Manuale del Laboratorio di scienze naturali · cellule di sughero al microscopio : introduzione...
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PROGRAMMA DI LABORATORIO a cura del dipartimento di scienze naturali
Anno Scolastico 2014 – 2015
Ambito del progetto “Ai confini tra due terre” per la valorizzazione delle discipline scientifiche nel liceo classico
A cura della prof. Maria Viotto e dei suoi allievi
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ELENCO DELLE ESPERIENZE :
CELLULE DI SUGHERO AL MICROSCOPIO : INTRODUZIONE
ALLA MICROSCOPIA ( SCHEDA STORICA ) CONFRONTO TRA CELLULE VEGETALI DI SUGHERO, CIPOLLA ED ELODEA PER LE CLASSI V GINNASIO
OSMOSI NELLE CELLULE DELLA CIPOLLLA PER LE CLASSI V
GINNASIO
SEPARAZIONE MEDIANTE CROMATOGRAFIA SU CARTA DEI PIGMENTI CONTENUTI IN UN INCHIOSTRO E NELLA CLOROFILLA DI UNA FOGLIA per le classi IV e V ginnasio
MISURE DIRETTE E INDIRETTE PER LE CLASSI IV GINNASIO
MISCUGLI E COMPOSTI PER LE CLASSI IV E V GINNASIO
LA DENSITA’ E’ UNA PROPRIETA’ INTENSIVA PER LE CLASSI IV
GINNASIO
SOLUZIONI E MOLARITA’ PER LE CLASSI V GINNASIO E I LICEO
IDROLISI SALINA PER LE CLASSI II LICEO
DETERMINAZIONE DELL’ACIDITA’ DEL SUCCO DI LIMONE
PER LE CLASSI II LICEO
LA PILA DI DANIELL PER LE CLASSI II LICEO
DISSEZIONE DI UN CUORE DI UN MAIALE PER LE CLASSI II LICEO
CLASSIFICAZIONE DI ALCUNI MINERALI SECONDO I SETTE
SISTEMI PER LE CLASSI III LICEO
ANALISI DEI CARBOIDRATI PER LE CLASSI III LICEO
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CELLULE DI SUGHERO AL MICROSCOPIO:
Questa fotografia presenta una superficie di legno di sughero a 400 ingrandimenti. Fu proprio osservando un pezzo di sughero attraverso il microscopio da lui stesso inventato che, nel 1665, l´inglese Robert Hooke (1635-‐1703) scoprì le cellule. In realtà Hooke non vide le cellule del sughero, ormai morte, ma le cavità da esse lasciate, simili appunto a delle piccole celle, da cui il nome.
Nel 1665, Robert Hooke (1635-‐1703) pubblicò un libro intitolato Micrographia. Hooke, era uno scienziato e inventore inglese che aveva costruito un microscopio ottico di gran lunga superiore ai modelli grossolani reperibili a quell’epoca. Con esso egli esaminò una grande
quantità di materiali -‐ minerali, fibre tessili, e piccole piante e animali. Tra l’altro esaminò il sughero. La descrizione che egli ne fece occupa una posizione così importante nella storia dei tentativi umani per comprendere la struttura fondamentale degli esseri viventi che è interessante sapere cosa egli disse: "Osservazione XVIII. Sullo schematismo o struttura del sughero e sulle cellule e pori di alcuni altri corpi leggeri." << Ho preso un bel pezzo di sughero chiaro e ne ho tagliato un frammento con un temperino ben affilato, in modo da lasciare la superficie ben liscia; quindi, esaminandola molto
attentamente al microscopio, pensavo di riuscire a vedere che era porosa. Purtroppo non riuscii a distinguere chiaramente e con certezza i pori, né tanto meno che forma avessero. Tuttavia, in base alla leggerezza e alla morbidezza del sughero, pensando che la sua struttura non poteva essere tanto strana ma che probabilmente, se mi fossi applicato un po’ di più, sarei riuscito a distinguerla al microscopio, preparai con lo stesso temperino affilato e dallo stesso pezzo di prima una sottilissima fetta e la misi su una piastra portaoggetti nera perché il sughero è un corpo chiaro. Illuminandola direttamente con un raggio di luce proveniente da una lente piano-convessa, potei osservare in maniera chiarissima che il sughero era completamente perforato e poroso, simile ad un favo, ma con cellette irregolari. Nei seguenti particolari somigliava a un favo di api. Innanzitutto, per il fatto che era scarsamente costituito da materiale solido in confronto agli spazi vuoti che conteneva. Gli interstizi o pareti (come li chiamo io) o setti tra i pori erano infatti molto sottili in confronto ai pori stessi, come le sottili pellicole di cera rispetto alle cellette esagonali di un favo di api. Secondariamente, per il fatto che questi pori o cellule non erano molto profondi o spessi, ma erano costituiti da un gran numero di piccole caselle, derivate tutte da un unico lungo canalicolo continuo, mediante la formazione di diaframmi, come si vede nella figura, che rappresenta una sezione longitudinale dei pori. Io non li avevo notati prima (furono davvero i primi pori
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microscopici che vidi e forse che furono visti, perché non trovai nessun scrittore o persona che li avesse menzionati prima) ma con la loro scoperta pensai di aver fatto balenare dinnanzi alla mia mente la vera e logica ragione di tutti i fenomeni del sughero, come ad esempio: Primo: se mi fossi chiesto la ragione della estrema leggerezza di tale corpo, il microscopio mi avrebbe detto che essa era la stessa per cui la schiuma, un favo vuoto, la lana, una spugna, la pietra pomice, ecc. sono leggeri, cioè una piccolissima quantità di sostanza solida si estende in proporzioni estremamente vaste. Secondo: sembrava non esservi nulla di più difficile da spiegare del fatto che il sughero non assorbe acqua, anche se lasciato galleggiare su di essa per lungo tempo, e che possa chiudere e trattenere aria all’interno di una bottiglia, benché essa sia molto compressa e tendente ad aprirsi un passaggio, senza lasciar filtrare neanche una bolla. Anche qui il microscopio ci mostra che il sughero è impregnato d’aria, la quale è contenuta nelle cellette. Sembra chiaro che né l’acqua né l’aria possono penetrare in esso, essendovi già un intus existens. Questa è la ragione per cui pezzi di sughero sono ottimi galleggianti per reti e tappi per fiale ed altri recipienti chiusi. Terzo: se ci si chiede perché il sughero, quando viene compresso, si presenta così elastico e capace di rigonfiarsi, e come può subire una così grande compressione, o contrazione delle dimensioni, e tornare in seguito come prima ad occupare lo stesso spazio, il microscopio ci dice che l’intera massa consiste di una infinità di cellette o vescichette d’aria, sostanza di per sé elastica, e che può subire una notevole compressione (come potei vedere diverse volte, servendomi solo delle mie mani, senza ricorrere a nessun congegno, e riuscendo a comprimerla a un ventesimo delle sue dimensioni normali vicino alla terra). Inoltre, sembra che le pareti sottili che circondano i pori abbiano esse pure una proprietà elastica, come in genere tutte le sostanze vegetali, in modo da facilitare il loro ritorno alla forma primitiva. Noi potremmo così scoprire facilmente e con certezza lo schematismo e la struttura anche di questi sottili setti e di numerosi altri corpi. Sembra che nulla si opponga a ciò e che presto sarà possibile renderci ragione di tutti i loro fenomeni, cioè quale è la causa della loro elasticità, e della resistenza di alcuni, della flessibilità e della capacità di tutti di reintegrarsi nella condizione iniziale, della friabilità e fragilità di altri, e così via. Ma fintantoché il microscopio, o qualche altro mezzo, non ci consentirà di scoprire il vero schematismo o la vera struttura di tutti i corpi, dobbiamo vagare nel buio, come è successo, e fare delle congetture sulla base di confronti e similitudini. Ma ritorniamo alla nostra osservazione. Contai parecchie file di questi pori e vidi che vi erano circa 40 cellule in un millimetro, 160.000 cellule in un centimetro quadrato e 64 milioni di cellule in un centimetro cubo, un numero quasi incredibile …..>> Il documento continua con una serie di domande e ragionamenti mediante i quali R. Hooke cerca di comprendere le proprietà del sughero alla luce di quanto osservato al microscopio. Hooke è il primo a descrivere le cellule, senza tuttavia coglierne il significato come unità strutturale di tutti gli esseri viventi. È comunque una delle tappe importanti nella storia della Biologia.
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CONFRONTO TRA CELLULE VEGETALI DI SUGHERO, CIPOLLA ED ELODEA
PER LE CLASSI V GINNASIO
OBIETTIVO DELLA PROVA
• osservazione di fettine sottili di sughero, cipolla, elodea • ricerca delle analogie e delle differenze tra sughero, cipolla, elodea • confrontare quanto descritto per il sughero con il documento storico delle osservazioni
fatte da Robert Hooke sul sughero con uno dei primi microscopi nel 1665.
PROCEDIMENTO
1. realizzare una sottile sezione di sughero, depositarla su un vetrino portaoggetti con una goccia di acqua
2. effettuare l’osservazione a piccolo ingrandimento (10X) e a massimo ingrandimento (40X); disegnare ed illustrare, in modo approfondito, ciò che si osserva.
3. ripetere le osservazioni con elodea e disegnare a 10X e 40X 4. ripetere le osservazioni con epidermide di cipolla a 10X e 40X utilizzando anche una goccia
di Lugol Verifica e Valutazione dell’ attività in laboratorio: Confrontare i tre diversi tipi di cellule vegetali osservati evidenziando le analogie e le differenze. Disegni sul quaderno di laboratorio . -‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐
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Osmosi nelle cellule dell’epitelio di cipolla per le classi V ginnasio
Finalità: Osservare la brattea di una cipolla e il suo comportamento in una soluzione salina;
Disegnare sul quaderno di laboratorio.
Materiale utilizzato
1. Cipolla rossa. 2. Microscopio ottico. 3. Materiale per prelevare parti sottili della sostanza (lametta, bisturi, pinzette). 4. Vetrino porta oggetti. 5. Vetrino copri oggetti. 6. Acqua. 7. Pipetta. 8. NaCl e glucosio.
Premessa teorica
Nell’ambito dello scambio di sostanze attraverso la membrana plasmatica (detta semipermeabile, perché impermeabile a certe molecole ma non ad altre) si individuano due tipi di trasporto. Il trasporto passivo (diffusione semplice, facilitata e osmosi) che non richiede energia in quanto avviene secondo gradiente di concentrazione e il trasporto attivo che necessita dell’idrolisi dell’ATP (molecola energetica) in quanto avviene contro il gradiente di concentrazione.
La diffusione è il fenomeno mediante il quale si realizza il movimento casuale e spontaneo di molecole verso uno stato di equilibrio. La velocità di diffusione è influenzata da:
1. Diametro delle molecole o ioni (le sostanze piccole diffondono più velocemente); 2. Temperatura (maggior temperatura significa maggior movimento di particelle); 3. Carica elettrica della molecola; 4. Gradiente di concentrazione (differenza di concentrazione tra i due soluti).
Ricordando la composizione della membrana plasmatica si afferma che le molecole apolari e di piccole dimensioni diffondono nella membrana grazie alla diffusione semplice, quelle polari diffondono grazie a proteine di trasporto o attraverso canali proteici siti sulle proteine intrinseche della membrana cellulare.
L’osmosi è il particolare fenomeno dove la diffusione riguarda l’acqua. Separate dalla membrana cellulare possono esserci due soluzioni a diversa concentrazione. La più concentrata è detta ipertonica, l’altra ipotonica. Risulta chiaro che è presente una minor percentuale d’acqua nella soluzione ipertonica. L’acqua, per osmosi, tende a muoversi da dove è concentrata maggiormente (sol. ipotonica) verso la soluzione ipertonica fino a raggiungere una concentrazione omogenea. Le due soluzioni diventano così isotoniche. Il movimento dell’acqua è determinato solo dal gradiente di concentrazione.
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In un organismo animale è fondamentale mantenere isotonici citoplasma e liquido extracellulare (detto matrice): un liquido ipertonico farebbe migrare l’acqua oltre la membrana plasmatica sgonfiando le cellule; un liquido ipotonico farebbe gonfiare le cellule in modo pericoloso. Le cellule vegetali, invece, assorbono acqua che, immagazzinata nei vacuoli, genera pressione sulla parete cellulare dando turgidità al vegetale. Un’eccessiva perdita d’acqua, inoltre, farebbe staccare la membrana dalla parete della cellula provocandone la morte.
Il trasporto attivo, il cui motore è l’idrolisi dall’ATP, sposta le sostanze contro il gradiente di concentrazione bruciando energia chimica, affinché alcune reazioni possano essere portate a termine.
Esecuzione dell’esperienza
Preparazione del composto da osservare:
1. Apro la cipolla; 2. Prelevo un sottile strato della brattea rossa utilizzando lametta o pinzette; 3. Pongo sul vetrino porta oggetti il pezzettino di brattea; 4. Con la pipetta aggiungo una goccia d’acqua; 5. Copro il composto con il vetrino copri oggetti.
Preparazione del microscopio ottico e osservazione:
1. Colloco il tavolino porta oggetti al livello minimo con la vite macrometrica del microscopio; 2. Utilizzo l’obiettivo a ingrandimento minimo; 3. Accendo il microscopio; 4. Metto il vetrino sul tavolino porta oggetti; 5. Con le viti dei grandi e piccoli spostamenti ( macrometrica e micrometrica ) cerco di mettere a
fuoco il composto; 6. Compiuta la precedente messa a fuoco, ripeto l’operazione del punto 5. con l’obiettivo 10x; 7. Osservo il composto e lo disegno su carta; 8. Abbasso il tavolino porta oggetti al minimo e spengo il microscopio.
Aggiunta della soluzione H2O + NaCl e soluzione di glucosio:
1. Preparo una soluzione di acqua e cloruro di sodio e una di glucosio ed acqua; 2. Tolgo il vetrino copri oggetti dal composto; 3. Verso qualche goccia di una e dell’altra soluzione in due vetrini diversi; 4. Rimetto ai vetrini il copri oggetti; 5. Eseguo nuovamente i punti “Preparazione del microscopio ottico e osservazione”.
Osservazioni
Nel primo disegno osserviamo le cellule della brattea della cipolla: hanno forma con spigoli ben accentuati definiti dalla parete cellulare (spazio bianco tra le cellule in rosa). Con l’ingrandimento 10x (cui va sommato l’ingrandimento 10x delle lenti degli oculari per un totale di 100x) non si notano organuli all’interno del citoplasma (colore rosato -‐ rosso).
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Con l’aggiunta della soluzione salina o di quella di glucosio si osserva una riduzione di citoplasma. Si notano anche delle linee nere: esse evidenziano la membrana plasmatica staccatasi dalla parete cellulare. Si è dunque verificato un processo di osmosi attraverso il quale l’acqua contenuta nei vacuoli e, in parte, nel citoplasma è uscita dalla cellula, sgonfiandola e facendo staccare la membrana plasmatica (processo di plasmolisi). La soluzione è sicuramente ipertonica: per renderla isotonica a se stesse le cellule hanno ceduto acqua.
Conclusioni
Con l’aggiunta di una soluzione ipertonica rispetto all’ambiente cellulare abbiamo osservato l’osmosi dell’acqua. La soluzione era sicuramente ipertonica perché si è verificato anche il fenomeno della plasmo lisi: la membrana plasmatica si è staccata dalla parete cellulare, quindi i vacuoli
hanno ceduto acqua facendo raggrinzire e morire le cellule della cipolla rossa.
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Separazione mediante cromatografia su carta dei pigmenti di un inchiostro e di una foglia per le classi IV e V ginnasio
Introduzione La cromatografia è una tecnica di separazione che si basa sulla diversa velocità di migrazione che più sostanze sciolte in un solvente (eluente) hanno quando vengono depositate in un supporto adatto (carta da filtro, gel di silice o di allumina, ecc.) e vengono trasportate da un opportuno solvente, stratificandosi in punti diversi del supporto. La cromatografia permette quindi la separazione e la purificazione di miscele anche molto complesse di sostanze inorganiche ed organiche. Nella cromatografia su carta la fase fissa è costituita da una striscia di carta da filtro. I componenti della miscela da separare vengono depositate sotto forma di minuscole gocce ad una delle due estremità della striscia di carta. Quest'ultima viene inserita all'interno di un becher nel quale è presente un solvente il cui livello deve essere inferiore rispetto al punto in cui è stata depositata la miscela da separare.
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Dopo un certo intervallo di tempo il solvente risale lungo il foglio di carta per capillarità, trascinando, a velocità diverse, le sostanze solubili presenti nella miscela che vengono così separate.
Cromatografia su carta: procedura generale
In un barattolo di vetro munito di coperchio inseriamo circa mezzo centimetro dell'opportuno solvente (come di seguito indicato). Ritagliamo un rettangolo di carta da filtro di altezza inferiore a quella del barattolo. Sulla carta da filtro tracciamo con la matita una linea orizzontale a circa 1,5 cm dal fondo del foglio. Tramite un capillare pratichiamo la "semina", depositando più gocce della miscela da separare in corrispondenza della linea orizzontale. Poniamo il rettangolo di carta all'interno del recipiente in modo che resti in posizione orizzontale stando attenti che il punto della semina si trovi al di sopra del livello dell'eluente. Tappiamo il barattolo e lasciamo che il solvente, risalendo per capillarità, trascini con se, a velocità diversa, i vari componenti solubili della miscela. Togliamo la carta dal barattolo quando il solvente si trova a 1-‐2 cm dal bordo superiore del foglio di carta. Evidenziamo con la matita l'altezza raggiunta dal solvente e quindi lasciamo asciugare il foglio di carta. Osserviamo infine le macchie dei diversi componenti della miscela e misuriamo, tramite una riga millimetrata, la distanza dalla linea di partenza.
Separazione dei pigmenti di inchiostri:
Scopo dell'esperienza Separare tramite cromatografia su carta i componenti di un inchiostro. Attrezzature e strumenti Vaso di vetro minuto di coperchio Carta da filtro Capillare di vetro Riga millimetrata Materiali e reagenti Alcol etilico C2H5OH Acetone CH3COCH3 Penne a sfera e pennarelli di diversi colori e marche
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Procedimento Eluente: alcol etilico, acetone o una miscela dei due. Con pennarelli e penne a sfera di vari colori e di varie marche tracciare più punti sovrapposti sulla linea di partenza. Procedere come descritto in precedenza (procedura generale). -‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐
Separazione dei pigmenti da una foglia:
OBIETTIVO DELLA PROVA Estrazione e classificazione dei pigmenti di una foglia di Spinacia oleracea
Materiale utilizzato:
Alcune foglie di Spinacia oleracea (spinacio)
• Mortaio • Pestello • Pipetta Pasteur • Alcool etilico • Spatolina • Carta da cromatografia • Becher con coperchio • Eluente Avio (miscela di isomeri dell’esano e di cloropropano)
Premessa teorica La fotosintesi La fotosintesi clorofilliana è un processo con il quale, mediante la clorofilla, l'energia solare (luce) viene trasformata in una forma di energia utilizzabile dagli organismi vegetali per la propria sussistenza. La quasi totalità della fotosintesi è compiuta da piante e alghe (che ricavano l'idrogeno dall'acqua). L’equazione chimica che riassume il processo è: 6 CO2 + 6 H2O + Energia luminosa da C6H12O6 + 6 O2 La fotosintesi avviene in due fasi: una luminosa e una oscura. La prima comprende reazioni che possono avvenire solo in presenza di luce, mentre la seconda non richiede energia luminosa ed elabora i prodotti fotosintetici forniti dalla fase precedente. Nella fase luminosa la clorofilla, i carotenoidi e le ficocianine assorbono la luce nelle varie lunghezze d’onda tipiche di ogni pigmento e si ha la produzione di ATP e NADPH. Nella fase oscura viene invece sintetizzato il carbonio a partire dalla CO2. Cromatografia L'invenzione della cromatografia viene attribuita al biochimico russo Mikhail Cvet nel 1906, quando riuscì, con questa tecnica, a separare la clorofilla da un estratto vegetale. Con il termine cromatografia oggi si indicano in genere tutte le varie tecniche separative, applicabili a miscele di sostanze. La cromatografia è molto usata per l'analisi dei cibi, delle droghe, del sangue, dei prodotti petroliferi.
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Fasi di lavoro I. Abbiamo sminuzzato manualmente alcune foglie di spinaci all’interno del mortaio; II. Con il pestello e alcune gocce di alcool etilico abbiamo ridotto in poltiglia i frammenti di foglia facendo fuoriuscire un succo verde, ricco di pigmenti; III. Con la pipetta Pasteur abbiamo estratto alcune gocce di succo e tracciato sulla carta da cromatografia una lunga linea a circa 2 cm. dal bordo inferiore; IV. Abbiamo lasciato asciugare; V. In seguito abbiamo ripetuto un’altra volta le operazioni indicate ai punti III e IV ; VI. L’assistente di laboratorio ha versato nel becher una piccola quantità di eluente Avio; VII. Abbiamo inserito nel becher la carta da cromatografia; VIII. Abbiamo notato come l’eluente sia risalito attraverso la carta per capillarità; IX. Abbiamo notato come l’eluente, risalendo, abbia trascinato con sé i pigmenti che si trovavano nella linea che avevamo tracciato. Conclusioni Durante questa esperienza abbiamo notato come l’eluente, risalendo attraverso la carta, abbia diviso e reso riconoscibili i vari pigmenti presenti nelle foglie, trascinando più in alto quelli più leggeri. In questo elenco sono indicati i pigmenti riconosciuti nell’ordine in cui l’eluente li ha fatti emergere. Clorofilla A e B Verde intenso Xantofilla Verde giallastro Carotenoidi Giallo intenso -‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐-‐
Misurazioni dirette e indirette per le classi IV ginnasio
Lo scopo delle esperienze tenutesi in laboratorio è quello di misurare il volume di determinati solidi con misurazioni dirette e indirette per stabilire quale delle due è più conveniente utilizzare in determinate situazioni. Materiale utilizzato Per l’esperienza abbiamo utilizzato: Ø 3 solidi di differenti materiali e dimensioni; Ø un righello (sensibilità=1mm);
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Ø un cilindro graduato (sensibilità=1ml); Ø uno spruzzino. Premessa teorica Una misurazione si può ottenere in due differenti modi: direttamente o indirettamente. Una misurazione diretta è tale quando non dobbiamo utilizzare formule e calcoli per ottenere il risultato: leggiamo il numero sullo strumento di misura. Sono pertanto misure dirette, ad esempio, la lunghezza e la massa. Le misurazioni indirette, invece, sfruttano formule matematiche applicandole a misure di altre grandezze per ottenerne una derivata e giungere al risultato. Alcuni esempi sono la densità e la velocità. Le misurazioni dirette sono in genere più affidabili, ma non sempre è possibile applicarle o può essere più conveniente utilizzare quelle indirette. Appunto per questo lo scopo delle esperienze è, come già detto, capire in che casi è più corretto utilizzare le une o le altre. Il materiale utilizzato è semplice e non sono necessari difficili passaggi per compiere le misurazioni. L’unico strumento nuovo è il cilindro graduato, oggetto in vetro che contiene liquidi. Le misurazioni si leggono grazie ad un a serie di tacche orizzontali poste sul cilindro stesso. Ognuna di queste vale 1ml, cioè 1cm3. Lo spruzzino contiene l’acqua che abbiamo usato durante l’esperienza. Montaggio ed esecuzione dell’esperienza -‐ Misurazione indiretta: per prima cosa ho misurato con il righello le dimensioni dei tre solidi e ho calcolato il volume. Anche i miei due compagni hanno eseguito lo stesso procedimento. Avevamo, così, tre misurazioni del volume e abbiamo adottato come misurazione reale la media delle tre. Abbiamo registrato tutti i dati sui nostri quaderni e siamo passati alla misurazione diretta. -‐ Misurazione diretta: con lo spruzzino abbiamo versato nel cilindro graduato 30 ml d’acqua. Per versare la giusta quantità di liquido bisogna procedere nel seguente modo: a. si immette una quantità di acqua che si avvicina a quella desiderata; b. il liquido tende ad essere più alto ai bordi, come se si arrampicasse: si forma quindi una
superficie concava, in gergo un menisco; c. le ultime gocce si devono versare con lo sguardo perpendicolare al cilindro graduato e
all’altezza della tacca considerata. Quando il fondo del menisco si trova sulla tacca desiderata abbiamo raggiunto la quantità di liquido necessaria.
Dopo aver versato 30 ml d’acqua, abbiamo inserito nel cilindro il cubetto. Considerando che un corpo immerso in un liquido sposta una quantità di liquido pari al volume dell’oggetto, l’acqua si è alzata di livello nel cilindro graduato. Da questo consegue che la differenza tra il livello dell’acqua e i 30 ml versati in origine costituisce il volume dei cubetti.
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N.B.: il più grande dei tre solidi non è stato misurato con il metodo diretto a causa del fatto che il cilindro graduato non era sufficientemente largo per contenerlo. Dati e loro elaborazione Sono riportate le tabelle che raccolgono i dati delle misurazioni indirette (1) e quelle dirette (2). Volume calcolato con formule geometriche
Solido Misura 1 [cm]
Misura 2 [cm]
Misura 3 [cm]
Volume 1 [cm3]
Volume 2 [cm3]
Volume 3 [cm3]
Solido 1: l1
1.2 1.2 1.2
l2 1.3 1.3 1.3 1.8 1.8 1.8 l3 1.2 1.2 1.2
Solido 2: l1
1.2 1.2 1.2
l2 1.2 1.2 1.2 1.7 1.7 1.7 l3 1.2 1.2 1.2
Solido 3: l1
8.8 8.8 8.8
l2 2.5 2.5 2.5 13.2 13.2 13.2 l3 0.6 0.6 0.6
Volume per immersione
Solido Misurazione 1 [cm3] Misurazione 2 [cm3] Misurazione 3 [cm3] Solido 1 2 2 2
Solido 2 2 2 2
Osserviamo che il metodo diretto, il secondo utilizzato, ha dato in tutti i casi lo stesso volume, mentre il primo, il metodo indiretto, ha dato risultati più precisi. E’ necessario ricordare, però, che generalmente è il contrario, in quanto ci avvaliamo di un procedimento più veloce e con meno errori che si propagano durante i calcoli. Conclusioni Ho ottenuto il volume dei solidi in due modi differenti e ho accertato che, nel nostro caso, il primo metodo (indiretto) si è rivelato più preciso. Con la misurazione diretta, infatti, avremmo potuto pensare che i due solidi avessero lo stesso volume, fatto dimostratosi falso con la misurazione indiretta. Ho spiegato perché prima di ogni misurazione eseguibile con i due metodi, è opportuno domandarsi quale dei due sia più conveniente utilizzare, in quanto, come illustrato nelle due tabelle, non sempre le misurazioni dirette garantiscono i dati più affidabili.
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I miscugli ed i composti per le classi IV e V ginnasio
Materiali occorrenti:
Zolfo in polvere -‐ Ferro limatura -‐ Acido cloridrico sol. 1:3 -‐ Solfuro di carbonio -‐ Calamita – Mortaio -‐ Vetreria. Richiami teorici:
Per miscuglio si intende un insieme di sostanze che mantengono inalterate le loro caratteristiche originarie e che sono separabili con mezzi fisici semplici.
Per composto si intende una sostanza con caratteristiche proprie che differiscono da quelle delle sostanze che lo hanno originato. Le sostanze originarie, elementi, sono sempre in rapporto costante. E' possibile ricavare gli elementi da un composto solo utilizzando dei sistemi chimico-‐fisici complessi ( es. elettrolisi ).
Esecuzione dell'esperienza:
Parte prima: analisi dei comportamenti chimico-‐fisici dei reagenti:
Si dispone su un vetro da orologio una piccola quantità di limatura di ferro. Su un secondo vetro da orologio se ne dispone una di polvere di zolfo.
Avvicinando una calamita alle due sostanze si osserva che il ferro risente del campo magnetico essendo attratto dalla calamita. Diversamente lo zolfo non è attratto e, quindi, non risente della vicinanza di un campo magnetico.
Si recupera il ferro che aderisce alla calamita ponendolo in una provetta. In una seconda provetta si mette una piccola spatolata di polvere di zolfo. Si aggiungono ad entrambe 2 mL circa di acido cloridrico sol. 1:3.
Si osserva che il ferro si consuma rapidamente con formazione di una soluzione di colore grigiastro, e sviluppo imponente di gas, secondo la reazione:
Fe + 2HCl -‐-‐-‐-‐-‐> FeCl2 + H2 ↑
Nella seconda provetta si nota, invece, che lo zolfo non si è sciolto e che una parte galleggia alla superficie: non è avvenuta, infatti, alcuna reazione.
In altre due provette si pongono un paio di mL di solfuro di carbonio; si pone una punta di spatola di polvere di ferro in una delle due provette e nella seconda una simile quantità di zolfo ; si osserva che il ferro non dà alcuna reazione con il solfuro di carbonio, mentre lo zolfo rapidamente si solubilizza, dando una soluzione debolmente gialla.
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Parte seconda : formazione del miscuglio ed analisi del suo comportamento:
Si pesano 5.6 g. di limatura di ferro e 3.2 g. di polvere di zolfo; si pongono i due elementi in un piccolo mortaio o in un crogiolo mescolando e pestando la massa, fino ad ottenere una polvere uniforme di colore grigio chiaro; si suddivide il tutto in tre parti.
Si prende la prima ponendola su un vetro da orologio avvicinando ad essa una calamita. Si osserva la separazione della polvere di ferro che aderisce alla calamita risentendo del campo magnetico; nel vetro resta solo la polvere di zolfo.
Si prende la seconda parte di polvere e la si pone in una provetta aggiungendo 2 mL circa di acido cloridrico sol. 1:3. Si nota che il ferro reagisce colorando la soluzione di giallo-‐bruno, mentre lo zolfo resta inalterato, tendendo a disporsi alla superficie.
La reazione che avviene può essere così descritta:
(Fe + S) + 2HCl -‐-‐-‐-‐> FeCl2 + H2 ↑+ S
Infine, si pone la terza aliquota in una provetta contenente 1 o 2 mL di solfuro di carbonio. Si nota che lo zolfo si scioglie completamente, ingiallendo la soluzione, mentre il ferro non dà alcuna reazione, depositandosi sul fondo.
Le prove sopra effettuate indicano chiaramente che ci troviamo di fronte ad un miscuglio.
Parte terza: formazione del composto ed analisi del suo comportamento:
Si prepara un miscuglio come nella fase precedente, avendo l'accortezza di aggiungere un eccesso di zolfo, circa 1 o 2 g ( vedere nota operativa ) e lo si pone in un tubo da saggio asciutto. Si avvicina il tubo alla fiamma di un bunsen, tenendolo con una pinza, e lo si arroventa gradualmente; dopo di ciò si lascia raffreddare il tutto per alcuni istanti e si rompe il vetro recuperando la massa di colore scuro che si è formata.
Si raccoglie la stessa nel mortaio, la si riduce in polvere e la si suddivide in tre parti.
Si pone la prima parte su un vetro da orologio, avvicinando la calamita; non si nota alcuna influenza del campo magnetico.
Si pone la seconda parte in una provetta e la si fa reagire con l'acido cloridrico; si verifica una reazione chimica con produzione di un gas dall'odore di uova marce, l'acido solfidrico ed il progressivo annerimento della soluzione, secondo la reazione:
FeS + 2HCl -‐-‐-‐-‐-‐-‐> FeCl2 + H2S ↑
Si pone, per ultimo, la restante parte in una provetta contenente 1 o 2 mL di solfuro di carbonio, osservando che nessun fenomeno chimico-‐fisico ha luogo.
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Questi fatti indicano chiaramente un comportamento chimico diverso da quello degli elementi di origine e, quindi, l'avvenuta formazione di un composto, il solfuro di ferro II, secondo la reazione:
T Fe + S -‐-‐-‐-‐-‐-‐> FeS
Nota operativa: la formazione del solfuro di ferro, affinchè esso abbia le descritte caratteristiche, deve avvenire con un completo arroventamento. Poichè lo zolfo tende a fondere e ad evaporare è necessario operare con eccesso dello stesso. In caso contrario parte del ferro non reagisce conferendo al composto una relativa capacità a risentire del magnetismo.
Prestare molta attenzione nell'uso del solfuro di carbonio, evitando di avvicinarlo a fiamme; se possibile operare sotto cappa.
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La densità è una proprietà intensiva per le classi IV ginnasio
Titolo Densità
Obiettivo
• Determinare la densità di alcuni campioni allo stato solido e riconoscerli dal confronto con dati tabulati.
• Verificare se la densità é una grandezza intensiva o estensiva.
Cenni teorici
Densità: Grandezza fisica che esprime il rapporto tra la massa ed il volume, nel S.I. viene misurata in Kg/m3
Massa: Quantità di materia contenuta in un corpo, la sua unità di misura è il Kg.
Peso:E' la forza con cui un oggetto è attratto dalla Terra o da
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qualsiasi altro grande corpo.
Volume: Spazio tridimensionale occupato da un oggetto. Materiali
usati Asta metallica, pinza a ragno, buretta, becher, bilancia tecnica, campioni di vari metalli, calibro, spruzzetta.
Sostanze utilizzate
Acqua. H2O
Disegno schematico
Procedimento
A ciascun gruppo vengono assegnati dei campioni dello stesso materiale, di forma cilindrica e di dimensioni diverse tra loro. Su ognuno dei campioni vengono effettuate le seguenti operazioni: Determinare la massa del campione utilizzando la bilancia tecnica, annotare il valore in tabella. Riempire la buretta con acqua e dopo averla portata ad un volume noto ad es. 30 ml introdurre il primo campione nella buretta. Annotare il secondo volume nella tabella. Dalla differenza delle due letture si avrà il volume del campione. Con questo metodo il volume viene determinato direttamente. Dal rapporto fra lamassa del campione ed il suo volume si determina la densità. Utilizzando il calibro ventesimale misurare l'altezza ed il diametro del campione, annotare i dati in tabella. Il volume sarà calcolato utilizzando la formula Sb* h, cioè (3,14*raggio2*altezza). Dal rapporto massa/volume si determina la densità, in questo caso col metodo indiretto.
Conclusioni • Dal confronto tra la densità media ottenuta e i valori
di densità tabulati, si può identificare il campione, nel nostro caso esso è costituito da rame.
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• Dai dati riportati in tabella, tenuto conto dei possibili errori sperimentali, si osserva che all'aumento della massa corrisponde un aumento di volume, mentre il rapporto dei due parametri( M.e V.) resta sostanzialmente costante. Quindi si può concludere che la densità non dipende dalle dimensioni dei campioni esaminati. La densità é pertanto una grandezza intensiva.
Tabella dati
Campioni
Massa campione(
g)
Volume iniziale(ml)
Volume finale(ml
)
Vi-Vf (ml
)
Densità diretta(g/m
l)
V=Sb*h
Densità indiretta(g/m
l)
5 7.58 20 19.1 0.9 8.42
4 8.39 21 20 1 8.39
2 9.62 10 8.9 1.1 8.74
3 14.00 25 23.3 1.7 8.23
1 17.67 30 27.8 2.2 8.83
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Soluzioni e molarità per le classi V ginnasio e prime liceo Finalità: Creare soluzioni a molarità nota.
Materiale utilizzato
1. Becher. 2. Pipetta. 3. Bacchetta in vetro per miscelare. 4. Cilindro graduato (sensibilità: 1ml).
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5. Bilancia elettronica (sensibilità: 0.01g) 6. Sostanze utilizzate:
a. Cloruro di sodio (NaCl) b. Solfato di rame pentaidrato (CuSO4*5H2O) c. Acqua distillata (H2O)
Premessa teorica
Una soluzione è un miscuglio omogeneo di due o più sostanze. Il materiale più abbondante è chiamato solvente, i materiali presenti in quantità minore sono definiti soluti.
Un miscuglio si definisce omogeneo se si distingue una sola fase, una porzione di materia delimitata con proprietà intensive uniformi.
Definizione di mole: una mole di una sostanza è una quantità di sostanza che contiene un numero definito di particelle.
Il concetto di mole può essere utilizzato per esprimere la concentrazione di una soluzione, che si definisce come rapporto tra la quantità di soluto e una quantità unitaria di soluzione. Considerando però moli di soluto e litri di soluzione in cui il soluto è disciolto otteniamo la molarità, o concentrazione molare, di una soluzione.
La molarità (unità di misura: mol/l o M) di una soluzione si calcola con la formula: M=n/V. La molarità è il rapporto tra il numero di moli di soluto e il volume (espresso in litri) della soluzione.
Il numero di moli (unità di misura: mol) presenti in una quantità di una certa sostanza si calcola con la formula: n=m/M. Il numero di moli è uguale alla massa in grammi di campione fornito diviso per la massa molare, espressa in grammi mole, della sostanza.
Prima parte
Montaggio ed esecuzione dell’esperienza
1. Calcolo la quantità di soluto: a. Calcolo il numero di moli di NaCl: n=M*V (molarità della soluzione * volume) b. Calcolo la massa di soluto necessaria: m=n*MM (numero di moli*massa
molecolare)
2. Preparo la soluzione: a. Taro il becher b. Metto la quantità di soluto richiesta (0.14g) pesandola con la bilancia elettronica c. Aggiungo un po’ di acqua distillata d. Sciolgo il soluto con la bacchetta per miscelare e. Verso la soluzione nel cilindro graduato f. Facendo attenzione al menisco, aggiungo acqua distillata
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g. Al fine di operare con maggiore precisione uso una pipetta per raggiungere il volume di soluzione desiderato (26ml).
Dati e loro elaborazione
NaCl Gruppo Molarità [M] Volume soluzione [ml] massa soluto [g] 1 0.12 25 0.17 2 0.14 27 0.22 3 0.16 29 0.27 4 0.21 32 0.39 5 0.19 30 0.29 6 0.23 41 0.55 7 0.11 31 0.20 8 0.09 26 0.14 9 0.20 39 0.45
Calcolo il numero di moli: n=M*V=0.09M*0.026l=0.00234mol
Calcolo la massa molecolare di NaCl: MM=MaNa+MaCl=22.99u+35.45u=58.44u
Massa molare di M(NaCl)=58.44g/mol
Calcolo la massa di NaCl: m(NaCl)=n*M=0.00234mol*58.44g=0.14g
Seconda parte
Montaggio ed esecuzione dell’esperienza
1. Calcolo la quantità di soluto: a. Calcolo il numero di moli di CuSO4*5H2O: n=M*V (molarità della soluzione *
volume) b. Calcolo la massa di soluto necessaria: m=n*MM (numero di moli*massa
molecolare)
2. Preparo la soluzione: a. Taro il becher b. Metto la quantità di soluto richiesta (3.44g) pesandola con la bilancia elettronica c. Aggiungo un po’ di acqua distillata d. Sciolgo il soluto con la bacchetta per miscelare e. Verso la soluzione nel cilindro graduato f. Facendo attenzione al menisco, aggiungo acqua distillata g. Al fine di operare con maggiore precisione uso una pipetta per raggiungere il
volume di soluzione desiderato (46ml).
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Dati e loro elaborazione
CuSO4*5H2O Gruppo Molarità [M] Volume soluzione [ml] massa soluto [g] 1 0.09 46 1.03 2 0.12 46 0.38 3 0.15 46 1.72 4 0.18 46 2.06 5 0.21 46 2.41 6 0.24 46 2.76 7 0.27 46 3.10 8 0.30 46 3.44 9 0.33 46 3.74
Calcolo il numero di moli: n=M*V=0.30M*0.046l=0.0138mol
Calcolo la massa molecolare di CuSO4*5H2O: MM=MACu+MaS+4MAO+10MAH+5MAO=249.7u
Massa molare di M(CuSO4*5H2O)=249.7g/mol
Calcolo la massa di CuSO4*5H2O: m(CuSO4*5H2O )=n*M=0.0138mol*249.7g=3.44g
Conclusioni
Per mezzo dei calcoli necessari siamo riusciti a preparare una soluzione a molarità nota.
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IDROLISI SALINA PER LE CLASSI SECONDE LICEO
Materiali occorrenti:
Ammonio cloruro -‐ Ammonio acetato -‐ Sodio cloruro -‐ Sodio acetato -‐ Rame solfato -‐ Sodio carbonato -‐ Potassio nitrato -‐ Cartine all'indicatore universale -‐ Vetreria.
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Richiami teorici:
Per idrolisi salina si intende una riassociazione completa o parziale di ioni di un sale in molecole che avviene quando detto sale deriva da una base e da un acido di differente forza o da una base e da un acido entrambi deboli.
Esecuzione dell'esperienza:
In tutte le quattro fasi si scioglie una spatolata del sale in 20/30 mL di acqua distillata posti in un becher; si immerge una cartina all'indicatore universale e si misura il pH.
Parte prima: sale da acido forte e base debole: soluzione di NH4Cl:
Nella soluzione sono presenti: molecole di H2O indissociate e gli ioni: , Cl -‐, H3O+, OH -‐.
Gli ioni H3O+ e Cl -‐non sono in grado di riassociarsi per dare una molecola di HCl in quanto trattasi di acido forte e, quindi, completamente dissociato ( Ka = 1 ·∙ 10 7 mol/L ).
Tra gli ioni e OH -‐ è possibile la reazione, in quanto NH4OH è una base debole e, quindi poco dissociata ( Kb= 1.8 ·∙10 -‐5 mol/L ); per questo si ha l'equilibrio:
NH4+ + OH -‐ -‐-‐-‐-‐-‐> NH3 ·∙ H2O.
Questa reazione consuma OH -‐ e poichè [ H3O+ ][ OH -‐ ] = 1 ·∙ 10 -‐14, delle molecole di H2O si dissociano in H3O+ e OH -‐ fino a portare la Kw = 1 ·∙10 -‐14.
Gli equilibri sono due:
NH4+ + OH -‐-‐-‐-‐-‐-‐> NH3 ·∙ H2O e
2H2O -‐-‐-‐-‐-‐> H3O+ + OH -‐
Si ha pH < 7 per eccesso di ioni H3O+ rispetto agli ioni OH -‐.
In alternativa o a complemento possibile effettuare un'idrolisi di questo tipo utilizzando del solfato di rame II.
In questo caso, nella soluzione sono presenti: molecole di H2O indissociate e gli ioni: Cu2+, H3O+, OH -‐. Tra gli ioni H3O+ e OH -‐non c'è possibilità di riassociazione in quanto H2SO4 è un acido forte ( Ka = 1 ·∙10 3 mol/L ) e, quindi, completamente dissociato.
Tra gli ioni Cu2+ e OH -‐ è possibile la reazione, in quanto Cu(OH)2 è una base debole per cui si ha l'equilibrio:
Cu2+ + OH -‐-‐-‐-‐-‐-‐> Cu(OH)2.
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Anche qui molecole di H2O si dissociano per portare la Kw = 1 ·∙10 -‐14 ; esse non sono, tuttavia, sufficienti a ripristinare del tutto la neutralità, per cui si ha un pH < 7.
Parte seconda: sale da acido debole e base forte: soluzione di CH3COONa:
Nella soluzione sono presenti: molecole di H2O indissociate e gli ioni: Na+, CH3COO -‐, H3O+, OH -‐.
Tra gli ioni Na+ e OH -‐ non c'è possibilità di riassociazione in quanto NaOH è una base forte ( Kb= 5 mol/L ) e quindi completamente dissociata.
Tra CH3COO -‐ e H3O+ si ha l'equilibrio:
CH3COO -‐ + H3O+ -‐-‐-‐-‐-‐> CH3COOH + H2O.
Questa reazione fa diminuire il numero di H3O+ in soluzione, per cui si ha:
2H2O -‐-‐-‐-‐-‐> H3O+ + OH -‐
Il pH è > 7 per eccesso di OH -‐ rispetto H3O+.
In alternativa o a complemento possibile effettuare un'idrolisi di questo tipo utilizzando carbonato di sodio.
Nella soluzione sono presenti molecole di H2O indissociate e gli ioni: Na+ , H3O+, OH -‐ e CO32+ ( in
questo caso, semplificando).
Tra gli ioni Na+ e OH -‐ non è possibile una riassociazione in quanto NaOH una base forte ( Kb= 5 moli/L ) e quindi completamente dissociata.
Tra CO32+ e H3O+ si ha l'equilibrio:
CO32+ + H3O+ -‐-‐-‐-‐-‐> H2CO3 + 2H2O.
Anche questa reazione fa diminuire il numero di H3O+ in soluzione, per cui si dissociano molecole di acqua per cercare di riportare la Kw = 1 ·∙10 -‐14 ; questo non è, tuttavia, sufficiente, per cui si ha un pH < 7.
Parte terza: sale da acido forte e base forte: soluzione di NaCl:
Nella soluzione sono presenti: molecole di H2O indissociate e gli ioni: Na+, Cl -‐, H3O+ , OH -‐ .
Non è possibile alcuna riassociazione in quanto NaOH e HCl sono rispettivamente base ed acido forti e, quindi, completamente dissociati.
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Il pH resta quindi neutro ( = 7 ).
In alternativa o a complemento è possibile effettuare un'idrolisi di questo tipo utilizzando nitrato di potassio.
Parte quarta: sale da acido debole e base debole: Soluzione di CH3COONH4:
Nella soluzione sono presenti: molecole di H2O indissociate e gli ioni: CH3COO -‐ , NH4+ ,
H3O+, OH -‐.
L'acetato di ammonio in soluzione reagisce con H2O e per retrocessione ionica dà un po' di CH3COOH e un po' di NH4OH indissociati. Questi sono elettroliti deboli.
La reazione è:
CH3COONH4 + 2H2O -‐-‐-‐-‐-‐> CH3COO -‐ + NH4+ + H3O+ + OH -‐
In generale si può dire che un sale proveniente da una base debole e da un acido debole in soluzione acquosa si idrolizza e la soluzione reagisce acida, neutra o basica a seconda che l'acido sia meno debole, ugualmente debole o più debole della base.
Determinazione dell'acidità del succo di limone per le classi seconde liceo
Materiali occorrenti:
Limone - Idrossido di sodio sol. 0.1 M - Fenolftaleina sol. 1% - Buretta da 50 mL - Filtri in carta - Vetreria.
Esecuzione dell'esperienza:
Si spreme completamente un limone in un becker da 100 mL. Si filtra il succo utilizzando un filtro rapido in carta ( ad es. filtro a banda nera o filtro Wathman 113 o 91 ), se ne prelevano,
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con pipetta tarata o graduata, 2 mL versandoli in una beuta da 250 mL; si aggiungono 100 mL circa di acqua distillata e 3 o 4 gocce di fenolftaleina sol. 1% quale indicatore; la soluzione rimane, ovviamente, incolore.
Si riempie la buretta con 50 mL di idrossido di sodio sol. 0.1 M, si pone la beuta sotto il rubinetto e si procede alla titolazione, gocciolando lentamente il titolante ed agitando la beuta.
Al punto di viraggio al rosa-violetto dell'indicatore si chiude il rubinetto della buretta e si annota la quantità di idrossido di sodiosol. 0.1 M consumata.
A questo punto tutto l'acido citrico presente nel succo di limone è stato neutralizzato dall' idrossido di sodio con la reazione:
Come si vede per neutralizzare una mole di acido citrico, idrossiacido alifatico tricarbossilico, sono necessarie 3 moli diidrossido di sodio, per cui il numero di moli presenti nella quantità di idrossido di sodio gocciolata è 3 volte il numero di moli diacido citrico presenti nei 2 mL di succo di limone.
Si sono utilizzati 20 mL di NaOH sol. 0.1 M per titolare 2 mL di succo di limone; calcoliamo le moli presenti:
Con la formula: nmoli = M · VL si ha :
nmoli = 0.1 · 0.02 per cui, nmoli = 0.002
ovvero, con la proporzione V1 : M1 = V2 : Mx si ha:
1000 : 0.1 = 20 : x x = 20 0.1 / 1000 x = 0.002
Il valore ricavato corrisponde al numero di moli presenti nei 20 mL di idrossido di sodio sol. 0.1 M, per cui il numero di moli diacido citrico presenti in 2 mL di succo di limone è 1/3 di tale valore, cioè nmoli = 0.00066.
Da questo valore si può risalire al titolo molare dell'acido citrico del succo di limone con la proporzione:
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0.00066 : 2 = x : 1000 x = 1000 0.00066 / 2 x = 0.33 M
Il succo di limone è, quindi, una soluzione 0.33 M di acido citrico.
E' possibile, poi, trasformare il valore molare in concentrazione g/L moltiplicando il numero di moli per la massa molecolare relativa dell'acido citrico ( = 192.13 ):
0.33 192.13 = 63.40 g/L
ovvero circa il 6 %.
Infatti il succo di limone contiene circa il 6 % di acido citrico e presenta una concentrazione idrogenionica circa 2 · 10 -3 M che determina un pH = 2.8.
La pila Daniell per le classi seconde liceo
Materiali occorrenti:
Lamine di rame, zinco, magnesio - Soluzioni 0.1 M di solfato di rame II, solfato di zinco, solfato di magnesio - Soluzione concentrata di cloruro di ammonio - Voltmetro - Tester - Cavi di collegamento - Vetreria.
Richiami teorici:
Le ossidoriduzioni consistono in un flusso di elettroni dall'elemento meno elettronegativo a quello più elettronegativo; tale flusso altro non è che energia elettrica. Se teniamo separate le due semireazioni in modo tale che il flusso compia un percorso esterno al sistema di reazione, è possibile trasformare l'energia in lavoro.
Il lavoro svolto dal flusso di elettroni si chiama f.e.m. ( forza elettromotrice ) o potenziale elettrico.
I sistemi che trasformano una redox in un potenziale si dicono celle elettrochimiche o pile elettrochimiche.
Una pila è formata da due elementi galvanici ( semicelle ) formati ognuno da una lamina metallica immersa in una soluzione salina dello stesso metallo.
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I due elementi sono collegati da un ponte salino ( tubo ad U contenente una soluzione concentrata, ad es., di KNO3 o di NH4Cl, ) che permette la migrazione degli ioni al fine di mantenere elettricamente neutre le soluzioni senza il completo mescolamento delle stesse; tale evenienza farebbe, infatti, sì che gli ioni possano scambiarsi direttamente per contatto gli elettroni senza generare alcuna f.e.m.. Il ponte salino può essere sostituito da un setto poroso con la stessa funzione.
Le due lamine metalliche sono collegate con fili elettrici ad un circuito esterno comprendente un utilizzatore, in genere un voltmetro o un multimetro. Nel circuito passeranno gli elettroni partendo dall'elettrodo che ne possiede di più, ovvero quello della semicella ove si ha l'ossidazione ( anodo o polo negativo ), per giungere all'elettrodo della semicella ove si ha la riduzione (catodo o polo positivo ). Attraverso il voltmetro o il multimetro è possibile misurare la f.e.m. generata.
Quando il sistema raggiunge l'equilibrio, il processo ha termine.
Potenziale standard ( E0 ): si intende il potenziale di una redox che si svolge a 25 °C e a 1 atm. tra un elettrodo di un qualsiasi metallo in una soluzione 1 M di un suo sale ed un elettrodo ad idrogeno.
Esecuzione dell'esperienza:
Parte prima: cella Zn // Cu :
Si pongono in un becker ca. 100 mL di soluzione 0.1 M di solfato di rame immergendo la lamina di rame. In un secondo becker si pone una identica quantità di solfato di zinco sol. 0.1 M immergendo la laminetta di zinco. Si collegano con due fili di diverso colore la lamina di rame all'ingresso positivo del voltmetro e la lamina di zinco all'ingresso negativo.
Si riempie completamente il tubo ad U di soluzione concentrata di nitrato di potassio, tappando le due estremità con due batuffoli di cotone; il tubo serve, come detto, da ponte salino.
Si rovescia il ponte salino, controllando che vi sia continuità e si immergono i tubi nei due beckers. Se tutto è stato fatto correttamente, sul voltmetro si può osservare una f.e.m. di 1.1 volts circa.
Detta f.e.m. è data dalla differenza tra i potenziali dei due elettrodi:
E = E0 (Cu2+
/ Cu) - E0 (Zn2+
/ Zn) = 0.34 - (- 0.76) = 1.1 volts
La reazione di ossidoriduzione che si è verificata è la seguente:
ossidazione Zn ----> Zn2+ + 2e
riduzione Cu2+ + 2e ----> Cu --------------------------------- Zn + Cu2+----> Zn2+ + Cu
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Lo zinco funziona da anodo ( polo negativo ) e, quindi si ossida consumandosi, mentre il rame funziona da catodo ( polo positivo ) riducendosi e, quindi, aumentando di volume.
Se si dispone di un amperometro o di un multimetro, collegandolo al posto del voltmetro, è possibile misurare l'intensità della corrente.
Parte seconda: Cella Mg // Cu:
Si opera come nella fase seguente, sostituendo il becker della semipila Zn con un becker contenente 100 mL circa di soluzione 0.1 M di solfato di magnesio ed immergendo una lamina di magnesio.
Si osserverà una f.e.m. di circa 2.71 volts.
Detta f.e.m. è data dalla differenza tra i potenziali dei due elettrodi:
E = E0 (Cu2+
/ Cu) - E0 (Mg2+
/ Mg) = 0.34 - (- 2.37) = 2.71 volts
La reazione di ossidoriduzione che si verifica è la seguente:
ossidazione Mg ----> Mg2+ + 2e
riduzione Cu2+ + 2e ----> Cu --------------------------------- Mg + Cu2+ ----> Mg2+ + Cu
Il magnesio funziona da anodo ( polo negativo ) e, quindi si ossida consumandosi, mentre il rame funziona da catodo ( polo positivo ) riducendosi e, quindi, aumentando di volume.
Anche in questo caso è possibile misurare l'intensità della corrente con l'ausilio di un amperometro.
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La pila Daniell
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Dissezione del cuore di maiale
per le classi seconde liceo
OBIETTIVI:
• Riconoscimento delle parti anatomiche del cuore: 1. Coronarie; 2. Vasi Sanguigni in ingresso (Vene Cave, Vene Polmonari); 3. Vasi Sanguigni in uscita (Aorta, Arteria Polmonare); 4. Muscoli Pettinati, Papillari, Corde Tendinee; 5. Valvole Atrioventricolari (Bicuspide, Tricuspide); 6. Valvole Semilunari (Aorta, Arteria Polmonare);
• • Ricostruzione del circolo sanguigno;
STRUMENTI, APPARECCHI e SOSTANZE: • Bisturi; • Forbici; • Guanti di plastica; • Mascherina; • Tubo di Plastica; • Vaschetta di plastica, • Pinzetta;
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• Cuore di suino; RELAZIONE:
CONOSCENZE TEORICHE:
Il cuore è l’organo più importante del nostro organismo, esso ha la funzione di pompare il sangue in tutto il corpo senza mai fermarsi. È formato da tessuto muscolare cardiaco, il miocardio, rivestito da una sottilissima membrana epiteliale detta endocardio e da una membrana protettiva esterna detta pericardio. Il cuore è contenuto nel mediastino del torace, tra i due polmoni, proprio per essere protetto dalle costole.
Esso è situato per 1/3 nella parte destra del corpo e per 2/3 nella parte sinistra; la punta è rivolta a sinistra.
Il cuore può raggiungere i 10 cm di lunghezza, 10 cm di larghezza e 5 cm di spessore, per un peso di circa 300 grammi nell’adulto.
La sua conformazione è caratterizzata dalla presenza di quattro cavità: due superiori (gli atri) e due inferiori (i ventricoli). La parte destra e la parte sinistra del cuore sono completamente separate dal setto interatriale e dal setto interventricolare. L’atrio e il ventricolo destro comunicano tra di loro per mezzo della valvola tricuspide, chiamata così perché presenta 3 lembi; l’atrio e il ventricolo sinistro comunicano per mezzo della bicuspide formata da 2 lembi.
Il cuore arriva a battere mediamente 100.000 volte in un giorno, pompando circa 5 litri di sangue al minuto in condizioni di riposo e 25 litri in stato di stress fisico. Il cuore compie due movimenti: la contrazione, detta sistole e il rilassamento, detto diastole. Quando il cuore si contrae, gli atri si contraggono spingendo il sangue nei ventricoli. Una volta riempiti, i due ventricoli si contraggono e spingono il sangue fuori dal cuore.
La circolazione sanguigna si divide in due sezioni: la grande circolazione e la piccola circolazione. La grande circolazione origina dal ventricolo sinistro passando per l’arteria aorta e concludendo nelle vene cave che portano all’atrio destro del cuore. Durante questa circolazione, il sangue porta le sostanze nutritive alle cellule e riceve le sostanze di scarto trasformandosi così da sangue arterioso a sangue venoso.
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La piccola circolazione ha origine dal ventricolo destro comprendendo le vene e l’arteria polmonari che sfociano nell’atrio sinistro del cuore. Nella piccola circolazione il sangue circola nei polmoni, all’interno dei quali il sangue cede l’anidride carbonica e assume ossigeno per trasportarlo in tutte le cellule del corpo tramite la grande circolazione.
L’arteria polmonare e l’arteria aorta sono entrambe provviste di una valvola a forma di “coppetta” chiamate in corrispondenza semilunare polmonare e semilunare aortica che hanno lo scopo di impedire al sangue di tornare nel ventricolo. I ventricoli, come gli atri, si contraggono contemporaneamente, pertanto le due valvole semilunari si aprono e si chiudono contemporaneamente. Le valvole bicuspide e tricuspide sono aperte attraverso i muscoli papillari che sono agganciati alle estremità dei cuspidi per mezzo delle corde tendinee.
I muscoli pettinati sono chiamati così perché la loro forma ricorda i denti del pettine. Essi hanno il compito di potenziare la capacità contrattile delle pareti degli atri senza aumentarne lo spessore e la massa muscolare.
Il sangue che passa all’interno degli atri e dei ventricoli non entra nei tessuti del cuore fornendo sostanze nutritive, ma viene solo pompato. Per nutrirsi, il cuore possiede una circolazione coronarica formata da vasi sanguigni che portano sangue al muscolo cardiaco. I vasi che portano sangue ricco di ossigeno si chiamano arterie coronarie epicardiali. Esse hanno origine nel primo tratto dell’aorta, subito dopo la valvola semilunare e percorre tutto il tratto centrale del cuore sfociando direttamente nell’atrio destro tramite la valvola del Tebesio.
DESCRIZIONE DELLA PROVA:
Prima di tutto bisogna ruotare il cuore in modo che la punta sia rivolta verso la sua sinistra. Con il cuore in questa posizione è più facile riuscire a determinare la localizzazione delle vene e delle arterie. Le due vene cave si trovano a destra e comunicano tra di loro, quindi è più facile trovarle usando un tubo di plastica. L’aorta è l’arteria più evidente grazie al suo spessore, alla sua rigidità rispetto agli altri vasi e alla presenza di tre fori su di essa.
Figura 1: Corde tendinee collegate ai muscoli papillari ed ai cuspidi
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Dopo aver riconosciuto tutti i vasi sanguigni, si procede nel dissezionare il ventricolo e l’atrio destro usando il bisturi ed aiutandosi con le forbici. Una volta sezionato il lato destro del cuore si possono analizzare gli elementi in esso presenti. La prima cosa a risaltare all’occhio sono le corde tendinee che collegano il tricuspide ai muscoli papillari (Figura 1). I lembi del tricuspide, nel nostro caso, erano ben collegati alle corde tendinee, mediante la pinzetta siamo riusciti ad osservarli meglio .
Figura 2: I muscoli pettinati dell’atrio
Dell’atrio si possono invece notare i muscoli pettinati (Figura 2) ed un piccolo foro oltre alle vene cave. Molto probabilmente quel foro è collegato alle coronarie.
Ora si disseziona anche l’altra parte del cuore osservando 2 lembi invece di 3. Tutto sommato il resto è simile alla parte destra del cuore tranne per il fatto che il ventricolo sinistro ha le pareti più spesse perché deve far arrivare il sangue in tutto i corpo, mentre quello destro ha pareti sottili perché pompa il sangue ai polmoni. Si continua a sezionare proseguendo verso l’aorta per individuare anche la valvola semilunare aortica. Eseguendo delicatamente si può individuare anche un foro che porta alle arterie coronarie.
Posso dire di esser riuscito ad esaminare tutte le componenti del cuore eseguendo correttamente i vari passaggi.
Da questa esperienza ho imparato ad interagire anatomicamente con il cuore, un organo fondamentale per la vita, ma che sinceramente mi aspettavo più complesso.
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Classificazione di alcuni minerali secondo i sette sistemi cristallini per le classi terze liceo
Materiali occorrenti:
Campioni di minerali - Lente.
Esecuzione dell'esperienza:
Si osservano attentamente i caratteri morfologici dei minerali, classificandoli secondo i sette sistemi cristallini.
Di seguito sono descritti detti sistemi cristallini ed alcuni campioni di minerali tra i più comuni e significativi.
Sistema cubico
Tutti e 3 gli assi della croce assiale hanno uguale lunghezza e si incrociano tra loro ad angolo retto. Si considera cubico un cristallo che abbia almeno 2 assi di simmetria ternari.
a = b = c α = β = γ = 90°
Pirite: FeS2, cubo e piritroedo, più raramente ottaedro,a facce striate; lucente, colore bruno o nero, poco sfaldabile, frattura concoide, durezza 6÷6.5, densità 4.9÷5.1. E' il solfuro più diffuso. Si altera abbastanza facilmente per l'azione di agenti atmosferici in ossidi ed idrossidi di ferro ( es. in limonite FeO(OH) ).
Cristalli di pirite
Galena: PbS, cubo od ottaedro, a volte geminato; lucente, colore grigio piombo, sfaldatura perfetta, frattura subconcoide, durezza 2.5÷2.75, densità 7.4÷7.6. E' il più importante minerale di piombo.
Salgemma ( Alite ): NaCl, cubo, raramente ottaedro, lucentezza vitrea, incolore, sfaldatura facile secondo le facce del cubo, durezza 2, densità 2.17.
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Cristalli di salgemma
Fluorite: CaF2, cubo, raramente ottaedro o altre forme più complesse, lucentezza vitrea, incolore o colorata per impurezze (es. azzurro-viola), sfaldatura facile, frattura concoide, durezza 4, densità 3.18.
Sistema tetragonale
Due assi della croce assiale hanno uguale lunghezza, il terzo è più lungo o più corto. Tutti e 3 gli angoli che formano sono retti.
Un cristallo si considera tetragonale se ha un solo asse di simmetria quaternario.
a = b ≠ c α = β = γ = 90°
Calcopirite: CuFeS2, tetraedro a volte geminato e con facce striate, lucente, colore giallo ottone, sfaldatura imperfetta, frattura concoide, durezza 3.5÷4, densità 4.1÷4.3. E' il più diffuso minerale del rame ( ne contiene fino al 35 % ).
Cristalli di calcopirite
Cassiterite: SnO2, prisma, spesso geminato o fibroso, lucente, di colore bruno scuro o nero, sfaldatura perfetta, frattura subconcoide, durezza 6÷7, densità 7. E' praticamente l'unico minerale di stagno sfruttato industrialmente.
Pirolusite: MnO2, di solito compatto, a volte raggiato o fibroso, lucente, di colore grigio-nero, durezza 2÷6, densità 4÷5. E' il minerale più comune del manganese.
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Sistema esagonale
Impiega una croce assiale a 4 assi. 3 assi di uguale lunghezza giacciono sul piano orizzontale facendo un angolo di 120° l'uno con l'altro. Il quarto asse è più lungo o più corto ed è disposto perpendicolarmente al piano degli altri tre. E' considerato esagonale un cristallo avente un asse senario.
a = b = c ≠ d α = β = γ = 120° ; δ= 90°
Grafite: C, cristalli appiattiti e deformati, spesso a scaglie; lucente, di colore grigio-nero, sfaldatura perfetta, frattura assente, durezza 1, densità 2.2. Appare untuosa al tatto. Conduce la corrente elettrica.
Cristalli di grafite
Apatite: nome generico dato a fosfati di calcio contenenti fluoro ( fluoroapatite, Ca5[(F)(PO4)3], idrossiapatite Ca5[(OH)(PO4)3] , cloroapatite Ca5[(Cl)(PO4)3] ). Prisma o bipiramide, spesso compatti o complessi, lucentezza vitrea, colore variabile (bianco latteo, grigio, blu, giallo-verde etc.), sfaldatura scarsa, frattura concoide, durezza 5, densità 2.9÷3.2 .
Sistema trigonale o romboedrico
Croce assiale a quattro assi. 3 assi di uguale lunghezza giacciono su un piano orizzontale facendo un angolo di 120° l'uno con l'altro. Il quarto asse è più lungo o più corto degli altri ed è perpendicolare al loro piano orizzontale. Un cristallo è trigonale se ha un asse ternario.
a = b = c ≠ d α = β = γ = 120° ; δ= 90°
Calcite: CaCO3, romboedro, scalenoedro, spesso geminato o fibroso, lucentezza vitrea, incolore o di colore bianco, sfaldatura perfetta, frattura concoide, durezza 3, densità 2.72. E' uno dei minerali più diffusi nella superficie terrestre. La varietà spato d'Irlanda è limpida ed incolore e presenta il fenomeno ottico della birifrangenza.
Dolomite: CaMg(CO3)2, romboedro con facce a volte ricurve ( d. selliforme ), sfaldatura perfetta, incolore o grigia-biacastra o scura, lucentezza vitreo-madreperlacea, durezza 3.5÷4, densità 2.8÷2.9. Insolubile in HCl diluito a freddo. In massa compatta microcristallina è il costituente principale della dolomia.
Quarzo: SiO2, trapezoedro (simula una bipiramide esagonale), spesso geminato o irregolare, lucentezza vitrea, incolore o colorato per impurezze, sfaldatura assente, frattura
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concoide, durezza 7, densità 2.65. E' uno dei più comuni minerali della litosfera. Moltissime varietà: quarzo ialino ( cristallo di rocca ), ametista, q.affumicato, q.rosa, q.giallo, q.occhio di gatto.
Cristallo di quarzo
Ematite: Fe2O3, romboedro lamellare, a volte granulare, fibroso e reniforme, lucente. Il colore delle masse compatte a cristalli spessi è nero metallico; nei cristalli e frammenti sottili e nelle varietà terrose è rosso ocra ( rose di ferro ). Sfaldatura assente, frattura subconcoide, durezza 5÷6, densità 5.3. E' uno dei minerali di ferro più comuni e diffuso in moltissime rocce.
Magnesite: MgCO3, scalenoedro compatto, a volte fibroso o granulare, lucentezza vitrea, colore solitamente biancastro, sfaldatura facile, frattura concoide, durezza 4÷4.5, densità 2.9÷3.1. E' il più importante minerale del magnesio ed è molto utilizzato dall'industria.
Sistema ortorombico
I 3 assi della croce assiale hanno lunghezza differente e formano tra loro 3 angoli retti. Si considera ortorombico un cristallo che presenta solo assi binari e/o 2 piani di riflessione insieme.
a ≠ b ≠ c α = β = γ = 90°
Zolfo (fase a): S, bipiramide rombica, spesso regolare e compatto, lucentezza resinosa, colore giallo, sfaldatura scarsa, frattura concoide, durezza 2, densità 2.07.
Baritina ( barite ): BaSO4, bipiramide rombica, spesso a tabulato, lamelle o granuli, lucentezza vitrea, colore vario ( incolore, bianco, giallo, etc. ), sfaldatura perfetta, frattura ruvida, durezza 3÷3.5, densità 4.5.
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Cristallo di baritina
Celestina: SrSO4, bipiramide rombica, cristalli grandi, a volte fibrosi, lucentezza vitrea, incolore o azzurra, sfaldatura buona, frattura concoide non perfetta, durezza 3÷3.5, densità 3.95. Da essa si estrae lo stronzio.
Sistema monoclino
I 3 assi della croce assiale sono di diversa lunghezza. 2 assi formano tra loro angoli di 90°; il terzo forma con il loro piano un angolo >90°. Si definisce monoclino un cristallo avente un solo asse binario ed un solo piano di simmetria.
a ≠ b ≠ c α = γ = 90° ; β> 90°
Muscovite ( mica bianca ): KAl2[(OH,F)2|AlSi3O10] fillosilicato, lamine flessibili e squamose, lucentezza madreperlacea, incolore o biancastra, sfaldatura ottima, durezza 2÷2.5, densità 2.76÷3. E' una delle miche più diffuse.
Biotite ( mica nera ): K(Mg,Fe)3[(OH,F)2|AlSi3O10] fillosilicato, lamine elastiche irregolari o in scaglie, lucentezza vitrea, colore nero o verde scuro, sfaldatura ottima, durezza 2.5÷3, densità 2.8÷3.2. Diffusa in moltissime rocce.
Ortoclasio: K[AlSi3O8], prismi allungati, spesso geminati e granulati, lucentezza vitrea, incolore o biancastro, sfaldatura perfetta, frattura concoide o ruvida, durezza 6÷6.5, densità 2.55÷2.63. Componente di molte rocce, appartiene alla famiglia dei feldspati.
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Cristallo di ortoclasio
Talco: Mg3[(OH)2|Si4O10], fillosilicato, lamine pseudoesagonali a rosetta, lucentezza perlacea, colore bianco-grigio, sfaldatura perfetta, durezza 1, densità 2.58÷2.83.
Sistema triclino
I 3 assi della croce assiale sono di differente lunghezza e formano tra loro angoli diversi da 90°. Il cristallo triclino non deve presentare né assi di simmetria né piani di riflessione.
a ≠b ≠ c α ≠ β ≠ γ ≠ 90°
Microclino: K[AlSi3O8], prismi compatti, spesso geminati, lucentezza vitrea, colore biancastro o grigio, sfaldatura perfetta, frattura concoide o ruvida, durezza 6, densità 2.56.
Cianite: Al2[O|SiO4], subnesosilicato di alluminio, prismi colonnari allungati, spesso geminati o a lamine, lucentezza vitrea, colore azzurro-grigio, sfaldatura buona, durezza 4.5 (7 perpendicolarmente), densità 3.56÷3.68. Utilizzata nell'industria delle porcellane.
Cristallo di cianite
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Le sette classi cristalline
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Analisi dei carboidrati per le classi terze liceo
Materiali occorrenti:
Saccarosio - Glucosio - Fruttosio - Amido - Reattivo di Fehling - Acido solforico sol. 95 % - Acido cloridrico sol. 37 % - Iodio sol. 0.01 M - Vetreria.
Richiami teorici:
I carboidrati o glucidi sono composti organici, in generale, con formula elementare Cn(H2O)n. Presentano dei gruppi -OH, per cui possono essere considerati alcooli polivalenti e un gruppo aldeidico ( aldosi ) o un gruppo chetonico ( chetosi ).
I carboidrati più semplici sono i monosaccaridi . Ad es. ribosio, galattosio e glucosio sono monosaccaridi aldosi; il fruttosio è un monosaccaride chetoso.
Più unità di monosaccaridi (da 2 a migliaia) possono legarsi con un legame glicosidico che si stabilisce tra un gruppo -OH di un monosaccaride ed uno in posizione 1 di un altro monosaccaride, con perdita di una molecola di H2O.
Se i monosaccaridi sono due si hanno i disaccaridi, tra i quali: saccarosio ( glucosio + fruttosio ), lattosio ( glucosio + galattosio) e maltosio ( glucosio + glucosio ).
Se i monosaccaridi sono in numero superiore si hanno i polisaccaridi, tra i quali:
o glicogeno : catena ramificata di α-D-glucosio con legami α-1,4-diglicosidici. o cellulosa : catena lineare di β-D-glucosio con legami β-1,4-diglicosidici. o amilosio : catena lineare di α-D-glucosio con legami α-1,4-diglicosidici. o amilopectina : catena ramificata di α-D-glucosio con legami α-1,4-diglicosidici. o amido : costituito da amilosio e amilopectina.
I carboidrati a basso peso molecolare sono anche detti zuccheri.
Esecuzione dell'esperienza:
Parte prima: disidratazione del saccarosio:
Il saccarosio, C12H22O11 può essere disidratato a carbonio con perdita di 11 molecole di H2O per azione dell'acido solforicoconcentrato.
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In un vetro da orologio si pongono 10 g circa di saccarosio commerciale e su questi si versano 2 o 3 mL di acido solforico 95 % . In pochi secondi si forma una massa scura. La reazione che è avvenuta è la seguente:
C12H22O11----> 12C + 11H2O .
Parte seconda: esame del potere riducente di alcuni zuccheri:
Come noto gli zuccheri possono presentare un gruppo aldeidico o un gruppo chetonico. Il primo conferisce un potere riducente maggiore del secondo.
Il saccarosio, disaccaride, è formato da una molecola di glucosio e da una di fruttosio legate con legame α-1,2-diglicosidico; per questo non vi sono più gruppi carbonilici liberi con capacità riducenti.
La verifica sperimentale di quanto sopra si effettua con il reattivo di Fehling, già utilizzato per le aldeidi. In questo reattivo è presente del Cu2+ , ione dal tipico colore blu, che può essere ridotto a Cu+, precipitando sotto forma di Cu2O dal colore mattone, per azione di un agente riducente.
Si preparano 10 mL di reattivo di Fehling completo ( 5 mL sol. A + 5 mL sol. B ) e tre provette contenenti 5 mL circa di acqua distillata. In una provetta si versa una piccola spatolata di glucosio, nella seconda una di fruttosio e nella terza una di saccarosio; si agitano le provette e a ciascuna si aggiungono 3 mL di reattivo di Fehling. Si porta la provetta con il glucosio al bunsen e si scalda; in pochi secondi si nota la formazione del precipitato color mattone di Cu2O. Il Cu2+ si è ridotto a Cu+ e il gruppo aldeidico del glucosio in posizione 1 si è ossidato a gruppo carbossilico, dando l'acido gluconico.
Si pone sul bunsen la provetta con il fruttosio e si nota che il precipitato si forma un po' più lentamente ed appare lievemente meno intenso, ad indicare una minore reattività riduttiva del gruppo chetonico. Nel fruttosio è il gruppo chetonico in posizione 2 che si ossida a gruppo carbossilico.
Riscaldando al bunsen la provetta contenente la soluzione di saccarosio non si forma alcun precipitato, in quanto il disaccaride non presenta siti carbonilici disponibili per la reazione ossidoriduttiva.
Parte terza: inversione del saccarosio:
Trattando il saccarosio con un acido forte si ottiene la rottura della molecola dei due esosi componenti, il fruttosio e il glucosio. Tale processo è detto inversione e, ovviamente, rende disponibili i siti carbonilici per una reazione ossidoriduttiva.
Il saccarosio invertito può, quindi, ridurre il reattivo di Fehling.
In due provette con 5 mL di acqua distillata ciascuna si sciolgono due piccole spatolate di saccarosio commerciale. Una provetta serve da " bianco ", mentre alla seconda si aggiungono 2 o 3 gocce di acido cloridrico 37 % ; si scaldano entrambe al bunsen ed ad esse si
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aggiungono, ciascuna, 3 mL di reattivo di Fehling completo. Solo la provetta ove ha avuto luogo l'inversione presenta il precipitato di Cu2O.
Parte quarta: idrolisi dell'amido:
L'amido è, come noto, un polisaccaride formato da una catena di monomeri di α-D-glucosio legati da legami α -1,4-diglicosidici.
Lo iodio in soluzione se posto in una soluzione acquosa di amido dà una colorazione blu.
L'azione di un acido forte, ad esempio acido cloridrico, a caldo porta all'idrolisi del legame glicosidico e quindi al rilascio dei monomeri; di conseguenza scompare la colorazione blu.
In una provetta si scioglie una punta di spatola di amido solubile in 5 o 6 mL di acqua distillata; alla soluzione si aggiungono alcune gocce di soluzione 0.01 M di iodio che impartiscono il colore blu.
A questo punto, si aggiungono 3 o 4 gocce di acido cloridrico sol. 37 % e si porta la provetta al bunsen per il riscaldamento; in pochi secondi il colore blu scompare, indicando la demolizione della molecola del polisaccaride.
Nota: La reazione di Fehling, riferita ad un monosaccaride generico è:
Fine anno scolastico 2014 2015