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MANUALE OPERATIVO IL SISTEMA DEGLI INTERVENTI SOCIALI RIABILITATIVI ATTIVI, FORMATIVI E LAVORATIVI Parte Prima Parte Seconda DIPARTIMENTO DI SALUTE MENTALE E DIPENDENZE PATOLOGICHE Area Progettazione Educativa per l’Inserimento Lavorativo BOLOGNA 2012

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MANUALE OPERATIVO

IL SISTEMA DEGLI INTERVENTISOCIALI RIABILITATIVI ATTIVI,FORMATIVI E LAVORATIVI

Parte Prima

Parte Seconda

DIPARTIMENTO DI SALUTE MENTALE E DIPENDENZE PATOLOGICHE

Area Progettazione Educativa per l’Inserimento Lavorativo

BOLOGNA 2012

5° Workshop sugli Inserimenti Lavorativi nel DSM DP “Francesca Bernaroli”

Dipartimento di Salute Mentale Dipendenze Patologiche 21 novembre 2011 2

Il presente documento si origina e si sviluppa dalla riflessione, dal confronto e dall’analisi degli ultimi anni nel Dipartimento di Salute Mentale Dipendenze Patologiche, sui temi della salute mentale e del lavoro. La discussione dei seminari di ottobre 2008 - 2009 -2010 - 2011, le sollecitazioni degli utenti e dei loro familiari nei vari tavoli di lavoro e nel CUFO, le indicazioni della cooperazione sociale e lo scambio culturale ed informativo con i colleghi di altri enti pubblici e privati hanno stimolato ed arricchito le argomentazioni proposte. Gli operatori del Dipartimento di Salute Mentale Dipendenze Patologiche, e soprattutto le assistenti sociali e gli educatori professionali del Gruppo DSM Lavoro – provenienti dalle Aree Dipartimentali CSM e SerT – hanno voluto e saputo raccogliere tale fermento ed hanno fatto proprie le indicazioni e la proposta della Direzione del DSM DP di procedere ad un lavoro di studio, di analisi, di revisione e di ideazione metodologica, progettuale, organizzativa, procedurale e operativa, relativamente agli inserimenti lavorativi nel DSM – DP. Il confronto ed il lavoro è diventato ancora più metodico e sistematico negli ultimi anni all’interno del Gruppo DSM Lavoro e tra operatori delle Aree Dipartimentali, la Direzione e gli altri partner esterni, grazie all’impulso che la Direzione del DSM DP ha inteso dare a questo progetto. In particolare hanno contribuito al documento: Vincenzo Trono, Responsabile dell’Area Progettazione Educativa per l’Inserimento Lavorativo, autore e curatore; Sabrina Vaccaro, operatrice IPS, autrice del capitolo “Il modello IPS e Progetto TIPS (Training on IPS) 2010-2011” (pagine 32 – 38) redatto con riferimento agli articoli D.R. Becker, R.E. Drake: L’inserimento lavorativo dei pazienti con disturbi mentali gravi, Rivista di Psichiatria di Comunità, 2005, pag.192 (traduzione di D. Manchisi), e R. Sabatelli, D. Manchisi, D. Piegari, A. Fioritti: Per un lavoro da protagonisti: il Progetto Eqolise, Rivista di Psichiatria di Comunità, 2005 pag.217. Operatori UU. OO. SerT: Elvira Antonina Aston, Roberta Carli, Valeria Cavallina, Adriano De Blasi, Alessandra Di Toma, Tatiana Dodaro, Patrizia Vecchi, co-autori Operatori UU. OO. CSM: Liliana Ardito, Daniela Ballo, Claudia Cuscini, Luca Degiorgis, Patrizia Di Campli, Lidia Gianferrara, Ombretta Gentile, Paolo Grossi, Dario Lin, Maria Carla Mantovani, Cristina Paolucci, Cristina Petrotta, Cristina Stanzani, Claudia Zucchi, co- autori Il capitolo “IL SUPPORTO ALL’IMPIEGO NEL MERCATO DEL LAVORO COMPETITIVO: IL MODELLO IPS” (pagine 47 – 57) è una sintesi riassuntiva elaborata a cura di Vincenzo Trono, con il contributo di Anna Pagani, operatrice IPS, tratta dal MANUALE SINTETITICO DELL’IPS. INDIVIDUAL PLACEMENT AND SUPPORT (traduzione ed adattamento di Angelo Fioritti, Nerina Dall’Alba, Denise Manchisi, Donato Piegari, Riccardo Sabatelli - Testo originale, SUPPORTED EMPLOYMENT. IMPLEMENTATION RESOURCE KIT, Workbook for practicioners and Clinical Supervisors, Shaping Mental Health Services toward Recovery, Becker, D.R., & Drake, R.E.)

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INDICE

1. Introduzione p.5

PARTE PRIMA EVOLUZIONE DELLE PRATICHE D’INSERIMENTO LAVORATIVO E ANALISI DEL CONTESTO ATTUALE

2. I percorsi e le attività d’inserimento formativo e lavorativo p.10 nella storia dei servizi di salute mentale bolognesi

3. La legislazione nazionale e regionale su disabili, categorie svantaggiate e lavoro p.15

4. L’analisi del contesto p.27

4.1 L’utenza del passato e del presente p.27

4.2 L’offerta attuale, le risorse impiegate sul decennio (2002 – 2010) p.36

4.3 Valutazione degli esiti p.38

4.4 Esigenze di cambiamento p.39

PARTE SECONDA PROPOSTA PER UN SISTEMA DEGLI INTERVENTI OCCUPAZIONALI, FORMATIVI E LAVORATIVI

5. Finalità e obiettivi del sistema p.41

6. Visione e valori p.43

7. Partner del sistema p.43

8. Organizzazione del sistema p.45

9. Le Aree p.48

9.1 Area degli Interventi Sociali Riabilitativi Attivi p.48

9.1.1 Intervento Sociale Riabilitativo Attivo (ISRA) p.48

9.2 Area della Formazione e transizione al lavoro p.52

9.2.1 Tirocini Formativi e di Orientamento p.54

9.2.2 Integrazione socio – sanitaria e inserimenti lavorativi p.55

9.2.2.1 Percorsi per l’inserimento al lavoro dei disabili p.57

9.2.2.2 Percorsi per l’inserimento lavorativo dell’utenza con p.58 disagio psichico e dipendenza patologica, non certificata come disabile

9.2.2.3 Percorsi di Formazione Professionale. p.59

9.3 Area della Cooperazione Sociale p.60

9.3.1 I percorsi dell’Economia Sociale p.60

9.3.2 I percorsi di economia sociale nella Cooperazione Sociale per l’inserimento lavorativo p.63

9.4 Area del supporto all’impiego nel mercato del lavoro competitivo p.68

9.4.1 Il modello IPS e Progetto TIPS (Training on IPS) 2010-2011 p.68

9.4. 2 Progetti di Microcredito per il supporto al lavoro autonomo p.74

10. Strumenti di valutazione del sistema p.76

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PARTE TERZA (Vedi Volume II)

IL MANUALE OPERATIVO: PROGETTAZIONE, INTERVENTI E VALUTAZIONE QUARTA PARTE (Vedi Volume II) ELENCO ALLEGATI

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1. Introduzione

E’ forse superfluo soffermarsi sulla importanza del lavoro nella vita e per la salute di

ogni persona, a maggior ragione delle persone con disturbi mentali che tradizionalmente

hanno sperimentato discriminazioni ed emarginazione in questo ed in altri ambiti sociali.

Forse l’affermazione più sintetica ed efficace è quella che diede Freud a proposito della

sua idea di salute: essere capaci di amare e lavorare. Detta in termini moderni si può

affermare che la possibilità di svolgere un lavoro retribuito e significativo sia un marker di

salute ben riconosciuto nella teoria e nella pratica dei servizi di salute mentale, in un certo

senso lo fu anche all’interno delle antiche strutture manicomiali, dove ben presto si diffuse

la pratica della ergoterapia e delle terapie occupazionali, tuttora in voga e praticate in

molte nazioni, che lavoro non erano affatto, ma che ne riprendevano le sembianze in un

contesto custodialistico e segregante.

Con lo svilupparsi della psichiatria di comunità e con il diffondersi dei moderni

concetti di riabilitazione, in Italia ed all’estero queste pratiche istituzionali sono state

sottoposte a aspre critiche e connotate come caritatevoli, emarginanti, disabilitanti e

cronicizzanti. Fin dall’inizio della riforma psichiatrica italiana vi è stato un forte interesse

per la promozione della integrazione sociale attraverso l’inserimento lavorativo praticato

con varie forme: creazione di cooperative poi denominate di tipo B (a partire dalla

Cooperativa Lavoratori Triestini fondata all’interno del manicomio di S. Giovanni da

Basaglia e dai suoi più stretti collaboratori, fino alla famosa esperienza pordenonese del

Noncello che ha anche ispirato un film di grande successo), percorsi di formazione al

lavoro, inserimenti protetti presso imprese pubbliche e private, utilizzo della legislazione

speciale di tutela delle persone disabili con riserva di posti previsti dalla legge 68 e via

dicendo.

Nel nostro Paese, dove tra l’altro l’articolo 1 della Costituzione menziona il lavoro

come fondamento della Repubblica, hanno avuto forte impulso tutti gli schemi “a

responsabilità sociale” finalizzati a perseguire l’obiettivo del lavoro, coerentemente con la

concezione ampiamente condivisa che il lavoro sia un diritto del cittadino cui la società

deve rispondere. Ciò, accompagnato al miglioramento progressivo del trattamento

psichiatrico, sia di tipo farmacologico che psicosociale, ed all’accresciuta sensibilità

pubblica al tema del diritto al lavoro hanno prodotto un aumento di richieste di aiuto in

questo settore fino a dimensioni oggi assai ragguardevoli.

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Secondo il primo rapporto regionale sugli inserimenti lavorativi oggi in Emilia-

Romagna oltre 4000 persone (di cui 1000 nella AUSL di Bologna) seguono programmi di

formazione e transizione al lavoro curati dai Centri di Salute Mentale, in collaborazione

con le altre articolazioni aziendali ed istituzionali del territorio. Le risorse investite sono

ingenti, in termini di risorse economiche investite, personale impegnato, collaborazioni

interistituzionali avviate.

Eppure intorno al tema degli inserimenti lavorativi si sta diffondendo un senso di

insoddisfazione che coinvolge i professionisti, gli utenti, i loro familiari, le istituzioni in

generale. Ciò che preoccupa maggiormente è l’esiguo numero di persone che tramite i

percorsi esistenti raggiunge una posizione lavorativa contrattualizzata. Si tratta di un

problema ben noto a livello nazionale, come sta dimostrando la ricerca PIL promossa e

coordinata dal DSM doi Trieste, che sta documentando esiti di ingresso nel mondo del

lavoro competitivo inferiori al 10% in tutte le regioni italiane, Friuli Venezia Giulia incluso.

L’Emilia-Romagna, secondo alcuni dati preliminari, si collocherebbe al secondo posto

dopo la Provincia Autonoma di Trento con circa il 6% di persone trattate che annualmente

raggiunge un contratto di lavoro effettivo. In vari contesti scientifici e professionali comincia

a circolare il dubbio che l’attuale sistema costruito per la promozione dell’inserimento

lavorativo, in tempi di crisi economica e di disoccupazione crescente, si stia trasformando

in un grande ammortizzatore sociale, dove sotto le forme della formazione e della tutela,

molte persone vengano sottopagate e tenute fuori dal mondo del lavoro effettivo per anni.

Queste preoccupazioni vengono espresse trasversalmente da tutti soggetti interessati,

autonomie locali, terzo settore, servizi sanitari, enti di formazione, utenti e familiari.

Parallelamente si stanno sperimentando con risultati promettenti schemi diversi da quelli

“a responsabilità sociale”, come il supported employment tramite l’IPS (ampiamente

descritto in seguito in questa proposta) ed il microcredito, che si distinguono enfatizzando

la “responsabilità individuale” dell’utente nel programmare e perseguire mete lavorative

autonomamente con un adeguato supporto psicologico e pratico da parte di operatori

formati all’interno del servizio.

Da ciò discende la necessità di avviare una riflessione su quello che si sta facendo

e sottoporlo ad una valutazione empirica e sistematica, per potere meglio definire obiettivi,

pratiche, elementi di successo, esiti. Uno specifico gruppo di lavoro regionale istituito con

determina del DG dell’assessorato Politiche per la salute n. 13644/08 ha completato il suo

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lavoro nel 2010 fornendo alcune considerazioni e raccomandazioni sintetiche che qui

giova riportare integralmente:

1. Le attività specificamente dedicate all’inserimento lavorativo degli utenti dei CSM costituiscono oggi una parte importante del lavoro degli stessi: esse coinvolgono quasi 4000 persone all’anno, probabilmente oltre la metà della utenza che ne esprime il bisogno, implica il lavoro prevalente od esclusivo di diverse centinaia di professionisti, si basa su un complesso lavoro di collegamento tra vari enti ed istituzioni che a vario titolo intervengono sul problema.

2. L’offerta dei servizi nel suo complesso riguarda prevalentemente attività protette e formative. Il raggiungimento di una posizione di lavoro nel mercato competitivo riguarda una parte minoritaria delle persone che ricevono interventi, probabilmente intorno al 10-15%.

3. E’ necessario addivenire ad un glossario unico delle attività offerte che superi la babele di linguaggi con cui vengono definite.

4. E’ necessario ricondurre tipologie che di fatto non sono lavorative o formative alle tipologie proprie della terapia, della riabilitazione o dell’assistenza, evitando confusioni od equivoci che si ripercuotono sugli utenti, i loro familiari ed i loro operatori.

5. E’ necessario definire con maggiore chiarezza il quadro normativo, assicurativo e previdenziale, vale a dire le regole di diritto del lavoro, per ogni tipologia formativa o lavorativa che fa parte del sistema della offerta dei singoli territori e del sistema regionale nel suo complesso. Ciò può essere fatto con il contributo dei competenti servizi regionali, dei professionisti dei servizi sociali e sanitari del territorio, dei centri per l’impiego, degli uffici provinciali del lavoro, dell’Università .

6. E’ auspicabile che in relazione alle trasformazioni della utenza e del mercato si raggiunga un equilibrio diverso tra attività protette, formative e di inserimento nel mercato competitivo (diretto o tramite meccanismi istituzionali) che rafforzi la offerta di servizi centrati sulla responsabilità individuale della persona in cura (supported employment, lavoro interinale, microcredito etc…). Queste attività dovrebbero essere espletate anche all’interno dei servizi sanitari (CSM), come molte esperienze italiane e straniere dimostrano, intese come supporto alle abilità della persona e quindi con significato abilitativo o riabilitativo.

7. E’ opportuno anche migliorare l’appropriatezza della offerta dei servizi, identificando meglio quale servizio è migliore per quale utente. In questo senso due sono i principi guida che dovrebbero essere mantenuti: in primo luogo nessuna singola tipologia di intervento ha percentuali di successo superiori al 40%, ed aumentando l’appropriatezza dell’intervento o mettendo in serie più interventi gli esiti dovrebbero essere migliori. In secondo luogo con il singolo utente occorre partire da proposte meno protette, volte a mettere in evidenza sul campo le reali potenzialità della persona e la sua motivazione, per poi passare con il suo accordo a modalità più protette nel caso le prime si siano rivelate non fruttuose.

8. E’ necessario rinforzare la rete delle relazioni istituzionali per semplificare e rendere sempre più efficienti i percorsi per quei cittadini che ricorrono a percorsi protetti, di formazione o di inserimento mediante strumenti di legge. A tale fine risulta interessante un confronto tra i vari modelli di coordinamento che nel tempo si sono strutturati nei vari territori e che possono costituire

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materiale di discussione negli ambiti di (programmazione locale (provinciale e distrettuale).

9. E’ necessario infatti che il tema degli inserimenti lavorativi entri nella programmazione socio-sanitaria così come previsto dal piano attuativo salute mentale, potendo usufruire di una base di dati e di esperienze che il gruppo di lavoro ha iniziato a raccogliere all’interno del mandato ricevuto.

10. E’ necessario infine continuare nella opera testé intrapresa di raccolta dati, di monitoraggio degli esiti, di confronto dei modelli organizzativi, di ricerca e formazione sul campo. La ricchezza di esperienze avviate e l’ambizione degli obiettivi che ci si pone lo richiedono. A tal proposito sarebbe utile che tutti i DSM DP si dotassero di un programma informatizzato di rilevazione dei dati.

A partire da queste raccomandazioni all’interno del Dipartimento di Salute Mentale

e Dipendenze Patologiche si è istituito un gruppo di lavoro che nel corso dell’ultimo anno

ha predisposto la proposta contenuta in questo documento e che oggi viene portata per la

prima volta ad una pubblica discussione con tutti gli interlocutori interessati e coinvolti.

Questa proposta cerca di rispondere ad alcune esigenze basilari:

1. affermare chiaramente che i programmi di sostegno e ricerca dell’inserimento

lavorativo sono parte integrante dei progetti terapeutico-riablitativi posti in essere da

parte dei servizi clinici, in collaborazione con tutti gli enti ed i soggetti coinvolti;

2. fornire un glossario delle attività che vengono praticate e definirle operativamente;

3. distinguere chiaramente le attività ed i programmi che hanno una finalità

occupazionale/osservativa/riabilitativa da quelle che hanno una finalità formativa e

da quelle che sono finalizzate al lavoro contrattualizzato;

4. fornire per ciascuna di esse un chiaro quadro di riferimento normativo ed

organizzativo, in modo da superare incertezze ed ambiguità relativamente a statuto

giuslavortistico, previdenza, certificazioni etc…

5. fornire per ciascuna di esse un quadro di riferimento clinico-funzionale, mettendo in

luce le caratteristiche degli utenti che verosimilmente possono trovare una risposta

migliore da parte di ciascuna delle attività riconosciute e praticate;

6. fornire uno schema utile ai fini della valutazione empirica degli esiti (oggettivi e

soggettivi) e dei costi, al fine di poter applicare anche in questo campo il principio

del miglioramento continuo ed un sistema di sviluppo della qualità.

La proposta è organizzata in quattro parti, delle quali la prima è introduttiva e

ripercorre le tappe storiche dello sviluppo locale dei servizi pensati per il sostegno e la

promozione del lavoro. In questa parte vengono anche richiamati gli elementi salienti di

legislazione nazionale e regionale ed una breve analisi del contesto locale, per quanto

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attiene a tipologie di utenza, risorse impiegate, offerta di servizi, dati di utilizzo e

valutazione degli esiti.

La vera e propria proposta è contenuta nella seconda parte nella quale vengono

esplicitati i valori e la visione del sistema integrato, gli obiettivi e le finalità dello stesso, i

partner che si integrano nel sistema ed i loro ruoli, la sua organizzazione complessiva.

Vengono identificate cinque aree di intervento: l’area socio-occupazionale, l’area di

formazione e transizione al lavoro, l’area della cooperazione sociale B, l’area del

supported employment, e l’area dell’inserimento attraverso i meccanismi istituzionali

previsti dalla legge 68 e dalla legislazione in materia. Naturalmente esistono ambiti di

sovrapposizione tra aree (ad esempio tra area della formazione e area della cooperazione

B). Di ognuna di queste aree vengono esplicitati i presupposti, l’organizzazione, gli

obiettivi, le metodologie ed i risultati attesi, cercando con questo di costruire un sistema

integrato più leggibile, efficiente ed efficace. A tale scopo viene dedicata attenzione alle

caratteristiche della utenza cui proporre le diverse opzioni e le sequenze temporali con cui

proporle (ad esempio, nella utenza all’esordio cominciare con il supported employment

prima di passare a proposte più protette).

La parte terza è il manuale operativo nel quale le pratiche esposte nella parte

seconda vengono dettagliate e operazionalilzzate, cercando in tal modo di raggiungere

una certa omogeneità sul territorio aziendale e rendere leggibili i risultati in un’ottica

comparativa. La parte quarta contiene infine un ricco armamentario di allegati che

riguardano, procedure, protocolli, strumenti e legislazione.

Nel ringraziare tutti coloro che hanno contribuito a produrre questo elaborato

desidero sottolineare il suo carattere di proposta. Non si tratta di un lavoro finito, semmai

di una tappa intermedia che a partire dal grandissimo lavoro ultratrentennale di tutti i

soggetti coinvolti, cerca ora di rinnovare e rilanciare un principio e delle pratiche che i

mutamenti dell’utenza, delle cure e del contesto socioeconomico richiedono di riformare.

Confidiamo che i contributi critici e propositivi siano numerosi e qualificati per poter

migliorare questo prodotto e possibilmente renderlo presto operativo con il consenso di

tutti.

Con i migliori auguri di buon lavoro a tutti noi!

Angelo Fioritti

Bologna, 11 ottobre 2011

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PARTE PRIMA EVOLUZIONE DELLE PRATICHE DI INSERIMENTO LAVORATIVO E ANALISI DEL CONTESTO ATTUALE 2. I percorsi e le attività d’inserimento formativo e lavorativo nella storia dei servizi di salute mentale bolognesi Lo scenario attuale dei percorsi e delle attività d’inserimento formativo e lavorativo nei servizi della salute mentale bolognese trae la sua origine da quanto promosso e realizzato a partire dalla fine degli anni settanta del secolo scorso. Tralasciamo di riproporre il racconto e le considerazioni sull’uso distorto e strumentale e sulla funzione di controllo e sottomissione del lavoro in forma ergoterapica e occupazionale, negli istituti manicomiali. Questa parte di esperienza che ha pur avuto un ruolo nella vita anche degli Ospedali Psichiatrici della provincia di Bologna, a nostro parere e come si evince da una breve ricostruzione storica dei percorsi riabilitativi post-manicomiali, non ha apportato nulla in termini di cultura, di tecniche e di metodologie alla successiva esperienza della riabilitazione lavorativa territoriale. Così palesemente e consapevolmente risulta dai ricordi, dalle conoscenze e dagli atti, e su cui probabilmente siamo tutti d’accordo. Di fatti con la legge 180/78 si apre una stagione completamente nuova. Dopo la sua promulgazione, con l’apertura dei servizi territoriali della salute mentale, il lavoro assume il ruolo di strumento di deistituzionalizzazione e di restituzione di cittadinanza agli utenti liberati dalla condizione manicomiale. Quello del lavoro “esterno”, in un mondo vero, forse è il primo passaggio riabilitativo dove l’utente ha la possibilità reale di acquisire un reddito e uno status/identità sociale e di permettersi relazioni e scambi sociali interpersonali e di comunità. Un’attività estremamente positiva ed emancipante fin dal primo momento, anche se lasciata ad un’estrema spontaneità, che poi verrà ripresa e ricollocata nella dimensione organizzata del progetto riabilitativo. Nell’area territoriale bolognese, si delinea, nel tempo, un percorso graduale di costruzione di progetti e di attività che ricevono un forte impulso negli anni ‘80 – ‘90, si stabilizzano sul piano organizzativo nel primo decennio degli anni duemila ed assumono definitivamente l’assetto dell’attuale sistema degli inserimenti lavorativi. Nel 1979 si apre a Bologna l’Area Autogestita dell’O. P. “F. Roncati” con trenta degenti, 15 uomini e 15 donne, in grande maggioranza ricoverati dai 10 ai 30 anni, a parte 2, da 5 – 6 anni. I pazienti sono di estrazione sociale operaia e contadina: gli uomini non hanno nessuna qualifica professionale – lavorativa specifica ma remote esperienze di lavori generici in industria, agricoltura e artigianato, e le donne, hanno competenze e mansioni legate al ruolo di casalinghe. Hanno avuto esperienze scolastiche difficili ed emarginanti. In quel periodo storico, come unici strumenti conosciuti d’inserimento formativo e lavorativo, esistono i Corsi di Orientamento e Formazione professionale finanziati dal Fondo Sociale Europeo che provano ad utilizzare come contesti di stage lavorativo le Aziende pubbliche e private, gli enti di formazione, i centri sociali formativi. Secondo gli operatori della salute mentale tali percorsi presentano rilevanti problemi dovuti alle qualifiche che sono troppo alte e poco accessibili, all’organizzazione scolastica che è troppo rigida, con conseguente difficoltà nel tenere tutti gli ex degenti sulle lezioni teoriche d’aula. Accanto a questi problemi, vi sono difficoltà, perplessità e resistenze del contesto socio economico produttivo all’inserimento lavorativo dei pazienti. Si ipotizzano varie soluzioni: - la mobilitazione e la sensibilizzazione del movimento operaio e sindacale, per avanzare proposte normative e contrattuali nuove; - la funzione di tutor aziendale del delegato sindacale o dei colleghi lavoratori;

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- l’orario di lavoro più elastico; - i corsi di formazione integrati tra pazienti e cittadini. Intanto come Area Autogestita si costruiscono e si realizzano:

3 corsi finanziati dal FSE, gestiti con ENAIP, su ceramica e decorazione, tessitura, con contenuti pratico – manuali per il recupero di competenze perdute, con orari e organizzazione didattica elastica, con prospettive di lavoro attraverso la costituzione di una cooperativa di servizi;

un Laboratorio artigianale per la produzione e la vendita di manufatti, dopo il restauro ed il recupero di macchine in disuso (telai);

nel 1986, la costituzione dei pazienti nella Cooperativa Iacoop service. Gli operatori ed i pazienti di allora si propongono di affrontare il lavoro non in un’ottica assistenziale, ma come strumento operativo atto a stimolare un’emancipazione degli ospiti dal condizionamento di lunghi periodi di istituzionalizzazione e a favorirne l’inserimento nel tessuto sociale. Contemporaneamente all’interesse e all’impegno per gli utenti reduci dall’esperienza manicomiale, si ribadisce l’attenzione e l’importanza della funzione integrativa e riabilitativa del lavoro anche per i nuovi utenti che si affacciano sui nascenti servizi territoriali. Nel 1982 il SIMAP di S. Giorgio di Piano USL 25, in collaborazione con il Servizio Sociale dell’USL, promuove la costituzione della Cooperativa Arcobaleno, attraverso un propedeutico Corso di Formazione Professionale per la produzione di ceramica, finanziato dal fondo sociale europeo FSE e gestito dall’ENAIP e dalla Cooperativa stessa. Vi è una stretta collaborazione tra Servizio e Servizio Sociale, con la condivisione di tutti percorsi di cura e riabilitazione, con la creazione di un comune gruppo di lavoro sui problemi della formazione e dell’inserimento lavorativo, con l’analisi dei bisogni ed il tentativo di diversificazione delle risposte, con la creazione di una Cooperativa per avere opportunità di lavoro. Denunciati gli atteggiamenti stigmatizzanti ed espulsivi del mercato del lavoro, si immagina la cooperativa come luogo di produzione e non di assistenza, senza la presenza di figure sanitarie, con obiettivi di autonomia degli utenti, di produzione e di creazione di posti di lavoro come sbocco della formazione professionale. Gli utenti non sono selezionati ma si lascia “libero” accesso con presenza mista anche di casi sociali: 34 utenti nel 1986, 76 utenti dall’82 all’86, 5 assunti. Nel 1986, il SIMAP e il Servizio Sociale della USL 28 di Bologna, organizzano un Corso di Formazione Professionale di giardinaggio per 9 persone, con formazione d’aula e con formazione pratica presso i giardinieri dell’Ospedale S. Orsola. Le difficoltà allora segnalate sono: carenze basilari della preparazione scolastica degli utenti, problemi di attenzione e concentrazione sulle lezioni d’aula e di relazione in gruppo. Va meglio con la partecipazione nella parte pratica e dopo la formazione, si pensa al lavoro, ma si scarta la possibilità di inserimenti lavorativi in imprese del settore; si ritiene che un lavoro vero non sia sostenibile per l’utenza. Si fonda così la società di giardinaggio Baobab con 3 utenti e inizialmente con piccoli contratti privati di lavoro. Dopo si hanno le prime commesse di lavoro del Comune di Bologna, si intensifica la presenza degli operatori sul lavoro per affiancamento all’utenza e coordinamento dei lavori, si consolidano e si privilegiano i rapporti con l’ente pubblico. Sempre nel 1986 si costituisce la Cooperativa Baobab srl, con la partecipazione dei Servizi Territoriali Psichiatrici delle USL 28 e 29 di Bologna e si perseguono gli obiettivi di avere una sede propria fuori dal SIMAP e di curare in autonomia dal servizio tutti gli aspetti gestionali e amministrativi. Nel giugno 1986 si costituisce anche la Cooperativa Agriverde, per iniziativa del SIMAP dell’USL 22 di S. Lazzaro, con la collaborazione ed il sostegno del Comune di S. Lazzaro

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e sull’idea di attivarsi in favore dell’utenza della salute mentale che si riteneva avere poche o nulle possibilità di poter svolgere attività lavorative corrispondenti alla propria abilità in contesti produttivi tradizionali. La cooperativa inizia la propria attività nel 1987, promuovendo un Corso di Formazione Professionale IRFATA, 600 ore, per operatore della manutenzione del verde, organizzato e gestito dal CEFAL, per 20 utenti circa provenienti dal servizio territoriale psichiatrico. Al termine del corso, 6 allievi (4 svantaggiati) vengono assunti dalla cooperativa, intraprendendo una vera e propria attività nel settore agricolo e della manutenzione di aree verdi; si attivano le prime 4 borse lavoro (ex corsisti) utilizzando il Progetto Handicap 85 della Provincia di Bologna (protocollo d’intesa Provincia, USL 22 e Coop. Agriverde). Già dalla sua costituzione la cooperativa Agriverde sostiene con forza di essere stata concepita come un’entità indipendente dal servizio, con una propria autonomia imprenditoriale, organizzativa ed economica. Però si mantengono stretti rapporti di collaborazione che nel 1988 portano alla stipula della prima convenzione a retta tra USL 22 e Coop. Agriverde, con l’apertura di un laboratorio protetto di attività vivaistiche e di orticoltura, per 8 utenti gravi del servizio. Nel 1990, promossa dal SIMAP della USL 20 di Casalecchio di Reno, nasce la Cooperativa Il Martin Pescatore sia per la gestione delle attività riabilitative del Centro Diurno sia per percorsi d’inserimento lavorativo. Era esplicitamente dichiarato l'intento di creare un luogo protetto di riabilitazione lavorativa in alternativa al lavoro nel mercato competitivo e di integrare attivamente l’attività della Cooperativa con l’operato del servizio psichiatrico, al punto di avere nei contesti riabilitativi (Centro Diurno e Cooperativa), gruppi misti di operatori pubblici e del privato sociale. Nel dicembre 1992, nasce la Cooperativa sociale Pictor da un gruppo di operatori del Servizio di Salute Mentale della USL 24 di Budrio, impegnati nel percorso di deistituzionalizzazione e superamento dell’Ospedale Psichiatrico San Gaetano di Budrio. Alcuni dirigenti ed operatori rivestono ruoli centrali nella cooperativa e gli utenti coinvolti sono all’inizio soprattutto ex degenti dell’OP S. Gaetano che avevano già svolto dei lavori o che erano in borsa lavoro all’interno. Nel 1994, dopo un anno di transizione a gestione mista operatori - utenti, con le prime commesse di lavoro per le pulizie nell’OP e poi degli spogliatoi del palazzetto dello sport del Comune di Budrio, si definisce una gestione autonoma e svincolata dal servizio della cooperativa con l’ingresso dei primi 3 soci lavoratori svantaggiati. Nel 1994 si promuove anche un Corso di Formazione Professionale per Operatore della manutenzione del verde, organizzato e gestito dal CEFAL e per 10 utenti circa, di cui 6 entrano a far parte della cooperativa (3 nelle pulizie, 3 nella manutenzione del verde). Fino all’autunno del 2000, la cooperativa ha la sua sede presso alcuni uffici dell’ex OP di Budrio.

Tutti questi percorsi misti formazione – cooperazione, negli anni ’80, nascono e si sviluppano prevalentemente senza il noto strumento della Borsa Lavoro. Nel 1985, la legge regionale n. 2 sul riordino dell'assistenza e della sicurezza sociale, si propone di favorire l'inserimento o il reinserimento lavorativo anche in collaborazione con le strutture di formazione professionale, con le organizzazioni sindacali e imprenditoriali, con i competenti uffici periferici del Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale e in rapporto con le associazioni di categoria. Sull’idea di prevedere interventi che medino le difficoltà degli utenti, dei disabili con le richieste e le opportunità del mondo del lavoro, si ipotizzano e si sperimentano strumenti, attività e percorsi mirati e facilitanti sul piano tecnico – formativo lavorativo e relazionale. Nella legge regionale n. 2/85 non ci sono riferimenti precisi, ma su queste indicazioni di massima, nei Servizi Sociali e dell’Handicap in forma grezza si inventa e si genera la Borsa Lavoro. Nei primi anni in alcuni territori, i Servizi Sociali delle USL su delega dei Comuni ed in forma integrata, gestiscono tutte le Borse Lavoro per tutte le categorie d’utenza (casi sociali, pazienti psichiatrici, disabili fisici, tossicodipendenti, ecc.).

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Successivamente inizia ad essere utilizzata direttamente ed autonomamente dai servizi psichiatrici territoriali. Ad esempio, nel febbraio 1989 si sperimentano le prime 3 Borse Lavoro, sul solco di altre già attivate prima dal Servizio Handicap USL 28, con utenti giovani e motivati di uno dei 2 servizi SIMAP della USL 28, presso Centro Stampa, Magazzino, Cucina dell’Osp. S. Orsola; successivamente si allarga l’esperienza all’altro servizio e ad altre postazioni del presidio ospedaliero (Falegnameria, Giardinieri, Ufficio Tecnico). Si inseriscono i costi nel bilancio dell’intermediazione/riabilitazione del Servizio di Salute Mentale. Agli inizi degli anni ’90, la borsa lavoro diventa lo strumento privilegiato per l’inserimento lavorativo e si allarga dalla pubblica amministrazione, dalla cooperazione sociale, dall’associazionismo seppur timidamente alle imprese private. Comunque le Borse Lavoro, pur diversamente definite come Interventi Terapeutico Riabilitativi in Situazione Lavorativa, continuano ad esserci fino ai giorni nostri, seppure l’unico riferimento ideale e normativo, la LR 2/85 che ne aveva stimolato la nascita, viene abrogata nel 2003.

Negli stessi anni ’80, anche come effetto dell’applicazione della LR 2/85, si avviano attività ed interessanti progetti legati al collocamento lavorativo dei disabili tramite legge e servizi preposti. Nel 1985, la Provincia di Bologna vara il progetto “Handicap 85”, attraverso il quale istituisce il SIL, Servizio di Inserimento Lavorativo, con il compito di facilitare l’inserimento lavorativo mirato dei disabili in base alla L. 482/68 del collocamento obbligatorio, al tempo vigente, ed avvia nell’area territoriale bolognese progetti di orientamento e formazione al lavoro. Nell’immediato si costituisce un coordinamento operativo tra SIL e i Servizi USL, per condividere la progettazione di percorsi per utenti disabili. Nel 1993 tale rapporto di collaborazione assume una dimensione tecnica – istituzionale molto più ampia attraverso il Progetto Lavoro e Disabilità coordinato dalla Provincia di Bologna e con l’adesione di Comuni, USL, Associazioni di categoria, Associazioni di disabili, Sindacati, Università. Questo tavolo provinciale di lavoro progetta e sperimenta percorsi di “collocamento mirato”, utilizzando e integrando tra loro percorsi fino ad allora separati: studio della postazione lavorativa, corsi di formazione provinciali, borse lavoro e collocamento obbligatorio disabili. Si cerca in un certo qual modo di uscire da una logica assistenziale e da una modalità “meccanica” della legge 482/68. E’ una realtà provinciale che in quegli anni promuove numerose iniziative di politica attiva del lavoro in favore dell’inserimento lavorativo dei disabili, puntando alla realizzazione di un sistema di servizi e di azioni orientative, di formazione e di mediazione articolato, avanzato ed anticipatorio di quello che sarà il sistema del collocamento mirato della Legge 68/99. I servizi psichiatrici nella prima fase si appoggiano sui Servizi sociali e si avvalgono dell’opera dei loro professionisti; dopo la metà degli anni ’90 si rappresentano da soli ed autonomamente nelle sedi istituzionali e nei progetti sopradescritti. Inoltre dal 1979 agli inizi degli anni 90 i disabili psichici, con sentenze della Corte Costituzionale e con circolari ministeriali vengono tolti e riammessi dalla graduatoria per le assunzioni obbligatorie della legge 482/68; quando tolti possono accedere al lavoro solo se chiamati e voluti nominativamente dalle aziende. Se prima viene denunciata la natura stigmatizzante dei vari provvedimenti, dopo ripristinato l’accesso per l’utenza psichiatrica al collocamento obbligatorio, questo viene comunque definito troppo rigido ed automatico, poco adatto e poco mirato e di fatti limitatamente utilizzato dai servizi e dall’utenza della salute mentale. Inizialmente, nelle pratiche passate e originarie dell’inserimento lavorativo nei Servizi handicap e disabili, si centrava l’attenzione su deficit cognitivi, intellettivi – sensoriali, fisico - motori e lavorativi, prevedendo percorsi di addestramento lavorativo e di riadattamento della postazione, lasciando in secondo piano gli aspetti ed i problemi relazionali,

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comportamentali e motivazionali dell’utente e non riconoscendo gli atteggiamenti di pregiudizio dei datori e dei colleghi di lavoro. Dagli anni ’90 a tutt’oggi, i modelli organizzativi e le metodologie sugli inserimenti formativi e lavorativi si sviluppano e si consolidano. Nelle aree geografiche di pianura e di montagna, le Cooperative sociali B di riferimento si ingrandiscono e si rafforzano nei rapporti con il Servizio di Salute Mentale, con gli enti pubblici e si aprono ad attività sul mercato; gli interventi dei Servizi prediligono in modo quasi esclusivo lo strumento della borsa lavoro, con alcune esperienze di formazione professionale e con un certo utilizzo del collocamento lavorativo dei disabili. Nell’area della città di Bologna, invece le Cooperative sociali B di riferimento, hanno maggiori difficoltà, soprattutto nei rapporti con la pubblica amministrazione, e consolidano il loro stato e la loro crescita, cercando con non pochi sforzi di non soccombere. Contemporaneamente nascono nuove Cooperative sociali B ma per altri target di utenza ed altri Servizi ed Enti (handicap, servizi sociali, tossicodipendenze, ex detenuti, senza fissa dimora). Queste cooperative sociali, comunque accoglieranno nel tempo, numeri sempre più rilevanti d’utenza psichiatrica, magari con doppia diagnosi o condizione mista, in borsa lavoro, con qualche assunzione e senza alcun contributo economico da parte dei servizi della salute mentale (si, da altri servizi o enti). Contemporaneamente si punta sugli strumenti della borsa lavoro, dei corsi di formazione professionale, del bilancio di competenze, dei tirocini formativi, del collocamento mirato dei disabili, dell’attività di orientamento e di ricerca attiva del lavoro anche nel libero mercato. Si rinforzano e si sviluppano i rapporti con la Provincia e con le realtà ad essa collegate (Uffici inserimento lavorativo disabili, Enti di formazione) e con le altre Agenzie territoriali per il lavoro (Centro per l’Impiego, Agenzie interinali). Inoltre in città, nel tentativo di ordinare e sistematizzare in modo efficiente tutta la varietà d’interventi e di rapporti, si opterà anche per specializzare l’intervento d’inserimento lavorativo collocando, parzialmente negli anni ‘90, tale attività su gruppi di lavoro ed operatori nei Centri Diurni, e nei primi anni duemila in un unico servizio dedicato e competente (Agenzia Lavoro). Ma dopo quasi un decennio di attività, si avrà poi il coraggio di ammettere e di riconoscere, almeno in questa circostanza, la condizione di criticità in cui si è venuta a trovare il Servizio, l’Agenzia Lavoro. Si era creata ed ampliata una distanza tra equipe del servizio ed i CSM cittadini che non permetteva una piena condivisione progettuale del lavoro riabilitativo e delle sue necessità organizzative; erano diventate ancora più marcate le condizioni di delega, di difficoltà di comunicazione e di sconnessione tra le azioni dei vari attori intorno al progetto terapeutico – riabilitativo e cresceva significativamente l’aggravio costante di nuove richieste di presa in carico di utenti. Pur riconoscendo il lavoro dedicato e professionalmente competente degli educatori di Agenzia Lavoro, la possibilità di trattare in modo approfondito e con le necessarie conoscenze e cultura i temi della salute mentale e del lavoro, lo sviluppo di numerosi progetti lavorativi e formativi per gruppi di utenti e la costruzione di rilevanti relazioni di rete, a un certo punto ci si è resi conto che i buoni esiti di salute e di lavoro sono realisticamente ottenibili e praticabili in modo completo ed integrato solo con l’appartenenza al gruppo di lavoro complessivo sul caso, con la possibilità di poter rispondere nei tempi opportuni e in modo organico ed unitario ai bisogni dell’utenza anche sul piano lavorativo. Il racconto e l’analisi storica si ferma a questo punto, quando esistevano le realtà geografiche espresse dai tre dipartimenti delle aree nord, sud e centro cittadino e perché diventa tema dell’oggi la riflessione sull’idea d’inserimento lavorativo che viene formandosi in un unico Dipartimento di Salute Mentale e nello specifico nell’area dei CSM.

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3. La legislazione nazionale e regionale su promozione dell’occupazione, politiche attive del lavoro, formazione professionale e cooperazione sociale con particolare attenzione per disabili e persone svantaggiate. I cambiamenti sociali, economici e politici interconnessi con il tema lavoro, che si sono succeduti nelle diverse epoche storiche ne hanno modificato natura, significato e organizzazione. Sicuramente nell’ultimo decennio e soprattutto nell’ultimo periodo i processi di cambiamento del lavoro hanno avuto una forte accelerazione. “Incertezza, mobilità, rischio ed opportunità sono concetti che descrivono la società odierna del capitalismo flessibile e della “economia della velocità”. Tale società che vede le strutture produttive cambiare natura per adattarsi alle nuove configurazioni del mercato, conosce sul versante del lavoro cambiamenti profondi. Quelle che erano un tempo le condizioni di stabilità lavorativa (il lavoro presso un’unica azienda per tutta la vita, la regolazione del rinnovo dei contratti tramite tutela sindacale, ecc.) nell’economia postfordista, si trasformano per lasciare posto ad una maggiore instabilità e precarietà dei lavoratori e/o, a seconda delle situazioni soggettive, a maggiori opportunità di iniziativa e spazi di autonomia professionale. Questo duplice aspetto è caratteristico, infatti, di quella che, dopo la fine del “posto fisso”, del lavoro a tempo indeterminato, viene chiamata non più “società del lavoro”, ma “società dei lavori” (M. La Rosa, C. Tafuro, 2009). Le leggi hanno cercato di anticipare o di seguire i processi di trasformazione del mercato del lavoro ora regolamentando le nuove forme ora deregolarizzando le vecchie. Il quadro normativo è cambiato, si è reso più complesso, ha ridefinito le competenze ed ha modificato gli approcci e l’organizzazione delle istituzioni e dei servizi in tema di politiche sociali e attive del lavoro. Di conseguenza si sono modificate le leggi per il lavoro di disabili, categorie svantaggiate e fasce deboli. Tali norme si sono generate da una parte come figlie dei percorsi di crescita ed emancipazione sociale dei decenni precedenti e dall’altra come tentativo di risposta alle nuove condizioni di vulnerabilità sociale ed ai cambiamenti delle categorie di disagio e di svantaggio. Inoltre nel primo decennio del duemila, altra grande novità, in materia di legislazione per la formazione, per la promozione dell’occupazione e della sicurezza sul lavoro, è stata la riforma del Titolo V della Costituzione, con cui si è prodotto un cambiamento notevole sul piano del decentramento delle funzioni e delle competenze. La normativa regionale adotta specificatamente le indicazioni generali di quella nazionale ma anche legifera a sua volta, attribuisce competenze (Province) e quando vi sono le condizioni pone le basi per maggiori garanzie di diritti e di opportunità, anche al di sopra dei livelli essenziali stabiliti dallo Stato. Tutti questi elementi, accennati brevemente, si affiancano e sono stati contemporanei alla storia degli interventi riabilitativi, formativi e lavorativi, spesso influenzandone l’esistenza e l’evoluzione. Quindi sarebbe opportuno un breve riepilogo della normativa regionale e nazionale sul tema dell’integrazione socio-sanitaria , della disabilità, della formazione e del collocamento lavorativo. Però non è nostra intenzione fare una lettura ed un’analisi critica della normativa che richiederebbe spazio e tempo né tanto meno di costruire una cornice normativa di altrui ambiti di competenza non propriamente sanitari. Proponiamo invece un quadro informativo, sintetico e utile che guidi tutti gli operatori del DSM DP nella complessità non solo normativa ma anche sociale dentro cui si muovono le attività ed percorsi d’inserimento formativo e lavorativo. Data la consistente mole di leggi, decreti, circolari, ecc. esponiamo le informazioni salienti e di maggiore interesse per l’utenza della salute mentale e per gli approfondimenti vi rimandiamo agli allegati.

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L’elenco della legislazione nazionale e regionale in tema di formazione, di promozione dell’occupazione e di mercato del lavoro, di integrazione sociale e sanitaria viene così presentato secondo una sequenza quasi cronologica. Legge 8 Novembre 1991, n. 381 “Disciplina delle Cooperative Sociali” (Allegato A I). All’art. 1, le cooperative sociali sono definite come imprese che perseguono l'interesse generale della comunità alla promozione umana e all'integrazione sociale attraverso la gestione di servizi socio-sanitari ed educativi e di inserimento lavorativo di persone svantaggiate. All’art.4, si definisce che nelle cooperative sociali B si considerano persone svantaggiate gli invalidi fisici, psichici e sensoriali, gli ex degenti di istituti psichiatrici, i soggetti in trattamento psichiatrico, i tossicodipendenti, gli alcolisti, i minori in età lavorativa in situazioni di difficoltà familiare, i condannati ammessi alle misure alternative alla detenzione. Si considerano inoltre persone svantaggiate i soggetti che possono essere successivamente indicati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro della sanità, con il Ministro dell'interno e con il Ministro per gli affari sociali. All’art. 5, si stabilisce che gli enti pubblici, compresi quelli economici, e le società di capitali a partecipazione pubblica, anche in deroga alla disciplina in materia di contratti della pubblica amministrazione, possono stipulare convenzioni con le cooperative sociali B per la fornitura di beni e servizi diversi da quelli socio-sanitari ed educativi il cui importo sia inferiore agli importi stabiliti dalle direttive comunitarie in materia di appalti pubblici, purché tali convenzioni siano finalizzate a creare opportunità di lavoro per le persone svantaggiate. Recentemente, nel 2010, una sentenza del Tar della Lombardia ed una successiva decisione del Consiglio di Stato hanno accolto un ricorso, rilevando che la deroga alle garanzie della gara pubblica prevista dall’art. 5 L. 381/91 – che attribuisce agli enti pubblici la possibilità di stipulare convenzioni, anche in deroga alla disciplina in materia di contratti, con cooperative che svolgono attività di promozione umana ed integrazione dei cittadini, per la “fornitura di beni e servizi diversi da quelli socio-sanitari ed educativi”- opererebbe nel solo caso in cui l’ente pubblico debba acquistare beni e servizi in proprio favore e non anche affidare a soggetti diversi lo svolgimento di servizi destinati ai terzi, direttamente ai cittadini. Limitando di fatti l’utilizzo dell’art.5 per l’affidamento diretto di commesse di lavoro alle cooperative sociali B. “Le norme per la loro promozione e sviluppo sul territorio della Regione Emilia-Romagna sono dettate dalla Legge Regionale 7 del 1994, “Norme per la promozione e lo sviluppo della cooperazione sociale. Attuazione della Legge 8 novembre 1991 n. 381” (Allegato A II) così come modificata dalla Legge Regionale n. 6 del 1997, che ne regolamenta l'iscrizione all'albo regionale (articolato in sezioni provinciali), i rapporti con la pubblica amministrazione per l'affidamento in gestione dei servizi, nonché le forme di sostegno. L'albo si articola nelle seguenti sezioni:

Sezione A, nella quale sono iscritte le cooperative che gestiscono servizi socio-assistenziali, sanitari ed educativi;

Sezione B, nella quale sono iscritte le cooperative che svolgono attività diverse - agricole, industriali, commerciali o di servizi - finalizzate all´inserimento lavorativo di persone svantaggiate;

Sezione C, nella quale sono iscritti i consorzi costituiti come società cooperative aventi la base sociale formata in misura non inferiore al settanta per cento da cooperative sociali.

Si ricorda che ai sensi del decreto legislativo 460 del 1997 le organizzazioni iscritte sono di diritto Onlus (organizzazioni non lucrative di utilità sociale).

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La Regione inoltre, eroga contributi alle imprese per favorire l'assunzione di persone svantaggiate che cessino di essere soci lavoratori o lavoratori di una cooperativa sociale.”(www.sociale.regione.emilia-romagna.it) La Legge n. 196/97, "Norme in materia di promozione dell'occupazione" (Allegato A III), detta anche “Pacchetto Treu”, è un primo tentativo di riforma del mercato del lavoro attraverso misure contro la disoccupazione e con incentivi e strumenti che promuovono l’occupazione. Si riformano, si introducono e si regolarizzano in linea generale alcune forme, anche innovative, di formazione in situazione e di lavoro, come i Tirocini formativi e di orientamento, il lavoro temporaneo (interinale), il contratto a tempo determinato, gli incentivi per il part time, l’apprendistato, i lavori socialmente utili, il contratto di formazione lavoro (che verrà successivamente abolito) e le Borse di lavoro (solo per le aree economicamente depresse del Paese). I tirocini formativi e di orientamento, definiti dall’art.18 della L.196/97, sono lo strumento che verrà molto utilizzato nei percorsi di formazione e transizione al lavoro dei disabili e delle persone svantaggiate da parte dei Servizi competenti e cooperative sociali; tra i promotori nella legge nazionale non è citata esplicitamente l’Azienda sanitaria locale ma generici “soggetti pubblici o a partecipazione pubblica e di soggetti privati non aventi scopo di lucro”. I tirocini formativi e di orientamento poi avranno le disposizioni attuative dettagliate, di cui le principali: il Decreto interministeriale del 25 marzo 1998, n. 142 “Regolamento recante norme di attuazione dei principi e dei criteri di cui all'articolo 18 della legge 24 giugno 1997, n.196, sui tirocini formativi e di orientamento” (Allegato A IV); la Circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali del 15 luglio 1998, n. 92 Tirocini formativi e di orientamento. D.M. 142 del 25/3/98 (Allegato A V); l’Interpello n. 7/2010 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (Allegato A VI), a proposito dei tirocini formativi e di orientamento sancisce che “la funzione di formazione ed orientamento sembra utilmente combinarsi con le finalità di riabilitazione terapeutica e di reinserimento sociale, in particolare quando si facciano promotori soggetti che offrano adeguata garanzia rispetto agli intenti perseguiti (quali, ad esempio, enti pubblici, organizzazioni non lucrative o altri enti del terzo settore, etc.): è dunque possibile, in presenza di un interesse meritevole di tutela ex art. 1322, comma 2, c.c., ricostruire la fattispecie in termini di convenzione di tirocinio formativo e/o di orientamento atipico”; quindi apre la possibilità di promozione dei tirocini formativi anche alle Aziende USL. Decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469 come modificato dall’art. 117 comma 3 della legge 388 del 2000, “Conferimento alle regioni e agli enti locali di funzioni e compiti in materia di mercato del lavoro a norma dell'articolo 1 della legge 15 marzo 1997, n. 59.” (Allegato A VII) Il presente decreto disciplina il conferimento alle regioni e agli enti locali delle funzioni e compiti relativi al (RIFORMA) collocamento e alle politiche attive del lavoro, nell'ambito di un ruolo generale di indirizzo, promozione e coordinamento dello Stato. Le principali funzioni e compiti relativi al collocamento conferiti alle Regioni (poi delegate alle Province) sono: collocamento ordinario, collocamento agricolo, collocamento dello spettacolo sulla base di un'unica lista nazionale, collocamento obbligatorio, collocamento dei lavoratori non appartenenti all'Unione europea, collocamento dei lavoratori a domicilio, collocamento dei lavoratori domestici, avviamento a selezione negli enti pubblici e nella pubblica amministrazione, ad eccezione di quello riguardante le amministrazioni centrali dello Stato e gli uffici centrali degli enti pubblici; preselezione ed incontro tra domanda ed offerta di

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lavoro, iniziative volte ad incrementare l'occupazione e ad incentivare l'incontro tra domanda e offerta di lavoro anche con riferimento all'occupazione femminile. Sono conferiti alle regioni le funzioni ed i compiti in materia di politica attiva del lavoro e si definiscono i criteri per l'organizzazione del sistema regionale per l'impiego e per l’attività di mediazione tra domanda e offerta di lavoro. La Legge 12 marzo1999, n. 68, “Norme per il diritto al lavoro dei disabili” (Allegato A VIII), modifica in maniera sostanziale le definizioni ed i meccanismi del collocamento obbligatorio dei disabili della precedente Legge 482/68. La legge (art.1) ha come finalità la promozione dell'inserimento e della integrazione lavorativa delle persone disabili nel mondo del lavoro attraverso servizi di sostegno e di collocamento mirato e si rivolge alle persone in età lavorativa affette da minorazioni fisiche, psichiche o sensoriali e ai portatori di handicap intellettivo, che comportino una riduzione della capacità lavorativa superiore al 45 per cento - accertata dalle competenti commissioni per il riconoscimento dell'invalidità civile - alle persone invalide del lavoro con un grado di invalidità superiore al 33 per cento e ad altre categorie di disabili. L'accertamento delle condizioni di disabilità e l'effettuazione delle visite sanitarie di controllo della permanenza dello stato invalidante, che danno diritto di accedere al sistema per l'inserimento lavorativo dei disabili, è effettuato dalle commissioni di cui all'articolo 4 della legge 5 febbraio 1992, n. 104; successivamente la Legge Regionale 19 febbraio 2008, n. 4 (Allegato A X), “Disciplina degli accertamenti della disabilità - ulteriori misure di semplificazione ed altre disposizioni in materia sanitaria e sociale”, disciplina l'esercizio delle funzioni di accertamento e di valutazione della disabilità, spettanti alle Aziende Unità sanitarie locali del Servizio sanitario regionale, coerentemente con i principi di semplificazione, omogeneità delle procedure e di tutela del cittadino con disabilità. Sempre in tema di accertamento dell’invalidità civile, con l’articolo 20 (Contrasto alle frodi in materia di invalidità civile) del Decreto Legge 1 luglio 2009, n. 78, convertito con modificazioni nella Legge 3 agosto 2009, n. 102 (Allegato A XI), il legislatore ha introdotto innovazioni nel processo di riconoscimento dei benefici in materia di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità, con l’obiettivo di realizzare la gestione coordinata delle fasi amministrative e sanitarie finalizzata ad una generale contrazione dei tempi di attraversamento del processo di erogazione delle prestazioni. Dal 1° gennaio 2010, il processo dell’invalidità civile è caratterizzato dai seguenti elementi di novità: la certificazione medica è compilata on line, l’inoltro della domanda all’INPS avviene attraverso Internet (Patronati) e in fase di accertamento sanitario, le Commissioni AUSL (Commissione Invalidi e L.68/99) sono integrate da un medico dell’INPS. Poi la Legge 68/99, introduce all’art. 2 il concetto di collocamento mirato dei disabili con cui si intende quella serie di strumenti tecnici e di supporto che permettono di valutare adeguatamente le persone con disabilità nelle loro capacità lavorative e di inserirle nel posto adatto, attraverso analisi dei posti di lavoro, forme di sostegno, azioni positive e soluzioni dei problemi connessi con gli ambienti, gli strumenti e le relazioni interpersonali sui luoghi quotidiani di lavoro e di relazione All’art. 3 stabilisce che i datori di lavoro pubblici e privati sono tenuti ad avere alle loro dipendenze lavoratori appartenenti alle categorie di cui all'articolo 1, secondo una precisa elencazione dei criteri numerici delle assunzioni obbligatorie e delle quote di riserva. All’art. 6 si delegano le regioni alla definizione degli Uffici competenti (Province) in materia di collocamento mirato dei disabili, in raccordo con i servizi sociali, sanitari, educativi e formativi del territorio. All’art. 7 si ripartiscono le percentuali minime di assunzioni per chiamata nominativa e di conseguenza numerica.

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All’art.8 si stabilisce che i disabili che risultano disoccupati e che aspirano ad una occupazione conforme alle proprie capacità lavorative, si iscrivono nell'apposito elenco tenuto dagli uffici competenti e che presso tali uffici è istituito un elenco, con unica graduatoria, dei disabili che risultano disoccupati. All’art. 9, comma 4, tra le altre disposizioni in tema di avviamenti al lavoro, si definisce l’importante principio che “I disabili psichici vengono avviati su richiesta nominativa mediante le convenzioni di cui all'articolo 11. I datori di lavoro che effettuano le assunzioni ai sensi del presente comma hanno diritto alle agevolazioni di cui all'articolo 13.” Tra l’altro all’art.7 della L.68/99, in materia di assunzioni negli enti pubblici si fa riferimento, dall'articolo 36, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, che stabilisce che queste avvengono per chiamata numerica degli iscritti nelle liste di collocamento ai sensi della vigente normativa, previa verifica della compatibilità della invalidità con le mansioni da svolgere. Quindi i disabili psichici sono esclusi dalle assunzioni negli enti pubblici nel momento in cui questi optano per la chiamata numerica (aste pubbliche). L’art. 10 stabilisce che il rapporto di lavoro del disabile assunto, rispetta normativa e contratti collettivi e che il disabile assunto non può avere mansioni non compatibili con la propria disabilità. Definisce le modalità di verifica dell’idoneità e della compatibilità delle mansioni e del lavoro e relativi provvedimenti. L’art. 11 dice che al fine di favorire l'inserimento lavorativo dei disabili, gli uffici competenti (Province) possono stipulare con il datore di lavoro convenzioni aventi ad oggetto la determinazione di un programma mirante al conseguimento degli obiettivi occupazionali. Nella convenzione sono stabiliti i tempi e le modalità delle assunzioni che il datore di lavoro si impegna ad effettuare. Tra le modalità che possono essere convenute vi sono anche la facoltà della scelta nominativa, lo svolgimento di tirocini con finalità formative o di orientamento, l'assunzione con contratto di lavoro a termine, lo svolgimento di periodi di prova più ampi di quelli previsti dal contratto collettivo, purché l'esito negativo della prova, qualora sia riferibile alla menomazione da cui è affetto il soggetto, non costituisca motivo di risoluzione del rapporto di lavoro. L’art. 12 definisce che ferme restando le disposizioni di cui agli articoli 9 e 11, gli uffici competenti possono stipulare con i datori di lavoro privati soggetti agli obblighi e con le cooperative sociali B della legge n. 381, apposite convenzioni finalizzate all'inserimento temporaneo dei disabili presso le cooperative sociali stesse (come si vedrà questo sarà materia della legge Biagi, della L.R. 17/2005 ed altre integrazioni normative). All’art.13 sono riportate le possibilità di sgravi fiscali (la fiscalizzazione totale, per la durata massima di otto anni, in base alle disponibilità del Fondo, in caso di assunzione di disabili psichici), di rimborsi e di agevolazioni. All’art. 14 si definisce che le regioni istituiscono il Fondo regionale per l'occupazione dei disabili, di seguito denominato "Fondo", da destinare al finanziamento dei programmi regionali di inserimento lavorativo e dei relativi servizi. Della normativa integrativa ed attuativa della Legge n. 68/99, le misure principali:

Decreto Presidente della Repubblica n.333/2000 (Allegato A IX), “Regolamento di esecuzione per l'attuazione della Legge 12 marzo 1999 n.68 recante norme per il diritto al lavoro dei disabili”; La Legge n. 247 del 24 dicembre 2007 “Paccheto Welfare”, contiene le norme attuative del Protocollo 23/07/2007 su previdenza, lavoro e competitività per favorire l’equità e la crescita sostenibili, nonché ulteriori norme in materia di lavoro e previdenza sociali. Importanti le modifiche all’art.12 con un nuovo testo nel quale si apre la possibilità di stipula di convenzione anche alle “imprese sociali”, e con nuovi termini per l’applicazione

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(che ridefinisce in parte quanto stabilito all’art. 22 della L.R. 17/2005). Modifiche sulle percentuali di contribuzione in caso di assunzione dei disabili (art.13 L. 68/99). In ultimo, la Legge 247/2007, prevede che non è più necessaria la dichiarazione dello stato di disoccupazione e l’iscrizione agli elenchi dei disabili per il godimento dell’assegno di invalidita’ (autocertificazione). Decreto Legislativo 21 aprile 2000, n. 181, "Disposizioni per agevolare l'incontro fra domanda ed offerta di lavoro, in attuazione dell'articolo 45, comma 1, lettera a), della legge 17 maggio 1999, n. 144" (Allegato A XII) e poi modificato con Decreto Legislativo 19 dicembre 2002, n. 297 "Disposizioni modificative e correttive del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181, recante norme per agevolare l'incontro tra domanda e offerta di lavoro, in attuazione dell'articolo 45, comma 1, lettera a) della legge 17 maggio 1999, n. 144" (Allegato A XIII). All’art.1, si definiscono le competenze delle Regioni ed i principi per l'individuazione dei soggetti potenziali destinatari di misure di promozione all'inserimento nel mercato del lavoro, definendone le condizioni di disoccupazione secondo gli indirizzi comunitari intesi a promuovere strategie preventive della disoccupazione giovanile e della disoccupazione di lunga durata. Sempre all’art.1 si intendono per: a) "adolescenti , i minori di eta' compresa fra i quindici e diciotto anni, che non siano piu' soggetti all'obbligo scolastico; b) "giovani , i soggetti di eta' superiore a diciotto anni e fino a venticinque anni compiuti o, se in possesso di un diploma universitario di laurea, fino a ventinove anni compiuti, ovvero la diversa superiore eta' definita in conformita' agli indirizzi dell'Unione europea; c) "stato di disoccupazione , la condizione del soggetto privo di lavoro, che sia immediatamente disponibile allo svolgimento ed alla ricerca di una attivita' lavorativa secondo modalita' definite con i servizi competenti; d) "disoccupati di lunga durata , coloro che, dopo aver perso un posto di lavoro o cessato un'attivita' di lavoro autonomo, siano alla ricerca di una nuova occupazione da piu' di dodici mesi o da piu' di sei mesi se giovani; e) "inoccupati di lunga durata , coloro che, senza aver precedentemente svolto un'attivita' lavorativa, siano alla ricerca di un'occupazione da piu' di dodici mesi o da piu' di sei mesi se giovani; f) "donne in reinserimento lavorativo , quelle che, gia' precedentemente occupate, intendano rientrare nel mercato del lavoro dopo almeno due anni di inattivita'; g) "servizi competenti , i centri per l'impiego di cui all'articolo 4, comma 1, lettera e) del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469. All’art. 2, si stabilisce che la condizione di “stato di disoccupazione”, deve essere comprovata dalla presentazione dell'interessato presso il servizio competente nel cui ambito territoriale si trova il domicilio del medesimo, accompagnata da una dichiarazione che attesti l'eventuale attivita' lavorativa precedentemente svolta, nonche' l'immediata disponibilita' allo svolgimento di attivita' lavorativa. All’art.3 si definisce che i servizi competenti (Centri per l’Impiego) nel quadro della programmazione regionale, al fine di favorire l'incontro fra domanda e offerta di lavoro e contrastare la disoccupazione e l'inoccupazione di lunga durata, sottopongono i soggetti ad interviste periodiche, offrendo almeno i seguenti interventi: a) colloquio di orientamento entro tre mesi dall'inizio dello stato di disoccupazione; b) proposta di adesione ad iniziative di inserimento lavorativo o di formazione; 1) nei confronti degli adolescenti, dei giovani e delle donne in cerca di reinserimento lavorativo, non oltre quattro mesi dall'inizio dello stato di disoccupazione;

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2) nei confronti degli altri soggetti a rischio di disoccupazione di lunga durata, non oltre sei mesi dall'inizio dello stato di disoccupazione. All’art.4 si definiscono i seguenti principi: a) conservazione dello stato di disoccupazione a seguito di svolgimento di attivita' lavorativa tale da assicurare un reddito annuale non superiore al reddito minimo personale escluso da imposizione; b) perdita dello stato di disoccupazione in caso di mancata presentazione senza giustificato motivo alla convocazione del servizio competente nell'ambito delle misure di prevenzione; c) perdita dello stato di disoccupazione in caso di rifiuto senza giustificato motivo di una congrua offerta di lavoro a tempo pieno ed indeterminato o determinato o di lavoro temporaneo. Il Decreto legislativo n.276/2003 “Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro di cui alla Legge n.30/2003” (Allegato A XIV), detto anche “Legge Biagi”, è il passaggio che si propone per gli autori di modernizzare l’impianto del diritto del lavoro, coniugando le garanzie con i vincoli e le necessità del mercato e della produttività, per i critici di deregolarizzare il mercato del lavoro, lasciando troppo spazio alla flessibilità, anticamera del precariato, soprattutto in assenza di una riforma degli ammortizzatori sociali che la compensino. Comunque lasciando ad altri la valutazione degli esiti dell’introduzione di questa legge e utile ricordare i principali strumenti ed incentivi introdotti e riformati: la somministrazione di lavoro, l'apprendistato, il contratto d’inserimento, il contratto di lavoro ripartito, il contratto di lavoro intermittente, il lavoro accessorio (rivolto ai soggetti a rischio di esclusione sociale) , il lavoro occasionale, il contratto a progetto (con abolizione del contratto coordinato continuativo), le agenzie di somministrazione di lavoro (non più interinali, abrogando l'istituto del lavoro temporaneo o interinale), il lavoro in regime di appalto e distacco, incentivi per il part time, nuove procedure di certificazione dei contratti di lavoro. L’elemento di novità che riguarda i disabili nel dlgs 276/2003 è l’art. 14 (Cooperative sociali e inserimento lavorativo dei lavoratori svantaggiati). In tale articolo si deregolarizza in un certo modo quanto stabilito con l’art.12 (Cooperative Sociali) della L.68/99, che stabilisce limiti precisi all’inserimento dei disabili in una Cooperativa Sociale per conto di un’impresa che deve ottemperare alla copertura della sua quota d’obbligo di assunzione: durata massima non più di 12 mesi (prorogabili di altri 12 mesi) e non più del 30% dei disabili assunti con questa modalità. L’art.14 prevede la stipula di convenzioni quadro territoriali (che devono essere validate dalle Regioni) tra i servizi provinciali per l’inserimento dei disabili, le associazioni datoriali e sindacali di categoria e le associazioni cooperative aventi ad oggetto il conferimento di commesse di lavoro alle cooperative sociali. Non ci sono limiti precisi di durata e la definizione della percentuale massima di disabili da inserire in cooperativa rispetto al totale dei disabili da assumere è demandata ai criteri che si stabiliscono nella convenzione quadro; nel caso di disabili con gravi difficoltà d’inserimento al lavoro, previo accordo della Provincia, si può coprire l’intera quota d’obbligo di assunzioni. Tali disposizioni in Emilia Romagna verranno saranno integrate con quelle della L.17/2005. Molti aspetti, concetti ed istituti contrattuali verranno rivisti dall’attuale Riforma del lavoro (Legge n.92/2012). Legge Regionale 30 giugno 2003, n. 12, “Norme per l'uguaglianza delle opportunità di accesso al sapere, per ognuno e per tutto l'arco della vita, attraverso il rafforzamento dell'istruzione e della formazione professionale, anche in integrazione tra loro” (Allegato A XV).

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Principio generale della Legge regionale 12/2003 è la centralità della persona per garantire ad ognuno per tutto l'arco della vita l'accesso a tutti i gradi dell'istruzione, in condizione di pari opportunità e il sostegno per il conseguimento del successo scolastico e formativo e per l'inserimento nel mondo del lavoro. La Legge Regionale 01 agosto 2005, n. 17, “Norme per la promozione dell'occupazione, della qualità, sicurezza e regolarità del lavoro” (Allegato A XVI). “A seguito della riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, la Regione Emilia-Romagna, nell’ambito del sistema del lavoro ha approvato, dopo un lungo processo di concertazione con le parti sociali, la Legge Regionale n. 17/2005, recante "Norme per la promozione dell’occupazione, della qualità, sicurezza e regolarità del lavoro". Con questa Legge la Regione ha inteso contribuire alla promozione dell’occupazione, alla sua qualità e sicurezza, alla valorizzazione delle competenze e dei saperi delle persone, all’affermazione dei loro diritti nelle attività lavorative e nel mercato del lavoro, all’attuazione del principio delle pari opportunità, quali fondamenti essenziali per lo sviluppo economico e sociale del territorio. Nella Sezione III, POLITICHE PER L'INSERIMENTO LAVORATIVO DELLE PERSONE CON DISABILITÀ(dall'art.17all'art.22), la Legge prevede che la Regione e le Province, nell’ambito delle rispettive competenze, promuovano e sostengano, nel rispetto delle scelte dei singoli destinatari, l’inserimento e la stabilizzazione nel lavoro dipendente delle persone con disabilità, l’avviamento ed il consolidamento di attività autonome da parte degli stessi. Gli strumenti per l'attuazione di questi obiettivi sono:

- incentivi all'assunzione per le imprese, anche attraverso l'istituzione di un fondo regionale per i disabili;

- convenzioni con i datori di lavoro per realizzare inserimenti lavorativi adeguati, "mirati" ed accompagnati nel tempo;

- finanziamenti per l'abbattimento delle barriere architettoniche sui luoghi di lavoro e per l'introduzione dei tutor nelle aziende;

- ampliamento delle opportunità di lavoro nelle pubbliche amministrazioni; - riduzioni delle discriminazioni presenti nella norma nazionale che ne prevede

l'inserimento attraverso le agenzie di somministrazione; - concertazione, confronto e partecipazione a livello regionale e provinciale delle

associazioni rappresentative dei disabili e delle loro famiglie; - istituzione di una conferenza biennale per verificare lo stato di attuazione degli obiettivi

previsti dalla Legge; - programmi di inserimento nelle cooperative sociali rivolti a disabili gravi che hanno

maggiori difficoltà nell'accesso al mercato del lavoro.” (www.emiliaromagnalavoro.it)

E a proposito di quest’ultimo punto, all’art. 22, Programmi di inserimento lavorativo in cooperative sociali, di fatti il legislatore regionale riprende l’art.14 del dlgs 276/2003 e pone delle indicazioni e delle limitazioni più precise. Ribadisce che le assunzioni delle persone con disabilità previste per le imprese soggette agli obblighi della L.68/99, possono essere realizzate anche attraverso programmi di inserimento individuali da effettuarsi presso le cooperative sociali e i consorzi e nel rispetto di convenzioni quadro stipulate dalle Province con le associazioni dei datori di lavoro, dei lavoratori e delle cooperative sociali. Le convenzioni quadro individuano i criteri di riferimento in base ai quali stipulare le specifiche convenzioni tra impresa soggetta all’obbligo di legge, cooperativa sociale e Servizi provinciali. Le assunzioni sono possibili esclusivamente per le persone per le quali risulti particolarmente difficile il ricorso alle vie ordinarie del collocamento mirato, nonché a fronte

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delle seguenti condizioni: - copertura, attraverso questa modalità e relativamente alla durata della commessa, per tutte le imprese, di una percentuale della quota d'obbligo di riferimento non superiore al 30 per cento, con impegno a coprire il 70% rimanente con i percorsi previsti dalla L.68/99; - individuazione da parte della Provincia dei lavoratori da inserire con riferimento alle persone con disabilità psichiche o in condizione di gravità certificata ai sensi della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), ovvero con altra disabilità che renda particolarmente difficile l'integrazione e la permanenza al lavoro attraverso le vie ordinarie; - valore della commessa commisurato - relativamente agli inserimenti delle persone con disabilità - ai costi del lavoro dell'impresa committente, secondo il contratto collettivo nazionale di lavoro di riferimento, maggiorati di una percentuale pari almeno al 20 per cento; - le convenzioni sono sottoposte a verifica periodica, da realizzarsi, comunque, ogni ventiquattro mesi con particolare riferimento all'obiettivo della stabilizzazione del rapporto di lavoro, anche mediante assunzione da parte delle imprese committenti o delle cooperative sociali e dei consorzi; - alla scadenza della commessa le imprese adempiono agli obblighi di cui alla legge n. 68 del 1999, eventualmente emergenti, attraverso assunzioni, da effettuarsi entro sessanta giorni dalla conclusione delle commesse o ulteriori commesse di durata non inferiore a ventiquattro mesi. Agli art. 24,25 e 26, la L.R. 17/2005 tratta dei Tirocini formativi e di orientamento come da L.196/97. Per quanto riguarda i tirocini formativi, la Regione ne ribadisce l’importanza quali strumenti, non costituenti rapporti di lavoro, finalizzati, in via esclusiva, a sostenere le scelte professionali ed a favorire l'acquisizione di competenze mediante la conoscenza diretta del mondo del lavoro. Ed in particolare sono interessanti due indicazioni per le nostre attività ed utenza; all’art. 25, comma 2, si stabilisce che la Giunta regionale può altresì individuare condizioni di maggior favore per i tirocini rivolti a soggetti in condizione di svantaggio, allorché realizzati presso le cooperative sociali ed i loro consorzi di cui all'articolo 1, comma 1, lettera b) della legge n. 381 del 1991. Questo permetterebbe di superare eventuali limiti sia del numero dei tirocinanti consentiti sia della durata del tirocinio. E’ necessaria una Deliberazione di Giunta per rendere attuabili tali disposizioni. Sempre all’art. 25, comma 3, lettera g). possono, in particolare, promuovere tirocini anche le Aziende unità sanitarie locali, relativamente a quanti hanno seguito percorsi terapeutici, riabilitativi e di inserimento sociale, anche per un congruo periodo a questi successivo. E’ una chiara esplicitazione di possibilità di promozione da parte delle AUSL rispetto alla normativa nazionale. Altre disposizioni regionali di rilievo riguardano i temi delle qualifiche, della certificazione e delle comunicazioni telematiche del progetto formativo e degli altri documenti del tirocinio: - Delibera di Giunta Regione Emilia Romagna, n. 2175 del 21 dicembre 2009, “Progettazione dei tirocini secondo gli standard del sistema regionale delle qualifiche e del sistema regionale di formalizzazione e certificazione in attuazione dell'art. 26 della legge regionale 1 agosto 2005, n. 17” (Allegato A XVII); - Delibera di Giunta Regione Emilia Romagna n. 655 del 12 maggio 2008, ““Obbligo di invio telematico tramite il sistema S.A.RE. di convenzione e progetto formativo di tirocinio di cui all'art. 5 del decreto ministeriale 25 marzo 1998 n. 142” (Allegato A XVIII).

La legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Finanziaria 2007) ha introdotto alcuni significativi correttivi alla disciplina del collocamento, in particolare per quanto attiene al sistema delle comunicazioni obbligatorie (SARE) che i datori di lavoro sono tenuti ad effettuare nel caso di instaurazione, trasformazione e cessazione del rapporto di lavoro. La nota del 4/1/2007

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del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale “Adempimenti connessi alla instaurazione, trasformazione e cessazione dei rapporti di lavoro (Legge 27 dicembre 2006, n. 296 – Legge Finanziaria 2007) Primi indirizzi operativi”, precisa che sussiste l’obbligo della comunicazione telematica e “Nel caso di tirocini o di altre esperienze lavorative assimilate, l’obbligo di comunicazione sussiste in capo al soggetto ospitante”, quindi l’azienda ospitante. Questo accade sicuramente nel caso che il tirocinio formativo sia espressamente finalizzato all’inserimento lavorativo e all’assunzione. In una successiva nota del 14/2/2007, sempre del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale “Adempimenti connessi alla instaurazione, trasformazione e cessazione dei rapporti di lavoro (Legge 27 dicembre 2006, n. 296 – Legge Finanziaria 2007) Ulteriori indirizzi operativi” si precisa, sempre a proposito dei “Tirocini ed altre esperienze lavorative” che “In fase di prima attuazione, tuttavia, perplessità sono emerse circa l’opportunità di estendere l’obbligo anche a quelle esperienze previste all’interno di un percorso formale di istruzione o di formazione, la cui finalità non è direttamente quella di favorire l’inserimento lavorativo, bensì di affinare il processo di apprendimento e di formazione.” Infine seguendo il percorso in internet relativo ai Quesiti posti al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, WWW.lavoro.gov.it/LAVORO Cliclavoro CO (Comunicazioni Obbligatorie) Domande Frequenti Tipologie Contrattuali Tirocini, si trovano la seguente domanda e risposta:

D: La comunicazione preventiva di un inizio tirocinio formativo o borsa lavoro, promossi dai Centri di Salute Mentale delle Aziende dei Servizi Sanitari, deve essere prodotta anche quando i tirocini hanno valenza di tipo terapeutico e non per un futuro inserimento lavorativo? R: Se il tirocinio o la borsa lavoro hanno scopo terapeutico o meramente formativo e non di inserimento occupazionale, non sussiste l’obbligo della comunicazione di cui alla L. 296/2006. Quindi non c’è comunicazione SARE sicuramente per gli INTROS; l’esclusione della comunicazione SARE per i Tirocini con obiettivi dichiaratamente (Progetto Formativo DM n. 142/98) formativi e osservativi, è ancora oggetto di verifica. (Documento “Comunicazioni Obbligatorie” 2007, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Allegato A XIX)

Piano Sociale e Sanitario 2008 – 2010 Regione Emilia Romagna (Allegato A XXII). Un sistema integrato di servizi sociali, socio-sanitari e sanitari per la realizzazione di un nuovo welfare di comunità locale e regionale in grado di rispondere a bisogni complessi: è il Piano sociale e sanitario 2008 – 2010, pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione n.92 del 3 giugno 2008, dopo l´approvazione da parte dell´Assemblea legislativa regionale il 22 maggio 2008 (con delibera n.175), su proposta della Giunta regionale approvata con delibera 1448/2007 in seguito ad un ampio e proficuo confronto con la società regionale. Il primo Piano sociale e sanitario della Regione Emilia-Romagna, in armonia con la Legge 8 novembre 2000, n. 328 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali) (Allegato A XX), porta a compimento un processo avviato con le Leggi Regionali n. 2 del 2003 (Legge quadro: Norme per la promozione della cittadinanza sociale e per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali) (Allegato A XXI) e n. 29 del 2004 (Legge di riorganizzazione del Servizio sanitario regionale) (Allegato A XXIV). Il paragrafo Modalità di realizzazione delle linee di sviluppo nei servizi di salute mentale - Configurazione ed organizzazione della rete dei servizi di psichiatria adulti, del capitolo 6, Salute Mentale e Dipendenze Patologiche, del Piano, così riporta:

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“La presa in carico del paziente con disturbi mentali gravi e persistenti rimane il “core” della missione dei CSM. I CSM si impegnano a migliorarne ulteriormente i processi sviluppando una maggiore aderenza ai principi di personalizzazione delle cure e di continuità assistenziale mediante alcune linee di innovazione:

— ricomprendere all’interno di questi progetti le attività di assistenza e riabilitazione sulle abilità della vita che non possono essere considerate attività esclusivamente sociali, ma parte integrante della relazione di cura e del progetto personalizzato; — spostare il più possibile il luogo in cui vengono effettuati gli interventi di riabilitazione psicosociale verso i luoghi di vita del paziente, secondo il principio della riabilitazione in vivo, interpretando in questo modo il concetto di domiciliarità e ricomprendendo in questi anche interventi volti alla riacquisizione delle abilità necessarie al raggiungimento di posizioni lavorative e di altre mete significative della vita personale; — adottare un approccio che massimizzi le abilità residue, la responsabilizzazione dell’utente e del suo contesto, attraverso schemi di cura e di riabilitazione votati all’empowerment ed alla condizione di massima libertà di azione e di scelta possibile; — favorire modalità riabilitative, concordate con l’intero sistema di cura e radicate nel sistema di comunità, basate sui principi di autonomia e responsabilizzazione, come l’auto-mutuo aiuto, l’abitare supportato e l’avviamento al lavoro diretto nel libero mercato o sostenuto dalla formazione”. Piano Attuativo Salute Mentale Anni 2009 – 2011 (Allegato A XXIII) “La Regione Emilia-Romagna e gli Enti Locali esplicitano con questo Piano Attuativo la propria politica per la salute mentale e di contrasto alle dipendenze patologiche, in accordo con i principi e le raccomandazioni formulate a livello europeo (Dichiarazione di Helsinki, Libro Verde sulla Salute Mentale), nazionale (legge 833/78, i due Progetti Obiettivo 1994-96 e 1998-2000, il Piano Sanitario Nazionale 2006-2008, le linee guida per la salute mentale approvate nel 2008 con accordo Stato Regioni, il Progetto Obiettivo Materno-infantile di cui al DM 24.4.2000, l’intera e complessa normativa sulle dipendenze patologiche, la legge 328/00 e le raccomandazioni regionali (LR 29/04, LR 2/03). Questo Piano, che costituisce parte attuativa del primo Piano Sociale e Sanitario della Regione Emilia-Romagna 2008-2010, e concorre alla realizzazione del nuovo sistema integrato dei servizi nelle sue diverse forme di integrazione socio-sanitaria” (dall’Introduzione) Il Piano Attuativo, oltre ai principi e ai valori, descrive anche il sistema di comunità ed il sistema di cura nel’ambito della salute mentale; per l’esposizione dello specifico lavorativo descritto nel Piano Attuativo si rimanda ad altri capitoli di questo scritto. Il ROD (Regolamento di Organizzazione Dipartimentale) declina la struttura dipartimentale denominata “Dipartimento di Salute Mentale e Dipendenze Patologiche (DSM – DP)” attraverso le specifiche relative agli assetti organizzativi delle diverse articolazioni organizzative interne al Dipartimento (Allegato A XXV). La Legge n. 92 del 28 giugno 2012, (Allegato A XXVI) pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 153 del 3 luglio 2012, è la recente riforma del mercato del lavoro. La nuova norma, che inizia il suo percorso il 23 marzo 2012 al momento della presentazione in Parlamento del Ddl "Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita", è stata approvata definitivamente dal Parlamento il 27 giugno 2012 ed è entrata in vigore il 18 luglio 2012. Il testo ha successivamente subito alcune modifiche con l’approvazione del Decreto Legge n. 83 del 22 giugno 2012 (c.d. Decreto Sviluppo) (Allegato A XXVII) convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 134 del 7 agosto 2012. Riprendendo quanto scritto sul sito del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali:

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“Le nuove norme, nella loro versione definitiva, mirano a realizzare un mercato del lavoro più dinamico e inclusivo, favorendo, da un lato, l’instaurazione di rapporti di lavoro più stabili con contratto a tempo indeterminato come “contratto dominante” e, dall’altro, contrastare l’uso improprio e strumentale degli elementi di flessibilità progressivamente introdotti nell’ordinamento con riferimento alle diverse tipologie contrattuali. In particolare, la riforma valorizza la formazione, con un’attenzione particolare all’apprendistato che diviene il principale strumento per rafforzare le possibilità di inserimento dei giovani nel mondo del lavoro. Una considerazione particolare, infatti, è rivolta alle categorie deboli di lavoratori, come giovani, donne, ultracinquantenni, disabili e immigrati, per promuoverne un miglior inserimento nella vita economica del Paese. Intende, infine, rendere più coerente ed equo l'assetto degli ammortizzatori sociali e delle politiche attive nella prospettiva di rafforzare l’occupabilità delle persone.

Il testo di legge è suddiviso in 4 articoli:

Disposizioni generali, tipologie contrattuali e disciplina in tema di flessibilità in uscita e tutele del lavoratore - (Art.1) Ammortizzatori sociali - (Art.2) Tutele in costanza di rapporto di lavoro - (Art.3) Ulteriori disposizioni in materia di mercato del lavoro - (Art.4)

Da questi articoli cardine sono state individuate le aree di contenuto rilevanti per il lavoratore, l’azienda e l’operatore. Le tematiche sono state suddivise e sintetizzate in modo da presentare in modo chiaro le modifiche più significative che apporta il testo di legge in relazione alla tematica in oggetto.”

Tra le novità più rilevanti è stato normato in maniera più stringente il contratto di lavoro a tempo determinato, è stato ridefinito con limitazioni il contratto a progetto ed è stato abrogato il contratto d’inserimento. Per quanto riguarda lo specifico del tirocinio formativo, l’art.1 della Legge 92/ 2012: “34. Entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Governo e le regioni concludono in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano un accordo per la definizione di linee-guida condivise in materia di tirocini formativi e di orientamento, sulla base dei seguenti criteri: a) revisione della disciplina dei tirocini formativi, anche in relazione alla valorizzazione di altre forme contrattuali a contenuto formativo; b) previsione di azioni e interventi volti a prevenire e contrastare un uso distorto dell'istituto, anche attraverso la puntuale individuazione delle modalita' con cui il tirocinante presta la propria attivita'; c) individuazione degli elementi qualificanti del tirocinio e degli effetti conseguenti alla loro assenza; d) riconoscimento di una congrua indennita', anche in forma forfetaria, in relazione alla prestazione svolta. 35. In ogni caso, la mancata corresponsione dell'indennita' di cui alla lettera d) del comma 34 comporta a carico del trasgressore l'irrogazione di una sanzione amministrativa il cui ammontare e' proporzionato alla gravita' dell'illecito commesso, in misura variabile da un minimo di 1.000 a un massimo di 6.000 euro, conformemente alle previsioni di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689. 36. Dall'applicazione dei commi 34 e 35 non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.”

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4. L’analisi del contesto 4.1 L’utenza del passato e del presente Dopo aver ripercorso, seppur sinteticamente, la storia delle origini della riabilitazione lavorativa nella salute mentale bolognese, risulta interessante mettere a fuoco e confrontare alcuni elementi caratterizzanti l’utenza di quel periodo con quelli dell’utenza attuale. Questo confronto ci permette di comprendere meglio le caratteristiche ed i bisogni dell’utenza oggi inserita nei progetti riabilitativi – formativi – lavorativi e soprattutto di cogliere quali differenze e quali cambiamenti possono essersi verificati nel tempo. Relativamente al periodo storico 1981 – 2001, non ci sono dati quantitativi, e se ci sono, non sono precisi, omogenei, completi e confrontabili. Comunque grazie alla documentazione, alle testimonianze scritte e alla ricostruzione storica sintetica precedentemente esposta, si è prodotto un elenco che prova a dare un’idea della tipologia d’utenza inserita in percorsi formativi – lavorativi in passato. Ricomponendo le caratteristiche dell’utenza dei Servizi di salute mentale inserita in attività e percorsi di tipo formativo – lavorativo nel periodo 1981 – 2001, abbiamo: - utenti con bassa scolarità o comunque in maggioranza con licenza di assolvimento dell’obbligo scolastico; - utenti ex degenti di O.P. con esperienze lavorative pregresse di basso livello e con qualifiche legate a mansioni manuali generiche; - utenti, in accesso agli allora nuovi servizi, prevalentemente con esperienze lavorative manuali o impiegatizie, con mansioni semplici ed esecutive; - utenti con disabilità primarie e secondarie marcate, residuo di esperienze manicomiali o dovute a pratiche e strumenti terapeutici non efficaci tanto quanto gli attuali; - utenti vittime - come constatato e denunciato da parte degli operatori dei servizi - dei comportamenti e delle azioni esplulsive e discriminatorie sui luoghi di lavoro; - utenti valutati come troppo fragili e disabili per confrontarsi con le opportunità della formazione professionale e con le offerte del mercato del lavoro competitivo; - utenti condotti ed inseriti, nella quasi totalità, in percorsi e in contesti lavorativi protetti e predisposti con atteggiamenti eticamente orientati e socialmente responsabili. Non si hanno altre informazioni attendibili. Chiaramente i dati dell’ultimo decennio circa (2002 – 2010), sono più esaustivi ed oggettivi perché completi ed espressi in chiave numerica; inoltre ci permettono di estrapolare meglio e con più precisione idee e considerazioni qualitative e di individuare le tipologie attuali d’utenza inserita nei percorsi formativi – lavorativi. Si potrebbero solo porre dei dubbi sulla coerenza dei dati raccolti, avendo, in questi ultimi anni, attraversato importanti cambiamenti organizzativi. Infatti analizzando i dati dell’utenza della Psichiatria inserita nei percorsi d’inserimento formativo e lavorativo, potrebbe risultare necessario porre dei discrimine o dei criteri particolari per rendere raffrontabili tra loro, i dati riferiti agli anni in cui c’erano tre DSM distinti con quelli degli ultimi anni in cui si è costituito il Dipartimento di Salute Mentale e Dipendenze Patologiche unico. Con la definizione dell’assetto organizzativo attuale della macro struttura dipartimentale e di un’area psichiatrica trasversale, si potrebbero immaginare anche molte differenze sul piano della progettazione e della gestione degli inserimenti lavorativi e molte difformità ed incongruenze nel confronto tra vecchi e nuovi dati di attività. Invece non è cambiato praticamente nulla sul piano procedurale, metodologico ed operativo rispetto alle specifiche attività della riabilitazione lavorativa; anche la rilevazione dei dati sull’utenza, come già in passato, è sempre stata effettuata

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sulle singole unità operative dei Centri di Salute Mentale e con gli stessi strumenti e la sintesi annuale finale è sempre stata la sommatoria dei dati degli 11 CSM esistenti. Quindi disponendo di dati coerenti e confrontabili, procediamo ad una loro lettura lineare per trarne le informazioni più evidenti e proviamo a ricomporre le tipologie d’utenza in carico per progetti d’inserimento formativo – lavorativo nel periodo 2002 – 2010; prima però forniamo un breve riepilogo dei dati suddivisi secondo gli items principali:

Utenza in carico per progetti d’inserimento formativo – lavorativo. Tra il 2002 ed il 2010, la richiesta ed il numero dei progetti realizzati sono cresciuti da 567 a 986, con un aumento percentuale di circa il 74%.

Genere. Il rapporto tra i generi è rimasto in percentuale pressoché invariato, passando dai 305 (54%) uomini e 262 (46%) donne del 2002 ai 547 (55%) uomini e 439 (45%) donne del 2010.

Età. Da punto di vista dell’età invece possiamo fare una valutazione solo per il periodo 2005 - 2010: l’utenza con meno di 35 anni, seguita sui percorsi lavorativi è diminuita sia in valore assoluto da 307 a 269 (- 38) sia in percentuale (-12%). Invece l’utenza con più di 35 anni è stata quella che ha prodotto tutto l’aumento anche sul piano complessivo, passando da 488 a 717 persone con un più 229 (+ 47%) e diventando il 73% dell’utenza totale inserita in progetti di formazione e lavoro.

Titolo di studio. Per quanto riguarda invece la distribuzione dell’utenza per titoli di studio: nel 2002 gli utenti con licenza elementare e più quelli con licenza media erano 393, pari al 69%; nel 2010 sono maggiori in numero (501) ma costituiscono invece il 50% dell’utenza totale inserita in progetti formativi lavorativi. Gli utenti con diploma di scuola media superiore o con qualifica professionale erano 151 nel 2002 (il 26 % del totale) per diventare 430 nel 2010 (il 43% del totale) e con un incremento nel decennio del 185%, quasi triplicando. In ultimo i laureati seguiti per percorsi lavorativi: erano 23 nel 2002 e sono stati 65 (+ 182%) nel 2010, quasi triplicando.

Anzianità di presa in carico del CSM. Come anzianità di presa in carico da parte del servizio CSM, gli utenti seguiti da meno di 1 anno fino a 5 anni erano 208 (36 %) nel 2002 e sono diventati 374 nel 2010 (38% del totale); gli utenti seguiti dal CSM da 6 anni ed oltre erano 359 (64 %) nel 2002 e sono diventati 612 nel 2010 (62 % del totale).

Disabilità. La condizione di disabilità certificata: nel 2002 gli utenti disabili psichici avviati in percorsi lavorativi erano 390 ( 69 % del totale di 567), nel 2010 sono stati 684 ( 69 % del totale di 986), restando invariati come peso percentuale.

Nel 2002, 218 utenti disabili, pari al 56 % dei disabili totali, avevano un invalidità nel range 75% - 100%; 28 avevano il 100% + accompagnamento, pari al 7 % dei disabili; 144 utenti disabili, aveva invalidità 46 – 74 % pari al 37 %.

Nel 2010, 463 utenti disabili, pari al 68 % dei disabili totali, avevano un’invalidità del 75%-100%; 43 avevano il 100% + accompagnamento, pari al 6 % dei disabili; 178 utenti disabili, il 26 %, avevano invalidità 46 – 74 %. Ora dai dati più generali, possiamo trarre gli elementi caratterizzanti dell’utenza inserita nei percorsi d’inserimento formativo – lavorativo negli anni 2002 – 2010:

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- utenti che in numero sono aumentati fino ad essere circa mille persone (+ 75 %) e sono ripartiti per genere in modo invariato; - utenti con più di 35 anni e spesso con alle spalle varie esperienze lavorative pregresse sono aumentati, fino ad essere i tre quarti del totale e dal 2005 al 2010 quelli con meno di 35 anni diminuiscono dal 38% al 27%; molti più utenti utilizzano il nostro sistema della formazione e transizione al lavoro ma lo utilizzano molti meno utenti giovani; - utenti più scolarizzati e qualificati, visto che dal 2002 al 2010 sono triplicati quelli con diploma di scuola media superiore e laurea, insieme passando ad essere dal 30% al 50% dell’utenza totale in attività e percorsi; i laureati nel quadriennio 2007-2010 si sono attestati su una media annua di 77 utenti rispetto alla media di 33 del quadriennio 2002-2005 e con un più 133 %, più che raddoppiando; - utenti con esperienze lavorative pregresse di diverso tipo e livello, non più solo su mansioni semplici ed esecutive; - utenti certificati disabili con un’invalidità superiore al 46%, la cui percentuale sugli utenti inseriti in percorsi lavorativi è rimasta pressoché costante negli anni; di questi 684 disabili psichici certificati, 506 gravi (oltre il 75% d’invalidità), il 51 % dell’utenza totale, accedono al sistema dei benefit pensionistici. L’altro 49%, i restanti 480 utenti senza o con basso valore d’invalidità, non usufruisce di alcun benefit o assegno; - utenti con più di 6 anni di presa in carico da parte del CSM - o se si vuole a più di 6 anni dall’esordio della propria malattia - nel 2010, sono in maggioranza con il loro 62% (612); ma è significativo anche il 38-40% di utenti con meno di 5 anni di rapporti con il servizio. Abbiamo avuto anche particolari fenomeni:negli anni 2006/2007, gli utenti seguiti da meno di 5 anni, erano 398 pari al 46% circa, con una punta del 12 % di utenti in carico al CSM da meno di 1 anno e oggi ridottisi al 6%. Oltre ai giovani d’età anche i “giovani” di presa in carico diminuiscono sui nostri percorsi ? - utenti vittime di comportamenti discriminatori nei luoghi di lavoro: molto hanno fatto i servizi in termini di informazione e di lotta allo stigma in questi anni; persistono gli atteggiamenti di pregiudizio, ma siamo in un momento storico dove nella società prevale il “respingimento” lontano da sé dell’altro diverso; - utenti considerati ancora dagli operatori come troppo fragili e non pronti per confrontarsi con le opportunità del mercato del lavoro competitivo e inseriti nella loro totalità in contesti lavorativi protetti, riservati e di sola formazione e transizione al lavoro.

A questo punto confrontando i due elenchi sulle caratteristiche degli utenti del passato e di quelli dell’ultimo decennio e di oggi, è possibile intravedere similitudini tra i due gruppi ma anche molte ed evidenti differenze. Vi sono gruppi di pazienti che nella loro gravità e disabilità sono simili a quelli di venti o trentanni fa, ma vi è anche un’utenza che si è modificata per bisogni e per caratteristiche rispetto ai pazienti delle origini. Presenta istanze diverse e pone tra le righe segnali di messa in discussione delle pratiche della riabilitazione lavorativa fin qui in uso. Per esempio si intravede, anche nella nostra esperienza lavorativa quotidiana, un blocco “sociale” di utenti giovani o più maturi ma di “giovane” presa in carico con scolarità medio alta magari senza benefit assistenziali ma con un fondo motivazionale importante.

Un confronto sulle differenze e l’analisi dei cambiamenti e delle specifiche caratteristiche dell’utenza attuale, rispetto a quella del passato, ci permette di avere le informazioni e gli strumenti per conoscerne meglio e più approfonditamente le caratteristiche generali. Chiaramente per individuare le aree di bisogno e le criticità più ricorrenti, oltre al dato statistico – quantitativo, sarebbe necessaria una valutazione qualitativa delle abilità e delle competenze personali e sociali di ogni singolo utente, proposto per progetti d’inserimento lavorativo. Successivamente si potrebbero individuare delle macro aree di disabilità e fragilità personale e sociale, definite ed impostate secondo dei livelli di funzionamento -

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LIVELLI DI DISABILITÀ E DI FUNZIONAMENTO PERSONALE E SOCIALE – che consentirebbero di programmare gli interventi su fasce consistenti di utenza ed aiuterebbero a individuare con maggiore precisione le risposte/attività appropriate ed efficaci. Premesso che l’eventuale esame del funzionamento globale dell’utente nel proprio ambiente, anche lavorativo, riguarda più aspetti della persona e che quindi coinvolge in modo multidisciplinare tutta l’equipe sul caso, è opportuno che qualsiasi strumento di valutazione funzionale non può che essere collocato nel processo di cura e riabilitazione complessivo. Inoltre come vedremo più avanti nella “Parte Terza, Il Manuale Operativo: Progettazione, Interventi e Valutazione” è intenzione non cadere in un eccesso di valutazione preliminare che può risultare di ostacolo rispetto ai percorsi lavorativi, ed è obiettivo utilizzare in tal senso dei criteri minimi di accesso (preferenze, motivazione, buon compenso), soprattutto ai programmi di impiego supportato (IPS). Perciò non ci si propone di utilizzare uno specifico strumento per la valutazione degli utenti da inserire nei percorsi di tipo lavorativo. Ma solo definire, fissare e comprendere dei LIVELLI DI DISABILITÀ E DI FUNZIONAMENTO PERSONALE E SOCIALE, possibilmente riconoscendo la diversità e le differenze delle problematiche e dei bisogni tra utenza dei CSM e dei SerT; pertanto prevediamo due percorsi specifici per la definizione dei livelli di livelli di disabilità e di funzionamento personale e sociale:

1) Un sistema di valutazione, scientificamente riconosciuto e validato in ambito psichiatrico, che presenta una scala di valori, utili ad individuare dei livelli di disabilità e fragilità personale e sociale è il VADO -Valutazione di Abilità Definizione di Obiettivi- (P. Morosini, L. Magliano, L. Brambilla, 1998); il VADO propone una Scala di Funzionamento Personale e Sociale (FPS), suddivisa in 10 fasce che determinano i livelli in relazione alla disfunzione globale nei quattro raggruppamenti di aree principali:

1. Attività socialmente utili (inclusi lavoro e studio) 2. Rapporti personali e sociali (inclusi i rapporti con i familiari) 3. Cura dell’aspetto e dell’igiene 4. Comportamenti disturbanti ed aggressivi

La Scala FPS, per valutare il livello di disfunzione nelle varie aree tiene conto delle seguenti definizioni:

- lieve: difficoltà non evidente che è nota solo a chi conosce bene la persona;

- evidente ma non marcato: difficoltà facilmente identificabili da chiunque che non compromettono sostanzialmente il funzionamento della persona, la sua capacità cioè di svolgere in quell’area il ruolo o i ruoli attesi nel suo contesto socio – culturale da una persona della sua età, del suo sesso e del suo livello di istruzione;

- marcato: difficoltà evidente che compromette il funzionamento sociale in quell’area, tuttavia la persona riesce a fare ancora qualcosa, sia pure in modo inadeguato e/o saltuario;

- grave: difficoltà che rende la persona praticamente incapace di qualunque svolgimento di ruolo in quell’area, o le fa assumere un ruolo negativo, ma senza compromettere la possibilità di sopravvivenza, nel qual caso le difficoltà vanno considerate gravissime;

- gravissimo: tale da determinare un pericolo per la sopravvivenza, evidente per tutti.

La Scala FPS, per i livelli di gravità dei comportamenti disturbanti e aggressivi suggerisce:

- lieve: scortesia, scontrosità, lamentosità;

- evidente ma non marcato: parlare a voce troppo alta, mangiare in modo socialmente poco accettabile, rivolgersi a sconosciuti in modo inopportuno o con eccessiva familiarità, ecc.

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- marcato: insultare le persone pubblicamente, rompere oggetti, distruggere cose, avere comportamenti inadatti (ad es. denudarsi o urinare in pubblico) ma non pericolosi, in modo non occasionale;

- grave: minacciare le persone o colpirle fisicamente, senza però ne intenzione ne possibilità di procurare lesioni gravi, in modo non occasionale;

- gravissimo: atti aggressivi non occasionali con l’intenzione o la possibilità di procurare lesioni gravi.

La Scala di Funzionamento Personale e Sociale (FPS) presenta i seguenti livelli che potrebbero essere da noi raggruppati solo per il tema lavoro, in 3 GRANDI LIVELLI:

100 -91

Funzionamento più che buono in tutte le aree pertinenti alla sua età. E’ ben visto dagli altri per le sue molte qualità positive, sembra capace di far fronte adeguatamente ai problemi della vita. Interessato o impegnato in numerose attività.

3° LIV

EL

LO

D

I DIS

AB

ILTA

’ E

FR

AG

ILITA

’ P

ER

SO

NA

LE E

S

OC

IALE

100 - 71

90 - 81

Funzionamento adeguato in tutte le aree, presenza solo di problemi e difficoltà comuni a molti.

80 - 71

Lievi difficoltà in una o più delle aree principali (ad es. temporanee difficoltà nel tener dietro al lavoro o al programma scolastico).

70 - 61

Difficoltà evidente in una o più delle aree principali, ad es. qualche assenza dal lavoro non dovuta a malattie fisiche e/o occasionali atti sconcertanti per i conviventi e/o carenze di amicizie, e/o qualche leggero ma chiaro segno di scarsa attenzione al proprio aspetto; nessuna difficoltà a svolgere un lavoro protetto.

2° LIV

EL

LO

D

I DIS

AB

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A’

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E S

OC

IALE

70 - 41

60 - 51

Marcata difficoltà in una sola delle aree, ad es. assenza di amici e difficoltà di rapporti con i familiari, ma con qualche rapporto sociale e familiare conservato o difficoltà anche in un lavoro protetto; nelle altre aree possono essere presenti difficoltà lievi o evidenti.

50 - 41

Difficoltà marcate in due o più aree principali (1- 3) con nessuna disfunzione grave o disfunzione grave in una sola area principale con nessuna disfunzione marcata nelle altre aree principali (vedi 30 – 21 per disfunzione grave nei comportamenti disturbanti), ad esempio tutte le difficoltà del livello precedente assieme.

40 - 31

Disfunzione grave in una sola area principale con disfunzioni marcate in una o più delle altre tre aree principali (ad es. nessuna attività socialmente utile, assenza di frequentazioni sociali, ma rapporti discreti con almeno un familiare).

1° LIV

EL

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D

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OC

IALE

40 - 1

30 - 21

Disfunzione grave in due delle aree principali 1 – 3 oppure disfunzione grave nei comportamenti disturbanti con o senza disabilità nelle altre tre aree principali.

20 - 11

Disfunzione grave in tutte e tre le aree principali 1 – 3, o anche disfunzione gravissima nei comportamenti disturbanti con o senza disabilità nelle altre aree. Nel dare il punteggio, nell’ambito di questo livello considerare se il paziente risponde (20 – 16) o risponde poco agli stimoli (15 – 11).

10 - 1

Mancanza di autonomia nelle funzioni di base con comportamenti estremi (ad es. si sporca volutamente di feci), ma senza pericolo di vita o, da 5 a 1, incapacità a mantenere l’autonomia nelle funzioni di base, tale da mettere in pericolo la sopravvivenza (rischio di morte per malnutrizione, disidratazione, infezioni, incapacità a riconoscere situazioni evidenti di immediato pericolo).

0 Informazioni insufficienti per dare un punteggio alla Scala FPS

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I Livelli di disabilità e fragilità personale e sociale, possono essere così associati e connessi ai contesti e alle aree di progettazione e di attività d’inserimento lavorativo, che corrispondono a loro volta in modo appropriato ai reali bisogni e alle vere preferenze dell’utenza coinvolta:

- 1° Livello di Disabilità e Funzionamento Personale e Sociale: i contesti utilizzati in questi casi e i progetti devono essere fuori da logiche ed interessi di produzione, ma connotarsi come luoghi dell’impegno utile, per sé stessi e con gli altri, come esperienza di relazione e di socializzazione. L’apprendimento è centrato più sull’esperienza concreta e di vita e non segue e non possiede gli inaffrontabili dettami della formazione professionale e dell’addestramento lavorativo. In queste situazioni di maggiore difficoltà, gli obiettivi riabilitativi devono essere sostenibili ed aggredibili per l’utente. Non escludendo mai possibili evoluzioni positive, non è precluso nel tempo l’accesso ad altre e diverse esperienze formative – lavorative. Esiste nell’area bolognese, un patrimonio ricchissimo ed un’esperienza lunghissima di teoria e pratica della psichiatria sociale, della riabilitazione psichiatrica e psicosociale, della pedagogia educativa e dei modelli sistemici relazionali che ha attraversato i Centri di Salute Mentale, i Centri Diurni e la Cooperazione Sociale A e B e che costituisce una risorsa importante e sempre da valorizzare per il recupero ed il ripristino di abilità e competenze personali, relazionali e sociali degli utenti. E’ un patrimonio che richiederebbe anche di essere messo a sistema, come già è, ma in modo più organico, omogeneo e trasversale nel Dipartimento.

- 2° Livello di Disabilità e Funzionamento Personale e Sociale: sono presenti abilità personali, relazionali e lavorative che richiedono di essere rinforzate in alcune aree o colmate in talune lacune. Spesso i percorsi di formazione e tirocinio, sono occasione per la persona di ridefinire e lavorare su problemi comportamentali, relazionali e emotivi. Fattori negativi determinanti che sommati all’assenza di una qualifica, un mestiere o una professione specifica possono frenare la richiesta o la ricerca di un lavoro e che li rende poco attraenti ed interessanti per chi offre un lavoro sul mercato. L’area della Formazione e Transizione al Lavoro, in questi casi, si mostra interessante con i tirocini formativi, la formazione professionale, i percorsi della L. 68/99 e tutti i progetti che Servizi del DSM – DP condividono in tema di integrazione socio-sanitaria (Provincia, Comuni, ecc.) e che possono offrire un ciclo di formazione al lavoro, un’occasione di sviluppo personale e talvolta una possibilità di occupazione. Anche in questo campo di attività, da parte degli operatori della salute mentale bolognese, vi è una notevole conoscenza ed esperienza delle metodologie di supporto e di mediazione nei percorsi di formazione e transizione al lavoro, nell’attività di ricerca e di reperimento delle risorse formative e lavorative e nel lavoro di rete con gli Enti e con le Agenzie del territorio.

- 3° Livello di Disabilità e Funzionamento Personale e Sociale: emerge sempre più spesso il bisogno di ottenere un impiego senza la mediazione di programmi di preparazione, di formazione e transizione al lavoro offerti dai Servizi. Riguarda persone che pur avendo sul piano psichico una sofferenza grave mantengono un buon livello di funzionamento intellettuale, comportamentale e operativo. Preferiscono promuoversi e provare a sperimentare se stessi nell’esperienza diretta; chiedono un maggiore confronto e aiuto sul piano della percezione di sé, della comunicazione, della gestione delle relazioni e della propria emotività. Il programma IPS prevede modalità che possono rispondere in modo adeguato a questo tipo di richiesta offrendo un supporto individualizzato che mira al potenziamento delle abilità, delle risorse della persona e la sostiene durante le diverse fasi esperienziali che caratterizzano l’incontro e il rapporto individuo-mondo del lavoro.

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E’ un’area nuova - di cui vi parleremo meglio in seguito - ma che si avvale dell’esperienza consolidata dei gruppi di lavoro del New Hampshire e di Rimini e di un ormai ampia letteratura internazionale. Infine non è da escludere come forma di supporto all’impiego anche quella della creazione di un lavoro autonomo con un progetto d’impresa attraverso il microcredito. Comunque l’abbinamento dei livelli di disabilità e fragilità personale e sociale, serve ad orientarci, a mettere ordine ad una nostra idea su come promuovere ed organizzare gli inserimenti lavorativi, ma non vuole vincolare in modo rigido ed astratto i percorsi; per es. attendiamo con soddisfazione che un utente con un 2° livello di disabilità e fragilità si proponga per un percorso di inserimento diretto nel libero mercato, cerchi, ottenga e mantenga un lavoro, perché pur avendo una vita povera di relazioni tiene su altri aspetti tra cui quello lavorativo.

Infine un’ultima precisazione è doverosa, ed attiene al rapporto tra diagnosi e disabilità. Normalmente la maggioranza degli utenti che usufruiscono delle attività e dei percorsi d’inserimento lavorativo promossi dai Servizi della salute mentale, sono utenti “gravi”. Lo si può vedere, osservando i raggruppamenti diagnostici (ICD-10) degli utenti dell’anno 2008. Si è scelto arbitrariamente l’anno 2008, perché non troppo vecchio e distante dall’oggi ma anche spostato un po’ verso il passato e quindi essere rappresentativo dell’utenza del periodo 2002 – 2010. Schizofrenia, sindrome schizotipica e sindromi deliranti (F20-F30) 41 % (391 ut.) Psicosi maniacale e bipolare; Sindromi depressive (F30-F39) 27 % (258 ut.) Disturbi della personalità e del comportamento nell’adulto (F60-F69) 21 % (200 ut.) Tutte le altre diagnosi 11 % (105 ut.) Totale utenti anno 2008 100 % (954 ut.)

La gravità della sintomatologia clinica, come è dimostrato dalla letteratura internazionale e dalla stessa esperienza dell’IPS (Individual Placement and Support), non influisce in modo prevalente sul livello di funzionamento sociale e lavorativo della persona; le competenze cognitive, scolastiche e lavorative ed i fattori motivazionali, culturali, ambientali e sociali giocano un ruolo altrettanto se non maggiormente importante dei sintomi.

2)La valutazione dei LIVELLI DI DISABILITÀ E FUNZIONAMENTO PERSONALE E SOCIALE nell’ambito delle dipendenze patologiche. Nel cercare di identificare un modello di valutazione dei livelli di disabilità e funzionamento personale e sociale nei Sert, è stato fatto un confronto con i modelli in atto. Uno strumento diagnostico che consente una valutazione multidimensionale delle dipendenze patologiche è l’ASI, Addiction Severity Index. È fra gli strumenti più utilizzati e accreditati nella letteratura internazionale e nazionale. Ideato da McLella nel 1982 per la valutazione delle dipendenze più tradizionali (eroina, alcool, ecc), è stato validato in versione europea EuropASI nel 2001 da Consoli e Bennardo.1

In Italia, nell’ambito del Progetto RELI2 la valutazione del profilo di gravità e delle risorse viene fatta utilizzando l’ASI e il Social Standardized Assessment System, strumento messo a punto all’interno della piattaforma informativa usata dalla Regione Veneto, corrispondente a SistER (Sistema informativo sulle dipendenze della Regione Emilia-Romagna). Questo primo assessment viene fatta dal Sert in fase diagnostica, e successivamente si fa una ulteriore valutazione, non standardizzata e cartacea, più tarata sull’inserimento lavorativo3.

1 Consoli, A. & Bennardo, A. (2001). Diagnosi e valutazione nelle tossicodipendenze e nell’alcolismo. Addiction Severity Index (II edizione). Torino: Centro Scientifico. 2 G. Serpelloni, R. Frighetto, R. Dalla Chiara, Progetto RELI. Reinserimento sociale e lavorativo delle persone tossicodipendenti. Manuale teorico pratico, Dipartimento Politiche Antidroga, 2012 3 Notizie date da R. Frighetto, contattata telefonicamente, a T. Dodaro

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In ambito regionale, in SistER è presente la scheda S24. Essa consente di assegnare un punteggio a items che riguardano la situazione professionale, abitativa, le patologie organiche, l’adesione alle cure, i comportamenti adeguati verso il Sert e verso gli altri, la capacità di prendersi cura di sè e il rapporto con le sostanze. Manca qualsiasi riferimento alle problematiche giuridiche, che per gli utenti Sert hanno una rilevanza pregnante. La scheda, sperimentata a livello regionale, non è validata scientificamente, inoltre non si conoscono i risultati della sperimentazione, non ancora conclusa. Nei Sert dell’AUSL di Bologna è stata portata avanti una ricerca-azione, che si è sviluppata negli anni dal 2000 al 2005, e che ha analizzato i percorsi di inserimento in borsa lavoro4. In questa ricerca è stata messa a punto una scheda di valutazione delle caratteristiche sociali e individuali della persona, suddividendole in items, ai quali è stata data una diversa pesatura. Gli operatori che effettuano inserimenti lavorativi nei Sert hanno scelto questa scheda, come strumento da adottare per la valutazione dei livelli di disabilità e funzionamento personale e sociale, in quanto è stato ritenuto idoneo per questo scopo. L’eventuale utilizzazione dell’ASI rientra in una fase diagnostica più complessiva, e deve essere definita in ambito di unità operativa e/o di area. - La scheda di valutazione (All.B XI). E’ stata messa a punto nella prima fase della ricerca (1999 -2003), dopo averne identificato l’oggetto – gli interventi di inserimento lavorativo – quantificati per la prima volta in modo sistematico con una raccolta dati. Successivamente ci si è posti l’obiettivo di affiancare ai dati quantitativi elementi di tipo più qualitativo, che hanno consentito di individuare caratteristiche ricorrenti negli utenti nei dati analizzati. Partendo da questo criterio empirico si è passati a strutturare una osservazione/valutazione degli utenti5 individuando due macroaree - componenti individuali e componenti sociali – articolate rispettivamente in 8 e 10 items. Ad ogni item sono stati attribuiti 4 diversi punteggi, con pesature differenti6. Le componenti individuali hanno mirato a indagare ambiti ritenuti significativi:

- come sta la persona rispetto all’uso di sostanze - capacità di tenuta e investimento rispetto al lavoro - competenze/capacità per lavorare e stare nel contesto di lavoro

Le componenti sociali/relazionali sono state individuate a partire da queste considerazioni:

- come la persona si pensa nel lavoro e nel contesto lavorativo - cosa pensano di lui gli altri (rappresentazione esterna) - quale è il rapporto con il servizio

Componenti individuali7 Salute fisica Salute psichica Rapporto con le sostanze Tenuta, investimento e motivazione rispetto al lavoro Competenze organizzative: affidabilita’ Competenze organizzative: imprenditivita' Competenze tecniche Valutazione delle esperienze lavorative pregresse

4 I percorsi di inserimento lavorativo nei sert, relazione al seminario «La nostra idea di inserimento lavorativo», 11 ottobre 2011. La ricerca azione è stata condotta negli anni con il supporto dello studio APS, Milano, nella prima fase, e di APS e CSAPSA, Bologna, nella seconda fase. 5 Questa fase di ricerca è documentata in: Albertazzi C., Albertazzi V., Di Toma A. Grigoli M. Vecchi P., Schiavi P. , L’inserimento lavorativo degli utenti tossicodipendenti, Coordinamento G. Mazzoli, APS, S. De Paolis, RER, AUSL di Bologna, Regione Emilia Romagna, 2003 6 Inizialmente erano stati dati punteggi uguali da 1 a 4 per tutti gli items. L’analisi successiva dei punteggi assegnati agli utenti ha evidenziato la necessità di pesature differenti in quanto emergeva una immagine delle persone non aderente alla realtà 7 Vedi scheda allegata

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Componenti sociali Competenze sociali e relazionali Immagine ed aspettative rispetto alla funzione del lavoro Modalita’ di regolazione rispetto alle difficolta’ del contesto lavorativo Immagine esterna Rapporto con il servizio Situazione giuridica Situazione economica Collocazione abitativa Collocazione sociale Contesto familiare

- Il diagrammma di posizionamento. Una volta compilata la scheda, la fase successiva ha richiesto l’implementazione di un nuovo strumento di lettura dei dati raccolti. Il punteggio ottenuto nelle due componenti è stato inserito all’interno di un diagramma cartesiano, ove sull’asse delle ascisse (x) sono collocati gli items sociali e sull’asse delle ordinate (y) gli items individuali. In tal modo, in ognuno dei 4 quadranti ottenuti sono emerse caratteristiche comuni:

- Quadrante 1: presenza di scarse risorse sociali e molte risorse individuali - Quadrante 2: presenza di molte risorse sociali e molte risorse individuali - Quadrante 3: presenza di scarse risorse sociali e scarse risorse individuali - Quadrante 4: presenza di scarse risorse individuali e molte risorse sociali

DIAGRAMMA DI POSIZIONAMENTO

0

1

2

3

4

5

6

7

8

9

10

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0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30

Occorre precisare che l’assegnazione del punteggio si riferisce al Tempo 0 in cui la scheda viene compilata. La ricerca effettuata prevedeva infatti, che a distanza di 6 mesi, venisse fatto un follow up, per rivalutare la situazione della persona. E’ importante essere consapevoli che l’utilizzo di questi strumenti serve a orientare meglio il lavoro educativo, sia nella valutazione dei livelli di funzionamento sia nell’ evidenziare i cambiamenti che la persona ha fatto.

1 2

3 4

X Items sociali

Y Items individuali

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Non è una configurazione statica, ma è sempre suscettibile di cambiamento, rappresentando anche le fasi di vita evolutive o regressive della persona. La costruzione di questo strumento ha permesso di portare alla luce i pensieri impliciti che guidano l’agire quotidiano degli operatori, operando una astrazione che è il primo passo per il confronto su prassi, strumenti e valutazione degli esiti. 4.2 L’offerta attuale, le risorse impiegate sul decennio (2002 – 2010) Se la valutazione e l’analisi delle tipologie d’utenza presenti nel corso della storia della riabilitazione lavorativa dei Servizi di salute mentale, si sono impostate per cogliere e per rappresentare caratteristiche, bisogni e cambiamenti delle stesse, con lo studio delle attività e dei percorsi si cerca di comprendere quali sono state e quali sono le tipologie di risposte. Si cerca soprattutto di conoscere se le risposte in termini di progetti ed attività si sono adeguati al cambiamento dell’utenza e se sono risultati adeguati nel tempo per affrontare i bisogni/problemi formativi e lavorativi in maniera efficace. Quindi più che un confronto tra i percorsi e le attività per definire le differenze o le similitudini, bisogna cercare di analizzare l’evoluzione dell’offerta formativa e lavorativa nel corso degli anni e constatarne la rispondenza ai bisogni dell’utenza.

Relativamente al periodo 1981 – 2001, circa l’assenza o la non completezza dei dati quantitativi di attività e percorsi, valgono le stesse osservazioni fatte per i dati sull’utenza. Nella ricostruzione dei percorsi e delle attività della riabilitazione lavorativa del periodo storico preso in esame, ne abbiamo individuato alcuni tipi ed aspetti principali: - attività e percorsi scelti, impostati ed esclusivamente centrati su formazione professionale con quote riservate, cooperative sociali B, borse lavoro e collocamento lavorativo disabili; - attività, percorsi e strumenti che al momento della nascita e del loro primo utilizzo, seppur in maniera diversa e geograficamente disomogenea, si caratterizzano come chiare forme e modalità d’integrazione sociale e sanitaria (Servizi Sociali, Servizio Handicap, SerT, SIMAP, Comuni, Provincia, Enti di formazione); - attività e percorsi che a distanza di qualche anno, si tende ad internalizzare e a psichiatrizzare, seguendo la logica degli interventi “ad hoc”, voluti più specifici e supposti come più efficaci (manca una valutazione di esito) per l’utenza della salute mentale. Relativamente ai dati di attività e percorsi d’inserimento formativo e lavorativo del periodo 2002 – 2010, si possono fare le stesse considerazioni dei dati sull’utenza, in termini di correttezza e coerenza nel rilevamento e nell’esposizione e si possono indicare lo stesso tipo di soluzioni. La tabella seguente offre un quadro chiaro e sintetico dei percorsi e delle attività principali nell’ambito della formazione e dell’inserimento lavorativo dell’utenza dell’area CSM.

2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010

Utenti in carico per progetti d’inserimento formativo e

lavorativo

567

696

749

795

853

901

954

966

986

ITR Borse lavoro 433 412 445 541 594 642 703 728 844

Formazione prof.le 63 78 122 93 107 66 65 46 87

Percorsi L.68/99 28 50 59 72 74 63 73 62 56

Inserimenti in Coop. Soc. B (ITR Borse Lavoro e Assunzioni)

138 117 142 208 228 258 286 314 318

Assunzioni 58 70 64 75 74 57 59 50 45

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Alcune considerazioni sui dati delle attività ed i percorsi di formazione ed inserimento al lavoro dal 2002 al 2010: - le borse lavoro sono aumentate da 433 a 844, del 95 %. In particolare le borse lavoro osservative, quelle con valenza osservativa e formativa, sono diventate da 186 del 2002 a 354 del 2010 con un incremento del 90%; se si osserva che erano 188 nel 2008, tale aumento è avvenuto negli ultimi due anni. Non è difficile immaginare che la richiesta per nuovi percorsi di formazione o di inserimento lavorativo si è indirizzata su questo tipo di borsa lavoro e che si è verificato un accumulo di utenti su tali percorsi. Le borse lavoro, occupazionali hanno avuto un incremento progressivamente graduale negli anni nell’ordine del 39 %. Le borse lavoro finalizzate dopo il picco degli anni 2007/2008 (+ 62% rispetto al 2002), sono in calo nel 2010 del - 21% rispetto al 2008, restando con un più 28% rispetto al 2002. - Le borse lavoro nelle Cooperative Sociali B sono aumentate da 121 a 307, del 154 % e probabilmente l’incremento è dovuto come vedremo più avanti alla difficoltà di sbocchi assuntivi. - Gli utenti inseriti nei Corsi di Formazione professionale sono aumentati da 63 a 87, del 38 %, e si è avuto un apice di 107 di media nel triennio 2004 – 2006; tale diminuzione è da attribuire alla diminuzione delle risorse formative negli ultimi anni, seppure vi è ancora un buon livello di offerta. - Gli utenti inseriti nei percorsi per disabili L.68/99 sono aumentati da 28 a 56, del 100 %, e si avuto un buon andamento nel quadriennio 2005 - 2008, con una media di 70 disabili segnalati per anno; si spera che la crisi degli ultimi anni possa essere superata attraverso percorsi innovativi ed integrati (Fondo Regionale Disabili, Coop. Sociali B e Imprese). Nei percorsi di formazione transizione al lavoro promossi e gestiti dalla Provincia di Bologna abbiamo avuto 143 utenti nel 2010; l’apice di inserimenti in questo ambito è stato toccato nel triennio 2004 -2006 con una media di circa 180 utenti. - Le assunzioni e gli inserimenti nel libero mercato, sono diminuiti da 58 a 45, passando dal 10 % al 4,5 % sui percorsi totali; e se si valuta la media di 71 assunzioni del triennio 2004 – 2006, il passaggio è dal 9 % al 4,5% rispetto alla media dell’utenza totale. La ricerca attiva del lavoro normalmente avviene nei luoghi dove vi sono le offerte di lavoro (Centro per l’Impiego, Agenzie per il lavoro, sedi informali) ed il supporto all’impiego, fino al 2010, non è ancora strutturato come metodologia di lavoro. Come vedremo nei prossimi capitoli la sfida ragionata per invertire questa tendenza è un cambio di filosofia in rapporto all’utenza e l’utilizzo sistematico del modello IPS (Individual Support and Placement). In sintesi, si rilevano aspetti e tipi non molto dissimili come tipologia di attività e di percorsi da quelli del passato: - le attività ed i percorsi sono di tipo prevantemente riabilitativo e formativo, con prevalenza di strumenti interni e propri (borse lavoro) dei Servizi psichiatrici; - le attività e i percorsi in partnership con le Agenzie, gli Enti ed altri soggetti del territorio e in tema d’integrazione sociale e sanitaria (Provincia, Uffici di Piano Piani Sociali di Zona, Agenzie per il lavoro, Enti di Formazione, ecc.) si sono meglio strutturate secondo progetti, accordi, procedure e protocolli ufficiali. Le attività sono accresciute sul piano quantitativo, per utenti, enti e soggetti territoriali coinvolti, per risorse economiche impiegate e raggiunto un buon assetto organizzativo ed una sicurezza operativa, si sono rafforzate ed implementate ma con relativi cambiamenti ed innovazioni tecniche e metodologiche. Indipendentemente dalle forme organizzative dei servizi, specializzati o meno, nell’ultimo decennio si sono recuperate e si è dato continuità a prassi operative consolidate e si sono

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riaffermati con maggiore cura e precisione, metodologie sperimentate e strumenti collaudati, anche di largo “consumo” come le borse lavoro. Inequivocabilmente si è allargata la disponibilità di risorse interne o internamente acquisite (borse lavoro, cooperazione sociale B), hanno tenuto ancora con qualche cedimento quelle storicamente acquisite in esterno (formazione, L.68/99). Invece sono calate e si sono dimezzate le opportunità d’inserimento lavorativo vero e proprio. 4.3 Valutazione degli esiti Nonostante gli sforzi fatti, i progetti creati e le risorse utilizzate, se osserviamo gli esiti in termini di inserimenti lavorativi o assunzioni, siamo ad un livello poco soddisfacente. Di fatti se l’esito assuntivo atteso - in base ai dati della letteratura nazionale ed internazionale - dovrebbe attestarsi su una percentuale del 12% circa, con il nostro 4,5 % di assunzioni nel 2010, rispetto al totale dei percorsi avviati, siamo ben lontani anche da una media standard di risultati positivi. Inoltre è un dato che nel tempo è diminuito in modo inversamente proporzionale, a fronte dell’aumento dell’utenza; infatti nel biennio 2005/2006 si aveva un 9 % di utenti assunti rispetto al totale degli utenti seguiti in percorsi d’inserimento lavorativo. Negli ultimi anni, hanno avuto un ruolo non secondario la congiuntura e la crisi economica che hanno ridotto le opportunità lavorative e le disponibilità delle imprese ed hanno irrigidito complessivamente l’atteggiamento del libero mercato rispetto all’inserimento lavorativo delle fasce deboli. Anche i contesti socialmente più responsabili hanno ridotto la loro apertura e il loro coinvolgimento ai percorsi di formazione e di inserimento lavorativo di soggetti disabili e svantaggiati. Ma la recessione economica non spiega completamente l’andamento negativo dei risultati assuntivi; infatti l’analisi dei capitoli precedenti su utenza ed attività ci conduce ad approfondire aspetti legati alla individuazione dei bisogni reali dell’utenza e all’utilizzo di pratiche appropriate. Questi aspetti, a nostro avviso, hanno inciso considerevolmente negli anni sui risultati occupazionali dei percorsi e dei progetti costruiti. Rispetto alle risposte e alle opportunità messe a disposizione degli utenti, ci si è soffermati e si investito in termini di impegno e di risorse soprattutto su utenti con i primi due livelli di disabilità e fragilità sociale, descritti precedentemente (1° e 2° Livello) riducendo gli altri utenti di buon livello di funzionamento personale e sociale alla stregua di questi e non differenziandone i bisogni e le potenzialità; o meglio si sono fornite prevalentemente risposte ed attività di tipo riabilitativo e formativo con limitate iniziative nella direzione dell’impiego nel libero mercato. Si è operato un livellamento dell’utenza verso percorsi più protettivi di attività e progetti e questa proposizione quasi esclusiva di percorsi riabilitativi - formativi e il loro prolungamento nel tempo oltre i limiti auspicabili e previsti, hanno indotto nell’utenza coinvolta cali della motivazione, possibili abbandoni e reso critiche le condizioni di percorso. Hanno influenzato il raggiungimento degli esiti positivi anche il tipo e la qualità gli strumenti da noi utilizzati. La complessità del sistema chiede una migliore e più accurata definizione degli interventi e degli strumenti sia sul piano normativo/procedurale sia sul piano della progettazione formativo - riabilitativa. Avere maggiore chiarezza e definizione dello strumento favorisce il rispetto dei bisogni dell’utenza e rende chiari gli obiettivi del progetto fin dall’inizio, senza confusione, distorsione e approssimazione nell’uso. Ad ogni strumento corrispondono degli obiettivi perseguibili. (Es. ISRA /obiettivi socio-riabilitativi, IPS /obiettivi lavorativi). Mentre con la borsa lavoro, strumento multiuso e totalizzante, l’obiettivo di progetto può essere chiaro e definito come può essere procrastinato dall’operatore e come può lasciare il campo ad errate interpretazioni ed aspettative dell’utente. Una flessibilità

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d’uso che talvolta partendo dalla buona intenzione di voler modellare gli obiettivi sui bisogni della persona si è trasfigurata, rendendosi troppo disponibile alle richieste e ai rilievi di datori di lavoro eccessivamente titubanti sulle prospettive assuntive e poco tutelante nei confronti del lavoro dell’utente anche quando espresso su buoni livelli di qualità. Questa visione attenta agli aspetti della concretizzazione lavorativa però non trascura gli obiettivi parziali di percorso e la valenza riabilitativa e formativa dei percorsi in atto. Attività che possono permettere il recupero e l'acquisizione di abilità professionali, ma anche il ripristino di competenze ed autonomie comportamentali relazionali e sociali. E’ noto che gli utenti con l’apporto dei servizi della salute mentale, possono migliorare, attraverso la riabilitazione lavorativa, abilità e competenze che gli dovrebbero permettere di integrarsi in una vita più aperta e di comunità. Esperienze e setting riabilitativi mirano a far apprendere la gestione di sé stesso, ad aiutare a orientarsi e a scegliere e a far rinascere l’interesse per la socialità e le relazioni. Operatori e Unità Operative territoriali (CSM) dei servizi psichiatrici bolognesi hanno svolto e svolgono tuttora un’azione meritoria e utile in questa direzione, dando impulso a progetti d’inserimento al lavoro interessanti sul piano degli esiti riabilitativi. Il rischio è che con tali attività si potenzino abilità e competenze sul piano delle relazioni e delle autonomie, si migliori la capacità di funzionamento personale e sociale, ma non vi siano sufficienti condizioni ed opportunità per usarli e sfruttarli a pieno. Il lavoro ed il reddito sono tra le condizioni necessarie e fondamentali per utilizzare e conservare al meglio le capacità, per soddisfare i propri bisogni ed aspirazioni, per rendere la persona realmente libera nella scelta di stare bene e di essere felice. Realisticamente sappiamo bene che non tutti gli utenti possono gestire le condizioni e le prestazioni di un lavoro a contratto, ma dove le competenze, le forze e la volontà lo permettono, è moralmente e professionalmente doveroso orientare gli utenti a percorsi verso il lavoro con un reddito adeguato. Un ultimo fattore non strutturale ed organizzativo, che può risultare condizionante sullo sviluppo dei progetti di formazione e d’inserimento lavorativo e sugli esiti, è intrinseco agli operatori, legato al loro orientamento professionale e culturale nei confronti dell’utenza e delle tecniche riabilitative. La cultura di molti operatori è accresciuta e si è affinata tecnicamente ma la questione è di come ci aiuti a mettere a fuoco gli utenti e le appropriate ed efficaci opportunità riabilitative, formative e lavorative. Siamo in grado di vedere non più solo cittadini fragili “vulnerabili” ma anche cittadini consapevoli ed “esperti”, non una massa indistinta ma persone tra loro differenti, con bisogni / problemi diversi ? 4.4 Esigenze di cambiamento La declinazione degli specifici bisogni di lavoro e delle aspirazioni lavorative, la definizione delle caratteristiche e delle tipologie dell’utenza, come abbiamo visto, devono guidarci a stabilire le necessarie risposte e a dotarci soprattutto di adatti strumenti. Riconoscere una trasformazione storica dell’utenza è essenziale, ma anche riconoscere una trasformazione storica della nostra visione dell’utente, delle sue prerogative e dei suoi diritti è altrettanto importante. E’ questa una prima pre-condizione verso il cambiamento. Gli utenti legittimamente pongono delle richieste di lavoro che vanno talvolta nella direzione del libero mercato talvolta verso situazioni di maggiore protezione. Tali indicazioni devono essere intese come vere e proprie scelte e non semplici pareri e meritano entrambe di essere prese seriamente in considerazione. Ogni percorso deve essere liberamente scelto dall’utente e fortemente condiviso, sicuramente guidato, ma possibilmente il meno predefinito, preordinato ed imposto dagli operatori.

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Riconoscere all’utente di essere in grado ed avere il potere di fare e possibilmente in autonomia (EMPOWERMENT). Il sapere e la competenza professionale degli operatori devono essere condizione per l’ascolto, per la fiducia e per il supporto nella scelta e nella costruzione del percorso d’inserimento lavorativo. Come in ogni relazione di partnership, vi sono pari presupposti di dignità, rilevanza e riconoscimento reciproco, pur nella differenza di status, ruolo e condizioni. Il passo successivo del cambiamento, muove dall’utenza verso le attività, che devono essere adeguate e appropriate. Nell’operare questo passaggio è importante ricordare che esiste un patrimonio di esperienze e di prassi su cui poter far crescere il nuovo organismo, la nuova organizzazione. E’ un insieme di situazioni, attività e relazioni con un valore non solo operativo ma anche simbolico, legato alle storia professionale degli operatori e dei servizi. Dal confronto costruttivo tra passato e futuro, possono inserirsi le nuove idee e la nuova progettualità ma conducendo anche alla valorizzazione di situazioni, di buone prassi e di progetti esistenti e al prolungamento della loro esistenza. Oltre a ciò, le trasformazioni sociali, le innovazioni tecnologiche del mondo del lavoro, le novità legislative, il rinnovamento della cultura della salute mentale, il ruolo attivo dei cittadini (familiari, utenti) costituiscono una dimensione estesa, complessa ed in evoluzione che non poteva essere ritenuta ininfluente e che ha contribuito invece anch’essa alla decisione di riordinare, di rinnovare e di riorganizzare le attuali pratiche d’inserimento lavorativo. Soprattutto il cambiamento della qualità del lavoro, le attuali caratteristiche dei “lavori”, le profonde modificazioni dei sistemi organizzativi nel passaggio da fordismo al post-fordismo, la fase di crisi e di recessione economica, le nuove vulnerabilità ed i nuovi rischi sociali emergenti hanno “stimolato” l’esigenza di una riflessione e di una revisione dei processi di inclusione lavorativa tradizionali. Notevole è stato l’input avuto a livello Dipartimentale – dalla Direzione, dagli stessi operatori impegnati in prima linea su questi temi, dai familiari, dagli utenti – per raccogliere segnali, indicazioni e riflessioni utili e fondamentali per intraprendere questo cambiamento.

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PARTE SECONDA PROPOSTA PER UN SISTEMA DEGLI INTERVENTI SOCIALI RIABILITATIVI ATTIVI, FORMATIVI E LAVORATIVI 5. Finalità e obiettivi del sistema Finalità Il Dipartimento di Salute Mentale e Dipendenze Patologiche, in collaborazione con i cittadini familiari ed utenti, con altri soggetti no profit e profit e con le altre strutture Aziendali coinvolte sul tema, promuove la riorganizzazione, lo sviluppo e l’innovazione, delle attività e dei progetti riabilitativi di formazione e d’inserimento lavorativo. Le finalità principali da raggiungere e da sostenere sono:

il miglioramento, l’innovazione e lo sviluppo tecnico, organizzativo, metodologico e progettuale degli interventi riabilitativi di formazione e d’inserimento al lavoro;

l’unitarietà e l’omogeneità delle procedure e delle prestazioni in tutte le Unità Operative territoriali del DSM DP (CSM, SerT, UO NPIA) relativamente ai progetti riabilitativi d’inserimento formativo – lavorativo;

l’equità e il migliore utilizzo – razionalizzazione - delle risorse disponibili relativamente ai progetti riabilitativi d’inserimento formativo – lavorativo;

l’operare in linea con le finalità, gli obiettivi e le azioni relative alla promozione della salute e dell’integrazione socio – sanitaria e secondo la normativa locale, regionale e nazionale in materia di formazione e d’inserimento al lavoro di persone disabili e svantaggiate;

l’incentivo e lo sviluppo di processi terapeutico – riabilitativi co-partecipati e co-costruiti con l’utente e di pratiche per l’autonomia della persona (empowerment, Individual Placement and Support);

lo sviluppo di alleanze e di partnership con le Istituzioni locali, con i Servizi pubblici per l’impiego, con le Agenzie per il lavoro, con gli Enti di formazione, con la Cooperazione Sociale, con le Associazioni di categoria, con tutti i Soggetti profit e no profit del territorio, per costruire condizioni favorevoli, maggiori opportunità e possibilità per l’inserimento formativo – lavorativo dell’utenza del DSM – DP.

Obiettivi Gli obiettivi principali da raggiungere e da sostenere sono:

la ri-organizzazione, la programmazione, la progettazione, il monitoraggio e la valutazione dei percorsi e delle attività d’inserimento lavorativo a favore dei cittadini adulti con disagio e disturbo psichico, con dipendenza patologica e dei cittadini adolescenti con malattie neuropsichiatriche in età lavorativa;

il rinnovamento e l’aggiornamento tecnico, metodologico ed operativo delle pratiche per la formazione, per la ricerca ed il mantenimento del lavoro da parte degli utenti, attraverso l’introduzione di nuovi modelli e strumenti, l’utilizzo di chiari riferimenti normativi, formativi e riabilitativi e la costruzione di nuovi criteri e parametri di valutazione degli esiti assuntivi;

l’accoglimento dei bisogni e la valorizzazione delle richieste emancipative degli utenti, per una nuova e più corretta definizione degli obiettivi attuali e futuri che ne

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rispettino la motivazione al lavoro, la capacità di scelta, le preferenze e che ne valorizzino i punti di forza, le esperienze, la consapevolezza dei propri diritti e l’autonomia di cittadino nella propria comunità (empowerment);

la definizione degli obiettivi, delle azioni e delle procedure operative secondo una scala di valori centrati sulle potenzialità e sulle abilità dell’utente, secondo un ordine decrescente di possibilità e di opportunità e che perseguono, come primaria finalità, l’aiuto alle persone affette da una grave malattia mentale o da dipendenza patologica, a trovare e a mantenere un impiego nell’ordinario mercato del lavoro;

lo sviluppo di un processo dipartimentale e sovra dipartimentale per la diffusione ed il radicamento nelle UU.OO. del modello per il supporto all’impiego dell’utenza nel libero mercato competitivo (IPS - Individual Placement and Support);

l’ideazione e la creazione di nuovi progetti trasversali dipartimentali di formazione e d’inserimento lavorativo in modo da rendere disponibili pari opportunità di iniziative formative e di collocazione al lavoro in tutte le zone dell’Azienda e per tutti gli utenti secondo le varie tipologie di bisogni e di problemi;

la costruzione ed il sostegno delle partnership, delle relazioni e delle connessioni di rete con i soggetti e le agenzie del territorio per favorire i processi d’integrazione socio sanitaria in tema di inclusione lavorativa di disabili e soggetti svantaggiati (Provincia, Comuni, Privato sociale e Associazioni), per integrare risorse/risposte/soluzioni, per sostenere e condividere progetti di comunità e per incrementare le opportunità lavorative;

il rinnovamento, il miglioramento e la verifica dei percorsi formativi e lavorativi promossi dal DSM DP (Tirocini formativi, ISRA) e dei progetti finanziati al Privato sociale, per miglior utilizzo e gestione delle risorse interne in relazione agli esiti riabilitativi e lavorativi;

la promozione dell’incontro e del confronto tra operatori, familiari e utenti per stimolare una riflessione critica sugli strumenti e sulle metodologie utilizzate, sulla qualità della relazione con il cliente;

l’acquisizione e l’utilizzo di strumenti e metodi di valutazione e di monitoraggio dei percorsi individuali d’inserimento al lavoro e dei relativi esiti;

il rilevamento e l’analisi periodica del bisogno formativo e lavorativo degli utenti;

la raccolta dei dati e l’elaborazione di report sistematizzati e periodici sulle tipologie d’utenza, la quantità dei flussi e del volume di attività e sugli esiti degli inserimenti lavorativi;

lo scambio ed il confronto delle esperienze, l’informazione culturale e la Formazione sui temi del lavoro degli operatori delle UU.OO. CSM, SerT, NPIA.

l’applicazione - ed il suo monitoraggio – delle finalità, degli obiettivi, degli orientamenti, delle indicazioni e delle procedure unitarie ed omogenee definite dal presente documento.

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6. Visione e valori Questo insieme (finalità e obiettivi) è ben più di una sommatoria di bisogni, di intenti, di azioni, di soluzioni. E’ la cornice di senso e di significati che introduce cultura, pratiche e organizzazione: propone una nuova dimensione ed una diversa filosofia di metodi e modelli operativi ed un nuovo assetto organizzativo del sistema degli interventi riabilitativi, formativi e lavorativi dell’utenza del DSM DP. E’ un insieme di elementi che variano al variare dei bisogni dell’utenza e delle trasformazioni sociali e di contesto e che definiscono il campo di esistenza del sistema e l’appropriatezza delle attività e dei percorsi. E’ anche la rappresentazione di quanta strada è stata percorsa da ieri ad oggi verso un modello unitario e condiviso. Sul piano dei valori, il lavoro è in sé il primo ed ha in sé una forte valenza relazionale e sociale, ma anche e soprattutto di autonomia, di diritto di reddito e di cittadinanza. E’ un tassello importante nel quadro esistenziale della persona e nell’ambito del progetto terapeutico riabilitativo complessivo dell’utente. Si è sempre pensato che “per la persona in cura la possibilità di raggiungere una posizione lavorativa significativa è spesso il segno più tangibile di inclusione sociale, con effetti importanti sull’autostima, sul benessere relazionale, sulla autonomia personale e, secondo alcuni studi, anche sulla stabilizzazione sintomatologica.” Gruppo di Lavoro Regionale - Piano Attuativo Salute Mentale 2009 – 2011, Regione Emilia Romagna, 2010, elaborato finale “Sviluppo organizzativo e professionale nell’area salute mentale. Gli inserimenti lavorativi”. Il lavoro ha sempre rivestito e riveste un ruolo importante nelle intenzioni e nelle pratiche di cura e di riabilitazione di molti cittadini con sofferenza e disagio psichico.

Tra gli altri elementi e le altre qualità della cornice valoriale che sono a fondamento del sistema proposto e che rincontreremo ancora nel corso dell’esposizione, abbiamo: l’appropriatezza, l’efficacia, la partecipazione, l’innovazione, la verificabilità, il diritto di cittadinanza. 7. Partner del sistema

L’analisi fin qui svolta, ci spinge anche a definire e a consolidare la qualità delle relazioni e delle partnership di sistema. Diversi soggetti concorrono alla definizione delle partnership, secondo ruoli e funzioni diverse ma con il comune obiettivo ed interesse di promuovere, di sostenere e di favorire l’autonomia lavorativa degli utenti.

L’utente La relazione con l’utente - il primo partner dei Servizi e degli operatori – chiede ormai un cambiamento nella direzione di maggiore fiducia e riconoscimento del nostro interlocutore, di pari dignità e reciprocità nell’ascolto e nel dialogo, della sua partecipazione attiva alle scelte e alle decisioni dei processi di cura e di riabilitazione.

I familiari Un’intesa ed un’alleanza con i familiari - non solo sui singoli percorsi formativi e lavorativi - è fondamentale e necessaria sia per raccogliere le loro indicazioni ed istanze sia per condividere le scelte e le proposte di sistema.

La comunità Immaginiamo che un tale sistema non possa svilupparsi secondo un approccio totalizzante ed autarchico che prevede un intervento a tutto campo ed esclusivo della sola salute mentale.

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Il lavoro, come già scritto, per la sua valenza e per la sua dimensione sociale ha un significato importante per il riconoscimento, per la soddisfazione e per l’emancipazione dell’utente. Ma allo stesso tempo è un aspetto del vivere sociale che mobilita e coinvolge vari attori istituzionali e non, pubblici e privati. La possibilità di creare nuove opportunità di lavoro e di costruire efficaci ed appropriati percorsi di formazione ed inserimento lavorativo è nell’interagire da parte del DSM DP con gli altri soggetti e servizi interessati del territorio con i quali ricercare soluzioni, agire possibilità, prendere decisioni e condividere progetti ed attività. Come del resto riporta il Piano Attuativo Salute Mentale 2009 – 2011 nella seconda parte sul sistema di comunità: “La salute è un bene la cui tutela prevede oltre ad azioni di cura e riabilitazione, attività di prevenzione e promozione che devono trovare il coinvolgimento di tutta la collettività. Questo è a maggior ragione vero per la salute mentale, area che più di altre si estende alla sfera sociale e collettiva, essendo fortemente influenzato dalle modalità del vivere sociale, dai cicli economici e dalla vitalità delle istituzioni di un territorio. Per tutte queste ragioni il Piano Sociale e Sanitario Regionale richiede la creazione di un sistema integrato dei servizi ed assegna agli Enti Locali compiti specifici nella realizzazione e nel coordinamento di un sistema di comunità che presidi prevenzione e promozione della salute, comunicazione sociale, interventi di carattere sociale e di integrazione socio-sanitaria. “(Piano Attuativo Salute Mentale 2009 – 2001, Giunta Regionale Direzione Generale Sanità e Politiche Sociali, Regione Emilia Romana). L’integrazione socio-sanitaria nel campo della salute mentale, a livello territoriale, dovrebbe comprendere l’inserimento lavorativo o più precisamente il lavoro, secondo un’impostazione collaborativa, negoziale e di partnership con gli altri Soggetti pubblici e privati che hanno le competenze e la titolarità dell’informazione, della promozione e della gestione dei servizi e dell’attività preposte a favorire l’incontro domanda /offerta – per le imprese e per tutti i cittadini, in qualsiasi condizione sociale e di salute.

Tra i principali partner della comunità abbiamo:

- La Provincia di Bologna, ha funzioni in materia di formazione professionale, di sicurezza sul lavoro e di collocamento e politiche attive del lavoro e gestisce i servizi necessari a favorire l'incontro tra domanda e offerta di lavoro attraverso il Servizio Politiche attive del lavoro e formazione, l’Unità Operativa Inserimento lavorativo disabili, Il Centro per l’Impiego di Bologna e gli altri CIP periferici, l’Unità Operativa istruttoria attività formative, l’Unità Operativa consulenza giuridico – amministrativa sul lavoro.

- I Comuni che attraverso il Piano di zona distrettuale per la salute e per il benessere sociale e le ASP (Aziende di Servizi alla Persona), mettono in campo tavoli istituzionali di lavoro e progetti su specifici target d’utenza e con interventi trasversali contro la povertà e l’esclusione sociale, cercando di incidere positivamente sulle condizioni di contesto e di disagio connesse alle criticità del mondo del lavoro e delle opportunità lavorative.

- Le Cooperative Sociali di tipo B (come anche di tipo A + B) che come si è visto storicamente, contribuiscono alla promozione umana e all'integrazione sociale dei cittadini - anche con disagio psichico ed in stato di dipendenza - attraverso lo svolgimento di attività finalizzate all'inserimento lavorativo di persone svantaggiate.

- Gli Enti di formazione che sviluppano ed attuano iniziative di formazione professionale e di transizione al lavoro, proprie o finanziate dall’Ente pubblico, rivolte ai cittadini adulti anche disabili e svantaggiati, e volte a favorire l'acquisizione di competenze di natura professionalizzante utili per l'inserimento o il reinserimento nel mercato del lavoro.

- Le Agenzie per il lavoro e loro Fondazioni onlus, che attraverso lo svolgimento delle attività di somministrazione, d’intermediazione, di ricerca e selezione del personale, di

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supporto alla ricollocazione professionale e con progetti specifici rivolti a cittadini disabili e svantaggiati, consentono la disponibilità di opportunità e di collocazioni lavorative.

- Le Associazioni di Volontariato ed ONLUS, che accolgono utenti per attività riabilitative e formative e promuovono direttamente attività e progetti su temi specifici e target particolari d’utenza psichiatrica ed in stato di dipendenza.

- Le Imprese (piccole, medie e grandi e di varia forma societaria) e le loro Associazioni di rappresentanza che collaborano e si rendono disponibili per le opportunità d’inserimento formativo e lavorativo.

- I Sindacati che intervengono per la tutela dei diritti e degli interessi dei lavoratori, con particolare attenzione al rispetto della normativa su disabilità e lavoro e della sicurezza sul posto di lavoro.

- I Patronati che prestano attività di consulenza, informazione e assistenza in materia di prestazioni socio-sanitarie, previdenziali e in tema di immigrazione. Le strutture AUSL (Distretti, DASS, UOC Medicina Legale)

- I Distretti ed il Dipartimento dell’Assistenza Socio – Sanitaria (DASS) che collaborano con il DSM DP in materia di disabilità ed integrazione sociale e sanitaria.

- L’Unità Operativa Complessa Medicina Legale e le Commissioni di accertamento sanitario della disabilità finalizzato anche al collocamento mirato al lavoro che operano secondo quanto previsto dalla normativa nazionale e regionale di riferimento, provvedendo alla redazione del verbale di invalidità e di diagnosi funzionale. 8. Organizzazione del sistema Il patrimonio di cultura e di pratiche, le innovazioni metodologiche e concettuali, le indicazioni e le prescrizioni procedurali che compongono il nuovo sistema, per poter essere maggiormente condivisi e applicati nelle Unità Operative dipartimentali richiedono e necessitano di una forma organizzativa che supporti e favorisca lo sviluppo del processo di cambiamento ed il suo consolidamento. Le Unità Operative CSM, SerT, NPIA

Un’organizzazione leggera e funzionale che agevoli i collegamenti e le connessioni tra il centro e la periferia, tra la direzione e le equipe multiprofessionali. Le Unità Operative CSM, SerT, NPIA sono i servizi dove accede e viene presa in carico l’utenza e dove si costruiscono e si realizzano i progetti riabilitativi, formativi e lavorativi. Gli operatori di queste équipe territoriali contribuiscono alla rilevazione del bisogno degli utenti e alla definizione del progetto, degli obiettivi, delle attività, della tipologia d’inserimento formativo – lavorativo e delle modalità di verifica dei processi di lavoro riabilitativi personalizzati e finalizzati alla formazione e al lavoro. E’ nella titolarità degli operatori interni alle équipe delle Unità Operative territoriali, la competenza di connettere i bisogni, i problemi, le competenze, le aspirazioni e le richieste dell’utenza con le realtà, con le opportunità, con i percorsi e con i contesti formativi e lavorativi del territorio. Contemporaneamente vi è anche il bisogno di una partecipazione delle equipe ai progetti e alle attività che si sviluppano su una scala più ampia e dipartimentale e di tenersi collegate ed aggiornate sulle novità procedurali, metodologiche e culturali. La combinazione tra le contingenze e le esigenze quotidiane di Servizio, gli scambi informativi / formativi e l’adesione a progetti ed attività dipartimentali, richiede tempo disponibile ma è utile e vitale per governare con appropriatezza ed efficacia gli interventi in ambito

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formativo e lavorativo. A questo proposito, è importante il contributo di alcuni operatori SATeR – educatori professionali e alcune assistenti sociali – che nelle equipe si sono evidenziati sui temi della riabilitazione lavorativa e che possiamo definire e riconoscere particolarmente dedicati e competenti in materia. La teoria e la pratica della riabilitazione lavorativa si ritiene non possano essere delegate solo ad alcune figure professionali, ma è necessario che in rappresentanza delle UU.OO territoriali, vi siano operatori che per loro passione, motivazione e competenze professionali, se ne possano curare ed occupare con particolare impegno ed approfondimento. Dedicarsi a pieno all’IPS o partecipare alle attività del Gruppo DSM Lavoro (Area di supporto Direzionale Progettazione Educativa per l’Inserimento Lavorativo) è un investimento di cui si raccolgono i frutti nel tempo. L’Area di supporto Direzionale Progettazione Educativa per l’Inserimento Lavorativo

L’organizzazione, l’integrazione ed il coordinamento di competenze, obiettivi, azioni, progetti, procedure, innovazioni, partnership del sistema degli interventi occupazionali, formativi e lavorativi trova la sua sede presso l’Area di supporto Direzionale Progettazione Educativa per l’Inserimento Lavorativo. L’Area di supporto Direzionale Progettazione Educativa e Inserimento Lavorativo, è definita nel Regolamento di Organizzazione Dipartimentale (ROD) ed è ha avuto la nomina del suo Responsabile con Determinazione del Dipartimento di Salute Mentale n. 34 del 20/07/2010. Si propone una sua nuova e più precisa denominazione in Area di supporto Direzionale Progettazione Educativa per l’Inserimento Lavorativo (Area PEIL).

L’Area PEIL trae i propri riferimenti normativi ed istituzionali dal Piano Attuativo Salute Mentale 2009 – 2011, dall’elaborato finale del Gruppo di lavoro Regionale “Sviluppo organizzativo e professionale nell’area salute mentale. Gli inserimenti lavorativi”, dalla legislazione nazionale e locale in tema di formazione e di lavoro, dagli accordi di programma e dai protocolli d’intesa in tema d’inserimenti lavorativi del DSM DP AUSL di Bologna con le Istituzioni locali. L’Area PEIL supporta la Direzione del Dipartimento di Salute Mentale e Dipendenze Patologiche ed in particolare:

collabora per definire gli orientamenti, le indicazioni e le proposte in tema di programmazione, organizzazione, progettazione e formazione relativamente agli interventi formativi e lavorativi dell’utenza;

collabora e si impegna al miglioramento, all’innovazione e allo sviluppo delle attività e dei percorsi riabilitativi, formativi e lavorativi;

collabora e si attiva per la realizzazione delle attività previste nella ri-organizzazione dei progetti e delle attività (Aree), per l’applicazione e lo sviluppo delle linee procedurali, operative e metodologiche e per il raggiungimento delle finalità e degli obiettivi del nuovo sistema;

collabora e svolge funzioni di supporto e di consulenza per le Unità Operative, per le Aree Dipartimentali e per i Coordinatori Distrettuali DSM DP, sui temi specifici dell’inserimento lavorativo anche in ambito d’integrazione socio – sanitaria;

collabora con le strutture Aziendali (Distretti, DASS, UOC Medicina Legale) che condividono attività con il DSM DP, sui temi specifici dell’inserimento lavorativo anche in ambito d’integrazione socio – sanitaria;

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collabora e sviluppa il lavoro di rete e le relazioni di partnership con i Soggetti pubblici e privati coinvolti sui temi della formazione e dell’inserimento lavorativo dell’utenza del DSM DP;

si occupa della raccolta e dell’elaborazione dei dati su utenza ed attività e del monitoraggio e della verifica dei progetti e degli esiti;

promuove e organizza, per gli operatori del DSM DP, la formazione e l’aggiornamento sulle novità tecnico – professionali, legislative, politico – istituzionali, sociali e culturali in materia di salute mentale, lavoro, disabili e persone svantaggiate;

si occupa del coordinamento funzionale degli operatori impegnati sugli inserimenti formativi e lavorativi, provenienti dalle Unità Operative CSM, SerT e NPIA e riuniti nel Gruppo Dipartimentale Salute Mentale e Lavoro.

Il Gruppo Dipartimentale Salute Mentale e Lavoro:

Il Gruppo DSM Lavoro è il coordinamento funzionale di operatori del SATeR DSM DP, UU.OO. CSM, SerT e NPIA, impegnati sui temi della formazione e del lavoro definito con Determinazione del Dipartimento di Salute Mentale e Dipendenze Patologiche del 13/11/2007. Le principali finalità ed attività sono:

- perseguimento e realizzazione operativa delle finalità, degli obiettivi, delle progettazioni e delle attività dell’Area PEIL e quindi delle direttive della Direzione DSM DP;

- ideazione, proposta e realizzazione di tecniche, di progetti e di iniziative formative nell’ambito delle finalità e degli obiettivi dell’Area PEIL e del DSM DP;

- confronto costante e condiviso a livello dipartimentale e scambi di informazioni con le Unità Operative e Unità Assistenziali territoriali;

- monitoraggio dei bisogni e delle criticità e proposta di soluzioni, relativi all’utenza, ai percorsi e alle relazioni con i partner istituzionali e non;

- raccordo con il coordinamento funzionale degli operatori IPS (Individual Support and Placement)

- raccolta e discussione dei dati di utenza, attività ed esiti nell’ambito degli interventi riabilitativi, formativi e lavorativi.

Gli operatori che partecipano e fanno parte del Gruppo Dipartimentale Salute Mentale e Lavoro sono i referenti per le loro Unità Operative e per le loro Aree funzionali di appartenenza all’interno delle riunioni, dei gruppi di lavoro, dei progetti e dei protocolli di attività. Gli operatori dell’Area funzionale NPIA partecipano ai lavori del Gruppo DSM Lavoro, su temi specifici e su loro richiesta o del Coordinatore del Gruppo DSM Lavoro. Le attività del Gruppo DSM Lavoro sono impostate secondo gruppi di lavoro a progetto e a termine. Il Coordinatore dell’Area PEIL /Gruppo DSM Lavoro o un altro operatore delegato temporaneamente da questi come referente, coordina i gruppi di lavoro. Il Responsabile dell’Area PEIL e del Gruppo DSM Lavoro che si riferisce funzionalmente al Direttore del DSM DP e gestionalmente al Responsabile del SATeR DSM DP. Il Responsabile dell’Area PEIL e del Gruppo DSM Lavoro è nominato dal Direttore del DSM DP, in accordo con il Responsabile SATeR DSM DP.

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9. Le Aree La sintesi, l’ordine e l’organizzazione delle aree e dei tipi di attività che ne fanno parte, prendono spunto dai tre gruppi di utenti, dalle finalità e dagli obiettivi prima descritti. L’idea di area è proprio per definizione quella di circoscrivere, di distinguere e di raggruppare i vari tipi di attività d’inserimento o formazione al lavoro, curando con attenzione la differenziazione dei percorsi, dell’approccio tra operatore e utente e delle metodologie di lavoro. 9.1 Area degli Interventi Sociali Riabilitativi Attivi. L’area tradizionale dell’Intervento Terapeutico Riabilitativo in situazione lavorativa (Borsa lavoro) è soggetta ad un processo di cambiamento che prevede lo stesso superamento della dizione classica di “borsa lavoro” e l’introduzione di nuovi strumenti con diversi e più chiari significati sul piano dei contenuti (lavoro e non lavoro) e con riferimenti normativi e metodologici certi e sicuri. Infatti la Borsa Lavoro per l’assenza di una cornice normativa lavoristica o contrattuale, per la sua indefinitezza sul piano delle garanzie sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, ecc. da una parte si è mostrata come strumento flessibile e con forti caratteristiche adattive nell’incrocio tra contesto lavorativo e competenze/disabilità degli utenti, dall’altra – oltre alla sovraesposizione degli operatori e all’assenza di tutele certe per l’utenza – ha alimentato nella sua applicazione una certa confusione tra ambiti riabilitativi – sanitari e formativi – lavorativi, tra lavoro e non lavoro. 9.1.1 Intervento Sociale Riabilitativo Attivo (ISRA) Le Borse Lavoro occupazionali si ridefiniscono e si superano con un nuovo tipo d’Intervento Sociale Riabilitativo Attivo (ISRA) e con la formulazione dei suoi nuovi termini riabilitativi - sanitari, amministrativi, economici e procedurali. Le attività ed i percorsi riabilitativi, con ruolo attivo e socialmente utili di questa prima area, si propongono e rispondono ai diversi bisogni dell’utenza della salute mentale o con problemi di dipendenza. L’ISRA è uno strumento flessibile e personalizzato con possibilità d’intervento graduale, per poter recepire ed affrontare al meglio le difficoltà dell’utenza. Difficoltà che si trasformano in disabilità, quando queste limitano, anche in modo importante, il funzionamento personale e sociale dell’utente (1° livello di disabilità e fragilità sociale). Questa esperienza può costituire un'opportunità importante per utenti che non chiedono e non sono in grado di reggere un lavoro e che presentano caratteristiche di disabilità e di sintomatologia per i quali la dimensione terapeutico – riabilitativa è centrale in una fase intermedia del progetto personalizzato. Gli ISRA sono progetti ed interventi riabilitativi con una certa connotazione motivazionale e socializzante – relazionale, che intervenendo sul livello di motivazione e sulla stima di sé, aiutano l’utente affinchè possa essere nella condizione di scegliere e di determinare le proprie preferenze, nella prima fase, nella fase intermedia e nelle fasi successive del percorso riabilitativo. In generale, le finalità principali sono il potenziamento di abilità e competenze per un miglioramento del funzionamento sociale, dell’autonomia, della qualità della vita e anche delle condizioni cliniche degli utenti. Nella concretezza operativa, il nuovo strumento ISRA permette di evidenziare e declinare gli importanti aspetti riabilitativi sui quali agisce, come competenze relazionali e comunicative, apprendimenti, socializzazione, acquisizione di tempi, di ritmi e di impegni

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che fanno ritrovare un senso alla quotidianità. Permette di graduare tempi e richieste e offre alla persona la possibilità di partecipare al percorso partendo dal suo momento attuale di vita, clinico e funzionale. Gli permette di conoscere man mano lo stato attuale del suo percorso e di acquisire consapevolezza dei passaggi che all’interno di questo può raggiungere o sono possibili. La gradualità consente alla persona inoltre, di cogliere e di riflettere sulle sue motivazioni, sulle abilità-competenze possedute e/o da sviluppare nella direzione degli obiettivi che desidera raggiungere. Molta rilevanza, quindi, alla gradualità che consente anche agli operatori di delineare e condividere in modo più chiaro con gli utenti, gli obiettivi di socializzazione, di riabilitazione e di un eventuale sviluppo lavorativo. Ma l’ISRA è uno strumento particolarmente rilevante nel lavoro riabilitativo, in quanto si trasforma il senso comune di “lavoro” finora attribuito con le borse lavoro, in un ruolo attivo e utile, nel contesto e nella comunità di riferimento e in una rappresentazione con valenze multiple e diverse, spesso riconducibile a competenze trasversali e dimensioni affettive fondamentali per rinforzare l’aggancio con il servizio ed approfondire il lavoro di personalizzazione del percorso di cura. Il percorso riabilitativo ci consente anche di confrontare esplicitamente il significato che l’utente attribuisce al lavoro (da un semplice mezzo di sussistenza ad uno strumento salvifico con tutte le sfumature intermedie possibili) e confrontarlo con la nostra idea di strumento riabilitativo. Questo lavoro di ricognizione co-costruito con e per la persona tiene ovviamente conto della sua storia (lavorativa e non), del rapporto con il Servizio di cura e delle risorse materiali e logistiche disponibili in quel momento. In questi casi la finalità dell’inserimento lavorativo può essere anche molto lontana nel tempo oppure non essere nemmeno visibile nell’ orizzonte del mondo vitale della persona. Lo strumento mantiene una valenza molto alta rispetto alla funzione di accompagnamento all’interno del percorso di cambiamento, almeno come nuovo elemento di confronto con la quotidianità di cui il servizio fa parte. Questi interventi, richiedendo un approccio relazionale appropriato ed un'organizzazione flessibile hanno poco o nulla a che vedere rispetto al lavoro e a modelli organizzativi di tipo lavoristico. Infatti, in una prima fase la centratura sulle competenze lavorative potrebbe diventare una debolezza anziché una risorsa: non è ancora possibile lavorare su progetti a medio e lungo termine, in questo senso la flessibilità di un rapporto terapeutico in un ruolo comunque attivo e socialmente utile, consente di gestire questo strumento come una fase di transizione dove ancora non è chiaro l’esito. E' un percorso riabilitativo che intende offrire al paziente uno spazio in cui sia possibile realizzare un'esperienza di legami sociali, di valorizzazione e sviluppo delle proprie capacità, di appartenenza, di essere riconosciuti come parte di un tessuto sociale, senza peraltro dover sostenere le responsabilità che un tradizionale lavoro comporta. In queste situazioni di maggiore difficoltà, gli obiettivi riabilitativi devono essere sostenibili ed aggredibili per l’utente. Non escludendo mai possibili evoluzioni positive, non è precluso nel tempo l’accesso ad altre e diverse esperienze formative – lavorative. Per questi motivi, si ritiene fondamentale l’utilizzo dell’ISRA in determinate situazioni, come strumento dotato di maggiore flessibilità e attivabile in termini propedeutici all’avvio di un eventuale tirocinio formativo. L’ISRA è uno strumento utile ed appropriato nell’ambito: - delle organizzazioni “no profit” del Terzo Settore, dell’Economia Sociale e del Settore Pubblico: laboratori protetti, cooperative sociali, enti pubblici, associazioni di promozione sociale e culturale, di volontariato e altri soggetti pubblici e privati che non perseguono fini di lucro. In particolare i luoghi e le organizzazioni dell’Economia Sociale accanto alla produzione ed al valore economico sono in grado di produrre beni relazionali e di generare capitale sociale, cioè di far crescere le reti sociali, la fiducia e il senso di appartenenza ed

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includono la promozione e la diffusione di valori culturali, quali equità, tolleranza, solidarietà, mutualità. Luoghi dove il paziente in cambio di una ricompensa economica svolge un’attività socialmente utile. In questi contesti l’ISRA può prolungarsi normalmente per molti mesi, fino ad alcuni anni ed è un’attività che permette di saggiare le proprie difficoltà ed abilità, anche in presenza della mediazione, del supporto e dello stimolo di tutor o di educatori o di tecnici di attività (Cooperazione Sociale). - nell’ambito “for profit” ovvero società, aziende ed enti pubblici e privati con fine di lucro, solo ed esclusivamente a patto che vengano rispettate e siano presenti in queste organizzazioni determinate condizioni. Intanto devono dimostrare nelle scelte di politica aziendale, nella loro organizzazione e nei comportamenti operativi di saper integrare preoccupazioni sociali e ambientali, di mostrare fattivo interesse per i propri stakeholder, per la propria comunità e per i soggetti deboli e svantaggiati, di coniugare gli affari con l’etica e la solidarietà con il profitto. Devono essere luoghi a forte capacità inclusiva e sicuramente con una chiara vocazione verso la Responsabilità Sociale d’Impresa (RSI). Concretamente per poter costruire una relazione utente/servizio/impresa senza ambiguità di fondo e senza contraddizioni, devono essere rispettate da parte delle aziende le seguenti condizioni: 1. ottemperanza degli obblighi assuntivi dei disabili come da L. 68/99; 2. assenza di stato di crisi con mobilità o cassa integrazione o licenziamenti; 3. piena copertura degli organici affinché l’attività dell’utente non costituisca sostituzione

di manodopera. “Inoltre il contesto si dimostra realmente inclusivo o prossimale se possiede i seguenti caratteri identificativi:

1. la capacità di accoglienza, del contesto in favore della persona disabile/svantaggiata;

2. la reciprocità adattiva che si può attivare, da parte anche del contesto e non solo del soggetto;

3. la supportività nei rapporti personali e sociali; 4. la stimolazione/attivazione motivazionale a sostegno dei processi di apprendimento

del soggetto; 5. l’attitudine del contesto ad apprendere, esso stesso, in quanto organizzazione

dinamica; 6. capacità di generare identificazione e senso di appartenenza. (A. Canevaro, 2008; L. Callegari, 2010)”

Comunque si ribadisce la rilevanza della dimensione relazionale e riabilitativa in questi tipi di percorsi, in quanto si connotano spesso per l’unicità e per la preziosità della relazione tra l’utente ed i soggetti interni al contesto. E questo uno dei motivi principali che giustifica l’utilizzo di ISRA nell’ambito del settore privato “for profit”. In questi contesti l’ISRA può avere una durata massima fino a 12 mesi, altrimenti su periodi più lunghi, si potrebbero creare condizioni non accettabili, con una persona utile e “formata” ma non collocata lavorativamente. La “propedeuticità” ha un limite di durata, in quanto per definizione anticipa e prepara una fase successiva. Questi tratti caratteristici costituiscono, sia nel settore no profit sia in quello profit a Responsabilità Sociale, gli elementi utili a soddisfare “i bisogni relazionali e riabilitativi”, che variano da utente ad utente; l’utente utilizza il contesto e riceve queste disponibilità. Contemporaneamente le “competenze attive e la produttività” definiscono come l’utente svolge compiti ed attività ed il livello di completezza e di qualità esecutiva. L’ISRA si definisce in questo rapporto di reciprocità e l’impegno orario è un indicatore di una crescita delle capacità della persona a saper essere sul contesto e della quantità del suo saper fare. Naturalmente il confronto tra le “competenze attive e la produttività” di diversi utenti

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può essere fatto solo all’interno dello stesso contesto (è una regola che vale per tutti, anche sul lavoro) e si è quindi stabilito che a parità del tipo di attività, con più ore di impegno si è più “produttivi”. Come spesso accade nella progettazione sociale, per poter giungere a delle conclusioni operative, bisogna operare anche delle riduzioni e delle semplificazioni (lavorare con l’accetta), altrimenti il rischio fondato è quello di infilarsi in un groviglio di dettagli e di elucubrazioni inestricabili e quindi difficilmente utilizzabili. Pertanto il concetto espresso dalle tabelle sotto è semplice: le “competenze attive e la produttività” crescono proporzionalmente all’aumentare delle ore di attività ed i “bisogni relazionali e riabilitativi” o rimangono costanti e si “diluiscono” nell’aumento orario o come è auspicabile, si riducono al migliorare delle condizioni della persona. Chiaramente non si riduce il bisogno di affettività e di relazione della persona, ma aumenta il suo livello di autonomia e diminuisce la necessità di supporti e di facilitazioni. All’utente verrà corrisposto un gettone di presenza su base giornaliera e non più come quota oraria d’indennità di presenza. Si tratta comunque di un reale emolumento in denaro, utilizzabile nel proprio contesto di vita e di relazioni che da una parte rappresenta un incentivo ed uno stimolo alla motivazione e alla continuità di presenza sul progetto riabilitativo, dall’altra è il riconoscimento di un concreto bisogno sociale di sostegno economico. Per entrambi gli aspetti, si attribuisce in questo modo, una chiara definizione agli Interventi socio - riabilitativi con ruolo attivo, riconoscendone preminentemente il valore sia riabilitativo sia socio-assistenziale. La remunerazione riconosciuta attraverso un gettone di presenza giornaliero si configura su parametri, calcolati su una quota oraria originaria diversa tra CSM, SerT, NPIA (3,50 € l’ora) e descritti nelle seguenti tabelle: ISRA CSM/NPIA Fasce orarie ISRA Quota giornaliera Bisogni relazionali e

riabilitativi Competenze attive / produttività

2 ore 5 € 80 – 90 % 10 – 20 % 3 ore 8 € 70 % 30 % 4 ore 11 € 60 % 40 % 5 ore 14 € 40 % 60 % 6 ore 17 € 30 % 70 % Tirocinio formativo (TiFO)

3,10 € l’ora 10 – 20 % 80 – 90 %

ISRA SerT Fasce orarie ISRA Quota giornaliera Bisogni relazionali

e riabilitativi Competenze attive / produttività

2 ore 6 € 80 - 90 % 10 - 20 % 3 ore 9,50 € 70 % 30 % 4 ore 13 € 60 % 40 % 5 ore 16,50 € 40 % 60 % 6 ore 20 € 30 % 70 % Tirocinio formativo (TiFO)

3,60 € l’ora 10 – 20 % 80 – 90 %

Gli orari e il periodo delle attività dell’ISRA variano in relazione alla tipologia di settore di lavoro, al progetto e quindi ai bisogni e problemi dei pazienti, comunque per un massimo di 34 ore settimanali.

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Vengono computate e pagate le ore e quindi le quote giornaliere corrispondenti, effettivamente svolte; la Proposta di Impegno di Spesa è difatti un preventivo di spesa - come del resto era già con l’Attivazione delle Borse Lavoro – dove si stabilisce l’orario giornaliero e settimanale massimo previsto. Il progetto prevede una valutazione ed un monitoraggio in itinere sui percorsi dei pazienti e sugli esiti riabilitativi. Tali indicazioni si applicano sperimentalmente, a partire dall’1/1/2013, il 1° anno, per i casi di nuova presa in carico per il Servizio (CSM, SerT, NPIA) e alla loro prima esperienza di percorso d’inserimento lavorativo o per percorsi d’intervento completamenti nuovi (nuovo percorso e nuovo contesto) di utenza già conosciuta; l’anno successivo, nel 2014, verranno applicati a tutti gli utenti, vecchi e nuovi, in Intervento Sociale Riabilitativo Attivo (ISRA) per evitare disparità di trattamento economico. L’Area PEIL e il Gruppo DSM Lavoro in fase iniziale, seguono e supportano le UU. OO. del DSM DP, per l’informazione sulle nuove procedure, sulla progettazione e sulla gestione dei percorsi ISRA (Vedi procedura “Gestione degli Interventi Sociali Riabilitativi Attivi (ISRA)”. 9.2 Area della Formazione e transizione al lavoro E’ l’area che comprende le attività d’interesse soprattutto per utenti, il cui funzionamento personale e sociale si riferisce al 2° Livello di Disabilità e Fragilità Sociale sopradescritto. Quest’area di attività è fortemente regolata sia dalla legislazione nazionale (L.381/91 Disciplina delle cooperative sociali; L.196/97, Norme in materia di promozione dell'occupazione; DM 142/98, Regolamento recante norme di attuazione sui tirocini formativi e di orientamento; L.68/99, Norme per il diritto al lavoro dei disabili, ecc.) e regionale (LR 17/2005, Norme per la promozione dell'occupazione, della qualità, sicurezza e regolarità del lavoro; LR 2/2003, Norme per la promozione della cittadinanza sociale e per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali; LR 12/2003, Norme per l'uguaglianza delle opportunità di accesso al sapere, per ognuno e per tutto l'arco della vita, attraverso il rafforzamento dell'istruzione e della formazione professionale anche in integrazione fra loro; LR 7/1994, Norme per la promozione e lo sviluppo della cooperazione sociale, attuazione della legge 8 novembre 1991, n. 381 ecc.) sia da protocolli d’intesa e convenzioni quadro a livello locale con Provincia, Comune di Bologna e altri Comuni. La stessa normativa cardine è successivamente integrata da altre disposizioni come decreti, circolari e delibere. E’ soprattutto un’area che è regolata e tenuta in vita da un sistema articolato e complesso di approcci, metodologie e strumenti per l’integrazione lavorativa e sociale. E’ un’area che, come anticipavamo nella storia dei Servizi di salute mentale bolognesi, in questa provincia rivendica ormai circa trenta anni di attività, di progetti e di esperienza per l’inserimento lavorativo delle fasce deboli, tra cui anche pazienti psichiatrici e tossicodipendenti. La mediazione personale e sociale per la formazione e l’inserimento al lavoro si avvale di un sistema e di una rete di servizi di welfare collaudati e di una politica attiva per l’inclusione sociale e lavorativa di disabili e svantaggiati. E’ un sistema - che se anche oggi è in regime di risorse finanziarie calanti e in un clima sociale non favorevole - ha approntato nel tempo un buon livello di collaborazioni e partneship con tutti i soggetti attivi del territorio. La capofila del sistema per l’inclusione lavorativa, in quanto depositaria della delega istituzionale per il Lavoro, la Provincia di Bologna ha intessuto buone relazioni con istituzioni e Servizi socio – sanitari ed ha stabilito partnership e collaborazioni con Enti di Formazione e Cooperazione Sociale, soprattutto B. L’intervento sui contesti ha forse avuto qualche limite ma è stata proficua e con buoni contenuti l’azione intorno alla valutazione e alla promozione dell’occupabilità dei singoli soggetti con disabilità e disagio, soprattutto negli anni pre crisi economica. Un’occupabilità - intesa come capacità professionali e capacità di relazione in rapporto ai requisiti e ai vincoli richiesti dalla domanda di lavoro - cercata e promossa con attività centrate sui meccanismi di accoglienza, accompagnamento ed inclusione. Sono meccanismi e funzioni di supporto e mediazione

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che nell’ipotesi e nella costruzione progettuale, si traducono nelle azioni di abbinamento utente/mansione/azienda. E’ la pratica operativa più in uso anche tra gli operatori della salute mentale. Ma puntualizziamo che formazione, transizione al lavoro e incrocio domanda- offerta sono attività tipiche di chi ha le competenze tecniche (Enti di formazione, Cooperative Sociali, Imprese) e la titolarità istituzionale (Provincia, Centri per l’Impiego, Agenzie per il Lavoro) per occuparsene. L’operatore della salute mentale organizza gli obiettivi e le strategie riabilitative, mette in campo tutte le necessarie azioni di supporto, di mediazione, di orientamento, di ricerca e di reperimento delle risorse formative e lavorative. Ad eccezione di Tifo ed ISRA – che sono a gestione diretta del DSM DP – per i percorsi e le azioni soprascritte instaura rapporti di collaborazione e di condivisione dei progetti con gli enti e i soggetti del privato sociale preposti. Tutti gli attori e gli operatori che si muovono dentro l’area della Formazione e della Transizione al lavoro, comunque, sono operatori della mediazione. Una mediazione della relazione lavorativa e sociale tra il mondo e le abilità dell’utente ed il mondo del lavoro e le sue necessità. Tale pratica se esercitata in modo professionale, prevede e presuppone che non avvenga solo l’incontro domanda – offerta, ma che entrino in contatto due mondi complessi e che ricreino le connessioni ed i legami relazionali, affettivi e sociali che portino l’utente oltre che alla condizione di occupato anche a quella di cittadino integrato e non più emarginato. La complessità dei mondi dell’emarginazione e del lavoro, le loro variabili personali, strutturali, normative ed ambientali, richiedono un lavoro di mediazione per creare interazioni, connessioni, collegamenti e dialogo. Si interviene sulle capacità tecniche e lavorative e le abilità personali dell’utente, ma si apre allo stesso tempo un canale di comunicazione con le imprese, curando aspetti di marketing sociale e di comunicazione. L’idea è di agire in modo pacifico, con strategie di negoziazione su una situazione ritenuta di conflitto perché istanze e bisogni diversi – quelli dell’utente e quelli dell’impresa – si contrappongono e si scontrano. La strategia comunicativa punta a far riconoscere e a far rendere accettabili le difficoltà dell’utente, accogliendo e non negando ideologicamente le necessità aziendali e rassicurando l’ambiente di lavoro, intervenendo sui fattori e sugli atteggiamenti di pregiudizio e stigma. Si cerca di mettere in moto un’azione di trasformazione individuale, ambientale e sociale per favorire l’accesso al lavoro di soggetti disabili o svantaggiati, per gestire e ridurre questi aspetti di conflittualità sociale. Istituzioni, Servizi ed operatori si attivano per sensibilizzare, per promuovere atteggiamenti eticamente e socialmente responsabili del mondo delle imprese e dell’intera comunità. Si introducono e si promuovono azioni facilitanti ed incentivanti, quali appunto clausole sociali, incentivi e sgravi economici, pubblicità sociale e marchi di qualità etica, ecc. Il problema è che spesso non si inibiscono gli antagonismi tra le soggettività di utente e impresa, non si allentano le tensioni e non si riducono i conflitti ed i pregiudizi. In queste condizioni, il lavoro quotidiano dell’operatore della salute mentale, e insieme a lui degli operatori della formazione e del privato sociale, è di approntare idee, azioni e decisioni che provino a gestire razionalmente la complessità e l’incertezza soprattutto di conseguire un obiettivo assuntivo per l’utente. Nell’area della formazione e della transizione al lavoro questa certezza non si avrà sempre, ma si potrà sicuramente migliorare il clima e creare le condizioni più favorevoli per l’utente. Si potrà strutturare una buona negoziazione e farne una professione nel rendere interessante e appetibile il proprio prodotto/utente sperando di raggiungere un accordo e di convincere l’azienda a prenderlo. E’ sarà di aiuto in questa direzione, una certificazione ufficiale e formale delle competenze e della qualifica professionale acquisita. Ed è un altro valido motivo per preferire l’utilizzo di percorsi strutturati e regolarmente riconosciuti come i Tirocini formativi al posto di generiche e indefinite Borse Lavoro. Inoltre abbiamo voluto mettere i Tirocini formativi gestiti direttamente dal DSM DP insieme alla Formazione professionale, ai percorsi della L.68/99 e dell’utenza svantaggiata,

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perché sono strumenti e attività che per metodologia, contenuti e obiettivi formativi si posizionano nell’area della formazione e transizione al lavoro. Questo insieme di attività e percorsi, non solo per vincoli normativi/protocollari ma anche per vero interesse e partnership, fa parte di rapporti e collaborazioni in tema d’integrazione socio – sanitaria. 9.2.1. Tirocini Formativi e di Orientamento Le Borse Lavoro Osservative e Finalizzate vengono superate e trasformate in Tirocinio Formativo e di Orientamento (TiFO). Per la promozione e lo svolgimento dei Tirocini formativi e di orientamento si utilizza la normativa esistente (L.196/97, DG RER 2175/2009) ed in particolare il Decreto interministeriale n.142/98 (Regolamento). Il soggetto promotore e gestore è il Dipartimento di Salute Mentale e Dipendenze Patologiche AUSL di Bologna. I tirocini formativi e di orientamento sono promossi in favore di coloro che hanno già assolto il diritto-dovere di istruzione e formazione, e mirano ad agevolarne l'inserimento o il reinserimento nel mercato del lavoro attraverso un'esperienza professionale presso un'azienda o un ente pubblico.

E' uno strumento previsto dalla legge che consente all'utente:

1. di entrare in un ambiente di lavoro; 2. di sperimentarsi in un percorso formativo; 3. di orientare o verificare le sue scelte professionali; 4. di acquisire un'esperienza pratica certificata che potrà arricchire il suo curriculum; 5. di svolgere un’esperienza lavorativa che potrebbe concludersi in un’assunzione;

E' uno strumento previsto dalla legge che consente all'azienda:

1. di conoscere potenziali collaboratori da inserire in futuro nel proprio organico; 2. di formarli in modo specifico secondo le proprie esigenze;

Il rapporto che si costituisce tra azienda e tirocinante non è un rapporto di lavoro subordinato e non comporta pertanto il sorgere di obblighi retributivi e previdenziali e non obbliga l'azienda ad assumere il tirocinante al termine dell'esperienza. La partecipazione non comporta spese per il tirocinante. A discrezione dell'azienda può anche essere previsto un rimborso spese. Ogni tirocinio è supportato da un progetto individuale inserito nella convenzione che l'azienda deve sottoscrivere. Durante il progetto il tirocinante è costantemente seguito da un tutor aziendale e da un tutor del soggetto promotore. Al termine del tirocinio, potrà essere rilasciata un’attestazione delle esperienze svolte dal tirocinante, che possono avere valore di credito formativo.

Le tutele. Dal momento che i tirocinanti vengono inseriti a tutti gli effetti in un contesto lavorativo, bisognerà assicurarli contro il rischio infortuni e malattie professionali presso l'INAIL. Inoltre garantire la copertura di una polizza contro la responsabilità civile presso una compagnia di assicurazione per i danni arrecati a terzi.

Il percorso dell’utente.

Riferendosi al già citato 2° Livello di Disabilità e Funzionamento personale e sociale, il Tirocinio formativo è un percorso ed un’opportunità formativa affinché l’utente non solo apprenda specifiche mansioni lavorative ma sviluppi complessivamente anche una “personalità lavorativa” per essere in grado di affrontare e di sostenere una realtà sociale difficile come quella lavorativa. Un percorso di formazione transizione al lavoro (Tirocinio) può essere d’aiuto per sviluppare o rimettere in moto abilità e competenze, cognitive,

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relazionali e comportamentali, sociali che gli permettano di soddisfare, in maniera efficace, i propri bisogni e le richieste altrui. Il Tirocinio formativo è l’occasione di conoscenza delle competenze lavorative e trasversali dell’utente e non è solo un momento di verifica della propria condizione ma anche un’occasione evolutiva: formarsi in un ambiente di lavoro e rinforzare la propria identità “giocando” il ruolo lavorativo. Per l’utente è un’occasione di avvicinamento o riavvicinamento graduale al mondo del lavoro, di lavoro sul piano dell’autostima, del senso di sicurezza in se stessi e dell’essere competenti. I tirocini formativi hanno un limite temporale di durata (12 o 24 mesi a seconda delle tipologie d’utenza) che mette al riparo i percorsi d’inserimento lavorativo dal frequente rischio passato di diventare un’attività fine a sé stessa, senza chiarezza di obiettivi e dalla deriva “occupazionale”. Un percorso di formazione e transizione al lavoro che non evolve e che si reitera, genera demotivazione e calo delle aspettative positive dell’utente, dell’operatore e dei familiari; finisce così per essere utilizzato in modo inadeguato, diventando mero sostentamento economico e forma impropria di ammortizzatore sociale, con tutti gli effetti negativi di un tempo dilatato e della cronicizzazione. Il tirocinio per legge non comporta l’obbligo all’assunzione ma questa è sicuramente possibile ed auspicabile. Conseguentemente un tempo definito e limitato è imprescindibile per un tirocinio formativo finalizzato all’assunzione pena la perdita di credibilità ed il deterioramento del percorso stesso. L’utente ha la possibilità di sperimentare le mansioni nell’azienda dove presumibilmente verrà assunto e l’azienda di formare il lavoratore disabile o svantaggiato nel proprio contesto produttivo. Nucleo centrale della preparazione e pianificazione del tirocinio è il Progetto Formativo che deve indicare il contenuto, le attività, gli obiettivi, le capacità, le conoscenze da sviluppare e da raggiungere con il percorso formativo. Il Progetto formativo si adotta nella forma espressa dalla Delibera di Giunta della Regione Emilia Romagna n. 2175/2009, e si utilizza per la progettazione dei tirocini secondo gli standard del sistema regionale delle qualifiche e del sistema regionale di formalizzazione e certificazione. La procedura, la modulistica e le modalità per la gestione dei Tirocini Formativi e di Orientamento (TiFO) è stata predisposta ad uso degli operatori per i pazienti del DSM DP - Area CSM, Area SerT e Area NPIA (Vedi Procedura “GESTIONE DEI TIROCINI FORMATIVI E DI ORIENTAMENTO”). Per il contributo all’analisi e allo studio dei riferimenti legislativi si ringrazia il Centro per l’Impiego e l’area consulenziale giuridico – amministrativa del Servizio Politiche Attive del Lavoro e Formazione della Provincia di Bologna. Tali indicazioni si applicano sperimentalmente, a partire dall’1/1/2013, il 1° anno, per i casi di nuova presa in carico per il Servizio (CSM, SerT, NPIA) e alla loro prima esperienza di percorso d’inserimento lavorativo o per percorsi d’intervento completamenti nuovi (nuovo percorso e nuovo contesto) di utenza già conosciuta; l’anno successivo, nel 2014, verranno applicati a tutti gli utenti, vecchi e nuovi, in Tirocinio Formativo e di Orientamento (TiFO). L’Area PEIL e il Gruppo DSM Lavoro in fase iniziale e in raccordo con la Provincia di Bologna seguono e supportano le UU. OO. del DSM DP, per l’informazione sulle nuove procedure, sulla progettazione e sulla gestione dei percorsi TiFO. 9.2.2 Integrazione socio – sanitaria e inserimenti lavorativi Le attività nei paragrafi 8.2.1., 8.2.2. e 8.2.3., sono attività che vedono coinvolta in modo diretto ed indiretto, con ruolo di soggetto promotore, gestore e coordinatore, la Provincia di Bologna ed in particolar modo il Servizio Politiche Attive del Lavoro e Formazione, ed in

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subordine l’UO Inserimento Lavorativo Disabili, il Centro per l’Impiego di Bologna, l’Unità operativa istruttoria attività formative. Parallelamente per diversi motivi e con diversi ruoli e funzioni sono coinvolti UU.OO e Dipartimenti dell’AUSL di Bologna, Regione, Comuni, Enti di Formazione, Cooperative Sociali, Associazioni disabili e familiari, Sindacati, Associazioni di categoria e Imprese, Università. Per comprendere quanto avviene in quest’area di percorsi lavorativi associati ai percorsi più complessivi d’integrazione socio – sanitaria è sufficiente riprendere riferimenti e parole del Piano Attuativo Salute Mentale 2009-2011:

“L'inserimento lavorativo presenta evidenti vantaggi per il cittadino con disturbi mentali quali una buona opportunità di integrazione sociale, di prevenzione di stati di inattività ed emarginazione e di miglioramento delle capacità sociali e comunicative. Opportunità non sempre di facile raggiungimento, da leggere nel contesto della qualità di vita più che come esito autonomo. Questa è un’area che necessita di riflessioni congiunte, di co-progettazione e di azioni sinergiche da parte dei soggetti della rete in modo da evitare sovrapposizioni, ambiguità.

La Giunta Regionale con i nuovi indirizzi del Fondo regionale per l’integrazione lavorativa delle persone con disabilità (DG 346/08) ha dato priorità ai progetti provinciali che favoriscono i percorsi di inserimento lavorativo in un’ottica di co-progettazione. Tali progetti potrebbero essere particolarmente funzionali alla creazione della rete degli attori che a vari livelli sono coinvolti nel processo dell’inserimento lavorativo delle persone con disturbi mentali (integrazione operativa tra collocamento mirato, servizi socio sanitari e SIL, Comuni, Centri di formazione professionale, Cooperative sociali, ecc.).

Ciò richiede: a) l’elaborazione di protocolli attuativi, b) l’istituzionalizzazione di momenti d’incontro e discussione e c) la costituzione di attività di Valutazione Interistituzionale e Interdisciplinare a livello Provinciale, cui afferiscono operatori appartenenti ai diversi enti, che garantisca un approccio integrato tra i Servizi Lavoro Provinciali, Comuni e Aziende sanitarie; d) la compartecipazione finanziaria dei diversi titolari della funzione (Provincia, Comuni ed AUSL), negoziando a livello locale una combinazione degli oneri.

In senso più operativo l’accesso al mondo lavoro dovrà essere garantito attraverso due grandi filoni di attività: 1- azioni volte allo sviluppo e al mantenimento di abilità lavorative individuali (a cura del DSM-DP); 2- creazione di opportunità lavorative e formative specializzate per persone con disturbi mentali (a cura dei Servizi provinciali e sociali competenti).

L’apporto dei DSM-DP, in stretto raccordo con i Servizi Provinciali competenti, deve mirare a fornire un supporto specialistico costante alle persone disabili sia nel momento del primo inserimento al lavoro sia, soprattutto, nel periodo successivo, così da limitare il numero dei fallimenti occupazionali e dare garanzie anche alle ditte ospitanti. Il compito dei DSM-DP è quello di fornire le attività terapeutiche e riabilitative sulla persona con disturbi mentali finalizzate ad ottenere e mantenere una abilità lavorativa proficua e continuativa. Ciò non può limitarsi nella semplice attività di valutazione e invio, ma deve prevedere attività specifiche svolte con e per il soggetto e volte a contenere il ricorso alle opportunità speciali. Tra queste rientrano le attività di “supported employment” (inserimento supportato nel mercato del lavoro), le attività di supporto nei percorsi del collocamento mirato svolte nell’ambito della L. 68/99 in collaborazione con le Province, nonché il sostegno individuale all’inserimento nelle cooperative sociali di tipo B. In questo settore il ruolo della cooperazione sociale diviene strategico: le cooperative sociali di tipo B, oltre a rappresentare luoghi privilegiati di inserimento lavorativo per le persone svantaggiate, forniscono un fondamentale apporto in termini di lettura del fenomeno e di coprogettazione degli interventi.

L’apporto dei servizi provinciali e sociali di riferimento, in stretto rapporto con i DSM-DP, consisterà nel coordinamento e nella gestione dei programmi regionali finalizzati alla stabilizzazione occupazionale (ad es.: programma PARI), nel coordinamento dei percorsi della legge 68/99, nel più generale collegamento tra mondo del lavoro e dei servizi. (… …)

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Funzione strategica è riconosciuta alla diagnosi funzionale, di cui al D.P.C.M. 13 gennaio 2000, che deve esplicitamente prevedere la tipologia di inserimento lavorativo più compatibile per la persona, al fine di stabilire anche steps nei percorsi individuali atti a far sì che il singolo soggetto possa transitare da un progetto esclusivamente riabilitativo ad uno di avvicinamento al mondo del lavoro ancora secondo un’ottica sanitaria ad un altro di effettivo inserimento al lavoro. Particolare rilievo può essere assegnato alle cooperative sociali di tipo b) sottoscrittrici di convenzioni trilaterali ai sensi della L. 68/99 e della L.R. 17/05.” (Piano Attuativo Salute Mentale 2009 – 2001, Giunta Regionale Direzione Generale Sanità e Politiche Sociali, Regione Emilia Romana).

“Il Piano Attuativo sembra quindi richiedere una azione congiunta e coordinata di tutti gli attori che a vario titolo concorrono al sistema volto a garantire l’accesso al lavoro da parte di categorie svantaggiate ed in particolare di sofferenti psichici. Ciò a partire da due diverse posizioni: quella dei servizi clinici, titolari della relazione di cura con la persona in carico, e quella dei servizi sociali per l’impiego, titolari delle politiche locali e dei percorsi di inserimento lavorativo per le persone svantaggiate” (Gruppo di Lavoro Regionale - Piano Attuativo Salute Mentale 2009 – 2011, Regione Emilia Romagna, 2010, elaborato finale “Sviluppo organizzativo e professionale nell’area salute mentale. Gli inserimenti lavorativi”). Gli scritti ed i percorsi ai paragrafi 8.2.1. e 8.2.2. sintetizzano quanto riportato nei testi dei due Protocolli d’intesa che comunque gli operatori del DSM DP hanno contribuito non poco a pensare e a scrivere. A differenza di quanto si cambi e si innovi in altre aree, i percorsi dell’integrazione socio – sanitaria devono essere mantenuti e manutenuti. 9.2.2.1 Percorsi per l’inserimento al lavoro dei disabili La Legge 68/99 recepisce l’idea del progetto personalizzato, tagliato sui bisogni e sulle abilità residue del disabile (diagnosi funzionale) e quando ci riesce prova a mettere insieme le competenze della persona e la postazione offerta dalle aziende, attivando il sistema dei servizi, delle collaborazioni e degli interventi del collocamento mirato. La L.68/99, pur riconosciuta nei suoi propositi innovativi, nel caso dei disabili psichici ha mostrato le sue criticità fin dall’inizio stabilendo come unica possibilità di assunzione, la chiamata nominativa. Di conseguenza la legge nella sua traduzione quotidiana ed operativa, pur offrendo una estesa varietà di offerte formative, si è sempre mostrata molto selettiva nei confronti dei disabili psichici, spesso evitati se non rifiutati dalle aziende per i loro problemi di relazione e per la loro malattia. Quindi non è mai stato molto semplice l’accesso al mondo del lavoro vero. A fronte di una situazione di criticità - negli ultimi anni peggiorata per tutti i disabili con la sospensione dell’obbligo di legge per le aziende in stato di crisi e di mobilità - importanti si sono rivelate le connessioni di rete ed i rapporti con il privato sociale e con gli Uffici Provinciali che sono il tramite per le informazioni, per le risorse e per l’inserimento nei percorsi formativi e lavorativi. Tali rapporti sono sempre stati regolati oltre che per legge anche da un protocollo d’intesa, che ha permesso le opportune collaborazioni ed integrazioni. Il Protocollo d’intesa per l’inserimento al lavoro dei disabili ex L. 68/99 tra la Provincia di Bologna, l’AUSL di Bologna e il Comune di Bologna è stato firmato nel 2010 con validità di 5 anni. La stesura e la struttura del Protocollo ha tenuto conto da un lato delle nuove esigenze del contesto produttivo provinciale che già da alcuni anni richiede alle “assunzioni mirate” prestazioni di livello elevato e di complessità crescente, e dall’altro della crescita del numero di destinatari, degli interventi di sostegno, riabilitazione e accompagnamento al lavoro. Gli interventi regolati dall’accordo, riguardano le persone disabili, con particolare attenzione ai soggetti in situazioni complesse e/o multiproblematiche e quando si rende

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necessario integrare l’intervento finalizzato alla transizione con il supporto dei servizi sociali e/o socio-sanitari. Gli scopi principali del protocollo sono quelli di definire con chiarezza gli ambiti di competenza, sistematizzare le modalità e le metodologie di intervento e favorire il confronto, la collaborazione e l’integrazione delle attività dei diversi soggetti firmatari. In esso si descrivono le attività di tutti i Servizi e gli Enti coinvolti, ed in particolare le attività e gli interventi degli operatori dei CSM e dei SerT che contribuiscono alla rilevazione del bisogno degli utenti e alla definizione del progetto, degli obiettivi, delle attività, delle modalità di verifica. Momento e luogo di co-progettazione, condivisione e monitoraggio degli interventi, è il gruppo di lavoro congiunto tra operatori ed enti detto Unità di Coordinamento Territoriale (UCT). Sono disponibili per le attività ed i progetti varie misure di formazione professionale, di stage, di bilancio di competenze, di tirocinio formativo e di orientamento e percorsi di transizione, finanziati dalla Provincia di Bologna (Fondo Regionale Disabili). Al momento in applicazione del protocollo si è attivata solo l’UCT relativa a Bologna; ma è previsto e sarebbe auspicabile in una logica di risposta ai bisogni specifici locali che venisse attivata, come previsto, una UCT per bacino distrettuale. 9.2.2.2 Percorsi per l’inserimento lavorativo dell’utenza con disagio psichico e dipendenza patologica, non certificata come disabile Per migliorare e ampliare le tipologie di attività e di opportunità d’inserimento lavorativo dell’utenza con disagio psichico e dipendenza patologica, non certificata come disabile, si è ritenuto utile lo sviluppo di un Protocollo operativo tra il Servizio Politiche Attive del Lavoro e Formazione della Provincia di Bologna e il Dipartimento di Salute Mentale e Dipendenze Patologiche AUSL di Bologna, firmato nel 2011 con validità di 3 anni. Il DSM DP – Gruppo DSM Lavoro - e il Servizio Politiche Attive del Lavoro e Formazione – Centro per l’Impiego di Bologna - hanno ritenuto che questo sia un ambito nel quale la riflessione congiunta, la co - progettazione e lo sviluppo di azioni sinergiche da parte di tutti i soggetti della rete sia fondamentale per implementare strategie e opportunità realmente percorribili per l’utenza. In senso più operativo l’accesso al mondo del lavoro dovrà essere garantito attraverso due grandi filoni di attività: 1- azioni svolte allo sviluppo e al mantenimento di abilità lavorative individuali (a cura del Dipartimento di Salute Mentale e Dipendenze Patologiche); 2- creazione di opportunità formative specializzate e lavorative per persone con disturbi mentali (a cura dei Servizi provinciali). (Vedi Piano Attuativo Salute Mentale 2009 – 2001, Giunta Regionale Direzione Generale Sanità e Politiche Sociali, Regione Emilia Romana). Gli scopi principali del protocollo sono quelli di integrare le competenze e le attività, migliorare la qualità dell’accoglienza e dell’intervento, favorire il confronto e la collaborazione, sistematizzare le metodologie di supporto. A livello operativo è stato creato un tavolo di lavoro denominato Gruppo Unico di Progettazione – GUP, con operatori di entrambi gli enti e che hanno funzione di interfaccia e di raccordo con le Unità Operative del DSM DP e del CIP di Bologna. Le funzioni del GUP sono di coordinamento, di valutazione, di progettazione e di consulenza. Si connota come il luogo di raccordo utile ad affrontare i casi seguiti e segnalati dai Servizi e dal CIP, per migliorare la presa in carico, l’orientamento, la valutazione dell’occupabilità e l’attivazione dei percorsi di transizione al lavoro. Le risorse specialistiche - le misure formative e lavorative - messe in gioco dalla Provincia sono la consulenza orientativa individuale, il tutorato /accompagnamento per l’inserimento lavorativo, il tirocinio formativo e di orientamento, i laboratori di ricerca attiva,

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i percorsi di transizione al lavoro, la formazione professionale, l’offerta di inserimenti lavorativi assuntivi.

Gli obiettivi specifici per gli utenti sono riconducibili a : -valorizzazione delle competenze e abilità acquisite anche in modo informale; -accrescimento della consapevolezza di sé e acquisizione della nozione di ruolo lavorativo; -potenziamento dell’occupabilità e inserimento lavorativo.

Il territorio coinvolto inizialmente nella applicazione e nel primo anno di sperimentazione (2011) del Protocollo sarà quello di riferimento del Centro per l’Impiego di Bologna (corrispondente al territorio del Comune di Bologna), con la possibilità, verificati gli esiti, di allargare in futuro tale accordo sia agli altri Centri per l’Impiego della Provincia di Bologna, sia ai Comuni della Provincia di Bologna e alla Cooperazione Sociale di tipo B. In questo modo si creerebbero nei diversi territori distrettuali dei gruppi di lavoro decentrati, integrati e specifici per i bisogni locali di utenza e Servizi. 9.2.2.3. Percorsi di Formazione Professionale. I corsi di formazione professionale se ben pensati, progettati e gestiti da Enti di formazione, Provincia, Agenzie per il lavoro, in partnership con il DSM DP, sono un contesto nel quale l’utente si può confrontare con i pari e misurarsi con la possibilità di sperimentare nuove competenze apprese. I corsi rendono possibile l’apprendimento di competenze trasversali e professionali attraverso una gradualità dei contenuti teorici e delle performance pratiche richieste. Un corso di formazione può essere stimolante per quegli utenti, disponibili a nuovi apprendimenti, con buona motivazione, capaci di attivare proprie autonomie per superare eventuali difficoltà, che vogliono misurarsi con un impegno e con una responsabilità. Il riconoscimento delle competenze apprese e dell’impegno profuso, oltre che nei risultati positivi, è nella certificazione formale acquisita. I corsi di formazione professionali per le categorie dei disabili e delle persone in condizione di svantaggio rientrano nelle tipologie di attività dei due Protocolli sopradescritti e parallelamente possono avere un decorso autonomo ed indipendente. Questo tipo di possibilità permette agli operatori del DSM DP e del Gruppo DSM Lavoro di stabilire relazioni ed accordi direttamente con gli Enti di formazione. In tal caso allora le azioni progettuali e le relazioni di rete che si instaurano sono:

- rilevazione dei bisogni formativi (di qualifica e/o di riqualifica e di acquisizione di competenze trasversali) degli utenti; - collaborazione con alcuni Enti di Formazione accreditati, alla definizione delle domande formative valutando insieme la necessità di costruire dei percorsi articolati e attenti alla complessità delle persone (funzionamento dei livelli relazionale/comunicativo, comportamentale, cognitivo, affettivo); - messa in rete delle diverse Agenzie, Associazioni e Cooperative del territorio per la creazione in sinergia di progetti formativi e di transizione al lavoro; - adesione ai progetti da parte del DSM DP; - informazione alle UU.OO. e agli utenti del DSM DP sui corsi approvati e finanziati; - verifica/valutazione degli esiti dei progetti formativi.

Come già detto, il rischio più grande di sempre, per la formazione professionale delle fasce deboli, è la riproposizione agli stessi utenti degli stessi corsi di formazione, che diventano per forza di cose obsoleti ed inutili se non dannosi e si rivelano alla fine come luoghi d’intrattenimento. Altro grande rischio di questa epoca è che le risorse sia nazionali sia europee diminuiscano vertiginosamente e che in prospettiva ci si potrà avvalere di risorse strettamente locali con conseguente e consistente riduzione dell’offerta formativa.

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9.3 Area della Cooperazione Sociale. 9.3.1 I percorsi dell’Economia Sociale. L’economia sociale è spesso evocata ed in particolare, nei tempi di crisi economica ed occupazionale, è utilizzata per sottolineare le grandi sfide in termini di trasformazione del sistema di welfare che attendono un paese industrializzato come il nostro e per ipotizzare attraverso di essa percorsi inediti, innovativi ed emancipativi ed uno sviluppo sostenibile. Può essere economia sociale tutto ciò che è economico nel sociale o quello che nell’economia ha una forte valenza sociale ? Il termine e la nozione di economia sociale hanno assunto definizioni diverse a secondo delle aree geografiche del mondo ma quelle maggiormente accettate sono riferite ad un “terzo settore” che affianca e si differenzia dai primi due, il pubblico ed il privato. Storicamente l’economia sociale è stata riconosciuta e valorizzata sul piano ideologico, dai differenti orientamenti politico – sociali, per la capacità associativa dei singoli individui, per la spinta al processo di trasformazione sociale, per le funzioni di sussidiarietà in alternativa agli estremi mercato – Stato e per lo sviluppo di percorsi solidali e di auto – aiuto tra i lavoratori, se non di empowerment come nel caso dei soggetti svantaggiati. L’economia sociale può essere letta attraverso le organizzazioni senza fine di lucro che la compongono come le cooperative sociali, le organizzazioni di volontariato e le associazioni ma che hanno una pertinenza economica e quindi producono beni o prestano servizi. L’Emilia Romagna è uno dei territori che ha fortemente sviluppato le forme di economia sociale, tra cui la cooperazione sociale, e che vede una consistente partecipazione dei propri cittadini alle sue attività, contribuendo così a consolidare e a sviluppare il tessuto economico e sociale del territorio. Un’altra lettura, aggiuntiva ed in combinazione alla prima individua le organizzazioni di economia sociale non solo per le caratteristiche istituzionali ma anche per le finalità che perseguono e per le modalità gestionali: scopo di servizio ai singoli e alla comunità e profitto economico funzionale a questo scopo, autonomia gestionale svincolata e libera da condizionamenti dei poteri pubblici, democrazia interna, primato della persona e del lavoro sul capitale soprattutto nella ripartizione dei profitti. La Regione Emilia Romagna, nell’ambito del Tavolo Economia Sociale, ha recentemente (2012) pubblicato e diffuso i risultati della ricerca “Un altro welfare: esperienze generative”, con cui “ha cercato di fornire risposte ad alcuni quesiti, come l’apporto allo sviluppo del territorio da parte del Terzo Settore. La ricerca regionale muove i suoi passi dalla descrizione delle cause della crisi del rapporto economia / Stato / Welfare, così come avevamo già ribadito in questo manuale operativo a proposito delle criticità delle politiche sugli inserimenti lavorativi: “- la crescente difficoltà a dare risposte attraverso erogazioni monetarie centralizzate, che ha fatto emergere in pochi anni l’inadeguatezza dei sistemi di welfare incentrati più su aiuti monetari diretti alla domanda (pensioni, sussidi vari, ecc.) che sull’offerta di servizi; - la crescente differenziazione dei bisogni che ha reso via via sempre più inefficaci le risposte standardizzate offerte dalle pubbliche amministrazioni” (NdR, es. a tutti Borsa lavoro). 1(Regione ER, 2012) Quindi emergono nuovi bisogni, verso la definizione di modelli innovativi di welfare. Su un ambito più ristretto, come quello dell’inserimento lavorativo, a noi interessa limitatamente analizzare ed avvalerci dei significati e dei valori espressi, anche da questa ricerca, per collegarli ad una delle sue organizzazioni – la Cooperazione Sociale – e per poi delineare, in forma qualitativamente nuova, i percorsi riabilitativi/formativi/lavorativi nell’Economia Sociale.

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Altro elemento analizzato è la modificazione qualitativa dei bisogni, con l’aggiunta ai fattori di benessere individuale di tipo materiale, come reddito e ricchezza, di quelli immateriali con un forte valore identitario e relazionale; quindi si riflette sul fatto che fonte di malessere sociale e personale possono essere eventuali forti disuguaglianze economiche e di opportunità ma anche eventuali condizioni di isolamento relazionale e sociale,e che i due aspetti difficilmente sono disgiungibili. L’economia sociale, su questo dualismo, ha perciò assunto in sé – forma e azione - il compito di tenere insieme il progresso economico e lavorativo, con la qualità di vita e di salute, sia del singolo sia del gruppo sociale di riferimento; e più in generale gli elementi costitutivi che l’hanno caratterizzata, sono stati: il bisogno, inteso come una necessità (in put motivazionale) di un gruppo o di una comunità di avviare un’attività socio- economica; le persone, mosse da un’ideale, orientate verso una mission e disponibili alla relazione; la coesione sociale, intesa come percorso identitario collettivo, sociale e culturale per condividere appartenenza ed un orizzonte/prospettiva comune. “In tutti i paesi occidentali, o quasi, è evidente che i grandi movimenti sociali hanno costruito, dopo l’inizio dell’industrializzazione, un vasto settore di economia sociale al fine di sviluppare un contro-potere sociale ed economico capace di forzare le correzioni del mercato, di proporre servizi ai loro membri o ancora di mobilitare i mezzi necessari alla realizzazione dei loro obiettivi.” 2(J. Defourny – P. Develtere, 1998) Quindi fin da subito, pur essendo delle realtà eterogenee e talvolta in stretta interazione con le sfere dell’economia, private e o pubbliche, le organizzazioni dell’economia sociale, nel loro passaggio all’opera, hanno cercato e praticato una loro differenziazione dalle altre realtà istituzionali e produttive. Sicuramente, anche se non in modo esclusivo, la capacità di produrre beni relazionali e di generare capitale sociale, differenziano il “terzo settore”, le cooperative sociali, dalle organizzazioni “for profit”. “Con beni relazionali si intendono quei beni la cui utilità per il soggetto che lo consuma dipende, oltre che dalle sue caratteristiche intrinseche ed oggettive, dalle modalità di fruizione con altri soggetti. Il bene relazionale è una tipologia di bene con determinate caratteristiche: esso, infatti, postula la conoscenza dell’identità dell’altro, in cui i soggetti coinvolti si conoscono a fondo; si tratta, inoltre, di un bene anti-rivale, il cui consumo alimenta il bene stesso, e che richiede un investimento di tempo, non di mero denaro. Pertanto, la produzione di beni relazionali non può essere lasciata all’agire del mercato in quanto non può avvenire secondo le regole di produzione dei beni privati, perché nel caso dei beni relazionali non si pone solo un problema di efficienza, ma anche di efficacia. Al contempo, essa non può avvenire nemmeno secondo le modalità di fornitura dei beni pubblici da parte dello Stato, anche se i beni relazionali hanno tratti comuni con i beni pubblici.” 1(Regione ER, 2012) Le relazioni interpersonali e sociali (amicizia, rapporti familiari, amore reciproco, clima relazionale) , la fiducia e la partecipazione, sono beni, sono una ricchezza ma non sono una merce, hanno cioè un valore perché soddisfano un bisogno ma non sono beni strumentali e non hanno un prezzo di mercato. “Se si dovesse abbozzare una definizione sintetica di bene relazionale,(…) è il concepire la relazione come il bene: il rapporto tra i soggetti non è un mezzo (per ottenere beni e servizi, come si afferma nella teoria economica standard), ma il fine stesso.” 3(L. Bruni, 2006) Altra peculiarità, “il capitale sociale può essere considerato come l’insieme di relazioni sociali di cui un soggetto individuale o collettivo dispone in un determinato momento, e che rende disponibili risorse di vario tipo, cognitive, come le informazioni, o normative, come la fiducia, che permettono agli attori di realizzare obiettivi che in altro modo non sarebbero raggiungibili, o lo sarebbero a costi molto più alti. Il capitale sociale come sinonimo di “civicness” (cultura civica): una determinata società locale o regionale può avere tanto o poca cultura civile legata alla presenza di un ricco tessuto di associazioni e di società

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civile. Così come esiste il capitale economico che permette a una persona di fare determinate spese e determinati investimenti, di occupare un certo ruolo nel mondo del lavoro, esiste un capitale sociale che ha una sua dimensione autonoma e condiziona la possibilità di vita e di comportamento dei singoli , perché in qualche modo la rete di persone che si conoscono fornisce informazioni e aiuti , anche non necessariamente particolaristici, che finiscono per condizionare l’intero percorso di qualsiasi persona nella società. La disponibilità di un capitale sociale e di determinate condizioni permette ai soggetti di cooperare e, quindi, di realizzare particolari fini che solo attraverso la cooperazione si possono realizzare e che i singoli soggetti da soli non sarebbero in grado di ottenere. La presenza di capitale sociale fa sì che si sviluppi quella fiducia che rende possibili una serie di relazioni di cooperazione, di scambio, di realizzazioni comuni. Una società ricca di questo è una società in cui gli individui si fidano, cooperano di più e quindi possono raggiungere più facilmente delle finalità collettive. Il capitale sociale produce «ricchezza» per i singoli, ma può contribuire a certe condizioni allo sviluppo complessivo, locale e collettivo.” 4(Trigilia,2002). “Come attributo della struttura sociale in cui la persona è inserita, il capitale sociale non è proprietà privata di qualcuna delle persone che ne traggono vantaggi. A differenza del capitale privato, il capitale sociale ha quindi natura di bene pubblico.” 5(F.D’Angella, 2002) Elementi, caratterizzanti, distintivi, quali l’integrazione tra economia e sociale, tra lavoro e benessere, tra beni relazionali e capitale sociale, sono i punti di forza dell’economia sociale e sono i fattori di cui si avvalgono in prima istanza e soprattutto i membri dell’organizzazione, gli stokeholders principali e la comunità. “A partire da tali caratteristiche le organizzazioni dell’economia sociale sono in grado di produrre, oltre al miglioramento apportato ai beneficiari diretti, valore per la società ove queste operano, a volte come esito non intenzionale delle attività svolte nel perseguimento della mission. In particolare: in primo luogo troviamo il VAE (valore aggiunto economico), esso è dato dall’apporto in termini di aumento (o non consumo) di ricchezza materiale, economica e finanziaria (investimento, risparmio) che una organizzazione dell’economia sociale produce attraverso la sua attività specifica. Ad esempio, in termini di occupazione prodotta, ma anche in questo caso, si noti bene, non meramente nel senso del numero di posti di lavoro “creati”, ma piuttosto della qualità (dignità) delle posizioni occupazionali: conciliabilità dei tempi di vita e tempi di lavoro; differenziali salariali presenti (rapporto tra lo stipendio più alto e quello più basso non superiore a 2 o a 3); formazione offerta alle qualifiche professionali, ecc. In secondo luogo vi è il VAS (valore aggiunto sociale), ovvero il contributo specifico di una organizzazione dell’economia sociale in termini di produzione di beni relazionali (dimensione relazionale interna) e creazione di capitale sociale (dimensione relazionale esterna). In terzo luogo troviamo il VAC (valore aggiunto culturale), il quale è dato dall’apporto specifico che un’organizzazione dell’economia sociale contribuisce a creare in termini di diffusione di valori (equità, tolleranza, solidarietà, mutualità), coerenti con la propria mission, nella comunità circostante. Infine possiamo individuare il VAI (valore aggiunto istituzionale), il quale è dato dalla capacità di una organizzazione dell’economia sociale (o di una rete, o coordinamento, o rappresentanza) di fornire un apporto in termini di rafforzamento della sussidiarietà orizzontale, dei rapporti intra-istituzionali e inter-istituzionali.” 1(Regione ER, 2012) E’ all’interno di questo quadro istituzionale e valoriale che devono essere analizzati ed elaborati il ruolo e la rilevanza della cooperazione sociale sia in relazione ai servizi sia in funzione dell’utenza della salute mentale e dipendenze patologiche.

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9.3.2 I percorsi di economia sociale nella Cooperazione Sociale per l’inserimento lavorativo. Prima di accingerci in questo percorso, però è opportuno precisare che non è nelle finalità di questo documento, definire o ridefinire il ruolo, il modo e la visione della Cooperazione Sociale per l’inserimento lavorativo e che probabilmente deve essere impegno della stessa a rivisitare la propria esperienza di essere cooperativa, ad immaginare una nuova progettualità sociale e organizzativa ed un’eventuale propositività normativa. Ma alla luce di quanto discusso, di quanto appreso e di quanto elaborato per la stesura del Manuale Operativo, e di quanto descritto nel paragrafo precedente, “osiamo” nel definire una collocazione degli interventi e di questa organizzazione dell’economia sociale. E’ un luogo altro rispetto ai settori pubblici e privati, ed è un luogo dove utenti e non utenti si sono associati per svolgere attività di produzione di beni o di prestazione di servizi; è il luogo del lavoro dignitoso, dove le persone provenienti dalle fasce sociali più deboli e svantaggiate, ricostruiscono la propria soggettività lavorando sulle proprie capacità lavorative, sociali, emotive e relazionali, promuovono la propria autonomia, si attivano sul contesto di comunità ed esercitano il loro diritto di cittadinanza. I percorsi riabilitativi, formativi e lavorativi in questo contesto di economia sociale, non accompagnano e non conducono l’utente solo verso l’occupazione lavorativa ma costituiscono “un processo teso a riarticolare il rapporto tra persona e società” e “la cooperazione sociale così facendo assume la sua funzione pubblica” 6(R. Camerlinghi, F. D’Angella, 2003) di favorire i processi di integrazione sociale e di sviluppo di comunità. Quindi elementi, valori ed aspetti specifici che ci inducono a definire e ad individuare un’area delle Cooperative Sociali per l’inserimento lavorativo, come un’AREA D’INTERVENTO, complessivamente intesa, a prescindere dalla loro natura giuridica – tipo B, B+A, A+B, A - e in funzione del progetto personalizzato e delle sue finalità. Ma meriterebbero di essere messe in evidenza all’interno di un’area specifica anche per l’importanza assunta nel favorire l’inserimento lavorativo di una quantità considerevole di utenti con disagio psichico e dipendenza e per la storia dei rapporti con i Servizi della salute mentale. Le cooperative sociali sono d’interesse per tutti gli utenti, e sono in grado di rispondere a tutti e tre i Livelli di disabilità e fragilità sociale individuate nel capitolo 4.1. Le loro attività risultano adatte per affrontare bisogni e problemi legati a importanti disabilità e difficoltà sociali del 1° Livello, in quanto nelle cooperative sociali è possibile svolgere attività riabilitative occupazionali socializzanti con gli ISRA e con i propri laboratori. Risultano adatte anche per disabilità e difficoltà socio-lavorative intermedie del 2° Livello perché in esse si possono svolgere i Tirocini formativi, promossi dal DSM DP e le attività di formazione e di transizione al lavoro del collocamento disabili e svantaggiati, in collaborazione con la Provincia e altri Enti. Le attività formative possono tramutarsi in attività con finalità assuntive e per questo sono adatte anche a confrontarsi con disabilità e fragilità meno marcate del 3° Livello, attraverso inserimenti finalizzati all’assunzione. Precisiamo che l’individuazione e la suddivisione dei differenti livelli di disabilità e fragilità sociale, permettono di scomporre, ricomporre e fissare i bisogni e problemi dell’utenza in questo ambito riabilitativo, impegnando il DSM DP per primo, a non poterli eludere e non affrontare, in quanto resi chiari ed evidenti. Sono utili agli operatori dei Servizi e delle Cooperative, per definire, con la massima rispondenza ai bisogni e ai problemi degli utenti, il cardine, sul piano metodologico, dei percorsi di economia sociale associati al lavoro: il Progetto Personalizzato. Un Progetto che non dovrebbe essere ristretto alla sola sfera lavorativa, visto che spesso le Coop. Sociali con gli utenti lavorano sui bisogni primari, sulla cura di sé, sulle relazioni

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interpersonali e sociali, sulla progettualità di vita, persino sull’abitare, e insieme al contesto familiare e di vita perché sia possibile l’esercizio di queste capacità. Una Cooperativa Sociale anche quando si occupa prevalentemente di lavoro, nello sviluppo di un progetto personalizzato, contribuisce complessivamente al sostegno delle capacità della persona, al miglioramento della qualità di lavoro e di vita, alla sua integrazione nella comunità d’appartenenza. A seconda della gravità delle condizioni dell’utente, questi percorsi nell’economia sociale, in cooperativa, possono essere di tipo riabilitativo o formativo o lavorativo, o come spesso accade con tipologie combinate tra loro. Nello svolgimento del progetto personalizzato d’inserimento lavorativo, le Cooperative Sociali si caratterizzano e si differenziano rispetto ai normali e tradizionali contesti di lavoro per: - essere un contesto lavorativo con disponibilità adattiva ai bisogni e ai problemi dell’utenza e in un rapporto di reciprocità con essa. L’organizzazione cooperativa assume modalità produttive che possono sopperire a carenze lavorative e si strumenta con diverse modalità di supporto-aiuto a seconda delle diverse problematiche e del mandato da parte dei Servizi del Dipartimento di Salute Mentale e Dipendenze Patologiche; - il gruppo, come spazio di appartenenza, solidarietà, aiuto reciproco e partecipazione; - la disponibilità di beni relazionali e capitale sociale; - l’adesione ad una mission, dei propri membri; - il reperire ed aggregare risorse, in una logica no profit, intorno ai bisogni di integrazione lavorativa e di inclusione sociale degli utenti.

Negli ultimi anni, la maggior parte delle Cooperative Sociali B hanno operato ampliamenti produttivi ed espansioni di settore, con successivo consolidamento dello sviluppo raggiunto e del modello d’intervento applicato. Gli spazi e le attività in ambito riabilitativo e formativo sono stati sempre garantiti ad un alto livello di qualità e di professionalità. Ma contemporaneamente il Dipartimento di Salute Mentale e Dipendenze Patologiche, gli operatori delle UU. OO. e le stesse cooperative si sono poste il problema della difficoltà di come finalizzare in assunzioni gli sforzi e l’impegno degli utenti. Da una parte abbiamo contesti che offrono spazi ed attività riabilitative e di socialità per quegli utenti che difficilmente approdano e sono in grado di reggere situazioni lavorative; dall’altra, vi sono utenti che sanno adattarsi alle condizioni dell’ambiente di lavoro e che sono in grado di rispettare le regole richieste e di soddisfare un livello sufficiente di prestazioni. Un nodo da sciogliere: l’utente che entra in contatto con il mondo cooperativo, che svolge un suo percorso riabilitativo e formativo – lavorativo, che esprime una sua richiesta e ha una sua aspirazione di stabilizzazione lavorativa e contrattuale – oltre la borsa lavoro – deve spesso fare i conti con la saturazione delle disponibilità e la mancanza di opportunità lavorative. Riconosciamo che ci sono realtà cooperative che ogni anno portano alcuni utenti all’assunzione, ma che non è abbastanza rispetto al totale degli utenti collocabili. Il problema è stato affrontato da tempo e negli anni si sono moltiplicate le iniziative pubbliche e comuni intraprese da parte della Cooperazione Sociale insieme al Dipartimento, per sensibilizzare tutto il settore della Pubblica Amministrazione locale nell’applicare le clausole sociali degli appalti o nel concedere nuove commesse di lavoro per beni e servizi al fine dell’inserimento lavorativo di utenti con disagio psichico o in stato di dipendenza. Ultimamente in provincia di Bologna, si sta lavorando per un impegno concreto dei Comuni a vincolare in modo strutturato - attraverso delibere e regolamenti consiliari - il 3 o il 5 % delle spese di bilancio per beni e servizi in favore dello sviluppo di percorsi d’inserimento e d’integrazione lavorativa dei cittadini in condizione di svantaggio.

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Ma al momento si è ancora in assenza di opportunità concrete e la scarsezza di risorse e di credito, aggravata dalla crisi economica, aumenta l’insoddisfazione dei bisogni lavorativi e di reddito dell’utenza coinvolta. Si è consapevoli che sono situazioni e problemi che non avranno soluzioni rapide e immediate, neanche con il costante contributo e stimolo del Dipartimento, pur questi mantenendo alta l’attenzione e l’interesse e non arretrando rispetto alle proprie responsabilità e alla sua attività di promozione e di sostegno. Fissando l’attenzione sugli aspetti legati all’accesso al reddito e al lavoro, non si vuole operare una riduzione di quelli complessivi, economici, sociali, culturali e istituzionali e della complessità della realtà della cooperazione sociale. Ma di lavoro e di inserimento lavorativo, qui ci occupiamo e di questo è giusto trattare, perché creando opportunità di lavoro si sviluppano soggettività sociali e quindi cittadinanza attiva. Nuove strategie, nuove idee e nuovi progetti possono aiutare ad uscire dall’empasse progettuale e dall’assenza di opportunità. E’ necessario ritrovare ispirazione e creatività per invertire la tendenza e per immaginare una nuova forma di progettazione imprenditoriale sociale che faccia leva sulle risorse interne e che conseguentemente sia opportunità d’inserimento lavorativo. La Cooperazione Sociale ha in sé la cultura, l’autonomia gestionale, gli strumenti ed i mezzi, la capacità trasformativa per ri - orientare le attività e per una riconversione parziale degli investimenti di assistenza e riabilitazione in opportunità d’integrazione lavorativa. Una cooperativa sociale che investe sul piano d’impresa può essere maggiormente in grado di promuovere e di attivare nuovi processi di reale inclusione lavorativa e sociale. Processi di economia sociale che sappiano stare fuori dallo spazio ristretto della psichiatria e che anche in tempi di crisi sappiano:

- definire, promuovere e sviluppare idee imprenditoriali e progetti con ampliamenti di attività esistenti o con l’introduzione di attività imprenditoriali nuove, sul mercato competitivo, anche in associazione e cofinanziamento con fondazioni e pubbliche amministrazioni, con finalità assuntive e di occupazione;

- utilizzare gli stessi progetti d’impresa sopraccitati o altri progetti gia esistenti per attività di formazione al lavoro, di laboratorio e protette.

In questa fase di maturazione dei “prodotti” sociali delle Cooperative Sociali, potrebbe ancora prevalere, prudenzialmente, l’orientamento per le attività tradizionali ma si ribadisce che è quanto mai necessario che emergano gli elementi di innovazione di prodotto più orientati verso il lavoro. Il Dipartimento di Salute Mentale e Dipendenze Patologiche ribadisce la propria funzione pubblica di indirizzare e di orientare - in relazione ai bisogni della propria utenza e ad una visione di prospettiva – la programmazione delle attività e dei servizi riabilitativi, formativi e lavorativi acquisiti attraverso la Cooperazione Sociale. Il DSM DP assume anche una funzione di forte stimolo attraverso nuovi strumenti contrattuali e nuove modalità di relazione con la cooperazione sociale, seguendo prassi e consuetudini affermate da anni in altri territori. Per esempio, secondo i criteri di alcune gare d’appalto - prese a modello per i Progetti Riabilitativi Personalizzati (Budget di cura) DSM ASS n° 5 “Bassa Friulana“ - per l’affidamento di progetti riabilitativi personalizzati, posto a 60 punti su 100 il valore della Qualità di progetto, 12 punti dovrebbero essere dati dalle capacità del progetto di attivare risorse complementari a livello sociale, culturale ed economico – soprattutto in termini di opportunità lavorative per gli utenti – al fine di produrre varianti aggiuntive e migliorative dello stesso. Parliamo di un peso percentuale del 20 % sui valori qualitativi e del 12% sul valore totale.

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Se valutiamo le opportunità e gli esiti lavorativi secondo la letteratura nazionale ed internazionale sul tema degli inserimenti lavorativi in salute mentale una buona media di risultato a cui si dovrebbe tendere, è almeno il 15 % di assunzioni. Mettendo insieme le due tipologie di valori - il punteggio di qualità e le assunzioni – si potrebbe immaginare che almeno un 15 % delle attività e della risorsa erogata tramite convenzione dal DSM – DP ad una cooperativa sociale debba essere destinato ad un progetto produttivo che promuova l’inserimento lavorativo reale degli utenti. Se analizziamo i dati possiamo osservare che nel 2010 a fronte di 307 borse lavoro effettuate in tutte le Cooperative Sociali, abbiamo avuto 11 assunzioni, pari al 3,5 % di esito. Se invece analizziamo le 7 Cooperative Sociali, che a vario titolo e diversa gradazione economica hanno rapporti diretti con il DSM DP, su 235 borse lavoro svolte nel 2010 solo 14 sono state borse lavoro finalizzate e 11 sono state le sopraccitate assunzioni, pari al 4,6 % di esito assuntivo. Tolte le 146 borse lavoro occupazionali e a retta, rimangono ben 75 borse lavoro osservative e formative (il 32 %) che nelle condizioni attuali stentano ad avere sbocchi lavorativi.

Quindi, la proposta e le intenzioni progettuali del Dipartimento di Salute Mentale e Dipendenze Patologiche, in questo ambito e per il prossimo futuro, sono:

finanziare i percorsi nell’economia sociale combinando i relativi progetti personalizzati d’inserimento lavorativo, con le attività ed i progetti imprenditoriali e sociali della Cooperazione Sociale;

sostenere lo sviluppo ed il consolidamento di nuovi progetti della cooperazione sociale, per favorire l’inserimento lavorativo dell’utenza del DSM – DP;

sostenere i propositi e le azioni di cambiamento della cooperazione sociale che procede in questa direzione, ampliando/consolidando attività e settori produttivi e sviluppando nuovi progetti;

prefigurare le tipologie di percorsi nell’economia sociale della Cooperazione Sociale, combinabili ed abbinabili negli ambiti riabilitativo, formativo e lavorativo alle varie tipologie di intervento e di utenza.

Pertanto si delineano i seguenti percorsi nell’Economia Sociale della Cooperazione Sociale:

1. percorsi nell’Economia Sociale ad alta intensità riabilitativa socialmente attiva, per utenti che per complessità e disabilità richiedono contesti protetti e con affiancamento di operatori, singolarmente o in gruppo. Quota probabile di utenti coinvolti, il 55 % circa di quelli inviati in Cooperative Sociali. - Attività e progetti laboratoriali a forte valenza riabilitativa, occupazionale e socializzante che già oggi sono molto presenti nelle realtà della cooperazione sociale convenzionata con il DSM – DP. Si ipotizza, di fissare su tali attività, per ogni cooperativa convenzionata, il 55 % circa delle risorse erogate dal DSM – DP e con finanziamento garantito;

2. percorsi nell’Economia Sociale a media intensità riabilitativa e lavorativa, per utenti che pur avendo parziali limiti di autonomia e difficoltà in alcune aree di funzionamento personale, relazionale, sociale e lavorativo, possono svolgere compiti e mansioni senza il supporto continuativo degli operatori. Quota probabile di utenti coinvolti, il 30 % circa; - Attività e progetti di tirocinio formativo e di formazione al lavoro in generale, promossi dal DSM – DP o da enti/soggetti esterni (Es. Provincia) e svolti presso le Cooperative Sociali; destinare, per ogni cooperativa convenzionata, un 30 % circa delle risorse finanziate dal DSM – DP e con finanziamento garantito;

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3. percorsi nell’Economia Sociale a bassa intensità riabilitativa ed alta intensità formativa - lavorativa, per utenti con un disagio ancora presente ma stabilizzato, con qualche carenza in talune aree e con un buon potenziale di abilità e competenze personali, relazionali, sociali e lavorative, che svolgendo un percorso formativo, possono includersi nella realtà cooperativa conseguendo un’assunzione. Quota probabile di utenti coinvolti, circa 15%. - Progetti con nuove attività d’impresa - anche cofinanziate ed in partnership con altri soggetti pubblici o privati - che offrano nuove opportunità assuntive per nuovi utenti o per utenti che sono già in tirocinio formativo; il DSM – DP sostiene il progetto ma con un finanziamento su base premiante se la cooperativa sociale attiva e presenta un nuovo progetto d’impresa. Quindi il 15 % circa delle risorse finanziabili dal DSM – DP, per ogni cooperativa convenzionata, sono vincolate all’esistenza di un progetto che favorisca l’occupazione lavorativa degli utenti, secondo una programmazione pluriennale.

In conclusione, la costruzione di tali percorsi deve essere orientata e programmata secondo la logica di “prodotto” flessibile che faccia riferimento all’area complessiva dei bisogni degli utenti e che offra una serie completa e diversificata di risposte, attingendo dall’eterogeneo e variegato mondo dell’area economico sociale della Cooperazione Sociale.

Alcune considerazioni finali:

- per soddisfare la complessità dei diversi bisogni/problemi dell’utenza potrebbe essere virtuoso, integrarsi tra Cooperative Sociali, mettendo in rete conoscenze, esperienze e risorse. Pur mantenendo la propria specificità , ma riconoscendo la parzialità della propria organizzazione e uscendo da una logica di sviluppo autocentrato, si potrebbe sviluppare una partnership tra cooperative, che confluirebbe in una sorta di network, dentro il quale ogni componente porterebbe risorse, progetti, esperienze e competenze, utilizzabili per i progetti personalizzati. - (raccomandazione) gli strumenti e gli interventi riabilitativi, formativi e lavorativi (ISRA, Tirocini formativi, formazione professionale, stage L.68/99, ecc.) che possono essere utilizzati nei percorsi nell’economia sociale della Cooperazione Sociale e con i relativi progetti personalizzati, non sono da confondere con gli stessi; . - definire la formula tecnico – giuridica (Es. convenzione o gara riservata o avviso pubblico, ecc.) con cui impostare e dare avvio a questo processo di cambiamento e secondo la quale strutturare una programmazione pluriennale. - in relazione alle percentuali, che sono riportate a titolo esemplificativo, ma che potranno avere delle modifiche - rapportate alla realtà di ogni singola cooperativa – comunque si auspica che in futuro l’intero, il 100%, non sia rappresentato solo dai percorsi dell’inserimento lavorativo ma anche dai percorsi che comprendono la realtà complessiva dell’utente, quali l’abitare e la socialità.

Le indicazioni emerse in questo paragrafo si applicano sperimentalmente in occasione del rinnovo dei rapporti tra il DSM DP e le Cooperative Sociali, attualmente convenzionate. L’Area PEIL e il Gruppo DSM Lavoro seguono e supportano la Direzione del DSM DP, per l’informazione alle UU.OO. (CSM, SerT, NPIA) e la condivisione con le Cooperative Sociali delle nuove modalità di progettazione e di gestione dei percorsi dell’utenza. Riferimenti bibliografici 1 “Un altro welfare:esperienze generative”, Nucleo di Valutazione e Verifica degli Investimenti Pubblici della Regione Emilia-Romagna,

Ervet, AICCON, Forum Terzo Settore Emilia Romagna, 2012; 2 “Globalizzazione dell’Economia Sociale ?”, J. Defourny, P. Develtere, 1998, Animazione Sociale; 3 “Felicità, economia e beni relazionali”, L. Bruni, 2005, Nuova Umanità; 4 “Chi risponde del capitale sociale ?”, Trigilia, 2002, Animazione Sociale; 5 “Il paradosso del capitale sociale”, F.D’Angella, 2002, Animazione Sociale; 6 “Quanto è sociale il capitale delle cooperative ?”, R. Camerlinghi, F.D’Angella 2003, Animazione Sociale.

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9.4 Area del supporto all’impiego nel mercato del lavoro competitivo

9.4.1 Il modello IPS e Progetto TIPS (Training on IPS) 2010-2011. Modello IPS Individual Placement And Support. Negli ultimi anni una fascia di utenza dei Servizi di Salute Mentale ha manifestato sempre di più il bisogno di accedere a un impiego senza la mediazione di programmi di preparazione, di formazione e transizione al lavoro offerti dai Servizi. Il programma IPS prevede modalità che possono rispondere in modo adeguato al bisogno espresso da questi utenti offrendo un tipo di supporto individualizzato che mira al potenziamento delle abilità, delle risorse della persona e la sostiene durante le diverse fasi esperienziali che caratterizzano l’incontro e il rapporto individuo-mondo del lavoro. Il modello IPS viene creato e sviluppato negli Stati Uniti all’inizio degli anni novanta da Robert Drake e Deborah Becker, presso il New Hampshire Dartmouth Psychiatric Research Center . Nel corso degli anni il modello e le sue tecniche sono state ampiamente testate (studi randomizzati controllati su popolazione con gravi disturbi psichici e comorbilità con uso di sostanze) e i risultati hanno fornito la prova empirica dell’efficacia del programma. Attualmente (2011) è riconosciuto e attivo in diciotto Stati Americani. Esso si connota come un intervento riabilitativo centrato sulla persona e offre un supporto nella ricerca, nell’ottenere e nello svolgere un impiego all’interno del mercato del lavoro competitivo ai pazienti che desiderano avere un’occupazione. Il presupposto teorico centrale è che l’attività lavorativa degli utenti realizzata all’interno di contesti intergrati, con i diritti e i doveri che ogni libero cittadino incontra durante lo svolgimento del proprio lavoro, attivi nell’individuo un senso di maggiore integrazione e di ruolo all’interno della comunità di appartenenza. Il sostegno alle risorse e alle abilità individuali degli utenti è volto a stimolare lo sviluppo e la sperimentazione delle proprie capacità e conoscenze necessarie ad affrontare il percorso, dalla ricerca fino al raggiungimento dell’obiettivo lavorativo ed eventuali successivi cambiamenti. Risorse individuali e acquisizioni sul piano personale che nel loro evidenziarsi e rafforzarsi possono sostenere la motivazione della persona anche nei momenti di émpasse e di difficoltà sia sul piano concreto, per esempio il tempo che può intercorrere prima di arrivare ad ottenere il lavoro, sia sul piano clinico e/o di scoraggiamento e di sfiducia. Uno dei principi guida del modello è che le persone hanno maggiori possibilità di crescita, di sviluppo di autonomia, di autostima, di senso di efficacia personale e quindi di soddisfazione se possono determinare scelte e sperimentarsi in situazioni-contesti reali. Il tipo di esperienza proposta dall’IPS è per alcuni fondamentali aspetti diversa da quelle tradizionalmente utilizzate nei nostri Servizi. In questi ultimi, di norma, viene attuato un intervento connotato spesso, da una forte mediazione con l’ambiente lavorativo che accoglierà l’utente, si tende ad avviare percorsi di formazione e di transizione preparatori e si pone molta attenzione alla gradualità dell’inserimento. Queste modalità si sono rivelate per alcuni utenti inadeguate e mortificanti. Sono persone che pur avendo sul piano psichico una sofferenza grave mantengono un buon livello di funzionamento intellettuale e operativo. Preferiscono promuoversi e provare a sperimentare se stessi nell’esperienza diretta e chiedono un maggiore confronto e aiuto sul piano della percezione di sé, della comunicazione, della gestione delle relazioni e della propria emotività. Il modello IPS offre una metodologia e una risposta più adeguate a questa tipologia di utenza e alle sue richieste-bisogni. Nel programma evidence-based di sostegno individualizzato al lavoro IPS vengono valorizzati i seguenti elementi: le preferenze delle persone sia per il tipo di lavoro sia per la

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quantità di impegno; gli ambiti lavorativi integrati; l’interesse della persona per il lavoro e quindi l’avvio rapido della ricerca; l’assesment minimo, non utilizzo di programmi preparatori pre-lavorativi; l’obiettivo di una occupazione competitiva, il sostegno continuo da parte del Servizio di Salute Mentale e dell’operatore IPS di riferimento per cercare, mantenere il lavoro o durante un cambiamento del posto di lavoro.

Prima di descrivere alcuni aspetti di ordine metodologico per l’attuazione del Programma IPS è importante evidenziare alcuni dati di ricerca emersi sia da una sua sperimentazione effettuata tra il 2003 e il 2006 in Europa, Italia compresa sia da un recente progetto di ricerca, avviato nel 2010 e ancora in corso, nella Regione Emilia Romagna che vede coinvolto anche il DSM DP dell’AUSL di Bologna. Tra i vari elementi inseriti nella premessa al progetto di ricerca europeo del 2003 vengono ricordati: il dato molto alto di disoccupazione delle persone con disagio psichico indicante una situazione critica fino al 95% per gli utenti con grave disagio psichico; uno studio europeo che riporta che i problemi di salute mentale sono una causa crescente di malattia, assenteismo e pensioni di disabilità da lavoro. Inoltre che il tema del lavoro è da molti anni al centro di intensi dibattimenti interni ai Centri di Salute Mentale, anche in Italia, in quanto focus di molteplici interventi. Viene inoltre evidenziato che tra le difficoltà, che rendono problematico per gli utenti un approccio efficace alla vita lavorativa vi sono oltre alla propria “capacità/tenuta” lavorativa, la concreta disponibilità recettiva del mercato del lavoro, nonché i diversi atteggiamenti degli operatori volti a una maggiore o a una minore protezione del paziente. In questi anni si sono sviluppate numerose strategie per favorire l’incontro tra utenti psichiatrici e lavoro. Come ricordato in precedenza negli Stati Uniti il modello IPS è stato ampiamente indagato e confrontato con i metodi Vocational Service; molti di questi studi hanno dimostrato che le percentuali di impiego concorrenziale nel mercato aperto erano più che raddoppiate per i pazienti che utilizzavano l’IPS e che avevano prodotto lo stesso grado di efficacia clinica dei programmi standard. Si è così voluto indagare l’efficacia di questo programma anche in Europa. Date le premesse Il Progetto Eqolise (Enhancing Quality of Life and Indipendency Through Supported Employment) ha prodotto una ricerca internazionale con lo scopo di valutare l’impatto dell’utilizzo del Modello IPS nella realtà europea dove il mercato del lavoro ha caratteristiche e regole molto diverse da quello americano. Inoltre nella stessa Europa si riscontrano differenze sempre nella qualità del mercato del lavoro e nei sistemi di welfare adottati dai vari Stati (ancora questi molto diversi da quello americano) nonché nella percentuale di disoccupazione. La ricerca durata diciotto mesi ha verificato, attraverso un trial randomizzato, l’efficacia e la praticabilità del Modello IPS in Europa confrontandolo con quello riabilitativo standard offerto dai diversi Servizi. In particolare sono stati rilevati gli esiti degli impieghi: ottenere e mantenere un lavoro nel gruppo sperimentale e nel gruppo di controllo e la condizione clinica dei soggetti coinvolti prima dello studio, durante e dopo e il livello di soddisfazione dell’utente. Al progetto hanno partecipato sei Centri preposti alla cura e alla riabilitazione dei pazienti psichiatrici e situati a Londra (GB), a Ulm-Guenzburg (Germany), a Rimini (Italia), a Zurigo (Svizzera), a Groningen (Norvegia) e a Sofia (Bulgaria).Il campione di pazienti coinvolti è stato di 312 (somma totale dei sei centri) con gravi disturbi mentali, suddivisi a caso in due gruppi di 156: un gruppo sperimentale per il quale veniva attivato il metodo IPS e un gruppo di controllo seguito con il metodo tradizionale. La costruzione del campione è durata da aprile 2003 a maggio 2004. Sono state formulate due ipotesi di ricerca: - gli utenti assegnati al programma IPS avrebbero trovato lavoro più facilmente rispetto all’utenza del gruppo di controllo;

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- gli utenti assegnati all’IPS avrebbero lavorato per più tempo e passato meno tempo in ospedale rispetto al gruppo di controllo. I dati finali evidenziano in sintesi che il 55% dei pazienti inseriti nel Programma IPS hanno lavorato almeno 1 giorno contro il 28% del V.S.; che i pazienti dell’IPS hanno lavorato per più ore e più giorni nei 18 mesi rispetto ai pazienti del gruppo di controllo; che gli utenti che hanno lavorato almeno 1 giorno con l’IPS sono riusciti anche a mantenerlo per più giorni, infine che gli utenti del V.S. erano più propensi a lasciare il Servizio rispetto agli IPS e avevano più probabilità di essere ricoverati.

Progetto TIPS (Training on IPS)

Nel nostro presente, la necessità di dare una risposta qualificata ai nuovi bisogni portati dagli utenti e i dati confortanti sull’efficacia e l’applicabilità dell’IPS rilevati anche nella ricerca europea e in particolare nel territorio riminese, hanno stimolato la promozione di un progetto su base regionale per la sperimentazione di percorsi IPS all’interno dei Dipartimenti di Salute Mentale e Dipendenze Patologiche e relativi CSM, rivolto in particolare a pazienti psichiatrici. Il Progetto Regionale TIPS (Training on Individual Placement Support) finanziato dalla Regione Emilia Romagna – Assessorato alla Formazione e Assessorato alla Salute, è gestito dall’Ente di Formazione ENAIP di Rimini con la collaborazione del DSM-DP AUSL Rimini per gli aspetti formativi. Sono coinvolti i DSM-DP delle città di Forlì, Cesena, Ravenna, Piacenza, Parma, Reggio Emilia, Modena, Bologna, Imola. Si aggiungono al progetto la città di Ferrara e altri due CSM di Bologna che hanno attivano il programma attraverso operatori già presenti nell’organico AUSL (assistente sociale, educatori, infermiera). Complessivamente pertanto le città coinvolte sono dieci, nove delle quali hanno la presenza di un Operatore IPS dell’Ente di Formazione Enaip che si integra con l’équipe del CSM. Si aggiungono i CSM di Ferrara - Portomaggiore e due CSM di Bologna che utilizzano gli operatori interni formati con metodologia IPS. In totale a Bologna sono coinvolti 4 CSM del DSM-DP AUSL di Bologna. Il periodo di attivazione è da ottobre 2010 a novembre 2011. Attualmente è ancora in corso. All’interno del Progetto sono state attivate varie fasi e ambiti di applicazione (dalla formazione degli operatori alla sperimentazione del progetto anche con percorsi diversi nell’ambito dell’autismo), in particolare a fornire: Supporto Individuale nella ricerca del lavoro, Metodologia IPS e Metodo Tradizionale, destinatari disabili psichici. Una prima fase si è rivolta agli operatori del DSM –DP AUSL e dell’Enaip per la formazione dell’IPS Worker. Momento al quale hanno partecipato anche i Referenti AUSL per il progetto interni alle equipe dei diversi CSM. Sono stati definiti momenti di supervisione sui casi, di attività, di monitoraggio e di valutazione, di coordinamento interprovinciale (Bologna, Ferrara, Imola), di diffusione dei dati di esito progettuale e dei risultati operativi, a cura del Responsabile scientifico di progetto (Direttore DSM DP), con supporto del Responsabile dell’Area PEIL. Il Responsabile area PEIL ha svolto anche funzione di referente dell’AUSL di Bologna, in supporto al Direttore DSM DP per il coordinamento organizzativo e con la partecipazione al Gruppo di pilotaggio TIPS. Il numero minimo di utenti assegnati alla sperimentazione IPS su base regionale è di 128 ma attualmente sono stati avviati complessivamente n. 165 utenti. Sono altresì coinvolti 64 utenti, come gruppo di controllo, che fruiscono di Percorsi di Tirocinio.

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Si ritiene utile riportare alcuni dati interessanti emersi a otto mesi dall’inizio della sperimentazione pur con la consapevolezza che riflessioni più approfondite e generali potranno essere svolte solo al termine del periodo sperimentale previsto. Sono dati comunque importanti perché sembrano tracciare una linea di continuità rispetto ai risultati delle precedenti ricerche sulla efficacia e sulla sostenibilità del programma. Riferendoci al territorio di Bologna, Imola e Ferrara si evidenziano alcuni dati: come scritto in precedenza oltre ai 30 utenti assegnati alla sperimentazione per Bologna (due CSM) e Imola (un CSM), se ne aggiungono altri del territorio di Bologna (2 CSM) e del territorio di Ferrara (con Portomaggiore) arrivando così al numero di 64 utenti inseriti nel Programma IPS. Di questi 64 utenti il 65,62% ha una diagnosi rientrante nello spettro Psicotico o Schizofrenico, il 9,37% ha una diagnosi di Disturbo Bipolare e il 25% ha altre tipologie di diagnosi come i Disturbi di Personalità. Dei 64 utenti il 71,87% (46 persone) ha sostenuto colloqui di lavoro e il 43,75% (28 persone) è stato assunto e ha lavorato almeno un giorno. Questa percentuale comprende tutti gli utenti che hanno avuto forme diverse di contratti, periodi di prova o collaborazioni con aziende private o pubbliche, senza la mediazione del Servizio. Al momento non è ancora disponibile il dato della durata. Un altro elemento importante è la percentuale di tenuta dell’utenza al programma IPS, di Drop-out. Il 75% cioè 48 persone su 64 aderiscono in modo costante al programma contro il 3,12% cioè 2 persone su 64 che hanno lasciato in modo concordato e il 6,25%, 4 persone, che hanno abbandonato senza motivazione esplicita. Attualmente il drop- out dal Servizio per l’IPS risulta basso.

Anche su base regionale i dati attuali informano che dai 128 utenti assegnati in partenza sono attualmente avviati nel programma 165 utenti dei quali: il 70,90% (117 persone) ha sostenuto colloqui di lavoro, il 47,27% (78 persone) è stato assunto e ha lavorato almeno un giorno. Questa percentuale comprende tutti gli utenti che hanno avuto forme diverse contrattuali, periodi di prova o collaborazioni con aziende private o pubbliche, senza la mediazione del Servizio. Anche in questo caso non è ancora disponibile il dato della durata. Il drop-out è di circa il 15,75% (26 utenti).

Alcune riflessioni a otto mesi dalla sperimentazione. L’introduzione di questa metodologia di intervento presso i Centri di Salute Mentale è tanto auspicabile per gli effetti che produce sull’utenza (senso di adeguatezza, soddisfazione, integrazione ottenimento del lavoro…) quanto risulta mettere in evidenza la delicatezza del passaggio di comprensione e di condivisione da parte degli operatori della sua importanza e idoneità come risposta ai bisogni espressi da alcuni utenti. L’intento è di ampliare gli strumenti a disposizione dei Servizi e quindi degli utenti che ne fruiscono. Molti operatori, medici, infermieri, assistenti sociali, psicologi esprimono perplessità riguardo al suo potenziale impatto sulla condizione clinica dei pazienti con il timore che l’IPS possa portare un aumento dell’ansia e dell’insicurezza negli utenti con disturbi prolungati, a causa del ritorno al lavoro senza un lungo periodo di preparazione. Le passate ricerche complessivamente non hanno riscontrato nulla che sostenga queste preoccupazioni, nel controllo finale nessuno dei parametri ha indicato un deterioramento nel funzionamento mentale o sociale del gruppo IPS rispetto a quello di controllo con il sostegno standard. Un altro atteggiamento comune è di ritenere efficace per tutti gli utenti, la creazione di percorsi mediati, come borse lavoro o corsi di formazione specifici, ove il paziente possa immediatamente sperimentarsi in una attività, “nel fare”, in un impegno quotidiano e nell’inserirsi nel contesto relazionale. Non vi è dubbio che questo tipo di interventi riabilitativi, molto mediati, aiuti gli utenti con forti difficoltà sul piano della gestione

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quotidiana, delle relazioni, dell’emotività, della comunicazione e a volte con scarse competenze professionali, a riprendere un contatto graduale e sostenibile con l’impegno lavorativo. Ma come più volte ricordato vi è una fascia di utenza che ha meno disabilità marcate, porta esigenze diverse e chiede di avere un lavoro “vero”. Partecipare attivamente alla costruzione del proprio percorso, a tutte quelle fasi complesse di scelta, di contatto e di approccio con il contesto lavoro rafforza l’immagine di sé, aiuta a sviluppare strategie di coping e crea condizioni di maggiore senso di controllo interno (locus of control interno). Spesso questi utenti chiedono di “imparare” e di riuscire a muoversi da soli, di “camminare con le proprie gambe” potendo contare sulla presenza di qualcuno che sostiene, incoraggia e col quale confrontarsi. La richiesta è di essere aiutati ad affrontare le situazioni della vita con la propria capacità di stare nelle cose e di determinarsi come soggetto. E’ verso questo tipo di utenza che bisogna offrire opportunità di supporto al lavoro centrate sul rafforzamento delle abilità individuali, dello sviluppo personale e sull’ottenere un lavoro competitivo evitando di attivare percorsi vissuti dall’utente come lunghi, mortificanti e inconcludenti rispetto al risultato auspicato dell’assunzione. Pertanto richiede molta cura e attenzione il processo di diffusione della conoscenza di questo programma all’interno dell’équipe. Conoscerne il potenziale riabilitativo permette di considerarlo uno strumento a tutti gli effetti importante quanto quelli più tradizionali, da poter proporre in risposta a determinate richieste, come sopra descritto. Di conseguenza per la necessità di diversificare gli interventi da offrire, è importante che vi sia in ogni Centro di Salute Mentale un operatore IPS dedicato e integrato nell’équipe territoriale.

Linee guida del programma IPS Le linee guida del Programma sotto elencate rendono evidente la forte connessione e coerenza tra filosofia sottostante l’approccio e metodologia che lo esplica, ruolo del Servizio, dell’operatore IPS e dell’utente. Sei principi: 1) il paziente determina l’elegibilità: tutti i pazienti possono intraprendere una attività lavorativa, indipendentemente dal loro stato clinico, dall’essere più o meno pronti. Essi vengono perciò incoraggiati a considerare questa possibilità. In ogni caso la decisione definitiva se partecipare al programma spetta comunque al paziente. E’ verificato che gli utenti che si ritengono pronti per un lavoro saranno in grado di superare ostacoli e difficoltà date dalla patologia o da altri fattori. 2) Il programma IPS deve essere integrato con il trattamento dei Servizi di Salute Mentale. La riabilitazione è componente integrale del trattamento di Salute Mentale, non un servizio separato. L’operatore IPS è dentro allo staff curante (psichiatra, caseworker, operatore IPS, altri operatori collegati al paziente) e partecipa alle riunioni d’équipe al fine di garantire continuità e coordinamento progettuale. Il punto cardine e critico è una buona comunicazione fra gli operatori. Il passaggio di informazioni veloce e puntuale permette l’integrazione dei servizi lavorativi, clinici e di sostegno. I membri dello staff sviluppano un piano in stretta collaborazione con i pazienti, che sono considerati parte integrante dei servizi. La diversa formazione ed esperienza degli operatori porterà contributi diversi nell’analisi dei problemi. 3) Il lavoro competitivo è un obiettivo. Il programma mira ad ottenere un lavoro regolare con uno stipendio. Gli ambienti devono essere integrati, non laboratori protetti, non attività di ergoterapia, non borse lavoro. Le aspettative anche dello staff curante non devono essere basse perché portano a scarsi risultati. Un’occupazione competitiva, almeno part time, per chiunque la desideri è un obiettivo realistico.

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4) La ricerca di lavoro avviene in tempi rapidi. Si evitano approcci graduali, valutazioni, formazioni, percorsi di transizione, perché tendono a scoraggiare i pazienti che vogliono un lavoro competitivo. Le fasi di assesment sono rapide. Le modalità di lavoro prevedono che l’operatore IPS raccolga le informazioni circa le preferenze del paziente, consideri le esperienze precedenti, il livello di adattamento attuale, altri fattori correlati al lavoro come le possibilità di trasporto, sostegno familiare e, con il consenso dell’interessato, parli ai familiari, ad altre figure di supporto e al datore di lavoro. Inoltre egli sviluppa un piano di ricerca del lavoro assieme al paziente, piano che potrà essere rivisto durante tutto il processo in base alle esperienze compiute dal paziente stesso. Entro un mese dall’inizio del programma operatore e/o paziente iniziano la ricerca. Viene rimarcato il concetto che il lavoro deve essere adatto all’utente, pertanto il percorso pianificato, l’inizio della ricerca e il metodo per trovarlo si basano sulle scelte dell’individuo. Trovare un’occupazione in linea con le proprie preferenze, forze ed esperienze influenza criticamente la soddisfazione, la tenuta e il successo. Inoltre sono i pazienti stessi che decidono se svelare o meno al proprio datore di lavoro di avere un problema psichiatrico e decidono se metterlo in contatto con l’operatore IPS. 5) La ricerca di occupazione si basa su consulenze professionali esterne all’azienda. Tutti i membri dello staff curante possono avviare i contatti nella comunità, con amici, con amministratori, con associazioni di categoria, con tutte le organizzazioni che possono fornire lavoro o fare da collegamento per reperirlo. 6) Il sostegno fornito al paziente è a tempo illimitato. La qualità del sostegno personalizzato prodotto dallo staff, dai collaboratori, dai familiari e altre figure di sostegno rende la persona capace di lavorare con successo e di mantenere il posto di lavoro. Il sostegno dura fintanto che l’individuo ne ha bisogno e non termina in un momento prestabilito. Ogni professionista componente dell’équipe offre il suo contributo.

Modalità operative dell’IPS worker. Si evidenzia che l’assesment della competenza lavorativa ha caratteristiche di continuità e si basa sulle esperienze di lavoro competitivo in setting lavorativi integrati e non su test preliminari. Dal momento che un paziente viene inserito nel programma la ricerca di occupazione deve essere rapida, dopo circa un mese si auspica che avvenga il primo contatto con un datore di lavoro. La ricerca segue il criterio del progetto “individualizzato” cioè si basa sulle preferenze lavorative espresse dal paziente, i suoi obiettivi, i suoi bisogni e si tiene conto delle precedenti esperienze, dello stato di salute, dei sintomi e di altri fattori che possono influenzare il buon inserimento. Questo indipendentemente dalla disponibilità di postazioni offerte dal mercato del lavoro. Inoltre la ricerca punta in linea ideale al reperimento di occupazioni a tempo indeterminato ma se il lavoro è visto come cambiamento, come opportunità di crescita professionale allora il paziente viene aiutato a cambiare postazione, quando lo si ritiene necessario, indipendentemente dal successo o l’insuccesso dell’esperienza precedente. In ultimo il tipo di sostegno fornito ai pazienti è di tipo individualizzato, flessibile e continuativo e può comprendere il job coaching, il counselling, il gruppo di supporto per il lavoro, il trasporto, l’attivazione del sostegno da parte di amici e della famiglia. Questi servizi sono espletati nel territorio, nell’ambiente “naturale” di vita. La presa in carico è di tipo intensivo e continuativo. I contatti possono avvenire tramite visite, per telefono o per posta nella parte iniziale dell’intervento, poi mensilmente e senza limiti di tempo, quando l’utente smette di frequentare il servizio per l’inserimento lavorativo. E’ l’individuo che decide quando interrompere i rapporti e lo staff accetta il livello di “prontezza” a questo passo del paziente. L’operatore IPS segue 25 utenti circa.

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Metodologia IPS e fasi di intervento L’intervento è gestito da uno operatore specializzato IPS della riabilitazione al lavoro che ha come obiettivi:

Instaurare una buona relazione di fiducia con l’utente, empatica, basata sull’ascolto delle sue intenzioni reali e sulla presenza attiva. Offrire supporto costante continuativo anche una volta acquisito il lavoro, se il paziente lo richiede.

Stabilire insieme a lui mete lavorative raggiungibili. Formulare un piano personalizzato. Assistere direttamente e personalmente il paziente nella ricerca, nell’ottenimento e

nel mantenimento della posizione lavorativa. Evitare corsi di formazione preliminare realizzati direttamente o indirettamente per

gli utenti dal Servizio. Lavorare in stretta collaborazione con i CSM.

Criteri minimi di inclusione nel progetto I criteri per proporre e inserire un utente nel Programma IPS sono minimi.

1) richiesta esplicita di impiego da parte dell’utente 2) la motivazione

La diagnosi non è criterio di esclusione.

La motivazione E’ un elemento che necessita di molta attenzione e costante lavoro perché cambia di intensità ed è soggetto agli effetti positivi o negativi delle varie azioni (ricerca, colloquio, ottenimento del lavoro, mantenimento del medesimo) e dai mutamenti della situazione clinica e di vita. La motivazione al lavoro inoltre coinvolge più ambiti e persone, dalla famiglia ai Servizi di cura, i quali possono avere idee e aspettative specifiche riguardo l’utente e le sue possibilità.

Proposte e intenzioni di sviluppo - Consolidamento del Modello IPS nei 4 CSM di partenza e sua estensione graduale

a tutti gli altri 7 CSM del DSM DP AUSL di Bologna, con la seconda edizione del TIPS e altre attività formative specifiche e previste negli anni 2012 – 2013.

- Formazione degli operatori DSM DP e del privato sociale per l’implementazione progettuale e di modello negli anni 2012 – 2013.

- Definizione di procedure CSM per il Percorso IPS come prima ipotesi progettuale proposta da parte delle equipe a favore degli utenti che esprimono il desiderio di lavorare.

- Supporto e coordinamento delle attività di supporto all’impiego dell’utenza del DSM DP.

- Partecipazione alle attività del network delle realtà IPS italiane ed europee. 9.4.2 Progetti di Microcredito per il supporto al lavoro autonomo Nel nostro paese, la forma ancora più diffusa di lavoro è quella che il diritto del lavoro definisce e disciplina come lavoro subordinato - comunemente detto lavoro dipendente. Il subordinato è la forma di lavoro, culturalmente d’interesse centrale per il diritto e verso cui si più propensi e più orientati; fatto salvo che nell’ultimo decennio ha preso spazio ed è sempre maggiormente utilizzato il lavoro parasubordinato. Il lavoro autonomo invece è definito dall'art. 2222 del Codice Civile, che indica “quando una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un'opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente.” Il lavoro autonomo si differenzia da quello subordinato per l’assenza di assoggettamento al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro.

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E’ un tipo di lavoro che associato alla nostra utenza suscita reazioni di perplessità e d’incredulità, se non di aperto scetticismo, per il livello d’impegno e di responsabilità che comporta. Chiaramente non si può ipotizzare che possa essere un tipo di impiego sostenibile da qualsiasi utente, ma con le dovute valutazioni e differenziazioni potrebbe rappresentare una possibilità, in particolare per utenti con un buon livello di competenze e motivazione, senza disabilità evidenti, con un minimo di autonomia organizzativa e con un’idea e con una storia di attività lavorativa autonoma. Se pensiamo al tipo di utenti, ci riferiamo a quelli (3° Livello di Disabilità e Fragilità sociale) che per loro scelta, storia lavorativa e motivazione vogliono lavorare in proprio. Questi ultimi elementi sono fondamentali perché la persona deve avere delle proprie attitudini, intrinseche e non esternamente costruite. Il lavoro degli operatori del servizio e del microcredito deve essere diretto all’utente al fine di sviluppare un processo di empowerment individuale, per una crescita ed un ampliamento delle capacità esistenti e necessarie, utili a costruire un percorso di auto impiego. Muhammed Yunus inventore del microcredito ha sempre ritenuto ed ha dimostrato con l’esperienza di Grameen che si può fronteggiare la povertà, l’emarginazione e l’isolamento con forme di auto impiego e di lavoro autonomo. Noi non abbiamo una tale certezza di successo rispetto alla nostra utenza ne abbiamo la conoscenza di esperienze diffuse nell’ambito della psichiatria e delle dipendenze, per affermare che sia un modello e una tecnica applicabile su vasta scala. Però esistono esperienze di microcredito con utenti con disagio psichico in alcune zone d’Italia (per es. Piani Sociali di Zona /DSM di Caltagirone in Sicilia) che - escludendo quelle impostate quasi come una psicoterapia di gruppo – hanno dato risultati incoraggianti ed attendibili sugli esiti lavorativi. Il microcredito si basa sulla concessione di piccoli prestiti per l’avvio e per lo sviluppo di piccole attività autonome e d’impresa (per es. negozio, laboratorio di calzolaio, parrucchiere, barbiere, attività di piccole spedizioni, idraulico, piccole manutenzioni, imbianchino, ecc.), i cui soggetti destinatari sono rappresentati da persone cosiddette “non bancabili” che, di norma, non avrebbero accesso al sistema del credito, perché sprovviste di garanzie. Tale sistema, basato sul rapporto fiduciario, sull’idea – certezza della restituzione del prestito con piccole quote settimanali o mensili, consente ai beneficiari del progetto di recuperare la capacità di provvedere a sé economicamente, attivando processi di riconoscimento sociale e sviluppo personale nei contesti locali. Molte esperienze a livello internazionale dimostrano che i poveri più che i ricchi tendono a restituire il prestito e tenere fede ai propri impegni e che il Microcredito dimostra di essere un’attività efficiente sul piano finanziario (95/98 % di restituzione del prestito). A questo si aggiunge che si tratta di uno strumento dalle forti connotazioni psicologiche fondato sul “gruppo” (modello Grameen) come elemento strategico per determinare il “cambiamento” attraverso gli aspetti di condivisione, di relazione, di responsabilizzazione e di auto – aiuto. Più in generale, si stimola la persona con disagio ad essere parte attiva del proprio cambiamento e del proprio percorso lavorativo, a riappropriarsi del senso della propria esperienza fronteggiando le sfide quotidiane, a riprogettare il proprio futuro, ad essere riconosciuti come parte attiva della comunità. Il valore aggiunto è che il sostegno finanziario viene accompagnato da un vero intervento pedagogico - educativo che stimola la persona a migliorare le proprie condizioni di salute fisica e mentale. Oltre al sostegno individuale, però è necessario che l’operatore di Microcredito intervenga sul contesto sociale per cercare di favorire il superamento degli ostacoli che negano la possibilità di sviluppo delle capacità dell’utente (empowerment sociale). Tuttavia va precisato che il “modello Grameen” non è l’unico sperimentato . Nel corso degli anni si sono sviluppati altri efficaci programmi di microcredito, e diversi riferiti a

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contesti sociali differenziati, adeguati al contesto di riferimento e alle popolazioni coinvolte. Il microcredito può essere assunto come uno strumento ad hoc per l’emancipazione delle persone che vivono in quel contesto e rivolto a quella comunità. La nostra idea di progetto di Microcredito si basa sulle conoscenze acquisite con una formazione specifica e dalle esperienze realizzate finora in altri DSM; il nostro obiettivo è la costruzione di un percorso sperimentale con uno o due piccoli gruppi e valutazione di fattibilità e di efficacia. Un progetto sperimentale con il microcredito potrebbe avere maggiore possibilità di successo se la sua realizzazione dal DSM DP si spostasse in una dimensione più ampia e di comunità. Si potrebbe inserire a livello distrettuale nel contesto dei Piani Sociali per la salute e il benessere, integrando tra loro i diversi bisogni sociali ed i relativi servizi. In epoca di crisi economica, il microcredito può essere un’interessante via d’uscita occupazionale sia per i nostri utenti sia per le diverse persone che hanno perso il lavoro. In forma integrata socialmente, si risponde a ciascuno secondo i propri bisogni e problemi. In un epoca economica sempre più condizionata da contrazione di risorse e criticità sociali, si reputa interessante quanto importante esempio di coniugazione tra l’efficienza economico-imprenditoriale e il contrasto a povertà e disagio , tra libero mercato e sistema di welfare. 10. Strumenti di valutazione del sistema Del nuovo sistema degli inserimenti lavorativi proposto si sono definiti le finalità, gli obiettivi, le attività e l’organizzazione. Dopo la loro discussione, approvazione e traduzione operativa, si renderà necessario verificare e provare quali obiettivi riabilitativi, formativi e lavorativi sono stati concretamente raggiunti, quali cambiamenti organizzativi si sono prodotti e quanto le attività hanno inciso positivamente sulle condizioni, non solo lavorative, delle popolazioni di riferimento (target d’utenza). Riconoscere e migliorare le performance sociali, formative e di supporto all’impiego è fattore cruciale per la credibilità e la sostenibilità del sistema. Si tratta di una valutazione del sistema degli inserimenti lavorativi che non si basa solo sugli esiti ma anche su altri aspetti e valori riferiti all’organizzazione e all’utente che è la figura centrale del sistema. L'importanza di un’analisi e di una valutazione qualitativa centrata sui servizi al *“cliente/ cittadino” è una necessità. La necessità di una valutazione attraverso una misurazione degli esiti assuntivi, del completamento dei percorsi formativi e dell’efficacia riabilitativa, dell’efficienza organizzativa e del grado di soddisfazione del “cliente/ cittadino”. Anche le nuove funzioni di partecipazione e di leadership degli utenti - che hanno aumentato la loro capacità di empowerment, recuperato identità e connessioni sociali – e dei familiari possono contribuire ad una diversa strategia di valutazione delle performance del sistema. Comunque potremmo parlare di un assessment secondo una catena di performance organizzative, socio-riabilitative e lavorative, collegate tra loro all’interno del sistema e ordinate secondo un processo che deve produrre degli esiti periodici e finali. Per poter realizzare questo processo valutativo di sistema è necessario dotarsi di strumenti di valutazione diversi che indagano i differenti aspetti. Alcuni strumenti si focalizzano sui processi, altri si concentrano sui risultati. Insieme, questi strumenti possono rispondere a diverse domande come: - quali attività e progetti sono state ridefinite e innovate per rispondere a finalità e obiettivi

di sistema ? - Sono stati soddisfatti i bisogni dei target d’utenza individuati ? - Le azioni implementate ed i cambiamenti introdotti hanno determinato un effetto positivo

sulle condizioni sociali e di salute dei “clienti/ cittadini” ? - Vi sono stati esiti assuntivi nel libero mercato ?

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- I “clienti/ cittadini” e le loro famiglie sono soddisfatte dal lavoro prodotto dal sistema degli inserimenti lavorativi ?

La valutazione della performance organizzativa e sociale rappresenta una misura di efficienza finalizzata alla misurazione dei modelli operativi, di impiego delle risorse, degli sviluppi operativi e degli esiti riabilitativi, formativi e lavorativi, al fine successivo di operare cambiamenti, implementazioni e prendere decisioni utili per creare best practice. La mission del processo valutativo possiamo fondamentalmente ipotizzarla con: tradurre finalità e obiettivi in indicatori chiari e misurabili per riuscire a

quantificare gli esiti dei percorsi. Progettare e implementare le attività secondo i bisogni dell’utenza. Tracciare, comprendere e creare specifiche reportistiche sui progressi compiuti

nel perseguire gli obiettivi. Allineare i processi operativi ai cambiamenti necessari per raggiungere gli

obiettivi sociali e lavorativi. Prendere decisioni sulla base dei risultati sociali e lavorativi e del grado di

soddisfazione degli stakeholders primari (“clienti/ cittadini” e famiglie). Nel processo valutativo si analizzano e si misurano le azioni ed i loro esiti ma anche i processi organizzativi e il grado di soddisfazione dei propri “clienti/ cittadini” attraverso indicatori ben definiti. Possiamo ipotizzare un sistema degli indicatori che si concentra sulla gestione dei processi, sugli obiettivi dichiarati, sull'efficacia e sul gradimento dei sistemi utilizzati. Gli indicatori devono essere semplici, facilmente rilevabili dai dati disponibili, verificabili, imputabili e sintezzabili in grafici ed i risultati ottenuti devono essere confrontabili con quelli di altri enti/istituzioni/servizi coinvolti in processi similari a livello locale e allargato. A livello di utenza e di processo, gli indicatori dovrebbero essere basati su semplici criteria, items e domande riguardanti: - i bisogni e le caratteristiche degli utenti; - le attività ed i progetti svolti ed implementati; - i risultati riabilitativi, formativi e assuntivi; - gli elementi di critica e di soddisfazione dei “clienti/ cittadini” e dei loro familiari. Gli indicatori possono essere strutturati e ordinati con diversi strumenti utilizzabili per vari interlocutori: - scheda di rilevazione dei dati di utenza ed attività; - intervista strutturata con indicatori su attività e progetti; - questionario di gradimento (Es. Indiana Job Satisfaction Scale del modello IPS). La valutazione delle performance del sistema può essere sviluppata secondo varie modalità: - auto-valutazione degli operatori delle Unità Operative e del Gruppo DSM Lavoro, attraverso il dibattito interno, il monitoraggio delle attività e degli esiti, la rilevazione dei punti di debolezza e dei punti di forza e il reperimento di soluzioni innovative per migliorare le performance sociali, riabilitative e lavorative; - modo centralizzato, svolto dalla Direzione del DSM DP con i propri collaboratori di staff (Coordinatore del Gruppo DSM Lavoro) che coinvolgono tutte le Unità Operative e le Aree Dipartimentali in un processo di audit per una panoramica veloce su criticità e punti di forza dello stato dell’arte dei lavori e del sistema; - modo partecipativo con l’aggiunta a dirigenti ed operatori del DSM DP, degli stakeholder (“clienti/ cittadini”, familiari CUFO, cooperatori, volontari, ecc.) attraverso un dialogo aperto, collaborativo e trasparente ed un’analisi a tutti i livelli di criticità, di insoddisfazioni o di riconoscimenti e di istanze.

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Un approccio multiplo e coordinato secondo un programma ha il principale vantaggio che la valutazione tende ad essere più rappresentativa di tutti gli attori del sistema nel suo insieme. Comunque la definizione concreta e di dettaglio del processo valutativo, delle sue finalità, dei suoi approcci e dei suoi strumenti, deve essere tema di una co-progettazione e condivisione con gli stakeholder citati. *Nota: recependo le sollecitazioni di una parte dei soggetti coinvolti e interessati, il chiarimento e l’approfondimento dei significati dei termini “cliente” - secondo l’accezione dei processi di cura orientati alla guarigione (recovery) – e “cittadino” – secondo l’accezione di persona con pari e completi diritti - saranno i presupposti della co-progettazione e della gestione di un modello valutativo condiviso.