MANIFESTO LIB-LAB
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PER UN MANIFESTO LIB-LAB
1. ALCUNE RIFLESSIONI SUL PASSATO E SUL PRESENTE
1.1 Dalla prima alla seconda Repubblica
1.2 L’antipolitica
1.3 Ieri Tangentopoli come sistema, oggi la corruzione parcellizzata
1.4 La parola alla politica, il rinnovamento del PdL
2. LA NOSTRA ANALISI SULLA CRISI, SULL’EUROPA E SULL’ITALIA
2.1 Il quadro internazionale: geopolitica ed economia
2.2 Che cosa è successo in Europa
2.3 Perché è successo
2.4 Che fare in Italia
3. LE NOSTRE PROPOSTE DI RIFORMA ISTITUZIONALE E DI
POLITICA ECONOMICA
3.1 Architettura costituzionale dello Stato e legge elettorale
3.2 Una nuova politica economica
3.3 Se riparte il Sud riparte il Paese
4. ETICA E VALORI. IL RAPPORTO TRA STATO, ECONOMIA E SOCIETÀ
PER UN MANIFESTO LIB-LAB 1. Alcune riflessioni sul passato e sul presente
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1. ALCUNE RIFLESSIONI SUL PASSATO E SUL PRESENTE
1.1 Dalla prima alla seconda Repubblica
Ciò che accadde in Italia nel ‘92-‘94, come lo si voglia giudicare,
sconvolse alla radice gli schieramenti politici nei quali la sinistra
italiana era tradizionalmente divisa fra il PCI e il PSI, che avevano
rapporti insieme conflittuali, ma anche convergenti nella CGIL e
negli enti locali. Per altro verso, quegli avvenimenti segnarono in
modo profondo la qualità della classe politica del nostro paese.
Allora in Italia, unico paese dell’Europa occidentale, proprio il
crollo del comunismo, avvenuto nel 1989, fu seguito dalla
liquidazione per ragioni economiche del sistema di
finanziamento irregolare dell’attività politica e dei partiti da
parte delle imprese (autentico “sistema” fondato sull’assenza di
un libero mercato, sul rapporto collusivo delle grandi imprese
pubbliche e private con lo stato dal quale ricevevano aiuti e
sostegni di ogni tipo in cambio di forme molteplici di
finanziamento irregolare a tutti i principali partiti, dalla DC al PSI,
ai partiti laici, al PCI). La successione di quei due avvenimenti
portò al paradossale esito per cui furono liquidati il PSI, i partiti
laici, l’area di centro-destra della DC, e invece risparmiata la
sinistra democristiana. Ciò avvenne perché l’operazione “Mani
pulite” fu egemonizzata da alcune procure politicamente
orientate che riservarono al PCI-PDS (con l’eccezione dei
“miglioristi”) un trattamento particolare, prima sottraendolo alla
gogna mediatico-giudiziaria e poi assumendolo come “dominus
PER UN MANIFESTO LIB-LAB 1. Alcune riflessioni sul passato e sul presente
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politico” di un sistema politico che esse intendevano
ristrutturare ma non distruggere. Utilizzando questo
trattamento di favore, il PDS surrogò la sua mancata evoluzione
da partito comunista in partito socialdemocratico e riformista
attraverso questo organico collegamento con alcuni settori della
magistratura che, sul terreno della prassi politica corrente, si è
esplicitato in modo clamoroso prima nell’elezione nel Mugello di
Antonio Di Pietro e poi, addirittura, nel salvataggio del suo
partito ad opera di Walter Veltroni alle elezioni del 2008. Non a
caso nell’operazione Mani pulite i colpi furono concentrati sul
PSI di Bettino Craxi che andava eliminato dalla scena per
consegnare il suo spazio politico al PDS. La reazione a questa
sorta di genocidio politico è stata inevitabile e durissima, e non
derivante da alcun tradimento o involuzione morale, psicologica,
culturale del popolo socialista, che si è ritrovato attraverso
percorsi spesso individuali nel centro-destra. Infatti una larga
parte dell’elettorato socialista e un numero significativo di
dirigenti e di quadri socialisti si sono riconosciuti nell’operazione
fatta nel 1994 da Silvio Berlusconi che ha fondato Forza Italia
proprio con l’obiettivo di dare un soggetto politico a tutte le
forze politiche, sociali e culturali che precedentemente si erano
riconosciute nei partiti democratici e anticomunisti (i partiti che
avevano dato origine alle coalizioni di governo cosiddette di
“centrosinistra”). La fondazione di Forza Italia coinvolse anche
tutta un’area di persone che precedentemente non aveva mai
svolto attività politica e che visse la discesa in campo di Silvio
Berlusconi come una grande novità anche nel modo di “fare
politica”. Non appena Silvio Berlusconi discese in campo, fu
attivato contro di lui, fin dal gennaio del 1994, il tritacarne
giudiziario per cui nel nostro paese è proseguita un’anomala
“guerra civile fredda”, malgrado che quella derivante dalla
PER UN MANIFESTO LIB-LAB 1. Alcune riflessioni sul passato e sul presente
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divisione in blocchi fosse cessata da molto tempo. L’esistenza di
questo elemento del tutto anomalo, e non anacronistiche
riproposizioni dell’anticomunismo, ha radicalizzato e dato una
versione estremizzata al bipolarismo italiano, nel quale, in forme
nuove, che negavano addirittura la legittimazione democratica
allo schieramento di centro destra, si è riproposta la dialettica
amico/nemico, e non quella in atto nel bipolarismo degli altri
paesi europei, fondata sul confronto alleato/avversario. Anche
in seguito a ciò l’antiberlusconismo, e non altro, è stato spesso il
principale fattore aggregante dello schieramento di centro-
sinistra che, proprio per questo, ha registrato numerosi
fallimenti sul terreno della gestione del governo del paese, come
hanno testimoniato le vicende che hanno caratterizzato i
governi Prodi. Successivamente i socialisti si sono riconosciuti
nel PDL, fondato con una sua iniziativa politico-mediatica da
Silvio Berlusconi nel 2008, partito che è stato il punto di
riferimento di un vasto arco di forze sociali (piccole imprese,
artigiani, commercianti, professionisti, partite IVA, lavoratori
dipendenti, giovani) e nel quale sono confluiti molteplici
tendenze politico-culturali, dai cattolici liberali, ai socialisti
riformisti, ai laico-liberali, alla destra che aveva compiuto la
svolta democratica, grazie anche allo “sdoganamento” di Silvio
Berlusconi. Non è questa la sede e l’occasione per ripercorrere
le vicende avvenute fra il 2008 e il 2011, caratterizzate sia dalla
realizzazione di alcune riforme assai significative, sia
dall’adozione - in modo anticipato fino dal 2008, quando ancora
il centro sinistra proponeva di finanziare la crescita con il deficit
- di una politica di rigore per fronteggiare la crisi monetaria e
finanziaria europea, sia dalla riproposizione di un violentissimo
attacco a Silvio Berlusconi non solo di carattere politico ma
anche mediatico giudiziario e per di più riguardante, per la
PER UN MANIFESTO LIB-LAB 1. Alcune riflessioni sul passato e sul presente
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prima volta nella storia del paese, la sua vita privata. Il Governo
Berlusconi nel novembre del 2011 è caduto da un lato perché
contro di esso si erano coalizzati in Europa sia gli interessi
tedeschi gestiti da Angela Merkel, sia quelli francesi di Nicolas
Sarkozy e dall’altro perché in Italia l’opposizione di sinistra
sosteneva la campagna critica nei confronti del nostro paese
promossa in ambienti europei pur di colpire e far cadere il
governo di centro-destra.
1.2 L’antipolitica
In questo quadro l’antipolitica – nella quale, come vedremo,
confluiscono molteplici tendenze – va affrontata a viso aperto
da un partito serio, rigoroso, rinnovato, realmente democratico,
non va inseguita dando, magari involontariamente, vita e spazio
ad una sorta di grillismo di destra. Non ci nascondiamo che la
situazione con la quale dobbiamo fare i conti è gravissima. Da un
lato c’è una componente oggettiva nell’antipolitica innervata
proprio nella crisi economica e nei sacrifici richiesti alle famiglie:
mentre fino ad alcuni anni fa le coalizioni di governo, sia che
fossero di centro-destra che di centro-sinistra distribuivano
risorse alle singole persone e ai vari settori della società, invece
adesso sono costrette a toglierle o attraverso i tagli alla spesa
pubblica o attraverso l’aumento della pressione fiscale. In
secondo luogo, in funzione di affermazione di un ruolo
dominante della tecnocrazia, come espressione dei poteri forti,
contro la politica in quanto tale da tempo è stata scatenata una
durissima offensiva mediatica, che si accompagna, come in
passato, ad un’azione di taluni settori della magistratura che non
sembrano più distinguere tra fattispecie di reati e
comportamenti personali discutibili che presentano sicuramente
un rilievo politico, ma che non possono essere sanzionati
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abusando del codice penale. Sotto il fuoco di questa campagna,
che a volte pare animata da apprendisti stregoni ormai incapaci
di controllare le forze che hanno scatenato, proprio in questi
mesi la politica ha fornito, a sua volta, i materiali per la sua auto-
distruzione: i casi Belsito, Lusi e Fiorito, avvenuti in rapida
successione, e anche ciò che essi hanno scoperchiato, sono
dirompenti e hanno una forza distruttiva carica di ricadute
devastanti. Da questo punto di vista sotto molti aspetti la
situazione attuale è peggiore di quella del ’92-’94, e da essa
differisce profondamente. Come già ricordato, alla base del
disegno dei protagonisti di Tangentopoli stava l’obiettivo di
consegnare il potere agli eredi del Pci (a Silvio Berlusconi non
hanno mai perdonato di aver fatto saltare quel progetto); oggi è
forte il rischio di “non fare prigionieri” e di spalancare le porte a
pericolose derive populista sostanzialmente avventuriste e
reazionarie.
1.3 Ieri tangentopoli come sistema, oggi la corruzione
parcellizzata
Tangentopoli era un sistema sulla base del quale venivano
operate sistematiche irregolarità per finanziare i partiti, nel
quadro di un sistema del quale facevano organicamente parte i
più grandi gruppi economici privati e pubblici che godevano a
loro volta del sistematico sostegno dello Stato. Adesso siamo
arrivati alla situazione paradossale per cui sono i partiti ad
essere derubati. Allora c’era un sistema organicamente
irregolare, ma esso esisteva anche in funzione dello scontro
politico e della divisione del mondo e dell’Italia in due blocchi,
anche se poi da esso, nell’ultima fase, scorrevano anche rivoli di
corruzione personale. Adesso, invece, abbiamo una
parcellizzazione selvaggia della malversazione che vede per
PER UN MANIFESTO LIB-LAB 1. Alcune riflessioni sul passato e sul presente
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protagonisti dei soggetti singoli e delle fameliche reti
intersoggettive: singoli imprenditori, legati a singoli burocrati ,e
a singoli uomini politici, al di fuori di ogni logica di schieramento.
In sostanza è in atto una sorta di interprenetrazione perversa fra
spicchi di società civile e spezzoni del sistema politico. Anche
stavolta non c’è una società civile incorrotta e un sistema
politico putrido, ma onestà e disonestà, rispetto delle regole e
sistematica violazione di esse, rigore e dilapidazione delle risorse
attraversano trasversalmente i soggetti economici e i soggetti
politici, la società civile e la cosiddetta classe politica.
Di conseguenza è sacrosanto oggi intervenire per eliminare i
presupposti di tutto ciò, anche tagliando con rigore le risorse
pubbliche che sono state riservate al sistema politico. C’è un
punto, però, sul quale attiriamo l’attenzione di tutti: e cioè
siccome in Italia si passa da un estremo all’altro, il rischio adesso
è quello che si arrivi ad una situazione nella quale l’attività
politica diventi materialmente impossibile, o possibile solo per
chi è personalmente ricco o abbia alle spalle delle fortissime
lobbies. In ogni caso, non è né giustificata né accettabile quella
sorta di caccia all’uomo aperta nei confronti del personale
politico, che prende la forma di giudizi sommari, di una vera e
propria gogna mediatica e “rottamatoria” ad opera di un
giovanilismo fine a se stesso.
1.4 La parola alla politica. Il rinnovamento del PdL
Anche a costo di apparire degli inguaribili ottimisti, riteniamo
che ancora una vola la parola va data alla politica, alla dialettica
fra le forze politiche - anche con quelle che oggi predicano
l’antipolitica ma che, nel contempo, si stanno dando un’
organizzazione politica per di più a guida autoritaria-carismatica
- e alla dialettica sui programmi economico-sociali.
PER UN MANIFESTO LIB-LAB 1. Alcune riflessioni sul passato e sul presente
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Proprio in questi giorni un chiarimento sta arrivando dalla
sinistra, pur nella molteplicità delle forze che la compongono.
Come è noto lo schieramento di sinistra è assai composito, come
testimoniano le stesse personalità che si contendono la
leadership perché Pierluigi Bersani impersona la sinistra
tradizionale, Matteo Renzi una sorta di nuovismo centrista e
Nichi Vendola la sinistra radicale. Oggi questa dialettica ha
prodotto un primo risultato: l’alleanza organica tra Pierluigi
Bersani e Nichi Vendola. Avendo giocato tutte le sue carte sulla
formazione della coalizione PD-Sel, di fatto Pierluigi Bersani si è
messo nelle mani di Nichi Vendola. E’ possibile che la sinistra
vinca le elezioni sul piano numerico, sulla base di una
piattaforma assai spostata a sinistra del tutto in contraddizione
con l’attuale sostegno al governo Monti. Tutto ciò
provocherebbe delle incognite di non poco conto visto che la
situazione economica internazionale rimane gravissima e gli
equilibri tuttora appesi ad un filo perché, come vedremo
successivamente, le positive iniziative di Mario Draghi non
hanno ancora il retroterra costituito da una BCE che abbia, al
pari della Federal Reserve americana, l’obiettivo di garantire non
solo la stabilità monetaria, ma anche l’occupazione e, di
conseguenza, la crescita.
Di fronte a ciò è auspicabile che si formi la grande aggregazione
di centro-destra, di tutti i moderati e riformisti, auspicata da
Silvio Berlusconi e da Angelino Alfano, in alternativa a quella
messa in campo dal PD e dalla SEL. In questo quadro il PDL deve
fare la sua parte rinnovandosi, anche al punto di cambiare nome
e simbolo, ma non autodistruggendosi in seguito ad una sorta di
cupio dissolvi. A nostro avviso il PDL va rinnovato e rilanciato,
non smontato o rottamato, come suol dirsi con un’espressione
repellente che non appartiene al nostro lessico. Le grandi
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difficoltà politiche, sociali, organizzative, elettorali e anche
etiche vanno affrontate con il rilancio di una forte leadership
politica, e con un partito fortemente radicato nel territorio e nel
rapporto con vari settori della società, quale che sia la legge
elettorale e non con gli “spacchettamenti”, le impossibili
separazioni consensuali, le fughe all’indietro, l’inseguimento
dell’antipolitica, tantomeno poi con le crisi di nervi, i reciproci
attacchi personali e, in questo quadro, anche le ipotesi di
rottamazione individuali avanzate sulla base delle qualifiche
professionali, dell’età, del sesso, di storie personali
perversamente ricostruite o, peggio ancora, dell’etnia politica
originaria, da Forza Italia o da AN. Se ciò non bastasse, talora
presi da una sorta di masochismo politico spesso dimentichiamo
che, diversamente da quello che finora è avvenuto nel Partito
Democratico, per merito di Silvio Berlusconi, il PDL, come partito
e come rappresentanza di governo, ha rinnovato largamente i
suoi gruppi dirigenti mettendo in campo una ottima e rinnovata
classe dirigente: nel Governo Berlusconi molti ministri erano
giovanissimi rispetto ai soliti personaggi che facevano parte
dell’ultimo governo Prodi. Questo processo va proseguito anche
a livello regionale, ma non va dimenticato ciò che è stato fatto ai
congressi provinciali e comunali di qualche tempo fa, dove sono
stati eletti molti nuovi dirigenti. Contro il Governo Berlusconi,
contro il PDL hanno giocato la crisi finanziaria internazionale,
forze internazionali e interessi molto forti, da un certo momento
in poi anche una sostanziale divisione nel Governo dove Giulio
Tremonti, che pure aveva un’enorme potere, ha puntato a
essere lui a svolgere il ruolo oggi svolto da Mario Monti, il
dissenso della Lega su questioni programmatiche essenziali, il
rinnovato e permanente attacco contro Silvio Berlusconi.
Certamente la durezza dell’attacco ha anche messo in evidenza
PER UN MANIFESTO LIB-LAB 1. Alcune riflessioni sul passato e sul presente
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tutti i punti deboli del PdL, dall’esistenza di una permanente
litigiosità locale, a episodi anche gravissimi di malversazione
come nel caso Fiorito (che per le cronache giovanilistiche ha solo
una quarantina di anni), da eccessi di protagonismo e di
conflittualità per esigenze mediatiche. Tutto ciò e altro ancora è
certamente vero, ma non è certo una buona ragione per
smontare o spacchettare il PDL, magari ritornando a Forza Italia
e ad AN, o agitando il sogno di tornare al 1994, addirittura alla
ricerca di formare nuove forze politiche concorrenziali al
grillismo da destra. Dal 1994 ad oggi sono passati 18 anni, tutto
il mondo è cambiato, forse in peggio, e non siamo come al
cinema dove si può mettere in campo il flashback o far scorrere
a ritroso la moviola. Purtroppo paghiamo il ritardo di non aver
riaffermato, ai fini delle elezioni, né la leadership di Silvio
Berlusconi, né di aver messo in campo Angelino Alfano con le
primarie. Adesso, però, proprio Silvio Berlusconi ed Angelino
Alfano, a nome del PDL hanno fatto una proposta politica forte,
per l’aggregazione di tutti i moderati, allo scopo di impedire alla
sinistra di conquistare il potere, e di governare il paese con una
linea politica sostanzialmente conflittuale con l’esperienza di
Mario Monti e le indicazioni della UE.
Adesso dobbiamo attendere che la proposta avanzata ai
centristi abbia delle risposte politiche che fino ad ora non sono
venute, mettendo in evidenza l’imbarazzo che la nostra
proposta ha determinato nelle altre forze moderate. In ogni
caso, a nostro avviso, in tempi di antipolitica non bisogna
adeguarsi ad essa ed inseguirla sul suo stesso terreno, sia perché
non la si raggiungerà mai, sia perché all’antipolitica non si
risponde apprestando un surrogato che poi verrà giustamente
rifiutato e disprezzato da tutti, sia da coloro che prediligono la
politica sia dai fanatici dell’antipolitica. Bisogna invece rimettere
PER UN MANIFESTO LIB-LAB 1. Alcune riflessioni sul passato e sul presente
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in campo una proposta politica fondata su una leadership e su
gruppi dirigenti, autorevoli per storia ed esperienza ma aperti al
ricambio, che siano eletti dalla base; su gruppi dirigenti che
coinvolgano più generazioni e più saperi sulla base del merito,
della serietà, delle capacità, del consenso, della competenza e
del rapporto col territorio: è essenziale che ad ogni livello si
passi da un regime fondato sulle cooptazioni e sulle nomine a
catena, ad un altro fondato sul confronto e sulla realtà degli
iscritti e degli elettori. È anche ipotizzabile che il partito
rinnovato venga riorganizzato sulla base di tre centri di direzione
politico-organizzativa al centro, al nord e al sud. D’altra parte un
partito si fonda non solo sul suo modo di essere, ma su scelte
politiche e programmatiche forti. Allora, come abbiamo visto, la
prima scelta è quella dell’aggregazione di tutta l’area moderata:
dobbiamo fare di tutto perché ciò avvenga. Nel caso deprecabile
che ciò non riuscisse, per responsabilità non nostra, allora
bisognerebbe mettere nel conto che a fronte della coalizione già
formata delle varie forze di sinistra si deve consolidare
comunque un forte e serio partito dell’opposizione, il partito del
centro–destra, quale che sia il suo nome e il suo simbolo, che
marchi le ragioni dell’alternativa programmatica, politica, di
valori, alla sinistra e ad un certo establishment amministrativo
del tutto conservatore, nella convinzione poi, che non è affatto
detto che questa opposizione sarà inevitabilmente di
lunghissima durata, perché le contraddizioni intrinseche allo
schieramento di centro-sinistra sono profondissime e già visibili
oggi ad occhio nudo e quindi esse possono anche esplodere in
tempi imprevedibili. Detto tutto ciò sono fondamentali l’analisi e
le terapie per affrontare la crisi finanziaria internazionale e i
serissimi problemi che ha l’Europa. Per questo il nostro
manifesto non può esimersi dall’affrontare contenuti di analisi e
PER UN MANIFESTO LIB-LAB 1. Alcune riflessioni sul passato e sul presente
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programmatici, in modo altrettanto impegnato. Infatti è
indispensabile misurarsi sia con i nodi politici sia con le questioni
programmatiche che coinvolgono gli interessi e le prospettive di
vita e di lavoro di milioni di persone.
PER UN MANIFESTO LIB-LAB 2. La nostra analisi sul quadro economico internazionale, sull’Europa, sull’Italia
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2. LA NOSTRA ANALISI SUL QUADRO ECONOMICO
INTERNAZIONALE, SULL’EUROPA, SULL’ITALIA
2. 1 Il quadro internazionale: geopolitica ed economia
Ad un contesto economico-finanziario di straordinaria difficoltà si
accompagna un quadro internazionale tutt’altro che stabilizzato sul piano
monetario, finanziario, economico e sociale.
Dal crollo del comunismo in poi ci sono state due previsioni di
stabilizzazione entrambe fallite. La prima è quella che per comodità fa
riferimento al libro di Francis Fukuyama, che prevedeva una sorta di “fine
della politica”, dopo il crollo del comunismo e quindi il decollo di un’era
dominata da un liberismo ben temperato. Purtroppo, dopo la crisi del
compromesso socialdemocratico, proprio nel cuore dell’Europa, il
liberismo estremo della Thatcher e di Reagan, che pure ha cambiato i
paradigmi tradizionali dell’economia, ha prodotto una fase di sviluppo
impetuoso che poi, però, ha dato via libera ad una finanziarizzazione
selvaggia che è all’origine dei nostri guai attuali.
Dopo il 1989 il mondo è stato sconvolto dal terrorismo islamico espresso
da un fondamentalismo che comunque, anche nelle sue espressioni
pacifiche, ha una visione integralista dello Stato e della società. In ogni
caso il mondo occidentale, gli USA in primo luogo, con tutte le sue
componenti e i suoi apparati, è stato preso alla sprovvista dall’11
settembre del 2001. Può dirsi che George Bush e Bill Clinton hanno
sviluppato una lotta organica al terrorismo in una successione di scelte
felici e di errori rilevanti. E’ stata una scelta giusta quella di procedere ad
una lotta organica e senza quartiere al terrorismo, come è stata una scelta
giusta l’intervento nell’Afghanistan. A nostro avviso invece si è rivelato
PER UN MANIFESTO LIB-LAB 2. La nostra analisi sul quadro economico internazionale, sull’Europa, sull’Italia
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una scelta assai discutibile l’intervento in Iraq (anche se è il solo che sia
stato in grado di introdurre dei cambiamenti ancora parziali ma effettivi in
quel Paese). C’è stata un’interpretazione non solo ottimistica, ma proprio
fuorviante, sulla cosiddetta primavera araba, che si è rivelata essere la
solita allucinazione di quanti sono sempre pronti ad attribuire ad una
manifestazione di piazza un significato palingenetico.
Purtroppo in vari paesi del Mediterraneo varie tendenze fondamentaliste
stanno chiaramente prevalendo. In questo quadro, poi, l’interventismo
militare a senso unico si sta rivelando un disvalore anche dal punto di vista
etico. Sulla Libia e sulla Siria la Nato e l’ONU si sono mossi adottando due
pesi e due misure, con esiti in entrambi i casi tutt’altro che positivi. Il
durissimo intervento militare in Libia è servito ad esaltare la grandeur di
Nicolas Sarkozy, ma non ha certo prodotto libertà, stabilità, democrazia.
Anzi in Libia è in atto una permanente guerra per bande tribali che rischia
di produrre una situazione simile a quella somala. Inoltre, rispetto ad una
serie di nodi, in primo luogo quello iraniano, si rischia di avere una linea
incerta e contraddittoria. In un momento così serio e grave, gli USA
devono essere maggiormente vicini ad Israele.
Nel contempo a livello mondiale c’è una iniziativa cinese a largo raggio,
dall’Estremo Oriente all’Africa, un’iniziativa sviluppata da un singolare
paese che combina insieme uno stato rigorosamente comunista,
un’economia ultracapitalista, il controllo di una parte cospicua del debito
pubblico americano, la possibilità di praticare una concorrenza drogata e
falsata all’industria occidentale.
In sostanza ci troviamo davanti ad una situazione mondiale tutt’altro che
stabilizzata, nella quale la crisi finanziaria si intreccia con un quadro
internazionale tutt’altro che solido, nel quale l’egemonia americana
persiste ma è resa sempre più debole da serie difficoltà economiche.
Di contro ancora, l’antiberlusconismo, malattia ormai cronica del centro
sinistra, ha portato a sottovalutare, da noi, il contributo, anche personale
di Silvio Berlusconi, nel riconsegnare alla Russia il ruolo che compete ad
una grande potenza in cammino, pur con tante contraddizioni, verso un
PER UN MANIFESTO LIB-LAB 2. La nostra analisi sul quadro economico internazionale, sull’Europa, sull’Italia
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sistema democratico compiuto e in grado di ottenere, grazie alle sue
risorse energetiche e di materie prime, una influenza ancor più
determinante sullo scenario internazionale di quella che era riconosciuta
alla politica che viaggiava sui carri dell’Armata rossa e sulla competizione
nucleare.
Dobbiamo avere la consapevolezza di vivere una fase fuori dall’ordinario,
caratterizzata da una profonda crisi finanziaria del capitalismo mondiale
nelle sue punte storicamente più avanzate, quella statunitense e quella
europea.
Questa crisi comporta una forte conflittualità fra interessi contrapposti di
aree economiche, di nazioni, di gruppi finanziari, di forze sociali e
politiche.
Prima i contrasti di interesse di questo tipo portavano a guerre militari.
Adesso essi provocano guerre finanziarie e monetarie. Non c’è nulla di
oggettivo in ciò che è avvenuto. Il sistema finanziario bancario americano
ha distribuito titoli tossici in tutto il mondo. Sull’Italia, come sugli altri
paesi dell’Europa, è piombata dal 2008 una crisi del capitalismo mondiale,
sotto forma di una crisi finanziaria che dalle banche - prima quelle
statunitensi, poi quelle europee (quelle tedesche in particolare) –
passando attraverso la messa in questione dei titoli di Stato, si è estesa al
settore produttivo, ha investito le imprese e i lavoratori, determinando
una forte recessione.
La “guerra finanziaria” si è aperta anche perché la globalizzazione ha avuto
un andamento assai diverso da quello previsto sia dall’analisi liberista sia
da quella neo-marxista. Entrambe queste analisi ritenevano - una per
applaudire, l’altra per condannare - che la globalizzazione si sarebbe
risolta nell’ennesimo trionfo dell’occidente sul Terzo Mondo. A conferma
dell’assoluta imprevedibilità della storia, le cose sono andate in modo
assai diverso: l’atipico meccanismo concorrenziale messo in atto dalla
globalizzazione (in primo luogo attraverso il bassissimo costo del lavoro in
alcuni paesi), insieme ad altri fattori, ha fatto sì che le gerarchie
economiche sul terreno dell’andamento del PIL, della crescita, della stessa
PER UN MANIFESTO LIB-LAB 2. La nostra analisi sul quadro economico internazionale, sull’Europa, sull’Italia
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concorrenza per ciò che riguarda alcuni settori industriali - quelli più
elementari sul piano tecnologico - si sono quasi rovesciate: Brasile, Russia,
India, Cina, Sudafrica, i cosiddetti Brics, hanno avuto finora, pur fra mille
contraddizioni, un notevole sviluppo, non solo economico ma anche
sociale; mentre invece a essere nei guai, e in guai serissimi, sono proprio
gli USA e l’Europa, soprattutto nell’area dell’euro.
Alla radice di questi guai sono molti elementi. Tra di essi anche la battuta
d’arresto subita, in una significativa successione temporale, dalle due
grandi linee di politica economica che hanno caratterizzato il XX secolo: il
compromesso socialdemocratico, fondato sul Welfare e sul Keynesismo, e
il liberismo reaganiano e thatcheriano. Il compromesso socialdemocratico,
nelle sue varie versioni, dagli anni trenta agli anni ‘80, ha dato positivi
contributi allo sviluppo economico e sociale, determinando anche una
condizione di relativa equità, con un esteso ceto medio e con un lavoro
dipendente dotato di un forte potere contrattuale, entrambi garantiti dal
welfare e gratificati da una crescita economica quasi ininterrotta. Poi, in
molte delle sue esperienze, esso è andato incontro a una forte involuzione
che ha determinato eccessi di dirigismo, di statalismo, di lacci e lacciuoli
alla produzione, di crescente spesa pubblica assistenziale, clientelare e
improduttiva, di un eccesso di potere sindacale: tutti questi elementi
negativi hanno finito con l’inceppare lo sviluppo. In diversi paesi la
socialdemocrazia, o la sua versione “democratica” (vedi gli USA), è stata
“bucata” e sconfitta dal “liberismo estremo”, rappresentato dal
thatcherismo e dal reaganismo – che hanno avuto in Tony Blair una più
morbida versione laburista – i quali hanno dato spazio agli “spiriti animali”
del capitalismo, di una imprenditorialità che voleva liberarsi da
condizionamenti politici, economici e sindacali per essere competitiva
nella concorrenza internazionale.
È accaduto, però, che su questa libertà imprenditoriale successivamente si
è innestata l’egemonia dell’economia finanziaria che, in primo luogo negli
USA, ha prodotto danni significativi, a testimonianza che il liberismo senza
regole finisce col provocare crisi economiche e tensioni sociali. Le banche
PER UN MANIFESTO LIB-LAB 2. La nostra analisi sul quadro economico internazionale, sull’Europa, sull’Italia
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statunitensi e inglesi sono state fra le principali responsabili: esse hanno
distribuito titoli tossici in tutto il mondo, in primo luogo a molte banche di
altri paesi europei (meno delle altre perciò che riguarda le banche italiane
che hanno problemi di altro tipo, riguardanti in primo luogo la gestione).
Le banche tedesche non sono state da meno. Se andiamo ad analizzare
cronologicamente l’inizio della crisi, vediamo come, per quanto riguarda il
nostro paese, la corsa a rialzo dei rendimenti dei titoli di Stato sia
cominciata a giugno 2011, ma in realtà la tempesta perfetta si stava
preparando già qualche mese prima.
In effetti, tra febbraio e maggio 2011, c’è stata calma piatta sui mercati,
con rendimenti dei titoli decennali tedeschi e italiani, con 150 punti base
circa di differenza (spread) tra gli uni e gli altri. Calma piatta, dunque, con
una sola avvertenza: i rendimenti dei titoli del debito pubblico della
Germania erano su una curva ascendente, in ragione non tanto dei
problemi della finanza pubblica, quanto di quelli della finanza privata: le
banche, oggettivamente a rischio.
Le banche tedesche, infatti, avevano, e hanno tuttora, al loro interno
rilevanti componenti di debolezza che derivano dai loro comportamenti
spericolati (vedi il caso dei titoli greci) e dai loro investimenti sbagliati (in
titoli tossici), di cui mai si è conosciuta la reale consistenza. È così che il
combinato disposto dell’aumento dei rendimenti dei titoli pubblici
tedeschi, del dubbio valore dei titoli tossici e delle perdite sui titoli greci
nei portafogli delle banche da una parte e le regole stringenti, proprio sul
settore bancario, di EBA e Basilea 3 dall’altra hanno generato una
situazione di forte tensione nel sistema finanziario privato tedesco.
La reazione, alla luce di quello che è successo, è stata geniale, cinica e
irresponsabile al tempo stesso: la finanza privata tedesca ha trasferito la
crisi potenziale del suo sistema bancario sui paesi più deboli dell’eurozona,
vendendo e dando indicazioni generalizzate di vendere i titoli del debito
sovrano, prevalentemente greci e italiani, sul mercato secondario, al fine
di aumentarne i rendimenti sul mercato primario.
PER UN MANIFESTO LIB-LAB 2. La nostra analisi sul quadro economico internazionale, sull’Europa, sull’Italia
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Molto probabilmente, la strategia tedesca, più o meno concertata, mirava
unicamente a un riequilibrio dei rendimenti, ma, dati i tempi, l’operazione
è finita per sfuggire di mano, provocando la tempesta perfetta.
A livello internazionale le banche, però, sono anche entrate in
contraddizione fra di loro. Quelle più forti sono collegate con le società di
rating e, attraverso gli spread, cercano di gestire l’Europa, di fare e disfare
i governi, come è avvenuto in Grecia, in Spagna, in Portogallo e fra
novembre e dicembre 2011 anche in Italia.
E’ proprio un segno dei tempi che la sinistra italiana, almeno fino a quando
ciò è servito per combattere Silvio Berlusconi, ha avuto come punti di
riferimento sia Angela Merkel e Nicolas Sarkozy, sia i “mitici mercati”, sia
gli “indiscutibili spread”, le nuove divinità del nostro tempo. Però adesso
che è cambiato il Governo, la sinistra sta cambiando spalla al suo fucile e
una parte di essa riscopre la socialdemocrazia europea.
Una prima demistificazione va fatta del termine i “mercati” che oramai
viene assunta in termini del tutto acritici, senza per questo dimenticare i
grandi vantaggi e le opportunità che possono derivare dalla
globalizzazione anche per un’economia come quella italiana che ha nei
settori esportatori i comparti d’avanguardia della sua struttura produttiva.
In un articolo di Alessandro Politi e di Claudia Bettiol su Limes è scritto: “I
mercati sono una parola che non ha veramente senso perché dopo 30
anni di fusioni e acquisizioni, l’Ocse ha potuto osservare che ci sono 10
attori che controllano oltre il 90% del mercato dei derivati (Credit default
swaps, Collateral debt obligation, Exchange rate swaps). Queste sono le
entità che fanno il cosiddetto mercato e spezzano le reputazioni
finanziarie senza troppo curarsi dei fondamentali, avvalendosi anche di
sofisticate tecniche di scambio come il cosiddetto high frequency fading
(cambio automatizzato ad alta velocità). Se ciò non bastasse, le prestazioni
dei vari attori privati e pubblici in questo sistema vengono valutate dalle
agenzie di rating, di cui tre internazionali e una nazionale, ove il conflitto
di interessi è evidente e i giudizi che esse esprimono vanno a condizionare
le decisioni di investitori in tutto il mondo.
PER UN MANIFESTO LIB-LAB 2. La nostra analisi sul quadro economico internazionale, sull’Europa, sull’Italia
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2.2 Che cosa è successo in Europa
Ottobre 2009: elezioni in Grecia, si scopre un buco di bilancio nei conti
pubblici di Atene. La speculazione internazionale inizia a interessarsi della
Grecia e, soprattutto, della reattività dell’area euro alle crisi delle finanze
pubbliche di singoli Stati nazionali. Reattività insufficiente che si
caratterizza come il vero punto debole dell’intero sistema euro: da
quell’ottobre fatidico l’Unione Europea inizia a rispondere troppo poco e
troppo tardi alle ondate speculative e le istituzioni comunitarie si rivelano
non sufficientemente forti, mature, reattive da resistere e rispondere agli
attacchi speculativi sulla moneta unica.
A 3 anni di distanza da quel fatidico ottobre e dopo più di un anno di
passione, da luglio 2011, caratterizzato da spread tra titoli del debito
pubblico dei Paesi dell’area euro rispetto ai Bund troppo elevati, a livelli
febbrili (in Italia in alcuni periodi oltre i 500 punti base), da vertici europei
inconcludenti e da misure di austerità e rigore imposte ai Paesi sotto
attacco della speculazione, si è sfiorato più volte il collasso dell’intero
sistema euro. Con la conseguente stagnazione e recessione, che finiscono
per ridurre drasticamente l’efficacia della politica monetaria che il
presidente della BCE, Mario Draghi, ha cercato di far convergere
progressivamente verso l’impostazione espansiva adottata dalle altre
banche centrali mondiali. E con le conseguenti tensioni democratiche,
cambi di governo e inevitabili derive populistiche.
2.3 Perché è successo
Alla base della crisi ci sono stati errori di costruzione nell’architettura della
moneta unica.
Da tali imperfezioni sono derivati comportamenti rigidi, intransigenti,
“egoistici” da parte di alcuni paesi – come la Germania, che pur hanno
beneficiato, negli ultimi 10 anni, di un tasso di cambio di fatto favorevole,
PER UN MANIFESTO LIB-LAB 2. La nostra analisi sul quadro economico internazionale, sull’Europa, sull’Italia
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che ha rilanciato il commercio con gli altri Stati e le esportazioni, nella
totale assenza di politiche redistributive – e comportamenti “lassisti” da
parte di altri paesi – come Portogallo, Irlanda, Italia, (Grecia) e Spagna, che
non hanno utilizzato i vantaggi derivanti da tassi di interesse e da tassi di
inflazione più bassi rispetto al proprio merito di credito per consolidare i
loro conti e avviare le riforme strutturali necessarie.
Nel gioco al massacro poco hanno influito i fondamentali economici degli
Stati presi di mira (tranne il caso greco, che è un unicum) mentre hanno
avuto un grande ruolo i sentiment cosiddetti “auto-avveranti” dei mercati,
che hanno giocato contro l’architettura imperfetta dell’euro.
Risultato: spread alle stelle, in gran parte immeritati, per i Paesi sotto
attacco speculativo e conseguente loro impossibilità a reagire, nonostante
le cure recessive che si sono “autoimpartite”.
Considerate tutte queste premesse, la via d’uscita è da individuare nel
salto di qualità indicato nel documento “Verso una vera unione economica
e monetaria”, elaborato dai presidenti di Commissione europea, Consiglio
europeo, Eurogruppo e BCE, che prevede unione bancaria, economica,
politica e fiscale per completare l’unione monetaria in Europa. Cui
aggiungere l’introduzione nel mandato della Banca Centrale Europea,
attraverso opportune modifiche dei Trattati, oltre all’obiettivo del
mantenimento della stabilità dei prezzi, anche quello del livello massimo
di occupazione e, di conseguenza, la crescita, al pari della Federal Reserve
americana.
Tutto ciò dovrà realizzarsi attraverso l’indicazione puntuale di date,
percorsi e modifiche dei trattati necessarie, a partire da subito, e
comunque entro le elezioni europee previste per metà 2014.
2.4 Che fare in Italia
Per reagire alla crisi della democrazia e al dilagare dell’antipolitica, diventa
necessario tornare virtuosi attraverso la crescita, la riduzione del debito
pubblico, l’aumento della produttività del lavoro e della competitività
dell’intero sistema paese, così da ri-legittimare le istituzioni e avere le
PER UN MANIFESTO LIB-LAB 2. La nostra analisi sul quadro economico internazionale, sull’Europa, sull’Italia
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carte in regola per tornare a partecipare, nelle condizioni e con le risorse
opportune, alla realizzazione in maniera forte, lungimirante e duratura,
una volta per tutte, del grande progetto europeo.
Finora il Governo Monti ha proseguito l’azione del Governo Berlusconi sul
terreno della tenuta dei conti e di alcune riforme strutturali: tutti
interventi che abbiamo appoggiato lealmente per riuscire a superare
questa fase assai difficile. Di conseguenza non abbiamo nulla da
recriminare rispetto a quello che abbiamo fatto nel corso di questi mesi e
al sostegno che abbiamo dato al governo Monti. Il rigore però, ha anche
prodotto recessione e a sua volta la recessione rischia di rimettere in
questione i conti. Per questo bisogna partire da ciò che ha finora fatto il
governo Monti per lavorare sullo sviluppo: rigore e crescita è un’endiade
che va costruita e realizzata.
Per amor di verità, il Documento di Economia e Finanza, elaborato ad
aprile 2011, secondo le scadenze previste dal semestre europeo,
prevedeva il pareggio di bilancio nel 2014 ed era stato approvato dalla
Commissione e dal Consiglio europeo nel mese di giugno 2011.
Successivamente, con la lettera del 5 agosto 2011, la BCE aveva chiesto
l’anticipo del raggiungimento dell’obiettivo nel 2013, al fine di rassicurare i
mercati. Il governo Berlusconi aveva adempiuto prontamente, in agosto,
con la manovra correttiva dei conti pubblici per 64 miliardi di euro. Il
peggioramento della congiuntura nell’intera eurozona nell’autunno 2011,
tuttavia, aveva richiesto un ulteriore intervento correttivo, cui ha
provveduto il governo Monti con il decreto “Salva Italia”, per 63 miliardi di
euro. Manovra, quest’ultima, che ha contribuito solo per il 20% al
risanamento dei conti pubblici in vista del pareggio di bilancio nel 2013, su
328 miliardi totali di manovre varate dal 2008, con effetti fino al 2014, di
cui l’80% (265 miliardi) ad opera del governo Berlusconi.
Con riferimento al PD, solo con l’avvento del governo Monti, il segretario
del PD, Pierluigi Bersani, e il suo responsabile economico, Stefano Fassina,
hanno espresso, anche se non da subito, una contrapposizione al
rigorismo di stampo tedesco, prendendo sempre più le distanze dal
PER UN MANIFESTO LIB-LAB 2. La nostra analisi sul quadro economico internazionale, sull’Europa, sull’Italia
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governo Monti e da quella che viene definita la sua “agenda”. Agenda che,
a onor del vero, sarebbe più corretto definire come “agenda Berlusconi”:
quella attuata con i provvedimenti di agosto 2011 e in precedenza con il
maxi-emendamento alla Legge di Stabilità dell’11 novembre 2011.
Monti, nel suo programma di governo, su cui è stata votata la fiducia il 17
novembre 2011, non ha fatto altro che assumere totalmente quella
impostazione, con la variante, dettata dal peggioramento congiunturale,
della già citata manovra “Salva Italia”, basata in gran parte su un
inasprimento fiscale sulla proprietà immobiliare, e quella dell’attuazione
di riforme strutturali (pensioni e mercato del lavoro), che per definizione
non dovrebbero afferire all’emergenza, ma che, con il governo Monti,
sono state affrontate sotto la pressione dell’emergenza, e quindi con
l’urgenza di chi ne ricerca gli effetti attesi di breve periodo sulle
aspettative dei mercati.
Per quanto riguarda la nostra presenza in Europa, va anche detto che nei
confronti dei profondi limiti e degli orientamenti unilaterali assunti dalle
politiche monetarie ed economiche europee, eccessivamente rigoristi,
sarebbe auspicabile che, all’interno del PPE, il PdL faccia sentire la sua
voce: la partecipazione al PPE non deve consistere solo nell’ottenere
qualche carica ma nel dare un apporto critico per contribuire a modificare
gli orientamenti del PPE finora eccessivamente subalterni alla linea della
CDU.
Infine, la crisi in atto è anche espressione di una debolezza di governance
che non è solo europea, ma pure italiana. Per tutte le ragioni che si sono
sinora illustrate è evidente che, affinché tutte le manovre che si sono
realizzate non siano divorate dai mercati e rese dunque inutili, la prima
riforma strutturale da fare è quella dell’architettura costituzionale, dei
motori della decisione e della credibilità futura.
L’evoluzione della nostra storia politica ci indica una soluzione. I partiti da
soli non riescono a disciplinarsi, è necessario che i cittadini possano
investire qualcuno della specifica responsabilità democratica di mantenere
il motore funzionante anche nel medio periodo. La storia del nostro
PER UN MANIFESTO LIB-LAB 2. La nostra analisi sul quadro economico internazionale, sull’Europa, sull’Italia
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parlamentarismo è molto simile, da questo punto di vista a quella
francese. Anche la soluzione può essere simile: il semi-presidenzialismo
con elezione popolare e diretta del capo dello Stato. Che, inoltre sarebbe
l’equilibrato contrappeso per l’improcrastinabile compimento del
federalismo anche sul piano fiscale e dell’organizzazione parlamentare.
A questo punto c’è un solo modo per scongiurare l’incertezza e
l’ingovernabilità e per avere un’Italia credibile in Europa e sui mercati
internazionali: dare un doppio fortissimo segnale: verticalizzare la
governance, eleggendo direttamente il Presidente della Repubblica,
assicurando una guida stabile e democraticamente legittimata alla politica
italiana. E cambiare la politica economica, attaccando il debito: la vera
grande anomalia e debolezza dell’Italia. Due facce della stessa medaglia.
PER UN MANIFESTO LIB-LAB 3. Le nostre proposte di riforma istituzionale e di politica economica
24
3. LE NOSTRE PROPOSTE DI RIFORMA ISTITUZIONALE E DI
POLITICA ECONOMICA
3.1 Architettura costituzionale dello stato e legge elettorale
Una democrazia non può funzionare bene e a lungo senza possibilità di
ricambio, senza competizione tra alternative, senza che i cittadini possano
dire la loro sulla cosa che conta di più: quale leader, quale governo e quale
maggioranza debba governarli. Nei Paesi che contano succede così. E non
è un caso.
L’alternativa è un fossato sempre più largo tra una politica asserragliata
nella paura e cittadini arrabbiati, una miscela esplosiva. Per non parlare di
quanto potrebbe succedere in Parlamento: instabilità, veti, contrattazione
paralizzante. Ci illudiamo se pensiamo che il ricorso a soluzioni eccezionali,
come governi tecnici, possano compensare questi effetti. I governi hanno
bisogno di un sostegno diretto dei cittadini: di cittadini che li scelgano, non
che li subiscano.
Il timore è che facendo riforme difensive, domani ci ritroviamo con
istituzioni persino più deboli, in cui nessuno può vincere, in cui nessuno
può veramente decidere. E cambiarle, a quel punto, potrebbe divenire
impossibile. Per questo occorre offrire ai cittadini una alternativa
possibile: il modello semipresidenziale.
Un’alternativa che è motivata dalla convinzione che questa sia la soluzione
più adatta all’Italia. Certo non l’unica, ma oggi la più adatta. Per ragioni
storiche, per ragioni politiche, per il modo in cui si è venuta evolvendo la
Costituzione vivente. In questa direzione andava la scelta fatta nella
Bicamerale presieduta da Massimo D’Alema, in questa direzione è andata
l’interpretazione del ruolo del Capo dello Stato nei momenti di crisi.
PER UN MANIFESTO LIB-LAB 3. Le nostre proposte di riforma istituzionale e di politica economica
25
Il presidenzialismo alla francese può allineare la Costituzione formale alle
tendenze della costituzione vivente. È un sistema che ha dato buona prova
di sé, aiutando, in Francia, partiti in precedenza frammentati e litigiosi ad
orientarsi verso un assetto e comportamenti più virtuosi. In un momento
in cui tutti i partiti italiani sono in fase di ristrutturazione, avere un punto
fermo nella guida responsabile di un Capo dello Stato legittimato dai
cittadini può aiutare quel processo, evitando il rischio dell’anarchia e di
involuzioni autoritarie. Infine il presidenzialismo è un grande fattore di
unità nazionale. La competizione attraversa l’intero Paese. Esso può
pertanto rappresentare un ottimo contrappeso per un federalismo
equilibrato e responsabile.
Abbiamo l’opportunità di colmare quel gap tra la nostra e le altre
democrazie avanzate. Ciò che i costituenti stessi avrebbero voluto fare,
ma ai quali fu impedito dalle condizioni storiche. E se fu saggio che, allora,
non l’abbiano fatto, sarebbe colpevole non farlo oggi. Perché tanta acqua
è passata sotto i ponti e l’applicazione della seconda parte della
Costituzione si è avvitata in distorsioni e manipolazioni imposte dalla
necessità del tempo. Una necessità fisiologica nell’evoluzione delle
democrazie. Ma che noi abbiamo dovuto drammatizzare, chiamandola
sempre più di frequente “emergenza”, proprio per giustificare forzature
senza le quali la Costituzione sarebbe saltata.
Oggi abbiamo una grande occasione. La crisi della nostra economia, ma
anche della nostra democrazia, paradossalmente, ci dà almeno questa
opportunità. Di guardare i nostri mali con spietata lucidità e di assumerci
le nostre responsabilità. Perché il modello italiano che alterna democrazia
a basso rendimento e “stati di eccezione” a direzione presidenziale, non
può essere un modello permanente.
Il fine settimana del 6 maggio scorso ci ha posti davanti a un grande bivio:
se somigliare di più alla Grecia, dove non si è riusciti a costituire una
maggioranza parlamentare che sostenesse il governo e si son dovute
indire nuove elezioni, oppure alla Francia, dove il presidente François
Hollande si è insediato il giorno dopo le elezioni ed è subito volato in
PER UN MANIFESTO LIB-LAB 3. Le nostre proposte di riforma istituzionale e di politica economica
26
Germania in visita ufficiale dalla cancelliera Angela Merkel e si è subito
messo alla guida non solo del suo Paese, ma anche degli Stati europei che
vogliono un mutamento di governance a livello di Unione per mettere al
sicuro la moneta unica.
Nella primavera del 2013 si determinerà nel nostro Paese una
straordinaria coincidenza: la scadenza della legislatura e la scadenza del
mandato del presidente della Repubblica. È un’occasione storica per
mettere i cittadini nelle condizioni di poter scegliere direttamente chi li
governa: i parlamentari, il governo e il presidente della Repubblica. La
domanda che responsabilmente ci dobbiamo porre tutti è questa:
vogliamo che siano i partiti, con accordi oscuri e incontrollati, a scegliere il
prossimo Capo dello Stato, o vogliamo che siano gli elettori alla luce del
sole, con un voto libero e democratico? E sulla base di una proposta
programmatica, un’agenda, chiara e inequivocabile?
In Italia, dal 1948 ad oggi non c’è mai stato, e non c’è tuttora, alcun
sistema per punire chi fa cadere i governi. Nella prima Repubblica questa
situazione è stata tollerata perché i governi erano fatti dai partiti; ma dal
1994 non è più così e sono i cittadini a decidere da chi vogliono essere
governati. Ribaltoni e ribaltini sono perciò un tradimento politico della
volontà popolare, senza sanzione per i traditori. Nessuna riforma
costituzionale ha senso se non scongiura questo rischio.
Anche la legge elettorale da sola non serve a nulla. Perché il problema non
è avere un governo la sera delle elezioni: il problema è evitare che una
minoranza lo faccia cadere a proprio piacimento qualche mese dopo. Un
presidente eletto dai cittadini ha il potere e la legittimazione di sanzionare
chi, nel parlamento, lavora per creare instabilità e trarne vantaggi politici.
Un presidente eletto ha la legittimazione politica di sciogliere le camere e
costringere chi ordisce imboscate a darne conto agli elettori. Un
presidente eletto ha la legittimazione politica per progettare il futuro.
Nei momenti di crisi, il presidente della Repubblica non è più solo un
notaio, ma il garante della continuità istituzionale e della stabilità
dell’indirizzo politico-democratico. Perché i partiti dovrebbero essere più
PER UN MANIFESTO LIB-LAB 3. Le nostre proposte di riforma istituzionale e di politica economica
27
bravi dei cittadini a scegliere il capo dello Stato? È questa la domanda cui
deve rispondere chi è contrario al presidenzialismo.
Nell’attuale assetto istituzionale i cittadini possono scegliere il proprio
sindaco, il proprio presidente di Provincia e il proprio presidente della
Regione. Non c’è motivo per cui non abbiano diritto di scegliere il proprio
presidente della Repubblica. Potrebbero esserci due sole ragioni per
evitare questo sbocco. Il primo è quello del conservatorismo
costituzionale. L’altro potrebbe essere quello che i partiti vogliano
conservare il potere di nominare il Capo dello Stato. A nostro avviso non
esistono più le ragioni dell’una o dell’altra cosa.
Piuttosto, nell’assenza di queste scelta, non c’è da stupirsi allora
dell’aumento dell’astensione e del voto di protesta. È quando le istituzioni
sono deboli e instabili che vince l’antipolitica, mentre ciò non accade
quando le istituzioni sono democraticamente legittimate e hanno un
effettivo potere di realizzare le promesse elettorali. Da quale parte
vogliamo stare?
L’Italia ha bisogno di una riforma elettorale che razionalizzi il
bipartitismo/bipolarismo e rafforzi la stabilità dei governi. Una legge
elettorale che ottimizzi crescita e benessere, riduca l’intollerabile
frammentazione politica, renda la politica comprensibile e trasparente.
E’ indispensabile approvare una nuova legge elettorale per due ragioni di
fondo, quella che l’opinione pubblica non accetta più che i parlamentari
siano nominati dai partiti e perché l’attuale premio di maggioranza è
eccessivo e darebbe il controllo del Parlamento anche a coalizioni
fortemente minoritarie nel paese.
Proprio sul filo di una scelta sistemica di grande valore noi, anche nel
dibattito al Senato, abbiamo affermato la disponibilità a fare nostro il
sistema francese nella sua globalità, elezione diretta del Presidente della
Repubblica e elezione a due turni dei Parlamentari. La sinistra ha
vanificato questa disponibilità prendendo del sistema francese solo quello
che le appariva più conveniente, e cioè solo il sistema elettorale a due
turni, rifiutando ogni forma di presidenzialismo. Allora, fermo rimanendo
PER UN MANIFESTO LIB-LAB 3. Le nostre proposte di riforma istituzionale e di politica economica
28
la nostra scelta globale, noi manifestiamo la nostra disponibilità a
ricercare ogni soluzione ragionevole purché si superi la situazione attuale.
Il Senato ha il merito di essere comunque arrivato ad una proposta,
purtroppo contestata dal PD. Noi in questa sede ci limitiamo ad esprimere
una opzione per un bipolarismo temperato, un ragionevole premio di
maggioranza e poi, in alternativa, o il sistema della preferenze o quello che
va sotto il nome di sistema elettorale spagnolo, basato su piccoli collegi.
Ormai è fin troppo chiaro: la capacità delle istituzioni di governo di agire
efficacemente, e nel contempo di garantire stabilità per produrre,
appunto, più benessere e più crescita, è inesorabilmente limitata dai
quotidiani distinguo che nascono dai conflitti intra-governativi di esecutivi
di coalizione, al loro interno variamente frammentati. Era così nella
consociazione "parlamentare" della prima Repubblica, così è rimasto,
purtroppo, nella consociazione "di coalizione" della seconda.
La composizione dei governi, la durata e la stabilità degli stessi, le larghe
ed eterogenee coalizioni, i gruppi di interesse che le sostengono e,
appunto, i conflitti che nascono al loro interno, sono le variabili che
determinano, nei fatti, sempre e comunque più spesa pubblica e, quindi,
più deficit, più debito. Determinano, cioè, una distorsione nella
distribuzione delle risorse rispetto a quella che sarebbe generata da un
sistema politico bipartitico/bipolare, il quale garantisce maggiore
efficienza, intesa come capacità di ridurre al minimo gli attriti e le frizioni,
che rallentano il perseguimento di uno specifico obiettivo. In altri termini,
nei sistemi multipartitici, il bilancio pubblico viene utilizzato, sotto forma
di alta pressione fiscale e/o alto indebitamento, più al fine di assorbire i
conflitti all’interno delle coalizioni di governo, che per produrre beni e
servizi per lo sviluppo.
Da questo deriva che i governi eletti in democrazie con sistemi
maggioritari/bipartitici/bipolari tendono a tagliare le tasse, ma anche la
spesa pubblica, in modo particolare durante gli anni elettorali. Mentre
nelle democrazie con rappresentanza proporzionale l’evidenza empirica
registra tagli alle tasse meno pronunciati e non registra tagli alla spesa
PER UN MANIFESTO LIB-LAB 3. Le nostre proposte di riforma istituzionale e di politica economica
29
pubblica. Questo perché il nesso tra il potere di controllo degli elettori e la
rappresentanza politica è molto più diretto nei sistemi bipartitici/bipolari
rispetto a quelli proporzionali.
La letteratura economica suggerisce, a proposito delle conseguenze sulla
spesa pubblica e sulla politica fiscale in presenza di forme di governo e
sistemi elettorali diversi, che le forme di governo, e ancor di più le leggi
elettorali, rafforzano o indeboliscono il potere di controllo (accountability)
che gli elettori hanno sui rappresentati politici eletti. Il grado di controllo,
a sua volta, condiziona le performance economiche con risultati opposti in
termini di finanza pubblica.
In particolare, i sistemi bipartitici/bipolari rafforzano il nesso tra elettore e
obiettivi di corretta gestione della finanza pubblica. Un governo sostenuto
da un solo partito produce meno dispersione di risorse nello scambio
politico con la propria base elettorale. Tutto ciò si traduce in minore spesa
pubblica, minore pressione fiscale, minore deficit pubblico, minore debito
pubblico. L’evidenza dei dati a proposito è significativa e
quantitativamente importante.
Se ciò non bastasse, i sistemi bipartitici/bipolari introducono l’idea che le
elezioni siano una competizione nella quale la lista delle cose da fare è già
scritta prima del voto e che i partiti non siano dei semplici delegati, ma
soggetti chiamati ad operare sintesi prima delle elezioni. Sintesi definite
nei programmi di governo e incarnate dalle personalità dei leader che si
assumono la responsabilità della loro realizzazione; sintesi sulle quali gli
elettori si pronunciano dentro le urne, assegnando una maggioranza
solida al progetto che li convince di più.
I programmi elettorali diventano così le agende competitive, quanto alle
riforme costituzionali e quanto agli impegni dell’esecutivo e del
parlamento. Agende che contengono le diverse visioni di architettura dello
Stato e disegni di legge già pronti per essere incardinati, con relative
scadenze di approvazione e, quindi, di realizzazione dei contenuti. Nel
nostro caso, in questa particolare congiuntura, con il “ricatto” continuo
dei mercati attraverso gli spread, un’agenda che riguardi in particolare
PER UN MANIFESTO LIB-LAB 3. Le nostre proposte di riforma istituzionale e di politica economica
30
l’attuazione del presidenzialismo e le leggi di politica economica previste
nell’ambito del semestre europeo, quale il Documento di Economia e
Finanza (DEF), che comprende il Programma di Stabilità (PdS) e il
Programma Nazionale di Riforma (PNR): i nostri impegni nei confronti
dell’Europa.
3.2 Una nuova politica economica
Occorre intervenire in maniera decisiva per una nuova politica economica
e per modernizzare il paese. Per farlo tornare a crescere assieme
all’Europa. Basta, dunque, con i ricatti della Germania, che ha portato
governi e parlamenti ad approvare riforme sbagliate, basate su analisi
parziali e distorte della crisi, che tendevano alla colpevolizzazione degli
Stati piuttosto che alla soluzione strutturale in sede comunitaria degli
squilibri macroeconomici nella costruzione dell’euro.
Cambiare la politica economica si può e si deve. Significa conciliare due
esigenze. La prima è quella di non tornare indietro, dopo gli impegni presi
e le conseguenze negative sopportate, rispetto agli obiettivi fissati di
pareggio di bilancio, ma prestando la massima attenzione a non mancare
l’obiettivo per “eccesso di rigore” (overshooting). Ciò vuol dire ammettere,
da parte di tutti, gli errori e fare manutenzione. C’è lo spazio in sede di
riforma fiscale e altro spazio si può trovare, come del resto si stava
facendo da anni, in sede di riforma della Pubblica amministrazione o,
come è ora più di moda, in sede di Spending review.
L’importante è capire che non ci sono scorciatoie, e quelle che appaiono
salvifiche spesso sono pericolose perché piene di buche. Ma l’obiettivo
fondamentale è quello di continuare la pressione in sede europea per un
mutamento di politica economica. Su questo terreno il governo è senza
dubbio riuscito a trovare spazi di autorevolezza notevoli perché
supportato da una maggioranza politica in Parlamento senza precedenti.
Si tratta di continuare a utilizzarla in modo coerente con l’azione della
BCE, la cui politica monetaria espansiva tuttavia viene sterilizzata
PER UN MANIFESTO LIB-LAB 3. Le nostre proposte di riforma istituzionale e di politica economica
31
dall’eccesso di rigore restrittivo nelle politiche di bilancio che ancora
domina a livello europeo.
Come ci spiegano i più grandi banchieri centrali, Ben Bernanke e Mario
Draghi in primis, nonché economisti come i Nobel Paul Krugman e Joseph
Stiglitz, se la crisi economica e finanziaria non è ancora stata risolta, ciò è
dovuto proprio alla difficile trasmissione della politica monetaria. Se,
infatti, la politica di bilancio è eccessivamente restrittiva, non solo
depotenzia l’effetto espansivo di un aumento della liquidità, agendo in
senso contrario, ma, determinando aspettative negative, impedisce alla
liquidità di trasmettersi all’economia reale.
La liquidità non si trasforma, dunque, né in credito a imprese e famiglie da
parte del sistema bancario, che utilizza la maggiore quantità di moneta
disponibile per rafforzare i propri standard di patrimonializzazione
intaccati dalla crisi economica, né in investimenti (e conseguenti
assunzioni) da parte delle imprese, né, infine, in consumi da parte delle
famiglie, che nell’incertezza propendono più per il risparmio. Ciò significa
che la riduzione dei tassi di interesse inseguita dalle banche centrali non
determina livelli di reddito più elevati, come invece previsto quando i
canali di trasmissione di un’espansione monetaria all’economia reale
funzionano.
Ma veniamo all’altro aspetto dell’emergenza, quello relativo all’urgenza
con la quale sono state disegnate le riforme strutturali fondamentali
attuate dal governo, quella della pensioni e quella del mercato del lavoro.
Che ci fosse l’urgenza di vararle non è in discussione, soprattutto la prima,
ancorché si trattasse di realizzare l’ultimo miglio di un assetto già virtuoso
e in equilibrio, ma che assumeva un forte valore simbolico di fronte a
cosiddetti mercati assetati di sangue. Ma gli errori tecnici, a volte dovuti
alla fretta, a volte alla subalternità a posizioni conservatrici (come quelle
della CGIL), a volte alla scarsa conoscenza dei dati, un prossimo governo,
pur in continuità con gli obiettivi e le idee riformatrici dichiarate
dall’attuale governo, dovrà correggerli.
PER UN MANIFESTO LIB-LAB 3. Le nostre proposte di riforma istituzionale e di politica economica
32
Non sarà difficile farlo per ciò che riguarda le pensioni, se si escluderanno i
tentativi di annullare la sostanza della riforma (incentrata sull’estensione
pro rata del calcolo contributivo e sul superamento delle pensioni di
anzianità nonché sull’esigenza di spostare l’età pensionabile e di
uniformare i trattamenti), e ci si concentrerà appunto sulla correzione
degli errori attinenti in particolare la grave sottovalutazione del problema
della transizione.
Per ciò che riguarda la riforma del mercato del lavoro, la manutenzione
dovrà essere più sostanziale affinché essa risponda, in primo luogo,
all’obiettivo di ridurre il rischio di assumere (dalla riduzione di questo
rischio consegue l’aumento di occupazione e la riduzione conseguente del
precariato patologico) e, in secondo luogo, alla necessità di detassare i
salari di produttività e di introdurre, finalmente nel nostro sistema, il
metodo della contrattazione decentrata, come richiesto, tra l’altro, dalla
Banca Centrale Europea nell’ormai famosa lettera all’Italia del 5 agosto
2011.
Per far fronte a tutto ciò, oggi occorre avviare una riflessione alta,
riprendendo la discussione sulla delega fiscale del governo Berlusconi, per
uno scambio vero tra imposizione diretta e imposizione indiretta, per
passare dalla tassazione delle persone alle cose in maniera seria (e non
ridicola), cioè l’idea di una “svalutazione fiscale” per aiutare a ridurre il
divario di competitività di costi accumulato dall’Italia nell’ultimo decennio
nei confronti della Germania e altri paesi concorrenti, divario non
correggibile con l’aggiustamento del tasso di cambio nominale. Il disegno
complessivo della riforma fiscale in direzione di un sistema pro-crescita è
anch’esso un terreno di confronto da sottrarre alla demagogia elettorale.
Ne abbiamo la possibilità attuando, inoltre, secondo le scadenze già
previste, il Federalismo fiscale, in un processo di razionalizzazione della
spesa, da integrare con la Spending review, di responsabilizzazione degli
enti territoriali e di passaggio dalla spesa storica ai fabbisogni standard, in
un ambito di sostanziale revisione della riforma del titolo V che tanti
problemi ha creato alla funzionalità delle istituzioni. Ed è il momento di
PER UN MANIFESTO LIB-LAB 3. Le nostre proposte di riforma istituzionale e di politica economica
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avviare la riforma delle riforme: una riduzione strutturale, in 5 anni, del
debito pubblico per almeno 400 miliardi di euro (circa 20-25 punti di PIL)
come valore obiettivo, così da portare sotto il 100% il rapporto rispetto al
PIL, al fine di ridurre, nello stesso arco temporale, la pressione fiscale di un
punto percentuale all’anno (dal 45% attuale al 40%) e rilanciare gli
investimenti.
Si rende altresì necessario dare seguito al piano di progressiva riduzione
degli incentivi statali alle imprese per finanziare contestualmente la totale
eliminazione dell’IRAP (gettito 30-35 miliardi), in un contesto di impatto
neutro sui conti pubblici. Ed è fondamentale eliminare l’IMU sulla prima
casa, per tornare all’IMU come prevista nell’ambito del Federalismo
Fiscale: a decorrere dal 2013, escluse le abitazioni principali, direttamente
riscossa dai Comuni, in sostituzione dell’ICI e della componente
immobiliare di IRPEF e relative addizionali. Eliminare l’IMU sulla prima
casa stimola il settore delle costruzioni e, di conseguenza, l’intera
economia. Gli investimenti in edilizia hanno il più alto coefficiente di
attivazione: un euro di spesa nel settore si trasforma in un multiplo di
maggior prodotto interno lordo. Investimenti nel settore immobiliare
vogliono dire crescita e occupazione.
Infine, la riduzione della pressione fiscale e un conseguente miglior
rapporto fisco-contribuenti consente l’emersione dell’economia
sommersa, che in Italia ammonta a 540 miliardi.
Con questo metodo di analisi di tutte le altre azioni concrete riformatrici in
direzione di una liberalizzazione dell’economia, come l’Autorità garante
della concorrenza e del mercato ha segnalato al governo e al Parlamento
nella relazione del 2 ottobre 2012 in 72 punti, in tema di servizi pubblici
locali, energia elettrica e gas, trasporti, settore bancario e assicurativo,
servizi professionali, forse sarà possibile capire meglio il grado di
continuità e di discontinuità che è necessario proporre per il futuro.
Il presidenzialismo, dunque, come verticalizzazione democratica e non
tecnocratica della governance; e l’attacco al debito, come valorizzazione di
mercato della dimensione orizzontale diffusa degli interessi dei territori e
PER UN MANIFESTO LIB-LAB 3. Le nostre proposte di riforma istituzionale e di politica economica
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delle imprese: una vera e propria guerra di liberazione dalla cattiva
politica, dalle cattive rendite di posizione clientelari, sindacali, corporative,
dai monopoli, dai poteri forti.
L’operazione nel suo complesso (presidenzialismo e riduzione strutturale
del debito pubblico) ha in sé tutta la forza, tutta l’etica, di una vera
rivoluzione: si avvia finalmente un meccanismo positivo di
modernizzazione del Paese che ci consente di essere europei a 360 gradi e
che i mercati non potrebbero non apprezzare, sia da un punto di vista
finanziario sia da un punto di vista di credibilità politico-istituzionale. Un
grande, decisivo investimento collettivo nel senso di dare certezze, agli
italiani innanzitutto, ai nostri severi (ed egoisti) partners europei, ai
mercati, per tirare fuori il Paese dalla crisi, dal pessimismo,
dall’autolesionismo, dai suoi errori e dalle sue strutturali inefficienze:
debito e cattiva politica. In questo senso il ricatto degli spread può
paradossalmente diventare una grande occasione non solo per l’Italia, ma
anche per tutte quelle forze politiche e sociali che se ne faranno interpreti.
3.3 Se riparte il Sud riparte il Paese
Se riparte il Sud riparte il Paese. Nel Mezzogiorno gli indicatori economici
rappresentano una società che ha enormi difficoltà. Il Pil cresce meno
della Media nazionale, il reddito pro capite è più vicino alle aree critiche
del Mediterraneo, molto distante dalla media del Nord del Paese e dalle
zone più ricche dell'Europa.
In questo contesto il Sud del Paese può e deve diventare una soluzione e
non un problema. E'qui, infatti, che ci sono i maggiori margini di crescita, è
qui che c'è la straordinaria risorsa del capitale umano, è qui che si gioca la
partita del buon utilizzo dei fondi europei, è da qui che deve partire la
sfida per il federalismo.
Ci sono tutte le condizioni per un vantaggio geopolitico, per essere
protagonisti nel Mediterraneo. Un mare che cresce e che rappresenta una
occasione di crescita. Bisogna guardare a questa possibilità, lavorarci con
PER UN MANIFESTO LIB-LAB 3. Le nostre proposte di riforma istituzionale e di politica economica
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politiche concrete e mirate. E' questa la porta nella sponda del
Mediterraneo.
In questa direzione devono andare i grandi investimenti sulla logistica e sui
porti, sui Beni Culturali e sulla Ricerca e l’Ambiente. Il sistema delle
infrastrutture è dunque di fondamentale importanza.
E' anche in questa ottica che bisogna dare continuità al 'Piano di Azione e
Coesione' e condividere con la Commissione Europea e il Governo il
percorso per un migliore utilizzo dei fondi comunitari attraverso una
programmazione che si concentri su obiettivi strategici.
Abbiamo il compito di introdurre regole capaci di riconoscere le
perfomance di miglioramento, di individuare le responsabilità di chi
sbaglia e le intuizioni di chi coniuga la capacità di contenere la spesa e
pensare politiche di sviluppo.
Dobbiamo archiviare la stagione della spesa pubblica improduttiva, l'idea
delle rendite di posizione.
L'innovazione, la trasparenza delle procedure e delle scelte, la voglia di
misurarsi sul terreno della competitività devono rappresentare i punti di
svolta di un nuovo Mezzogiorno.
A questo scopo,bisogna tenere presente che il negoziato complessivo sulle
prospettive finanziarie dell’Europa nel 2014-2020 avviene in un periodo
delicatissimo per le sorti stesse dell’Unione Europea.
Nella consapevolezza della drammatica crisi e nella convinzione
dell’irrinunciabilità del ruolo dell’Europa e delle sue funzioni riteniamo di
fondamentale importanza che il futuro bilancio europeo sia all’altezza
delle sfide in atto, proponendo idonee soluzioni sulle modalità di uscita
dalla crisi economico-finanziaria globale.
Per quanto riguarda specificamente l’Italia, in considerazione dell’attuale
congiuntura economica e dello stato delle finanze pubbliche nazionali e
regionali, le risorse dedicate alla politica regionale e di coesione si
presentano come assolutamente strategiche per il mantenimento di
politiche pubbliche per lo sviluppo, in linea con gli obiettivi di Europa
2020, per tutto il territorio nazionale e in particolare per il Sud.
PER UN MANIFESTO LIB-LAB 4. Etica e valori. Il rapporto tra stato,economia e società
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4. ETICA E VALORI. IL RAPPORTO TRA STATO,
ECONOMIA E SOCIETA’
Su argomenti delicati, che toccano la sfera privata dell’individuo,
lo Stato deve limitarsi a dettare linee di indirizzo che verranno
poi sviluppate e applicate dalla società civile sia attraverso codici
di autoregolamentazione delle imprese o delle organizzazioni sia
attraverso la libera determinazione di associazioni o di comitati
etici.
In tale contesto, il ricorso alla soft law, vale a dire ad atti para-
normativi, prevalentemente afferenti alla moral suasion, al pari
di quanto avviene nei principali organismi internazionali (ONU) e
nelle istituzioni europee, appare lo strumento di regolazione
meno invasivo e più efficace.
In ambito europeo, per esempio, vengono elaborati codici di
disciplina o linee guida che indicano come la Commissione
europea intende utilizzare i propri poteri e adempiere ai propri
compiti nei diversi ambiti di competenza. Passa poi nella
responsabilità degli Stati la declinazione, in base alle specificità
di ognuno, delle indicazioni di massima fornite dalla
Commissione. Lo stesso meccanismo devono applicare i governi
nazionali nei confronti della società civile per temi che
riguardano scelte personali dei cittadini e delle professioni.
In una società sempre più multiculturale (in cui la presenza di
lavoratori e cittadini stranieri è divenuto un aspetto di carattere
strutturale soprattutto sul piano del mercato del lavoro) e
PER UN MANIFESTO LIB-LAB 4. Etica e valori. Il rapporto tra stato,economia e società
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aperta alle interazioni globali diventa infatti via via più difficile
proporre, e certo imporre, regole stringenti di comportamento e
di condivisione dei principi etici e dei valori posti alla base della
convivenza civile attraverso strumenti normativi tradizionali che,
al contrario, rischiano di creare inutili tensioni e
contrapposizioni.
Viceversa offrire al dibattito e alla autoregolamentazione
elementi di riferimento sui principi fondanti la salvaguardia e la
promozione dei diritti fondamentali ed inviolabili della persona e
dei gruppi sociali consente di accrescere la tutela della dignità
della persona, del suo lavoro, delle sue aspirazioni ed attese.
Tra questi: il principio della inclusione sociale, ossia il pieno
rispetto della dignità e della diversità di ciascuno, qualunque sia
la sua religione, il suo genere, il suo lavoro, la sua condizione
economica e la tutela di ogni sua aspirazione alla crescita
personale e alla partecipazione alla vita collettiva; il principio
della solidarietà, dell’aiuto e della assistenza che è dovuta nei
limiti delle possibilità dello Stato e delle sue organizzazioni a
ciascuno in base alle proprie necessità; il principio della dignità
della persona e della vita, che delimita la libertà di scelta anche
di fronte a malattie degenerative o a accanimenti terapeutici; il
principio della riservatezza che in un mondo sempre più pervaso
da tecnologie intrusive della vita privata ma anche da un
crescente bisogno di sicurezza sta perdendo i contorni di
principio etico e divenendo schema burocratico; il principio della
sostenibilità dello sviluppo e del consumo delle risorse
ambientali e naturali per prevenire costi economici e sociali a
carico delle generazioni future; il principio della libertà di
iniziativa perché ciò che non è espressamente vietato sia
consentito nei limiti del rispetto degli altri interessi individuali e
collettivi.
PER UN MANIFESTO LIB-LAB 4. Etica e valori. Il rapporto tra stato,economia e società
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In questo quadro, per ciò che attiene lo Stato e i rapporti sociali
si possono indicare in sintesi alcuni principi di carattere generale
a cui ispirare l’azione dei riformisti: lo Stato deve assicurare
l’essenziale a tutti e dare più solo a chi ne ha bisogno; regolare i
comportamenti dei cittadini, non sostituirsi alla loro autonoma
iniziativa per risolvere i loro problemi; garantire ai cittadini
l’eguaglianza delle opportunità. Ciò significa che ad ognuno
spettano le medesime condizioni di partenza, ma anche gli
strumenti per non essere emarginato durante il cammino.
Inoltre, le politiche sociali non devono assuefare il cittadino
all’assistenza, ma riattivare le sue possibilità di procurarsi il
necessario in piena autonomia ed autosufficienza. Il concetto di
“pubblico” non coincide necessariamente con “bene fornito
dallo Stato”. Si possono perseguire finalità di interesse pubblico
e generale anche con forme privatistiche, più adatte ed efficaci
sul piano della gestione. Lo Stato deve incoraggiare la solidarietà
tra i cittadini, all’interno delle comunità a cui appartengono. Ma
ciascuna persona è responsabile della propria condizione e del
proprio futuro.
Per essere equa una politica di welfare non può gravare
eccessivamente sulle generazioni in attività che ne assicurano il
finanziamento. Non vi può essere sicurezza sociale a debito e a
carico delle generazioni future, non si può progredire veramente
spendendo oltre le proprie disponibilità. Il presente non è
consegnato dai padri ma preso in prestito dai figli ai quali
dobbiamo restituirlo.