemaper ciascun set fonemico del buffer. Ad esempio, l’attivazione del-l’unità fonologica corrispondente alla parola sole, /sole/ attiva, in pa-rallelo, il fonema /s/ nel primo set e inibisce tutti gli altri fonemi inquel set, il fonema /o/ nel secondo set e inibisce gli altri fonemi, e co-sì via per ciascun set fonemico.

4.2. La via non lessicale

La via non lessicale deriva la pronuncia di una sequenza di lettere daun insieme di regole di trasformazione dei grafemi in fonemi, specifi-che per ciascuna lingua (regole di corrispondenza Grafema-Fonema).Ogni grafema corrisponde al fonema a cui viene più frequentementeassociato nelle parole monosillabiche. Alcune regole sono contestua-li, cioè la pronuncia di un dato grafema dipende dal grafema che se-gue (come c e g in italiano, che corrispondono a /k/ e /g/, quando se-guite dalle vocali a, o, u, e a /t∫/ e /d

J/, quando seguite dalle vocali e o

i). Altre sono specifiche per posizione, nel senso che la pronuncia diun grafema varia in funzione della posizione che occupa nella stringa(si pensi al grafema y in inglese, che corrisponde a /j/, /i/ e /ai/ quan-do compare all’inizio, in posizione intermedia o alla fine della strin-ga). Infine le regole di output modificano la pronuncia di un dato gra-fema a seconda del contesto in cui si trova, facendo in modo che sia-no rispettate le regole fonotattiche della lingua.

La via di conversione grafema-fonema opera nel modo seguente.Durante i primi dieci cicli di attivazione essa non si attiva; in seguitoviene cercata la regola più appropriata per trasformare il primo grafe-ma della sequenza; il fonema corrispondente comincia ad essere atti-

4. I modelli computazionali dei processi di lettura: il modello DRC

Recentemente Coltheart et al. (1993) e Coltheart et al. (2001) hannoelaborato una versione computazionale del modello a due vie, ilDRC (Dual-Route Cascaded Model). Tale modello ha tre principalicaratteristiche di elaborazione. 1) L’attivazione o inibizione di cia-scuna unità si accumula nel tempo attraverso cicli di elaborazione,sicché le unità possono essere parzialmente e differentemente atti-vate in diversi momenti. 2) L’attivazione si propaga «a cascata» daun livello di rappresentazione all’altro. Ciò significa che man manoche si genera attivazione ad un livello, questa si propaga ai livelliadiacenti senza aspettare che le computazioni a quel livello sianoconcluse. 3) L’elaborazione è totalmente interattiva; l’attivazione oinibizione a ciascun livello contribuisce all’attivazione o inibizione ditutti gli altri livelli. L’architettura funzionale del DRC è analoga aquella del modello a due vie rappresentato in figura 1. In esso sonorappresentate tre procedure per la computazione della pronuncia,che sono funzionalmente distinte e si basano su tre diversi livelli dirappresentazione: sub-lessicale, lessicale e semantico. Mentre il per-corso lessicale diretto e quello sub-lessicale (la via di conversionegrafema-fonema) sono attualmente implementati nel modello, nonesiste una versione computazionale del percorso lessicale semantico,probabilmente a causa delle difficoltà legate alla precisa definizionedella semantica.

4.1. La via lessicale

Il percorso lessicale diretto produce la pronuncia di una parola at-traverso la seguente sequenza di processi: le caratteristiche visive (itratti grafici) delle lettere attivano le unità corrispondenti alle lette-re, parallelamente per tutte le posizioni, e queste lettere attivano l’u-nità corrispondente alla parola nel lessico ortografico. L’attivazionedell’unità ortografica produce attivazione nella corrispondente unitànel lessico fonologico, e tale unità attiva parallelamente nel buffer fo-nemico, nelle diverse posizioni, i fonemi che compongono la parola.Questa via è implementata attraverso una generalizzazione dell’IAM(Grainger e Jacobs 1996; McClelland e Rumelhart 1981), in cui il les-sico ortografico contiene 7891 parole monosillabiche di lunghezzavariabile da 1 a 8 lettere. Per ciascuna delle 8 posizioni sono presen-ti 14 rilevatori della presenza di caratteristiche (Rumelhart e Siple

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4.4. La lettura di non-parole

Nella lettura di non-parole la via non lessicale è l’unica procedura ingrado di produrre un output corretto. Tuttavia, mano a mano che es-sa elabora la sequenza di fonemi e invia informazioni al buffer fone-mico, la procedura lessicale attiva tutte le unità del lessico fonologicoche condividono dei grafemi con lo stimolo, inviando a sua voltainformazioni, in parte congruenti e in parte conflittuali, al buffer fo-nemico. Mentre le prime contribuiscono all’assemblaggio della pro-nuncia facilitando il compito della via non lessicale, le seconde inter-feriscono con tale procedura e generano un aumento dei cicli neces-sari per produrre la risposta. Attraverso tale meccanismo di intera-zione si spiegano gli effetti lessicali nella lettura di non-parole ripor-tati da Glushko (1979) per l’inglese e da Job, Peressotti e Cusinato(1998) per l’italiano. In quest’ultimo studio, da un’unica parola di ba-se sono stati derivati due tipi di non-parole variando la vocale che se-gue uno dei grafemi critici contenuto nella parola stessa, c, g o sc. Co-sì, ad esempio, dalla parola base delicato si sono derivate le due non-parole delicoto e deliceto: la prima, in cui la pronuncia del grafema cri-tico c è analoga a quella della parola base (/delikato/, /delikoto/), èdetta congruente; la seconda, in cui la pronuncia del grafema criticoè diversa da quella della parola base (/delikato/, /delitSeto/), è dettaincongruente. In un compito di lettura ad alta voce si è osservato unallungamento dei tempi di lettura delle non-parole incongruenti ri-spetto a quelle congruenti. Tale effetto è presente quando la lista distimoli contiene anche delle parole e scompare quando la lista speri-mentale contiene solo non-parole. L’effetto di congruenza è spiegatoall’interno del modello DRC come risultato del conflitto che emergenel buffer fonemico tra le informazioni provenienti dalle vie lessicalee non lessicale. Il conflitto è maggiore nel caso delle non-parole in-congruenti, che differiscono dalla parola base anche per la pronunciadel grafema critico, oltre che per la vocale che segue. Il modello spie-ga anche l’effetto di lista (tale questione sarà trattata nel § 4.5).

Il modello DRC riesce a riprodurre altri effetti lessicali, fra i qua-li la lettura di pseudomofoni1. Il fenomeno della pseudomofonia sicaratterizza per il fatto che le non-parole pseudomofone, pur essen-

vato nel primo set fonemico del buffer fonemico, sommando la sua at-tivazione a quella proveniente dalla via lessicale. Dopo un numero co-stante di cicli il sistema passa a considerare il grafema successivo, tro-va il fonema corrispondente e lo attiva nel buffer, e così via per i diver-si grafemi nelle diverse posizioni. Questa procedura opera, dunque,serialmente da sinistra verso destra, come sembrano mostrare alcunirisultati sperimentali (Forster e Davis 1991; Rastle e Coltheart 1999).

Ambedue le vie lessicale e non lessicale sono sempre attivate dauno stimolo linguistico e forniscono il loro output al buffer fonemico.A tale livello nasce un conflitto ogni qualvolta le due procedure ela-borano risultati diversi, e il conflitto provoca un allungamento deitempi di risposta, poiché l’elaborazione deve proseguire per un nu-mero di cicli maggiore al fine di produrre una risposta univoca. Vi so-no soprattutto due casi in cui le due procedure producono risultaticonflittuali: la lettura di parole irregolari e la lettura di non-parole.

4.3. L’effetto di regolarità

Nel caso di una parola irregolare, mentre la via lessicale attiva a li-vello del buffer la sequenza corretta di fonemi, la via non lessicale at-tiva i fonemi corrispondenti ai grafemi applicando le regole di con-versione grafema-fonema, quindi produce una pronuncia «regola-rizzata». La quantità di interferenza prodotta nel buffer è funzionedella velocità con cui la procedura lessicale elabora lo stimolo. In ac-cordo con i risultati sperimentali, infatti, l’effetto di regolarità si os-serva solo per gli stimoli elaborati più lentamente dalla proceduralessicale, vale a dire per le parole a bassa frequenza. Nel caso delleparole ad alta frequenza, invece, la procedura lessicale elabora lapronuncia molto rapidamente, prima che le computazioni della vialessicale possano dar origine all’interferenza. Recentemente Rastle eColtheart (1999) hanno dimostrato che l’effetto di regolarità dipen-de dalla posizione della sequenza irregolare di fonemi nella parola:le parole a bassa frequenza irregolari che contengono la sequenza difonemi irregolari all’inizio sono lette più lentamente delle parole abassa frequenza irregolari che contengono tale sequenza alla fine. IlDRC è in grado di simulare correttamente tale comportamento pro-prio in virtù della modalità di elaborazione seriale con cui opera lavia non lessicale. Più a sinistra si trova la sequenza di fonemi irrego-lare, più probabile sarà che generi un conflitto tra l’attivazione delfonema prodotto dalla via lessicale e quello prodotto dalla via nonlessicale che ha già elaborato i primi grafemi della stringa.

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1 Gli pseudomofoni, a differenza degli omofoni, sono sequenze di caratteri gra-fici che, pur suonando come una parola reale di una data lingua, sono inesistenti(ad esempio, squola o kane).

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sere evidenziati effetti di origine semantica. Job et al. (1998), come ri-portato nel § 4.4, hanno osservato che gli effetti lessicali nella letturadi non-parole erano presenti solo quando la lista conteneva anche del-le parole e scomparivano, invece, in una lista composta solo da non-parole. In questo caso si assume che l’assenza delle parole favoriscal’uso di una strategia non lessicale, e che questo porti alla scomparsao all’attenuazione degli effetti legati all’attivazione delle informazio-ni lessicali. Un’interpretazione alternativa degli effetti strategici deri-va dall’ipotesi del criterio temporale variabile nella produzione dellerisposte. Lupker, Brown e Colombo (1997) hanno mostrato chequando un certo tipo di stimoli, associato a risposte veloci, è mesco-lato a stimoli associati a risposte più lente si osserva un’omogeneizza-zione dei tempi di risposta, con un abbassamento dei tempi lenti edun innalzamento dei tempi veloci. Secondo l’ipotesi, i lettori usereb-bero un criterio temporale variabile per decidere quando rispondere:per far sì che la maggior parte delle risposte siano rapide e corrette,quando gli stimoli sono tutti di un certo tipo verrebbe fissato un datocriterio temporale adeguato per tutti gli stimoli. Per stimoli difficili ilcriterio verrà posizionato in avanti e dunque le risposte saranno len-te, per stimoli facili il criterio sarà «precoce» e le risposte saranno ve-loci. Quando però stimoli difficili e facili sono mescolati insieme, ilcriterio viene fissato in una posizione intermedia, rendendo le rispo-ste agli stimoli lenti più veloci e le risposte agli stimoli veloci più len-te. Secondo Lupker et al. (1997), tale ipotesi è in grado di spiegare lascomparsa (o la diminuzione) di alcuni effetti come il priming asso-ciativo (Tabossi e Laghi 1992) o l’effetto di frequenza nella lettura diparole inserite in liste in cui sono presenti non-parole (Baluch e Be-sner 1991). L’assenza di tali effetti sarebbe determinata dall’allunga-mento generalizzato dei tempi di risposta e non da una strategia chevaria il peso delle diverse fonti di conoscenza utilizzabili per derivareil codice fonologico di un dato stimolo.

5. Processi di elaborazione parallela e distribuita: i modelli PDP

Secondo i modelli a due vie, gli aspetti sistematici del linguaggio so-no rappresentati ed elaborati da insiemi di regole che stabiliscono leconnessioni tra unità lessicali, che traducono lettere in suoni e così via.Una visione alternativa è costituita dai modelli connessionisti o reti aelaborazione parallela e distribuita (Parallel Distributed Processing

do riconosciute più lentamente nel compito di decisione lessicale(Besner e Davelaar 1983; Coltheart, Besner, Jonasson e Davelaar1979), nel compito di lettura sono lette più rapidamente di non-pa-role non pseudomofone (McCann e Besner 1987; Taft e Russell1992). Inoltre, tale vantaggio è maggiore nel caso in cui lo pseudo-mofono è simile ortograficamente alla parola di base. Infine, nel ca-so di lettori «lenti», anche la frequenza della parola base influenza itempi di lettura: pseudomofoni di parole ad alta frequenza sono let-ti più rapidamente di pseudomofoni di parole a bassa frequenza(Taft e Russell 1992). Il modello DRC è in grado di riprodurre que-sti effetti; la distinzione tra lettori lenti e veloci è simulata variandola velocità delle computazioni della via non lessicale. Quando que-sta via opera lentamente c’è più tempo per l’attivazione dell’unitàlessicale nel lessico fonologico e, poiché le informazioni trasmesse albuffer fonemico attraverso questa via sono congruenti con quelle chederivano dalla via non lessicale, la pronuncia della non-parola è fa-cilitata. Poiché la velocità di attivazione delle unità del lessico fono-logico è anche funzione della loro frequenza, pseudomofoni di pa-role ad alta frequenza saranno facilitati maggiormente rispetto apseudomofoni di parole a bassa frequenza.

4.5. Aspetti strategici del processo di lettura

All’interno dei modelli a due vie, già Coltheart (1987) aveva propostoche i soggetti potessero controllare strategicamente l’uso relativo diciascuna procedura a seconda delle richieste del compito. Ad esem-pio, che il coinvolgimento delle due procedure può essere modulatodal materiale sperimentale. La presenza di non-parole nella lista pre-sentata ai partecipanti può favorire l’uso preponderante della proce-dura non lessicale, la presenza di parole irregolari l’uso preponde-rante della procedura lessicale. Attraverso questo meccanismo di mo-dulazione è possibile interpretare molti risultati sperimentali che han-no mostrato effetti di composizione della lista (Rastle e Coltheart1999; Tabossi e Laghi 1992; Baluch e Besner 1991; Content e Peer-man 1992; Job et al. 1998). Ad esempio, Tabossi e Laghi (1992) han-no evidenziato un effetto di priming semantico (si vedano i capitoli diTabossi e Laudanna in questo volume) quando la lista sperimentale ècomposta esclusivamente da parole, mentre l’introduzione di non-pa-role provoca una scomparsa dell’effetto. Il fenomeno può essere spie-gato assumendo che la presenza di parole spinga i partecipanti all’u-so di una strategia lessicale; quindi, solo in tali circostanze possono es-

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All’interno di ciascun dominio (fonologico, ortografico e seman-tico), items simili sono rappresentati da patterns di attivazione simi-li. I compiti di natura lessicale prevedono trasformazioni tra questitre tipi di rappresentazioni; ad esempio, la lettura implica che il pat-tern ortografico di uno stimolo produca il corrispondente pattern fo-nologico. Le unità ortografiche, fonologiche e semantiche interagi-scono tra loro attraverso un insieme di unità «nascoste» che media-no le connessioni tra unità. I legami possono essere di natura eccita-toria e inibitoria e di diverso peso. Quando viene elaborato un input,le diverse unità interagiscono fino a che la rete nel suo insieme rag-giunge un pattern di attivazione stabile (chiamato attrattore) che cor-risponde alla risposta della rete allo stimolo. Le connessioni tra leunità e il loro peso codificano perciò la conoscenza del sistema sul-la relazione tra i diversi tipi di informazione. I pesi che produconodelle risposte appropriate sono dovuti a un processo di auto-ap-prendimento che si basa sull’esposizione della rete alle parole scrit-te, alle loro pronunce e al loro significato. Anche all’interno dei mo-delli PDP si possono prevedere due procedure utili a generare il pat-tern fonologico di una data parola. Nella prima, le unità ortografi-che sono direttamente connesse alle unità fonologiche (percorso fo-nologico); la seconda procedura prevede che le unità fonologichesiano attivate attraverso la mediazione delle unità semantiche. L’im-plementazione del percorso fonologico simula con successo la pre-stazione dei lettori adulti su parole regolari e irregolari ad alta e bas-sa frequenza. La rete riproduce anche l’interazione tra regolarità efrequenza, fenomeno che è sempre stato considerato una prova del-l’esistenza di rappresentazioni lessicali esplicite e di regole di con-versione grafema-fonema. L’osservazione delle computazioni opera-te dal modello PDP (Plaut et al. 1996) rivela che questi effetti sonouna diretta conseguenza dei principi di elaborazione e di apprendi-mento della rete. L’effetto di frequenza viene rappresentato espo-nendo più spesso la rete a parole ad alta frequenza. Ciò produce uncambiamento dei pesi delle connessioni e facilita la produzione del-l’output corretto per quelle parole. La regolarità ortografica, espres-sa nei termini della congruenza delle parole con le regole di conver-sione grafema-fonema, è rappresentata nella rete PDP dalla simila-rità tra le unità ortografiche e fonologiche attivate. Perciò, se due pa-role attivano unità ortografiche simili, esse producono variazioni deipesi altrettanto simili. Come per l’effetto di frequenza, l’output fo-nologico di una data parola viene favorito dall’esposizione della re-

models, PDP). Secondo tali modelli (Seidenberg e McClelland 1989;Plaut e McClelland 1993; Plaut, McClelland, Seidenberg e Patterson1996), le elaborazioni linguistiche sono il risultato di interazioni di ti-po cooperativo e competitivo tra un numero molto ampio di sempli-ci unità. Questi sistemi sono in grado di apprendere attraverso un pro-gressivo aggiustamento dei pesi delle connessioni tra le unità e sonosensibili alla struttura statistica dell’ambiente in cui operano. Una del-le principali conseguenze di questa architettura è che all’interno delsistema non vi è differenziazione nella rappresentazione e/o elabora-zione delle parole regolari e di quelle irregolari. Tutte le unità coesi-stono in un unico sistema, le cui computazioni riflettono il grado dicongruenza dei diversi items. Secondo l’approccio PDP, dunque, nonè necessario distinguere tra un processo lessicale e un processo sub-lessicale: un unico meccanismo, una rete connessionista, è in grado diassociare alla forma scritta di ogni parola la sua forma fonologica. Ilmodello di Seidenberg e McClelland (1989) costituisce il primo ten-tativo di elaborazione di una rete connessionista, da cui se ne sono svi-luppati più recenti (Plaut e McClelland 1993; Plaut et al. 1996; Plaut1997). Secondo tali modelli le parole e le non-parole sono elaborateallo stesso modo da una rete in cui le informazioni ortografiche, fo-nologiche e semantiche sono rappresentate in termini di patterns di-stribuiti di attivazione (cfr. figura 2).

162 Il linguaggio. Strutture linguistiche e processi cognitivi 8. Lessico: i processi 163

Semantica

Ortografia Fonologia

unitànascoste

unitànascoste

unitànascoste

Fig. 2. Architettura del modello PDP proposto da Seidenberg e McClel-land 1989. Ogni rettangolo rappresenta un insieme di unità e ogni frec-cia rappresenta un gruppo di connessioni. La parte in grassetto è quelladi cui esiste la versione computazionale.

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minore sarà l’effetto degli altri fattori. Secondo tale ipotesi, dunque,le parole per le quali ci si aspetta un contributo semantico più ridotto(ad esempio, le parole che meno facilmente evocano un’immaginementale) dovrebbero mostrare un forte effetto di interazione tra re-golarità e frequenza; inoltre, parole deboli rispetto a tutte e tre le di-mensioni (parole a basso valore d’immagine, bassa frequenza e irre-golari) dovrebbero essere lette in tempi più lunghi e con più errori(Strain, Patterson e Seidenberg 1995).

In una rete PDP, le parole e le non-parole possono anche esserelette senza il contributo della semantica, come dimostrato dalle si-mulazioni presenti in letteratura (Plaut et al. 1996; Plaut e McClel-land 1993). Tuttavia gli autori di quest’approccio sostengono che lacompleta competenza linguistica si basi proprio sulla combinazionedi conoscenze semantiche e fonologiche: più il percorso semanticosi attiva, minore è il contributo richiesto al percorso fonologico. Atal proposito è stato ipotizzato che la rete ottimizzi le computazioninecessarie per la produzione di output corretti attraverso una redi-stribuzione del lavoro tra i due percorsi. Quando il percorso seman-tico risulta attivo, il percorso fonologico diminuisce gradualmente lacapacità di rispondere correttamente agli items che ha appreso me-no bene: le parole con un basso livello di frequenza e congruenza.

Per quanto riguarda la lettura di non-parole, gli effetti lessicali so-no stati spesso utilizzati a favore dell’architettura proposta dai mo-delli PDP, nei quali si assume che a parole e non-parole si applichi lostesso processo per la trasformazione dei patterns ortografici nei pat-terns fonologici. Ne consegue che la lettura di stimoli nuovi, come lenon-parole, è influenzata dalle caratteristiche ortografiche e fonolo-giche delle parole conosciute. L’effetto di congruenza riportato daJob et al. (1998) è dunque facilmente spiegato all’interno dei modelliPDP, in cui la conoscenza usata per generare la pronuncia di una non-parola deriva dall’esposizione della rete alle pronunce delle paroleesistenti (per la simulazione di effetti lessicali nella lettura di non-pa-role, cfr. Plaut et al. 1996). Questo tipo di modelli incontra, tuttavia,delle difficoltà a spiegare gli effetti del contesto che derivano, adesempio, dalla composizione della lista sperimentale. Job et al. (1998)hanno trovato che la non-parola congruente delicoto è letta più rapi-damente della non-parola incongruente deliceto solo quando la listasperimentale contiene sia parole che non-parole, e che l’effetto scom-pare in una lista composta solo da non-parole. Questo dato è partico-larmente difficile da spiegare se si assume che la trasformazione di pat-

te a parole congruenti, che hanno cioè patterns di attivazione simili.Gli effetti di frequenza e di congruenza, perciò, contribuiscono in-dipendentemente a stabilire il tempo di denominazione di un datoitem, poiché ambedue sono prodotti da variazioni simili nei pesi del-le connessioni e sono sommati durante il training.

L’attivazione di un pattern fonologico di output corrispondente aduna parola in una rete PDP è funzione di tre fattori: a) la frequenzacumulativa del pattern di attivazione prodotto dalla parola durante lafase di apprendimento; b) la somma delle frequenze dei patterns pro-dotti da parole ad essa congruenti (definite «amici» da McClelland eRumelhart 1981); c) la somma delle frequenze dei patterns prodotti daparole incongruenti (i «nemici»). Le parole ad alta frequenza sono let-te più rapidamente di quelle a bassa frequenza, poiché la componen-te (a) è maggiore per le prime che per le seconde. Inoltre, le parole conun più alto grado di congruenza (e cioè le parole regolari) sono lettepiù rapidamente di quelle incongruenti (irregolari), poiché la sommadelle frequenze degli «amici», componente (b), risulta maggiore del-la somma delle frequenze dei «nemici», componente (c). Il contribu-to di questi fattori tuttavia diminuisce all’aumentare del livello di pre-stazione a causa delle proprietà non-lineari della funzione di attiva-zione: più aumenta il livello generale di prestazione, meno è rilevanteil contributo dei singoli fattori. Di conseguenza, man mano che la for-za delle tre componenti (a), (b) e (c) aumenta (e dunque all’aumenta-re dell’apprendimento), gli effetti di frequenza e di congruenza dimi-nuiscono. Inoltre, la prestazione di stimoli che risultano «forti» peruna delle componenti risulta meno sensibile all’effetto delle altrecomponenti: le parole regolari mostreranno solo un piccolo effetto difrequenza, mentre le parole ad alta frequenza, mostreranno solo unpiccolo effetto di congruenza, riproducendo il fenomeno empiricodell’interazione tra regolarità e frequenza.

L’equazione appena descritta tra frequenza e congruenza costi-tuisce un utile punto di partenza per comprendere il ruolo della se-mantica nel processo di lettura all’interno dei modelli PDP. Le unitàsemantiche (cfr. figura 2), connesse a quelle ortografiche e fonologi-che, contribuiscono alla trasformazione dei patterns ortografici inpatterns fonologici. Più precisamente, la semantica costituisce un’ul-teriore componente, assieme alle componenti sopra descritte in a),b) e c), che contribuisce a determinare il pattern di attivazione delleunità fonemiche. Maggiore è il contributo della componente seman-tica, più l’input complessivo di attivazione si sposta verso l’asintoto,

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gua «opaca» come l’inglese, è tutto sommato sistematica. Ciò è anco-ra più vero se si considerano gruppi di grafemi e fonemi piuttosto chesingole lettere e suoni (Treiman et al. 1995). L’altro aspetto innovati-vo del modello è infatti costituito dalle assunzioni sulla struttura del-la sillaba in onset e rima (si veda il capitolo di Marotta in questo volu-me). Sulla base di numerosi studi (tra gli altri, Bradley e Bryant 1983;Dell 1986; Treiman 1989), si è ipotizzato che la struttura ortograficadella lingua inglese sia basata sulla struttura fonologica, e che ogni pa-rola monosillabica sia descrivibile nei termini di un’unità ortograficacorrispondente all’onset, composta dai grafemi che precedono la pri-ma vocale, e di un’unità ortografica corrispondente alla rima, compo-sta dalla vocale e dai grafemi che seguono. Le unità di input e di out-put della procedura TLA del modello di Zorzi et al. (1998), sono cosìstrutturate in unità ortografiche e fonologiche corrispondenti a rimae coda. Una rete in cui il livello di input e il livello di output sono di-rettamente connessi tra di loro è in grado di cogliere le regolarità sta-tistiche di corrispondenza tra grafemi e fonemi delle parole usate peril training, ma non è in grado di apprendere con specificità quei casidi pronunce eccezionali costituiti dalle parole irregolari. La rete TLAcommette, infatti, molti errori di regolarizzazione nella lettura di que-st’ultimo tipo di stimoli. La prestazione è invece molto buona per leparole regolari e le non-parole. Inoltre, a differenza della via sub-les-sicale del modello DRC, basata su regole di conversione, la procedu-ra TLA riproduce l’effetto di congruenza. Sia per le parole che per lenon-parole, gli stimoli congruenti, che hanno molti «amici», sono ela-borati più velocemente degli stimoli incongruenti, che hanno molti«nemici». Tali differenze sono determinate dal numero di fonemi at-tivati per una stessa posizione. La pronuncia finale di uno stimolo èstabilita da un sistema di decisione fonologica (PDS, Phonological De-cision System), sensibile alla competizione tra fonemi alternativi. Sologli stimoli incongruenti danno origine a più di un fonema per posizio-ne, con il fonema congruente (più frequentemente incontrato in fasedi apprendimento) più attivo di quello incongruente; la competizioneche si genera tra i fonemi alternativi produce un allungamento deitempi di risposta, in termini di numero di cicli di elaborazione neces-sari al PDS per giungere ad un’unica pronuncia definitiva.

La procedura lessicale ipotizzata da Zorzi et al. (1998) realizzaconnessioni mediate tra rappresentazioni ortografiche e fonologi-che, ed è molto simile a quella elaborata all’interno del DRC. Taleprocedura recupera la forma fonologica di una parola sulla base del-

terns ortografici in patterns fonologici avvenga attraverso un sistemaunico che elabora sia le parole che le non-parole.

6. Il modello connessionista a due vie

Questo terzo modello, proposto da Zorzi, Houghton e But-terworth (1998), rimanda ad alcune delle caratteristiche dei model-li a due vie, ma, analogamente ai modelli PDP, utilizza una rete neu-rale in grado di trasformare il codice ortografico in codice fonologi-co. Zorzi et al. (1998) assumono l’esistenza di due percorsi per l’at-tivazione della forma fonologica di una parola, un percorso sub-les-sicale che assembla la sequenza di suoni a partire dai grafemi che for-mano la stringa ed un percorso lessicale basato su connessioni diret-te tra unità ortografiche ed unità fonologiche corrispondenti alle pa-role conosciute (cfr. figura 3).

166 Il linguaggio. Strutture linguistiche e processi cognitivi 8. Lessico: i processi 167

Fig. 3. Architettura funzionale del modello implementato da Zorzi, Hou-ghton e Butterworth 1998. La procedura lessicale e quella sub-lessicaleinviano il risultato delle rispettive computazioni al sistema di decisionefonologica, dove il codice fonologico corrispondente alla risposta vienedefinitivamente prodotto.

PDSSistema didecisione

Sistema di recuperodella fonologia lessicale

Sistema di assemblaggiodella fonologia lessicale

La competenza sub-lessicale non è basata sulla specificazione di uninsieme di regole che stabiliscono la corrispondenza tra lettere e suo-ni (come nel DRC), ma viene appresa da una rete connessionista strut-turata in due soli livelli (TLA, Two-Layer Assembler): il primo com-prende unità ortografiche di input e il secondo unità fonologiche dioutput. La connessione diretta tra unità di input e di output è motiva-ta dal fatto che la corrispondenza tra suoni e lettere, anche per una lin-

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po delle conoscenze in quest’ambito, sostenuto da tecniche di inda-gine sempre più sofisticate, abbia condotto a un alto grado di speci-ficazione dei processi studiati. L’applicazione di metodologie di ri-cerca con un elevato livello di controllo ha permesso di esplicitare inmodo chiaro il ruolo di alcune variabili che influenzano i meccani-smi di accesso lessicale. I modelli più recenti sono in grado di ren-dere conto della gran parte dei fenomeni conosciuti e, dunque, so-no caratterizzati da un alto livello di specificazione delle proceduree dei meccanismi postulati. L’aspetto più rilevante in questo senso èil passaggio dai diagrammi «carta e matita» ai modelli computazio-nali che simulano i processi di elaborazione delle parole.

la sua forma ortografica ed è sensibile alla frequenza della stessa. Lecomputazioni avvengono parallelamente alle computazioni dellaprocedura TLA e l’output ottenuto viene convogliato sempre al si-stema PDS, dove le informazioni derivate dalla via di assemblaggioe dalla via di recupero diretto della pronuncia interagiscono per pro-durre la risposta finale. A differenza del modello DRC, in cui la pro-cedura sub-lessicale comincia le elaborazioni in ritardo rispetto aquella lessicale ed elabora la sequenza di grafemi serialmente, la pro-cedura TLA del presente modello (analogamente a quella lessicale)si attiva rapidamente ed elabora lo stimolo in parallelo, perciò i fo-nemi in tutte le posizioni sono attivati contemporaneamente.

Il modello di Zorzi et al. (1998) è in grado di riprodurre corret-tamente l’interazione tra regolarità e frequenza sulla base dell’inte-razione a livello del PDS tra l’output prodotto dalle due procedure.Dato che la procedura lessicale è particolarmente lenta nell’elabora-zione di parole a bassa frequenza, le computazioni effettuate dallaprocedura TLA facilitano l’elaborazione del corretto codice fonolo-gico nel caso di parole regolari, oppure la ostacolano nel caso di pa-role irregolari. L’effetto di congruenza sulle parole regolari non de-riva dall’interazione tra le due procedure, come nel caso del DRC,ma è generato all’interno della sola procedura TLA, che attiva, nelcaso degli stimoli incongruenti, anche i fonemi alternativi. La diffe-renza tra parole regolari incongruenti e parole irregolari che si os-serva all’interno del modello è che ambedue generano, nella proce-dura TLA, più pronunce possibili, ma il fonema più attivo risultaquello più frequente, e perciò quello corretto per le parole regolariincongruenti e quello scorretto per le parole irregolari. Solo la pro-cedura lessicale è in grado di generare la corretta pronuncia di que-st’ultimo tipo di stimoli che, per la risposta finale, dovranno compe-tere con (anziché essere rinforzate da) l’output prodotto dalla pro-cedura TLA. Tale analisi rivela che, a differenza dei modelli PDP, inquesto modello gli effetti di regolarità e di congruenza sono disso-ciati. Essi hanno origine a livelli diversi, anche se ambedue emergo-no nel PDS e implicano, a questo livello, la competizione tra l’atti-vazione di fonemi diversi nella stessa posizione.

7. Conclusioni

Da un punto di vista storico, questa breve panoramica sui modelli dielaborazione di parole ci permette di comprendere come lo svilup-

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so della semantica, rispondendo «lo studio del significato» ricorria-mo a una nozione che, implicitamente o esplicitamente, si era fattaentrare in gioco nel formulare la domanda stessa, introducendo unosdoppiamento, un autoriferimento che provoca un intoppo, una sor-ta di disagio, appunto, «semantico».

2. Significato ed etimologia

Quando cerchiamo di chiarire i termini che usiamo (nel nostro caso leparole semantica e significato) ci troviamo a dover scegliere fra duepunti di vista, che i linguisti di solito chiamano sincronico e diacroni-co. Il primo si limita ad usi considerati come se fossero contempora-nei fra loro (e nel nostro caso anche contemporanei a noi), prescin-dendo dalla loro evoluzione cronologica. Il secondo considera invecela loro etimologia, la loro storia, il loro cambiare nel tempo. La lingui-stica moderna, almeno da Saussure in poi, privilegia la prospettiva sin-cronica su quella diacronica. Ma non sempre si osserva che, riguardoall’aspetto semantico, questo pone problemi peculiari. Mentre la lin-gua che usiamo ha un suo sistema di fonetica e di sintassi che ha rim-piazzato quelli precedenti, e che, risultando dai cambiamenti avvenu-ti, ha per così dire eliminato quelli precedenti, sostituendosi ad essi,per la semantica la nostra lingua ha invece in qualche modo preserva-to, immagazzinato, memorizzato senza abolirle le fasi precedenti. Ri-chiamarsi al superare/conservare (aufheben) della dialettica hegelianapuò essere a questo proposito tanto inevitabile quanto fuorviante. Perla nostra tradizione culturale questo si rispecchia nella difficoltà che siè spesso riscontrata nel separare, in ambito lessicologico e lessicogra-fico, la sincronia dalla diacronia, il dizionario dell’uso da quello stori-co, la considerazione semantica da quella etimologica, il significato diuna parola dalle vicende socio-culturali attraverso cui esso si è forma-to (si veda il capitolo di Berruto in questo volume). Questo viene in-dicato anche dal modo in cui si è sospinti, cercando di chiarire i ter-mini semantica e significato, a ripercorrere la loro storia e i loro rap-porti con le designazioni collegabili a tali concetti.

3. Semantica e significato

Il termine semantica è attestato in italiano nel 1922, nella prima edi-zione dello Zingarelli, e basato sul francese sémantique, a quanto pa-

9.

Semantica: le strutturedi Giulio Lepschy

1. Introduzione

Che cos’è la semantica? Che cosa vuol dire semantica? Che cosa si-gnifica semantica? Qual è il significato (o il senso) della parola se-mantica?

Di primo acchito può sembrare che queste domande si equival-gano, e che la risposta sia semplice e diretta, la stessa in tutti i casi:lo studio del significato.

Ma basta rifletterci un momento per rendersi conto che la que-stione è problematica, e che la risposta è quanto meno insufficiente.Già il rapporto fra le diverse formulazioni della domanda fa emer-gere un nodo di problemi controversi. Se uno ci chiede che cos’è l’i-drogeno, pensiamo che conosca, più o meno, il senso della parola, eche desideri informazioni sulla natura chimica o fisica di questa so-stanza. Se ci domanda, invece, che cosa vuol dire (che cosa significa)idrogeno, penseremo che non conosca la parola e che ne richieda unaparafrasi, un sinonimo, o una traduzione, informazioni insomma ditipo lessicale, piuttosto che enciclopedico e in termini di scienze na-turali. Se poi ci chiede qual è il significato di questa parola, saremoincerti se la risposta desiderata sia del primo o del secondo tipo, cioèse sia lessicale o enciclopedica, e saremo forse tentati di tener contodi entrambi gli aspetti.

Riguardo ai termini che indicano discipline, come fonetica,morfologia e sintassi, per citare alcuni titoli usati dai capitoli di que-sto volume, la distinzione si attenua.

Per esempio, se chiediamo che cos’è la fonetica (che cosa vuol di-re fonetica, qual è il significato della parola fonetica), possiamo ri-spondere in ogni caso: lo studio dei suoni del linguaggio. Ma nel ca-

9. Semantica: le strutture 171

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4. Significante e significato

Per chiarire il termine significato occorre fare qualche altra conside-razione. Nella linguistica moderna, da Saussure in poi, siamo abi-tuati a distinguere tre nozioni, che Saussure chiamava signe, signi-fiant e signifié. La resa italiana con segno, significante e significatosembra ovvia, ma di fatto nasconde varie difficoltà. Il segno è un’en-tità linguistica che denota un oggetto extralinguistico, la cosa che es-so designa e che appartiene alla realtà esterna. Il segno è per Saus-sure un’entità bifronte, consistente del rapporto fra significante e si-gnificato, che costituiscono rispettivamente l’espressione e il conte-nuto del segno, entrambe nozioni astratte o mentali. Più precisa-mente, adottando termini che sono stati codificati dalla glossemati-ca di Hjelmslev, per tutte e due le facce del segno, conviene distin-guere tra forma e sostanza. La forma rappresenta l’aspetto astratto,quasi il modello mentale; la sostanza è la realizzazione concreta, ma-teriale, percepibile coi sensi.

Se consideriamo la parola CANE, possiamo dire che si tratta di unsegno che appartiene alla lingua italiana, e che consiste del signifi-cante cane e del significato ‘cane’4.

La forma dell’espressione, cane nel nostro esempio, è costituitadai fonemi che compongono la parola, /'kane/, e la sostanza dell’e-spressione è costituita dalle pronunce effettive, ad opera di voci di-verse, in circostanze diverse, della stessa parola, per esempio ['ka:ne]e ['γa:në]. La forma del contenuto riguarda l’organizzazione gram-maticale e semantica del significato ‘cane’, il fatto, poniamo, che laparola sia in italiano (ma, ovviamente, non in altre lingue) un so-stantivo maschile, singolare, ecc., e che rientri in una particolare clas-sificazione zoologica, che distingue certi animali da altri (per esem-

9. Semantica: le strutture 173

sentire più in là, che non la voce umana; in Vitruvio (De architectura 9, 6, 3) si elen-cano i nomi di quelli che hanno ricavato dall’osservazione degli astri «tempestatumsignificatus», cioè i modi di prevedere le tempeste; e più in generale per le parole,in Verrio Flacco (De verborum significatu) il termine indica la capacità di significa-re, cioè di esprimere e di comunicare. I tre passi citati sopra sono quelli dati per il-lustrare la parola significatus nell’Oxford Latin Dictionary.

4 Per le convenzioni grafiche usate in questo capitolo si veda l’avvertenza ge-nerale sull’uso dei segni grafici. Nella mia voce Semantica per l’Enciclopedia Italia-na (Lepschy 2000), per il segno si usavano le virgolette alte singole (‘ ’). Il corsivoserve anche per le parole straniere, ma questo non dovrebbe creare ambiguità conl’uso che ne facciamo per il significante.

re introdotto (o comunque presentato come un neologismo) nel1883 da Michel Bréal, con l’avvertimento che i linguisti per lo piùhanno studiato il corpo (fonetica) o la forma (morfologia) della pa-role, mentre «les lois qui président à la transformation des sens, auxchoix d’expressions nouvelles, à la naissance et à la mort des locu-tions, ont été laissée dans l’ombre ou n’ont été indiquées qu’en pas-sant. Comme cette étude, aussi bien que la phonétique et la morpho-logie, mérite d’avoir son nom, nous l’appelerons la SÉMANTIQUE (duverbe shmainw), c’est-à-dire la science des significations» (Bréal1883, p. 133)1. Il termine è stato poi ripreso nel titolo del fortunatovolume dello stesso Bréal (1897), Essai de sémantique (science des si-gnifications)2. Come si vede, e come ci si può aspettare nel clima cul-turale di fine Ottocento, la prospettiva è storica, o meglio, senza ap-pellarsi alla distinzione fra sincronico e diacronico, presuppone unpunto di vista storico.

La parola semantica è basata sull’aggettivo greco semantikós, col-legato a semaíno, a cui corrisponde il latino significare ‘dar segno, in-dicare, manifestare’. L’origine del sostantivo significato è controver-sa. De Mauro, nel suo commento al Cours di Saussure (1967), fa ri-salire il francese signifié alla forma neutra sostantivata (significatum)del participio passato di significare. Di recente, Roberto Gusmani(1998, 2001) ha sostenuto che conviene invece rifarsi (d’accordo conBattisti-Alessio [1950-1957], s.v., e Wartburg [1957], p. 605) al lati-no significatus, sostantivo astratto della IV declinazione, che indicala capacità di significare, cioè di indicare, di far segno, segnalare3.

172 Il linguaggio. Strutture linguistiche e processi cognitivi

1 «Le leggi che presiedono alla trasformazione dei sensi, alle scelte di espres-sioni nuove, alla nascita e alla morte di locuzioni, sono state lasciate nell’ombra onon sono state indicate che di sfuggita. Poiché questo studio, così come la foneticae la morfologia, merita di avere un suo nome, noi lo chiameremo SEMANTICA (dalverbo shmainw), cioè scienza delle significazioni» (trad. dei curatori).

2 Tralasciamo qui un uso tecnico, di qualche anno precedente, documentatonella voce sémantique del Grand dictionnaire universel du XIXe siècle, Tome 14, pp.515-516. Qui la semantica è definita come termine dell’arte militare: «Art de mou-voir les troupes à l’aide de signaux». Mentre i segnali usati dalla céleustique sonouditivi (celeuma è la battuta del celeuste che dava il ritmo ai rematori; si veda anchel’etimologia di ciurma), quelli della semantica sono visivi: i movimenti della mazzadel tamburo maggiore, o della spada che fa iniziare o cessare le batterie, i «sé-maphores», e la «télégraphie militaire sont les moyens de la sémantique actuelle».

3 La formazione della parola è analoga a quella di altri termini in -tus, come ar-bitratus, «capacità di discernere», commeatus, «possibilità di andare e venire». Co-sì in Apuleio (Florida 17) si nota come la tromba o il corno (bucina) possa essere«significatu longinquior», possa cioè arrivare più lontano con il suo suono, farsi

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porto fra significante e significato è arbitrario. Anche questa tesi èmeno ovvia di quanto potrebbe sembrare. Come è ben noto, il Coursdi Saussure è stato messo insieme, dopo la sua morte, da allievi e col-leghi, sulla base degli appunti raccolti durante tre corsi di linguisti-ca generale. Sul problema filologico della ricostruzione del testo cisono studi fondamentali di Godel (1957), Engler (Saussure 1974),De Mauro (Saussure 1967), Bouquet e Engler (Saussure 2002), chehanno messo in luce l’ambiguità di questa nozione. Da un lato Saus-sure sembra presupporre (ma lasciare nell’ombra) la secolare storiadi questa nozione, che risale all’antichità. In un famoso dialogo diPlatone, il Cratilo, si discute se le parole significhino per natura (phú-sei) o per convenzione (nómoi, o thései); o katà suntheken in Aristo-tele; secundum placitum in Boezio; ad placitum nei modisti e in Dan-te; in Aulo Gellio i verba sono considerati non già arbitraria ma na-turalia. Come fanno prevalentemente gli studiosi di linguistica stori-ca e comparativa dall’inizio dell’Ottocento, Saussure (1967, n. 136)condivide la tesi dell’arbitrarietà, conferendole peraltro un risvoltoradicale. Più tardi, nel corso del Novecento, si assiste al riemergere,insieme agli assunti universalistici, di posizioni che sono state chia-mate cratilistiche, che sottolineano gli aspetti di tipo espressivo e ico-nico, e quindi «naturali» piuttosto che «arbitrari» in molte aree dellinguaggio.

6. Relativismo

A questa dicotomia se ne collega un’altra, basata sulla tesi secondocui non è tanto la nostra mente (ciò che pensiamo) a determinare lanostra lingua, quanto viceversa la nostra lingua a determinare il no-stro modo di pensare. Quest’ultima tesi viene fatta risalire a Wilhelmvon Humboldt, e viene anche designata, in certe sue forme estreme,come ipotesi Sapir-Whorf, dai nomi del grande linguista americanodi origine russa, Edward Sapir, e di un geniale dilettante studioso dilingue amerindiane, Benjamin Lee Whorf. Secondo questa ipotesi,ogni lingua impone ai suoi parlanti un modo diverso di vedere ilmondo, e inevitabilmente li costringe ad esprimersi secondo catego-rie concettuali e strutture logiche diverse da lingua a lingua.

Su questa base si sostiene che ogni lingua è una sorta di monade,un sistema autonomo, non trasferibile in altre lingue. Da questo pun-to di vista la traduzione sarebbe, a rigor di termini, impossibile. Laletteratura, in proposito, è ricca di esempi incisivi, ed è largamente

pio il cane dal lupo). La sostanza del contenuto fa entrare in gioco ilrapporto con la realtà esterna extralinguistica, alla quale il segno siriferisce, per cui CANE può designare animali tanto diversi quanto unbassotto e un levriero.

Quest’assunto saussuriano (secondo cui il segno ha una natura du-plice, consiste del rapporto fra significante e significato, riflette, al-l’interno della lingua, nella sua stessa essenza dicotomica, un’origina-ria frattura fra mondo e linguaggio) non corrisponde alle idee tradi-zionali di linguisti, filosofi e logici. Secondo le concezioni prevalentifino al Novecento, l’opposizione di base è quella fra parole e cose, percui le parole sono i nomi, o etichette, con cui si designano le cose.

La distinzione saussuriana fra signifiant e signifié sembra corri-spondere a quella degli stoici fra semaînon e semainómenon, ma, comeosserva Gusmani (1998), è possibile che l’analogia sia soltanto forma-le. Il semainómenon (participio passivo di semaínein ‘indicare’) è la co-sa di cui si parla, l’oggetto a cui si riferisce il semaînon (participio atti-vo), che è il termine che designa tale oggetto. Signifiant e signifié sonoinvece due facce o due aspetti del segno. Saussure sottolinea esplicita-mente che il signifié non è l’oggetto denotato, e perciò termini comel’inglese signified e il tedesco Bezeichnete, che fanno pensare alla cosadesignata, sono particolarmente infelici (Gusmani 1998).

5. Arbitrarietà

Per lo studio dei termini e dei concetti di cui ci serviamo quando par-liamo di semantica, cercare di chiarire i valori che essi hanno assun-to nella loro storia può essere più istruttivo che non proporre defi-nizioni rigorose, e inevitabilmente artificiose, che non rendono giu-stizia alla complicazione, ancora insufficientemente chiarita, dei pro-blemi di cui ci occupiamo. Abbiamo visto che in greco non pare checi sia un termine che corrisponda in maniera ovvia e naturale a «sen-so» o «significato». Del resto, come potrebbe esserci se, come è sta-to sostenuto, si tratta non di avere un’etichetta per un oggetto pre-determinato e ben identificabile, quanto piuttosto di riferirsi a no-zioni complesse e spesso sfuggenti, che si sono trasformate nel cor-so dell’evoluzione di diverse tradizioni culturali e nazionali, e cheinoltre fin dall’inizio recavano l’impronta dei sistemi linguistici dif-ferenti in cui erano state espresse?

Conviene ricordare che Saussure, nel suo esame del segno lin-guistico, considera fondamentale il principio dell’arbitrarietà: il rap-

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stessa per tutti gli esseri umani, al di là delle differenze che distin-guono fra loro parlanti di lingue diverse. Quanto più un tratto è spe-cifico di una lingua o di una comunità, tanto più richiede di esserespiegato in base a principi generali, proprio perché il linguaggio èuna caratteristica biologica che accomuna gli esseri umani, distin-guendoli da altre specie. Un’indagine che si concentrasse su ciò chedifferenzia una lingua da un’altra, senza rifarsi a principi generali,garantirebbe l’insuccesso di una ricerca il cui scopo è proprio quel-lo di capire come funziona la facoltà del linguaggio. Naturalmente,l’analisi di singoli fenomeni linguistici verte su dati che appartengo-no a lingue particolari, e molto del lavoro compiuto dalla linguisticateorica negli ultimi anni è consistito nell’identificazione di principisempre più semplici che illustrano come l’attivazione, in un senso oin un altro, di un numero limitato di parametri, possa avere conse-guenze di largo raggio che portano alle diversità macroscopiche ri-scontrate osservando i dati di lingue diverse.

Questo vale in particolare per chiarire quei tratti semantici che,anche a un’ingenua osservazione intuitiva, sembrano dipendere dal-la natura della mente umana e rivelarsi gli stessi al di là delle diver-sità delle lingue. Chomsky (1988), come è noto, sostiene (contraria-mente agli assunti saussuriani a cui abbiamo accennato) che nell’ac-quisizione del linguaggio si tratta proprio di apprendere quali eti-chette, diverse da lingua a lingua, si usino per concetti preesistenti,organizzati secondo strutture che sono una comune proprietà uma-na (si veda il capitolo di Berruto in questo volume). Consideriamo,per esempio, persuadere e costringere. In Anna ha persuaso Mario apartire e Anna ha costretto Mario a partire, il comportamento di Ma-rio (cioè il fatto che egli parta) può essere uguale nei due casi, ma so-lo se Mario è stato persuaso (e non in quello in cui sia stato costretto)noi attribuiamo la sua azione a un fattore di scelta, di intenzionalità,di volizione (si noti che i due esempi ci parlano, in superficie, di ciòche ha fatto Anna, non di ciò che ha pensato Mario). La stessa dif-ferenza nella struttura logica dei due predicati, che richiede una ela-borata e complessa teoria della mente, si ritrova in altre coppie diverbi, che non sembrano aver niente in comune con questa, come se-guire (nel senso di trovarsi dietro a qualcuno) e inseguire (nel sensodi tener dietro a qualcuno). E le stesse configurazioni semantiche siritrovano in lingue diverse, per esempio nell’inglese to persuade vs.to compel (persuadere vs. costringere), to follow vs. to chase (seguirevs. inseguire).

diffusa la convinzione che ci siano espressioni tipiche, spesso usatenella loro forma straniera originaria, proprio perché sembrano in-carnare nozioni ed atteggiamenti caratteristici di certe culture, e nontrovano equivalenti adeguati in altre lingue: per esempio, si dice, ag-gettivi come l’italiano furbo o simpatico appaiono intraducibili in in-glese, e viceversa sostantivi inglesi come fairness o evidence non tro-vano una resa soddisfacente in italiano; e così si usano parole comeil portoghese saudade, o il tedesco Sehnsucht, o il russo nicego chesimboleggia l’indifferenza di Oblomov, il personaggio di Goncarov.

Questo vale anche per le strutture grammaticali. Una frase appa-rentemente semplicissima come His friend left, ci costringe, se vo-gliamo dirla in italiano, a introdurre o a tralasciare una serie di scel-te in disaccordo con l’originale: (1) his ci dice che la persona in que-stione è amica di un uomo, mentre il possessivo italiano (il suo o lasua) ci dice che la persona in questione è un uomo o una donna, manon ci indica il sesso dell’individuo per cui prova amicizia; (2) friendnon ci dice il sesso della persona di cui si parla, mentre la presenzadel genere grammaticale in italiano ci costringe a scegliere fra amicae amico; (3) left non ci dà informazioni sufficienti per decidere se l’e-quivalente italiano dovrebbe essere partì, è partito/a, o addirittura,in certi contesti grammaticali, partiva.

A questo atteggiamento, che incoraggia un’analisi sottile e preci-sa delle differenze fra lingue diverse, si è spesso associata, partico-larmente nei paesi germanofoni, nel corso dell’Ottocento e del No-vecento, l’esaltazione della propria cultura nazionale e il culto dellamadrelingua, considerata inseparabile dall’identità etnica e razziale(intesa su basi biologiche e/o spirituali).

7. Universalismo

La tendenza opposta, di carattere universalistico, che oggi prevalenella linguistica teorica, grazie al forte impulso di Chomsky e dellescuole che a lui si ispirano, proclama anch’essa la base biologica, ge-netica del linguaggio, anche se di fatto ne indica il carattere menta-le, sottolineando l’ipoteticità e l’insufficienza dei tentativi finoracompiuti per specificarne il funzionamento in termini cerebrali eneurologici. Nel contesto a cui ci riferiamo ciò che più colpisce, con-frontando questa tendenza con la precedente, è come la grammati-ca universale chomskiana si richiami al singolo parlante, di cui cer-ca di studiare e di capire la facoltà linguistica, fondamentalmente la

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8. Senso e voler dire

Si è osservato sopra (§ 5) che non conviene, e forse non è possibile, di-stinguere nettamente fra il linguaggio comune (con il suo ricco equi-paggiamento di termini e nozioni che interessano il significato, i fat-tori semantici e in genere le attività della mente) e il linguaggio tecni-co con cui logici e linguisti hanno cercato di metter ordine in questocampo. Non conviene, proprio perché le indagini di logici e linguistinon possono vertere su dati che, pur restando sempre linguistici, siprestino ad essere trattati come una realtà esterna. Invece, molte del-le ricerche più interessanti consistono proprio di analisi del modo incui normalmente parliamo di che cosa voglia dire quel che diciamo.

Soffermandoci su alcune delle lingue europee, nelle quali è docu-mentata una lunga tradizione di riflessioni su questi temi, troviamo unaterminologia assai ricca. A parte il problematico signifié, a cui si è ac-cennato, troviamo in francese signification, in inglese signification, initaliano significazione, che spesso trasmettono il valore generico dellasignificatività, dell’interesse di quel che vien detto. Il francese sens, l’in-glese sense, l’italiano senso, il tedesco Sinn, rendono l’idea del conte-nuto mentale, del valore intellettuale, e anche della sensatezza di quelche si dice. L’italiano voler dire e il francese vouloir dire suggerisconoun elemento intenzionale, quasi una volontà di comunicare, ma sonoin realtà ambigui, in quanto possono avere come soggetto non soltan-to un locutore che vuol dire qualcosa (vuole esprimere il suo pensie-ro), ma anche un’espressione linguistica (una parola, o una frase che«vuol dire» qualcosa, che può essere la resa in un’altra lingua, o un’e-spressione equivalente nella stessa lingua, o una descrizione dell’og-getto di cui si parla). Del resto, non è ovvio se una domanda come «checosa vuol dire questo discorso?» richieda come risposta una parafrasi,un chiarimento, o invece una rassicurazione riguardo alla buona fede,alle intenzioni e ai fini dell’interlocutore («che cosa c’è dietro? Ho ca-pito benissimo le parole che hai detto, ma mi chiedo che cosa tu abbiain mente, che scopo tu ti proponga facendo questo discorso»).

Voler dire non ha in italiano un sostantivo che equivalga al verbo.All’inglese to mean, che ha entrambi i valori di voler dire in italiano, siaffianca invece il sostantivo meaning. Grice (1968) ha dedicato unsaggio penetrante alla distinzione fra un uso che egli chiama naturale(word’s meaning) di to mean, relativo a espressioni linguistiche, chevengono menzionate piuttosto che usate: una parola, o una frase«vuol dire qualcosa»; e un uso non naturale (utterer’s meaning), rela-

Una stessa differenza di configurazione semantica si può manife-stare in una diversità fra due unità lessicali in una lingua, e fra due co-strutti sintattici in un’altra. Osserviamo, per esempio, il funziona-mento di provare a e cercare di in italiano. Si «prova a» fare qualcosaper vedere che cosa succede, per controllare l’esito dell’azione, dun-que a scopo euristico, conoscitivo; quando invece si «cerca di» farequalcosa, il proposito è di superare le difficoltà che ostacolano il com-pimento dell’azione, e lo scopo è dunque esecutivo, operativo. In en-trambi i casi il verbo corrispondente in inglese è to try. A prima vistaquesto sembrerebbe contraddire la tesi universalistica: abbiamo unasottile e complessa distinzione nel lessico italiano che sembra non es-sere disponibile in quello inglese. I vocabolari bilingui non sono digrande aiuto su questo punto. Ma basta osservare l’uso reale per ve-dere che la stessa differenza che distingue i due verbi italiani si mani-festa in inglese attraverso due costrutti diversi: «provare a fare» cor-risponde a to try doing e «cercare di fare» a to try to do. Per esempio,

(1) Prova ad aprire la finestra (try opening the window) per vede-re se si respira meglio

(2) Cerca di aprire la finestra (try to open the window), per me ètroppo dura

È anche interessante osservare che questa distinzione non si pre-senta esplicitamente alla coscienza dei parlanti, ma viene spontanea-mente praticata, senza esitazioni, nello stabilire una corrispondenzafra italiano ed inglese, da chi conosce entrambe le lingue, anche neicasi in cui le due espressioni potrebbero sembrare intercambiabili,come i seguenti:

(3) Cerca di aprire la finestra (try to open the window): io ho pro-vato ad aprirla (I tried opening it) ma non ci sono riuscito

(4) Prova ad aprire la finestra (try opening the window): io ho cer-cato di aprirla (I tried to open it) ma non ci sono riuscito

Sia in (3) sia in (4) «cercare di aprire» (to try to open) conserva ilsuo valore esecutivo piuttosto che conoscitivo, cercare di fare inve-ce che cercare di sapere; e così «provare ad aprire» (to try opening)conserva il suo valore conoscitivo, ma quello che si vuole appurarein (4) è se si è in grado di aprire la finestra, mentre in (1) lo scopo eradi verificare se si poteva cambiare aria.

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brerebbe avere un suo significato chiaro ed inequivoco. Ma Bloom-field osserva che quando essa viene pronunciata da un bambino cheha appena mangiato, la madre la interpreta come se volesse dire, po-niamo, ‘non voglio ancora andare a letto, voglio restare alzato in com-pagnia dei grandi’, e offre, giustamente, una risposta appropriata aquesto senso, che è quello corretto, ricavabile più dalla situazionecontestuale che dal significato letterale delle parole usate.

10. Senso e significato

Il filosofo e logico tedesco Gottlob Frege elaborò in un celebre artico-lo del 1892 la distinzione fra Sinn e Bedeutung, che in italiano sono sta-ti resi con senso e significato (Frege 1965), o senso e denotazione (Bo-nomi 1973), e in inglese con sense e reference (oltre che meaning e altritermini, al posto di reference; cfr. Swiggers 1984, pp. 51-52; Beaney1997, pp. 36-46) (si veda il capitolo in questo volume). La parola Be-deutung si è rivelata particolarmente problematica. Gusmani (2001) ri-corda che Frege aveva suggerito, in una lettera a Peano, di renderla initaliano col tecnicismo significazione, e osserva che la resa denotazioneappare preferibile a significato perché quest’ultimo non si presta alleglosse che Frege stesso offre del termine Bedeutung, parafrasandolocon «das Bezeichnete» (‘l’oggetto’), «der Gegenstand» (‘il denotato’).

Il senso è relativo all’intensione di un termine, cioè al suo valoreconcettuale, all’insieme dei tratti che ne determinano l’applicabilità.La denotazione o riferimento, invece, è relativa all’estensione, cioèagli enti a cui il termine può essere applicato (si veda il capitolo di Ber-ruto in questo volume). Alcuni studiosi considerano sia estensione siaintensione come aspetti della denotazione. Ma la differenza di fondoè chiara: il senso è una nozione interna al linguaggio e dipende dal rap-porto fra i vari termini della lingua, la denotazione riguarda il rap-porto fra linguaggio e realtà extralinguistica.

Va inoltre osservato che denotazione e riferimento vengono a vol-te distinti (Lyons 1995), in quanto il rapporto di denotazione, fra ca-ne e la classe dei cani, è di natura diversa da quello di riferimento,fra Fido e un cane particolare. La denotazione può essere conside-rata indipendente dalla situazione enunciativa, il riferimento no.

11. Semantica e semiotica

Ci sono anche altri termini/nozioni che è opportuno ricordare, peri loro rapporti di parentela, etimologica e culturale, con semantica e

9. Semantica: le strutture 181

tivo al locutore che «vuol dire qualcosa». Si noti la presenza del cor-sivo nel primo caso, in cui ciò che una parola vuol dire è un’altra pa-rola, in corsivo, e la sua assenza nel secondo, in cui ciò che il parlantevuol dire (ciò che intende, a cui si riferisce) è invece una cosa, un even-to esterno designato da una parola che in questo caso viene usata, nonmenzionata, e compare perciò senza virgolette. Per esempio, (a) «ke-lev vuol dire cane» e (b) «quando Mario parla del suo migliore amicovuol dire il suo cane» (si noti anche che, di solito, l’articolo si ometteper il word’s meaning e si introduce per l’utterer’s meaning).

Come si è accennato sopra, è lecito chiedersi se (e fino a che pun-to) queste distinzioni riguardino la semantica, cioè aspetti diversidella nozione di significato nel linguaggio umano, o se invece inte-ressino la struttura lessicale di singole lingue, nel nostro caso l’uso dimeaning in inglese e di voler dire in italiano. Come si vede, in certicasi il ragionamento di Grice si prestava ad essere reso in italiano, inaltri richiedeva la menzione delle espressioni inglesi da lui usate.

9. Implicazioni e implicature

Grice distingue, all’interno del valore complessivo di un’epressione,per il quale usa il termine signification (a cui potremmo far corri-spondere significazione), ciò che il parlante ha detto esplicitamente daciò che ha fatto capire, lasciato intendere o suggerito. Per quest’ulti-ma nozione egli ricorre al verbo inglese to implicate (a volte reso in ita-liano con implicare, nel senso di ‘comunicare in maniera indiretta’)5 eal sostantivo neologistico implicature (in italiano implicatura), che haavuto grande fortuna nel dibattito, fittamente frequentato negli ulti-mi decenni, nell’ambito della linguistica pragmatica, e che ha coin-volto molti aspetti della semantica e della logica. Grice distingue fraimplicatura convenzionale, che riguarda i valori codificati nel siste-ma linguistico, e implicatura conversazionale, relativa al contesto so-ciale e culturale degli enunciati, che rende particolarmente proble-matico specificare esattamente la loro interpretazione. Questo avevaindotto già la linguistica strutturale bloomfieldiana, fin dal suo perio-do più scientistico, verso la metà del Novecento, a diffidare della pos-sibilità di elaborare una semantica «scientifica». La frase ho fame sem-

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5 Anche qui la terminologia non è ovvia. In inglese i logici distinguono fra «im-ply», «entail» e «implicate». La distinzione fra implicazione materiale e implicazio-ne formale o stretta (entailment) è stata chiarita da B. Russell e C.I. Lewis nel pri-mo Novecento. Per l’aspetto semantico cfr. Lyons (1995).

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Le icone sono segni il cui significante ha qualcosa in comune col si-gnificato, ed è quindi possibile, se non propriamente dedurre l’uno dal-l’altro, stabilire un rapporto che consente di collegare in maniera ra-gionevole l’uno all’altro. Un disegno ha un rapporto iconico con l’og-getto rappresentato: ne esibisce in maniera riconoscibile il profilo, purmodificando ed eliminando altri tratti sensibili che possono essere es-senziali dell’oggetto, come il peso, colore, odore, movimento, ecc. I se-gni linguistici, le parole, possono avere degli aspetti iconici, per i qualisi parla tradizionalmente di onomatopea: si pensi a parole che si riferi-scono ad animali e sembrano imitare il loro verso, come (nelle voci ori-ginarie da cui derivano quelle italiane) barrire, muggire, frinire, ecc., oai nomi stessi che designano versi di animali, anche in lingue diverse,come chicchirichì, cocorico in francese, cock-a-doodle-doo in inglese,ecc. Di solito, il termine onomatopeico si riferisce all’aspetto uditivo, alrumore prodotto da un essere animato o da un fenomeno naturale, oanche ad altri aspetti, non necessariamente acustici, che possano, sine-steticamente, aver contribuito a determinare il suono di una parola (sipreferisce, in tal caso, parlare di formazioni espressive piuttosto cheonomatopeiche). In questo campo si incontrano spesso opinioni dilet-tantesche e inattendibili, che presuppongono un rapporto diretto, ditipo naturale e non arbitrario, fra la parola e la cosa. Ma si trovano an-che studi più sobri e meglio fondati, come quelli per esempio di Je-spersen (1922), che segnalano il valore espressivo per cui in molte lin-gue del mondo vocali chiuse, come [i], compaiono in parole che signi-ficano piccolezza, e vocali aperte, come [a], in parole che indicano lar-ghezza (italiano piccolo vs. grande, inglese little vs. large; ma ci sono an-che esempi di tipo opposto, come big e small); e, per esempio, in in-glese parole che contengono suoni come [fl] e [sl] tendono ad avere va-lori semantici associati a movimenti come scivolare, strisciare, ecc. Ne-gli ultimi decenni si sono dedicate molte ricerche agli aspetti iconician-che nella grammatica e nella sintassi. Si possono del resto osservare inqualsiasi lingua caratteristiche che sembrano universali, per cui espres-sioni che designano la lentezza o la rapidità di un’azione, il volume al-to o basso di un suono, vengono pronunciate, appropriatamente, inmaniera lenta o rapida, alta o bassa, come possiamo indicare ricorren-do a convenzioni grafiche, a loro volta di tipo iconico: «era l e n t o, l en t o, l e n t o», o «ha gridato a gran voce: INSOMMA, BASTA!».

Gli indici, infine (segni indessicali, dall’inglese indexical, o indi-cali), sono legati a ciò che significano da rapporti di causa ed effet-to, o di conseguenza naturale: il fumo è segno di fuoco, i capelli bian-

9. Semantica: le strutture 183

significato. Un gruppo è costituito da semiotica e semiologia. Nel-l’uso italiano colto, ampiamente diffuso tra filosofi e letterati, i duetermini valgono generalmente come sinonimi e la loro differenza ri-vela, piuttosto che scelte concettuali, preferenze di gusto e di ade-sione a tradizioni culturali distinte: quella francese nel caso di se-miologia (sémiologie) e quella anglo-americana nel caso di semiotica(semiotic o semiotics)6.

La fortuna del termine ha infatti radici diverse, una francese euna americana. Da una lato Saussure auspicò una scienza generaledei segni, da chiamarsi semiologia, di cui la linguistica era conside-rata una parte, anche se preponderante. Paradossalmente, quando lasemiologia divenne di moda, in Francia negli anni Sessanta, soprat-tutto ad opera di Barthes, essa si trovò ad essere presentata come unaparte della linguistica (piuttosto che viceversa, secondo il progettodi Saussure) e a modellarsi su di essa. Quando Barthes (1967) pub-blicò il suo Sistema della moda i lettori si trovarono davanti non giàl’analisi di quelle configurazioni di oggetti, manufatti, immagini chela società fa rientrare nella categoria della moda, ma bensì la descri-zione e l’interpretazione delle parole con cui si parla di tali oggetti ecategorie.

Molto più elaborata di quella di Saussure, rimasta allo stato diprogetto e di esigenza programmatica, è la semiotica di Peirce, au-tore di numerose importanti proposte terminologiche e concettualiper la classificazione dei segni. La versione più semplice e diffusapresenta una classificazione dei segni in simboli, icone ed indici.

I simboli sono tipicamente i segni arbitrari, cioè le parole del lin-guaggio, quelle che variano da lingua a lingua e per le quali non c’èun nesso che consenta, se si conosce il significato ma non il signifi-cante, o viceversa, di dedurre l’uno dall’altro. Questo uso di simbo-lo corrisponde a quello che compare nella logica detta appunto sim-bolica, e quando si parla dei simboli dell’algebra o della matemati-ca; si noti che il termine può anche avere un valore opposto, e cheSaussure chiamava simbolici i segni non arbitrari per cui, poniamo,l’immagine della bilancia rappresenta la giustizia, ne è, in questo sen-so, appunto il simbolo.

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6 Il termine «semiology», nella forma latina resa impropriamente con ae invecedi ei («semaeologia») compare in Wilkins (1694, p. 14 e pp. 111-118), per indicareil terzo tipo di linguaggio segreto, oltre a quello parlato (cryptologia) e a quello scrit-to (cryptographia), quello «by signes or gestures».

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All’accoppiamento di semasiologia e onomasiologia si richiama il titolodella celebre rivista «Wörter und Sachen» (1909), dedicata da Meringerallo studio congiunto delle parole e delle cose da esse designate. Questoè, del resto, il periodo degli atlanti linguistici, che possono emblemati-camente recare questa accoppiata addirittura nel titolo, come nel casodel grande atlante linguistico italo-svizzero di Jaberg e Jud (1928-1940),lo Sprach- und Sachatlas Italiens und der Südschweiz.

12. Significato delle parole e delle frasi

Molte delle considerazioni fatte nelle sezioni precedenti si riferisco-no al significato come aspetto del linguaggio. Non tanto al significa-to «del» linguaggio – cioè al suo valore e alla sua funzione nella vitadegli esseri umani e della società – quanto al posto occupato dallasemantica «nel» linguaggio.

Si tratta, dunque, della questione – che troviamo fin dall’inizio del-la storia della filosofia, ma che emerge esplicitamente con Saussure econ la linguistica moderna – dell’importanza del significato nella ri-flessione dei linguisti: se vi sia, cioè, un livello del contenuto, le cui ca-ratteristiche vanno studiate separatamente da quelle dell’espressione,o se queste ultime siano le uniche che possiamo indagare in manierascientifica. Occorre decidere se il linguaggio è un sistema di espressio-ni, che usiamo per capire e interpretare il mondo, e il cui valore se-mantico consiste appunto nel modo in cui le usiamo, e nel rapportoche si stabilisce fra tali espressioni e gli oggetti su cui vertono; o se esi-sta, invece, necessariamente collegato alle espressioni, ma in linea diprincipio da esse indipendente, un sistema di significati, di contenutimentali, che appartiene al linguaggio e di cui ci serviamo per riferircial mondo ed interpretarlo; un sistema che può, e forse deve, essere stu-diato di per sé, come qualcosa di distinto sia dal mondo esterno, sia dalsistema delle espressioni che costituiscono il tramite indispensabile,ma estrinseco, che collega il mondo mentale dei significati alla realtàesterna a cui i segni, grazie alla loro natura dicotomica, si riferiscono.

Quale che sia la soluzione a questo dilemma, si sarà notato che co-loro che partecipano a queste discussioni parlano a volte del signifi-cato delle parole e a volte del significato delle frasi. La distinzione èper certi aspetti apparente e superficiale: le frasi consistono di paro-le, e si trova spesso citato un principio di composizionalità (chiama-to anche «principio di Frege»), secondo il quale il significato di un’e-spressione è una funzione del significato delle sue parti e del modo in

9. Semantica: le strutture 185

chi sono segno di vecchiaia, la febbre è segno di malattia, certe nu-vole sono segno di pioggia (cielo a pecorelle, acqua a catinelle), ecc.Lo studio di questi indici è centrale per lo sviluppo delle scienze, at-traverso l’osservazione e l’interpretazione dei fenomeni naturali, e inparticolare lo studio dei sintomi delle malattie costituisce l’oggettodella semeiotica medica7. Si veda un suggestivo saggio di Carlo Ginz-burg (1979) sullo studio di segni, sintomi e tracce, e, per una tratta-zione complessiva della semiotica, il trattato di Eco (1975).

Quanto alla differenza fra semantica e semiotica, mi limiterò adosservare che, nell’uso prevalente, la semantica si riferisce allo stu-dio del significato nel linguaggio, ed è dunque parte della linguisti-ca. Ma in un saggio di Benveniste (1974) si è formulata la proposta,a mio parere poco felice, sebbene abbia ottenuto largo credito inFrancia, di usare semiotica per parlare della significazione dei segni,in senso paradigmatico, all’interno della lingua concepita come si-stema, e semantica per occuparsi del senso dei segni, realizzati in uncontesto sintagmatico, nel discorso, a fini comunicativi, uscendo dallinguaggio, e tenendo conto del rapporto fra segno e oggetto deno-tato, fra parole e cose, oltre che dell’intenzione comunicativa delparlante nel suo interagire con l’ascoltatore e con l’ambiente.

Un’ultima osservazione di carattere terminologico riguarda due ter-mini che hanno avuto una certa diffusione anche fra gli studiosi di gram-matica comparativa, semasiologia e onomasiologia. Il primo termine,che risale a quanto pare a Reisig (1839, p. 286; ma il termine era statousato nelle lezioni di Reisig, morto nel 1829), viene usato per lo studiodel significato delle parole; il secondo, che risale all’inizio del Novecen-to, indica lo studio dei nomi che designano certe nozioni. Esso è statointrodotto da Zauner (1902), che lo preferisce alla designazione di les-sicologia comparativa (vergleichende Lexikologie) proposta da Tappo-let nel 1895, per il suo più esatto parallelismo con semasiologia, comeindica nel suo saggio dedicato ai nomi romanzi delle parti del corpo8.

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7 Il termine viene dal greco «semeiotike», da «semeîon», «segno», e compare inLocke (1690, IV, 20, p. 361) nella forma «Semeiotike or the Doctrine of Signs».

8 Cito le parole di Zauner nella traduzione di Clemente Merlo (1904, pp. 7-8)che a quanto pare ha introdotto il termine in italiano: «Vi son due branche nella dot-trina delle lingue che si compiono a vicenda: l’una muove dall’esteriore, dalla paro-la, e si chiede quale concetto le vada strettamente unito, quale significato [Bedeu-tung] essa abbia, epperò semasiologia (shmasía ‘significazione’ [Bedeutung]); l’altraprende le mosse dal concetto e determina quale denominazione [Bezeichnung, Be-nennung] gli risponda nella lingua (‘denominazione’ [Benennung] o¬nomasía), quin-di onomasiologia: così si avrebbe, parmi, una vera corrispondenza nel nome».

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I logici preferiscono usare il termine enunciato in un senso di-verso, come espressione di un giudizio, cioè di una proposizione chepuò essere vera o falsa. (Queste nozioni risalgono ad Aristotele e aglistoici, che parlano, a questo proposito, di lógos apophantikós.) De-scrivere il significato di una frase vorrebbe allora dire indicare lecondizioni che la rendono vera o falsa a seconda delle circostanze,cioè in un dato «mondo possibile», per usare una nozione che risa-le a Leibniz. Come, di fatto, si possano definire esattamente le con-dizioni che consentono di stabilire la verità di un’affermazione qua-le, poniamo, «la neve è bianca» (in generale, o specificamente, «que-sta distesa di neve è bianca»), è molto più problematico di quantosembri. Partendo dalla concezione semantica della verità propostadal logico polacco Tarski, è stata formulata l’ipotesi della de-cita-zione. Consideriamo la frase «‘la neve è bianca’ è vera se e solo se laneve è bianca». Nella parte sinistra della frase, fra virgolette alte,un’espressione viene «citata», e nella parte destra essa viene «usata».Considerare vera tale espressione consiste semplicemente nel toglie-re le virgolette, nel «de-citarla». La nozione di verità viene in qual-che modo a scomparire. Dichiarare che la frase «la neve è bianca» èvera non vuol dire attribuire a tale frase una determinata proprietà,ma semplicemente «affermare» che la neve è bianca. Come diceRorty, affermare che una frase è vera è un modo di «renderle omag-gio», ed è ciò che normalmente si fa di fronte ad affermazioni che,per complessi motivi di ordine culturale e sociale, ci si trova a con-dividere. Da una concezione logicistica si arriva a una visione piùstorica e pragmatica della verità.

Questo stesso percorso è stato compiuto parallelamente dalle in-dagini sul significato. I neopositivisti sostenevano che il significatodelle frasi dipende dalla loro verificabilità. A parte le proposizionianalitiche a priori della logica e della matematica, le proposizioni sin-tetiche delle scienze devono essere verificabili ricorrendo ai fatti delmondo fisico. Ogni altra proposizione che non sia verificabile è let-teralmente priva di significato, come la maggior parte di quelle chesi usano nella vita quotidiana, nella letteratura, nelle varie aree dellafilosofia tradizionale. Ovviamente, queste affermazioni si sono rive-late inaccettabili, oltre che, come è evidente, non verificabili, e per-ciò tali che dovrebbero, paradossalmente, essere considerate essestesse prive di significato da coloro stessi che le sostengono. David-son (1984), ricorrendo alle teorie di Tarski, si serve del concetto diverità per chiarire quello di significato. Ma il concetto di verità vie-

cui esse sono collegate. Per altri aspetti la distinzione tocca questioniche sembrano essere più cruciali. Ci sono aspetti della semantica, so-prattutto dal punto di vista della linguistica storica e comparativa, chepaiono concentrarsi sullo studio delle parole; mentre nella prospetti-va dei logici e dei filosofi, piuttosto che dei glottologi, le questioni se-mantiche fondamentali riguardano le frasi.

Questo si spiega in quanto le indagini etimologiche si sono sempreconcentrate su come si costituisce e si trasforma l’aspetto esterno, fo-netico, e quello interno, semantico, delle singole parole; e, in genera-le, se uno si interessa al significato di un elemento linguistico, questoè tipicamente la parola, piuttosto che un segmento più piccolo (po-niamo il morfema, per cui la parola cane è analizzabile in due parti, untema can-, che significa ‘cane’, e una desinenza -e, che significa ‘ma-schile’ e ‘singolare’; si veda il capitolo di Thornton in questo volume)o una struttura più estesa (poniamo un sintagma, come can che abbaianon morde, il cui significato, ai suoi vari livelli, richiederebbe per es-sere spiegato un’analisi abbastanza elaborata).

13. Significato e verità

Per i logici, lo studio della semantica si associa a quello del contenutoproposizionale di una frase e al suo valore di verità. Le nozioni di signi-ficato e di verità vengono usualmente collegate nella tradizione filosofi-ca, in quanto entrambe coinvolgono il rapporto fra linguaggio e realtà.

Qui conviene aggiungere che la terminologia corrente non è univo-ca. Di solito, in italiano si parla di frasi, in senso generico, di periodi, co-me unità sintattiche che possono essere semplici o complesse, a secon-da che constino di una o più proposizioni, e di enunciati (in corrispon-denza all’inglese utterance), come strutture che appartengono piutto-sto al discorso, e possono riflettere la variabilità e l’irregolarità del par-lato, consistendo di un frammento di frase, o di varie frasi, secondo co-me si svolge la conversazione e si articolano le battute di vari interlocu-tori. La terminologia inglese sembra essere più uniforme e standardiz-zata, distinguendo sentence, per l’unità sintattica completa, clause, perla proposizione dotata di un suo verbo, o predicato, e phrase (in italia-no sintagma o nesso, gruppo, e non frase), per una struttura minore co-stituita da parole grammaticalmente collegate (si veda il capitolo di Riz-zi in questo volume). Si dirà quindi che in the man kicked the ball, theman è un sintagma nominale, e kicked the ball è un sintagma verbale,che a sua volta contiene il verbo kicked e il sintagma nominale the ball.

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10.

Semantica: i processi*di Patrizia Tabossi

1. Introduzione

Un principio accettato dalla maggior parte di coloro che studiano il lin-guaggio è il principio di composizionalità, la cui formulazione può es-sere fatta risalire a uno dei padri della logica moderna, il filosofo tede-sco Gottlob Frege. Frege (1892) introdusse un’importante distinzio-ne fra il significato di un’espressione linguistica e il suo riferimento.Negli studi di semantica formale la stessa distinzione si trova espressamediante i concetti di intensione ed estensione (si vedano i capitoli diBerruto e Lepschy in questo volume). Mentre il riferimento o esten-sione di un’espressione indica ciò che l’espressione denota nel mondo,il significato o intensione fa riferimento al modo in cui l’espressione de-nota ciò a cui si riferisce. Il classico esempio utilizzato da Frege ri-guarda il pianeta Venere, chiamato tanto stella del mattino quanto stel-la della sera. Le due espressioni hanno evidentemente intensioni o si-gnificati diversi, pur riferendosi entrambe al medesimo corpo celeste.

Data questa distinzione, il principio di composizionalità assumeche l’intensione di un enunciato dichiarativo, la cui estensione perFrege è il suo valore di verità, può essere costruita composizional-mente a partire dalle intensioni dei suoi costituenti, cioè dalle con-dizioni che devono realizzarsi perché l’enunciato sia vero, in un mo-do che dipende interamente dalle relazioni grammaticali esistenti frale intensioni (Chierchia 1997).

Dal punto di vista dei processi psicologici coinvolti nella com-prensione del linguaggio, l’assunzione di composizionalità equivalea dire che capire una frase consiste nel combinare i significati delle

* Questo lavoro è stato condotto con i finanziamenti HFSP, Grant 140/2000-B.

ne assunto come una nozione pre-teorica: occorre fondarsi su certiatteggiamenti generali in base ai quali si accetta una frase come ve-ra. Il fatto che una frase sia vera richiede che essa sia ritenuta tale daiparlanti. Come la nozione di verità, anche quella di significato fini-sce col dipendere dalle pratiche interpretative che predominano inuna certa società e in una certa cultura.

Mi pare importante, alla fine di questo capitolo, sottolineare unaspetto sul quale continua a concentrarsi l’attenzione di molti stu-diosi, i quali vedono nella semantica un punto di incontro fra logicae linguistica. La feconda collaborazione fra le due discipline va daAristotele fino al Settecento, passando per gli stoici, i modisti, Port-Royal e Leibniz. Successivamente, la linguistica si è sviluppata so-prattutto in direzione storico-filologica e comparativa (da Bopp aSchleicher e ai neogrammatici), e la logica in quella matematica e for-male (si pensi a Peano, Frege, Russell), che sembrava poco adatta al-l’analisi della sfuggente e confusa fenomenologia delle lingue natu-rali. Ma un grande logico quale Reichenbach, nel suo manuale di lo-gica simbolica del 1947, inseriva uno stimolante capitolo sul lin-guaggio quotidiano e offriva, come esempio, un’analisi del sistematemporale nelle lingue naturali dalla quale, ancora oggi, sarebbe dif-ficile prescindere. Uno degli ispiratori della semantica moderna èMontague, secondo il quale non ci sono differenze teoriche impor-tanti fra i linguaggi naturali e quelli artificiali creati dai logici, ed en-trambi sono analizzabili entro una stessa teoria matematicamenteprecisa. Non è ovviamente possibile affrontare qui questioni che ri-chiedono un esame tecnico; mi limiterò a notare come di recente lasemantica sia venuta occupando, negli studi linguistici, un’area la cuiimportanza avrebbe stupito gli studiosi formatisi prima dell’ultimotrentennio del secolo scorso.

188 Il linguaggio. Strutture linguistiche e processi cognitivi

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dell’enunciato non è il significato letterale, bensì il significato me-taforico, in cui inferno viene interpretato come ‘luogo estremamen-te spiacevole’, e il lavoro come un luogo che condivide quelle carat-teristiche di spiacevolezza.

A differenza del significato delle espressioni idiomatiche, il si-gnificato delle metafore è derivato composizionalmente, ma la cor-retta comprensione di queste espressioni richiede qualcosa di più odi diverso della semplice combinazione sintattica dei significati del-le parole che le compongono: occorre che queste parole vengano ap-propriatamente interpretate (Glucksberg 2001).

Espressioni idiomatiche e metafore sono forme linguistiche mol-to diffuse, al punto che esiste un’autorevole corrente di pensiero chenega la realtà psicologica della distinzione fra linguaggio letterale elinguaggio figurato (Gibbs 1984). L’ampia diffusione e l’evidentesemplicità con cui i parlanti di una lingua sono in grado di produr-re e capire il linguaggio figurato non sono che due degli elementi cherendono indispensabile ipotizzare meccanismi di interpretazione dellinguaggio. Infatti, uno dei punti fermi stabiliti dalla psicolinguisti-ca cognitivista è che affinché un messaggio linguistico venga com-preso è necessario che l’ascoltatore sia in grado di operare numero-si processi di interpretazione che vanno molto al di là del meccani-smo di composizionalità illustrato sopra.

Consideriamo il seguente esempio, tratto da un classico studio diJohnson, Bransford e Solomon (1973):

(1) John cercava di aggiustare la gabbia degli uccelli e stava bat-tendo un chiodo

Con tutta evidenza, la comprensione di questa frase non coin-volge usi figurati del linguaggio, ma non si esaurisce neppure nellacomposizione dei significati delle parole che la compongono. Infat-ti, le persone che avevano letto la frase, intervistate successivamen-te, la confondevano con

(2) John stava usando un martello per aggiustare la gabbia degliuccelli

ritenendo quest’ultima frase identica alla precedente. In realtà, quel-lo che era capitato era che sulla base del testo letto avevano conclu-

parole che la compongono secondo le relazioni grammaticali che in-tercorrono fra queste parole. Così, sulla base della conoscenza di unnumero limitato di parole e di regole, che costituiscono rispettiva-mente il lessico e la grammatica della sua lingua, una persona puòcapire il significato di qualunque nuova espressione. Un parlantedell’italiano che conosce la grammatica e i significati delle parole il,cane, contenitore e rovesciare, ad esempio, può comporre questi si-gnificati e capire la frase «il cane rovescia il contenitore».

La composizionalità è certamente alla base della cosiddetta crea-tività del linguaggio umano, cioè della capacità delle persone di capi-re e produrre un numero illimitato di frasi nuove. Ma, per quanto im-portante, in molte occasioni questo meccanismo non è sufficiente agarantire ad un ascoltatore l’adeguata comprensione di un’espressio-ne complessa. Il caso più evidente è quello delle espressioni idioma-tiche, caratterizzate dal fatto che il loro significato non è funzione di-retta del significato delle loro parti. Le espressioni idiomatiche costi-tuiscono una classe molto eterogenea: sebbene molte siano espres-sioni verbali, come restare di sale, questa non è certamente una carat-teristica necessaria (ad esempio, per lo più). Mentre alcune espressio-ni idiomatiche hanno sia un’interpretazione letterale sia un’interpre-tazione figurata (ad esempio, alzare il gomito), per altre l’interpreta-zione letterale è impossibile o fortemente implausibile (ad esempio,essere al settimo cielo). Ancora, mentre alcune espressioni idiomati-che hanno una forte connotazione metaforica (ad esempio, cadere dal-la padella alla brace, mangiare la polvere), in altre questo aspetto è mol-to marginale o assente (ad esempio, andare via). Ciò che tiene assiemequeste espressioni è il fatto che il loro significato non è derivabile, oalmeno non completamente, usando il meccanismo composizionale,vuoi perché la composizione delle parole che le compongono non ègrammaticale (ad esempio, per lo più), vuoi perché il significato deri-vato attraverso le regole grammaticali è altro dal significato figuratodella stringa (ad esempio, mangiare la polvere) (si veda il capitolo diBerruto in questo volume; Tabossi 2003).

Un caso forse meno eclatante ma non meno interessante è offer-to dalle espressioni metaforiche. Molte persone potrebbero sotto-scrivere l’affermazione «Questo lavoro è un inferno» e considerarlavera in riferimento alle proprie situazioni lavorative. Ciononostante,dal punto di vista di una semantica dei valori di verità à la Frege, l’e-nunciato «Questo lavoro è un inferno» è evidentemente falso. L’ap-parente contraddizione si risolve se si considera che ciò che è vero

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omografia non è rilevante, per cui la distinzione non sarà mantenu-ta e parleremo più genericamente di parole ambigue.

L’ambiguità non è ristretta al lessico; si tratta di un fenomenomolto comune che si incontra a tutti i livelli ai quali si può analizza-re una lingua. A livello percettivo, ad esempio, un frammento di lin-guaggio parlato come /visitedi/ è ambiguo, potendosi segmentare in«Visite di altri parenti», oppure in «Visi tediati e stanchi». Invece,un esempio di ambiguità morfologica è il verbo mangi, che può es-sere sia la seconda persona singolare dell’indicativo presente, quan-to la prima, seconda e terza persona singolare del congiuntivo pre-sente del verbo mangiare.

A rendere le cose più complesse è il fatto che i diversi tipi di am-biguità possono co-occorrere come nel caso di porto, che ha due si-gnificati nominali (‘il ricovero delle navi’ e ‘il vino’) e un significatoverbale, come nella frase «Ti porto il libro». Inoltre, in alcuni casi unasituazione di ambiguità ad un livello trae origine da un’ambiguità adun altro livello. In «la vecchia porta...», ad esempio, l’ambiguità diporta è all’origine dell’ambiguità strutturale della frase «la vecchiaporta la sbarra». Infatti, nell’interpretazione di porta come nome, lafrase si riferisce ad una vecchia porta che impedisce l’accesso presu-mibilmente ad una stanza, mentre nell’interpretazione verbale di por-ta la frase ci dice di un’anziana signora che sposta una sbarra.

Per quanto riguarda l’ambiguità lessicale, è del tutto evidente chei parlanti di una lingua non fanno alcuna fatica a capire forme conpiù di un significato. Di norma, infatti, le parole non compaiono iso-late, ma in contesti che ne rendono chiara l’interpretazione appro-priata. Non c’è il minimo dubbio, dunque, che sia il contesto, in par-ticolare il contesto linguistico, a fornire le informazioni necessarieper giungere alla corretta comprensione di una parola ambigua. Dalpunto di vista teorico, la questione che ha ispirato il lavoro di moltiricercatori non è stata se il contesto avesse un ruolo importante nelchiarire il significato appropriato di una parola ambigua, bensìquando, durante il processo di comprensione, l’informazione di con-testo venisse utilizzata e in che modo. Tre sono state le posizioni cheper lungo tempo hanno catalizzato l’interesse dei ricercatori. La pri-ma ipotesi, nota come modello esaustivo, sostiene che la compren-sione di una parola ambigua avviene in due fasi. Durante la prima fa-se di accesso, tutte le informazioni relative ai significati della parolavengono momentaneamente attivati, indipendentemente dal conte-sto o da altri fattori. Durante la seconda fase, invece, ha luogo l’in-

so che lo strumento che John usava per battere il chiodo era un mar-tello e avevano dimenticato che questo fatto non era esplicitamentemenzionato nella frase iniziale.

L’allora originale studio di Johnson et al. (1973) fu seguito da nu-merosi altri lavori e divenne presto chiaro che la comprensione, as-sieme a processi linguistici, richiede l’uso di meccanismi di inferen-za che sulla base delle nostre conoscenze del mondo e delle infor-mazioni linguistiche esplicite ci permettono sia di fare uso di infor-mazioni non esplicitamente presenti nel messaggio, come nell’esem-pio, sia di precisare informazioni lessicalmente ambigue o generiche.Fin dal suo nascere, la psicolinguistica cognitivista ha dedicato mol-ta attenzione allo studio dei meccanismi di interpretazione delle pa-role, mettendo in luce fenomeni fino a quel momento poco noti otrascurati. Nelle pagine seguenti prenderemo brevemente in esamei risultati più importanti conseguiti nel corso di questa ricerca. Con-sidereremo, in particolare, i tre fenomeni che hanno maggiormenteattratto l’interesse dei ricercatori, e cioè l’ambiguità lessicale, la fles-sibilità semantica e l’instanziazione di termini generici. Quindi, nel-le conclusioni, discuteremo brevemente che cosa questi lavori, ormaiclassici, consegnano alla ricerca contemporanea e quali sono i temiche oggi, sulla scia delle conoscenze acquisite, si possono finalmen-te cominciare ad affrontare.

2. L’ambiguità lessicale

L’ambiguità lessicale è il fenomeno per cui una stessa forma fonolo-gica od ortografica (ad esempio, merlo) viene impiegata in una lin-gua per denotare entità distinte (‘un tipo di uccello’ e ‘una strutturaarchitettonica’). In linea di principio occorrerebbe distinguere fraparole fonologicamente ambigue, nel qual caso si parla di omofonia,e parole ortograficamente ambigue, nel qual caso si parla di omo-grafia. In lingue come l’inglese, omofonia e omografia sovente noncoincidono. Ad esempio, /sUn/ è una forma omofona che significa‘figlio’ oppure ‘sole’ a cui non corrisponde ambiguità ortografica(son vs. sun); al contrario, bass è un omografo che pronunciato /beıs/significa ‘chitarra basso’ e pronunciato /bæs/ significa ‘spigola’. Main una lingua come l’italiano, in cui il rapporto fra fonologia e orto-grafia è trasparente, le parole omofone sono spesso anche omografe(si vedano i capitoli di Laudanna e di Peressotti e Job in questo vo-lume). Per gli scopi di questo capitolo la distinzione fra omofonia e

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renze nell’accesso a questi significati, dando priorità al recupero deisignificati più frequenti.

La filosofia espressa dalla terza classe di modelli classici è non-modulare e fa propria l’idea che i processi lessicali possano essere in-fluenzati da informazioni extra-lessicali (Glucksberg, Kreuz e Rho1986; Simpson e Krueger 1991; Swinney e Hakes 1976; Vu, Kellas ePaul 1998). Secondo questi modelli, detti ad accesso selettivo, in as-senza di un contesto che dia indicazioni sull’interpretazione appro-priata, viene recuperato prima il significato dominante della parolaambigua. Tuttavia, la presenza di chiare informazioni sul significatocontestualmente appropriato di una parola ambigua può dare luogoall’accesso selettivo solo di quel significato, anche se si tratta del si-gnificato subordinato.

Sul piano empirico, molte ricerche hanno mostrato l’alto gradodi autonomia del processo di accesso lessicale, giustificando il fortecredito di cui ha goduto per molto tempo, presso la maggior partedei ricercatori, l’ipotesi dell’accesso esaustivo. D’altra parte, un nu-mero sempre crescente di risultati ottenuti in laboratori diversi hamesso in luce come, per quanto fortemente autonomo, il processo diaccesso non sia completamente cieco a informazioni extra-lessicali(Dopkins, Morris e Rayner 1992; Tabossi 1988b; Tabossi, Colomboe Job 1987). Considerati complessivamente, i risultati di questi lavo-ri danno sostegno a modelli ibridi, secondo cui dominanza e conte-sto hanno entrambi un ruolo rilevante nel processo di risoluzionedell’ambiguità lessicale. Il significato dominante di una parola am-bigua viene sempre attivato indipendentemente dal contesto; ma ilcontesto può influenzare il processo fin dai primi stadi dell’accessolessicale, facendo sì che il significato subordinato possa o non esse-re attivato o non raggiungere mai un livello di attivazione capace dicompetere col significato dominante. Su posizioni di questo tipo,poco condivise per diversi anni, sta ora convergendo larga parte deiricercatori, inclusi coloro che, inizialmente su posizioni strettamen-te modulari (Rayner e Frazier 1989), hanno successivamente ab-bracciato punti di vista più aderenti ai dati empirici (Dopkins et al.1992).

3. La flessibilità semantica

Il fenomeno della flessibilità semantica può facilmente essere illu-strato per mezzo di un esempio. Considerate le frasi che seguono:

terpretazione. È a questo punto che i significati recuperati vengonoconfrontati col significato della frase in cui compare la parola ambi-gua e viene selezionato il significato contestualmente pertinente(Onifer e Swinney 1981; Swinney 1979; Seidenberg, Tanenhaus, Lei-man e Bienkowski 1982).

In relazione al dibattito sull’organizzazione funzionale del sistemacognitivo in generale e del sistema lessicale in particolare – dibattitoche animava le discussioni degli scienziati cognitivi negli anni di mag-gior sviluppo degli studi sull’ambiguità – l’ipotesi esaustiva aveva unpunto di vista rigidamente modulare: l’accesso iniziale al lessico nonè sensibile a effetti di contesto (Fodor 1983; Forster 1979).

Un’altra caratteristica di quest’ipotesi è di assumere che l’acces-so sia insensibile anche ai cosiddetti effetti di dominanza. Con que-sto termine ci si riferisce al fatto che la maggior parte delle paroleambigue viene usata più comunemente in un’accezione (quella do-minante, appunto) che nella o nelle altre (subordinate). La parolamerlo, ad esempio, si incontra più frequentemente nel significato di‘uccello’ che non nel significato di ‘struttura architettonica’; il signi-ficato zoologico è dunque quello dominante, mentre il significato ar-chitettonico è quello subordinato. Gli effetti di dominanza, che ri-guardano esclusivamente l’organizzazione interna del lessico, distin-guono l’ipotesi esaustiva da un’altra famiglia di ipotesi, la cui primaformulazione è stata offerta da Hogaboam e Perfetti (1975). Secon-do il modello di questi autori, detto a ricerca ordinata, i significati diuna parola ambigua vengono recuperati sequenzialmente, indipen-dentemente dal contesto, a partire dal più frequente. Se il significa-to recuperato è congruente col contesto, la ricerca termina; se inve-ce non è congruente, viene recuperato il secondo significato in ordi-ne di frequenza. Se anche questo risulta non congruente col conte-sto, viene recuperato il terzo, e così via fino a che non viene recupe-rato un significato congruente.

Un punto di vista analogo a quello di Hogaboam e Perfetti (1975)è stato sostenuto in anni più recenti anche da Rayner e colleghi, chehanno denominato la loro proposta iinntteeggrraattiioonn mmooddeell (Rayner eFrazier 1989). Anche questa famiglia di modelli, come il modelloesaustivo, fa propria una visione modulare del lessico, secondo cui imeccanismi di accesso non possono essere influenzati da informa-zioni extra-lessicali, quali il significato di una frase. Ma, a differenzadell’ipotesi esaustiva, questi modelli ammettono che la frequenza re-lativa dei diversi significati di una parola ambigua imponga diffe-

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vano alla mente la proprietà su cui verteva la domanda (ad esempio,The fire protected/warmed the soldiers in the winter «Il fuoco proteg-geva/riscaldava i soldati in inverno»; Tabossi 1982).

Non tutte le proprietà, tuttavia, sono ugualmente suscettibili dieffetti di contesto. Proprietà che sono centrali nell’uso tipico di unoggetto vengono incluse nella rappresentazione di una frase chemenziona l’oggetto, indipendentemente dall’enfasi della frase, men-tre proprietà che sono periferiche tendono a venire rappresentatesoltanto quando vengono rese salienti dalla frase (Greenspan 1986).

I lavori considerati fino a qui sono coerenti con l’ipotesi che soloalcuni aspetti del significato di una parola vengono impiegati nella co-struzione della rappresentazione mentale del significato della frase incui compare la parola, e la selezione di questi aspetti è funzione, fra lealtre cose, del contesto linguistico e della centralità delle proprietà delreferente denotato dal nome. Essi, tuttavia, non esplorano la naturadei processi che danno luogo a questi fenomeni. Si può ipotizzare chela selezione delle proprietà contestualmente rilevanti sia il risultato diprocessi lessicali, che hanno luogo al momento del recupero del-l’informazione semantica dal lessico mentale, o che invece sia il risul-tato di processi post-lessicali che avvengono in una fase successiva aquella dell’accesso. Il problema è analogo a quello che abbiamo con-siderato nel paragrafo precedente in relazione ai meccanismi di riso-luzione dell’ambiguità lessicale, anche se ha ricevuto attenzione assaiminore da parte dei ricercatori. Uno dei rari studi dedicati all’argo-mento è un vecchio lavoro di Potter e Faulconer (1979): i partecipan-ti ascoltavano frasi in cui il nome target (ad esempio, house) poteva es-sere preceduto o meno da un aggettivo (ad esempio, burning). Imme-diatamente dopo aver sentito il nome, i partecipanti vedevano un di-segno che rappresentava o un tipico esemplare dell’oggetto denotatodal nome, ad esempio una tipica casa, oppure l’oggetto modificato inaccordo con l’aggettivo, ad esempio una casa in fiamme, o un ogget-to diverso, ad esempio una bandiera. Il loro compito era di premereun pulsante il più velocemente possibile ogniqualvolta il disegno cor-rispondeva alla parola target. I risultati mostrarono che i partecipan-ti erano più veloci quando la figura era modificata piuttosto che quan-do compariva in forma tipica.

Consistenti con questi risultati sono quelli ottenuti da Tabossi(1988a) in uno studio in cui le persone ascoltavano una frase che fini-va con un nome (ad esempio, lepre) e immediatamente dopo vedeva-no un target che denotava un aspetto del significato del nome (ad

(3)a L’uomo sollevò il pianoforte

(3)b L’uomo accordò il pianoforte

Barclay, Bransford, Franks, McCarrell e Nitch (1974) mostraro-no che se ad una persona il cui compito è ricordare la frase (3)a vie-ne dato un aiuto, l’aiuto è più efficace se è «qualcosa di pesante»piuttosto che «qualcosa di musicale», mentre succede il contrario sela persona deve ricordare la frase (3)b.

Fra le informazioni che sono a disposizione di una persona checonosce il significato della parola pianoforte è sicuramente incluso ilfatto che l’oggetto denotato da quel nome è uno strumento musica-le ed è molto pesante. Le due proprietà, però, non sono egualmenterilevanti in (3)a e (3)b. Ciò che lo studio di Barclay et al. (1974) met-te in luce è che il significato di una parola come pianoforte viene co-dificato in maniera diversa nei diversi contesti, viene cioè interpre-tato in maniera differente. Di qui la diversa efficacia dei due aiuti.L’espressione flessibilità semantica fu introdotta proprio da Barclayet al. per riferirsi all’uso selettivo di diversi aspetti del significato diuna parola nel processo di comprensione di una frase. Il fenomenofu inizialmente studiato da Barclay e colleghi sulla scia del principiodella specificità della codifica, proposto da Tulving in relazione aimeccanismi di memoria (Tulving 1974), ed ebbe l’importante fun-zione di sottolineare la rilevanza dei meccanismi interpretativi coin-volti nella comprensione del linguaggio, secondo gli allora nuoviorientamenti teorici della neonata scienza cognitiva.

A partire da quel lavoro, diversi altri studi sono stati condotti al fi-ne di precisare i processi coinvolti nel fenomeno illustrato da Barclaye colleghi (Barsalou 1982; Tabossi 1982; Tabossi e Johnson-Laird1980). In uno di questi studi, per esempio, i partecipanti rispondeva-no a una domanda su una proprietà di un oggetto o di una sostanza(ad esempio, Is fire hot? «Il fuoco è caldo?») dopo aver letto una fra-se che menzionava l’oggetto o sostanza e rendeva saliente una dellesue proprietà. I risultati mostrarono che le risposte erano più velociquando la frase rendeva saliente la stessa proprietà della domandapiuttosto che una diversa proprietà (ad esempio, The fire protected thesoldiers in the winter «Il fuoco proteggeva i soldati in inverno» vs. Thefire dispelled the darkness in the night «Il fuoco fugava l’oscurità nel-la notte». Inoltre, non c’era differenza nell’efficacia della frase a se-conda che contenesse o meno parole che individualmente richiama-

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A prima vista, questi risultati sembrano far pensare a effetti tutti po-st-lessicali nel processo di interpretazione, ma occorre osservare che indiverse delle frasi impiegate nello studio il contesto precedente il no-me (ad esempio, The man used the... «L’uomo usò il...») non dava al-cuna indicazione utile circa la proprietà saliente del nome (ad esem-pio, legname), che diveniva evidente solo dopo il recupero del nome(ad esempio, oak «quercia»). In queste circostanze, non è sorpren-dente che effetti precoci di interpretazione non siano stati trovati.

4. L’instanziazione

Se qualcuno ci dice di andare a prendere il contenitore in cui si trovala Coca Cola, con tutta probabilità andremo a cercare una bottiglia,oppure una lattina o una caraffa; ma se la stessa persona ci chiede diandare a prendere il contenitore in cui si trovano le mele, ciò che cer-cheremo sarà invece un cesto o qualcosa di simile. L’esempio è trattoda un noto studio di Anderson e Ortony (1975), i quali dimostraronoche se ai partecipanti veniva richiesto di ricordare frasi come

(5)a Nel contenitore c’erano mele

(5)b Nel contenitore c’era Coca Cola

bottiglia aiutava maggiormente il ricordo di (5)a che di (5)b, mentreera vero il contrario per cesto.

L’esempio illustra il fenomeno che con un brutto anglicismo sichiama instanziazione.

In psicologia cognitiva con questo termine ci si riferisce general-mente al fatto che in diverse occasioni le persone operano processidi specificazione (Nosofsky 1991; Rips 2000). Wisniewski (1998), adesempio, ha mostrato come il trasferimento di una proprietà da unconcetto ad un altro abbia luogo non per semplice copiatura, ma at-traverso un meccanismo di instanziazione che permette di aggiusta-re la proprietà alle caratteristiche del nuovo concetto. Così, la pro-prietà tipica delle zebre di essere a strisce, se si trasferisce a un ca-vallo-zebra viene instanziata in modo diverso da come viene instan-ziata nel caso di una vongola-zebra.

Nell’ambito degli studi psicolinguistici sulla comprensione, il fe-nomeno dell’instanziazione è stato studiato tradizionalmente in re-

esempio, veloce). Il loro compito era di premere un pulsante il più ve-locemente possibile se il target era una parola dell’italiano. La frasepoteva rendere saliente la proprietà denotata dal target (ad esempio,Il cane rincorse invano senza raggiungerla una lepre), oppure renderesaliente un’altra proprietà (ad esempio, Il ristorante offriva insieme adaltra cacciagione una lepre), oppure ancora non rendere saliente alcu-na proprietà (ad esempio, Il documentario mostrava insieme ad altrianimali una lepre). I risultati mostrarono che le risposte erano più ve-loci dopo la frase che rendeva saliente la proprietà denotata dal tar-get, avevano un tempo intermedio dopo la frase neutra e avevano iltempo più lungo dopo la frase che rendeva saliente un’altra proprietà.

Mentre questi lavori suggeriscono un effetto immediato del con-testo sull’interpretazione di una parola, uno studio di Whitney,McKay, Kellas e Emerson (1985) sembra condurre a conclusioni di-verse. In questo studio i partecipanti ascoltavano una frase che ren-deva saliente una proprietà centrale o periferica del significato del-l’ultima parola della frase (ad esempio, trout, trota), oppure era unafrase di controllo, come nell’esempio che segue:

(4)Proprietà centrale The boy skinned the trout/Il ragazzo spellò la (‘ha squame’) trotaControllo The boy skinned his knees/Il ragazzo si sbuc-

ciò le ginocchia

Proprietà periferica The boy dropped the trout/Il ragazzo fece ca-(‘è scivolosa’) dere la trotaControllo The boy dropped the milk/Il ragazzo fece ca-

dere il latte

Dopo 0, 300 o 600 millisecondi (ms.) dalla fine della frase, i par-tecipanti vedevano un target visivo che denotava la proprietà cen-trale o periferica del nome. Il target era scritto in inchiostro il cui co-lore doveva essere denominato dai partecipanti. I risultati mostraro-no che a 0 ms. entrambe le frasi che rendevano salienti le proprietàdel nome producevano interferenza su entrambi i target, mentre a300 e 600 ms. la proprietà centrale continuava a produrre interfe-renza indipendentemente dal contesto da cui era preceduta, ma laproprietà periferica produceva interferenza solo dopo il contestoche la rendeva saliente.

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in cui questo significato viene interpretato in contesto. In alternati-va all’ipotesi della polisemia, Garnham (1979) ha proposto che ciòche accade durante la comprensione di una frase che include un ter-mine generico è che chi legge, o ascolta, possa usare la propria co-noscenza del mondo e, sulla base di questa, possa fare un’inferenzaper cui se un contenitore contiene mele, questo contenitore è pro-babilmente un cesto. Secondo questa ipotesi, gli studi sull’instanzia-zione riflettono il fatto che le persone comunemente fanno inferen-ze relative al referente dei termini generici, senza che questi debba-no essere considerati polisemici.

5. Conclusioni

Ambiguità, flessibilità e instanziazione dei termini generali sono i fe-nomeni che hanno ricevuto maggior attenzione da parte degli psi-colinguisti nell’ambito degli studi sugli effetti del contesto sull’in-terpretazione delle parole, ma non esauriscono la ricerca sul tema.Considerate, ad esempio, le espressioni seguenti: a) un grattacielo al-to; b) un bambino alto. Esse hanno la medesima struttura sintattica edunque il loro significato si ottiene attraverso l’applicazione dellemedesime regole. Si potrebbe forse credere che l’aggettivo alto, checompare in entrambe le espressioni, apporti il medesimo contribu-to di significato in (a) e (b). Tuttavia, mentre in (a) alto si riferisce adun’altezza la cui misura può essere indicata in termini di metri, in (b)si riferisce ad un’altezza dell’ordine di centimetri. Evidentemente, lacorretta interpretazione delle due espressioni richiede più che lasemplice composizione del significato di alto una volta con gratta-cielo e una volta con bambino. Infatti, a seconda del significato delnome con cui si combina è necessario che chi comprende l’espres-sione sia in grado di scegliere appropriatamente la classe di riferi-mento, ad esempio i bambini di sei anni o gli edifici, rispetto allaquale va compreso il significato di alto.

Parole come alto oppure molto vengono considerate vaghe damolti autori, nel senso che hanno un unico significato, ma i confinidi questo significato non sono precisi e cambiano nei diversi conte-sti (Chierchia 1997). Anche per queste parole, studi psicologici han-no mostrato effetti di interpretazione. Ad esempio, se si chiede aduna persona di giudicare se il rosso nella frase «La moto rosso fuo-co correva lungo la strada» sia più, meno o altrettanto rosso del ros-so nella frase «La pelle era rossa a causa del troppo sole», si osserva

lazione ai cosiddetti termini generici. Sebbene nozioni come generi-co, vago, indeterminato, sfocato (fuzzy) vengano impiegate con ac-cezioni spesso diverse, dando luogo a non poca confusione, c’è uncerto accordo fra i ricercatori nel ritenere che la nozione di generi-cità si riferisce al fatto che il significato di un’espressione non speci-fica certi dettagli (Zhang 1998): il significato di città, ad esempio, ègenerico, dal momento che non specifica se una città è grande o pic-cola, antica o moderna, ecc. Ovviamente, mentre praticamente tut-te le espressioni lasciano qualcosa di non specificato, il loro grado digenericità può variare di molto. È del tutto intuitivo, ad esempio, cheil significato di contenitore è più generico di quello di bottiglia o ce-sto. Ciò corrisponde al fatto che tra i concetti che hanno relazioniiponomiche, il sopraordinato è più generale del subordinato: pesce èpiù generico di squalo o triglia, cibo è più generico di carne o pesce,mobili è più generico di tavolo o comodino, utensile è più generico dimartello o cacciavite, ecc.

Usando relazioni di questo genere, fenomeni di instanziazionesono stati osservati non solo con nomi come contenitore (Anderson,Pichert, Goetz, Schallert, Stevens e Trollip 1976), ma anche con ver-bi. Cucinare è più generico di friggere, e una frase come «La massaiacucinava le patatine» suggerisce che la signora stesse friggendo le pa-tatine. Ci si dovrebbe dunque aspettare che il ricordo della frase do-vrebbe risultare più facilitato da un aiuto come friggeva che da unaiuto come cucinava. Questo è appunto ciò che ha ottenutoGarnham (1979), il quale ha anche fatto l’ipotesi che il fenomenodell’instanziazione rifletta meccanismi relativi al modo in cui le per-sone codificano mentalmente il significato di una frase all’atto dellacomprensione, anziché processi che hanno luogo nel momento incui si chiede ai partecipanti di ricordare il materiale precedente-mente compreso.

Quanto alla natura di questi processi, Anderson e colleghi ipo-tizzarono che l’instanziazione fosse il risultato di un processo di se-lezione. I termini generici, a parere di questi autori, sarebbero for-temente polisemici, avrebbero cioè un grande numero di significatidiversi e il contesto permetterebbe di specificare quale di questi si-gnificati è di volta in volta rilevante (Anderson e McGaw 1973).Questa spiegazione, però, contrasta con l’intuizione che il significa-to di contenitore, ad esempio, non include ‘cesto’ e ‘bottiglia’. In al-tri termini, il fenomeno non sembra riguardare tanto la rappresen-tazione mentale del significato dei termini generici, quanto il modo

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dei diversi sottosistemi cognitivi non può essere concepita come as-soluta, anche se la capacità di questi sottosistemi di svolgere le pro-prie elaborazioni autonomamente è in genere molto elevata.

Infine, le ricerche considerate hanno avuto una parte importan-te nel modificare la visione tradizionale, e a lungo dominante, se-condo cui nel linguaggio fenomeni come ambiguità, vaghezza, inde-terminatezza sono eccezioni in un sistema in generale libero da im-perfezioni di questo tipo. Gli studi sull’interpretazione delle parolehanno ampiamente contribuito a modificare questo atteggiamento,mettendo in luce l’importanza per il sistema linguistico di disporredi meccanismi sufficientemente flessibili da permettere alle personedi riferirsi efficacemente all’infinita varietà e molteplicità del reale.

Questi modelli restano tutt’oggi un punto di partenza impre-scindibile nella ricerca sull’organizzazione mentale dei significati,che, dopo il grande impulso degli anni a cui risale la maggior partedelle ricerche riportate in questo capitolo, hanno subito una battu-ta d’arresto fino a riprendere oggi con grande vigore, parallelamen-te agli studi sulla produzione del linguaggio.

Insieme all’accento sul processo di produzione, la ricerca contem-poranea sta mettendo in luce la grande disparità esistente fra le cono-scenze che abbiamo in relazione all’organizzazione mentale dei signi-ficati dei nomi e quella di altre parole, in particolare dei verbi. È notoche i verbi, e più in generale le parole che denotano azioni, hanno unastruttura semantica assai complessa, che richiede la precisazione, oltreche del nucleo di significato, anche di informazioni relative al tipo diazione di cui si parla e/o al tipo di entità che devono partecipare all’a-zione. Ad esempio, un verbo può denotare uno stato, come sapere, op-pure un’attività, come guardare (Sanz 2001), e l’azione che specificapuò richiedere che esista un agente che la compie un tema, come in«Mario osserva il tramonto» (Grimshaw 1990). La precisa caratteriz-zazione di questi tipi di azioni e il loro rapporto con la specificazionedei ruoli tematici coinvolti nelle azioni e con il comportamento sintat-tico del verbo sono oggetto di complesse discussioni fra i linguisti, eanche dal punto di vista psicologico molti aspetti della conoscenza chei parlanti hanno di queste parole devono ancora essere chiariti. Adesempio, come sono organizzati i verbi nel nostro lessico mentale? Lateoria di Miller e Johnson-Laird (1976) è probabilmente l’ultimo ten-tativo di affrontare sistematicamente la questione, e solo di recente ledifficoltà emerse nella ricerca sperimentale sulla produzione dei verbihanno contribuito a risollevare il problema.

che i giudizi variano consistentemente a seconda dei contesti (Halff,Ortony e Anderson 1976).

Le ricerche sull’interpretazione delle parole hanno costituito unavera e propria pietra miliare in psicolinguistica e, più in generale, nel-la scienza cognitiva. Uno dei punti che questa linea di ricerca ha per-messo di esplorare e chiarire concerne i rapporti fra processi lingui-stici e processi extralinguistici, e, nell’ambito dei processi linguistici,fra meccanismi lessicali ed extra-lessicali. Si è così giunti alla conclu-sione che i meccanismi linguistici di comprensione procedono in lar-ga misura autonomamente e indipendentemente da considerazioniextralinguistiche e costituiscono la condizione necessaria per capiremessaggi linguistici. Tuttavia, la capacità linguistica non esiste isola-tamente, in astratto, ed è parte della capacità cognitiva degli esseriumani, che nel comunicare utilizzano oltre alle capacità linguisticheanche conoscenze condivise, senza le quali le informazioni linguisti-che risulterebbero incomprensibili. Secondo questa concezione, iprocessi linguistici sono un mezzo per aumentare e scambiare cono-scenze, e il punto d’arrivo del processo di comprensione di una frasenon è un oggetto linguistico, bensì una rappresentazione mentale diuno stato di cose costruita sulla base delle informazioni linguistichecontenute nella frase, ma che include informazioni non presenti nelmessaggio, bensì inferite, nonché informazioni che sono assai più spe-cifiche di quelle fornite linguisticamente (Johnson-Laird 1983).

I meccanismi che portano alla costruzione di queste rappresenta-zioni sono diversi. In alcuni casi, come nella risoluzione dell’ambi-guità o nell’interpretazione flessibile delle parole non ambigue, il pro-cesso di selezione, guidato dal contesto, può avvenire già al momen-to del recupero del significato della parola dal lessico, anche se spes-so richiedere processi post-lessicali. Nel caso dell’instanziazione, èmolto poco plausibile che il processo sia lessicale ed è molto più pro-babile che la specificazione avvenga attraverso meccanismi di infe-renza. Non va dimenticato, infine, che la quantità di inferenze trattedurante la comprensione di un messaggio linguistico può essere an-che molto ridotta, e comunque varia grandemente in funzione del gra-do di comprensione del messaggio stesso (Whitney e Kellas 1984).

Quanto al contributo che la ricerca sull’interpretazione conte-stuale delle parole ha dato alla concezione corrente dell’architetturadel sistema cognitivo, non si può dimenticare il ruolo del tutto spe-ciale svolto dagli studi sull’ambiguità, i cui esiti sono risultati deter-minanti nel permettere l’affermazione dell’idea che l’impermeabilità

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11.

Sintassi: le strutturedi Luigi Rizzi

1. Introduzione

Questo capitolo riguarda «le strutture della sintassi». Era questo il ti-tolo del lavoro che ha fondato lo studio moderno della sintassi, dandoil via a mezzo secolo di studi teorici e descrittivi (Chomsky 1957). Il pro-blema fondamentale che questo approccio cerca di affrontare è quellodella creatività governata da regole che caratterizza le nostre capacitàlinguistiche. Qualunque parlante produce e riceve continuamente, nelsuo normale uso del linguaggio, enunciati in cui non si è mai imbattutonella sua precedente esperienza linguistica; eppure non ha difficoltà agestire e integrare tali oggetti per lui nuovi. Inoltre, le capacità lingui-stiche si esplicano su un dominio illimitato di enunciati possibili: a par-te le limitazioni estrinseche di tempo, memoria, energia, ecc., non c’èalcun intrinseco limite superiore alla lunghezza di un enunciato. Qualè la natura di questa capacità caratteristica della nostra specie?

Per meglio definire il problema bisogna partire dall’osservazioneche il linguaggio è suono con senso. O meglio, se vogliamo estenderela definizione alle lingue dei segni, che condividono con le lingue ora-li le fondamentali caratteristiche computazionali profonde, il lin-guaggio è gesto articolato (percepibile acusticamente, visivamente,ecc.) con senso. Per brevità, continuerò a parlare di «suono» in quan-to segue, ma l’espressione va interpretata estensivamente in modo daadattarsi a sistemi linguistici che usano altre modalità. Dunque, quan-do sappiamo una lingua dobbiamo avere un metodo per

(1)a rappresentarci internamente i suoni(1)b rappresentarci internamente i sensi(1)c correlare rappresentazioni di suono e di senso su un dominio

illimitato

Una di queste difficoltà riguarda proprio gli effetti del contesto e lanecessità di ridefinire la natura di questi effetti in relazione ai mecca-nismi di produzione dei verbi. Infatti, una caratteristica dei verbi, inparticolare dei verbi transitivi, è di esprimere relazioni fra entità. Inscrivere, ad esempio, c’è qualcuno che scrive e qualcosa che viene scrit-to e la realizzazione di queste entità fa sì che l’azione di scrivere possapartecipare a domini concettuali diversi. Così, se ciò che viene scrittoè un tema, l’azione fa parte del dominio concettuale dello studiare,mentre se ciò che viene scritto è una lettera, l’azione fa parte del do-minio concettuale del comunicare. Lavori recenti sembrano metterein luce l’importanza di questi contesti, costituiti dalla specificazionedegli argomenti del verbo, nel determinare il dominio concettuale delquale il verbo viene a far parte e che ne determina i potenziali compe-titori durante il processo di produzione (Tabossi e Collina, inviato perla pubblicazione). Ma in che rapporto sta il significato di scrivere conle specificazioni che derivano dalla realizzazione dei suoi argomenti?In altri termini, qual è la relazione fra le nostre conoscenze semantichesui verbi e le nostre conoscenze di eventi complessi che includono azio-ni denotate da quei verbi? Il problema delle relazioni fra organizza-zione concettuale e semantica non è ristretto ai verbi, ma certo assumeproporzioni molto maggiori con i verbi che con i nomi, e in particola-re con i verbi transitivi, proprio in ragione della loro natura relaziona-le. Non è un caso, infatti, che se il fenomeno dell’ambiguità, almeno initaliano, è assai più diffuso con i nomi che con i verbi, i verbi hanno ungrado maggiore di indeterminatezza dei nomi: mentre il numero me-dio di interpretazioni dipendenti dal contesto in cui può essere usatoun nome è 3,82, nel caso dei verbi la media è 4,60, che diventa 5,37 peri verbi transitivi (Marzinotto 2001). È proprio questa indeterminatez-za che ci permette di produrre e capire senza difficoltà frasi come «Ma-rio prese la palla» e «Mario prese il raffreddore»: gli oggetti fornisco-no un contesto rispetto al quale il significato indeterminato di prende-re può facilmente venire specificato.

La rappresentazione mentale dei verbi e il loro processo di pro-duzione sono (ri)entrati solo da poco nell’agenda della ricerca psi-colinguistica, ma l’interesse che stanno suscitando è ampio e non èimprobabile che la loro chiarificazione possa costituire il prossimotassello nel complesso puzzle di ciò che sappiamo sul modo in cui iparlanti usano e interpretano le parole della propria lingua.

204 Il linguaggio. Strutture linguistiche e processi cognitivi

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lo stesso senso in cui, per esempio, è isolabile il sistema circolatorio),dovranno esserci delle interfacce attraverso cui la facoltà di linguag-gio scambia informazione con altri sistemi che costituiscono l’indivi-duo. Se il linguaggio è suono con senso, almeno due interfacce vannopostulate: la forma fonetica (FF), espressione delle pronunce (o, piùgeneralmente, delle articolazioni gestuali) possibili, in contatto con isistemi sensomotori dell’articolazione e della percezione; e la formalogica (FL), rappresentazione del significato per quanto esso è deter-minato dal lessico e, composizionalmente, dalle computazioni lingui-stiche, interfaccia in contatto con i sistemi di pensiero (dei concetti,delle intenzioni, ecc.) indipendenti dal linguaggio.

Nei modelli che si sono imposti, la sintassi ricorsiva è il motorecentrale del sistema, calcolando ed associando rappresentazioni diinterfaccia FF e FL:

(4) FF � Sintassi � FL

Nei modelli standard, quali la teoria dei principi e parametri clas-sica (Chomsky 1981), ed anche nella prima fase del minimalismo(Chomsky 1995), la sintassi computa strutture frasali complesse nel-la loro interezza, e tali strutture sono quindi inviate all’interpreta-zione fonetica e semantica, rispettivamente. Nelle versioni minima-liste più recenti (Chomsky 2001), la computazione avviene in fasi(grosso modo le unità proposizionali semplici): al termine di ogni fa-se la struttura computata viene inviata all’interpretazione fonetica(spell-out) e semantica, e quindi la computazione sintattica riprendee continua alla fase successiva, ciclicamente.

2. Le strutture

Vari meccanismi sono stati proposti per trattare la generazione distrutture in mezzo secolo di grammatica generativa, dai sistemi di ri-scrittura indipendenti e dipendenti dal contesto, alla teoria X-bar-ra. Il minimalismo propone il distillato ultimo della computazionericorsiva nell’operazione di merge (fusione). Dati due elementi A eB (elementi tratti dal lessico, oppure oggetti sintatticamente com-plessi ottenuti da precedenti applicazioni della fusione), li si puòfondere creando un terzo elemento di cui essi siano i costituenti im-mediati:

Una prima approssimazione al problema è di ammettere che ilparlante possieda un lessico mentale costituito di segni a due facce,associazioni di suono e senso (si vedano i capitoli di Berruto e di Pe-ressotti e Job in questo volume). Ma questo non basta per renderconto della capacità illimitata di costruire enunciati: dobbiamo an-che postulare il possesso di un insieme di procedimenti (regole, mec-canismi computazionali, ecc.) che consentano al parlante di metterinsieme elementi del lessico per costruire entità di ordine superiore,sintagmi, frasi, frammenti di discorso. Abbiamo, quindi, un model-lo costituito almeno dai seguenti elementi:

(2)a Lessico(2)b Computazioni(2)c Interfacce

Il lessico mentale è un insieme finito di segni associanti suoni e sen-si; è esso stesso altamente strutturato in modo analogo a (2), in quantoinclude inventari sub-lessicali organizzati sistematicamente e gerarchiz-zati su più livelli (fonemi, morfemi, ecc.), e computazioni interne al si-stema lessicale per la formazione di parole complesse. La fonologia e lamorfologia si occupano di questi livelli di organizzazione sub-lessicale.

Le computazioni sintattiche (2)b determinano come gli elemen-ti del lessico si possano unire per dar luogo a unità più ampie, e so-no formalmente caratterizzate dalla loro natura ricorsiva. La ricorsi-vità è la caratteristica saliente di due capacità fondamentali, le capa-cità linguistiche e di calcolo, che sembrano essere prerogativa unicadella nostra specie nel regno animale. La ricorsività, nella sua essen-za, è la capacità di «aggiungere uno»; nel caso del linguaggio, di ag-giungere un sintagma che può essere parte di un’unità più grande delmedesimo tipo. Esempi di strutture ricorsive nella sintassi delle lin-gue naturali sono i seguenti:

(3)a [La copertina [di [un fascicolo [ di [una rivista [di [una asso-ciazione [di [specialisti [ di...]]]]]]]]]]

(3)b [Piero crede [ che [ la gente pensi [ che [ il presidente abbiadetto [che...]]]]]]

(3)c [Hanno recensito [un libro [che parlava di [un argomento[che ha preoccupato [le persone [che...]]]]]]]

Nell’ipotesi non scontata, ma plausibile per molte ragioni, che illinguaggio rappresenti un sistema isolabile nella mente/cervello (nel-

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Ho adottato qui il formalismo della cosiddetta struttura sintag-matica nuda (bare phrase structure) del programma minimalista. Nel-la più tradizionale notazione X-barra (Chomsky 1970; Jackendoff1977), la struttura sarebbe

Quanto all’etichetta del pezzo di albero sintattico creato, essacorrisponderà a quella dell’uno o dell’altro dei due elementi fusi; l’e-lemento in questione proietta la sua categoria, ed è la testa della con-figurazione.

I sintagmi si costruiscono per applicazioni successive della fusione.Nel caso di espansione massimale, la testa del sintagma si combina tipi-camente con due sorte di elementi: il complemento selezionato dalla te-sta (che negli esempi seguenti è sempre un sintagma preposizionale, mapotrebbe essere un sintagma nominale, o una frase) e lo specificatoredelsintagma (che negli esempi seguenti è un quantificatore o avverbio espri-mente una quantificazione, ma potrebbe corrispondere a varie catego-rie sintattiche)1 (si veda il capitolo di Marotta di questo volume):

(6) NP: molte foto di MariaVP: sempre parlato di questa storia AP: poco contento del risultatoPP: proprio accanto a Maria

SPEC TESTA COMPLEMENTO

Vi sono buone ragioni per ritenere che la testa si combini dappri-ma con il complemento e l’unità testa-complemento si unisca, quindi,allo specificatore. Che la struttura sia effettivamente (7)a, e non (7)b,

(7)a [ SPEC [TESTA COMPL ] ](7)b [ [ SPEC TESTA ] COMPL]

è suggerito da numerose asimmetrie tra specificatore e complemen-to, per esempio il fatto che uno specificatore può legare un riflessi-vo in posizione di complemento (per esempio nel sintagma nomina-le in inglese), ma non viceversa:

(8)a John’s picture of himself‘John-di foto di se stesso’ la foto di John di se stesso

(8)b * Himself’s picture of John‘se stesso-di foto di John’

Siccome sappiamo, per ragioni indipendenti, che un elementopuò legarne un altro quando lo c-comanda2, i fatti di (8) seguono sela corretta struttura del sintagma è (7)a, mentre (7)b predirebbe fat-ti opposti a quelli empiricamente osservati. La struttura assegnata alsintagma nominale Molte foto di Maria è dunque la seguente:

208 Il linguaggio. Strutture linguistiche e processi cognitivi 11. Sintassi: le strutture 209

1 Utilizzo le etichette categoriali della notazione internazionale, basata sull’ingle-se: NP = Noun Phrase (sintagma nominale); VP = Verb Phrase (sintagma verbale);AP = Adjective Phrase (sintagma aggettivale); PP = Prepositional Phrase (sintagmapreposizionale); DP = Determiner Phrase (sintagma determinante); T = Tense, TP =Tense Phrase (sintagma temporale); C = complementatore; CM = Class Marker (mar-catore di classe); CP = Complementizer Phrase (sintagma complementatore); Agr =Agreement (accordo), AgrS = accordo soggetto, AgrO = accordo oggetto; Asp =Aspect (aspetto); Hab = Habitual (aspetto abituale); Freq = Frequentative (aspettofrequentativo); Fin = Finiteness (finitezza); Force = forza; Foc = Focus; Top = Topic.

2 La relazione di c-comando, introdotta da Reinhart (1976), è formulabile co-me segue (cfr. Chomsky 2000):

(i) A c-comanda B se B è contenuto nel nodo sorella di ADue nodi sorelle sono quelli messi insieme dall’operazione di fusione. Quindi,

data la struttura (7)a, lo specificatore c-comanda il complemento, ma non vicever-sa. Così, per esempio, il soggetto può legare un riflessivo in posizione di comple-mento, ma non viceversa:

(ii) Gianni parla di sé(ii) * Sé parla di Gianni.

(5) A B �

A B

Q N

N

N P

P N

Molte

foto

di Maria

(9)a

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tisimmetrico di Kayne 1994, per un diverso approccio alla questio-ne). Ogni lingua sceglie l’uno o l’altro valore; ogni bambino che im-para una lingua deve determinare, sulla base dell’esperienza, qualedei cammini dati a priori è stato scelto dal sistema ai cui dati è espo-sto. L’apprendimento della lingua, quindi, è concepibile in parte co-me una operazione di fissazione dei parametri sulla base dell’espe-rienza. Greenberg (1963) aveva osservato che le lingue tendono allacoerenza nella scelta delle proprietà d’ordine: nel 90% delle linguedel suo campione, l’ordine VO (verbo-oggetto) si correla all’ordinePO (preposizione-oggetto preposizionale), mentre l’ordine OV sicorrela all’ordine OP (e la lingua ha quindi posposizioni), e vi sonoanaloghe correlazioni per altri tipi di categorie. Una fissazione uni-ca del parametro d’ordine per tutte le categorie è la scelta più sem-plice (una sola specificazione valida per tutti i tipi di sintagmi), esembra anche essere quella statisticamente non marcata.

3. Le strutture funzionali: la frase

Che statuto categoriale possiamo attribuire alle strutture frasali?Nella versione classica, la teoria X-barra veniva limitata alle catego-rie lessicali (N, V, A, P) e alle loro proiezioni, mentre la frase venivaconcepita come una struttura esocentrica, priva di testa. Dalla metàdegli anni Ottanta si è osservato che era vantaggioso restringere ul-teriormente la teoria delle strutture consentendo un unico meccani-smo di costruzione strutturale: ci sono teste che si combinano ad al-tri elementi e proiettano, e non c’è alcun altro mezzo per ottenerestruttura nelle lingue naturali. Se le strutture esocentriche non sonogenerabili, si pone il problema di identificare la testa della frase.

L’ipotesi che è stata sviluppata negli ultimi anni è che la testa del-la frase sia la specificazione temporale, presente e obbligatoria inogni frase (per lo meno nelle frasi principali). Una caratteristica sa-liente della frase principale è che la sua morfosintassi obbliga il par-lante a prender posizione sul tempo. L’evento a cui si riferisce unpredicato verbale viene necessariamente situato sull’asse temporalerispetto al momento dell’enunciazione come precedente (passato),successivo (futuro) o coincidente (presente) con tale momento (noncosì per un evento espresso da un sintagma nominale: La distruzio-ne della città da parte del nemico è una descrizione atemporale ri-spetto alla frase Il nemico distrusse / distruggerà / distrugge la città).L’idea che si è imposta è che la specificazione temporale obbligato-

In questa notazione, ogni testa proietta lo stesso schema:

210 Il linguaggio. Strutture linguistiche e processi cognitivi 11. Sintassi: le strutture 211

(9)b

QP N’

NP

Molte

Q’

Q

N PPfoto

P’

P NPdi

N’

NMaria

(10)

X’

XP

X

e le etichette distinguono la testa (X) dal costituente testa-comple-mento (X’) e da tutto il sintagma (XP), mentre tali distinzioni nonsono direttamente espresse dalle strutture nude come (9a), ma sonoalgoritmicamente desumibili (per esempio, N è testa quando domi-na direttamente un elemento, una parola singola, è sintagma com-pleto quando cessa di proiettare, ecc.). In ciò che segue si utilizze-ranno soprattutto strutture di stampo classico, la cui traducibilità intermini «nudi» è comunque immediata.

L’organizzazione gerarchica dei sintagmi sembra essere, perquanto ne sappiamo, universale. Varia invece l’ordine lineare deglielementi: in particolare, in alcune lingue la testa precede il comple-mento (italiano, inglese, ecc.), mentre in altre la testa segue il com-plemento (giapponese, turco, ecc.). La grammatica universale lasciaqui aperto un punto di scelta, o parametro (ma si veda il quadro an-

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Ma questa struttura non è morfologicamente ben formata: l’af-fisso e la radice verbale non possono sopravvivere da soli, devonocongiungersi per formare la parola complessa vede. Al fine di soddi-sfare le esigenze della morfologia, il verbo si sposta quindi alla fles-sione temporale, formando il verbo flesso, parola ben formata. La sa-lita del verbo ha un effetto morfologico, la creazione di una parolacomplessa, e un effetto sintattico: il movimento cambia l’ordine del-le parole, spostando il verbo in un’altra posizione dell’albero; il mo-vimento può avere riflessi immediatamente visibili sull’ordine delleparole, per esempio spostando il verbo flesso alla sinistra di un av-verbio. Così, (17) è derivata come indicato in (18)3:

In certe lingue è immediatamente plausibile che la specificazionetemporale funzioni sempre così: il tempo è realizzato da una particel-la morfologicamente distinta dal verbo lessicale (morfologicamenteinvariabile) e occorrente tra soggetto e sintagma verbale: per esempio,nelle lingue creole (gli esempi seguenti riguardano il giamaicano), incui la particella esprimente il presente è nulla (Durrleman 2001):

(12)a Im nuo dat‘lui PRES sa questo’

(12)b Im en nuo dat‘lui PAS sa questo’

(12)c Im wi nuo dat‘lui FUT sa questo’

Altre lingue, come l’italiano, funzionano essenzialmente in que-sto modo se il predicato lessicale è non-verbale, e quindi, data lamorfosintassi di queste lingue, incapace di supportare la morfologiatemporale. In questo caso, viene inserito un verbo grammaticale ofunzionale, la copula, che esprime il tempo:

(13) Gianni è / era / sarà [AP molto fiero di questo risultato]

Analoga strategia di ricorso ad un verbo semanticamente vuotoviene seguita quando il predicato lessicale è una forma verbale chenon esprime morfologicamente il tempo, come il participio; in tal ca-so, T viene espresso su un altro verbo funzionale, l’ausiliare:

(14) [TP NP T [VP V NP ] ]Gianni ha visto Maria

Ma in lingue come l’italiano, in altre forme verbali, il tempo nonè una parola morfologica autonoma ed è espresso da un affisso at-taccato al verbo lessicale:

(15) Gianni ved-e, -eva, -rà Maria

Seguendo la consueta intuizione-guida di uniformità attraverso lecostruzioni e le lingue, la proposta analitica è stata di ammettere chela struttura frasale sia sempre la stessa, con la posizione T realizzatacome affisso:

ria poteva essere vista come espressa da una testa sintattica autono-ma, e che tale testa aveva anche il ruolo di creare una configurazio-ne strutturale per la predicazione, prendendo il soggetto come spe-cificatore e il sintagma verbale come complemento:

212 Il linguaggio. Strutture linguistiche e processi cognitivi 11. Sintassi: le strutture 213

3 La posizione V vuotata dal movimento è la «traccia». In quanto segue, le trac-ce sono talvolta indicate con il simbolo «t», ma sono in effetti da intendersi comecopie non pronunciate dell’elemento mosso. La teoria delle tracce come copie è svi-luppata in Chomsky 1995.

(11)

NP T’

TP

T VP

(16)

NP

TP

GianniN

T VP-e

V NPved-

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In casi come (21)b non vi è alcuna morfologia udibile sul verbo,quindi è del tutto naturale che il verbo non sia attratto a T. L’ingleseha una morfologia flessiva verbale molto povera, ma non del tuttonulla: -s marca il presente alla terza persona, e -ed marca il passato.La posizione dell’avverbio rivela che neppure in questi casi il verbosi è spostato a T:

(22) John often call-s / call-ed MaryJohn spesso chiama / chiamò Mary

Quindi, in inglese, la flessione temporale povera sembra incapa-ce di attrarre il verbo, e al fine di permettere la buona formazionemorfologica si sposta essa stessa al verbo (è essenzialmente il pro-cesso di salto degli affissi, già proposto in Syntactic Structures).

È stato proposto che la capacità di T di attrarre il verbo lessicalesi correli alla ricchezza della morfologia flessiva del verbo: una fles-sione relativamente ricca, come in italiano e in francese, attira il ver-bo, una flessione povera come quella dell’inglese non è in grado difarlo, e può tutt’al più «saltare» sul verbo. Che la ricchezza del pa-radigma flessivo verbale sia crucialmente coinvolta è suggerito dalladiacronia dell’inglese, come osservato da Roberts (1993). In fasi pre-cedenti della storia della lingua, l’inglese consentiva il movimentodel verbo lessicale alla flessione temporale, come rivela la posizionedel verbo prima della negazione e di vari avverbi:

(23) If I gave not this accompt to you (1557)‘se io detti non questo conto a te’Se io non ti detti questo conto

In doleful way they ended both their days (1587)‘in doloroso modo essi terminarono entrambi loro giorni’In modo doloroso essi terminarono entrambi i loro giorni

La perdita del movimento del verbo alla flessione è plausibilmen-te legata all’impoverimento del paradigma flessivo, più ricco nelle suespecificazioni di accordo con il soggetto fino al XVI secolo.

Questi studi illustrano anche un’altra proprietà saliente dellelingue naturali: il movimento. Date strutture ad albero come (16),ecc., generate da applicazioni successive della fusione, gli elementipossono spostarsi ad altre posizioni dell’albero al fine di risolvere

(17) Gianni vede spesso Maria

(18)a Gianni T [ spesso V Maria ] � b Gianni T [ spesso V Maria ]-e ved- ved-e

La modalità di associazione di verbo e flessione varia da lingua alingua: in certe lingue (italiano, francese, ecc.) il verbo si sposta allaflessione temporale; in altre (inglese) il verbo lessicale non si sposta.Questo determina il diverso ordine dell’avverbio rispetto al verbonei due tipi di lingua: avverbi come souvent o often occupano pre-sumibilmente la stessa posizione, e possono occorrere uniforme-mente tra l’ausiliare e il participio nelle due lingue, come illustratoin (19)a-b. Ma in francese, come in italiano, il verbo lessicale flessosi sposta alla flessione temporale determinando l’ordine V Avv O di(20)a; in inglese il verbo resta nel VP, e l’ordine di superficie riflettequindi quello di base Avv V O di (21)b:

(19)a J’ ai souvent vu MarieIo ho spesso visto Marie

(19)b I have often seen MaryIo ho spesso visto Mary

(20)a Je vois souvent MarieIo vedo spesso Marie

(20)b * Je souvent vois MarieIo spesso vedo Marie

(21)a * I see often MaryIo vedo spesso Mary

(21)b I often see MaryIo spesso vedo Mary

Questo è il nucleo centrale dell’analisi di Pollock (1989), che hadato inizio ad un importante filone di studi comparativi sull’inter-faccia morfologia-sintassi. Belletti (1990) ha esteso l’analisi alle strut-ture verbali italiane.

214 Il linguaggio. Strutture linguistiche e processi cognitivi 11. Sintassi: le strutture 215

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funzioni come punto di arrivo del movimento verso la periferia sini-stra della frase che osserviamo nelle interrogative, relative, esclama-tive, ecc.

(25) Non so [con chi C [ Gianni abbia parlato ___ ]]

In effetti, mentre in italiano standard (così come in francese e in-glese standard) il sintagma preposto è incompatibile con che, in moltevarietà dialettali la cooccorrenza con l’equivalente di che è possibile:

(26)Inglese di Belfast: I wonder which book that he read

‘io mi domando quale libro che lui ha letto’

Francese del Québec: Qui que tu as vu?‘chi che tu hai visto?’

Veneziano: Cossa che la magna?‘cosa che lei mangia?’

Come nel caso di T, lo status sintattico della posizione C diventainteressante quando si prende in esame il suo ruolo potenziale comepunto di arrivo per il movimento. Diversi processi di inversione sog-getto-verbo flesso risultano naturalmente analizzabili in questi ter-mini. Consideriamo, ad esempio, l’inversione tra il soggetto e l’ausi-liare nelle interrogative principali in inglese:

(27) [ ___ ___ [ John has bought this book]]John ha comprato questo libro

[What has [ John ___ bought ___ ]] ?‘che cosa ha John comprato?’

L’interrogativa vertente su un costituente (in questo caso sull’og-getto diretto) può essere analizzata come mettente in gioco un dupli-ce spostamento verso il sistema del complementatore: T muove a Cscavalcando il soggetto, e il sintagma interrogativo muove allo Spec diC. L’inversione tra verbo flesso e soggetto clitico, in francese, può es-sere analizzata in maniera parzialmente analoga (Rizzi e Roberts 1989):

certi problemi che si pongono alla computazione linguistica. Il pro-blema che il movimento del verbo a T risolve ha a che vedere conl’interfaccia tra sintassi e morfologia: le unità della computazionesintattica (le teste sottoposte a merge) non sono esattamente coin-cidenti con le unità morfologiche (le parole). Per garantire la buo-na formazione morfologica, talvolta le teste devono muoversi edunirsi in conglomerati che la morfologia riconosca come parole benformate, per esempio, un verbo flesso. Vedremo più avanti che lemotivazioni del movimento possono essere anche di natura assai di-versa, ma lo schema generale resta lo stesso: il movimento si appli-ca per risolvere un problema, in genere per soddisfare una esigen-za post a da un sistema di interfaccia con la sintassi propriamentedetta.

4. Altre strutture funzionali: il complementatore e il determinante

Il quadro che si è venuto delineando dalla metà degli anni Ottanta èil seguente. Gli elementi della computazione sintattica, quelli chepossono fungere da teste, sottostare alla fusione e proiettare struttu-ra, sono suddivisi in due inventari: il lessico propriamente detto,composto di nomi, verbi, aggettivi, elementi dotati di contenuto de-scrittivo; e il lessico funzionale, composto di espressioni temporali,modali, aspettuali (talvolta realizzate come elementi autonomi, ta-laltra come flessioni verbali), verbi funzionali (modali, ausiliari e co-pule), complementatori, determinanti, ecc. Entrambi i tipi di ele-menti danno luogo alle stesse computazioni: possono partecipare aoperazioni di fusione, proiettano, possono muoversi, ecc. C’è unacerta divisione del lavoro in quanto gli elementi funzionali determi-nano le configurazioni strutturali in cui gli elementi lessicali e le lo-ro proiezioni vengono introdotti, fornendo il contenuto descrittivo(per esempio, T crea la configurazione per la predicazione, N e V de-scrivono il tipo di evento e i partecipanti).

In questa prospettiva, candidato naturale per la testa delle frasisubordinate è il complementatore. Si può pensare che un comple-mentatore come che prenda il TP come complemento:

(24) Credo [che [ Maria sia partita]]

Come può essere utilizzata la posizione sintagmatica di Spec diC? Una utilizzazione immediatamente plausibile è che lo Spec di C

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soggetto, un elemento avverbiale, l’oggetto diretto, ecc.) si spostanello specificatore di C:

(32)a [Hans hat [ ___ gestern ein Buch gekauft ___ ]]‘Hans ha ieri un libro comprato’

(32)b [Gestern hat [Hans ___ ein Buch gekauft ___ ]]‘ieri ha Hans un libro comprato’

(32)c [Ein Buch hat [Hans gestern ___ gekauft ___ ]]‘un libro ha Hans ieri comprato’

Il verbo secondo era apparentemente attivo, in forme un po’ di-verse, in tutte le lingue germaniche e romanze medievali. Si è mante-nuto nelle lingue germaniche moderne ad eccezione dell’inglese4,mentre tutte le lingue romanze lo hanno perso, tranne il reto-roman-cio e le connesse varietà ladine (Benincà 1994). Le lingue che hannoperduto il verbo secondo nella sua forma più generale hanno, tutta-via, mantenuto residui del processo in particolari costruzioni. I pro-cessi di inversione nelle interrogative e in altri particolari costrutti(per esempio, l’inversione negativa in inglese: Never in his life wouldJohn say that, o l’inversione con certi avverbi di frase in francese, Peut-être est-il parti, ecc.) sono riconducibili a questo schema.

Una analisi parzialmente simile a quella del verbo secondo puòessere proposta per le lingue a ordine fondamentale VSO. Tale or-dine è illustrato, per esempio, dalle lingue celtiche quali l’irlandesee il gallese.

(33) Irlandese Cheannaigh siad teach anuraidh‘Comprarono essi casa l’anno scorso’

L’esistenza stessa di lingue VSO è a prima vista assai sorprenden-te: come può darsi un ordine in cui il verbo e l’oggetto sono separatidal soggetto, e in cui quindi, apparentemente, V e O non formano uncostituente? La cosa è ancor più sorprendente quando si osserva (Mc-Closkey 1996) che molti degli argomenti normalmente indicati a so-

(28) [ ___ ___ [ il est allé où ]]‘lui è andato dove ?’

[ Où est [-il ___ allé ___]] ?‘dove è lui andato?’

È stato proposto che anche l’adiacenza obbligatoria tra il verboflesso e almeno alcuni elementi interrogativi in italiano (da cui l’im-possibilità di (29)b) sia riconducibile alla stessa analisi (Rizzi 2000,cap. 9):

(29)a [ ___ ___ [ Gianni è qui ]]

(29)b * [ Dove ___ [ Gianni è ___ ]] ?

(29)c [ Dove è [ Gianni ___ ___ ]] ?

Questi processi di inversione sono il residuo specifico di certe co-struzioni di un processo che in altre lingue, è generalizzato a tutte ledichiarative principali e ad alcuni tipi di subordinata: il verbo se-condo. Nelle strutture a verbo secondo, l’ordine degli elementi com-porta un primo costituente, seguito dal verbo flesso, seguito dal re-sto della frase:

(30) XP V+T [ ………………]

I due elementi iniziali in tale ordine sono naturalmente analizza-bili come manifestanti le due posizioni del CP: lo specificatore, riem-pito da qualsiasi sintagma della frase, e C, a cui si è mossa la testa Tcon il suo contenuto. Illustra questa proprietà il tedesco contempo-raneo. Le frasi subordinate manifestano l’ordine basico a testa fina-le a livello del VP e del TP:

(31) … dass [Hans gestern [ein Buch gekauft] hat]]‘che Hans ieri un libro comprato ha’

Nelle dichiarative principali, il sistema CP si attiva, il verbo fles-so (l’ausiliare in (32)) si sposta a C e un sintagma (che può essere il

218 Il linguaggio. Strutture linguistiche e processi cognitivi 11. Sintassi: le strutture 219

4 Sulla perdita del verbo secondo nella storia dell’inglese cfr. ancora Roberts(1993).

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In breve tempo, però, risultò chiaro che, utilizzando gli argo-menti che inducevano a scindere la flessione dal verbo si arrivava im-mediatamente alla conclusione che la struttura doveva essere più ar-ticolata. Per esempio, studiando attentamente le posizioni che il ver-bo lessicale può occupare rispetto a diversi avverbi in francese,emerge che le tre posizioni di testa espresse in (37) non sono suffi-cienti:

(35) [DP il [NP libro ] ]

Che vi sia bisogno di almeno questo livello di ricchezza struttu-rale è immediatamente reso plausibile da esempi appena più com-plessi, in cui il quantificatore tutte presumibilmente appare nelloSpec di D, mentre l’aggettivo nuove appare nello Spec di N5:

(36) [tutte [le [nuove [interpretazioni [della costituzione]]]]]

5. La flessione scissa e la cartografia

Verso la metà degli anni Ottanta, la struttura della frase era conce-pita secondo quanto è indicato dall’albero seguente:

stegno del VP (per esempio, l’esistenza di numerosissime espressioniin cui VO ha un’interpretazione idiomatica e S è composizionale, co-me Gianni ha tirato le cuoia, di contro all’assenza pressoché totale diespressioni idiomatiche SV, con O composizionale; asimmetrie di le-gamento per cui il soggetto può legare un riflessivo oggetto, ma nonviceversa, ecc.) si rivelano validi anche in queste lingue.

La possibilità che il verbo sia suscettibile di muoversi nella strut-tura funzionale della frase consente una soluzione immediata. L’or-dine di base può essere SVO (o SOV), ammettendo così un costi-tuente VP; ma il verbo flesso si sposta poi ad una testa funzionale in-dicata con X nello schema seguente (forse a C, o forse ad una testadel sistema flessivo: McCloskey 1996), determinando così l’ordinederivato VSO:

(34)a X [ SVO ] � b V+X [ S ___ O ]

Seguendo queste linee guida, una serie di proprietà apparente-mente assai diverse tra le lingue e le costruzioni (formazione di pa-role complesse come i verbi flessi, ordine del verbo e degli avverbi,ordine VSO, processi di inversione specifici di costruzioni o genera-lizzati, verbo secondo, ecc.) sono riconducibili ad un insieme moltolimitato di processi computazionali di grande generalità e semplicità:

1. le strutture sintagmatiche derivanti, in ultima analisi, dall’ap-plicazione del processo ricorsivo di fusione agli elementi sin-tattici;

2. il movimento di una testa in un’altra posizione di testa, o di unsintagma in posizione di specificatore.

Questi meccanismi si applicano uniformemente, salvo che per laparametrizzazione binaria responsabile della variazione interlingui-stica osservabile: la testa precede o segue il complemento; una datatesta funzionale attira o non attira il verbo; una data testa funziona-le attira o non attira un sintagma nel suo specificatore.

Lo stesso tipo di analisi è immediatamente estendibile alle strut-ture nominali. Se gli elementi funzionali danno luogo a proiezionisintagmatiche, ci dobbiamo attendere che anche il determinanteproietterà un proprio sintagma, il DP, prendendo come comple-mento la proiezione lessicale del nome, l’NP. La struttura di unaespressione nominale sarà quindi:

220 Il linguaggio. Strutture linguistiche e processi cognitivi 11. Sintassi: le strutture 221

5 Sulla struttura del DP cfr. Abney 1987; Cinque 1996; Giusti 1993; Longo-bardi 1994.

(37) CP

C

Spec

TP

DP

VP

V XP

T

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menti restano al loro posto in questo tipo di lingua. In lingue comel’italiano, invece, gli elementi Agr e T sono morfologicamente rea-lizzati come affissi, e quindi il verbo deve muoversi ad essi incorpo-randoli; l’incorporazione avviene nell’ordine degli affissi nella strut-tura sintattica: l’affisso più basso, T, è incorporato per primo, e quin-di la testa complessa V+T incorpora l’affisso di accordo:

(43)a Agr T V � b Agr V+T t � c V+T+Agr t t

L’ordine dei suffissi, quindi, è l’immagine speculare dell’ordinegerarchico delle rispettive teste funzionali: l’affisso più esterno cor-risponde alla posizione sintattica più alta, l’affisso più vicino alla te-sta corrisponde alla posizione sintattica più bassa e così via. È que-sto il cosiddetto mirror principle «principio dello specchio» o «prin-cipio del rispecchiamento») di Mark Baker (si veda il capitolo diThornton in questo volume):

(44) Principio dello specchio: l’ordine dei suffissi nella morfologiariflette l’ordine delle teste sintattiche (il suffisso più interno èquello più basso in sintassi, ecc.) (Baker 1988).

Una volta scissa la flessione verbale in almeno due componentipiù elementari, Agr e T, il problema della posizione del verbo ri-spetto agli avverbi in (38) può essere risolto. La struttura è

(45) C ne Agr pas T complètement comprendre la théorie…

con pas in una posizione di specificatore tra Agr e T e complètementtra T e V. Il verbo infinitivo sale facoltativamente a T, dando luogoai due possibili ordini di (38)a-b, mentre il verbo finito sale fino adAgr, scavalcando obbligatoriamente anche pas. Questa è, essenzial-mente, la teoria di Pollock (1989), ma con le teste Agr e T invertite,secondo la revisione di Belletti (1990), motivata, tra l’altro, dal prin-cipio dello specchio.

Questa linea di analisi ha dato luogo ad una mole considerevoledi lavoro descrittivo nel corso di una decina d’anni, facente riferi-mento ad un gran numero di lingue diverse. Verso la fine degli anniNovanta, questa tendenza è stata pienamente sistematizzata nel la-voro di Guglielmo Cinque (1999), che ha fornito una dettagliata ana-

(38)a X ne X pas X complètement comprendre la théorie…‘non Neg completamente capire la teoria…’

(38)b X ne X pas comprendre complètement X la théorie…

(38)c X Il ne comprend pas X complètement X la théorie

(38)d Ne comprend-il X pas X complètement X la théorie?

Il verbo infinitivo può seguire o precedere un avverbio basso co-me complètement (38)a-b, il verbo flesso sale ad una posizione piùalta dell’avverbio negativo pas, (38)c, e nelle interrogative il verboflesso si sposta a C (38)d; l’alternanza (38)a-b richiede quindi alme-no una posizione in più. Di che posizione si tratta?

La morfologia verbale esprime anche altre proprietà oltre al tem-po: esprime, per esempio, l’accordo in persona e numero col sog-getto. È stato quindi proposto che, oltre ad una testa di T, la frasecontenga una testa funzionale di accordo col soggetto, AgrS. Dovesi situa tale testa? Nelle strutture in cui i due affissi sono chiaramen-te isolabili, l’affisso di accordo chiude la parola, è il più esterno:

(39) Parl-o parl-av-o parl-er-òParl-i parl-av-i parl-er(a)-iParl-a parl-av-a parl-er-à

(40) V+T+Agr

Nelle lingue Bantu, ad esempio, in cui l’accordo col soggetto edil tempo è espresso da particelle preverbali, l’ordine è AgrS – T (ilcomplesso è seguito da particelle di accordo con i complementi, in(41) con l’oggetto diretto)

(41) Chicewa njuchi zi -na -wa -lum -a alenje ‘le api AgrS-Past-AgrO-pungere-ASP i cacciatori’

(42) Agr T ... V

Come conciliare i due ordini di (40) e (42)? Una maniera natura-le consiste nell’ipotizzare che (42) è l’ordine basico, e i diversi ele-

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esempio, un avverbio frequentativo è selezionato come specificatoredi una testa funzionale di aspetto frequentativo:

(49) [ usually [FREQ ….. ] ]

Alcune lingue esprimono la gerarchia funzionale pronunciando leteste come particelle o morfemi liberi; altre le realizzano come affis-si destinati ad attaccarsi al verbo tramite il movimento di quest’ulti-mo; altre ancora esprimono la proiezione realizzandone lo specifica-tore, l’avverbio. E, ovviamente, possono darsi casi di realizzazionemista. L’ordine rimane però costante, dettato dalla gerarchia univer-sale (la quale è plausibilmente determinata, almeno in parte, da esi-genze esterne dei sistemi di interfaccia, relazioni obbligatorie di por-tata tra diversi tipi di operatori, ecc.).

Questo approccio porta molto avanti l’ipotesi pollockiana dellascissione della flessione, rivelando, attraverso lo studio dettagliatodella sintassi avverbiale, una struttura funzionale molto più com-plessa rispetto agli assunti di una quindicina di anni fa. Se le strut-ture di Cinque rappresentano una approssimazione più realisticadella complessità della struttura frasale, lo studio dei dettagli di ta-le complessità diventa impresa importante e meritevole di essereperseguita in sé. È questa l’idea di base dei cosiddetti studi «carto-grafici», che cercano di disegnare mappe strutturali il più possibileprecise delle diverse zone della frase (si vedano i diversi capitoli riu-niti in Cinque 2002; Rizzi 2004; Belletti 2004). Se le mappe sonocomplesse, gli ingredienti computazionali di base sono sempre glistessi: la fusione che crea struttura mettendo insieme elementi e ilmovimento che la modifica in parte. Se non che, il lessico funzio-nale si rivela più ricco e strutturato di quanto precedentemente as-sunto.

6. La cartografia della periferia sinistra

Parallelamente al lavoro di Cinque sulla struttura flessiva, l’altropunto di partenza degli studi cartografici è stata l’analisi della peri-feria sinistra della frase (Rizzi 1997). Nell’analisi standard, la perife-ria sinistra è manifestata dal complementatore, che può eventual-mente ricevere nel suo specificatore diversi tipi di elementi, quali glioperatori interrogativi e relativi. Il complementatore può assumere

lisi comparativa delle posizioni avverbiali nella frase, in rapporto al-le posizioni del verbo. Riprendendo molto lavoro descrittivo prece-dente sulla sintassi e semantica avverbiale, Cinque nota che gli av-verbi occorrono, in genere, in un ordine fisso l’uno rispetto all’altro.Per esempio, in inglese (e in italiano) un avverbio abituale comeusually, che descrive una situazione che è caratteristica di un perio-do di tempo esteso, precede un avverbio frequentativo come often,indicante la mera ripetizione di una situazione (Comrie 1976):

(46)a John is usually often obliged to stay home‘John è usualmente spesso obbligato a stare a casa’

(46)b * John is often usually obliged to stay home‘John è spesso usualmente obbligato a stare a casa’

In altre lingue, le proprietà espresse dall’avverbio in inglese e initaliano sono espresse da particelle funzionali, che possono a lorovolta essere morfemi liberi (come in rapanui) o suffissi verbali (co-me in yareba):

(47) Yareba (Papua): yau - r - edib - eb - a - su‘siede CM FREQ HAB PRES 3ms’lui abitualmente ripetutamente si siede

(48) Rapanui (Austronesia): Pura vara tu’u mai a Nau‘HAB FREQ viene verso Pers. Sing Nau’Nau abitualmente viene spesso qui

L’osservazione importante è che queste diverse gerarchie si corri-spondono: l’ordine degli avverbi corrisponde all’ordine delle parti-celle e a quello dei suffissi (in quest’ultimo caso, l’ordine è rovesciatoa causa del principio dello specchio: in (47) il suffisso frequentativo,più basso nell’albero, è il più vicino alla radice e quindi precede il suf-fisso abituale). La proposta di Cinque per cogliere il parallelismo è laseguente: la struttura della frase si conforma ad una gerarchia univer-sale di teste funzionali; ci sono teste di modo o modalità, di tempo, diaspetto, di voce, oltre alle diverse specificazioni di accordo. Questeteste esprimono proprietà interpretativamente rilevanti, e possonoprendere i corrispondenti avverbi nel loro specificatore. Quindi, per

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(53) … FORCE … TOP … FIN …

Che lessicalizza FORCE, di lessicalizza FIN: di qui la diversa po-sizione rispetto al topic. I complementatori finiti nelle lingue ro-manze e germaniche (que in francese, that in inglese, ecc.), normal-mente, lessicalizzano FORCE e precedono, quindi, il materiale pe-riferico a sinistra. In lingue celtiche, come l’irlandese, l’elemento tra-dotto come che, go in (54), sembra invece lessicalizzare FIN, ed ineffetti segue la stringa del materiale periferico:

(54) Is doíche [ faoi cheann cúpla lá [go bhféadfaí imeacht]]‘è probabile dopo un paio di giorni che potrebbe partire’ (McCloskey 1996)

Oltre alla posizione topicale, la periferia sinistra include altre po-sizioni dedicate a speciali proprietà interpretative relate alla struttu-ra informazionale. Una di queste è il ffooccuuss, illustrato dalla seguentecostruzione in italiano:

(55) IL LIBRO gli dovremmo dare (, non l’articolo) FOCUS PRESUPPOSIZIONE

L’elemento anteposto, marcato da particolare enfasi prosodica(suggerita qui dall’uso delle maiuscole), è il focus, che introduce unainformazione contrastandola con le aspettative dell’interlocutore: siparla pertanto, in questo caso, di focus contrastivo. Il resto della fra-se è la presupposizione, conoscenza condivisa tra parlante e ascolta-tore. Topic e focus possono cooccorrere in molte lingue in ordinestretto:

(56) Credo che, a Gianni, IL LIBRO gli dovremmo dare, nonl’articolo

FORCE TO FOC FIN

Come sono costituiti il topic e il focus? È naturale pensare che il«materiale di costruzione» di queste posizioni sia lo stesso che perogni altra configurazione strutturale: ci sono teste di Top e Foc chesi uniscono ad altre configurazioni strutturali, dando luogo a strut-ture come le seguenti:

diverse forme nelle frasi finite e infinitive, per esempio nelle lingueromanze il complementatore infinitivo è omofono a certe preposi-zioni (Rizzi 1982; Kayne 1984):

(50)a Credo che dovrei leggere il tuo libro(50)b Credo di dover leggere il tuo libro

Vi sono tuttavia indicazioni che rivelano un quadro più comples-so. Si consideri la dislocazione a sinistra clitica, una tipica costruzio-ne che mette in gioco la periferia sinistra della frase (Cinque 1990):

(51) Il tuo libro, lo dovrei leggereTOPIC COMMENT

Questa costruzione ha particolari caratteristiche informative, edesprime l’articolazione della frase in topic e comment: il ttooppiicc è l’ar-gomento relativamente al quale la frase fa un’affermazione, ed è scel-to tra gli elementi già presenti nel discorso o comunque salienti; ilccoommmmeenntt è ciò che si predica del topic: in questa costruzione è unafrase aperta con un pronome clitico necessariamente interpretatocome coreferente al topic.

Ora, se consideriamo la posizione dell’elemento dislocato o topicrispetto ai complementatori di (50), osserviamo che la posizione non èla stessa. La posizione naturale del topic è dopo il che, ma prima del di:

(52)a Credo che, il tuo libro, lo dovrei leggere(52)b Credo, il tuo libro, di doverlo leggere

Per render conto di questa distribuzione e di tanti altri casi ana-loghi, si è fatto l’assunto che il sistema del complementatore sia inrealtà una zona strutturale definita da più teste funzionali: la testache delimita il sistema verso l’alto è la testa di Forza, esprimente iltipo della proposizione: dichiarativa, interrogativa, esclamativa, re-lativa, ecc. È questa l’informazione che deve essere immediatamen-te accessibile ad un selettore più alto (per esempio, un verbo che de-ve prendere come complemento una dichiarativa o una interrogati-va). La testa che delimita il sistema verso il basso, FIN, esprime il ca-rattere finito o meno della proposizione. All’interno della zona deli-mitata da FORCE e FIN si crea uno spazio utilizzato da posizionidedicate a speciali proprietà interpretative, quale il topic:

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TopP

Top

XP

YP

FocP

Foc

XP

YP

pio, la portata degli operatori interrogativi e dei quantificatori, l’ar-ticolazione informazionale in topic-comment e focus presupposizio-ne). Ora, le proprietà argomentali sono espresse nella posizione incui una espressione nominale è unita a una espressione dotata distruttura argomentale, per esempio, un verbo: Gianni riceve il ruo-lo argomentale (tematico) di paziente nella posizione oggetto diret-to della frase Maria contatterà Gianni domani; le proprietà di porta-ta e relate al discorso sono espresse in posizioni più alte nella strut-tura, spesso nel sistema del complementatore, per esempio l’ogget-to diretto può diventare un topic: Gianni, Maria lo contatterà doma-ni. È stato proposto che una ragion d’essere del movimento sintatti-co è la necessità di assegnare alle espressioni le proprietà semantichedei due tipi (Chomsky 2004): quindi, nell’esempio appena menzio-nato, l’espressione nominale Gianni viene inserita in una posizionenella quale riceve un certo ruolo argomentale, e successivamente vie-ne spostata in un’altra posizione, dove riceve una certa proprietà in-terpretativa del tipo portata-discorso (topic, nel nostro caso).

Uno degli scopi del movimento, quindi, è di connettere posizio-ni dedicate ai due tipi di proprietà e consentire ad uno stesso ele-mento spostato di manifestarle entrambe. Abbiamo visto in prece-denza che certi tipi di movimento sembrano essere motivati da ne-cessità morfologiche, ed avere il fine di creare parole morfologica-mente ben formate; i movimenti di cui stiamo parlando adesso sonoinvece motivati da necessità interpretative, per consentire ad unostesso elemento di cumulare più proprietà di senso. Mettendo insie-me i due casi, si può pensare che, in generale, il movimento sia mo-tivato dal soddisfacimento di esigenze delle interfacce attraverso cuila sintassi parla con altri sistemi: l’interfaccia, interna alla facoltà dilinguaggio, con la morfologia; e l’interfaccia con i sistemi di pensie-ro. È questa la concezione del movimento come «ultima risorsa»,una operazione che non si applica mai facoltativamente, ma è sem-pre motivata per risolvere un problema computazionale che si ponealla facoltà di linguaggio.

XP = Topic YP = Comment XP = Focus YP = Presupposizione

Queste teste, in maniera sostanzialmente analoga alle teste del si-stema flessivo, hanno il ruolo di creare posizioni dedicate a partico-lari interpretazioni, qui interpretazioni relate al discorso. Questo ap-proccio, quindi, formula l’ipotesi che l’interfaccia tra sintassi e siste-mi interpretativi sia molto trasparente, con la sintassi che trasmettealla semantica e alla pragmatica informazioni tipo «un elemento chesi trovi nella posizione di Spec della tale testa deve ricevere la tale in-terpretazione». Le teste che designano tali posizioni interpretativa-mente dedicate sono prive di contenuto morfofonologico in alcunelingue, come l’italiano, mentre sono pronunciate in altre: per esem-pio, in gungbe, una lingua kwa parlata in Benin, il topic è marcatodalla particella ya e il focus dalla particella we:

(59) ... do Kofi ya gankpa me we kponon le su i do‘... che Kofi Top in prigione Foc i poliziotti hanno chiuso lui là’ ... che, quanto a Kofi, è in prigione che i poliziotti lo hanno chiuso(Aboh 1998)

La situazione non è dissimile da quanto avviene nei sistemi ca-suali, che possono differire molto significativamente quanto alla rea-lizzazione morfofonologica, ma un sistema di caso sintattico è plau-sibilmente da postularsi in tutte le lingue ed ha conseguenze relati-ve, per esempio, alla spostabilità delle espressioni nominali (secon-do gli assunti di Chomsky 1995). Questa ipotesi sul carattere so-stanzialmente superficiale della variabilità morfologica dei sistemicasuali è stata fondamentale per l’elaborazione di una teoria sintat-tica del caso, a partire da Vergnaud (1982).

Torniamo, per concludere, alle motivazioni del movimento. Visono due tipi di proprietà semantiche che le strutture del linguaggiodevono esprimere: le strutture argomentali, i ruoli tematici, chi fache cosa a chi, e le proprietà di portata e relate al discorso (per esem-

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(57) (58)

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rimentali che vengono confrontate tra di loro. Il primo lavoro cheparla specificamente di un potenziale evocato correlato al linguag-gio è il lavoro di Kutas e Hillyard (1980), nel quale venne rilevato unpotenziale negativo che insorgeva a circa 400 millisecondi (ms.) dal-la presentazione di una parola semanticamente anomala. Questo po-tenziale, da allora chiamato N400, è stato trovato innumerevoli vol-te ed è ora una «firma» sicura di anomalia semantica e, più in gene-rale, di difficoltà di integrazione a livello semantico o del messaggio.I primi studi che parlano invece di potenziali evocati associati a er-rori sintattici sono dei primissimi anni Novanta, in particolare il la-voro di Neville, Nicol, Barss, Forster e Garrett (1991) e il lavoro diOsterhout e Holcomb (1992). Le risposte cerebrali più comune-mente evocate da errori sintattici sono potenziali negativi general-mente riscontrati in posizione anteriore sinistra, detti ELAN, EarlyAnterior Negativity, se la latenza è tra 100 e 300 ms., o LAN, LateAnterior Negativity, se la latenza è tra 300 e 500 ms. Essi sono seguitida un potenziale positivo, il cui picco più ampio si verifica a circa600 ms. dalla presentazione dello stimolo critico, per questo indica-to come P600. Da allora, gli studi di psicolinguistica che usano la me-todologia dei potenziali evocati hanno avuto un incremento fortissi-mo. Innanzitutto perché gli studi sui potenziali evocati hanno dimo-strato che la risposta ad anomalie sintattiche è distinta dalla rispostaad anomalie semantico-pragmatiche. Ciò consente di ipotizzare chealmeno un sottogruppo dei processi neurali (e, per estensione, co-gnitivi) che rispondono a queste categorie di anomalie sia separabi-le e distinte. Questa diversa sensibilità dei potenziali evocati a duedistinti processi linguistici è importante dal punto di vista teorico,poiché viene dimostrato anche da dati neurofisiologici che esiste unadistinzione qualitativa tra i due tipi di processi, come a lungo soste-nuto da diverse teorie sulla rappresentazione e sull’uso del linguag-gio (Frazier, 1995).

Questo capitolo parlerà selettivamente dei lavori che trattano diprocessi di comprensione della frase, analizzando gli effetti di viola-zioni sintattiche e di incongruenze semantiche. I lavori scelti sono co-sì suddivisi: 1) le ricerche che si occupano di violazioni semantico-pragmatiche; 2) le ricerche che studiano diversi tipi di violazioni sin-tattiche, da noi così raggruppate: violazioni di struttura sintagmatica,violazioni di sottocategorizzazione, violazioni di accordo; queste ulti-me, a loro volta, così suddivise: accordo tra soggetto e verbo, tra ausi-liare e verbo, tra pronome e antecedente. Due tabelle raggruppano sin-

12.

Sintassi: i processidi Marica De Vincenzi

1. Introduzione

I processi psicologici sottostanti alla comprensione del linguaggioavvengono con grande velocità. Nonostante ciò, essi non sono istan-tanei, ma sono distribuiti nel tempo. Inoltre, tali processi sono alta-mente complessi e coinvolgono diversi livelli di analisi (fonologica,sintattica, semantica, ecc.). I risultati di queste analisi sono quindi ra-pidamente integrati in una interpretazione coerente. Infine, questiprocessi sono in gran parte, se non quasi totalmente, inaccessibili al-la riflessione conscia. Queste caratteristiche pongono una formida-bile sfida metodologica per chi sia interessato a studiare i meccani-smi di comprensione del linguaggio e l’architettura della mente, cioèl’organizzazione delle conoscenze ed il loro utilizzo. Il metodo idea-le (che, diciamolo subito, per ora non esiste) dovrebbe fornire unamisura continua dei processi nel loro svolgersi, essere sensibile inmaniera differenziata ai diversi livelli di analisi e non utilizzare giu-dizi consci. Uno degli ultimi metodi utilizzati dagli psicolinguisti è laregistrazione dei potenziali cerebrali correlati ad eventi (in ingleseEvent-Related Potentials, ERPs) durante la comprensione del lin-guaggio. I potenziali evocati sono una misura dell’attività elettricacerebrale concomitante al verificarsi di specifici eventi, registratamediante degli elettrodi collocati sullo scalpo. Essi forniscono unastima diretta dell’attività cerebrale prima, durante e dopo un certoevento di interesse che si estende nel tempo. Tale stima ha un’eleva-ta risoluzione temporale, dell’ordine del millisecondo, e fornisceinformazioni sia quantitative (ampiezza, latenza) che qualitative (po-larità positiva o negativa, forma, distribuzione sullo scalpo) sulle dif-ferenze di attività elettrica cerebrale associate a due condizioni spe-

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Diversi ricercatori hanno proposto che l’analizzatore del lin-guaggio usi delle strategie per costruire la struttura sintattica, strate-gie che si basano su principi di minimalità. L’analizzatore del lin-guaggio costruisce rapidamente, a mano a mano che ogni parola vie-ne riconosciuta, una struttura grammaticale che serve da input perl’interpretazione semantica. Data l’ambiguità strutturale delle frasi,l’analizzatore compie delle scelte sulla base di alcuni principi di mi-nimalità, cioè sceglie di costruire ad ogni dato momento la strutturameno complessa e che richiede meno ricerca all’indietro. Il perse-guimento costante di questi principi di minimalità è dovuto ai limi-ti di memoria a breve termine. Ecco qui, di seguito, alcune di questestrategie:

Strategia dell’Attaccamento Minimale (Frazier, 1978): non postula-re struttura sintattica che sia potenzialmente non necessaria.

Strategia della Chiusura Ritardata (Frazier e Fodor, 1978): se gram-maticalmente possibile, attacca i nuovi elementi nella frase o sintag-ma che stai attualmente elaborando.

Strategia della Catena Minima (De Vincenzi, 1991): costruisci di-pendenze sintattiche il più semplici possibile.

La strategia di Attaccamento Minimale predice che in frasi come(6) il sintagma preposizionale sarà di preferenza interpretato comeargomento del verbo (guardare con il binocolo), in quanto questa èl’analisi più semplice grammaticalmente.

Come si stabilisce sperimentalmente se l’analizzatore segue que-sta strategia? Si creano delle coppie di frasi minime, che presentanoun’ambiguità strutturale. In un caso l’interpretazione finale è quelladeterminata dalla struttura minima, nell’altro caso no. In (7)a l’in-terpretazione corretta è quella minimale, dove il sintagma preposi-zionale con il binocolo è argomento del verbo (cioè: guarda con il bi-nocolo). Invece, in (7)b l’interpretazione corretta è quella dove il sin-tagma preposizionale con la pistola non può modificare il verbo(guardare), ma deve modificare il nome (la spia), cioè si ha un attac-camento non minimo:

(7)a Il poliziotto guardava la spia con il binocolo(7)b Il poliziotto guardava la spia con la pistola

teticamente le ricerche ed i risultati per aiutare il lettore nell’inqua-dramento dei lavori. La tabella 1 si riferisce ai lavori sulle violazioni se-mantiche e la tabella 2 ai lavori sulle violazioni sintattiche.

Prima di passare alla parte di presentazione dei lavori specifici,faremo una breve presentazione sulla comprensione frasale; succes-sivamente, su cosa sono i potenziali evocati e come si misurano; pas-seremo poi alla presentazione dei lavori con i potenziali evocati.

2. Comprensione delle frasi

Per comprendere il linguaggio dobbiamo capire in che rispettivoruolo grammaticale le singole parole devono essere interpretate. In(1) e (2) le parole delle frasi sono le stesse, ma il significato della fra-se cambia radicalmente, in quanto in (1) Maria è il soggetto della fra-se, mentre in (2) Maria è l’oggetto:

(1) Maria ama Giovanni(2) Giovanni ama Maria

Stabilire questi ruoli grammaticali implica l’attribuzione di unastruttura sintattica alla frase stessa (De Vincenzi, 1991). Ma attri-buire questa struttura sintattica non è un compito facile, poiché nel-la comprensione delle frasi i problemi di complessità dello stimololinguistico aumentano. Per esempio vi sono molti casi di ambiguitàstrutturale, come illustrato dagli esempi:

(3) Ha chiamato Mario(4) Ho salutato la zia della ragazza che è arrivata ieri(5) A quale ragazza hai detto di scrivere la lettera?(6) Mario guardava la ragazza con il binocolo

Nella frase (3), Mario può essere sia il soggetto del chiamare chel’oggetto. In (4) la frase relativa che è arrivata ieri può riferirsi sia azia che a ragazza. In (5) quale ragazza può essere sia il soggetto di scri-vere sia colei che riceve la lettera. In (6) il sintagma preposizionalecon il binocolo può riferirsi sia a guardare sia a ragazza. Queste frasisono molto comuni, e a ciascuna possono corrispondere due diver-se strutture grammaticali e due diverse interpretazioni. Come riu-sciamo a comprendere le frasi, cioè a stabilire velocemente quale siala struttura intesa, nonostante questa pervasiva ambiguità?

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poranea ambiguità, ma dovremmo aspettarci un aumento delle fis-sazioni nella regione di disambiguazione. Queste previsioni vengo-no confermate: i tempi di lettura sono significativamente più lunghiper la struttura (8)b nella regione che segue l’ambiguità.

Infine, la strategia di Catena Minima predice che in frasi come (9)l’interpretazione preferita sia quella dove l’elemento interrogativo Aquale ragazza viene interpretato nella prima posizione strutturale di-sponibile (9)a, e cioè come soggetto del verbo scrivere. Nei casi co-me (9)b, in cui l’interpretazione corretta corrisponde all’interpreta-zione più distante, si riscontrano tempi di lettura più lunghi e più er-rori di comprensione (Stowe, 1986):

(9)a A quale ragazza hai detto __ di scrivere la lettera?(9)b A quale ragazza hai detto di scrivere la lettera __?

Questa preferenza è stata dimostrata in lingue diverse ed in strut-ture diverse: in inglese, in olandese, in tedesco, in italiano1.

Queste strategie della minimalità implicano architetture modula-ri della mente. Esse si basano su un’ipotesi di modello della mentein cui vi sono componenti specifiche dedicate al linguaggio, cioè mo-duli. In particolare, si ipotizza che vi sia un modulo sintattico che haaccesso esclusivo a informazione sulle strutture grammaticali dellalingua e che, inizialmente, usa solo questa informazione in manieraautomatica per costruire una rappresentazione sintattica della frase.L’accesso esclusivo a questa informazione grammaticale, che è persua natura limitata (le strutture grammaticali di una data lingua so-no finite), è ciò che garantisce un funzionamento rapido e automati-co del meccanismo di analisi (Fodor, 1983). Il prezzo da pagare perquesta rapidità ed automaticità consiste nel fatto che l’informazionesemantica, pragmatica, discorsiva non viene consultata in questa co-struzione iniziale, poiché è informazione che implica conoscenze delmondo e inferenze di tipo non linguistico, che sono anche usate nel-la comunicazione non linguistica. Il modello che emerge da questeteorie, pertanto, è quello di un analizzatore del linguaggio che ri-sponde a criteri puramente linguistici per costruire la struttura sin-tagmatica. Dopodiché la struttura semantica e quella lessicale ver-

Rayner, Carlson e Frazier (1983) hanno dimostrato che i lettoriimpiegano più tempo a leggere la frase (7)b che non la (7)a. In par-ticolare, registrando i movimenti degli occhi, si è visto che le perso-ne si soffermano più a lungo sul sintagma con la pistola, come se, ap-punto, dovessero re-interpretarlo.

La strategia di Chiusura Ritardata entra in gioco quando esisto-no due possibili attaccamenti minimali, cioè dove le due interpreta-zioni hanno la stessa complessità sintattica, come nel caso della fra-se (4). In tal caso l’interpretazione preferita iniziale dovrebbe esserequella dove la frase relativa che è arrivata ieri modifica il nome piùrecente, e cioè ragazza. In questo modo l’analizzatore attacca il mo-dificatore all’ultimo nome in memoria, senza dover fare una ricercaall’indietro. Frazier e Rayner (1982) hanno riportato che i movimentioculari indicano che nelle prime fasi di analisi interviene la strategiadella Chiusura Ritardata. Le coppie di frasi sperimentali sono pre-sentate in (8): la struttura attaccamento recente è la (8)a e il suo con-trollo, cioè la struttura dove si rivela corretta l’interpretazione conChiusura Ritardata, è (8)b:

(8)a Poiché Rino corre sempre un km e mezzo questa gli sembrauna distanza breve

(8)b Poiché Rino corre sempre un km e mezzo gli sembra una di-stanza breve

Queste frasi richiedono l’uso della strategia della Chiusura Ritar-data, poiché il sintagma nominale un km e mezzo può essere inizial-mente interpretato come oggetto del verbo correre, cioè attaccato al-l’ultimo costituente letto. Oppure un km e mezzo può essere inter-pretato come soggetto di una frase seguente, per esempio come sog-getto del verbo sembra. Se l’analizzatore sceglie inizialmente l’inter-pretazione con l’attaccamento recente, in (8)a essa porta all’inter-pretazione corretta; in (8)b porta «fuori strada» e alla conseguenterianalisi della frase (un km e mezzo deve diventare soggetto del ver-bo sembrare). Le previsioni sperimentali che possiamo fare sono per-tanto le seguenti: (a) le frasi come (8)b, che «violano» i principi diChiusura Ritardata, richiedono tempi di lettura più lunghi della fra-se (8)a, in quanto necessitano di una rianalisi; (b) poiché le strategievengono applicate in modo automatico valutando solo la strutturasintattica elaborata fino a quel momento, non dovremmo aspettarcivariazioni nell’andamento degli indici oculari nella regione di tem-

234 Il linguaggio. Strutture linguistiche e processi cognitivi 12. Sintassi: i processi 235

1 In inglese, Stowe (1986), Frazier e Clifton (1989); in olandese, Frazier e Flo-res d’Arcais (1989); in tedesco, Meng (1995), Schriefers, Friederici e Kühn (1995);in italiano, De Vincenzi (1991).

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3.2. L’interpretazione dei dati

La presenza di anomalie nelle frasi produce effetti osservabili sul-l’ampiezza delle componenti evocate dalle parole critiche o sulle pa-role finali delle frasi che contengono un’anomalia. In particolare, perle parole critiche si hanno effetti specifici che dipendono dal tipo dianomalia, e per le parole finali si osserva un effetto generico di ne-gatività. Nella seguente esposizione le parole critiche degli esempiverranno sempre sottolineate.

4. Potenziali evocati e violazioni semantiche

La tabella 1 presenta un quadro riassuntivo degli studi sulle violazio-ni semantiche. Il lavoro di Kutas e Hillyard (1980) è stato il primo adutilizzare la tecnica dei potenziali evocati con materiale linguistico,evidenziando un aumento dell’ampiezza della componente endoge-na negativa (effetto N400) quando la parola critica non era con-gruente con il resto della frase rispetto a quando lo era (cfr. figura 1).

ranno utilizzate per interpretare la struttura. Infine, in un terzo mo-mento, tutta l’informazione verrà integrata. Vediamo adesso come ipotenziali evocati si inseriscono in questo dibattito.

3. L’utilizzo dei potenziali evocati in psicolinguistica

In ambito psicolinguistico, i potenziali evocati permettono di osser-vare le modificazioni dell’attività elettrica cerebrale che si verificanodurante il processo di comprensione di parole o frasi. L’approccioconsueto consiste nell’esaminare aspetti specifici del processo dicomprensione per vedere se c’è una risposta dei potenziali che cova-ria, sistematicamente, con la manipolazione di un certo stimolo lin-guistico. Quando si trova una di queste covariazioni si possono faredelle inferenze su alcuni aspetti psicologici, basandosi sulle differen-ze nei potenziali evocati nelle diverse condizioni. Per una approfon-dita descrizione metodologica sull’utilizzo dei potenziali evocati inpsicolinguistica, rimandiamo a De Vincenzi e Di Matteo (2001, 2004).

3.1. Modalità di presentazione del materiale

Il materiale utilizzato in questo tipo di studi consiste di frasi di con-trollo che sono formalmente corrette e pragmaticamente accettabi-li, e frasi sperimentali, del tutto simili alle frasi di controllo eccettoche per una parola, detta parola critica, che viola degli specifici vin-coli di natura sintattica o semantica.

In esperimenti di lettura, le frasi vengono presentate parola perparola, al centro di uno schermo. Ogni parola viene presentata peruna durata di circa 300-350 ms. ed è seguita da un intervallo vuotodi simile durata prima della comparsa della parola successiva. Que-sta modalità è utilizzata per limitare al massimo gli effetti della so-vrapposizione dell’elaborazione di parole successive. L’ultima paro-la della frase è seguita da una pausa più lunga (oltre 1000 ms.), allaquale può seguire o meno la richiesta di eseguire un compito ag-giuntivo. Il compito aggiuntivo ha, normalmente, il duplice scopo diverificare che i soggetti abbiano rivolto sufficiente attenzione allafrase presentata e di accertare che abbiano rilevato l’anomalia, e puòconsistere nel chiedere di esprimere, ad esempio, un giudizio di ac-cettabilità della frase. In questo caso i soggetti devono dire se la fra-se appena letta è sensata oppure no, dal punto di vista della forma edel contenuto.

236 Il linguaggio. Strutture linguistiche e processi cognitivi 12. Sintassi: i processi 237

Il caffè mi piace con

il cane

il miele

lo zucchero

N400 -5μV

Fig. 1. Componente N400 in risposta ad una parola finale semantica-mente anomala rispetto ad una parola inconsueta o ad una parola attesa(adattata da Kutas e Hillyard 1983).

A grandi linee, la N400 viene oggi definita come la risposta spe-cifica all’incongruenza semantica. Ad oggi moltissime ricerche in lin-gue diverse hanno investigato questo tipo di violazione: in inglese, in

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tedesco, in olandese e in italiano2. Tutti questi studi hanno usato vio-lazioni delle restrizioni di selezione tra soggetto e verbo, oppure traverbo e complementi. Un esempio del primo caso è in (10), tratto daDe Vincenzi et al. (2003), mentre (11) è un esempio del secondo ca-so, tratto da Ainsworth-Darnell et al. (1998). Negli esempi successi-vi la parola critica è sempre sottolineata.

(10) Il nuovo capotreno fischia/germoglia alla partenza della loco-motiva

(11) Jill entrusted the recipe to friends/platforms before she sud-denly disappeared‘Jill affidò la ricetta ad amici/marciapiedi prima di sparire im-provvisamente’

Come si può notare dalla tabella 1, i risultati, in tutte le lingue enonostante variazioni nel compito, ossia sola lettura o giudizio di ac-cettabilità, sono estremamente coerenti: le violazioni di selezione se-mantico-pragmatica elicitano sempre una N400, cioè un’onda ad an-damento negativo distribuita su tutto lo scalpo, ma presente soprat-tutto nelle aree posteriori, che emerge a circa 300 ms., con un piccointorno ai 400 ms., dalla presentazione della parola critica. Questoquadro così univoco è determinato dal fatto che è stato studiato, inrealtà, un solo tipo di violazione semantica, cioè le restrizioni di se-lezione, e quasi sempre esse coinvolgevano violazioni del tratto dianimatezza. Nessuno studio ha mai affrontato altri aspetti della se-mantica, quali definitezza o quantificazione. Pertanto, essendo ilquadro linguistico dello studio pressoché univoco, ne conseguonorisultati univoci. E la N400 emerge indiscutibilmente come correla-ta alle violazioni di selezione semantico-pragmatiche.

Questo effetto N400, che compare su una parola semanticamenteanomala all’interno di una frase, è comunque distinto dalla negativitàchiamata effetto «N400-like», che compare sulla parola finale di unafrase che contiene una anomalia di qualsiasi tipo. Notiamo già dalla ta-

238 Il linguaggio. Strutture linguistiche e processi cognitivi 12. Sintassi: i processi 239

2 In inglese: Osterhout e Mobley (1995); Osterhout e Nicol (1999); Ainsworth-Darnell, Shulman e Boland (1998); Neville et al.(1991); in tedesco: Hahne e Frie-derici (2002); Hahne e Jescheniak (2001); Münte, Heinze e Mangun (1993); Rösler,Pütz, Friederici e Hahne (1993); in olandese: Gunter, Stowe e Mulder (1997); Ha-goort e Brown (2000b); in italiano: De Vincenzi, Job, Di Matteo, Angrilli, Peno-lazzi, Ciccarelli e Vespignani (2003).

Tab. 1. Quadro riassuntivo dei risultati ottenuti su frasi con violazioni semantico-pragmatiche. N.D.: non disponibile; C = F: parola critica uguale a parola finale

Violazione Parola criticadella compatibilità Compito Parola finalesemantico-pragmatica tra soggetto e verbo Fase I Fase II Fase III

Rösler, Pütz, decisione N.D. N400 (300-700) N.D. C = FFriederici lessicale distribuita e Hahne (1993) parietale

posterioreOsterhout giudizio di N.D. N400 (300-500) N.D. NEG e Mobley (1995) accettabilità antero-parietale (300-500)

sinistra distribuitaOsterhout solo lettura N.D. N400 (300-500) N.D. NEG e Mobley (1995) distribuita (300-800)

verso sinistra distribuita posteriore

Gunter, Stowe solo lettura N.D. N400 (320-560) N.D. C = Fe Mulder (1997) distribuitaOsterhout giudizio di N.D. N400 (300-500) N.D. NEG e Nicol (1999) accettabilità distribuita (300-500)

distribuita posteriore

Hahne e giudizio di N.D. N400-like (300-500) N.D. C = FJescheniack (2001) accettabilità posteriore

(Jabberwocky)Hahne e giudizio di N.D. N400 (400-700) N.D. C = FFriederici (2002) accettabilità distribuita

posterioreDe Vincenzi et al. solo lettura + N.D. N400 (300-500) N.D. NEG 2003 20% domande distribuita (300-800)

posteriore distribuita posteriore

Violazione Parola criticadella compatibilità Compito Parola finalesemantico-pragmatica tra verbo e complementi Fase I Fase II Fase III

Ainsworth-Darnell, solo lettura N.D. N400 (300-500) N.D. ———Shulman e Boland + 30% centrale (1998) domande posterioreHagoort e Brown solo lettura N.D. N400 (200-500) N.D. N400 (2000a) distribuita (200-500)

distribuitaKutas e Hillyard solo lettura N.D. N400 (300-600) N.D. N400 (1983) + domande centro-parietale (300-600)

finali e posteriore centro-parietale e posteriore

Neville, Nicol, giudizio di N.D. N400 (300-500) N.D. ———Barss, Forster accettabilità posterioree Garrett (1991)Münte, Heinze giudizio di N.D. N400 (450-500) N.D. ———e Mangun (1993) sinonimia centro-parietale

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240 Il linguaggio. Strutture linguistiche e processi cognitivi 12. Sintassi: i processi 241

Tab. 2. Quadro riassuntivo dei risultati ottenuti su frasi con violazioni sintattiche.N.D.: non disponibile; C = F: parola critica uguale a parola finale

Violazione della Parola criticastruttura sintagmatica Compito Parola finalee/o della categoria della parola Fase I Fase II Fase III

Neville et al. (1991) giudizio di ELAN LAN (300-500) P600 ———accettabilità (50-250) temporale (500-700)

parietale distribuita sinistra posteriore

Hahne e Friederici giudizio di ELAN N.D. P600 C = F(1999) accettabilità (100-300) (500-1000)

posteriore (solo lista 20%)

Hahne e giudizio di Early Neg N.D. P600 C = FJescheniak (2001) accettabilità (100-250) (500-1000)

anteriore centro-parietaleHahne e Friederici giudizio di Early Neg N.D. P600 C = F(2002) accettabilità (100-250) (300-1000)

anteriore distribuita posteriore

Münte, Heinze e giudizio di N.D. LAN (500-550) N.D. ———Mangun (1993) grammaticalità frontale sinistra

«False» violazioni di Parola criticastruttura sintagmatica Compito Parola finale(violazioni di interpretazione) Fase I Fase II Fase III

Ainsworth-Darnell, solo lettura + N.D. N.D. P600 ———Shulman e Boland 30% domande (700-950) (1998)3 centro-parietaleHagoort, Brown solo lettura N.D. N.D. P600 NEG e Groothusen (500-700) (250-600) (1993)4 distribuita distribuitaHagoort, Brown Esp 1 solo N.D. N.D. P600 ———(2000b) lettura (500-1000)

Esp 2 solo distribuita ascolto centro-parietale

Violazione della Parola criticasottocategorizzazione Compito Parola finale(verbo transitivo / intransitivo) Fase I Fase II Fase III

Rösler et al. (1993) decisione N.D. LAN P600 C = Flessicale (400-700) (700-1200)

anteriore sinistraHagoort e Brown solo N.D. NEG P600 ———(2000b) lettura (350-450) (500-1000)

anteriore centro-destra parietale

Violazioni di accordo Parola criticadi numero Compito Parola finalesoggetto-verbo Fase I Fase II Fase III

Kutas e Hillyard solo lettura + N.D. NEG P600 ———(1983) domande finali (200-400) (500-800 ca.)

anteriore parietaleOsterhout Esp 1 giudizio N.D. LAN P600 NEG e Mobley (1995) di accettabilità (300-500) (500-800) (300-800)

Esp 3 antero-temporale centro- distribuita solo lettura sinistra posteriore posteriore

Hagoort, Brown solo lettura N.D. N.D. P600 NEG e Groothusen (1993) (500-700) (250-600)

centro- centro-parietale parietale

Hagoort e Brown solo ascolto N.D. NEG P600 ———(2000b) (350-550) (500-1000)

anteriore distribuita centro-

parietaleDe Vincenzi et al. solo lettura + N.D. LAN P600 NEG2003 20% domande (350-450) (500-800)

anteriore distribuita sinistra centro-

posteriore

Violazioni di accordo Parola criticadi numero Compito Parola finalenome-aggettivo Fase I Fase II Fase III

Kutas e Hillyard solo lettura + N.D. NEG P600 ———(1983) domande finali (200-500) (500-800 ca.)

anteriore parietaleViolazioni di accordo Parola criticadi numero Compito Parola finaleausiliare-verbo Fase I Fase II Fase III

Kutas e Hillyard solo lettura + N.D. NEG P600 ———(1983) domande finali (300-400) (500-800 ca.)

anteriore parietaleGunter, Stowe solo lettura N.D. LAN P600 C = Fe Mulder (1997) (350-380) (590-980)

parietale centro sinistra posteriore

Osterhout e Nicol giudizio di N.D. NEG P600 NEG (1999) accettabilità (400-500) (500-800) (300-500)

destra centro- distribuita posteriore posteriore

Violazioni di accordo Parola criticatra pronome e Compito Parola finaleantecedente Fase I Fase II Fase III

Osterhout giudizio di N.D. N.D. P600 NEG e Mobley (1995) accettabilità (500-800) (300-800)

posteriore distribuitaOsterhout solo lettura N.D. N.D. N.D. N.D.e Mobley (1995)

3 Localmente le frasi non violano regole sintattiche.4 Le frasi corrispondono a strutture frasali poco preferite piuttosto che errate.

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no regole generali sulla costruzione della frase e di parti di essa che so-no indipendenti da uno specifico item lessicale. Data la loro caratteri-stica di riguardare la costruzione iniziale della frase, ci si aspetta che laviolazione di tali regole provochi una risposta molto precoce in termi-ni di latenza, cioè nell’arco temporale compreso tra 100 e 300 ms.

Uno dei primi studi sulla relazione tra potenziali evocati e sintassi èdi Neville et al. (1991). Le frasi erano costruite invertendo l’ordine delnome testa e della preposizione: per esempio, «la dimostrazione del teo-rema...» diventa «della dimostrazione il teorema...», come in (13). La fra-se contenente la violazione veniva confrontata con una frase senza vio-lazione, come in (12). L’asterisco indica le frasi contenenti violazioni.

(12) The scientist criticized Max’s proof of the theorem‘Lo scienziato ha criticato Max-di dimostrazione del teorema’Lo scienziato ha criticato la dimostrazione del teorema di Max

(13) *The scientist criticized Max’s of proof the theorem‘Lo scienziato ha criticato Max-di della dimostrazione il teorema’Lo scienziato ha criticato della dimostrazione il teorema di Max’

I risultati hanno mostrato che le frasi con violazione della strut-tura sintagmatica evocavano una precoce negatività, detta ELAN,seguita da una LAN e da una P600. Una precoce negatività sinistra(ELAN), seguita dalla P600, è stata trovata anche in tedesco da Hah-ne e Friederici (1999, 2002) e Hahne e Jescheniak (2001), con cop-pie di frasi come (14) e (15). In (14) c’è la frase corretta di control-lo, mentre (15) è la frase contenente la violazione. Come si può no-tare la violazione è data dal fatto che la preposizione im deve essereseguita da un nome o da una combinazione aggettivo-nome; per cuiun verbo principale in questa posizione è sintatticamente scorretto.

(14) Das Baby wurde gefüttert La bimba era allattata

(15) *Die Gans wurde im gefüttert*L’oca era nel allattata

C’è un unico studio sulle violazioni categoriali, quello di Münteet al.(1993), che non ha trovato una negatività precoce ELAN, ma

bella 1 che negli studi dove la parola critica non coincide con la parolafinale, quando viene fatta un’analisi sulla parola finale si riscontra unanegatività di fine frase nella condizione sperimentale in cui è contenu-ta la violazione. In quest’ultimo caso l’effetto viene attribuito a difficoltàdi integrazione del contenuto dell’intera frase, mentre nel primo casoviene attribuito, in modo più specifico, al processo di rilevazione del-l’incongruenza. Lo stesso effetto «N400-like» sulla parola finale si ri-scontra anche nelle frasi contenenti violazioni sintattiche (cfr. tabella 2),e anche qui è interpretato come una manifestazione di problemi di in-tegrazione del materiale linguistico, causati dalla violazione sintattica.

5. Potenziali evocati e sintassi

Le ricerche che hanno studiato le risposte ERPs ad errori sintatticihanno evidenziato più di una componente in risposta a tali anoma-lie. La tabella 2 presenta un quadro riassuntivo degli studi sulle vio-lazioni sintattiche che verranno qui discussi. A seconda del tipo diviolazione si può trovare una componente Negativa Anteriore Pre-coce, spesso localizzata a sinistra e detta ELAN, oppure una com-ponente Negativa Anteriore, detta LAN; entrambe seguite da unacomponente Positiva Posteriore (P600). La varietà delle risposte al-le anomalie sintattiche deriva dal fatto che le manipolazioni utilizza-te in questi studi sono molto diverse l’una dall’altra: alcune, come leviolazioni di struttura sintagmatica, dipendono dalla posizione del-le parole all’interno della frase, altre, come la concordanza soggetto-verbo, dipendono, invece, dalle relazioni tra le parole, che sono in-dipendenti dalla posizione.

La tabella 2 presenta i lavori più significativi, raggruppati in ba-se al tipo di violazione sintattica studiata e partendo dalle violazionidi struttura sintagmatica. Il ragionamento che seguiremo qui è chese all’interno della grammatica sono ipotizzate delle rappresentazio-ni e dei meccanismi di analisi cognitivamente diversi, questi coin-volgono plausibilmente una diversa attività cerebrale che può esse-re pertanto riflessa in potenziali evocati distinti.

5.1. Violazioni di struttura sintagmatica

Le violazioni di struttura sintagmatica sono violazioni delle cosiddet-te regole di riscrittura sintagmatica: per esempio, che un sintagma pre-posizionale è costituito da una preposizione e da un nome. Queste so-

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(17)b *Jill entrusted the recipe friends before she suddenly disap-peared‘Jill affidò la ricetta amici prima lei improvvisamente sparisse’*Jill affidò la ricetta agli amici prima di sparire improvvisa-mente

Alla parola critica in (b) è stata trovata solo una P600. In realtà,in inglese la condizione (b) diventa errata solo alla parola before, poi-ché dopo la parola critica friends la frase poteva continuare in ma-niera perfettamente accettabile, come nella frase (18), con una fraserelativa incassata:

(18) Jill entrusted the recipe friends liked most, to Mary ‘Jill affidò la ricetta amici trovavano piacevole più, a Mary’Jill affidò la ricetta, che gli amici preferivano, a Mary

Pertanto non è sorprendente che Ainsworth-Darnell et al. (1998)abbiano trovato una P600 che è l’indice di violazione di analisi pre-ferite, non di errori sintattici (Osterhout e Holcomb, 1992), anzichéuna LAN. Stesso ragionamento vale per Hagoort et al. (1993), per laloro violazione di struttura sintagmatica, esemplificata in (19) in unafrase olandese:

(19)a De echtgenoot schrikt van de nogal emotionele reactie van zijnvrouwIl marito è allarmato dalla piuttosto emotiva risposta di suamoglie

(19)b *De echtgenoot schrikt van de emotionele nogal reactie vanzijn vrouwIl marito è allarmato dalla emotiva piuttosto risposta di suamoglie

Infatti, la condizione violata (19)b sarebbe legittima fino alla pa-rola critica nel caso di una continuazione come in (20):

(20) Il marito è allarmato dalla emotiva piuttosto... che razionale ri-sposta di sua moglie

In conclusione, gli studi sulle violazioni di struttura sintagmatica,cioè di categoria della parola, evocano una risposta di precoce nega-

una LAN, cioè una negatività con una insorgenza più ritardata e,precisamente, nell’arco di 300-500 ms. Il materiale di questo studioconsisteva in coppie di parole su cui dare un giudizio, come in (16):

(16) you write* your write

La ragione della differenza tra questo studio e i precedenti dipen-de dal materiale linguistico utilizzato. In particolare, la differenza stanel quando si può decidere la categoria della parola, cioè quanto ra-pidamente è disponibile l’informazione categoriale della parola criti-ca (è un nome o è un verbo?). Nell’esperimento di Neville et al. (1991),l’informazione categoriale è disponibile rapidamente su una breveparola funzione, quale la preposizione of. Anche nell’esperimento diHahne e Friederici (1999, 2002) l’informazione che un verbo segue lapreposizione è immediatamente rilevabile dal prefisso del participioregolare tedesco ge- del verbo principale. Invece, nell’esperimento diMünte et al.(1993), l’informazione categoriale è disponibile solo do-po aver codificato tutta l’entrata lessicale (per esempio: write è verbo,mentre writing può essere un nome: tale informazione si ricaverebbesolo dal suffisso -ing). Pertanto, casi dove il pieno accesso all’entratalessicale è prioritario per stabilire la violazione, determinano una ne-gatività con insorgenza a 300-350 ms. (cioè nell’intervallo temporaledella LAN, non più dell’ELAN), contando che almeno 300 ms. sonoindispensabili per un accesso lessicale (Kutas e Hillyard, 1983).

5.1.1. Le «false» violazioni di struttura sintagmatica Ci sono duestudi, di Hagoort, Brown e Groothusen (1993) e di Ainsworth-Dar-nell et al. (1998), che non riportano negatività anteriori sinistre incorrelazione con presunte violazioni di categoria della parola. Inrealtà, se si esaminano attentamente i materiali linguistici utilizzati,si vede che essi non presentano violazioni strutturali, ma violazionidi preferenze di analisi, cioè strutture frasali poco preferite piutto-sto che errate. Vediamo in dettaglio partendo da Ainsworth-Darnellet al. (1998).

(17)a Jill entrusted the recipe to friends before she suddenly disap-peared‘Jill affidò la ricetta a amici prima lei improvvisamente sparisse’Jill affidò la ricetta agli amici prima di sparire improvvisamente

244 Il linguaggio. Strutture linguistiche e processi cognitivi 12. Sintassi: i processi 245

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5.3. Violazioni di accordo

I lavori sulle violazioni di accordo sono abbastanza numerosi negli stu-di con gli ERPs. Ci sono diversi tipi di accordo nelle lingue naturali: l’ac-cordo tra soggetto e verbo, l’accordo tra nome e articolo, tra nome e ag-gettivo, tra pronome e antecedente. Non sempre un certo tipo di ac-cordo usa gli stessi tratti: per esempio, in italiano, l’accordo soggetto-verbo utilizza i tratti di persona e di numero, mentre utilizza il tratto digenere, quantomeno a livello superficiale, solo nel caso di participiopassato con verbo ergativo (è partito/partita) e con i verbi al passivo.

5.3.1. Accordo di numero soggetto-verbo Uno dei primi studi sulleviolazioni di accordo è un lavoro sulla lingua inglese di Kutas e Hil-lyard (1983). Lo studio utilizzava frasi che contenevano errori di ac-cordo di numero sul nome, (23), sul verbo (accordo di numero sog-getto-verbo), (24), e di tempo verbale (25).

(23) *All turtles have four leg and a tail*Tutte le tartarughe hanno quattro zampa e una coda

(24) *The turtles will spit out things they does not like to eat*Le tartarughe sputano le cose che non ama mangiare

(25) *It has very powerful winds that can caused great damage*Ha dei venti molto forti che possono causato danni gravi

Le incongruenze erano associate con un aumento di negatività trai 200 e i 500 ms. nelle aree anteriori. È importante notare che questanegatività è differente dalla N400 evocata dalle anomalie semanti-che, poiché è più ridotta e soprattutto distribuita sulla parte ante-riore. Oltre a ciò vi era una successiva positività, P600.

Le violazioni di accordo soggetto-verbo sono state esaminate inolandese da Hagoort et al.(1993), in un compito di lettura, e da Ha-goort e Brown (2000a), con presentazione uditiva. L’olandese ha del-le caratteristiche simili all’italiano, in quanto presenta una riccamorfologia e un ordine delle parole che consente anche il soggettopost-verbale, come si vede in (26) e (27).

(26) Het verwende kind gooit/*gooien het speelgoed op de grondIl bambino viziato getta/*gettano i giocattoli sul pavimento

tività, ELAN, seguita dalla classica P600, sintomo di rianalisi o diriaggiustamento dell’errore. Passiamo ora agli studi su una fase con-siderata posteriore a quella di costruzione della struttura sintagma-tica, e cioè agli studi sulle violazioni di sottocategorizzazione e aglistudi sulle violazioni di accordo.

5.2. Violazioni di sottocategorizzazione

Le violazioni di sottocategorizzazione sono violazioni locali dellastruttura sintagmatica, determinate però dalle proprietà lessicali delverbo: per esempio, un verbo intransitivo non vuole un comple-mento oggetto e la selezione dell’ausiliare (essere o avere) dipendedalla scelta lessicale del verbo (Rösler et al. 1993). Poiché questescelte hanno a che fare con l’entrata lessicale del verbo, ci aspettia-mo che esse non siano calcolate alla stessa velocità della costruzionedella struttura sintagmatica, ma appartengano ad una fase successi-va dell’analisi sintattica nella quale è consultata l’informazione lessi-cale. Pertanto non dovremo trovare più negatività precoci, ma ne-gatività nell’intervallo temporale della seconda fase, 300-500 ms.,cioè LAN. I risultati confermano le predizioni: in tedesco, Rösler etal. (1993) hanno trovato una LAN seguita da una P600, usando ma-teriali, come in (21), che presentano una violazione sintattica di sot-tocategorizzazione nel caso in cui l’ausiliare wurde, «è stato», è usa-to con verbi che non passivizzano.

(21)a Der Präsident wurde begrüschtIl presidente è stato salutato

(21)b *Der Lehrer wurde gefallenIl maestro è stato caduto

In olandese, Hagoort et al.(1993), usando i materiali come in(22), contenenti violazioni di sottocategorizzazione (cioè verbo in-transitivo seguito da complemento oggetto), hanno trovato una ne-gatività anteriore sempre nell’intervallo 350-450 ms.:

(22)a Der zoon van de rijke industrieel leent de auto van zijn vaderIl figlio del ricco industriale prende la macchina di suo padre

(22)b * Der zoon van de rijke industrieel pocht de auto van zijn vaderIl figlio del ricco industriale si vanta la macchina di suo padre

246 Il linguaggio. Strutture linguistiche e processi cognitivi 12. Sintassi: i processi 247

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fine, uno studio sull’italiano di De Vincenzi et al. (2003) ha esami-nato le violazioni di accordo di numero tra soggetto e verbo. I risul-tati hanno mostrato una LAN seguita da una P600.

Pertanto i risultati dei lavori sull’accordo di numero soggetto-verbo mostrano un quadro univoco di LAN o negatività anteriorenell’intervallo 300-500 ms., seguite dalla classica P600.

5.3.2. Accordo di tempo ausiliare-verbo Pochi studi si sono occupa-ti di altre violazioni di accordo. Una violazione che ha tre studi al-l’attivo, è la violazione di accordo di tempo tra ausiliare e verbo. Ol-tre al sopra citato Kutas e Hillyard (1983), vi è lo studio di Gunteret al. (1997) in olandese, esempio in (29), e quello di Osterhout e Ni-col (1999) in inglese, esempio in (30).

29) De vuile matten werden door de hulp geklopt/*kloppenI tappetini sporchi furono dalla governante sbattuti/*sbattere

30) The cats won’t eat/*eating the food that Mary leaves themI gatti non mangeranno/*mangiando il cibo che Maria lascialoro

Lo studio di Gunter et al. (1997) ha mostrato una LAN parieta-le sinistra (350-380 ms.) e una P600 sulla parola critica, mentre lostudio di Osterhout e Nicol (1999) ha mostrato una negatività destra(400-500 ms.) e una P600. Questi studi offrono uno spunto interes-sante per le violazioni precoci: in realtà non si sa se si trova una LANo una N400 destra. Poiché la violazione di tempo è una violazioneparticolare, ulteriori approfondimenti sembrano essere necessariper capire tale fenomeno.

5.4. Accordo tra pronome e antecedente

Passiamo, infine, ad un tipo di accordo che non riguarda più quellotra costituenti frasali, ma è accordo di coreferenza, cioè l’accordo traun pronome riflessivo ed il suo antecedente. Osterhout e Mobley(1995) hanno studiato l’accordo pronome-antecedente per valutar-ne la similarità con l’accordo tra soggetto e verbo. Le frasi contene-vano un pronome riflessivo che era o non era congruente con il nu-mero dell’antecedente soggetto, (31), oppure un pronome riflessivoche era o non era congruente con il genere dell’antecedente, (32).

248 Il linguaggio. Strutture linguistiche e processi cognitivi 12. Sintassi: i processi 249

Het verwende

P600/SPS5μV

− Pz

+

kind gooit het speelgoed op de grond*gooien

Il bambino viziato getta i giocattoli sul pavimento*gettano

0 3000240018001600600

gramm. correttogramm. scorretto

Fig. 2. Componente P600/SPS (Syntactic Positive Shift) in risposta ad unaviolazione di accordo di numero soggetto-verbo (adattata da Hagoort etal. 1993). Sulla parte finale della frase è possibile osservare l’aumento dinegatività della risposta per la frase scorretta (effetto N400-like).

(27) Na afloop van het feest bestellen/*bestelt de gasten een taxiDopo la fine della festa chiamano/chiama gli ospiti un taxi

I risultati hanno mostrato che le frasi scorrette evocano una ne-gatività anteriore, nell’intervallo 350-500, e successivamente la com-ponente positiva P600.

In inglese, Osterhout e Mobley (1995) hanno esaminato le viola-zioni di accordo soggetto-verbo. Le frasi, come nell’esempio (28),avevano sempre il soggetto plurale e il verbo al plurale o al singolare.

(28) The elected officials hope/*hopes to succeedGli ufficiali designati sperano/*spera di avere successo

Il compito era un giudizio di accettabilità. I risultati mostranouna LAN sulle aree anteriori e temporali dell’emisfero sinistro nel-l’intervallo compreso tra 300-500 ms., seguita da un’ampia P600. In-

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parazione tra i processi inerenti la struttura frasale (Governo) e iprincipi che regolano la coreferenza (Legamento); dal punto di vistapsicolinguistico, poi, questo dato conferma in modo forte una di-stinzione tra i processi «automatici», che sarebbero quelli che ri-guardano la costruzione della struttura della frase, e «processi nonautomatici», ma di interpretazione della struttura, quali stabilire unarelazione di coreferenza. In altre parole, c’è una distinzione tra pro-cessi di costruzione della struttura e processi di indicizzazione dellastruttura stessa (Berwick and Weinberg, 1984; De Vincenzi, 1991).Diversi studi sperimentali hanno già dimostrato che l’interpretazio-ne dei pronomi è un processo che può avere tempi di computazionemolto diversi, può avvenire in maniera veloce o in maniera ritarda-ta, o può anche non avvenire del tutto (Greene, McKoon e Ratcliff,1992). La manipolazione del compito ha messo in luce che tale ef-fetto ritardato di interpretazione si trova anche con i pronomi rifles-sivi, che sono gli unici per i quali il coreferente è linguisticamente de-terminato, e cioè deve essere un elemento all’interno della frase.

6. Conclusioni

I dati ERPs qui esemplificati sono facilmente spiegabili ed integra-bili nel modello neuropsicologico di Friederici (2002), che prendespunto da, e sostanzialmente ricalca, il modello della comprensionedel linguaggio proposto da Frazier e colleghi (Frazier, 1987; Fraziere Rayner, 1982). Questo modello prevede tre stadi di analisi:

1. Primo stadio. L’analizzatore del linguaggio costruisce in ma-niera incrementale la struttura sintattica usando solo informazionecategoriale e le regole di riscrittura frasale della lingua in oggetto.Questo primo stadio è riflesso nelle negatività anteriori precoci(ELAN), nell’arco temporale di 100-300 ms. trovate nelle ricercheillustrate nel § 5.1. A maggior conferma di questo modello dell’ana-lizzatore, abbiamo visto che le strutture non preferite non provoca-no questa precoce negatività. Ciò dimostra che durante questa pri-ma fase l’analizzatore è guidato solo da regole di riscrittura frasale enon considera altre informazioni quali la frequenza di occorrenza diuna struttura.

2. Secondo stadio. Questa seconda fase si estende nell’arco tem-porale di 300-500 ms. In questa fase è disponibile l’informazione les-sicale. Dopo che l’informazione categoriale delle parole è usata percostruire la struttura iniziale, tutta l’informazione contenuta nell’en-

(31) The hungry guests helped themselves/himself to the foodGli ospiti affamati servirono a se stessi/se stesso il cibo

(32) The successful woman congratulated herself/himself on thepromotionLa donna in carriera si congratulò con se stessa/se stesso perla promozione

I risultati mostrano per entrambe le violazioni una P600 e, a finefrase, presentano una negatività simile all’effetto N400. La presenzadella P600 sembra indicare che la concordanza soggetto-verbo e laconcordanza pronome-antecedente vengono elaborate almeno inparte in modo simile.

Quest’ultimo esperimento di Osterhout e Mobley (1995) vuoleanche verificare se le risposte elettriche cerebrali a violazioni di ac-cordo possono essere attribuite alla natura del compito richiesto, ecioè alla specifica richiesta di esprimere un giudizio di accettabilità.Per questo motivo ai soggetti viene chiesto di leggere semplicemen-te le frasi. La logica di questa manipolazione è la seguente: nono-stante si sia già stabilito che anomalie sintattiche e semantiche susci-tano risposte ERPs diverse, dobbiamo comunque chiederci se que-ste violazioni sono sempre e comunque percepite (e cioè computateautomaticamente), o se invece la loro percezione è dovuta ad un pro-cesso innescato dal compito, cioè al fatto che viene richiesto un giu-dizio sull’accettabilità della frase.

Il materiale includeva frasi con violazioni di accordo soggetto-verbo, frasi con violazioni di accordo riflessivo antecedente e frasicon violazioni semantiche.

I risultati indicano che anche in condizione di semplice lettura leviolazioni di accordo di numero soggetto-verbo e le anomalie se-mantiche provocano la comparsa di risposte distinte, e cioè rispetti-vamente una risposta LAN seguita da P600 per l’accordo soggetto-verbo e una risposta N400 per l’anomalia semantica. Invece, per leviolazioni di accordo riflessivo-antecedente (sia di numero che di ge-nere) si perde l’effetto P600.

Questo effetto selettivo del compito sull’accordo pronominale enon sull’accordo soggetto-verbo è un dato sperimentale molto im-portante per almeno due ragioni: da un punto di vista linguistico, es-so conferma la distinzione fatta da teorie sintattiche quale quella delGoverno e Legamento di Chomsky (1981), che prevedono una se-

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3. Terzo stadio. Nella terza fase l’informazione strutturale e quel-la semantico-lessicale (tra cui quella tematica) e i processi di corefe-renza sono integrati. Se questa integrazione non ha successo, l’ana-lizzatore cerca di rianalizzare o aggiustare la struttura sintattica co-struita inizialmente, in modo da arrivare ad una interpretazione coe-rente. Questi processi avvengono nell’arco temporale di 500-1000ms. e sono riflessi nella P600.

Questo modello è modulare nella distinzione tra fase 1 e fase 2 enell’indipendenza dei processi sintattici e semantici della fase 2. Ri-guardo ai legami tra psicolinguistica e teorie sintattiche, esso conva-lida le teorie sintattiche che prevedono una distinzione tra i diversicomponenti della grammatica, quali le regole di riscrittura frasale, lesottocategorizzazioni, i processi morfosintattici e i processi di core-ferenza.

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Gli autori

Gaetano Berruto Università di TorinoCristina Burani CNR, RomaMarica De Vincenzi Università di ChietiRemo Job Università di TrentoAlessandro Laudanna Università di SalernoGiulio C. Lepschy Università di Reading e University Colle-

ge, LondraGiovanna Marotta Università di PisaFrancesca Peressotti Università di PadovaLuigi Rizzi Università di SienaCristina Romani Università di AstonRenata Savy Università di SalernoPatrizia Tabossi Università di TriesteAnna M. Thornton Università di L’AquilaMiriam Voghera Università di Salerno

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Indici

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Accento, 19, 48.Accento lessicale (Stress), 19, 61, 62,

63, 81, 152, 153.Accento primario, 64.Accento secondario, 64.Accento tonale, 19.Accesso lessicale, 36, 114, 118-120,

124, 150, 152,169, 193, 195, 244.Accordo, 222, 223, 231, 241, 247-251.Action Theory, 25.Adaptive Variability, 21.Afasia, 73, 75, 76, 83-85, 87, 89.Afasiologia, XI.Affisso, 95, 98, 107, 113, 213, 215,

223.Aggettivo, 131, 132, 216.Alfabeto fonetico internazionale, vedi

International Phonetic Alphabet.Allofono, 5, 49, 93.Allomorfia, 95, 98, 107.Allomorfo, 93, 95, 98, 107, 109, 110,

111.Altezza vocalica, 52.Altezza tonale, vedi Pitch e Frequenza

fondamentale.Amalgama, 105, 108.Ambiguità lessicale, 192-195.Ampiezza del vicinato ortografico, ef-

fetto di, 39, 40.Analisi acustico-fonologica, 44.Analisi componenziale, 135.Analisi prototipica, 135.

Analysis by Synthesis, 25.Animatezza, 135, 140, 239.Antirisonanza, 13.Antonimia, 138, 139.Apprendimento, 27, 28, 162-164, 177,

211.Arabo, 30.Arbitrarietà, 174.Architettura cognitiva, 43, 44, 150,

151, 153, 156, 162, 165, 166, 202,230.

Argomento, 131, 140, 141.Articolazione, 25.Articolazione (Fasi della), 11.Articolazione multipla, 11.Aspetto, 105, 132, 224, 225.Associazione semantica, 36, 73, 84.Attaccamento minimale, strategia

dell’, 233, 234.Attacco sillabico (Onset), 59, 60, 61.Attivazione, processo di 33, 35-39, 44,

47, 73-75, 77, 79, 80, 82-86, 88-90,114, 115, 118-120, 141, 143, 149-165, 193, 195.

Attivazione automatica, 28, 87, 114,124, 149, 154, 155, 234, 235, 250,251.

Attivazione interattiva, XI, 34, 35, 37-38, 74, 75, 85, 86, 156, 162, 163.

Attivazione parallela, 33, 38, 45, 75,90, 115, 118-120, 154-157, 161-168.

Auditory Theory, 26.

Indice analitico

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Coreferenza, 249, 251, 252.Costituente morfologico, 112-114,

118-120, 122, 125.Creatività governata da regole, 205.

Dattilo, 64.Decisione Lessicale, 113, 115, 120,

122, 128.Denominazione, 79, 85, 164.Denotazione, 181.Determinante, 216, 220, 221.Derivazione, 94, 96, 98, 106, 113,

118-123, 142, 143.Designed Terminal Element (DTE),

64.Desinenza, vedi Morfema grammati-

cale flessivo.Diacronia, 171.Differenze tra parlato e scritto, 27, 28.Dimostrativo, 132.Dinamica articolatoria, 9.Direct Realism, 25.Discorso, 186.Disgrafia, 45-47.Dittongo, 14, 60, 61.Dittongo mobile, 110.Dizionario, 130, 131.Dizionario mentale, vedi Lessico

mentale.Dominanza, effetto di, 194, 195.Doppia dissociazione, 46.Durata, 13, 18, 19, 63.

Ebraico, 30, 31, 116, 117.Elaborazione, componenti o stadi di,

VI, XI, XII, XIII, 32, 37, 44-47, 72, 74-77, 90, 151-153, 156-161.

Elaborazione fonologica, 90.Elaborazione lessicale, 44-46, 125,

151-153, 156-161.Elaborazione morfologica, 42, 112-

115.Elaborazione ortografica, 27-30, 32,

34, 37, 38, 40-43, 45.Elaborazione semantica, 32, 88, 109,

116, 197, 235.

Enantiosemia, 138.Enciclopedia, 143.Enunciato, 186, 187.Epentesi, 56.Errore, 50, 51, 58, 71-91, 167.Errore sintattico, 242, 245, 247.Espansione massimale, 208.Espressione idiomatica, 190, 191,

220.Espressione metaforica, 190, 191.Estensione, 132, 136, 181, 189.Età di acquisizione, 40.Etimologia, 171, 186.Extrametricalità, 64.

Facilitazione, effetto di 34, 35, 39, 40,42, 82, 83, 115, 118, 119, 160, 163,200.

Facoltà del linguaggio, 176, 177, 207,229.

Famiglia morfologica, 117-119, 128.Famiglia semantica, 133.Feature-spreading Theory, 22.Feed-back, 35, 74.Finlandese, 30, 106, 107, 118.Finnico, vedi Finlandese.Flessibilità semantica, 195, 196.Flessione, 99-103, 106, 107, 110, 117,

118, 140, 213-215, 221, 225.Flessione contestuale, 102, 103, 104,

105, 106, 107.Flessione inerente, 102, 103, 104,

106.Flessione verbale, 108, 110, 111n.,

223.Focus, 141, 227, 228.Fonazione (meccanismi della), 7.Fonema, 5, 9, 49, 50, 51, 52, 54, 57,

70, 171, 206.Fonetica, VII, 3, 24, 48, 63, 172.Fonetica acustica, 6, 12-15.Fonetica articolatoria, 6, 7-12.Fonetica percettiva, 6, 15-17.Fonetica segmentale, 7.Fonetica soprasegmentale, 7.Fonetica uditiva, 6, 15-17.

Indice analitico 285

Ausiliare, 212.Avverbio, 131, 132, 221, 224.

Base lessicale, 98, 133, 142.Binarismo, 51, 58, 65.Buffer fonemico, 82, 83, 87-89, 151,

153, 157-160.Buffer grafemico, 44-46.

Calco, 143, 147.Campo di udibilità, 16.Campo semantico, 137.Cancellazione (regola fonologica), 56.Caratteristiche delle lettere, vedi

Tratti ortografici.Cartografia, 221, 225.Caso, 103, 104, 105, 107, 228.Categoria flessiva, 132.Categoria flessiva contestuale, 105.Categoria flessiva inerente, 105.Categoria grammaticale, 100, 101,

102, 109, 117, 131.Categoria lessicale, vedi Classe lessi-

cale.Categoria semantica, 135.Catena fonica, 6, 14, 16, 57.Catena minima, strategia della, 233,

235.C-comando, 209n.Cervello, 206.Cherokee, 29.Chiusura ritardata, strategia della,

233, 234.Cinese, 29.Classe di flessione, 109, 110.Classe lessicale, 132, 139, 211.Clitico, 100, 226.Coarticolazione, 21-23.Coda sillabica, 59, 60, 61, 62, 63.Codifica fonologica, 74, 77, 90.Comment, 226, 228.Competenza, VIII.Competenza fonologica, 22.Competenza lessicale, 135, 144.Competenza prosodica, 65.Competenza semantica, 144.

Competizione, 36, 68, 162, 167, 168,204.

Compito, XII.Complementarità, 139.Complementatore, 216, 217, 218,

219, 225, 226, 227.Complemento, 59, 131, 208, 209, 210,

212, 220.Componente lessicale, 103, 104, 107.Componente sintattico, 104.Composizione, 98, 142.Composizione della lista, effetto di,

160,161, 165.Comprensione, XIII, 4, 32, 112, 118,

120, 129, 189-193, 196, 199-201,202, 230-236, 251, 252.

Comprensione di espressioni idioma-tiche, 190-192.

Comprensione di frase, 196, 200, 201,202, 230-236, 251, 252.

Comprensione di parola, 32, 112,120, 129, 193, 201.

Computazioni linguistiche, 207.Computazioni sintattiche, 206, 216.Concetti, 71, 100, 133, 141, 199, 200,

204, 207.Configurazione articolatoria, vedi

Gesto.Confondibilità ortografica, 123, 124.Congiunzione, 131, 132, 133.Congruenza, effetto di, 153, 155, 159,

160, 163-165, 167, 168.Consonante, 7, 13, 14, 17, 49, 52, 53,

60, 68.Contesto, 193-204.Contenuto proposizionale, 186 .Continuum acustico, vedi Catena fo-

nica.Conversione (morfologia), 98, 132.Conversione dalla fonologia all’orto-

grafia, 29, 30, 44-47.Conversione grafema-fonema, 29. 30,

125, 151-153, 155, 157, 158, 163,167.

Coppia minima, 49.Corde vocali, vedi Pliche.

284 Indice analitico

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Interazione tra regolarità e frequenza,41, 153, 163-165, 168.

Interfaccia, 207, 225, 229.Interferenza, vedi Inibizione.Interiezione, 131, 132.International Phonetic Alphabet

(IPA), 9, 10.Interpretazione figurata, 190, 191.Interpretazione fonetica, 207.Interpretazione letterale, 190.Interpretazione semantica, 192, 193,

196, 201-203, 207, 233.Intonazione, 7, 17, 18, 19, 20, 48, 64,

65.Inversione, 139.Iperonimia, 136.Iponimia, 136, 137.Ipotesi della de-citazione, 187.Ipotesi Sapir-Whorf, 175.Irlandese, 219, 227.Isocronia accentuale, 19.Isocronia sillabica, 19.

Kana, 29.Kanji, 29.

Langue, VIII.Latino, 60, 62, 104, 105, 146.Lemma, 131.Lessema, 92, 94, 99, 100, 103, 107,

134, 135, 136, 138.Lessema composto, 94n 133.Lessema derivato, 94, 97, 133.Lessema invariabile, 133.Lessema variabile, 133.Lessico, 105, 130, 131, 133, 139, 140,

144, 145, 194, 202, 206, 207, 216.Lessico esogeno, 146.Lessico fonologico, 44, 47, 72, 152,

156, 157, 159, 160.Lessico funzionale, 216, 225.Lessico indigeno, 146.Lessico mentale, XIII, 32, 35, 36, 38,

42, 45, 58, 114, 143, 144, 149, 150,152, 154, 197, 203, 206.

Lessico ortografico, 41, 44-47, 152,156, 157.

Lessico specialistico, 145.Lessicologia comparativa, 184.Lettera, 30-35, 37-39, 41, 46, 151-

154, 156, 157.Lettera astratta, 37.Lettera, identità della, 32-34, 39, 46.Lettera, posizione della, 32, 34, 38.Lettura, 30, 31, 41, 47, 124-126, 149-

167, 234-236, 238-241, 250.Lettura per analogia, 153-155.Lexical-functional grammar, 140.Lingua agglutinante, 105, 107.Lingue Bantu, 222.Lingua dei segni, 205.Lingua isolante, 133n.Lingua tonale, 19.Linguaggio, 177, 205, 206.Linguaggio, evoluzione del, 27.Lingue celtiche, 219, 227.Lingue germaniche, 219, 227.Lingue romanze, 219, 226, 227.Linguistica, V, VI, VIII, XI, XII, 140,171,

176, 177, 188.Linguistica funzionale, X.Linguistica generativa, vedi Teoria

generativa.Linguistica storica, 186.Livello segmentale, 57, 82, 83.Livello scheletrico, 57, 58, 61, 80, 81.Livello sillabico, 57.Livello metrico, 57.Livello tonale, 57.Logica, 180, 188.Look-ahead Model, 22.Loudness, 16, 18.Lunghezza (fonologia), 61.Lunghezza della parola, 32, 41.Luogo di articolazione, 8, 12, 13.

Marca, 51, 54.Marcato vs. non marcato, vedi Marca-

tezza.Marcatezza, 54, 55.Materia acustica, 4.

Indice analitico 287

Fono consonantico, vedi Consonante.Fono vocalico, vedi Vocale.Fono, 5.Fonologia, 48, 95, 130, 206.Fonologia articolatoria, 23, 25.Fonologia generativa, 22, 55, 58, 63,

67.Fonologia metrica, 62-64, 63, 64.Fonologia non lineare, 57, 58, 61, 63,

65.Fonologia segmentale, 48.Fonologia soprasegmentale, 48.Fonologia strutturale, 58.Forma flessa, 92, 94, 99, 100, 101,

103, 104, 107, 108, 110, 134.Forma, 173.Forma dell’espressione, 173.Forma fonetica, 207.Forma logica, 207.Formante, 13.Formazione delle parole, 95, 141.Forza, vedi Loudness.Frame, 143, 144.Francese, 214.Francese del Québec, 217.Frase, 185, 186, 187, 206, 211, 221,

222, 226.Frase finita, 226.Frase infinitiva, 226.Frase principale, 211.Frequenza del vicinato ortografico,

effetto della, 39, 40.Frequenza dell’affisso, 120-123.Frequenza della radice, 115-117.Frequenza d’uso, 32, 36, 39-41, 45,

73, 76, 83, 87, 114-117, 119-124,126, 145, 152, 153, 157, 158, 160-165, 168, 194 .

Frequenza fondamentale (F0), 13, 18,65.

Frequenza formantica, 13.Fusione (Merge), 207, 208, 215.Fuzzy Logic, 26.

Generatore (GEN), 67.Genere, 92, 102, 103.

Geosinonimo, 138.Gerarchia di forza consonantica, 60.Gerarchia funzionale, 224.Gerarchia semantica, 137.Gesto articolatorio, 6, 24, 25.Giambo, 64.Giudizio del parlante, 40, 98, 126-

129, 144, 201, 202, 236, 238, 240,241, 250.

Grammatica, VIII, 20, 58, 66, 67, 100,101, 104, 105, 107, 130, 131, 133,139, 141, 183.

Grammatica cognitiva, 141.Grammatica comparativa, 184.Grammatica generativa, vedi Teoria

generativa.Grammatica universale, 67, 176, 210.Grado, 103.Giamaicano, 212.Grafema, 31, 44-46, 125, 153, 157-

159, 166-168.Greco, 108.Griglia metrica, 63.Gorgia Toscana, 55.Gungbe, 228.

H&H Theory, 26.

Icona, 182, 183.Indice, 182, 183, 184.Implicatura, 180.Inglese, 30, 41, 45, 56, 63n., 64, 81,

82, 93, 95, 96, 97n., 114, 117, 124,126, 142, 147, 152, 157, 159, 167,176, 177, 178,179, 183, 186, 192,209, 210, 214, 215, 217, 219, 224,235, 237, 239, 245, 247, 248, 249.

Inglese di Belfast, 217.Inibizione, processo di, 33, 38, 40, 80,

153, 156-158, 163, 198.Instanziazione 199-201.Integration Model, 194, 195.Intensione, 132, 136, 181, 189.Intensità, 13, 18, 19, 63.Interactive activation model, 28, 35,

37, 38, 150, 156, 164.

286 Indice analitico

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Percezione (fonetica), 17, 24, 25.Parola, 130, 131.Parola complessa, 94, 213.Parola composta, vedi Lessema com-

posto.Parola derivata, vedi Lessema deriva-

to.Parola fonologica, 64.Parola grammaticale o vuota 32, 132.Parola invariabile, vedi Lessema inva-

riabile.Parola irregolare, 41, 45, 46, 81, 152,

153, 155, 158, 160, 167, 168.Parola lessicale o piena 29, 132.Parola ortografica, 29, 30, 32, 34-38,

42, 44-47, 149-168.Parola regolare, 41, 46, 153, 155, 162-

164, 167, 168.Parola variabile, vedi Lessema varia-

bile.Parsing morfologico, vedi Scomposi-

zione.Parte del discorso, vedi Classe lessica-

le.Paziente, 140.Percezione, 31-33, 193, 250.Percezione di lettere, 33.Percezione uditiva, 17, 25, 26.Periferia sinistra della frase, 225, 227.Periodo, 186.Persona, 101, 103, 132, 222.Peso sillabico, 61.Pianificazione (scrittura), 43.Piede metrico, 63.Pitch, 16, 18, 63.Pliche vocali, 12.Polisemia, 138, 142.Possessivo, 106, 132.Potenziali evocati, 230, 231, 236-250.PDP model, 90, 161-166.Pragmatica, 26, 180, 228.Predicato, 131, 141, 211.Predicazione, 212.Prefissazione, 98, 133, 142.Prefisso, 94, 99, 113, 123, 124, 127,

131, 244.

Preposizione, 131, 132, 133.Prestito, 142, 147.Presupposizione, 228.Priming ortografico, 40, 41.Priming semantico, 36, 160, 161.Principio di composizionalità, 185,

189-191.Processo (mentale), VIII, IX, XIII, 28,

143, 189, 230.Processo fonetico, 4.Processo post-lessicale, 197, 199, 202.Produttività, 99.Produttività dell’affisso, 120-123,

128.Produzione del linguaggio, XIII, 28,

42-47, 71, 72, 75-91, 141, 142, 151-153, 155, 156, 158, 159, 203, 204 .

Produzione fonica, 7-12.Proiezione, 211.Proiezioni di complementatore, 141.Pronome, 131, 132, 133.Pronuncia, 41, 45, 82, 89, 90, 151-

159, 165, 167, 168, 173.Pronuncia eccezionale, 30, 155, 167.Proposizione, 186, 187.Proprietà lessicale, 246.Prosodia, 17, 19-20.Prototipo, 135.Pseudoparola, vedi Non-parola.Psicoacustica, 16.Psicolinguistica, V, VI, VIII, X, XII, XIII,

112, 143, 191, 192, 202, 231, 236,237, 251.

Psicologia cognitiva, X, 199.Psicologia del linguaggio, vedi Psico-

linguistica.

Quantal Theory, 24, 25.

Race Model, 114, 115.Radice, vedi Morfema lessicale.Rafforzamento fonosintattico, 62.Rafforzamento fonosintattico morfo-

logico, 62n.Rapanui, 224.

Indice analitico 289

Meccanismo computazionale, 206.Meccanismo di valutazione (EVAL),

67.Mediazione fonologica, 47.Memoria, 35, 39, 43, 45, 46, 73, 87,

142, 143, 149, 150, 153, 196, 205,233, 234.

Mente, XII, 206.Meronimia, 137.Metafonia, 57.Metafora, 148.Metonimia, 148.Minimalismo, 207.Mirror Principle, 105, 106, 223, 224.Modalità, vedi Modo.Modello a cascata, 38, 74, 75, 77, 156.Modello a due vie, 45, 150-153, 156-

161, 166-168.Modello a una via, 153-155.Modello a ricerca, 150.Modello a ricerca ordinata, 194.Modello a stadi discreti, 74, 75.Modello AAM, 114.Modello ad accesso selettivo, 195.Modello connessionista, 37, 42, 161-

168.Modello logogen, 35, 35, 73, 150.Modello discreto dell’intonazione,

65.Modello esaustivo, 193-195.Modello solistico dell’intonazione,

65.Modo, 20, 101, 132, 224.Modo di articolazione, 7, 11.Modularità, 144, 194, 195, 235, 252.Mora, 61n.Morfema, 42, 62, 93, 112-115, 118,

120, 125, 129, 133, 206.Morfema derivazionale, 94.Morfema lessicale, 94, 105, 107, 110,

111, 113, 114-117, 213.Morfema grammaticale 94, 107.Morfo, 93.Morfo derivazionale, 106.Morfo flessivo, 106.Morfologia, 69, 92, 94, 95, 109, 111,

130, 172, 206, 213, 214, 216, 223,229.

Morfologia flessiva, vedi Flessione.Motor Theory, 25.Movimenti oculari, 31-33, 234.Movimento, 213, 215, 216, 228, 229.Mutamento semantico, 147.

N-count, 39.Neologismo, 141.Neologismo semantico, 141, 142,

143.Neopositivismo, 187.Neuropsicologia del linguaggio, XII,

34, 43, 47, 251.Nome, XII, XIII, 101, 131, 139, 140,

203, 204, 216, 221.Nome deverbale, 140.Nominale derivato, 96.Nominale gerundivo, 96, 97.Nominalizzazione, 96, 97.Non-parola, 79, 113, 114,120, 121,

124-126, 128, 153-155, 159-162,165, 167.

Nucleo sillabico, 18, 59, 60, 61.Numero, 92, 101, 102, 103, 104, 105,

222.

Occasionalismo, 142.Oggetto, 131, 219.Olandese, 82, 114, 118, 119, 122, 126,

128, 235, 239, 245-247, 249.Olonimia, 137.Omonimia, 138.Onomasiologia, 184.Onomatopea, 183.Optimality Theory, 66-69.Ordine lineare, 210, 219, 220.Ordine OV, 211.Ordine VO, 211.Ortografia, VII-VIII.

Paradigma, 108, 110, 111, 117, 118,134, 215.

Parametro, 177, 210, 211.Parametri acustici, 13, 23, 52.

288 Indice analitico

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Sintagma, 186, 205, 208, 210, 220.Sintagma complementatore, 218.Sintagma determinante, 220.Sintagma intermedio, 65.Sintagma intonativo, 18, 65.Sintagma nominale, 186, 220.Sintagma temporale, 218.Sintagma verbale, 186, 212, 220.Sintassi, 20, 64, 94, 101, 103, 105,

132, 139, 171, 183, 205, 207, 214,216, 228.

Sintassi ricorsiva, 207.Sistema di elaborazione, XII.Sistema di riscrittura, 207.Sistema di scrittura, 27, 29, 30, 43, 44.Sistema di scrittura opaco, 30,152,

167.Sistema di scrittura trasparente, 30,

41, 125, 192.Sistema semantico, 36, 44, 45, 47, 72-

74, 77, 84, 151, 152.Solidarietà lessicale o semantica, 139.Soggetto, 131, 212, 219, 220, 222,

232, 234.Sostanza, 173.Sostanza del contenuto, 174.Sostanza dell’espressione, 173.Sostantivo, vedi Nome.Specificatore, 59, 208, 209, 212, 216,

218, 219, 220, 221, 225.Specificità di codifica, 196.Speech, 4.Spelling, 43, 46, 47.Sperimentatore, 140.Split Morphology, 103.Struttura, VIII, IX.Struttura argomentale, 228, 229.Struttura sintagmatica nuda, 209.Struttura lessicale, 141, 180.Struttura profonda, 57.Struttura superficiale, 57.Struttura tematica, 140.Strutturalismo, 50, 180.Suffissazione, 98, 133, 142, 143.Suffisso, 94, 96, 98, 99, 105, 108, 112-

114, 116, 117, 120-123, 125-129,131, 223, 224, 244.

Suono, 205.Superiorità della parola, effetto di,

34, 35, 38.

Tedesco, 218, 235, 239, 243, 244, 246.Tempo, 101, 103, 132, 212, 213, 214,

215, 216, 218, 222, 223.Teoria Autosegmentale, 57.Teoria Autosegmentale dell’Intona-

zione, 20, 65.Teoria dei principi e parametri, 207.Teoria generativa, X, 50, 66, 67, 95,

132, 140.Teoria generativa standard, 55.Teoria Governo e Legamento (Go-

vernment and Binding), 250, 251.Teorie acustiche, 25.Teorie articolatorie, 25.Teorie di coproduzione, 23.Teorie di percezione passive, 26.Teorie di percezione, 25-26.Terminologia, IX.Test di discriminazione, 16.Test di identificazione, 16.Test percettivi, 16.Testa, 64, 131, 132, 208, 210, 211,

212, 216, 223, 228.Testa di Finitezza, 226, 227.Testa di Forza, 226, 227.Testa funzionale, 220, 222, 223, 224,

225, 226.Timbro, 13.Tono, vedi Pitch.Tono accentuale (Pitch Accent), 20,

65.Tono di confine, 65.Tono nucleare, 66.Topic, 141, 226, 227, 228.Traduzione, 175.Traduzione (scrittura), 43.Trasformazione, 96, 99.Trasparenza fonologica, 113, 116,

120.

Indice analitico 291

Rappresentazione (mentale), IX, 27,35-39,114, 115, 118, 143, 149, 150.

Rappresentazione, livelli di, 149, 151,156.

Rappresentazione articolatoria, 72.Rappresentazione fonologica, 47, 55,

72, 74, 78-83, 86-88, 153, 154.Rappresentazione lessicale, 46, 80,

86, 87, 149-161, 163.Rappresentazione ortografica, 32-35,

42-47, 167.Rappresentazione semantica, 32, 44,

72, 73, 74, 77, 88, 89, 134, 136-139,197, 202, 207.

Rappresentazione sintattica, 235.Regola, 206.Regola di formazione di parola, vedi

Regola di formazione di lessemi.Regola di formazione di lessemi

(RFL), 97, 98, 99, 100, 103.Regola di riscrittura, 95.Regola fonologica, 55.Regolarità ortografica, 41, 152, 153,

155, 158, 163, 165, 168.Relazioni di significato, 136, 138.Restrizione, 57, 61, 67-69.Restrizione di selezione, 239.Restrizione fonologica, 98, 99.Restrizione morfologica, 99.Restrizione sintattica, 98, 99.Restrizione semantica, 98, 99.Reto-romancio, 219.Revisione, 43.Riconoscimento di parola, 31-42,

112, 115, 117-120, 126, 127, 149,150.

Ricorsività, 206.Riferimento, 181.Riflessivo, 220.Rima sillabica, 59, 60, 61, 62.Riparazione, 62, 87.Risonanza, 13.Risuonatore, 12.Ritmo, 7, 17, 18, 48, 64.Ruolo tematico, 228, 229.

Scala di categoricità, 17.Scala di sonorità, 60.Scienza cognitiva, 196, 202.Scrittura, 28, 42-47.Scrittura sotto dettatura, 43, 44.Scrittura spontanea, 43-45.Scomposizione morfologica, 93, 112-

115, 117, 124, 125.Scuola di Praga, 49, 50.Segnale, 6.Segno linguistico, 93, 94, 108, 173,

174, 182, 183, 205.Segmento (fonetico), 6, 49, 50.Selezione e copia, meccanismo di, 80,

81, 86.Selezione fonemica, 77, 80, 84, 85.Selezione grafemica, 46.Selezione lessicale, 38, 73, 75, 77, 150.Selezione semantica, 197, 200, 202.Selezione sillabica, 83.Semantica, 32, 136, 164-165, 170,

171, 172, 180, 181, 184, 188, 228.Semasiologia, 184.Semi, vedi Tratti semantici.Semiologia, 182.Semiotica, 182, 184.Senso, 172, 174, 179, 181, 205.Serbo-Croato, 114, 117, 118.Setting articolatorio, 9, 11.Significare per convenzione, 175.Significare per natura, 175.Significato, 36, 43, 47, 93, 109, 112,

113, 118, 119, 133-136, 138, 141,142, 170-175, 179, 181, 182, 185-188, 190-195, 197, 198, 200-204,207, 232.

Significato denotativo, 134, 137, 138.Significato grammaticale, 92, 93, 104.Significato lessicale, 49, 92, 108.Significante, 24, 93, 104, 105, 108,

109, 131, 133, 138, 141,142, 173,174, 175, 182, 183.

Significazione, 179, 180, 181.Sillaba, 7, 18, 48, 58, 59, 60, 63.Sincronia, 171.Sinonimia, 137, 138.

290 Indice analitico

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Trasparenza semantica,113, 116, 120,124.

Tratto acustico, 21, 52-53.Tratto articolatorio, 21, 53, 54.Tratto distintivo, 50-54, 55, 57.Tratto fonologico, 22, 53, 80, 90.Tratto grammaticale, 247.Tratto ortografico, 32-34, 37, 38, 156.Tratto segmentale, 63.Tratto semantico, 73, 80, 134, 139,

141, 177, 239.Tratto pragmatico, 141.Tratto sub-segmentale, 56, 70.Trocheo, 63, 64.

Unità tonale, 18, 20.Universali fonetici, 24.Universalismo, 176.Uso, VIII, XII.Utterer’s meaning, 179, 180.

Valenza, 140.Valore di verità, 186, 187.Variabilità, XI.Variabilità intersegmentale, 15.Variabilità intrasegmentale, 15.Variante, vedi Allofono.Variante combinatoria, 49.Variazione allofonica, 21.Varietà difasica, 138.Varietà diatopica, 138.

Veneziano, 217.Verbo, XII, XIII, 101, 131, 132, 139,

140, 177, 200, 203, 204, 211-214,216, 219, 220, 222, 223, 235, 238,243-251.

Verbo funzionale, 216.Verbo lessicale, 212, 213, 215, 221.Verbo secondo, 218, 219.Via lessicale, 47, 152, 153, 156-158.Via lessicale-semantica, 152, 156.Via non lessicale, 152, 153, 157-160.Vicinato ortografico, 36, 39, 40.Violazione semantica, 231, 237-239,

242.Violazione sintattica, 231, 240, 241,

242-251.Vocabolario comune, 146.Vocabolario corrente, 146.Vocabolario di alta disponibilità, 145.Vocabolario di base, 145, 146.Vocabolario fondamentale, 145, 146.Vocali, 7, 8, 13, 14, 17, 18, 51, 52, 53,

54, 55, 59, 60, 61, 62, 63.

Window Model, 22.Word’s meaning, 179, 180.

X-barra, 59, 207, 209, 211.

Yareba, 224.Yiddish, 105.

292 Indice analitico

Indice del volume

Introduzione di Alessandro Laudanna e Miriam Voghera V

Avvertenza generale sull’uso dei segni grafici XV

1. Fonetica di Renata Savy 31. Introduzione, p. 3 - 2. Articolazioni della fonetica, p. 6 - 3. Coarti-colazione e processi fonetici, p. 21 - 4. I rapporti fra le tre fonetiche,p. 23 - 5. Fonetica e percezione, p. 25 - 6. Conclusioni, p. 26

2. Ortografia di Alessandro Laudanna 271. Introduzione, p. 27 - 2. I diversi sistemi di scrittura, p. 00 - 3. Il ri-conoscimento delle parole scritte, p. 31 - 4. Le rappresentazioni or-tografiche nella scrittura, p. 42

3. Fonologia: le strutture di Giovanna Marotta 481. Introduzione, p. 48 - 2. Fonologia segmentale, p. 49 - 3. La fono-logia non lineare, p. 57 - 4. La sillaba, p. 58 - 5. Fonologia metrica, p.62 - 6. La teoria autosegmentale dell’intonazione, p. 64 - 7. «Optima-lity Theory», p. 66 - 8. Conclusioni, p. 69

4. Fonologia: i processi di Cristina Romani 711. Introduzione, p. 71 - 2. Modalità di elaborazione dell’informazio-ne, p. 72 - 3. Modalità di rappresentazione sillabica, p. 78 - 4. Gli er-rori dei pazienti afasici, p. 83 - 5. Un modello di produzione alterna-tivo, p. 86 - 6. Conclusioni, p. 90

5. Morfologia: le strutture di Anna M. Thornton 921. Introduzione, p. 92 - 2. Problema: esiste la morfologia?, p. 94 - 3.Assenza e ritorno della morfologia nei modelli generativi, p. 95 - 4. Leregole di formazione di lessemi, p. 97 - 5. Flessione e formazione di

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zionali: la frase, p. 211 - 4. Altre strutture funzionali: il complemen-tatore e il determinante, p. 216 - 5. La flessione scissa e la cartografia,p. 221 - 6. La cartografia della periferia sinistra, p. 225

12. Sintassi: i processi di Marica De Vincenzi 2301. Introduzione, p. 230 - 2. Comprensione delle frasi, p. 232 - 3. L’u-tilizzo dei potenziali evocati in psicolinguistica, p. 236 - 4. Potenzialievocati e violazioni semantiche, p. 237 - 5. Potenziali evocati e sintas-si, p. 242 - 6. Conclusioni, p. 251

Bibliografia 253

Gli autori 279

Indice analitico 283

Indice del volume 295

lessemi, p. 99 - 6. Flessione e sintassi, p. 100 - 7. «Split morphology?»,p. 103 - 8. Non biunivocità delle corrispondenze tra significati e si-gnificanti in flessione, p. 107 - 9. «Morphology by itself», p. 109

6. Morfologia: i processi di Cristina Burani 1121. Introduzione, p. 112 - 2. Frequenza della radice e frequenza dellaparola, p. 115 - 3. Ampiezza della famiglia morfologica flessiva, p. 117- 4. Ampiezza della famiglia morfologica derivazionale, p. 118 - 5. Fre-quenza relativa di parola derivata e parola di base, p. 119 - 6. Fre-quenza, numerosità e produttività del suffisso derivazionale, p. 120 -7. Confondibilità ortografica per i prefissi?, p. 123 - 8. Lettura dipseudoparole morfologiche, p. 124 - 9. Giudizi metalinguistici, p. 126

7. Lessico: le strutture di Gaetano Berruto 1301. Introduzione, p. 130 - 2. Classificazione delle parole, p. 131 - 3.Forma e significato delle parole, p. 133 - 4. Relazioni semantiche nellessico, p. 136 - 5. Lessico e grammatica, p. 139 - 6. Formazione del-le parole e arricchimento del lessico, p. 141 - 7. Dizionario mentale ecompetenza lessicale, p. 143 - 8. Strati del lessico: lessico comune evocabolari tecnico-specialistici, p. 144 - 9. Strati del lessico: sedimen-tazione storica e contatti linguistici, p. 146

8. Lessico: i processi di Francesca Peressotti e Remo Job 1491. Introduzione, p. 149 - 2. Modelli «a ricerca» e modelli «ad attiva-zione», p. 150 - 3. Modelli di lettura a due vie e modelli di lettura auna via, p. 150 - 4. I modelli computazionali dei processi di lettura: ilmodello DRC, p. 156 - 5. Processi di elaborazione parallela e distri-buita: i modelli PDP, p. 161 - 6. Il modello connessionista a due vie,p. 166 - 7. Conclusioni, p. 168

9. Semantica: le strutture di Giulio Lepschy 1701. Introduzione, p. 170 - 2. Significato ed etimologia, p. 171 - 3. Se-mantica e significato, p. 171 - 4. Significante e significato, p. 173 - 5. Ar-bitrarietà, p. 174 - 6. Relativismo, p. 175 - 7. Universalismo, p. 176 - 8.Senso e voler dire, p. 179 - 9. Implicazioni e implicature, p. 180 - 10.Senso e significato, p. 181 - 11. Semantica e semiotica, p. 181 - 12. Si-gnificato delle parole e delle frasi, p. 185 - 13. Significato e verità, p. 186

10. Semantica: i processi di Patrizia Tabossi 1891. Introduzione, p. 189 - 2. L’ambiguità lessicale, p. 192 - 3. La flessibi-lità semantica, p. 195 - 4. L’instanziazione, p. 199 - 5. Conclusioni, p. 201

11. Sintassi: le strutture di Luigi Rizzi 2051. Introduzione, p. 205 - 2. Le strutture, p. 207 - 3. Le strutture fun-

294 Indice del volume

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