#Manifestami L'ebook

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ROMA - La Redazione di Dazebao è orgogliosa di presentare la raccolta di racconti, immagini e poesie: “#ManifestAmi – racconti di cuore e di protesta”. Questa antologia è il risultato di una nostra iniziativa culturale, iniziata il 20 agosto scorso, il Primo Concorso Letterario gratuito indetto dal nostro giornale. L'opera a cura di Maurizio Mequio è scaricabile gratuitamente in versione ebook, a breve, per i nostalgici della carta, proporremo anche un'edizione cartacea. Vi invitiamo a leggerla e a diffonderla, perché crediamo che un progetto letterario preveda un percorso di partecipazione il più ampio possibile.

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#ManifestAmiRacconti di cuore e di protesta

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Dazebao L'Informazione Online

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Copertina ideata e realizzata da Ornella Acqua

Copyright

Titolo del libro: #ManifestAmi

Autore: AA.VV

© 2013, Dazebao L'Informazione Online

www.dazebaonews.it

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TUTTI I DIRITTI RISERVATI. La riproduzione, anche parziale e con qualsiasi mezzo,

non è consentita senza la preventiva autorizzazione dell’Autore.

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A tutte le Piazze

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Indice

Introduzione...................................................................................9

#Autunno. Sulle fabbriche e nei call center

- Lotta, amore e fantasia Racconto di Simone Luigi di Russo....15

- Thermos Racconto di Anna Rita Lisco......................................23

- Eli, Eli, lamma sabactàni? Testo di @Isichiara........................27

- La speranza è l'unico male non uscito dal vaso di Pandora

Racconto di Marco Marian........................................................45

- Fine della storia Poesia di Paolo Pietrini...................................51

#Inverno. Sul divano e nelle mura

- Domande e perché Testo di Giorgio Montanari........................55

- Fuori romba la protesta Poesia di Alessandra Palombo...........59

- Quella che verrà Racconto di Luigi Macrì................................61

- La rivoluzione è anche negli sguardi Poesia di Sabita Esposto.65

- Il figlio che non volle credere morto il padre Racconto di Luigi

Cignoni.......................................................................................67

- Niente di nuovo sotto il sole Racconto di Chiara Santoianni.....73

- Sogno Testo di Alessia Martalò................................................75

#Primavera. Sui vent'anni e nelle scuole

- Se... Poesia di Valentina Cavallo...............................................81

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- La manifestazione Racconto di Alfonso Sturchio......................83

- Il fiume canta Racconto di Giorgio Ricco.................................89

- Mr Obama Poesia di @GruppoCarlosLattuf.............................93

- Primavera Racconto di Elio Errichiello.....................................95

- Sabato Racconto di Jacopo Spaziani.........................................99

- Io non temo Poesia di @Sinidio...............................................105

#Estate. Sulle lacrime e nelle lotte

- Dopo il corteo Poesia di Lorenzo Del Corso...........................109

- Mio figlio è stato a Genova Racconto di @SofiaGrande.........111

- Nessuno tocchi Nardò Poesia di Susi Ciolella.........................117

- Se bastasse una falce Poesia di Angelo Gattafoni...................119

- Tonino al G20 di @Poetadelnulla............................................121

- Anni al veleno Poesia di Simone Censi....................................129

- I dubbi cadono con le reti Racconto di @Follylesie................133

- Milano andata e ritorno. LOC e PID Racconto di Adalberto Fornario...................................................................................137

- Con le frecce conto i carri armati Opera teatrale di Gianni Spezzano..................................................................................143

#Fuori concorsoNon osiamo pensare di Silviya Plamenova Petkova..................201

Postilla finale di Marcello Fagiani............................................205

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Introduzione

Battere, cogliere con la mano. Mettere in evidenza. Esporre. Esporsi. Farsi vedere. Manifestare. Cosa? Chi? C'è una pellicola trasparente che rende tutti invisibili agli occhi. Questa pellicola ci ha incartato, a volte ci ha incantato, ci ha fatto sentire protetti, non proteggendoci affatto.Io manifesto significa, prima di tutto, mi tolgo di dosso questo schifo, mi metto a nudo. Rendo evidente che esisto, che ci sono e sono come tu non mi vuoi: forte, vivo, meno solo...Ma #manifestAmi cosa vuol dire? Vuol dire forse che tutto ciò ha a che fare con la necessità di amare, di poter sognare e amare ancora?

Vent'anni di Berlusconi hanno raggiunto il suo culmine con il governo Letta. Le piazze sono vuote, abbiamo perso la capacità di unire le nostre proteste, di farci Movimento. Sulle nostre spalle pesano la precarietà dell'esistenza, l'assenza di lavoro, di meritocrazia, la diseguaglianza sociale, l'assenza di diritti, l'impossibilità di far sentire le nostre voci attraverso i media tradizionali. Siamo stati definiti impropriamente “Bamboccioni”, “Oranghi”, “Fannulloni”, “Parassiti”, “Numeri”, “Tette senza cervelli”, “Froci”, “Terroristi”. Invece dipende tutto da noi: giovani, studenti, subalterni, precari, disoccupati, minoranze culturali, donne, omosessuali e migranti.Il concorso che ha portato alla stesura di questo testo aveva l'obbiettivo di raccogliere dei momenti in cui siamo stati

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“vivi”. In cui abbiamo portato avanti il conflitto. Perché in Italia, oggi più che mai, c'è un dannato bisogno di allargare la coscienza civile.La storia italiana è segnata da questi momenti, attimi in cui la carne viva del Paese si è messa insieme e ha sognato di riprendersi tutto: dalle occupazioni scolastiche alle dimostrazioni femministe, dalle lotte dei metalmeccanici a quelle per i diritti. Senza se e senza ma.Siamo arrivati al Terzo Millennio con un'eredità importante, quella No Global, dei Social Forum, delle Tute Bianche, delle associazioni, del pacifismo zanotelliano. Genova ha spazzato via tutto. La morte di Carlo, l'11 settembre, le relazioni sempre più amicali tra tutti i politici e tutti i sindacalisti, hanno fermato il vento. Ma qualcosa resta. Se prima si era intravista una rete, ora ci sono dei nodi, ancora più saldi. Basta allargare le nostre braccia, i nostri sguardi, per scoprire la prossimità dei nostri impegni. Per riaprire il dialogo.Sui territori resistono e si rafforzano gli impegni tematici: No Tav, No Muos, No Dal Molin, Acqua bene Comune, No turbo Gas, Contro le discariche, contro il Pizzo, Libera, Contro gli sgomberi, Se non ora quando, L' Onda, Per la chiusura dei Cie. E' vivo ma, purtroppo, troppo isolato il lavoro dei centri sociali, restano senza ascolto le grida disperate di chi rischia di perdere il posto di lavoro.Allora è necessario mettere insieme delle esperienze, convinti che partendo dal particolare, dal locale, si possano costruire dei ponti, dei legami tra le persone. Si possa vedere un mondo altro, ma possibile. Si possa ricostruire una storia che sappia più di noi e meno di qualcun altro...

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E' iniziato tutto sulle pagine virtuali di Dazebao L'Informazione On line, il giornale con cui collaboro, in qualità di responsabile della sezione Letteratura. Abbiamo indetto un concorso gratuito, a cui hanno partecipato in molti, sono state selezionate le opere che qui presentiamo e che già sono state pubblicate online e lette da migliaia di utenti.E' stato difficile sceglierle e anche chiudere il concorso, mi è sembrato di limitare la partecipazione, ritirare un invito a riflettere sulla propria autobiografia collettiva. Ma volevamo metterci insieme prima della fine del 2013, uscire nel momento più caldo per le piazze, prima del passaggio dell'anno. Prima della chiusura dei bilanci, della caduta del governo o del rilancio di questo. In risposta alla legge di stabilità, in sintonia con la stagione delle occupazioni scolastiche, degli scioperi nelle fabbriche.Esistono delle stagioni della protesta, seguono quelle della vita, dalla giovinezza alla maturità, dalla ribellione alla paura della solitudine. Seguono quelle naturali, quelle culturali, quelle individuali. Così i racconti e le poesie di questo libro sono divisi in sezioni e ogni sezione è una stagione. Ci sono autori che hanno testimoniato le loro lotte in difesa del proprio lavoro, chi della propria dignità di genere. Chi ha lavorato di fantasia, chi ha perso la voglia di protestare, chi è stato dall'altra parte. C'è chi ha parlato come madre, chi come padre, chi come figlio. C'è chi è stato al G8, chi a Niscemi. C'è stato chi ha omaggiato Nardò, chi ha proposto un'opera teatrale ispirata dai fatti di Genova. C'è di tutto, la presenza di tracce disomogenee ne fanno un quadro complesso, che è ben affrontato dal filosofo Marcello Fagiani nella sua

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postilla finale. Si parla di fare “corpounico”, si parla di raccogliere i pezzi e mettersi insieme.Spero che chi sarà attraversato da #ManifestAmi e chi già vi ci sia imbattuto capisca proprio questo: la protesta è il proprio cuore portato in piazza, se resta solo è un momento indimenticabile della propria vita, ma se vicino ad altri cuori è ancora di più. E' un concerto. E' la rivoluzione.

Maurizio Mequio

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#Autunno. Sulle fabbriche e nei call center

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Lotta, amore e fantasia

di Simone Luigi Di Russo

Massimo, trentotto anni, precario.

Massimo che nella vita ha pensato spesso al piacere. Diplomato in conservatorio con il grande sogno di diventare musicista.

I sogni andavano a spasso con lui, e con questi la sua aspirazione di uscire dal coro per suonare canzoni originali, di pace e unione.

La vita gli ha risposto in un'altra maniera, così nel tempo e col tempo decise di mollare tutto e andare a fare un lavoro normale.

Massimo e la cornetta del telefono, lui che lavora con fatica e senso del dovere. Le giornate scorrono, automatiche, veloci l'una simile all'altra.

Si parla di contratto a tempo indeterminato, arrivano promesse e complimenti. Pacche sulle spalle, sogni di sicurezze che si adagiano. Il “posto al sole”.

Massimo non è felice per quello che fa, ma si accontenta. La sera quando stacca continua a mantenere viva la sua anima, suona ancora per non smettere di sognare.

Musica e sicurezze.

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Pensa che si potrà sposare appena gli faranno firmare il contratto. Sogna e non smetteva di farlo neanche quando gli dicevano di stare attento, che nulla era ancora detto, che si paventava l'ipotesi che Luigi Granieri, nipote dell'amministratore delegato, sarebbe entrato al suo posto.

Mattina di settembre. Piove, i volti delle persone sono cupi e indaffarati nei meccanismi quotidiani. Schemi oliati, ben definiti, nulla che possa sfuggire al controllo. Massimo è in Metro, sta andando a firmare il rinnovo di un contratto che vuol dire “ tempo indeterminato”. Guarda quelle persone e si chiede il perché di quei volti privi di sorrisi e spensieratezza. Non basta poco per essere felici? Pensa alle parole di suo padre, parole di allerta nei confronti di un mondo che è cambiato, verso una lotta che non c'è più, e verso una collettività che ha smesso di sognare, amare e rivoluzionare.

Pensa a quelle parole, e le rispecchia in quei volti mentre l'attesa per il grande momento cresce.

Arriva in azienda, la sede centrale è particolarmente curata nella sua asetticità, la gentilezza del portiere lo fa sentire ancora più al sicuro. Ha gli occhi di un bambino che sta per ricevere il regalo più bello.

Quando lo chiamano per andare al primo piano sale le scale quasi volando, sa in fin dei conti che quel lavoro non è quello che ama. Sa che crescendo ha trasformato i suoi sogni, e che l'adeguarsi non è nulla di così nocivo quando c'è impegno.

Accolto dalla segretaria, viene lodato e ringraziato per la sua puntualità e la sua dedizione. Lui che è un ritardatario nato, lui che ama vivere con lentezza, eh si, si è proprio meritato

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quel posto. Si sente stimato, sempre partendo dal presupposto che sta nel suo piccolo... nel suo piccolo mondo fatto di piccoli risultati raggiunti con grandi sforzi. La certezza definitiva del suo accesso al tempo indeterminato è il report semestrale che lo vede il migliore operatore della centrale. Non è una gara, né uno scudetto, ma tra raccomandati di lusso e veterani che dormono mentre lui si “sbatte” è sicuramente un'ulteriore conferma dei suoi sforzi. I giorni in cui pensava che con la fine della sua carriera musicale fosse finito tutto, sono oramai distanti.

Lo sguardo della segretaria Marzoni cambia d'un tratto, si fa più serio e il busto si irrigidisce. “Malgrado tutto quello che ha fatto” dice, “e constatando comunque il suo notevole impegno, vorrei ringraziala in prima persona per il suo lavoro e la serietà mostrata, ma al momento purtroppo non possiamo prolungarle il contratto. Non sappiamo, ad ora, se in futuro avremo altre posizioni aperte... Sono comunque sicura che riuscirà in breve tempo a trovare un lavoro che la realizzi e dove lei possa essere apprezzato e valorizzato”.

Un vetro si fracassa all'improvviso, sparge le schegge per la stanza. Investe il suo corpo, o meglio, si sente come se un tir entrasse dentro la sua auto mentre sta al semaforo attendendo che divenga verde. No, neanche questo. E' indescrivibile la sensazione di cadere nel vuoto senza nessun posto dove poggiarsi. Precipita violentemente senza capire dove potere atterrare. Non era tutto risolto? Non aveva fatto bene a diventare un ragazzo come gli altri e trasformare i suoi sogni in realtà più solide?

Massimo non ha avuto neanche la forza di dire qualcosa, tanto erano forti amarezza e smarrimento. Deluso, ha sceso

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le scale come se la gravità fosse aumentata esponenzialmente in quella mezz'ora. Testa bassa e parole non menzionabili lo conducevano verso la metropolitana, e lì, ora, aveva lo stesso volto che vedeva negli altri solo qualche ora prima.

Qualche mese dopo si trova a casa, con un assegno di disoccupazione e un affitto da pagare, una compagna senza lavoro e incertezze sul ripartire. Rubrica dell'agenda. Numero dell'ufficio legale del sindacato più popolare d'Italia, qualche informazione e infine l'appuntamento con il giovane avvocato Bernardi. La possibilità di citare in giudizio l'azienda, ma al tempo stesso, viste le cause gratuite che il sindacato portava avanti, la richiesta implicita di studiare il ricorso da solo, portarlo all'avvocato che lo avrebbe steso nel linguaggio migliore e depositato presso il Tribunale del Lavoro.

Mesi chiuso a casa a studiare leggi, riforme, applicazioni normative eccezionali, sentenze dell' Unione Europea sull'illegittimità dell'apposizione al termine. Una causa che si affiancava ad un ideale, una causa che si affiancava alla voglia di poter amare la sua compagna serenamente, una causa per tutti quei precari che avevano rinunciato, per quelli che non sapevano e per quelli che gli dicevano che era persa in partenza.

Nel frattempo l'azienda assunse a tempo indeterminato sei lavoratori raccomandatissimi e qualche mese dopo quattordici precari, per i quali valeva la pena creare un precedente.

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Passarono giorni e nel frattempo la lotta continuava, il DDL Lavoro passava alla Camera e le piazze erano vuote. Berlusconi “Bunga Bungava” e le piazze erano vuote. La crisi aumentava e le piazze erano vuote.

Dove erano finiti tutti? Avevano smesso di credere ad un ideale? Dov'erano senso di unione e di collettività? Era lo stare a casa disoccupato che lo portava ad avere questi pensieri, o era la realtà che poco a poco era mutata disgregando tutto? La chiamavano post-modernità, era del nuovo capitalismo. Fino a qualche anno prima gli ammonimenti nefasti potevano essere accostati alla letteratura fantascientifica, ora invece tutto sembrava rivelarsi nella sua potenza disgregatrice. Mentre leggeva saggi di politica e sociologia, pensava che stare a casa, anche se pagato, faceva male. Che quella causa era così importante da dimenticarsi di suonare. Erano giorni grigi, ma pieni di senso di resistenza, dignità e passione. Per lottare d'altronde non serve il frac.

Il giudice dopo un anno e mezzo ordinò il rientro in azienda. Massimo aveva vinto la sua battaglia, anzi la “nostra”. La sentenza per lui era come un monumento, un'epigrafe da lasciare ai posteri, la sua vittoria personale verso il prepotente, verso le relazioni amicali che rendono questo paese quello che tutti conosciamo.

Il rientro fu grandioso. Per lui i suoi ex colleghi fecero una festa. Anche chi lo criticava, chi lo reputava furbo e riottoso era sinceramente soddisfatto per lui. Massimo si stupì nel vedere quelle persone unite sotto il simbolo della vittoria e si disse che in fin dei conti il genere umano non era così malvagio.

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Ma in ogni storia che sia degna di essere reputata tale c'è sempre un “ma”. Il “ma” fu la reazione dei precari, per lui amici e compagni, che invece, lo assalirono, gli diedero del ladro perché quello era il loro posto di lavoro.

Coloro per i quali aveva lottato gli davano del ladro, che senso aveva?

Con umiltà tornò a lavorare più di prima, per non fare sentire i precari come se fossero una categoria subalterna. Ci vollero quattro mesi per far capire che lui voleva unire e non dividere, che voleva essere assieme e non disgregare. Che la lotta è di tutti e non di uno solo.

Nel giro di due anni i precari furono mandati via in tronco tutti e quattordici. Arrivò una lettera di mobilità, l'azienda chiudeva i battenti. Tutti a casa anche i più anziani. Una volta ancora il terreno sotto i piedi venne a mancare all'improvviso, mentre il sindacato, che sapeva tutto da mesi, non fece nulla. Il salvabile non venne salvato.

Vidi Massimo negli occhi, appesantiti, pieni di rabbia e delusione. Mi disse che in fin dei conti non importava, perché lo aveva fatto non tanto per lui, ma per quello che credeva, e che non era importante se gli altri non ci credevano più. Quello che non può morire non muore mai, le passioni e la dignità si nascondono nel silenzio, ma non spariscono. E' in quei momenti di nulla apparente che si studia una nuova strategia di lotta, non bisogna mai dimenticarci da dove veniamo.

Massimo oggi suona in una sua piccola orchestra. Ha smesso di credere ai sindacalisti e ai politici che dovrebbero rappresentarlo.

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L'ho rivisto recentemente in un caldo giorno di luglio mentre lavoravo in un call center. Mentre parlavo al telefono ho sentito della musica venire da fuori con parole che inneggiavano a non arrendersi mai. Mi sono affacciato e l'ho riconosciuto, e con lui altri ragazzi, che quel giorno ci hanno fatto capire che i sogni e le lotte non sono finite, che basta poco per cadere e molto per rialzarsi. Che fin quando il suono dell'anima ci regala armonia non si smette mai di lottare e sognare.

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Immagine ideata e prodotta da Ornella Acqua, giovane grafica che vive e lavora tra Taranto e Matera.

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Thermos

di Anna Rita Lisco

Sono in cinque, in tuta grigia e blu, allineati come sardine in scatola, sul cornicione del terzo piano e tra questi c’è Mino, mio fratello. La sua figura si staglia nitida contro le mattonelle color biscotto dell’edificio, mentre gli altri sembrano piccole ombre senza contorni. Non gli stacco gli occhi di dosso, mentre il capannello di gente attorno a me si fa sempre più numeroso. Percepisco lontana una sirena e poi intravedo ad intermittenza una fastidiosa luce blu, che non distoglie la mia attenzione.

Vorrei gridare qualcosa, ma le parole se ne stanno lì, al caldo della mia incoscienza. Le mani si tormentano nelle tasche del cappotto, mentre coi tacchi, picchietto sul selciato, come a voler schiacciare invisibili formiche.

“Che succede?”.Si informa uno in divisa, facendosi largo tra la folla. Io gli indico con il mento quei cinque sprovveduti che giocavano agli eroi.“Perché sono lì?”. Domanda un altro, spalancando la portiera e sollevandosi in piedi come un soldato.“Protestano”.Sussurro distogliendo lo sguardo e fissando i miei scarponcini. “Contro chi? Cosa?”.“E chi lo sa.”Rispondo laconico, arricciando le labbra.

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“Pazzi”.Commenta un tizio alle mie spalle.

Non ce la faccio. Le parole che avrei voluto sparare contro mio fratello, le sputo allo sconosciuto, voltandomi di scatto.“Pazzi? Come si permette di giudicare?”.“Dico che ci sono altri modi per protestare. Meno plateali e pericolosi. Se uno di loro precipita da quell’altezza, non vedo come risolverà i suoi problemi”.Non riesco a replicare. Mi limito a fissarlo in cagnesco, con gli occhi torvi.

Che ne sa lui dell’esasperazione che ha portato quei poveracci a ciondolare con le gambe a quindici metri di altezza? E’ uno di fuori, lo si riconosce da come porta lucide le scarpe e ben limate le unghie. “Le mani di un pianista”, avrebbe sentenziato mio fratello. Non come le sue, torpide e unte come quelle di un meccanico. “Guardi che se non ci fosse gente coraggiosa come quella, noi saremmo rimasti ancora nei latifondi a far arricchire nobili e re!”.

Finalmente una signora occhialuta viene in mio soccorso. Non sono mai stato bravo con i discorsi. Sì, le parole mi vengono in gola, ma poi tornano al mittente, senza che gli altri ne vengano a conoscenza. Mio fratello lo sa, per questo, spesso, prende parte alle discussioni per difendermi. Ecco, anche ora lo fa, mentre dalla sua postazione si srotola uno striscione.“Operai carne da macello. Adesso basta!”Non capisco il senso della frase, ma sorrido compiaciuto. So che ha scritto quelle parole pensando a me.

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Mi hanno messo fuori due settimane fa. E come me altri sette.

Riduzione del personale. Poca redditività. Tagli ai costi. La verità è solo che “loro” non vogliono guadagnarci di meno. E “quelli” che devono sacrificarsi siamo “noi”, gente al declino.

Siamo poveri, che ci costa impoverirci maggiormente? Loro sì, avvertirebbero le differenze dei minori introiti. E non sarebbe giusto. L’azienda è la loro, i soldi investiti, i loro, le azioni tra le attività, sempre loro.

Noi siamo i numeri sul libro matricola. Siamo gli oneri Inps e Inail, siamo quelli che rompono con i sindacalisti, i permessi e le ferie d’agosto. Perché non siamo nati macchine? La colpa è solo nostra.

Vedo un tizio con una telecamera che riprende il disperato spettacolo e un altro incravattato che intervista un ex collega. Riesco a raccogliere solo frammenti di parole, ma mi bastano per inveire contro.“… Non si protesta a questo modo… L’azienda tutela i dipendenti…. I licenziamenti erano necessari….” “Ma che cazzo dici???”.

L’occhio della telecamera mi punta, ma non ci faccio caso. Sfilo il microfono dal giornalista e quasi lo addento per parlarci sopra. “Prima di gettare sul lastrico otto famiglie, per far tornare i conti, si cercano altre soluzioni, magari meno redditizie, ma più umane. Quelli lassù sono degli eroi perché stanno

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manifestando per coloro che sono stati fatti fuori. Io sono uno di quelli. La mia vita è appesa a un filo, non ho soldi per far campare la mia famiglia e i sussidi sono miserevoli e arrivano quando è già troppo tardi”.

Consegno quello che sarebbe dovuto essere il mio megafono, il mio strumento di protesta. Mi confondo tra la folla e mi dirigo verso l’entrata. Non c’è nessuno che controlli il passaggio.

Un altro disperato si aggiungerà sul cornicione arancione della fabbrica “THERMOS”.

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Eli, Eli, lamma sabactàni ?

Di @Isichiara

9 Sì, tu m'hai tratto dal grembo materno;m'hai fatto riposar fiducioso sulle mammelle di mia madre.10 A te fui affidato fin dalla mia nascita,tu sei il mio Dio fin dal grembo di mia madre.(Davide, Salmo 22)

Lui bambino, che seduto a terra, spalle all'alto muro di cinta di sassi a vista che limitava la grande proprietà degli Scurati, si sentiva il più solo e disperato del mondo, né nulla più captava di quanto ardentemente amava: i gerani allineati sulle mensole alle pareti del disordinato palazzo, né il profumo del ciliegio e del pruno in fiore, né l'odore del rosmarino e della salvia dell'orto, né il cicalare dei passanti, seduti sulla panchina nell'atrium del palazzo, con il portone sempre spalancato di giorno, né lo sferragliare sommesso della grande bilancia davanti all'armadio della seta che serviva per pesarla, né l'odore dei bachi della seta nell'ultima stanza che dava sul cortiletto di sassi del lavatoio interno, né il canto saltellante dell'acqua della roggia e lo sciacquio dei panni delle donne che, ridendo e spettegolando, sull'inginocchiatoio li sbattevano sulla pietra prima di immergerli, né il chiocciare delle galline, né il rumore dei telai di suo padre che lo sovrastava. Lui che aveva saputo dove fosse la mamma perché aveva colto il sotterraneo bisbiglio delle serve: l'Ercolina, la Vittoria, la Giovanna...“...no, è uscita...manicomio...adesso è dal fratello del marito...il prevosto che li ha fatti conoscere...”Lui che era un povero bambino senza la mamma...

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2 Dio mio, io grido di giorno, ma tu non rispondi,e anche di notte, senza interruzione.3 Eppure tu sei il Santo,siedi circondato dalle lodi d'Israele.4 I nostri padri confidarono in te;confidarono e tu li liberasti.5 Gridarono a te, e furon salvati;confidarono in te, e non furono delusi.(Davide, Salmo 22)

Lui che faceva il liceo classico dai Barnabiti nel collegio di Lodi e si guadagnava la retta facendo l'istruttore, lui che era uno Scurati e moriva di umiliazione, lui tormentato dal sesso di notte che era peccato e sognava la sua valle e le strade di pietra grigia e la piazza col teatro e il Sesia che correva intorno agonizzante a volte, altre ardente di acqua copiosa.

Ma, quanto a me, la mia preghiera sale a te, o Eterno, nel tempo accettevole; o Dio, nella grandezza della tua misericordia, rispondimi, secondo la verità della tua salvezza. (Davide Salmo 69)

Lui che partiva per Milano con i soldi per iscriversi a Legge perché doveva ereditare lo studio dello zio avvocato, scapolo e ricco, e si iscriveva a Chimica Industriale al Politecnico di Milano e insieme frequentava il setificio di Como perché voleva la fabbrica della seta di suo padre e sapeva che ce l'avrebbe fatta anche se lui l'aveva bollato “Ti, si mia adattà...”

16 Rispondimi, o Eterno, perché la tua grazia è piena di bontà; secondo la grandezza delle tue compassioni, volgiti a me.(Davide, Salmo 69)

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Lui che voleva sposare la compagna di università, laureata, nobile e senza dote e non una Grober, i potenti del paese che garantivano sicurezza e splendore al suo futuro, perché negli occhi della Pina leggeva un mare di amore e di ammirazione e di fiducia e lei gli diceva “Tu sei il mio Dio” anche se lui la rimproverava, sentendosi davvero Dio. Lui che si buttava dall'alto del Sacro Monte per obbligare la sua gente ad accettarla e, dati i “precedenti”, la sua gente la smetteva di ostacolarlo.

Lui che la sposava vestita con un cappottino nero, perché la sua mamma, vedova, si era ammalata e lui si struggeva perché avrebbe voluto avesse un abito bianco con lo strascico e un matrimonio in grande con tutta l'alta nobiltà del paese compresi i titolati cugini Banfi. Lui che la portava nella sua valle e lei convinceva il padre del suo Dio a dargli la fabbrica che trasferivano a Como e la fabbrica cresceva e lui anche insegnava in quel setificio dove era stato uno studente, da universitario e tutti lo stimavano e lo ammiravano.

Lui che aveva dei figli e li amava con passione e la mamma mistificava le sue assenze dicendo che lui era “il grande cervo” quello che in Bambi compariva nei momenti importanti per risolvere le cose.

Lui che portava il suo unico maschio con sé al setificio, sopportando assenze ingiustificate e amicizie pericolose e il bettolino dove giocava a carte e dove la mamma lo andava a prelevare tutti i santi giorni, perché doveva essere l'“erede”.

Lui che capiva, primo di tutti, che la sopravvivenza dell'industria dipendeva dalla diminuzione del costo del lavoro e aveva lottato con i sindacati subendo ricatti e ritorsioni, richieste e picchettaggi sino allo sfinimento, per dimezzare il numero degli operai con i telai automatici e per

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essi aveva ipotecato lo stabilimento e tutta la terra intorno con una prospettiva di ammortamento dei costi di impianto nel giro di pochi anni e reintegro dei dipendenti in cassa integrazione, nonché nuove assunzioni per lo sviluppo scontato e senza limiti. Aveva ipotecato quella immensa distesa di terra che aveva comprato dal marchese Landi, la notte in cui era venuto a bussare per dirgli che aveva degli enormi debiti di gioco e doveva onorarli per non finire in galera o, peggio, nella bara.

Lui che aveva letto, per la prima volta negli occhi di sua moglie la delusione, perché aveva creduto di vedere nel suo Dio l'ambizione più forte dell'amore, la Pina che diceva di amare la formica più dell'aquila, pur essendo, lei, un'aquila forte e potente.

Lui che partiva di casa alle 5 per accendere il riscaldamento per gli operai e non tornava per cena e dimenticava che “loro” lo aspettavano, perché “senza papà non si cena” e aveva cominciato a litigare con la Pina, litigi violenti di persone intelligenti, di quelli che levano la pelle e poi...

Eli, Eli, lamma sabctàni?Signore, signore, perché mi hai abbandonato?

Lui che, chiamato da Conti, il direttore della banca di Camerlata, basso e pingue più di sempre, flaccido e untuoso più che mai, si era sentito dire che lo scoperto gli era stato sospeso, a lui come a molti altri, che doveva rientrare nel debito, perché era un momento di crisi, perché le cose si voltavano al peggio, per l'industria della seta in particolare, con la concorrenza della Cina, ma per il Paese tutto, che stava per essere coinvolto in un disastro “globalizzato” perché aveva vissuto al di sopra dei suoi mezzi ed era

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indebitato sino al collo. Lui che aveva provato ad imporsi con la forza del loro contratto e della legge, con la dimostrazione (che aveva già dato) dei tempi di ammortamento, con la persuasione della sua coerenza professionale e della sua riconosciuta onestà, con la preghiera, perché aveva una famiglia cui rendere conto, con l'implorazione di un sentimento di pietà...

O Dio, vieni a salvarmi,Signore, vieni presto in mio aiuto.Siano svergognati e confusiquanti attentano alla mia vita.Retrocedano, coperti d'infamia,quanti godono della mia rovina.Se ne tornino indietro, pieni di vergognaquelli che mi dicono: “Ti sta bene!”.

Esultino e gioiscano in tequelli che ti cercano;dicano sempre: “Dio è grande!”quelli che amano la tua salvezza.Ma io sono povero e bisognoso:Dio, affrettati verso di me.Tu sei mio aiuto e mio liberatore:Signore, non tardare. (Davide, Salmo 70)

Lui che aveva dovuto affrontare la Pina e lei, prefica e Cassandra, piangeva, rinfacciava e prediceva il disprezzo delle genti e la rovina dei figli e il futuro avanzava feroce e soffocante, sino a quando tutto si confuse, passato e presente e futuro...

11 Ho fatto d’un cilicio il mio vestito, ma son diventato il loro ludibrio.

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12 Quelli che seggono alla porta discorron di me, e sono oggetto di canzone ai bevitori di cervogia.13 Tirami fuor del pantano, e ch’io non affondi! Fa’ ch’io sia liberato da quelli che m’odiano, e dalle acque profonde.14 Non mi sommerga la corrente delle acque, non m’inghiottisca il gorgo, e non chiuda il pozzo la sua bocca su di me!...20 Il vituperio m’ha spezzato il cuore e son tutto dolente; ho aspettato chi si condolesse meco, non v’è stato alcuno; ho aspettato dei consolatori, ma non ne ho trovati.21 Anzi mi han dato del fiele per cibo, e, nella mia sete, m’han dato a ber dell’aceto.(Davide, Salmo 69)

Lui che aveva gridato “Io sono Gesù Cristo che sta salendo al Calvario” e avevano detto che era impazzito (nessuno aveva osato sussurrare “come sua madre”) e lui aveva letto negli occhi della sua donna il disprezzo e la vergogna che lei aveva voluto tenere “in casa”. Era venuto il professore Masciocchi, illustre psichiatra, fanoia di capelli brizzolati che divampavano dalla cute, occhi curiosi dietro gli occhiali, e aveva fatto la diagnosi e prospettato la terapia. Ma la Pina non voleva sentire parlare di ansiolitici, antidepressivi, sedativi che lo avrebbero ridotto un deambulante senza direzione. Preferiva la violenza alla stupidità e aveva chiesto “l'alternativa”. Masciocchi le aveva parlato dell'elettrochoc come unica alternativa, che aveva ripreso quota negli ultimi tempi, ma aveva anche detto della necessità di portarlo in clinica...clinica...manicomio, addolcito, addomesticato, arena di bestie sconosciute vaganti in cerca di identità. “Io pago”, aveva detto la Pina, “quello che vuole, ma da qui non deve uscire”. Era andata in banca dove teneva i suoi soldi e aveva scoperto che le avevano fatto fare degli investimenti che non le rendevano nulla e che avrebbe potuto vendere solo nel futuro. Se avesse ritirato avrebbe ricevuto la metà di quanto aveva investito: “polizze assicurative Arabesque”.

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“Io mi sono sempre fidata di voi ciecamente”, disse gelida, “perché il dott. Milanesi ha sempre fatto il mio interesse, vedo che il giovane dott. Portiglia ha approfittato della mia fiducia...”

“Dottoressa, mi meraviglio di lei, lei è una persona preparata, poteva leggere le carte!!!”, le disse il Dott. Insinna, il giovane direttore, supponente e pesantemente ironico.

“Non si preoccupi, capisco che non mi posso più fidare di voi. Quando scadono? Aprile 2015? Il nostro rapporto è giocoforza, duri sino ad allora. Ovviamente prenderò le mie precauzioni. Ora non ho tempo di discutere”. Lei imparò per il futuro, ma ne vendette ugualmente una parte, quello che le serviva, perché non aveva nessuna idea delle entrate/uscite del marito. Da lui riceveva una congrua somma ogni mese sulla quale riusciva anche a risparmiare...come una formica. Venne il momento. Relegò le ragazze, che respiravano tragedia, nella sala dei giochi. La primavera inoltrata bussava alle grandi vetrate con il tremolio delle splendide foglie del faggio, verdi dove il sole non arrivava, accendendosi in un rosso sempre più fulgido laddove i raggi del sole le accarezzavano, quasi viola nel trionfo del sole che le raggiungeva.

Stefano, l'unico maschio, tanto amato, non c'era. Aveva rubato l'auto del padre e era sparito, ancora minorenne, sia pure per poco, senza patente.

12Grossi tori mi hanno circondato;potenti tori di Basan m'hanno attorniato;13 aprono la loro gola contro di me,come un leone rapace e ruggente.14 Io sono come acqua che si sparge,e tutte le mie ossa sono slogate;

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il mio cuore è come la cera,si scioglie in mezzo alle mie viscere.15 Il mio vigore s'inaridisce come terra cotta,e la lingua mi si attacca al palato;tu m'hai posto nella polvere della morte.16 Poiché cani mi hanno circondato;una folla di malfattori m'ha attorniato;m'hanno forato le mani e i piedi.17 Posso contare tutte le mie ossa.Essi mi guardano e mi osservano:18 spartiscono fra loro le mie vestie tirano a sorte la mia tunica ( Davide, Salmo 62)

Lui, dopo, riaprì gli occhi e sorrise alla moglie, che aveva assistito impavida, sia pure agonizzando, perché lei non lasciava mai quello che le apparteneva nelle mani di qualcun altro e Masciocchi disse: “Tutto bene. Ci sono politici che fanno l'elettrochoc e il giorno dopo sono in Parlamento”. Diede le istruzioni e se ne andò con l'assistente e gli infermieri, dopo aver smontato tutto. La Pina respirò forte e si chiese se lo avrebbe amato ancora e lui glielo lesse negli occhi. Finse di dormire e lei uscì dalla stanza che non era quella matrimoniale, perché la Pina non voleva la malattia nei suoi spazi privati, ma era quella delle ragazze che dormivano in quelle notti nelle stanzette del solaio, negli importanti letti di noce con gli angioletti, gioielli di antica fattura che vantavano l'ospitalità di una miriade di generazioni.

6 Ma io sono un verme e non un uomo,l'infamia degli uomini, e il disprezzato dal popolo.7 Chiunque mi vede si fa beffe di me;allunga il labbro, scuote il capo(Salmo 22)

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3 Sono stanco di gridare, la mia gola è riarsa; gli occhi mi vengon meno, mentre aspetto il mio Dio.8 Io son divenuto estraneo ai miei fratelli e un forestiero ai figlioli di mia madre(Salmo 69)

Lui si alzò, percorse il corridoio sino alla sala grande, la attraversò e andò sul terrazzo che sporgeva sulla ferrovia. Guardò la città che aveva scelto, corse attraverso le strade appena accennate, rivoli di cemento in mezzo alle case e i campanili, S. Rocco, S. Abbondio, la cupola del Duomo e il lago, sorridente, piccola chiazza azzurra vista da lontano, e la cerchia delle montagne rassicuranti, ma non soffocanti, che lo cingevano. I momenti della sua vita gli passarono davanti, tutti in fila. Lo prese allora un'ira sorda verso tutto e tutti e un desiderio lancinante di vendetta.

Sia la mensa, che sta loro dinanzi, un laccio per essi; e, quando si credon sicuri, sia per loro un tranello!(Salmo 69:22)Gli occhi loro si oscurino, sì che non veggano più, e fa’ loro del continuo vacillare i lombi.(Salmo 69:23) Spandi l’ira tua su loro, e l’ardore del tuo corruccio li colga.(Salmo 69:24) La loro dimora sia desolata, nessuno abiti nelle loro tende.(Salmo 69:25) Poiché perseguitano colui che tu hai percosso, e si raccontano i dolori di quelli che tu hai feriti.(Salmo 69:26) Aggiungi iniquità alla loro iniquità, e non abbian parte alcuna nella tua giustizia.(Salmo 69:27)Sian cancellati dal libro della vita, e non siano iscritti con i giusti.(Salmo 69:28) Lui calcolò con freddezza la traiettoria della sua caduta. 30 e lode in fisica e matematica, unico di Chimica Industriale e

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quando arrivò il treno, spiccò il volo pregando: “Padre, nelle Tue mani rimetto il mio spirito. E detto questo spirò”. (Lc.23-46)

La versione ufficiale fu che il dott. Tommaso Scurati, da tutti stimato e da molti amato, dopo un intervento era andato sul terrazzo per respirare un poco di aria pura, gli era venuto un malessere ed era precipitato. Nessuno, e tanto meno il Parroco, conoscendo la sua fede e la sua rettitudine mise in dubbio i fatti, non pensando che per cadere, proprio sulle rotaie, avrebbe dovuto più o meno eseguire un tuffo come quello che dal ponte di Crevola, da bambino, faceva nel Sesia, calcolando la giusta traiettoria in trasversale, per cadere dove l'acqua era più alta.

Il funerale fu un trionfo, come tutti i funerali dove il dolore è vero. Gli Scurati abitavano in una strada deliziosa che, in dolce salita, parallela alla Napoleona, la principale arteria di entrata in Como, partiva dalla chiesa di S. Rocco e sfociava all'altezza del vecchio ospedale: ville e villette, curate e trasandate, giardini e parchi all'ombra della montagna su cui vegliava, diroccata, ma ferma, un'unica torre, rimasuglio di quello che era stato un castello del Barbarossa; vecchie dimore all'interno della Ca' merlata e la splendida basilica di San Carpoforo, che, lentamente, ma inesorabilmente, languiva nella penombra della dimenticanza, risorta invece nelle strutture adiacenti in una fiorente scuola privata di ormai collaudata fama.

Gli Scurati stavano esattamente alla metà di quella strada e i partecipanti al funerale partivano dalla casa e arrivavano sino alla chiesa. 500m. di un dolore sincero, di lacrime genuine. C'erano tutte le classi del setificio, c'erano gli studenti delle scuole ormai concluse, ma partecipi del dolore delle ex alunne, figlie del defunto: il liceo magistrale, il liceo

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classico e l'istituto delle Canossiane. C'erano coloro che condividevano le idee politiche di Scurati, i membri dell'Ufficio diocesano per la pastorale della famiglia di cui era il direttore, con la moglie (polemica ma ubbidiente), l'intero consiglio pastorale Diocesano, amici, parenti, conoscenti, gli operai della fabbrica, tutti in gramaglie perché l'uomo era conosciuto, aveva anche rischiato di diventare sindaco di Como, se il Martinelli, un lupo affamato non lo avesse scavalcato proprio informando a fior di labbra della fragilità della famiglia di origine di cui, chissà come, era venuto a conoscenza. Lui non aveva portato alcun rancore, perché non era nella sua indole, ma anche perché considerava l'appartenenza politica un dovere, al contrario di quanto diceva la Pina: la fabbrica e la famiglia gli bastavano.

Quando la famiglia uscì, tutti si ritrassero per fare spazio. I ragazzi ululavano il loro dolore con lacrime amare... loro sapevano... incuranti degli insegnamenti a lungo impartiti: “Non ci facciamo subito riconoscere, gli Scurati ignorano il controllo...” e infatti i quattro ragazzi barcollavano dietro alla bara ubriachi di patimento, fregandosene della gente e di quello che pensava, riuscendo a malapena a seguire il feretro e sostenendosi l'un l'altro come fuscelli scossi da un vento impietoso. Non vedevano nessuno, non sentivano nulla, seguivano il feretro come i cani seguono l'adorato padrone, augurandosi che tutto finisse nel minor tempo possibile e potessero tornare a macerarsi nel silenzio insolito della loro casa.

Conti e alcuni funzionari della Banca, con un tipo che non conoscevano, il prof. Masciocchi, l'assistente e gli infermieri aspettavano in chiesa e solo la moglie del defunto li vide e fece un cenno. Il feretro fu posto sulla nuda terra come spettava ai nobili e tutta la cerimonia si svolse in un silenzio

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austero dove l'unico suono era la voce sommessa del prete e i singhiozzi che non cessarono mai. Composta, ma fiera al loro fianco, ormai conscia dell'inutilità di qualsiasi ammonimento, la moglie del dottor Scurati respirava appena, cercando di placare il tumulto del suo cuore dove rimpianto e tenerezza, disprezzo e rivolta, paura e curiosità, desiderio e ripugnanza stavano combattendo una battaglia che temeva l'avrebbero distrutta, resa incapace di riflettere con raziocinio sull'accaduto e arginare il baratro che si stava aprendo intorno a loro.

Niente musica durante la cerimonia, solo alla fine: l'organo singhiozzò nelle note del Requiem di Mozart. I 5 Scurati non uscirono, non vollero mischiare il loro dolore con le parole inutili delle condoglianze. Si sedettero nella panca a loro destinata e aspettarono che la chiesa sfollasse, che tutti quelli che si erano fermati davanti al portale di ingresso capissero che non sarebbero usciti e quando lo scalpiccio dei passi, lo sbattere delle porte si placò, la mamma li guidò alla sagrestia dove ancora Don Luigi stava togliendosi i paramenti, lo salutarono, fecero portare la bara sul furgone e si sedettero al suo fianco. Partirono per la verde valle che aspettava il figlio nella tomba di famiglia. Vollero ritornare quella stessa notte con lo stesso furgone della compagnia funebre e si fecero lasciare a notte fonda davanti alla loro casa.

Lei si ritirò negli spazi di rappresentanza e lì dormì sul sofà orientale e mangiò quello che l'Anna, la fidata Anna che l'aiutava da sempre, preparava per tutti. La Gio si rifugiò nella stanza che divideva con le mezzanelle. Ilaria e Carlotta parcheggiarono esauste nella sala dei giochi e Stefano si chiuse nella sua cameretta. La Gio frequentava il secondo anno di Architettura, sezione Design, con l'ambizione futura di dirigere un settore creativo dell'azienda familiare. Era

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estrosa ed era quella che meglio conosceva la fabbrica perché la legge “Noi vi diamo il diploma, la laurea ve la dovete guadagnare anche se siete degli Scurati”, l'aveva spinta a lavorare con il padre per pagarsi le rate dell'Università. Ilaria frequentava Psicologia alla Cattolica di Milano e insegnava ed era l'unico stipendio sicuro extra familiare su cui si poteva contare.

Carlotta, preso il diploma magistrale, aveva annunciato alla famiglia che voleva fare la cantante lirica e nello sgomento materno, il padre l'aveva appoggiata. Pertanto si era iscritta al Conservatorio e ogni giorno raggiungeva Milano per gorgheggiare scale, scalette e vocalizzi vari, arie, duetti, concertati e cabalette. Si autofinanziava con qualche concerto e con l'appartenenza al coro dei cantori lariani.

Stefano era stato bocciato, nonostante fosse il figlio di un docente e ripeteva, bigiando spesso, l'ultimo anno del setificio.

Erano belli i ragazzi Scurati: minuta e flessuosa la Gio, con grandi occhi verdi e cortissimi ricci castani che disegnavano una testa sopraffina e creativa, di rara potenza provocatoria. Nell'immaginario familiare era rimasto, più volte citato, l'episodio in cui bambina, mentre guidava il gruppo dei fratellini, quando ancora stavano in via Scalabrini e facevano le scuole, loro alle Orsoline e Stefano al collegio Gallio, e prendevano il treno della Nord per arrivare in centro Como, aveva freddato un'incauta che, mentre passavano da una carrozza all'altra, lasciando le porte spalancate, alla ricerca dei posti giusti, le disse: “Ehi, ragazzina, non esistono le porte a casa tua?”

Lei, senza girarsi, “No, signora, tutte tende”.

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Alta e imponente l'Ilaria, ovale perfetto, caldi occhi nocciola, forte naso aquilino e una morbida bocca e lunghi capelli castani, una figura sinuosa, dove le curve ardite provocavano spesso salaci commenti. Appariscente più che bella, forse, ma classe da vendere.

Non alta, grandi occhi scuri, un profilo perfettamente equilibrato in un viso bellissimo e la figura piena, dalla vita sottilissima e il seno generoso, la Carlotta.

Stefano, sul camice del laboratorio, una volta aveva trovato scritto “Rodolfo Valentino”... Alto e snello, con i riccioli ribelli, come tutto in lui, e una leggerezza pericolosa nello scegliersi le amicizie.

Dopo una settimana di silenzi la Pina uscì dalla sala bella e riunì la famiglia. “Siamo sull'orlo del fallimento”, disse senza tanti preamboli, “terreni e fabbrica sono ipotecati, abbiamo un debito da risalire di un milione di euro, la Banca ci ha chiuso il credito, io ho dei soldi in banca che non posso toccare perché altrimenti dimezzo il loro valore. Possiamo contare solo su 1500 € che ho trovato nella cassaforte e i soldi che Masciocchi non ha voluto. Dobbiamo vedere con Ronchetti i crediti e i debiti spiccioli della fabbrica, clienti e fornitori e, siccome non mi fido della sua intelligenza, bisogna che io vada in fabbrica e prenda in mano la situazione. Ognuno di voi deve dare il suo contributo alla conduzione della famiglia. Tu, Gio, che la conosci e hai la patente, verrai con me in fabbrica e insieme vedremo come affrontare banca, sindacati, operaie e maestranze. Tu, Ilaria, farai la tua solita vita, però sappi che il tuo stipendio non verrà più messo su un tuo conto, ma verrà usato per tirare avanti il quotidiano della famiglia, bollette e vettovaglie, pertanto attenti alla luce, al telefono, al gas... Insomma via tutti gli sprechi. Tu sei l'addetta alla spesa. Il tuo territorio

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sarà il mercato e dovrai trovare il tempo per accorgerti di quanto manca, di quello che occorre giorno dopo giorno per tirare avanti e far quadrare i conti. Tu, Carlotta, che ami la casa, provvederai alle pulizie con l'aiuto di Anna e a tenere l'ordine generale a cui...TUTTI COLLABORARETE. E tu, Stefano, dovrai metterti sotto a studiare perché se non ce la fai nemmeno quest'anno, comunque dovrai lavorare”.

Nessun accenno all'ultima bravata.

Ognuno accettò il proprio fardello senza discutere, si organizzò in modo da non trascurare anche i propri impegni e ricominciò a riaprire i rapporti con l'esterno. La mamma e la Gio ottennero dal Conti della Banca un poco di respiro.

“...anche se... devo consultarmi con i sommi vertici”, concluse Conti salutandole, guardandole fissamente con i suoi occhi chiari e spenti, dietro gli occhiali da miope.

“Quali vertici?”, intervenne la Gio, “Questo vorrebbe dire che di punto in bianco, come avete fatto con mio padre, potremmo trovarci di nuovo nelle spire della vostra famelica ganascia?”.

“Non dipende, in fondo, né da me, né da loro...è una questione generalizzata ormai...”, tagliò corto il direttore impreparato a tanta audacia.

I sindacati credettero di poter conquistare, finalmente, uno spazio all'interno della ditta Scurati.

Quando il Pezzi ipotizzò l'assunzione della moglie quale amministrativo, alludendo ad una morbidezza dei loro interventi, gli fu risposto con cortesia che non avrebbero proprio potuto parlare di “assunzioni”, ma caso mai di ulteriori tagli del personale. Quando disse “Sa, che vuole,

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anche noi siamo uomini e abbiamo famiglia...” la dott.ssa Scurati rispose sicura, con l'ingenuità della neofita: “Ma voi avete la fede”, e gli tappò la bocca.

Fu il dott. Molteni che fece un errore imperdonabile. Quando alla Gio, che, più carina che mai, difendeva il diritto alla sopravvivenza della fabbrica, che sarebbe stata agevolata da un taglio del personale, ogni tessitrice 4 telai invece di due, ogni tessitore 20 automatici invece di dieci, flautò: “Se ti arrabbi sei ancora più bella”, allungando una mano in direzione del seno, “io so essere molto disponibile con chi è disponibile con me...”, si ebbe un feroce e sibilante “Io la denuncio agli organi locali, a quelli regionali, a quelli centrali dell'intero paese, la metto sui giornali e in televisione con nome e cognome...Voi avete più volte chiesto denaro a mio padre in cambio di mansuetudine, soldi che mio padre non vi ha mai dato perché nel suo rigore morale non ha mai avuto nulla da nascondere, voi avete ipotizzato un' assunzione in cambio di clemenza e ora lei... lei si permette di fare delle avances che paghino la vostra misericordia? Faccio nascere intorno alla cosiddetta probità, alla cosiddetta integrità dei sindacati un tale scandalo che ne parlerà tutta Italia. Mi crederanno, glielo assicuro! Andatevene, immediatamente e non vi fate rivedere se non vi chiamiamo noi...”.

Il dott. Molteni capì che non scherzava e... benignamente concesse un “equo tempore” per cercare di salvare la ditta Scurati. La Gio annunciò alla madre che voleva cambiare facoltà. Architettura esigeva la frequenza, avrebbe fatto Legge, che le avrebbe permesso di studiare aiutandola. Avrebbe poi fatto un corso online per Design sulla seta. Ma, ovviamente, non era solo quello...

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Ilaria faceva quanto doveva, ma stava malissimo, somatizzando il dolore. Si alzava sofferente. Tutto doleva: la testa, la pancia, la schiena, le ginocchia. Si trascinava per 5 km a piedi, ogni giorno, per raggiungere Bosisio Parini e, quando quello stronzo del marito della collega, schifoso adultero di uno splendore di moglie incinta, le offriva un passaggio di ritorno dall'averla accompagnata, era quasi tentata di accettare, se non fosse stato per la ripugnanza viscerale che le suscitava quell'uomo con il sorriso lascivo della sua bella faccia di seduttore paesano.

Studiava in corriera quelle tre ore che impiegava per arrivare e tornare, e spesso si attardava a scuola, perché lo studio in corriera non rendeva più dopo il lungo percorso a piedi.

Dedicava l'intero giorno libero alle mansioni che la mamma le aveva affidato. Una sera che ciondolava nella corriera semivuota e c'erano solo pochi uomini abbruttiti dal lavoro, le capitò in mano un giornale abbandonato e la folgorò un titolo: Crisi, Ferro parla dei suicidi in Italia: “In Grecia ce ne sono stati 1725”.

Lei non aveva mai voluto entrare in facebook nonostante i ripetuti inviti, perché non le piacevano i grandi contenitori, e gli amici che non poteva guardare negli occhi, ma quella notte, appena tutti si addormentarono, prese il portatile, creò un suo spazio che intitolò DCD (DOVETE CONOSCERE IL DOLORE) e sotto, enorme, in rosso scrisse:

“Basta, dobbiamo reagire, non possiamo più stare a guardare obiettivi: ministeri, banche, equitalia, palazzi di giustizia, sindacati, politici, giudici, sindacalisti, direttori di banca, docenti universitari. Questi devono sapere cos' è il DOLORE. METTETEVI IN CONTATTO CON ME”.

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Chiuse il computer e si mise a dormire. Controllò il mattino dopo in corriera e finì di leggere i messaggi mentre entrava in classe. C'erano 1217 risposte. Improvvisamente sparì il mal di testa, il mal di schiena, il mal di pancia, il mal di gambe e pensò che ne avrebbe scelto uno per ogni capoluogo di regione. Avrebbe fatto i dovuti accertamenti e poi...e poi si sarebbe visto...

Biografia

Maria Luisa Chiara ha frequentato un master in “Management artistico” presso l'Università Cattolica di Milano e la scuola del teatro Kismet di Bari diretta da Lello Tedeschi. E' l'ideatrice del Corso di Alta Scuola dell'Università Cattolica di Milano, “Scrittura creativa: testo poetico, narrativo e testo critico”.Ha scritto: “Handicap? Una testimonianza” pubblicato da “Il filo” e “Mea culpa”, pubblicato dalla casa editrice “La vita felice”. Ora propone la raccolta dei suoi racconti con il titolo “La rivolta dell’alfabeto”, pubblicato da “Davide Zedda Editore”.Ha partecipato con successo a diversi concorsi letterari.

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La speranza è l’unico male non uscito dal vaso di Pandora

di Marco Marian

“Orazio è pronto!” Disse la madre. Orazio nel frattempo era in camera sua, avvolto nei suoi pensieri, in cerca di una soluzione per far passare ancora una volta quel pomeriggio che sembrava non finire mai. “Orazio!! A tavolaa!!” Ripeté ancora una volta la madre, alzando ancora di più il tono della voce. Orazio allora si distolse per un attimo dalle sue preoccupazioni esistenziali e scese per consumare quel benedetto pranzo, non avendo per altro ancora fame, vista l’ora. “Orazio ti ho preparato anche il purè.. e se vuoi dopo ci sono anche le melanzane!” disse Giulia, la madre. “Non ho tanta voglia mamma, non ho nemmeno fame, è mezzogiorno e mezzo!” replicò Orazio un poco dispiaciuto. “Hai novità? Dimmi figlio hai qualche novità per il lavoro? Lo sai vero che è quasi un altro anno che non lavori? Che intendi fare? Tuo padre poveretto questo mese perde pure il lavoro! Sarebbe ora che ti dessi da fare un poco per aiutarci o per lo meno per renderti autonomo! Cosa credi tu?” disse Giulia con tono dolce ma risoluto. “Mamma no, non ho nessuna notizia, qui non c’è lavoro, nelle altre città nemmeno. Lavora solo chi conosce qualcuno, chi è dentro al giro, chi ha amici in grado di aiutarlo sotto questo punto di vista.. Mi capisci vero? Sai anche tu come funziona! No? Se conosci ti aiutano, sennò puoi avere talento da vendere ma nessuno ti darà mai retta!! È così che funziona a questo mondo”.

Orazio purtroppo aveva delle novità lavorative, ma erano tutte negative: mandava la sua candidatura ai vari datori di lavoro, alle varie aziende, ai supermercati, ai negozi, alle

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fabbriche, ma tutti, o almeno quelli che si degnavano di rispondergli, gli avevano sempre detto di no. Orazio non voleva far star male la sua famiglia, renderla partecipe dei suoi tanti “fallimenti”; non era giusto anche perché era un laureato in Lettere ed oramai aveva quasi 29 anni.

Il passato di Orazio è totalmente differente dal suo presente; proviene da un piccolo paese del nord Italia, ora vive in una caotica città del Veneto. La sua adolescenza fu quella che gli fece vivere gli anni più belli della sua vita. Di amici era pieno, tutti lo conoscevano e sapevano chi era, e lui in quel posto, anche se lo definiva un po’ malinconico, si sentiva a casa. Ora invece si trova in una terra che non lo vuole, dove la gente, a suo parere, è fredda e cattiva. Non riesce a trovare dei suoi “simili”, come lui li definisce.

Vive una vita completamente differente. Gli anni sono trascorsi, la laurea, le fidanzate, i vari “amici”: tutto passa, ma il ricordo non riesce a svanire. Il problema è che ora quegli amici non li sente più; come è normale che sia nel percorso della vita di un uomo. Chi per studio, chi per lavoro, chi per improvvisi cambi di direzione, chi per vari litigi e motivi o senza motivo, insomma: ognuno aveva fatto propria la sua strada e non la voleva più condividere con gli altri.

Terminato il ricco pranzo nel giro di dieci minuti, il computer prese il sopravvento. Orazio usava questo attrezzo oramai divenuto indispensabile nella vita di tutti i giorni, per guardare la mail, inviare qualche curriculum e per scaricare della musica che dopo non ascoltava nemmeno. Non andava sulle chat, su quei programmi che tutti, giovani e vecchi, usano per conoscersi e scambiarsi momenti diversi della loro vita, decontestualizzati, attraverso foto personali e messaggi.

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No, a lui piacevano ancora le relazioni umane, anche se ne aveva sempre di meno.

Due pasti al giorno non gli mancavano, non soffriva il freddo di inverno, aveva la macchina se gli serviva, ma tutto ciò lo lasciava sospeso nel vuoto. In quella terra, tutto era cambiato, la gente era come se non lo volesse, era strana, “malata”, aveva abitudini che non gli piacevano. Tutti sembravano rimproverarlo quando esprimeva le sue opinioni a riguardo del luogo in cui era costretto a vivere e gli dicevano “il mondo è paese caro mio..” tirando il solito sospiro di rassegnazione.

Orazio odiava quella gente, non ne poteva più e non sapeva come fare per andarsene. Soldi non ne aveva abbastanza per potersi permettere una stanza e pagare le bollette. Era un vero incubo da cui non riusciva a svegliarsi. Disperato, indebolito, non aveva più le forze per lottare, stava per arrendersi al destino di rimanere in quel dannato posto. Addirittura non portava più fuori nemmeno il cane pur di non incontrare chi avrebbe potuto rovinargli la giornata.

Il tempo sembrava non passare mai, ogni ora che passava, ad Orazio sembravano giornate intere. Doveva fuggire, ma come? Dove?

Come si può pensare che il mondo possa girare attorno alla propria persona e basta, si chiedeva Orazio. Non aveva mai passato così tanto tempo a piangersi addosso, a sperare che qualcuno o qualcosa gli cambiasse la vita.

Quanta televisione, quanto marcio che entrava nel suo cervello, che gli inquinava la mente, che gli distruggeva una corretta memoria degli eventi.

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Aveva paura di tutto. Di una realtà incomprensibile. “Che brutta cosa l’amore” pensava tra se..... “Più ami una persona e più le fai del male, è come se ti sentissi autorizzato a farlo”. Intanto fuori se c’era bello o brutto non gli importava nulla.

Non aveva una ragazza e nessuno con cui confidarsi.

Non era un idealista però ci teneva al rispetto reciproco e odiava i giochi di forza tipici dei bambini, che ogni giorno e sempre più riscontrava nel comportamento degli adulti, dei “sistemati”. Non voleva lavorare per un padrone a cui non importava niente di lui e della sua vita, perché sarebbe stato sicuramente maltrattato da una persona di questo genere. Non accettava questo tipo di sottomissione, per la quale ad un certo punto della vita un uomo deve annullarsi in un edificio e soccombere agli umori di chi lo comanda solamente per poter sopravvivere fisicamente. “È la fine..non c’è una via d’uscita..” . Poi ogni giorno subentrava la rabbia per aver gettato via il suo tempo e regalato del denaro a delle persone che lo avevano preso in giro.

L’università e i suoi stupidi crediti, le stupide regole, i suoi falsi meriti. Si sentiva preso in giro, e anche maltrattato da questo.

L’unica figura di importanza per lui era stata quella di un professore che aveva capito la sua umanità, e che lo trattava come un amico, ma purtroppo Orazio una volta conseguita la laurea non si fece più vedere, non lo andò nemmeno a salutare, poiché aveva capito in anticipo che ciò che aveva studiato non gli avrebbe permesso di fare nemmeno un lavoro che non avesse avuto a che fare con i cessi. Nell’estate era andato a lavorare al mare e proprio a lui era toccata la pulizia dei bagni della spiaggia, che erano peggio di quelli di una stazione.

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Aveva sempre fatto lavori umili, ma sperava di trovare qualcosa in cui potesse essere utile anche un suo ragionamento. Belle e sane utopie! La sua era una conoscenza pura delle cose, che non si preparava a servire nessuno e niente. Per questo era bandita dal mondo. Le persone di questo paese, secondo Campanin, sono le une contro le altre per partito preso. Non si può fare più nulla, questa è una guerra tra poveri che va avanti da troppo tempo per poter intervenire.

Mi ricordo che Orazio odiava le discoteche, però amava fare festa, andare ai concerti punk e conoscere sempre nuove cose, soprattutto quelle che il sistema voleva tener nascoste.

Aveva già conosciuto il mondo dello “sballo” fatto di droghe e di alcool, ed ora, che era cresciuto, non lo interessava più. Si ritrovava però in un contesto dove i suoi coetanei elogiavano in ritardo la vita che lui aveva già vissuto. Era anche annoiato da chi per cercare emozioni andava a studiare chilometri e chilometri di distanza da casa.

“La speranza è l’unico male che non è uscito dal vaso di Pandora”, pensava sempre più spesso. Sì, perché la speranza di emanciparsi era talmente grande per Orazio, che avrebbe preso al volo qualsiasi occasione per raggiungere il suo obbiettivo. Ma questo sperare in un evento esterno che cambiasse le cose da un giorno all’altro era per Orazio un'insopportabile chimera.

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CONCLUSIONE

Le persone stanno vivendo in un'era di dittatura, una nuova forma di tirannia semitecnologica, grazie alla quale si è inermi nell’agire, nel pensare e nel cambiare.

Si può fare quello che si desidera solo se si hanno possibilità economiche; il lavoro è schiavitù, il padrone è ancora peggiore di quello che si poteva incontrare in epoca medievale e le persone tra di loro cercano di mantenersi nell’indifferenza.

L’educazione, questa magia nera che ci hanno fatto subire sin da piccoli, ci ostacola nel nostro cambiamento e di conseguenza in quello sociale.

Siamo viventi che dormono, sonnambuli. Quando ognuno si sveglierà anche solo per pochi minuti sentirà la preoccupazione di non avere nessuno al suo fianco per lottare, per cambiare e allora ritornerà nel suo stato di speranza e di fiducia nel futuro.

Un futuro che in realtà è già stato pensato e programmato da terzi dei quali non sappiamo niente...

Biografia

Marco Marian nasce a Desenzano del Garda nel 1983. Qui frequenta gli studi di liceo. Nel 2004 si trasferisce a Padova dove studierà filosofia e conseguirà la laurea nel 2010. In questi anni esplora la vita, fa lavori di tutti i tipi, dall’operaio al cameriere, imparando a convivere e a conoscere ambiti totalmente distinti da quelli universitari. Frequenta i centri sociali, restando pero’ in disparte dalla parte borghese di alcuni di essi. E' dottorando di filosofia in una Università Spagnola. Grande osservatore e critico dell’esistenza cerca di trasmettere nei suoi romanzi il suo pensiero. I suoi personaggi teoricamente riflettono le sue idee.

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Fine della Storia

di Paolo Pietrini

Un filosofo illustre ha scritto il necrologio a pagamento. Concetti densi, frasi eleganti, informa che è morta la Storia e resta soltanto Wall Street.Mister Dollaro, il committente padrino del mondo, ha fissatofunerali colorati su tutte le tv.Devo darne notizia agli amici pendolari che sonnecchiano con me nei vagoni del mattino alla musica dura delle rotaie. Devo dirlo ai lavoratori precari, ai dipendenti senza contratto,ai cassintegrati senza futuro, ai disoccupati senza speranza, ai pensionati senza sostegno,agli studenti senza insegnanti,agli insegnanti senza lezioni,agli ammalati senza assistenza, agli immigrati senza diritti,agli affamati senz’acqua e pane, ai disperati del mondo in paceuccisi dalle bombe intelligenti. Devo farlo sapere a mio padre sulla spiaggia dei più: ripeteva sicuro che la Storia non muore fin che vivono servi e padroni. Parole povere, frasi scontate, sosteneva, testardo e cocciuto, che la Storia non rammenta

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i falsi necrologi a pagamento ma ascolta sempre con noila musica dura delle rotaie.

Biografia

Paolo Pietrini, nato a Lerici (SP) nel 1937, vive a La Spezia. Pensionato, laureato in lettere, studioso di storia dell’età moderna, membro della Deputazione di Storia Patria delle Province Parmensi, autore di saggi editi sull’organizzazione dei servizi negli Stati pre-unitari italiani. Ama da sempre la poesia che considera espressione vitale dell’umana resistenza all’eterna barbarie sociale e culturale. Molte sue poesie sono pubblicate in raccolte, antologie (alcune anche tradotte in lingua spagnola), siti internet, riviste e giornali ed hanno conseguito negli anni innumerevoli vittorie, premi (in totale oltre 80) ed attestati in concorsi nazionali ed internazionali.

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#Inverno. Sul divano e nelle mura

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Domande e perché

di Giorgio Montanari

Ho qualche domanda da porci.

Non da “porci”, gli animali, anche se siamo stati trattati da tali.

Ho qualche domanda da porre a me e a te, che ci guardiamo nel silenzio e non abbiamo ancora la forza di parlarci, urlare e curarci. Dove siamo stati?

Non eravamo lì, in prima linea, mai distanti, accomunati dal comune senso di giustizia?

Eravamo lì, lo ricordo, non puoi dirmi di no. So che ci sei, anche se ti giri dall'altra parte e sposti lo sguardo sul mondo.

E' come se ne fossi così immerso da non pensare di poterlo cambiare.

Eravamo li, magari a volte astratti, altre invece così concretamente intrisi di materia utopica da toccarla, da toccarci, con le mani, gli occhi, gli sguardi.

Ricordi? Certo che ricordi.

Non potrai mai dimenticare, puoi rimuovere, ricontestualizzare, rifornire ogni angolo della tua personalità di innovazioni dovute all'adattamento, ma torno a chiederCi, cosa è accaduto?

Ricordi la mamma che ci raccontava dei giorni in piazza all'università? Quelle narrazioni sessantottine che tendevano

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all'infinito senza nessun tipo di ipotizzabile sosta o freno che fermasse quel treno...

Ti ricordi le giornate di Enrico? Il suo ultimo discorso, lui che ci insegnò a non frenare neanche davanti alla morte.

Sì, ricordi, senza dubbio, si vede da come ti sforzi a sbuffare, a resistere a quello che ti appartiene.

Ti chiedo perché hai smesso di crederci e, senza rabbia, ti spiegherò i miei mille perché.

I perché di un qualcosa che è diventato moda, e di un Antiberlusconismo che oscura la storia, di figli che hanno perso la strada pensando che fosse tutto in equilibrio.

Ti spiegherò di intellettuali immodesti, e del loro linguaggio forbito che dista così tanto dal minimalismo operaio. Di cervelli in fuga che rinunciano perché la rinuncia è innanzi tutto nel loro cuore.

Ti spiegherò perché è triste vedere “gli altri” occuparsi del sociale e attirare gente che come te e come me ha teso a dimenticare.

E delle querce che diventano rose da regalare all' “Impero del Biscione” e di democristiani che guidano la sinistra.

Già la sinistra, il mondo del popolo, quello pubblico, non vendibile, dal valore inestimabile. L'agorà che ci teneva tutti assieme e che oggi sembra un ricordo appannato, sfumato. Andato via perché la storia passa e porta via con sé quello che non serve più.

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Avrei altre innumerevoli questioni da porti, ma forse ti sto annoiando. Una volta non era così, si passavano notti ad affrontare discussioni, a stilare striscioni, a pensare, congetturare, prevedere, credere.

Non ci annoiavamo mai davanti alla nostra politica, non ci arrendevamo di fronte al loro avanzare, sapevamo che era solo questione di tempo. Tempo di riemergere, risorgere e occupare.

Sai, a volte penso, quando sono solo e incredulo, che siano stati bei tempi, tempi della gioventù, e dell'adolescenza.

Poi, sconfortato, mi siedo, rifletto, mi calmo: leggo ancora un libro, guardo foto vecchie, penso che ci sono voluti migliaia di anni per arrivare dove eravamo giunti, e non era un film, era la realtà.

Realtà dei sacrifici, dell'essere responsabili di sé stessi e di tutti. La realtà che ha sempre posto l'uno contro l'altro, servo e padrone, patrizio e plebeo, forte e debole.

Ora mi interrompi, dici che sono caduti i muri, che sono tempi andati, che sono un sognatore, che è così evidente che il mondo è cambiato e che non ne vale più la pena. Non ne trovi il senso.

Tu non sogni? Non soffri e non vedi soffrire?

Non ti senti responsabile di te stesso e di chi hai attorno?

Non credo che tu abbia ceduto, non credo al tuo artificiale individualismo.

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La tua è paura, è paura di soffrire come abbiamo sofferto assieme quando abbiamo visto che giorno dopo giorno i colori si sbiadivano.

Ricordi il magone?

E tu come stai?

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Fuori romba la protesta

di Alessandra Palombo

Fuori romba la protesta, le grida giovanili piombano nella stanza di chi ha negli occhi una catena d’anni e in tasca stringe un pugnodi centesimi per il caffè alla macchinettadell’azienda.

Oltre al verde dell’eskimo acquistato quando era tardi per credere nell’uomo a tutto tondo, tanto altro memora il megafono su chi è chinatosul monitor azzurrino da ore acceso.

Intanto tubano sul davanzale due piccioni.

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Biografia

Alessandra Palombo, nata a Livorno nel 1955 , vive all’isola d’Elba nel comune di Portoferraio. Laureata in Lettere e Filosofia, ha pubblicato vari articoli di storia sulla biblioteca elbana di Napoleone I, quattro sillogi di poesie, Iomare con prefazione di M. Murzi e nota di G. Weiss (Genova, Liberodiscrivere 2004) , Tautogrammi d’amore e d’amarore, con introduzione di R. Aragona (Genova, Liberodiscrivere 2005), Il lavoro del vento, con prefazione di M. Murzi e quarta di copertina di L.R. Carrino (Genova, Liberodiscrivere, 2008), Un Giardino privo di mura (2013) con prefazione di M. Murzi e quarta di copertina di L.R. Carrino. Sue poesie sono presenti in Vicino alle nubi sulla montagna crollata (Campanotto, 2008), a cura di L.Ariano ed E. Cerquiglini e in altre antologie. Ha pubblicato vari racconti e partecipato a esperienze di scrittura collettiva quali Es temporanea (Liberodiscrivere, 2005), Il volo dello struffello (Liberodiscrivere, 2007) e Malta femmina (Zona 2009).

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Quella che verrà

di Luigi Macrì

Sabato mattina 2014, fuori fa caldo, quaranta gradi. Decido di restare seduto sul divano con il ventilatore acceso. Le pale smuovono l'aria. Prendo il telecomando, accendo la televisione e vedo un servizio del TG che parla di una nuova protesta contro le riforme volute dal governo Berlusconi! Viaggio con la testa, lontano dal lavoro, dalle bollette da pagare, dalle altre persone, da me!

Avevo 14 anni, ero uno studente modello, e ricordo le proteste contro le politiche scolastiche del primo governo Berlusconi. Avevo il compito in classe di matematica, ma all'entrata un ragazzo più grande mi ferma, mi porge un volantino. “Piccoletto, guarda qua. Non sei neanche entrato che ti cambiano le cose! Ci rubano il futuro”.Mi rimase in testa solo una parola: futuro. Avevo 14 anni e dovevo già pensare al mio futuro?Poi un'assemblea improvvisata con fischi ad ogni professore che ci chiedeva di entrare e di farla finita, passammo ad occupare. Un mese iniziato con la voglia di essere grandi, di dimostrare di poter fare gruppo, di poterci autoformare. Un mese finito con dei corsi di educazione sessuale fatti di racconti fantastici, di pettegolezzi e di tentativi di approccio andati a male con le poche ragazze presenti. Tornammo in classe col rimprovero dei nostri genitori e con le regole cambiate.

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Pensando al mio futuro, ricordo di essere cresciuto e di essermi trovato nel mezzo della riforma universitaria di un altro governo Berlusconi. Avevo scelto Ingegneria... forse proprio grazie a quel ragazzo che parlò per primo del mio domani. “Ma che fai? Sei matto!” Me lo dicevano tutti. Ma ero sicuro: ce la potevo fare! I miei avevano faticato per mantenermi fino a quel punto. La laurea doveva essere la porta d'accesso al mondo del lavoro. Più difficile era, più probabilità avevo di ripagare tutte le persone che credevano in me. L'impatto era stato difficile, ho subito scoperto il sapore della bocciatura e sono sceso con i piedi per terra. Frequentavo la mattina, consegnavo la posta il pomeriggio ed uscivo la sera. Il tempo di trovare un equilibrio e anche qui qualcosa è cambiato. Un ciclone investì la mia Facoltà e tutte le altre. I corsi si quintuplicarono, gli esami si triplicarono e il traguardo della Laurea cambiò posizione. Passai dal Vecchio Ordinamento al Nuovo e il gigante che mi attendeva furioso, la fine degli studi, divenne un gigante di Primo Livello. Per entrare nel mondo dell'Ingegneria ne avrei dovuto superare un altro, di secondo livello. Non incontrai studenti più grandi pronti ad invitarmi a manifestare. Non so nemmeno se lo avrei fatto, ma nelle pause tra un corso e l'altro mi affacciavo a Lettere e vedevo ragazzi come me che non la mandavano giù. Che volevano fare qualcosa, ma non sapevano bene cosa. Occorreva tempo, forza e spensieratezza... Alla fine ci furono proteste, ma niente, nulla fermò l'ennesimo cambiamento che spiazzava la mia generazione.

Ad un tratto mi sono svegliato quasi “adulto”, laureato e ridotto in un call center. Un contratto a progetto, dove se

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non vendi un abbonamento non guadagni un soldo. I miei amici si dicevano di sinistra, ma non so come abbiano fatto ad andare avanti, senza lavorare. Volevo sindacalizzarmi, ma non ho trovato nessuno.I colleghi mi ripetevano:“Siamo in un magazzino, lontano dal mondo, ma chi vuoi che ci caghi?”Mi feci forza, pensai che era la gavetta, che era un lavoro di passaggio. Che non dovevo mollare.In piazza erano cambiati i tempi, i modi, i numeri della protesta. Non c'era più un Movimento No Global capace di attirare milioni di persone. Le proteste erano meno compatte, forse di più, ma con meno presenze per ogni manifestazione. Si presentavano come gocce d'acqua che non bagnavano. Cento cassaintegrati di qua, qualche migliaia di studenti di là. Venti cittadini sotto il Comune, due operai su una gru. Per quelli come me non c'era più l'opportunità di farsi sentire. Di compiere il rito del battesimo della contestazione. Stavo perdendo il mio status di giovane e per tutti dovevo abbassare la testa e sentirmi fortunato.“Hai studiato! Beato te!”. “Lavori! Ma che vuoi di più? Pazienza, c'è chi sta peggio”.“Non sei mai stato ad una manifestazione, ora non ti lamentare!”.Leggevo i giornali e cercavo i motivi delle tante, piccole proteste: erano per le riforme del lavoro, il precariato, gli stipendi. Ma tutte avevano un colore politico, sindacale, che non mi apparteneva. Mi aveva tradito sul nascere. E se i miei amici si ritrovavano assieme contro Berlusconi, io mi imbattevo in un sistema più complicato. Che non poteva aver messo su il solo Berlusconi. Non avevo voce, non avevo la possibilità di fare meglio di quello che stavo facendo. Eppure io la voce l’ho sempre avuta! Le mie idee le

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ho sempre dette, le ho sempre “manifestate” ma non le ho mai portate in piazza.

Mi sveglio questa mattina, con un altro lavoro, sposato e col mutuo da pagare. Fuori le cose sono ancora uguali! Corre l'anno 2014, le elezioni hanno visto rieleggere Berlusconi. E' il mio solo giorno libero ed è un film già visto. Alle riforme rispondono delle proteste, ma vincono sempre le prime. Sono io che dormo troppo poco o sono le cose che non cambiano mai? Non lo so, forse chi comanda è troppo potente?

Diventerò padre. Non ci saranno ostacoli. Per quella che verrà, io ci sarò.

Biografia

Luigi nasce a Roma nel 1980, consegue il diploma al Tecnico Industriale Enrico Fermi e successivamente si laurea in Ingegneria per l'Ambiente e il Territorio, lavorando durante tutto il periodo di studi come Central Manager in soggiorni studio organizzati in UK ed EIRE. In queste occasioni conosce quella che diventerà sua moglie. Attualmente lavora come consulente informatico ed è da poco divenuto padre per la prima volta.

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La rivoluzione è anche negli sguardi

di Sabita Esposto

A tredici anni ce l’hai nel sangue la protesta.Niente da fare. Sei tutta una rivoluzione.Testa alta, anfibi e coraggio.

A tredici anni la vita scorre, scorrevo anch’io,tra giubbotti pesanti e celerini.

A tredici anni devi andare a far la guerra,anche a quattordici, perché no?E di anni non ne sono passati poi tanti.Tifi rivolta ancora, anche tu, vero?

Non dirmi che ti sei arreso.Non dirmi che la rivoluzione l’ho fatta da sola.C’eri, c’eri anche tu.Ti ho visto, vicino alle barricate.

Io ti ho visto.E ora non ti vedo più.

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Biografia

Nata in India, ma adottata e vissuta da sempre in Italia.Ha ventisei anni, un bambino di sei e tanti sogni.Ha collaborato a diverse antologie, tra le quali:Passione Mediterranea, editore: Galassia ArteDonna in Rosso Contest, organizzato da “Io disegno a modo mio” (http://iodisegnoamodomio.blogspot.com),Fiabe in Rete (raccolta di fiabe destinate ad un pubblico di bambini, con le quali raccogliere fondi per malati leucemici).Attualmente gestisce un blog personale, https://www.facebook.com/sabivpf43 e http://sabivpf43.tumblr.com/ . E' una web moderator, laureanda in Disagio e Marginalità Minorile (Scienze dell’Educazione e della Formazione).La scrittura la “tormenta” e la “annienta”, ma la “salva” e la “fa rinascere ogni volta”.Legge Fante e Pasolini, Cugia e Robespierre, Bakunin e Majakovski. Ama la buona musica e le belle parole.

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Il figlio che non volle credere morto il padre

di Luigi Cignoni

Mille giorni. Ancora mille giorni da aspettare. Sarebbero stati sufficienti mille giorni, trascorsi i quali sarebbe stato premiato della sua lunga attesa e della pazienza dimostrata. “Dopo, finalmente, babbo ricomparirà sulla soglia di casa”. Fu questa la risposta che un giorno mi diede Iginio, alla domanda che gli rivolsi per sapere quando il padre sarebbe tornato dalla Guerra. Né lui, né tanto meno la madre credeva a quanto le dicevano le comari e le donne del vicinato: “Onelio è finito in fondo al mare, dentro una bara d’acciaio”, “Ma che dici? Sei fuori di senno! Vedrai che un giorno o l’altro ritroverà la sua strada; me lo dice il cuore che ritorna. Deve essere prigioniero da qualche parte, portato dagli Inglesi chissà in quale campo e non è stato ancora rilasciato. Ma vedrete che una volta che avrà scontato quella che dicono sia la sua pena, lo rivedrete di nuovo sul sagrato della chiesa per la Festa del Padreterno!”. E non c’era altro da dire per riportare la donna alla ragione: viveva le sue giornate aspettando un segnale, una fermata insolita del postino, oppure la chiamata di Luciana, la centralinista della Ferromin che dava gli appuntamenti telefonici. Aspettava, la madre. Come anche Iginio.

Non rivolsi più domande del genere a Iginio, anche se quei mille giorni erano scaduti da tempo. Per lui ne rimanevano ancora mille e poi mille ancora. Era come se il suo cervello non volesse accettare la realtà e si rifugiasse in un angolo dove stava bene, dove poteva riacquistare la serenità che

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purtroppo l’evento drammatico aveva tolto, soppresso definitivamente.

Iginio era un mio carissimo compagno di giochi. Era con lui che barattavo i miei fumetti. Era sempre con lui che giocavo a carte nelle logge, al fresco, nei lunghi pomeriggi assolati d’estate, quando le vie del paese diventavano deserte e sembrava che il caldo non ci volesse lasciare soli. Oppure al negozio del sarto, con il piccolo Marietto. Il negoziante ci permetteva di metterci a sedere sullo scalino. Quando i clienti volevano entrare a prendere le misure per l’abito o a chiedere informazioni sulla commessa che avevano ordinato, allora, dovevamo far largo e liberare l'ingresso dalle carte che avevamo disseminato. Il sarto era molto paziente. Doveva sopportare le nostre sfuriate quando le rivalità prendevano il sopravvento e cominciavano a funzionare da pretesto per rovesciarci addosso una caterva di improperi. Iginio però non diceva brutte parole. Era come se avesse fatto un patto con Domeneddio, per avere in cambio qualcosa cui lui teneva moltissimo.

Nessuno gli disse nulla di quello che era successo nel golfo della Sardegna. Era stata la radio a dare la notizia della maggiore disgrazia navale subita dall’Italia ad opera di coloro che fino a poco tempo prima erano stati alleati. Ora quell’orribile e ingombrante mobile era spento. Non funzionava più, tanto quello che doveva dire l’aveva già detto e la notizia era giunta a destinazione. Non c’era ancora la sicurezza che tra i morti ci fosse anche il familiare: una flebile speranzella si poteva sempre coltivare. Iginio non capiva perché i grandi, in special modo le donne di casa,

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continuassero a piangere. Nessuno della famiglia aveva ritenuto opportuno chiamarlo a sé, metterselo sulle ginocchia e iniziare a parlare. La verità, forse, neppure i grandi la conoscevano.

Camminava da una stanza all’altra della casa in cui era cresciuto e ovunque andasse, pure in salotto, trovava familiari con il muso lungo. Era un pianto generale: sia dei suoi familiari, sia dei vicini che si affacciavano sull’uscio. A un certo punto non ce la fece più a restare in quell’ambiente che, fra le finestre chiuse e con gli scurini abbassati, era piombato nell'oscurità. Decise di uscire.

Quel giorno, per via, non trovò nessuno. Come se fosse suonato il coprifuoco. Nessuno che lo potesse occupare in qualche diversivo. Senza accorgersene, giunse al porto. Camminava sul pontile. A neppure due metri da lui, il mare. Un mare amaro, che era in grado di scatenare sensi negativi e regalare dolore, disperazione. Il mare portava la morte. Non poteva avvicinarsi a quella massa eternamente mobile senza provare amarezza, angoscia, gli faceva tornare in mente quanto era successo a molte miglia da lì. Gli appariva nemico, potente. Come quando si cammina sulla battigia della spiaggia di Lido, dopo un fortunale che è durato una notte, e ci si imbatte in un’infinità di oggetti e di resti che solo una forza violenta è in grado di strappare alla terra.

Non gli venne neppure voglia di chinarsi e immergere una parte del suo corpo, per rinfrescarsi. Quelle onde che sembravano accarezzare la fiancata del porto e che facevano nascere l’erbino che piace così tanto ai “suoi” granchi,

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adesso le sentiva ostili. Le guardava aspettandosi da un momento all’altro che gli riportassero indietro suo padre.

Lo aspettava tutte le sereall’ora del tramontoCome mossoda un profondo richiamosi metteva in piazzettadi fronte al maree scrutava l’orizzontenella speranza di scorgereuna nave in avvicinamento

Diceva che attendeva suo padre e non importavase da anninon avesse più ricevuto una lettera

La tavola sempre apparecchiataper due: per sé e per il babbo inghiottito dalla guerranelle acque di Corsica

Ma lui non credevaalle voci di paeseche parlavano di immane tragediadi naufragi e inabissamenti:non poteva essereaccaduto a suo padreNon poteva succedere

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che il mareavesse avuto su di luicosì tanto potere

Suo padreera sempre stato il più fortee anche questa voltaavrebbe avuto ragione lui

Non poteva essere mortoLo aspettavasempresulla soglia di casaquando il sole declinava dietro Esperia.

Biografia

Nato all’Elba, Luigi Cignoni vive sull’Isola e insegna materie letterarie nella scuola “Giovanni Pascoli” di Portoferraio. Giornalista pubblicista e scrittore, ha all'attivo diversi romanzi quali “Il sapore della terra” (editore Belforte di Livorno), “L’Isola del Diavolo” (Nuova Fortezza, Livorno), “O Cesare, o nessuno” (TraccEdizioni), “La leggenda dell’Innamorata”, “L’ira degli Dei” e "L'oro di Dongo" (Iuculano editore, Pavia), finalista al premio letterario “Città di Trieste”. Collabora con il quotidiano “Il Tirreno” di Livorno ed è direttore responsabile della rivista culturale “Lo Scoglio”.

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Niente di nuovo sotto il sole

di Chiara Santoianni

Una grande spiaggia di sabbia bianca, tappezzata di ombrelloni e lettini arancione. La gente è tanta, ma c'è spazio per tutti, e si sta bene a prendere il primo sole.Qualcuno, però, per qualcun altro è di troppo."Te ne devi andare. Così come sei venuta, te ne devi andare. Hai capito? Adesso te ne vai".Il ragazzo avrà vent'anni, è magro, tutto vestito di nero e sta minacciando la ragazza.Lei, giovanissima, bionda, rosea e paffuta, lo guarda e gli sorride.Lui ripete ossessivamente la frase: "Te ne devi andare, non voglio vederti qui, hai capito?"Sono sdraiata sul lettino a pochi centimetri dal litigio, i due si sono fermati proprio vicino a me. Qualunque sia il motivo dell'arrabbiatura di lui, il tono mi sembra un po' troppo intimidatorio.Ravviso i segni di una violenza, ancora solo psicologica; mi inizio a inquietare. Lei non parla e non reagisce, forse per vergogna: sulla spiaggia tutti potrebbero starla guardando.A lui, invece, non importa di avere un pubblico; anzi, forse gli piace: dà più gusto all'umiliazione.Molla uno schiaffo: sento il rumore sulla guancia di lei, già colorita dal sole, che si arrossa ancora di più. La ragazza resta immobile, sorridendo, gli occhi azzurri fissati sul suo uomo.Non penso, agisco."Adesso basta", dico con voce ferma. "Lei deve smetterla di picchiare questa donna".Il ragazzo non perde la calma. Mi risponde solo: "Si faccia i fatti suoi, sono cose nostre".

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Insisto. "Non saranno fatti miei, ma non posso tollerare che lei faccia violenza a questa donna davanti a me".Non perché se non vedessi mi andrebbe bene, ma perché, se lo fa ancora, chiamerò la sorveglianza e poi i Carabinieri. "E lei, veda di non subire più e ricordi: c'è sempre tempo per cambiare fidanzato". Le ultime parole mi escono spontanee, lasceranno il tempo che trovano.Il ragazzo si allontana di pochi metri, insieme alla ragazzina, che non ha detto una parola. C'è un'amica, discutono. Poi, le due ragazze raccolgono borse e asciugamani e fanno dietrofront sulla sabbia, scortate da lui, che le segue per assicurarsi che lascino veramente il lido.Lei, su quella spiaggia, ha lasciato la sua dignità di donna; lui niente, perché una dignità non l'ha mai avuta.

Biografia

Chiara Santoianni, giornalista e docente. È autrice del saggio Popular music e comunicazioni di massa (ESI, 1993), del manuale Sicurezza informatica a 360° (Edizioni Master, 2003), dei romanzi umoristici Il Diario di Lara (ARPANet, 2009), selezionato al concorso ChickCult 2008, Il lavoro più (in)adatto a una donna (Cento Autori, 2011) e Provaci ancora, Lara! (ARPANet 2012), vincitore del concorso ChickCult 2012, oltre che del libro per ragazzi Preso nella Rete (Sesat Edizioni, 2012). È autrice e curatrice della raccolta di racconti di chick lit Volevo fare la casalinga (e invece sono una donna in carriera) (Albus 2012); autrice delle guide turistiche Enogastronomia, Turismo Balneare, Turismo Giovanile, Turismo Enogastronomico (Electa Napoli, 2004-2006); co-autrice delle guide di viaggio Pacific Coast (Edimar, 1999) e Napoli. Costa e isole (De Agostini, 2002). Suoi racconti sono contenuti nei volumi collettivi Lavoro in corso (Albus Edizioni, 2008), Timing semiserio per un matrimonio quasi perfetto (ARPANet, 2011), Non proprio così (Giulio Perrone, 2011). Ha scritto per anni la rubrica Numerando per la rivista d’informatica “Internet Magazine”. Ha inoltre ideato e realizzato il sito web Chiara’s Angels, finalista al Premio DonnaèWeb e all’Italian eContent Award 2006. La sua passione, oltre alla scrittura, è la tecnologia in tutte le sue forme.

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Sogno

di Alessia Martalò

“Abbiamo vinto, Marzia! Mi puoi sentire? Ho qui la sentenza, francamente ci capisco poco, dovresti leggerla, è scritta con il solito linguaggio giuridico, buono solo a confondere la povera gente. Ma forse tu saresti in grado di capirci qualcosa. Posso leggerti alcune righe, se ti va... Ecco, inizio da qui, mi sembra il passaggio più interessante. E’ vero altresì che la Rete Ecologica Regionale, ai sensi dell’articolo bla bla, non poteva avere carattere prevalente rispetto alle norme del PGT. Credo stia per Piano Generale… E la T? Anzi no, credo abbia a che fare con il Piano Regolatore, ma non ne sono sicura. Tu di sicuro lo sapresti spiegare molto meglio di me. Forse non è il caso di procedere con la lettura, non credi? Ad ogni modo, tra qualche giorno, sono sicura, potrai leggere tu stessa la sentenza. Avresti dovuto vedere le facce di quelli della Acabar! Erano sbigottiti. Non ci potevano credere. E nemmeno noi, in realtà… Sembrava un sogno. Acabar, che razza di nome! E’ una parola spagnola, vuol dire finire, riuscire o terminare. Ironia della sorte, loro non sono riusciti a fare proprio un bel niente. Per merito nostro. Anche se qualcuno, i loro amici probabilmente, direbbero che è colpa nostra. Quanto fango ci hanno gettato addosso... Sono contenta, in fondo, che tu non abbia dovuto sopportare tutta la pressione degli ultimi giorni, i loro subdoli tentativi di portarci dalla loro parte. Come se nella vita tutto avesse un prezzo. Ci sono cose che non si possono vendere, ma loro

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non lo capiranno mai, giusto? E poi ormai era troppo tardi, la sentenza sarebbe arrivata di lì a poco, che senso aveva cercare di corromperci? Hanno detto un mare di bugie per screditarci, farci passare per ambientalisti talebani e fuori dal tempo, da ogni logica. D’altronde è questa la loro unica arma, oltre alla corruzione. La menzogna. Hanno detto che eravamo interessati a quel pezzo di terra perché volevamo portarci i nostri amici zingari e poi hanno addirittura messo in giro la voce che i nostri figli e fratelli andavano lì per spacciare. Ma ti rendi conto? Hanno paura della verità, perché se la gente, i cittadini del quartiere, sapessero quali sono i reali motivi dietro tutto ciò, allora forse avrebbero perso in partenza. Non gli bastava tutto il cemento con cui continuano imperterriti a seppellire ogni cosa? Quello era il nostro spazio, la nostra oasi verde, come potevano anche solo immaginare che saremmo stati zitti mentre ci rubavano ogni cosa? Tu non hai idea di quello che ha passato Marco. Quei bastardi hanno scavato nella sua vita privata, alla ricerca del più piccolo appiglio, della minima zona d'ombra, per poterlo attaccare e farlo apparire come un idiota davanti a tutti. E alla fine, qualcosa hanno trovato. Suo cognato, l’hai conosciuto, ricordi? E' un imprenditore molto noto in paese. In realtà si occupa soprattutto di investimenti legati all’edilizia residenziale convenzionata, non avrebbe mai potuto trarre nessun vantaggio da un fazzoletto di terra che tra l’altro risultava accatastato come terreno agricolo. Eppure, hanno fatto in modo che la gente credesse a quelle assurdità, perché il loro ragionamento è banale, ma vincente: se c’è del marcio anche tra di voi, vuol dire che siamo tutti quanti innocenti. Senza pensare che c’è marcio e marcio e che il loro è senz’altro più vomitevole del nostro. E sai cosa diranno ora? Che siamo nemici del progresso, antiquati e senza speranza. Diranno anche che quell’orrenda

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costruzione avrebbe portato a tanti posti di lavoro in più e, di questi tempi, non è mica male. A chi importa invece la qualità della vita? Ci hanno attirato come api sui fiori prospettandoci il Dio progresso, avremmo avuto libertà, benessere, una vita agiata e tanti soldi. Tutte fandonie. Loro hanno forse già raggiunto questo obiettivo, certamente non noi. E quel rudere rimarrà lì per tanti anni, puoi giurarci. Uno scheletro di cemento e ferro piantato lì a ricordarci fino a che punto la gente può essere idiota e cieca. E saremmo noi a dover rispondere a tutte le accuse, a chi, in nome dello sviluppo, ci chiederà perché abbiamo osato interrompere i lavori, come se fossimo noi i diretti responsabili e non, invece, la sentenza del giudice che ha ristabilito l’ordine delle cose. Ma forse ti sto annoiando, queste cose le sai già. Quello che non sai è che il giorno dopo il tuo incidente, quelli della Acabar sono venuti da noi per farci le condoglianze. Come se tu fossi già… E’ stato orribile. Ma forse è meglio che vada ora, il medico mi ha concesso solo dieci minuti. A presto, Marzia, riprenditi, siamo tutti con te”.

L’infermiera si avvicinò lentamente alla paziente intubata della stanza 11. Le faceva pena. Aveva fratture in ogni parte del corpo, era lì ormai da una settimana e nessuno sapeva se si sarebbe mai ristabilita del tutto. Aveva letto di lei, della sua solitaria battaglia contro una delle imprese edili più potenti di tutta la regione, di come aveva deciso di arrampicarsi da sola sull’edificio in costruzione, sfidando la sorte, e di come poi era precipitata da un’altezza di quasi dieci metri. Era arrivata lì in condizioni disperate e nessuno, mai nessuno, era andata a trovarla. Di lei avevano detto di tutto, che era una pazza anacronistica, una folle che si

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preoccupava soltanto del suo orticello, ignorando volutamente tutto il bene che quel nuovo polo commerciale avrebbe portato nell’area. Pochi minuti prima le era sembrato che sorridesse, forse stava sognando. Si augurava che fosse il primo segnale di un lento miglioramento.

Biografia

Alessia, classe 1984, adora viaggiare e scrivere. Ha già pubblicato due libri, il primo, "Holmes House" è edito da Arduino Sacco, il secondo, "Cemento armato", un noir dalle ambientazioni metropolitane, pubblicato con self-publishing su ilmiolibro.it.

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#Primavera. Sui vent'anni e nelle scuole

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Se…

di Valentina Cavallo

Se si mettesse in atto lo spirito della democrazia,ed ognuno nel suo piccolo facesse pulizia,niente più inciuci, niente più inganni se solo ogni potente si mettesse nei nostri panni,niente più tagli, niente più sprechise le nostre voci diventassero echiportati in piazza, i nostri malesseri urlaticon la speranza di essere ascoltati...

Lottiamo, gente, lottiamo!difendiamo una vita che amiamo.

Se ognuno si prendesse le proprie responsabilitàimmergendosi in un bagno d'umiltàil mondo girerebbe nel verso giusto...

Se le tante donne uccise dall'indifferenza e dall'ipocrisiaavessero avuto lo Stato amico e la polizia,se la sofferenza di moltinon fosse nelle mani di pochi e se la smettessero con i loro giochi...

Mi auguro di vedere l'arcobalenoe sopprimere tutto questo veleno,colorando il nostro mondo ed eliminando tutti i sepossiamo intravedere una candela nel buio della sera,solo così arriverà la primaverache con i suoi profumi e i suoi magnifici colori purificherà la nostra mente e i nostri cuori.

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Biografia

Valentina Cavallo è una giovane studentessa, ha 24 anni, vive in un bel paesino della provincia di Crotone, Cotronei, è laureanda in Scienze della Comunicazione e ha la passione per la scrittura. Per lei essere informati è l’unico modo per essere pronti nella vita a qualsiasi imprevisto. Sostiene che la conoscenza renda liberi: “Un filosofo iraniano un giorno ha detto che se non si può eliminare l’ingiustizia almeno occorre raccontarla a tutti”.

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La manifestazione

di Alfonso Sturchio

Napoli, primavera 1991.Mario‘Uana indossava la faccia seria delle gravi emergenze ed un berretto verde militare stile Havana Libre che conferiva dignità al suo ruolo. Era entrato con fare deciso, subito portandosi verso Giancarlo che l’aveva ascoltato in disparte per qualche minuto. In poco tempo l’aula autogestita era stata liberata senza troppe discussioni dagli avventori occasionali ed era rimasta a disposizione dei militanti più attivi del Movimento che, ancora una volta, non avevano esitato a mettere da parte libri, scacchi e fumetti per accorrere in difesa dell’umanità.

Collettivo straordinario.Mario aveva assistito a tutta l’operazione seduto sulla cattedra in compagnia della sua fedele sigaretta, rubandole l’ultimo tiro e buttandola via prima di prendere la parola. Una ventina di rivoluzionari avevano apprezzato il suo gesto solenne e lo ricambiavano con un silenzio mai sperimentato. Quando aveva cominciato a parlare sembrava che anche la pioggia si fosse calmata per starlo ad ascoltare.“Compagni, stamattina ho avuto la conferma di ciò che da tempo sospettavamo. (sospiro) L’edificio nuovo di Giurisprudenza non sarà consegnato finché l’assessore Donnarumma, il suo partito e l’impresa di manutenzione non si saranno accordati sulla mazzetta da pagare. Capite? L’edificio è pronto ma non viene utilizzato perché l’impresa non ha ancora pagato la mazzetta necessaria per aggiudicarsi l’appalto.”

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Non era la prima volta che affiorava questo argomento, ma sicuramente mai se n’era parlato in termini così precisi. Era sempre stata considerata tacitamente - per nascondere a noi stessi la nostra debolezza - una questione al di sopra delle nostre possibilità d’azione. Quando ne avevo accennato il mese precedente, al termine di una noiosa mattinata di lezioni in un cinema affollato, tutti avevano sorvolato con falsa sufficienza con frasi tipo “Storia vecchia”, che avevano troncato ogni discussione ancora prima di iniziare. A dire il vero ero rimasto anche un po’ deluso da quella leggerezza. Credevo che invece quello fosse un problema per il quale veramente valesse la pena di spendere le nostre energie. Finalmente qualcosa di concreto che ci potesse attirare l’attenzione degli altri studenti dopo tanto parlare a vuoto di grandi sistemi economici e di Rivoluzioni Culturali.

Non ero l’unico a lamentarsi di dover seguire i corsi nei cinema: avevo sentito parecchi ragazzi che preferivano restare a casa a studiare piuttosto che addormentarsi sulle poltroncine dell’ultima fila ad un chilometro dal professore. Vico, che segue i corsi in un cinema a luci rosse circondato da manifesti tipo “Le Casalingue” o “Biancaneve ed i Sette Negri”, aveva analizzato la questione da un altro punto di vista “... la mattina nella sala si respira ancora quell’aria di perversione che ti mette in testa ben altri pensieri”.Io stesso, che ho imparato a concentrarmi anche nel casino della sedicente aula-studio, ogni mattina ho difficoltà a seguire i corsi. Arrivo puntuale alle undici per la lezione di economia politica e mi ritrovo confinato nelle ultime file da un centinaio di ragazze strictly from Oxford, che sembra abbiano pernottato nel cinema dopo il film della sera prima, per potersi sedere ad una lingua di distanza dalle scarpe dell’Esimio. Sono le stesse che, appena il prof termina l’orazione, liberano un applauso da Prima al San Carlo.

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Dopo qualche giorno mi sono rassegnato all’idea che quelle lezioni mi servano a ben poco, e continuo ogni tanto ad andarci solo per tappare la bocca alla mia coscienza rumorosa. Ho fraternizzato con gli altri colleghi che non fanno una tragedia della nostra distanza dalla luce del sapere, arrivando già provvisti di quotidiano e cornetto, e con loro l’altro giorno ho affittato una barca per remare al largo di Santa Lucia. Alla faccia di Keynes e Ricardo.

L’uscita di Mario’Uana questa volta, invece, non è sfumata tra l’indifferenza, anzi, è stata un pugno nello stomaco per tutti: la macchina operativa si è messa subito in moto. L’indomani è scattato un volantinaggio aggressivo in ogni Facoltà ed in ogni angolo di Mezzocannone, per gridare, denunziare, giudicare e condannare ciò che sta succedendo.Ho distribuito volantini infuocati per tre ore davanti al portone della mensa insieme a Gaetano, detto “Teo”, un ex integralista cattolico convertito ultimamente all’anarchia per una delusione d’amore, tristemente noto per essere quello che ha scritto “DIO C’E’” su tutti i ponti delle autostrade italiane fino in Svizzera (è lui, finalmente l’ho trovato!!!). Il Movimento ha alzato il tiro: decine di studenti si sono fermati sul posto a leggere quel foglietto e a chiederci spiegazioni. L’affronto costituito da quel diritto negato per una storia di tangenti stava vincendo lo storico scetticismo nei confronti del Movimento. Ad un certo punto, circondato da un mucchio di ragazzi, ho dovuto improvvisare un mezzo discorso - io che mi vergognavo anche alle recite delle Elementari - con Teo a fianco che, in preda ad un improvviso delirio mistico, ha tirato fuori dal suo zaino delle immaginette sacre e le ha distribuite insieme ai volantini.A me è toccata la Madonna di Pompei.Stamattina grande manifestazione generale.

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Insieme a noi marciano compatti i Disoccupati Inkazzati dietro il loro storico striscione rosso. Sono almeno un centinaio tra cui molte donne, che picchiano colpi violenti sui tamburi e scuotono campanacci. Tra di loro riconosco chi era venuto in visita diplomatica all’occupazione (sigh) del giardino di Pozzuoli.In coda gli studenti delle scuole superiori di tutta la città e della provincia. Migliaia di ragazzi che gridano, sul viso il simbolo della pace e falce e martello, si tengono per mano in cerchio e corrono verso il centro. Urlano slogan di battaglia e sventolano bandiere del Che. Siedono per terra lasciando scorrere chi gli sta davanti per poi raggiungerli correndogli incontro alla carica.In mezzo gli studenti universitari, con le mani in tasca e le facce serie. Mescolati gruppi vocianti che replicano le urla di un megafono ed occhi rassegnati che sfilano in silenzio.E infine noi, i più duri, i più puri. In testa a questo serpentone velenoso che striscia per le vie di Napoli - il Movimento - con gli sguardi incazzati che sfidano i poliziotti che ci aprono la strada, a dettare il ritmo di questo corteo che sta scuotendo la città dalle viscere.

Siamo davanti alla Questura, ed una tempesta di fischi piove su quelle finestre che rimangono sbarrate.Il corteo si è fermato.Alcuni di noi si coprono il viso ed alzano il braccio mostrando l’indice ed il pollice come una pistola. Da un gruppo più lontano parte un coro che coinvolge tutti, femmine comprese, “DONNE POLIZIOTTE, MESTIERE DI MIGNOTTE”. La tensione che sale è scandita dagli zoccoli dei cavalli antisommossa schierati in gran parata, che picchiano a terra, eccitati dal clamore. Non capisco il senso di questa sosta. Ho davanti una fila di poliziotti in assetto di guerra, con i caschi in testa, scudi di plastica,

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manganelli e lacrimogeni sulla cintura. Sono tutti uguali, come marziani, o come marionette, e giurerei che sotto il casco non ci sia la testa di una persona, ma un solo viso senza espressione replicato cento volte.Giancarlo si avvicina a loro con il muso coperto e gli urla in faccia delle parole che non distinguo. C’è un casino enorme. Gli altri studenti spingono da dietro per continuare a marciare. Giancarlo resta fermo un minuto ad un palmo dallo schieramento che sembra ignorarlo, mentre alcuni di noi gli stanno dietro battendo i piedi a terra. I questurini che gli stanno di fronte non accennano ad una mossa, nascosti dietro la loro armatura, compatti nelle loro file. La scintilla si spegne come su di una miccia bagnata; lo prendo per un braccio - “CHE CAZZO FAI!?” - e lo guardo dritto negli occhi. Si divincola dalla presa e ritorna in testa al serpente.Riprendiamo a muoverci.Un poliziotto si toglie il casco e si asciuga la fronte. Sotto quell’armatura da guerriero spunta una faccia spaurita da ragazzino coi capelli corti che non riesce a frenare le gambe che tremano.

Si prosegue con i soliti cori verso Corso Umberto dove altri studenti si aggiungono al corteo. Monto su uno dei leoni di pietra sulla scalinata dell’Università Centrale per godermi il fiume di persone che inonda la strada: non ho mai visto tanta gente tutta insieme in vita mia. In due giorni siamo riusciti a smuovere anche gli alberi, e sono tutte facce pulite. Li guardo ad uno ad uno ed è come se li conoscessi tutti. In mezzo a loro mi sento bene, vorrei abbracciarli e scambiare una parola con ognuno.Se quei porci potessero vederci in questo momento non riuscirebbero più a mangiarsi la città con la stessa tranquillità.

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Ci sediamo sulla strada compatti, ed una selva di braccia si alza come un’onda che parte da noi per attraversare tutto lo spazio. E’ una foresta che spunta dall’asfalto, nel silenzio più assoluto, creando un’atmosfera da brivido che si legge negli occhi di ognuno. Sembra che il mondo si sia fermato a guardarci col suo sguardo truce. Anche quelli che “comandare è meglio di fottere” e quelli che “è comodo fare il comunista a vent’anni” staranno provando un sussulto.Vorrei che questo momento durasse in eterno come la voglia di lottare di queste migliaia di teste infreddolite.Sento finalmente di appartenere a qualcosa, di non essere più solo.

L’indomani guardo tutti i telegiornali per vedere le reazioni a questo vulcano in eruzione. Sulle reti pubbliche nemmeno un accenno e tantomeno su quelle private.A tarda sera, durante il tiggì regionale, il cronista legge distrattamente una velina capitata in mezzo alle sue carte come per sbaglio - sullo sfondo una cartolina dell'Università Centrale pescata dall’archivio - “Manifestazione degli studenti ieri mattina lungo le vie del centro contro l’aumento delle tasse scolastiche.” (le tasse scolastiche?!) “A causa del corteo si sono verificati problemi alla circolazione in tutta la zona e traffico bloccato a Corso Umberto.”Più che un servizio di cronaca sembrava un bollettino dell’ACI.

Biografia

Alfonso Sturchio è nato a Caposele (AV). Si è laureato in Giurisprudenza a Napoli dove ha iniziato la professione forense. Il suo primo romanzo "A vent’anni è tutto ancora intero" (da cui è stato estratto questo racconto) è stato finalista al concorso "Ilmioesordio", (Ilmiolibro - Feltrinelli Editore) edizione 2012.

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Il fiume canta

di Giorgio Ricco

Appuntamento alle 8 in Via Nazionale.

Alle 7 siamo già là. Ancora insonnolito, guardo Emanuele. Lui ha uno sguardo fiero e fiducioso. Oggi si manifesta nella speranza che non taglino altri fondi all' Università.

Ecco che arrivano anche gli altri. Molti di loro sono visi conosciuti... chi più, chi meno, ha condiviso qualcosa con me, altri eventi, altre proteste.

Lele spiega ai suoi compagni che io non sono iscritto a nessuna Facoltà e che oggi sono in permesso dal lavoro, si sparge la voce e questo diventa un motivo in più per fare festa. Perché di festa si tratta. Per una giornata, una sola giornata, tutti noi vogliamo staccare la spina dalla quotidianità. Vogliamo stare insieme e stare bene.

Uno studente al primo anno è curioso, mi chiede il perché della mia presenza.

“Se oggi sono qui è per supportarvi anche nella speranza di poter offrire un futuro migliore ai miei figli. L' istruzione non ha prezzo ed appartiene a tutti”.

Inizia il corteo. Si susseguono gli slogan. Quelli già pronti e quelli inventati, la mia specialità. Sul momento cerco rime sui cognomi dei politici e butto giù il verso, così come mi viene. Alcuni hanno successo, vengono ripetuti, altri si fermano tra le risate collettive.

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Siamo dietro ad un carro che alterna musica anni '70 a quella dei cartoni animati della fine degli anni '90. Si balla. Si gioca.

Si ha la sensazione di essere degli alieni, soli in mezzo alla città. Giovani, vivi. Mentre altrove i taxi si fanno strada e le persone sono schiacciate negli autobus, qui i vigili e i poliziotti sudano sotto i loro elmetti, i turisti fotografano i nostri occhi e noi siamo pieni di speranza. Siamo degli alieni che non sono capiti. Su di noi si sperimentano riforme, tagli, ma mai ci viene chiesto cosa vogliamo, cosa pensiamo, come viviamo le loro scelte. Il loro mondo.

Camminiamo insieme, passo dopo passo, sempre più entusiasti.

Una signora si affaccia alla finestra.

“Che fate in strada?”

Dal mucchio un ragazzo vestito da clown, con il naso rosso e la parrucca gialla:

“Siamo un fiume che canta per il futuro di tutti! Venga anche lei!”

L'aria si scalda con il passare delle ore, la gente pure.

Viene proposto di deviare il percorso, di ottenere più clamore. Si potrebbe andare sotto al Parlamento, sotto al Ministero dell'Istruzione oppure bloccare il traffico a Piazza Venezia. Alcuni invece vorrebbero rispettare il programma, terminare il corteo e tornare alla Sapienza per organizzare qualcosa per i prossimi giorni all'interno della Città Universitaria.

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Suona il telefono di Lele, risponde e il suo viso cambia espressione.

Puzza dei soliti guai in agguato. C'è sempre una nota stonata.

“Che succede?”

“Qualcuno si è staccato dal gruppo. Sono delle merde, dovevamo decidere insieme. Hanno sparato inchiostro rosso su una banca e una vecchietta che stava ritirando la pensione è stata imbrattata. Fortuna vuole che quelli di Scienze Politiche erano rimasti indietro. L'hanno bloccato. Se lo sono fatto. Ora stanno parlando con la polizia.... La vecchietta sta bene, solo che ora sembra una punk a bestia!”

“Poco male, dai...”

Decidiamo però di rispettare il percorso originale. Di non rischiare di dare adito ai media di mal interpretare la nostra protesta. Noi non siamo violenti. Allora riprendiamo a cantare. La voce del fiume va in crescendo. Metro dopo metro ha preso consistenza, non è un grido. E' un discorso aperto, che non finisce qui. Oggi.

Ormai sono passate 6 ore, tra poco loro torneranno all'Università, io andrò a casa. Il caldo si fa sentire, così come un po' la fame. Ci fermiamo ad un bar per uno spuntino veloce prima di salutarci.

Il barista si avvicina e legge uno dei tanti cartelloni, sale sul bancone ed annuncia.. “ Ragazzi offre la casa. UNIVERSITA' LI-BE-RA!!”

Grida di giubilo, fischi ed applausi scroscianti per il bel gesto, sembra di essere allo stadio, col barista nelle vesti di un calciatore che dopo il gol esulta con i tifosi.

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“Grazie mille! Lei ha figli?”

“Di niente! E' un piacere ragazzi. Sì, uno. Appena stacco, guarda un po' il caso, lo devo andare a iscrivere.”

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Mr Obama

di @GruppoCarlosLattuf (manifestanti egiziani)

Il sole è aranciosulla sabbia gialla.Il mendicante sporco di fangostringe forte una donna dal velo viola.Concede l'ultimo sorriso rosaun bambinosotto la luna argento.La divisa scuranascosta da caschi blubussa alla porta.L'uomo neronella Casa Biancaaccende la luce verdeper oltrepassare la zona rossa.Si alza il fumo grigiodi una guerra verde petrolio.Mentre giovani senza colorescendono in piazza.

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Biografia

Il gruppo CarlosLattuf è un gruppo di manifestanti arabi, giovani, che collaborano “controinformando” tramite i social network sulla situazione del loro Paese di origine. E' uno pseudonimo collettivo che omaggia il vignettista Carlos Latuf. Il gruppo nato in Egitto organizza manifestazioni pacifiche, scrive, crea e collabora con ragazzi di altri Paesi. Nel tempo ha stretto amicizie con ragazzi arabi ed europei ed è stata in grado di mantenere vivo il dialogo tra egiziani migranti e persone che sono rimaste in Egitto durante i giorni della rivoluzione.

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Primavera

di Elio Errichiello

17 Dicembre 2010

Era una mattina fredda quella del 17 Dicembre. L'inverno era arrivato anche a Sidi Bouzid, dove la sabbia e la polvere che infestano le strade a volte fanno dimenticare che non esiste solo il caldo torrido del deserto.

Mohamed quella mattina si avviò per le strade con il suo carretto. La sua casa era lontana dal centro della città, così ogni giorno doveva svegliarsi di buon ora e mettersi in cammino. Ogni mattina il suo tormento cominciava daccapo. Gli affari andavano male, la gente di soldi ne ha pochi e alla frutta si può rinunciare. Eppure Mohamed non aveva altro modo per procurarsi da vivere, doveva ancora tentare. Solo il giorno prima si era indebitato di altri 200 dollari per poter comprare la frutta. Se quel giorno non riusciva a vendere niente, tanto valeva prepararsi ad un'altra settimana di fame. Troppe persone dipendevano da lui, da quel carretto, da quella frutta: la madre, lo zio, i fratelli più piccoli e le sorelle che studiavano.

Di sogni Mohamed ne aveva pochi, a 26 anni era già venuto il tempo di metterli da parte, forse l'unico era potersi comprare un camioncino e magari provare a regalare una vita migliore alla sua famiglia. Di incubi invece Mohamed ne aveva troppi, e il più grande tornò ad affacciarsi nella sua vita anche quella mattina.

La polizia lo tormentava da anni, non c'era giorno in cui non venivano a torturarlo, a chiedere soldi o a portare via la sua

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frutta. Mohamed odiava la polizia quanto odiava Sidi Bouzid, entrambe corrotte e rovinate, entrambe sporche e senza speranza.

Quella mattina i poliziotti vennero ancora da lui. Mohamed non aveva soldi da dargli. Se avesse venduto la frutta quel giorno forse avrebbe a malapena coperto i suoi debiti, ma certo non poteva permettersi altre tangenti. Questo ai poliziotti non interessava: prima lo insultarono, offesero la memoria del padre, gli sputarono in faccia. Alla fine passarono alle mani: lo presero a schiaffi, lo picchiarono a sangue, ribaltarono il carretto. Mohamed si trovò per terra, umiliato, sanguinante, il carretto distrutto, le bilance e la frutta rubate.

Quella volta Mohamed non poteva sopportare, non poteva più vivere così. Troppa rabbia, troppa disperazione da poter contenere in un'esistenza tanto miserabile. Doveva pur esserci qualcuno in grado di aiutare quelli come lui. In tutta la città doveva ancora esserci un briciolo di bene, qualcosa che non fosse già marcio e corrotto. In una città i giovani non hanno lavoro, in cui la gente ha fame e si trascina per le strade luride, in cui perfino la polizia infierisce sui più deboli, a chi si può chiedere aiuto?

Mohamed andò dal governatore, voleva solo avere indietro le sue bilance, ma quello neanche volle ascoltarlo. La rabbia ormai stava già esplodendo dentro di lui, un pensiero nero iniziava a prendere forma.

«Se non mi vedi, mi darò fuoco» gridò contro il governatore, ma quello nemmeno si degnò di rispondere. Lo mandarono via senza una parola, un disperato in una città di disperati.

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Eppure ormai qualcosa si era spezzato dentro Mohamed, il seme nero era germogliato e ormai l'idea aveva preso forma compiuta nella sua mente. Sapeva cosa andava fatto, e per quanto potesse avere paura, per quanto potesse odiarlo, sapeva che era l'unico modo.

Non bastano parole a descrivere quale volontà cupa e ferrea possa portare a fare quello che fece. Immolarsi solo per risvegliare le coscienze, solo per cambiare le cose. Distruggere sé stessi per spezzare le catene di tutti. A questo pensava Mohamed mentre si presentava di nuovo davanti all'ufficio del governatore, stringendo tra le mani una tanica di benzina. A questo, e forse a mille altre cose. Quella mattina, quando si era svegliato solo poche ore prima, certo non doveva aver immaginato di ritrovarsi lì con un fiammifero in mano, davanti a quel palazzo che era solo il simbolo di qualcosa di più grande. Lui stesso forse immaginava di diventare un simbolo, lui, quel palazzo, quel fiammifero, nient'altro che simboli. Questo non possiamo saperlo, sappiamo solo che disse: «Come credi che io possa guadagnarmi da vivere?».

Un attimo dopo il suo corpo era avvolto dalle fiamme. Era poco prima di mezzogiorno, la strada era trafficata e moltissime persone osservavano il rogo in preda al panico. Nessuno riusciva a domare le fiamme, Mohamed non voleva smettere di bruciare, forse avrebbe preferito stare lì per sempre, come una candela, a ricordare i peccati di quella città.

Mohamed non morì quel giorno, il 17 Dicembre iniziò la sua morte, ma dopo una lenta agonia si spense solo dopo 18 giorni. A quel punto tutta la Tunisia conosceva già la sua storia.

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Mohamed non morì quel giorno, Mohamed Bouazizi non morì mai più. Quel giorno con quella scintilla aveva solo acceso la fiamma destinata a scuotere la sua terra fin dalle fondamenta.

In quella mattina d'inverno Mohamed aveva dato vita a una Primavera che non avrebbe avuto fine.

5 Gennaio 2011

«Addio, Mohammed, ti vendicheremo. Noi piangiamo per te oggi. Ma faremo in modo che piangano coloro che hanno causato la tua morte» cantava una folla di 5000 persone durante il corteo funebre a Sidi Bouzid.

Con il suo gesto Mohamed Bouazizi diede inizio alla "rivoluzione dei gelsomini" che cambiò radicalmente volto alla Tunisia. Da quel momento prese vita la Primavera Araba che ancora oggi infiamma il Nord Africa e il Medio Oriente.

Biografia

Giornalista napoletano, ha studiato Giurisprudenza all'Università di Napoli Federico II. E' stato premiato per due anni di fila nel concorso di scrittura internazionale “Europa e Giovani” indetto dall'IRSE. Nel 2013 ha vinto il Premio della Giuria 'Giallo Classico' con il racconto 'Testamento in bottiglia' pubblicato nell'antologia 'Giallo in cantina' nell'ambito del Premio omonimo indetto da Luna Rossa. E' stato finalista nel Premio Contemporanea 2013 dell'Alexandria Scriptori Festival con l'articolo "Internet e nuovi media: la rivoluzione della comunicazione nel terzo millennio". E' stato il quarto classificato nel Premio Letterario 'Racconti tra Le Nuvole' con il racconto "Sad-u-bist Ruz", pubblicato nel libro "Racconti tra le nuvole", a cura di Sarasota. La sua poesia "Sinfonia in blu" è stata pubblicata nell'antologia "Il Federiciano - volume Indaco" edita da Aletti Editore.

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Sabato

di Jacopo Spaziani

Io in mezzo alla gente, Sabato 15 Ottobre, c'ero.Alla fine della giornata, non ho riportato ferite fisiche, ma per come sono io qualche segno in testa m'è rimasto.

Era partito tutto bene: ero contento di avere gli amici di una vita lì con me, di sapere che anche mio padre era tra noi.Ero contento quando la gente mi fermava per fare la foto al mio cartello, tanto che con la spinta degli altri lo innalzavo e lo facevo vedere, e già mi sentivo in imbarazzo.Ma nonostante questo lo esponevo agli obiettivi, contento di essere portatore di un po' di buonumore.

“Sto uscendo dalla metro di Repubblica, mi chiama un ami-co. È già con la ragazza, oltre la metà di Via Cavour. Mi av-visa che appena un secondo prima un gruppo di persone, in-cappucciate, col casco ed i volti coperti, aveva attraversato il corteo di netto, cominciando a spaccare le vetrine dei banco-

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mat e a dar fuoco ai cassonetti. Mi consiglia di saltare l'ini-zio del corteo e di andare direttamente ai Fori, dove la situa-zione sembra molto più tranquilla. Lo rassicuro, attacco il te-lefono. Ma con gli altri decidiamo comunque di proseguire dall'inizio”.

C'erano tanti ragazzi, ma sembravano ancora di più le perso-ne grandi, le donne, i pensionati. I loro volti sereni, con solo tanta rabbia che sfogavano con canti, urla, danze.C'erano le immancabili bande musicali delle associazioni, i venditori di fischietti, i giocolieri.Insomma, c'era una marea di gente, e si stava di un gran bene.

“Decidiamo di smettere di camminare sulle vie laterali: gui-do il mio piccolo manipolo di deficienti al centro della via, in uno spazio che si era creato nel cordone principale.Mentre ci stringiamo un po', visto che un mezzo dei vigili del fuoco è legato col nastro rosso-bianco al muro, per isola-re i vetri di una banca a terra, nell'esatto momento in cui tut-ta la folla si addensa, da davanti parte una piccola carica. L'umore cambia in zero: i sorrisi lasciano spazio alle urla, gli occhi grandi di allegria a quelli ancor più grandi del pani-co, la camminata lenta ad una retromarcia brusca. È questio-ne di un attimo, non vedo neanche se son stati i poliziotti. Poi arriva il l'esplosione di una bomba carta: indietreggian-do, molti di noi si trovano in un vicolo, e mentre mi giro ca-pisco che c'è qualcosa che non va. In fondo ci sono tre ca-mionette, che ci sbarrano l'uscita."

...

“Il tempo di capire che la carica è passata e possiamo rien-trare.

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Ma all'improvviso si muove qualcosa. Il tempo per capire ora non ce l'abbiamo: mentre rientriamo su Via Cavour, da Termini arrivano, scendendo, una ventina di persone, tutte vestite di nero. Mi ritrovo nel vicolo, di nuovo: dietro le ca-mionette, davanti alle teste di cazzo.E qui partono una serie di scene che, se non l'avessi viste con i miei occhi, stenterei a crederci: i neri cominciano a scendere le scale, stringendo me ed un'altra sessantina di persone con le spalle contro i mezzi della polizia. Una ragazza strilla ad un poliziotto che si af-faccia tra l'angolo del palazzo ed il muso di una camionetta, di spostarne una, per farci uscire, che questi ci ammazzano. Di risposta, un "Che cazzo vuoi che facciamo? Porca mado...!", urlato con tanto di manganello agitato.i neri scendono ancora una rampa, qualcuno di loro si toglie la sciarpa da davanti la faccia per urlare e spaventare ancora di più. Hanno tra i venticinque e i quarant'anni, agitano i ba-stoni. Noi gli gridiamo di andare via, loro avanzano. La gen-te comincia ad arrampicarsi su un motorino rosa. Un piede sul sellino, uno sulla sfera di ferro dei pali e su, sul tetto del-la camionetta. Altri, invece, si fanno leva su un vaso e passa-no attraverso lo spazio tra due cellulari. Dall'altra parte, per fortuna, i poliziotti porgono mani per aiutare le persone. Qui si raggiunge l'apice della tensione: le persone su Via Ca-vour, senza volerlo, stanno impedendo ai neri di uscire dal vicolo. Così come ci sono stai spinti, ora non sanno come uscirne. I neri per un attimo non sanno che fare: un secondo e sembrano volerci montare sopra, poi capiscono che dopo di noi ci sono i poliziotti. Quindi tentano di risalire, ma un signore esile e dai capelli bianchi, nonostante l'età, li blocca. Supportato da altri manifestanti "normali", ne placca uno e lo butta a terra. Il branco si avventa sull'uomo, alzando e fa-cendo ricadere i bastoni.

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Io, da un paio di minuti, sto aiutando signore, genitori con bambini e ragazze in preda al panico a scavalcare quel vaso che per tutti, presi dall'agitazione, è una montagna. Quando vedo l'uomo venire picchiato, alzo lo sguardo verso un poli-ziotto, in piedi sul tetto della camionetta.Gli grido di fare qualcosa, di spaccargli le gambe, di interve-nire.Il suo sguardo è vuoto, si gira guardando in basso verso i colleghi, in cerca di un appoggio.Niente.I neri si placano, sgusciano via dalle persone che vorrebbero bloccarli e si dileguano.Nel mentre, però, scavalco io.E il tizio che coordina il plotone fa fermare me, ed un altro ragazzo."

Ora, io in una situazione così non mi ci ero mai trovato. Tut-to quello che sapevo, su quando ti fermano le guardie, si chiamava caso Cucchi, Aldrovandi, Uva, e così via.Non un quadro proprio rassicurante.Quando poi, mentre un tizio in borghese ma con casco e manganello, ti tiene il braccio inchiodandoti di fatto in mez-za ad una cinquantina di poliziotti in tenuta antisommossa, il quadro è proprio appeso male.Diciamo solo che ho sperato di svenire alla prima manganel-lata.Invece, dopo la solita scenata ("Te, stavi a menà...", "T'ho visto che stavi a picchià.."), un controllo dello zaino e troppo tempo per scoprire che non avevamo precedenti, devo dire che un lato umano, piccolo eh, l'ho visto.Perché c'erano persone, sotto quei caschi. Persone che aspet-tavano ordini, erano pronti per sparare lacrimogeni, per in-tervenire contro i neri. Ma quell'ordine, almeno per il tempo in cui sono stato vicino a loro, non è arrivato. Ci hanno fatto

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spostare ("Se stanno a avvicinà, occhio!!"), si son preparati. Ma nessuno gli ha detto di avanzare un solo passo.Per questo il poliziotto che strillava alla ragazza bestemmia-va, ed ecco spiegato il perché dell'immobilità di quello in piedi sulla camionetta: aspettavano. Io ci ho visto che sareb-bero intervenuti volentieri, ma niente. Il vuoto.

A me spiace solo per una festa rovinata, per un inizio di cui nemmeno abbiamo visto la fine.

Non voglio mollare, non mi va. Ce ne stanno combinando di tutti i colori, ma noi dobbiamo essere daltonici.

Io ci credo ancora.

Biografia

“Scrittore dilettante, comico dilettante, padrone di cane di-lettante, figlio e fratello dilettante. Nel momento in cui mi specializzerò in qualcosa, mi crollerà il mondo addosso”.

Jacopo Spaziani

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Io non temo

di @Sinidio

Ho sentito l’acciaio fremere all’odore acreDel sangue mio, tuo, suo, nostroMai Loro.Ho visto elmetti come parafanghi sul visoPer coprire gli occhi dalle nostre gridaE urla e strazi e lacrime innocenti-Non ha mai spremuto tante lacrime un’idea.Ho sentito lo schiocco sordo di femori spezzatiE crani strusciare umidi sull’asfaltoE l’anima presa a calci dalla pauraMa non fugge-È più forte di Voi.Ho visto donne ragazze nonnePestate- stipate- massacrate- come sacchi di carne macellata.Ho nuotato nell’odore denso di sudore e vita epreghiere e cori e manifesti e Giovani avantiQui non si molla!Ma, VoiImperatori di regni del nulla di fumo e ventoRicordateIo non temo Un manganello, un ordine, una stanza freddaIl calcio del fucile che mi spacca il labbro eLe minacce di avvoltoi decerebrati e serviSubdoli e viscidi di un Moloch malato. Io no temoSfratti botte schegge di furia

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Sul mio viso.Io soffro ePiango e Tremo ePiango maIo non temo.Io non desisto.Io sarò qui, fino a che l’ultima sacra goccia di libertàNon sarà spremuta col filo spinato dal mioCorpo livido e pesto e nero.Io non temo VoiBranchi di flaccidi burocrati erotomaniPervertiti feticisti del denaroIn smoking Prada e BmwEgoisti come solo carogne randagiePossono essere eServi dei servi dei servi eAnime marce e putrefatteSolo al vostro passaggio impettitoL’odore è nausea e vomito.Io non temoPerché io morirò Una volta sola. voi invecesiete già morti.

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#Estate. Sulle lacrime e nelle lotte

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Dopo il corteo

di Lorenzo Del Corso

Vidi intorno a meil più gran capolavoro:una moltitudine di animeIn marcia al purgatorio

solo allora capii il mio ruoloe con la gola, mia cetraurlai mantra dal sottosuolo

Ed ora, a testa bassaad occhi chiusi,i pugni in tasca

Torno alla mia dimoraMalinconica, dolorosaDov’ ogni notte riposain intrepida fibrillazionela mia cupa e annoiata,Febbrile indignazione.

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Immagine ideata e prodotta da Ornella Acqua.

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Mio figlio è stato a Genova

di @SofiaGrande

-Tu, lì, questa volta non ci vai!

Ero dura, ferma, col cuore che mi si stringeva.

Lui sbraitava, continuava a cercare le cose necessarie per prepararsi il suo zainetto verde militare.

-Vattene, mamma!

Io non mi schiodavo dalla sua stanzetta. In piedi, accanto al suo letto. Dietro di me c'erano le sue foto da bambino. Che giocava al mare col papà, la sua prima comunione e i suoi compleanni.

Ora si sentiva un uomo.

Lo vedevo uomo, ma non potevo dirglielo.

-Sei solo un ragazzino. Non è un gioco! A Genova non ci vai. Non ha senso!

Lui non alzava lo sguardo.

-Io a Genova ci vado. Punto e basta.

-Ma che ci vai a fare?

-Ci vado perché voglio farmi sentire! Ma lo vedi quello che ci stanno facendo? Ma ti sembra umano che otto persone decidano per miliardi di persone? Che siamo costretti a subire quello che decidono le banche e il Fondo Monetario Internazionale? Quello che sta capitando ai Paesi più poveri

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un giorno potrebbe capitare anche a noi! Voglio un mondo diverso, mamma, io non ho paura!

-Se lo sa tuo padre... Hai chiuso! Non potrai più entrare a casa!

-Ma che cazzo dici? Ma se è stato lui a portarmi alle manifestazioni! Capirà!

E' vero, mio marito avrebbe capito. Ma io non volevo. Avevo una sensazione strana, avevo il timore che Luca si potesse trovare in pericolo.

Ricordavo i miei genitori, mi sentivo i miei genitori. Quante volte mi hanno controllato la borsetta, quante volte mi hanno seguita! Per loro i miei amici erano drogati e terroristi.

-Chi ti ha messo in testa questa cosa? Con chi vai?

-Mamma non capisci. Andiamo tutti! I soliti. Ma stavolta non saremo soli. Tutto il mondo si incontrerà lì sotto. Vengono dalla Francia, dalla Spagna, dal Nord Europa, dall'America. Ci stanno migliaia di associazioni, sarà bellissimo!

Più passavano i minuti, più il momento della sua partenza si avvicinava, più la mia fermezza diventava isteria. Il mio linguaggio si colorava di insinuazioni, di volgarità, di loschi giochi psicologici.

-Sono sicura che sono quegli stronzi del Centro Sociale, cosa ti hanno detto? Ti senti più figo se vai? Vuoi dimostrare qualcosa a qualcuno per caso?

-No, vado con Marco e gli altri.

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-Ora mi tornano i conti, c'è Sara? E' per lei, vero? Sei un cretino!

-Ma stai fuori? Mamma cosa ti succede?

Per lui ero l'amica a cui aveva insegnato come lavare i piatti senza sprecare acqua. Quella signora entusiasta di andare a fare la spesa insieme con la lista dei prodotti da boicottare. Ora si trovava un muro.

-La maglietta dell'Adidas non te la porti? Hai paura che ti rimproverino di non essere No Global, No Logo o qualche cazzata del genere... Vuoi che prenda le forbici, che ti scucia l'etichetta? Ma smettila!

Luca accese lo stereo ad alto volume, al suo interno c'era un cd di Manu Chao.

-Abbassa! Parlami!

-Non ho nulla da dirti!

Era la prima volta che mi sentivo così distante da mio figlio. Lui aveva diciotto anni, io era come se non avessi mai vissuto, se tutto il tempo passato non fosse servito a nulla. Non avevo capacità, esperienze, autorevolezza per far sentire il peso della mia età anagrafica.

Avevo perso contatto con mio figlio, non volendo mi ero mostrata diversa da quello che ero. Ma era un tentativo per proteggerlo, nulla di più.

Tornata in soggiorno mi misi a leggere un libro di Hesse, poi la porta si aprì e si chiuse.

Nemmeno un saluto.

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Mio marito, la sera, minimizzò la questione. Rise, canticchiando una canzone degli Skiantos:

“Sono un ribelle, mamma...”

-Sarà una bella esperienza, non sarà come a Seattle. Siamo in Italia e Genova è una città bellissima... La città di De André!

Mi tranquillizzai tra le sue braccia.

Nei giorni a seguire Luca ci chiamò sereno. Si era sistemato in un edificio occupato, col suo sacco a pelo. Lo stesso che usavamo in campeggio d'estate. Sembrava avesse dimenticato tutto. Mi raccomandavo solo una cosa.

-Tieniti lontano dalla zona rossa!

Lui rideva.

-Giuramelo!

E lui me lo giurava.

Poi d'improvviso tutto precipitò.

Ancora oggi non so cosa abbia visto, cosa abbia vissuto. Non ne parla molto. So che in tv mandavano scene da guerra in Vietnam, poi da repressioni della dittatura sudamericana. Si alternavano politici vestiti di lusso e fotogrammi di una città devastata.

Si giustificava la violenza su quei ragazzi con le parole di Scajola, su quel limite superato, quei quattro passi in più che mettevano ragazzi come il mio Luca più vicini a quei potenti.

Iniziai a chiamarlo, ma il telefonino non prendeva.

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Mio marito mi diceva:

-Te lo ha giurato, stai tranquilla.

Non stavo tranquilla perché pensavo che Luca è mio figlio, che se mi dicono di stare lontana, mi avvicino. Perché so che la mia voce ha una forza e perché voglio che sia sentita.

-Nostro figlio non è un black block, è un pacifista convinto, come lo eravamo noi alla sua età.

Mi fumavo una sigaretta e poi respiravo. Durava poco perché poi iniziava anche lui.

-Perché non risponde?

La polizia usava i manganelli, fermava le persone, se le portava via. Bruciavano cassonetti, si spaccavano vetrine al susseguirsi dei lacrimogeni e delle prevaricazioni.

Ho detto di tutto a mio marito, ho pensato addirittura che se tutto fosse finito bene, ci saremmo separati. Ho pensato che era colpa sua. Che non era giusto che a rischiare la vita fosse la mia creatura, che Luca non c'entra niente, che a votare Berlusconi erano stati quelli della nostra età.

Poi la notizia della morte di un ragazzo. E la chiamata di mio figlio.

-Sono al sicuro, mi ha fatto salire a casa una famiglia. Sono gentili. Non mi muovo da qua finché non è finita.

Ho ripreso ad essere madre. Una madre diversa dalla mia.

Mio figlio non aveva colpe per trovarsi in mezzo alla furia dei potenti, ma non le aveva nemmeno Carlo e tutta la loro generazione.

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Tornato a casa lo abbracciai e abbracciai mio marito.

Non gli ho detto che doveva ascoltarmi.

Avrei dovuto ascoltarlo io.

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Nessuno tocchi Nardò

di Susi Ciolella

Nel 2011 a Nardò, circa 400 braccianti di origine africana, fecero il primo sciopero autorganizzato in Italia di lavoratori stranieri contro lo sfruttamento basato sul caporalato.Oggi a Nardò si continua dormire tra gli ulivi, stesi sulla nuda terra o su materassi sudici. Oggi a Nardò si continua a sperare una vita degna di essere vissuta.

"Nessuno tocchi Nardò” è la parola d'ordine del caporalato e dello sfruttamento.“Nessuno tocchi Nardò” è anche il monito di una terra assetata di legalità.

La nuda terraè madreche accogliei corpiammassatisui materassi

nel buio profondobraccia fortilegate come rami di ulivosorreggonol’umanità degli ultimi

la nuda terraè madre che abbraccia

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ascoltail disperato piantodei suoi figlinel silenzio della notte senza luna

e poi raccontala dignitàseme di coscienzadei campi di Nardò

Biografia

Nata a Roma nel 1970. Ha lavorato per vent’anni in una compagnia aerea, attualmente è un coordinatore sindacale dell’ USB. Giornalista pubblicista, ha lavorato come collaboratrice esterna al “Corriere di Roma” e al “Giornale di Ostia”, collabora con il quotidiano on line “Dazebaonews” e il periodico “Stampa Critica”. Ha pubblicato “Dimensione oblio” e ” I poeti contemporanei”, una raccolta di poesie.

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Se bastasse una falce

di Angelo Gattafoni

Se bastasse una falceIo taglierei l’erba del cinismoE dello sfruttamentoSe bastasse un urloIo griderei al mondoChe bisogna cambiareNon più tergiversareSe bastassero striscioniIo ci scrivereiPossiamo essere tutti miglioriMa non lo siamo Perché amiamo essere schiaviDel sovrano.

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Immagine ideata e prodotta da Ornella Acqua

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Tonino al G20

di @Poeta del Nulla

Dal pensiero all'azione il passo è breve. Tolta la veste da giovane militante piddino ho seguito Tonino ed eccoci all'aeroporto di San Pietroburgo a fare l'autostop.

Sull'aereo chiunque ci avrebbe riconosciuti: italiani e compagni.

Bagagli a mano stracolmi, pesati alla perfezione, panino con mortazza a metà viaggio e richiesta inesaudita di due bicchieri di lambrusco alla provocante hostess russa.

Tonino dall'alto dei suoi 65 anni sfoggia una cangiante camicia rossa su pantaloni taglia 62 di velluto marroncino. Io, la solita t-shirt con il volto del Che.

Dopo i tentativi di abbordaggio di una decina di tassisti abusivi, si ferma un signore anziano, calvo col pizzetto curato e i baffi con terminali all'insù. Un mix tra un Dalì orientale e una versione occidentalizzata di Lenin.

Il malcapitato non parla inglese, noi non parliamo russo. Tonino è diretto.

-Portace ar G20, jene devo dì quattro a 'sti zozzi prepotenti!

-Italiani?

-Sì, semo italiani, embè?

-Italiani, brava gente: pizza, mafia, mandolino! Ahahaha!

-Brava gente? Vabbe', portace ar G20.

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Lenin guida piano, come se volesse farci ammirare il paesaggio. Si alternano palazzi altissimi che lui ci presenta con il pollice alzato.

-Bellissimi, daaaa?

In realtà sembrano i moduli abitativi di Tor Bella Monaca, ma si sa, i gusti sono differenti di Paese in Paese...

Oltrepassiamo il fiume che divide la città e inizia a piovere, il cielo è quello di Milano, ma ogni dieci minuti di traffico si intravedono cupole dorate di splendide chiese ortodosse.

Siamo in silenzio, sperando che questo passaggio abbia un senso, che l'autista ci abbia capito. La nostra vacanza è tutta in questo percorso, poi inizierà la mission impossible. Abbiamo il tempo di notare che ci sono cartelloni pubblicitari ovunque, che Leningrado è oramai lontana.

Dopo più di un'ora Lenin rallenta, indica un cartello.

C'è scritto: Palazzo di Costantino.

E' la sede del meeting. Tonino dà una pacca all'autista e apre lo sportello in corsa. La macchina si ferma, ringraziamo Lenin e gli regaliamo una fotina di Antonio Gramsci.

Iniziamo a camminare, c'è la polizia, ci sono delle Femen con le tette in bella vista, ci sono i giornalisti, ma poco più.

Non è Seattle, né Genova. Non ci sono pomodori da lanciare, né ragazzi pronti a superare una zona rossa. Allora ci allontaniamo dall'ingresso principale e iniziamo a percorrere il perimetro del Parco che ospita la sede dell'evento, alla ricerca di un punto buono dove scavalcare.

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Lì dove la ringhiera è più bassa, Tonino mette un piede sulle mie mani, poggiate sul mio ginocchio, poi mi sale sulle spalle, vede il lusso. Il ben di dio che è stato preparato per i grandi della terra. Afferra gli spuntoni della ringhiera, io mi chino e prendo tra le mani le sue chiappe.

-Spingi, Piddì!

Lo butto dall'altra parte. Un volo di due metri. E' lì sul prato che si tocca la schiena.

-Mò vatte a fa' 'n giretto, che ce penso io. So' 'n vecchio, a me nun me possono ferma'.

A malincuore lo saluto e mi reco all'ingresso principale. Il suo blitz interromperà il pranzo di Mr Obama, del giovane Letta e del grigio Putin. Lui farà il suo, poi se tutto andrà bene le guardie lo faranno uscire, lo rimprovereranno, prenderanno i suoi dati ed io interverrò, fingendo di essere suo figlio e scusandomi di tutto. Dirò che me l'ero perso, che Tonino è un pazzo, per di più malato di Alzheimer. Spenderemo i nostri risparmi per un taxi “reale” e in nottata saremo di nuovo a Roma.

E' ora di pranzo, Tonino sa come arrivare alla sala ristoro del G20. Dalla vetrata scruta l'aperitivo: gamberi “parlanti” in bicchieri di cristallo con crema di scampi che arriva all'orlo argentato. Caviale in conche di madre perla e filetti di salmone in piatti di Swarowsky. Le birre artigianali volute da Barack, lo champagne portato da Hollande e il Prosecchino numerato di Enrico.

Poi i primi, risotto indiano al curry con un pollo cresciuto in una albergo cinque stelle, costretto a vivere tra il divano e la

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vasca idromassaggio. Due fettuccine con funghi porcini di Arcore e delle crepes ripiene di carne di figli di cavalli da corsa.

Al momento del secondo, della tagliata di manzo cruda, ma massaggiata precedentemente in maniera ininterrotta per mesi da bambini asiatici sottopagati, Tonino entra dalla finestra.

-Bongiorno eh!

Si dirige da Letta.

-Ancora qua stai?

La polizia è già su di lui, ma Enrico, accortosi dell'innocuità del personaggio, chiede di lasciarlo parlare.

-Sei democristiano, ma armeno c'hai rispetto pe' l'anziani! Volevo dì du' cosette, poi me ne vado. Complimenti a Vladi! Ber teatrino! Daje che nun te romperanno er cazzo pe' le Olimpiadi... Certo però che me girano le palle a pensà che qua, dentro sto castello, venti persone decideno le sorti de miliardi d'essere umani. Qua, proprio in Russia, dove 'na vorta erano tutti compagni... Jelo devo dì io, o ce pensate voi? Va beh, jelo dico io. Caro Vladi, ma come t'è venuto in mente de mette su certe campagne contro l'omosessuali? No, no, nun so' frocio, ma me vengono dei dubbi, come posso sperà che uno come te faccia ragionà l'America e freni la guerra in Siria. E sì, perché se sto qua nun è pe' fa 'n pippone a Putin, ma pe' parla' co' Obama. Caro Barack, te sei fatto bello co' mezzo monno e mò che t'hanno rieletto che fai? Getti la maschera e te scopri peggio der Bush più scemo! Avete previsto l'aumento der petrolio, allora eccoce de fronte a n'artro Iraq. Ma che ve fumate, fiji belli? Qua scoppia 'a terza guera mondiale... E' inutile che er capo degli

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Emirati Arabi se la sta a ride'. Carissimi sauditi, da 'e parti vostra 'a gente sta 'mbufalita. N'è mica come qua che se semo rincojoniti. Sì, lo so, tra poco uscirete e direte che state a lavorà pe' nun bombardà, 'nvece state a cercà 'na scusa pe fa la guera! Tirerete dentro l'Onu. E allora la Merkel, che mò se sta zitta perché c'ha le elezioni, sarà dei vostri, la Russia stessa se farà i cazzi sua. Ma mica mica c'avete 'n prezzo? No perché pe' nun sape' né legge, né scrive, me sembra che pure Obama è 'n guerafondaio, pe' lui l'unica strada pe' fa 'mpenna' er dollaro è usà le armi, distrugge e riscostruì. Poi se ce so' risorse in ballo... I pacifisti, 'nvece, quelli coi sordi, no quelli che dovrebbero sta qua sotto, se vojono aggrazia' gli arabi pe' aumenta gli scambi commerciali. Nun c'ho parole, giocate coi destini della gente. E se nun trovate n'accordo siete pronti a esse' nemici. State a magnà? Che ve vada de traverso! 'E regole so' uguali dappertutto, nun se magnà co' chi nun c'hai niente a che sparti' e voi magnate tutti insieme. Chi più, chi meno. Ma nun dovevate parlà de aumentà le tasse alle grandi multinazionali? Tipo Google... E poi er Giappone, su, dillo, presidente giapponese, tu non stai qua pe'la pace. Stai qua perché vuoi che nun te scassino i cojoni, vuoi svalutà lo yen e riprenne' a vende, ma loro nun to'o permettono. E'nfine, caro Enrico, 'sto G20 sancisce er tapering e 'o sai che vor dì? Che i poveri saranno più poveri e che i ricchi saranno più ricchi. Ma nun sarà che quarcosa è cambiato? Sveja! I ricchi so' più poveri oggi, i ricchissimi so' intoccabili e i poracci che se stanno a'nventà de tutto pe' riemerge, beh, loro mo' li riazzopperete tutti. Qua stamo in campo internazionale, non in Italia. 'O potemo dì che la Federal Reserve vole stringe la cinta e aumentà i tassi d'interesse? Avoja a dì che la crisi è finita, che l'America punta sull'Italia... E se questo è er modo, se bisogna distrugge i paesi emergenti pe' fa' fa' cassa a Banche e Fondi, Caro Letta, cari tutti, io nun ce sto. Ma tornatene in

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Italia che c'avemo 'n sacco de problemi! Stai a fa' er gioco loro, ma 'nfonno è sempre stato così. C'avemo centinaia de basi Nato a casa nostra e sto Governissimo è voluto solo da chi, bello bello, sta seduto a sto tavolo. Qua, tra voi padroni.

Letta è imbarazzato, tira fuori tutta la sua rabbia.

-Ora basta! Portatelo via! Non so chi sia, non è un mio invitato.

-Ma come? Nun ho ancora detto niente sur Pd! E Berlusconi? L'amico tuo...

Hollande prende la mano di Letta.

-Il est foul! Laisse quitter la chose!

Mentre i poliziotti spingono Tonino fuori, lui grida.

-Non sono pazzo, è solo l'inizio. Saremo in tanti e ci vorremo bene.

Come da copione recupero il vecchio, che nel frattempo è diventato un mito per i pochi protestanti in piazza.

Lo acclamano.

-Tonino! Tonino!

E cantano la canzone di Toto Cutugno.

-Lasciatemi cantare...

Ha il suo momento di felicità, ma sono costretto ad interromperlo.

-Tonino, c'è il taxi che ci aspetta.

-A Piddì, l'hai preso quarche numero de telefono?

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-Ma che sei scemo?

-Mica pe' trovatte 'na ragazza, è che dovemo inizià a costruì 'na rete...

Biografia

Poeta del nulla è lo pseudonimo del curatore di questa raccolta, Maurizio Mequio.Laureato all'Università La Sapienza di Roma in Scienze Storico-religiose e specializzato in Antropologia Culturale. Ha frequentato il Master per Esperti di Comunicazione Multimediale e Giornalismo Internazionale presso la Fondazione Lelio Basso. E' educatore in un Centro di Prima Accoglienza per minori non accompagnati e richiedenti asilo, è responsabile della Letteratura per il quodiano online Dazebao. Ha scritto diversi articoli per Liberazione e L'Unità.Ha pubblicato “Diario dalla terra – Incontrare uomini che camminano sulle acque” (a puntate su Dazebao, ebook e cartaceo con Lulu edizioni), “Anche le mie viscere sanno di fiori” (Lulu edizioni) e “Pd. In fondo a destra”- il racconto qui proposto è un contributo speciale con gli stessi protagonisti del romanzo - (a puntate su Dazebao). E' stato fondatore e coordinatore della webradio “Radioeclissi” in collaborazione con la Asl Rm E.Ha prodotto diversi cortometraggi a sfondo sociale e il documentario “L'odore dell'opera”.Il suo blog è www.mauriziomequio.wordpress.com

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Anni al veleno

di Simone Censi

In questo scorrere di tempo inerte e senza senso,siamo figli del vuoto più assoluto.Scavati nell’animo da ogni umana traccia,generazione asfissiata dal volgere della storia.Nati troppo vecchi per i cambiamenti in corso,siamo appiedati alla fermata di un autobus che non passerà.La neve ha ricoperto le tracce di chi ci precedevae non abbiamo la possibilità di lasciare niente a nessuno.Niente di buono almeno.Paghiamo colpe di padri irragionevoli,vissuti con quel che avevano alla giornata,noi invece di niente viviamoe le nostre colpe si assommano al peso già sostenuto.Siamo pollame pigiato in strette casse,beccandoci l’un l’altro, in attesa di arrivare al macello.Ci hanno portato via tutto, tutto ci hanno rubatoe ora affamati ci guardano,perché non hanno più niente da toglierci.Bene.Ora che non abbiamo più niente da farci rubare,nemmeno più la dignità, ora toccherà a loro.Alle loro grosse case e alle loro grasse famiglie.A chi ha cresciuto nella bambagia figli stolti e boriosi,ai danni dei capaci senza mezzi,ora tocca a chi ha mandato avanti figli stolti e insaziabili,a chi ha affamato, usurato, scolpito sofferenze negli animi,chi ha sbandierato la famiglia in faccia a chi non poteva averla,a chi nascosto, sordo ai lamenti e cieco alle ingiustizie non ha fatto,

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a chi si è ammantato di santità, senza dividere il drappo con il bisognoso.Dove pensavate di andare? Quanto lontano volevate arrivare?Siamo carogne affamate senza ideali, solo alla fame siamo leali.C’avete creato così ed ora siamo arrivati.Non avremo pietà,quando affonderemo i nostri denti affilati dalla violenta società,dentro le vostre grasse carni.Non avremo pietà perché si è perso il significato.Voi che vi siete arricchiti sulle schiene spezzate dei nostri genitori,sfinito mamme anche nell’amore,con questo c’avete fatto crescere,questo è il conto che vi portiamo da pagare.Niente sconti o dilazioni,non manderemo più avanti questa societàper trovare un posto di rilievo ai vostri figliocci viziati.Toccherà prima a loro,perché ci sazieremo solamentequando vedremo il dolore nei vostri occhi prima di passare a voi.

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Biografia

Laureato in Scienze Politiche e laureando in Giurisprudenza,ha all’attivo numerose pubblicazioni in rete e su varie antologie di poesia e narrativa. Secondo posto al Premio Internazionale Il Labirinto con il racconto “Riflesso tonico labirintico” nel 2008. Terzo posto al Premio Lupo con il racconto “L’anabasi dell’uomo moderno” e pubblicazione nell’antologia del premio ( Faeto - 2009). Vincitore del concorso Una Poesia per il quadro con la poesia “Introspezione” pubblicata nella rivista Finestre Aperte (N°3 - 2010), vincitore del concorso Una Poesia per un fiocco di neve con la poesia “Fiocco di neve” pubblicata nella rivista Finestre Aperte (N°4 - 2010), il racconto “La luna di formaggio” pubblicato nella raccolta Racconti in forma (Damster - 2010). Vincitore del concorso Cinque poesie per ognuno dei cinque con la poesia “Todos los dias cada noche” e pubblicazione nell’antologia del premio con traduzione in spagnolo per l’edizione cubana (2011). Vincitore del concorso nazionale E-Scrivo e pubblicazione della raccolta di racconti “Ghost Hunter – Il metodo Gallagher”(D'Accolti-2012 http://www.daccoltibook.com/product.php?id_product=79 ) e “Ghost Hunter – Un mostro dagli occhi verdi” (2012), vincitore del concorso nazionale FantaExpo 2012 con il racconto “La lettera del Male”, vincitore della IV edizione del Premio “WRITE_AIDS 2012” con la poesia “Viandanti smarriti”. Terzo posto al concorso Tuttiscrittori 2013 con il racconto “Quello che vedo” (Coarezza – 2013), secondo posto al Premio Giuseppe Matarazzo con il romanzo “Il garzone del boia” (Montescaglioso – 2013).

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Immagine ideata e prodotta da Ornella Acqua

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I dubbi cadono con le reti

Di @Follylesie

Arrivo giusto in tempo per il With Love Festival. Finalmente potrò ascoltare Basile, a Milano riesco sempre a mancarlo. Al presidio c’è il solito fuoco, forse questa volta è un po’ più grande, e gente, tanta. Pochi di Niscemi, la prima faccia che mi saluta l’ho vista all’ultimo presidio No Tav in piazza San Sabila, ed è lo stesso volto che avevo accanto ad un incontro al parco il 2 giugno. il presidio ha lo stesso aspetto di marzo nella zona cucina/bar, accanto c’è una “saletta” in più che mi dicono è stata un baretto durante questi mesi ma adesso è ridotta a sgabuzzino. La zona gazebo è stata ampliata, c’è un bel tronco al centro a reggere la struttura, pieno di nervature, ci hanno appeso degli acchiappasogni. C’è paglia intorno a far da parete, paglia sparsa a terra, altra paglia che invita a sedersi, ci sono un paio di librerie e qualche sedia. mi piace. Accoglie più di prima. Il pomeriggio dopo, quando ci ripasso, la luce che c’è mi invita al riposo e al sonno, ma c’è da lavorare, sistemare. Passo il pomeriggio con Gatta a pulire e tagliare verdure e condimenti per la pizza che un ragazzo di Udine sta preparando per la cena. Continua ad arrivare per tutto il pomeriggio gente che parteciperà alla manifestazione del 9. Ci sono dei ragazzi che vengono dall’estero, chi dal Messico, chi dalla Bulgaria, Francia, Repubblica Ceca. Dicono che la Sicilia è bella, ma è tenuta male, non ha mezzi di trasporto efficienti, e pochissima gente parla inglese. Ma credono che la nostra lotta sia giusta e vada portata avanti. Non le conto le tende colorate che riempiono l’area campeggio, ma sono tante e questo fa piacere. Riesco a tornare di nuovo al presidio l’8, mi metto sempre ad aiutare tra cucina e bar, comincia a sentirsi un po’ la tensione per

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l’indomani. capisco che c’è qualcosa, ma si parla poco… si preferisce andare avanti a fare quel che c’è da fare. Qualcuno torna con il reggiseno di E., lo passa ad A. dicendo di tenerlo. Anche A. assume un'espressione interrogativa, ma non fa domande, anche se non capisce. Solo verso le 19 veniamo a sapere che E. ha deciso di entrare in base e salire sull’antenna con altri 7. Le ragazze non approvano, viste le varie denunce a carico di E. …ma lei era decisa e anche felice di farlo. Un bel gruppo si dirige a far presidio con chitarre e voci sotto le antenne dove si sono arrampicati. Serve sostegno e anche che vengano visti. Sono partiti attrezzati: amache, teli per il sole, acqua e frutta. Resistono. Tutta la notte. Solo uno l’indomani mattina abbandona ed esce. Ma nel frattempo si scopre che altri due attivisti sono saliti su altre antenne un po’ più distanti. Lo scatto di un bacio sulle antenne e riusciamo a sapere chi sono. Al presidio si freme…Ore 15, ultima assemblea: dobbiamo andare a riprendere i compagni sulle antenne. Tutti insieme. Il percorso della manifestazione parte dalla grande quercia…Io sto con A. a metà percorso dove abbiamo creato un punto acqua. Vediamo passare in continuazione forze dell’ordine, la Digos passa veloce e tira su gran polveroni. Alla terza volta uno che era con noi gli fa segno di rallentare, che ci siamo qui noi e quella polvere non è piacevole. Parte il corteo, si sentono le voci, i cori. Si avvicinano sempre più. L’acqua che avevamo finisce quasi tutta e adesso possiamo unirci anche noi al corteo. Siamo tanti, nonostante agosto, nonostante il caldo. La base è davanti a noi, e loro sono schierati lì senza divisa e muniti di casco e manganello al di là della rete. Il corteo avanza e tenta di sfondare. Parte qualche manganellata, la gente urla, quelli davanti avanzano, quelli dietro arretrano, spaventati. Io mi trovo in mezzo , davanti a me un’attivista, una ragazza che con decisione si gira e grida : “Dove andate? La parola

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del giorno non è corteo, ma occupazione!”. E’ forte. Quello che ha detto. Come lo ha detto. Mette forza. E qualche altro si avvicina. La situazione torna presto tranquilla, non so da chi parte l’idea, ma si decide di spostarsi verso destra. Facciamo avanzare tutta la gente in quella direzione, si cammina ancora un po’…. I primi arrivano in cima ad una collina. Da lì cominciamo a vedere gente correre prima indietro, poi qualche rete bucata e gente che comincia ad entrare. Inizialmente pochi. Da fuori si è increduli. Non si capisce cosa fare. Se entro, se non entro. Cosa rischio? Non possiamo lasciarli soli. Si era detto insieme. La maggior parte di quelli dentro sono di fuori. A ben pensarci quasi tutti sono di fuori. I niscemesi fanno solo il tifo. E anche i tifosi rimangono pochi. Si apre un altro varco più sotto. Poi un altro. E un altro ancora. Per ogni rete che cade un dubbio in meno sul da farsi. Per ogni rete che cade sempre più gente dentro. Entro anche io. Non si resiste a stare a guardare. Ti viene voglia di calpestarlo quel pezzo di terra. Di correrci dentro. Di sdraiarti a terra, nonostante sai benissimo che guarderai il cielo come da dentro una gabbia metallica. E così è. Di certo metà corteo è dentro. Qualcuno tira fuori una bandiera a stelle e strisce, la stende a terra e appicca il fuoco. Liberi. E felici. Nessuno l’avrebbe detto un paio di anni prima. Raggiungiamo gli altri sulle antenne, vengono giù, ci sono abbracci, sorrisi, lacrime e i colori di un tramonto che tutti ci ricorderemo. Qualcuno voleva restare. Anche io mi sono trovata a pensarlo. Ma forse non è ancora tempo di scriverla così questa storia. E allora usciamo. Mancano i due più lontani, ma sta facendo buio e vanno a prenderli con la Digos, tanto per nessuno scatteranno denunce. Non questa volta. La sera al presidio è festa. La stanchezza può essere ancora ignorata.

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Foto scattata dall'autrice del racconto

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Milano andata e ritorno. LOC e PID

di Adalberto Fornario

Milano, 18 aprile 1975.

E' tarda sera quando torni al tuo Residence in Via Corridoni, un ex albergone di tredici piani dall'aspetto pretenzioso e dalle stanze molto piccole.

E' vero, ragionandoci a mente fredda lo ammetti: hai fatto una piccola stronzata!

Eri seduto sulle scale dell'ingresso principale della Statale quando li hai visti arrivare.

Calmo, tranquillo, tu eri in buona fede.

Eri a Milano da un anno, per lavoro, e avevi conosciuto degli Obiettori di coscienza, come te.

Cominci a frequentare la Federazione cittadina della LOC, diventandone in breve tempo il tesoriere.

Il lavoro in Federazione si rivelava interessante. Erano anni di fermenti.

A Milano la LOC, federata al Partito Radicale, era molto attiva. Manifestazioni, assemblee, concerti, congressi.

Un pomeriggio eri con altri attivisti antimilitaristi/obiettori e stavate operando un sit-in sulle scale del Tribunale di Milano, con cartelli esplicitamente contrari alle alte gerarchie militari, per la liberazione di alcuni obiettori arrestati il giorno prima. Foste fermati e identificati tutti.

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E ancora, concerti e spettacoli di solidarietà e finanziamento alle attività.

Battiato al Teatro Lirico, De Gregori e Dalla all’Arena del Castello Sforzesco e tanti altri.

Così, ti ritrovavi puntualmente con la cassetta degli incassi fra le mani, scortato da due giovanottoni alti quanto te e ben muscolosi.

Al Congresso Nazionale, che si tenne nella Sala Assemblee della Provincia, ti rendesti conto che “siccome tutto il mondo è paese”, anche in quella situazione ci furono i soliti giochi di correnti: far iscrivere alla LOC dei perfetti sconosciuti per assicurarsi i voti alle mozioni.

Rimanesti un po' deluso, ma continuasti nell’impegno.

Ma torniamo ad oggi.

L'altro ieri Claudio Varalli è stato colpito a morte da un colpo d'arma da fuoco esploso da Antonio Braggion, neofascista; ieri Giannino Zibecchi è morto, investito da un camion della polizia.

In città la tensione è alle stelle. Per il pomeriggio è indetto un corteo antifascista in corso XXII Marzo, nei pressi di via Mancini, sede della Federazione del MSI, luogo dove è stato investito Zibecchi.

Alla fine del turno di lavoro ti sei precipitato sul posto.

L'atmosfera era tesissima.

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Da un lato i manifestanti, molto incazzati, diretti in via Mancini.

Dall'altra il cordone dei poliziotti, in pieno assetto anti-sommossa, attenti a non far avvicinare il gruppo.

In mezzo, tu e tanti altri, con le vostre macchine fotografiche.

In verità, era la prima volta che ti ritrovavi, per scelta, in una situazione del genere.

Anche se, l'anno prima, a Napoli, ti eri ritrovato a fare da servizio d'ordine a un corteo, spalla a spalla con "marcantoni" di un metro e novanta a tutela dei manifestanti.

Oggi era diverso. Non eri fra i manifestanti, eri da solo e per giunta c'erano due ragazzi inconsapevolmente morti, da onorare.

L'aria pesante si tagliava a fette.

Sarebbe potuto succedere di tutto.

E sarebbe stato un danno per tutti.

Dopo un paio d'ore di trattative, la tensione si stemperò. La sede politica fu fatta chiudere ed evacuare.

A quel punto il corteo s’iniziò ad allontanare e tu li hai seguiti per un tratto.

Sono le nove passate e ti ritrovi nei pressi della Statale. Hai saputo che ci sarebbe stata la loro presenza in quella zona.

Allora ti alzi su un muretto della scalinata per vedere meglio.

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Eccoli, arrivano. Era la prima volta che li incontri 'dal vivo'.

Altre volte li avevi seguiti durante qualche Telegiornale serale, intervistati sempre di spalle o con il volto coperto.

Quella sera sono lì, davanti a te.

E allora ti viene la voglia (curiosità? Presenzialismo? Vanità?) di... scattare!

Come fai spesso, in tante occasioni, pubbliche o private, impegnate o ludiche.

Come hai fatto la domenica precedente con il lago e le rane, come hai fatto qualche ora prima in via Mancini.

Questa volta, però, non hai considerato il tutto.

Superficialmente, ingenuamente e poco professionalmente hai scattato con il flash, che si è notato subito.

Dovevi aspettarti, com’era prevedibile e opportuno (poiché nessuno ti conosceva), che qualcuno ti venisse a chiedere conto di quello scatto.

Dopo un po' di discussioni, sei riuscito a convincerli della tua buona fede. Hai tenuto la macchina ma hai perso il rullino con tutti gli scatti di quei giorni.

Forse è in quel momento che hai dedotto di non essere destinato a una carriera di foto-reporter.

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Milano, 1975 (Foto di A. Fornario)

Napoli, 1977 (Foto di A. Fornario)

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Biografia

Adalberto Fornario inizia il suo percorso di vita sociale attraversando e vivendo la contestazione giovanile; dopo aver preso parte ai movimenti di Obiezione di coscienza si dedica ai ragazzi di Napoli facendo parte della MENSA DEI BAMBINI PROLETARI, dove inizia ad assorbire ed analizzare il disagio dell’età adolescenziale nell’ambito cittadino. CINEMA, LETTERATURA, POESIA, MUSICA. Un divoratore e interprete onnivoro dell'altrui e della propria creatività, nel tentativo di dare e trovare risposte alla propria ed all’altrui esistenza.Appassionato fruitore e recensore cinematografico, ha curato la rubrica di cinema per Grappolo.com. Come fotografo ha sviluppato “carnet di viaggi” e wideOmar, omaggio in immagini e musica a due città di mare con molti punti in comune fra di loro (Napoli e Genova).E’ Presidente dell’Associazione Culturale LA DIMORA DI ALICE, che organizza il Concorso Letterario UNA PAROLA AL GIORNO.

(Ivana Jachetti)

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Con le frecce contro i carri armati

- opera teatrale -

di Gianni Spezzano

Personaggi:

ANARCHICOPRIMO, ribelle, capogruppo detto “Genio”SECONDO, ribelle, violento detto “Bestia”TERZO, ribelle, donna del BestiaQUARTO, ribellePrimo MinistroMinistro dell'EconomiaMinistro della Difesa, donnaSegretario della Difesa, capo della poliziaI Celerini, gruppo armato(N.d.R. Lo spettacolo prevede l'utilizzo dei doppi ruoli)

L'Anarchico è fuori scena, intento a costruire un ordigno esplosivo.

Scena 1, centro sociale. QUARTO scrive su un registro, poi TERZO.

TERZO: Ma...come...qui non c'è ancora nessuno?QUARTO: A quanto pare no.TERZO: Sembrava che dovessimo fare tutto in fretta, mi è venuta un'ansia...QUARTO: Poverina, mi dispiace!

Pausa

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TERZO: Ancora che continui a scrivere e riscrivere sul quel cazzo di registro?QUARTO: Qualcuno dovrà pur farlo.TERZO: Non capisco perché perdiamo tempo con queste cretinate.QUARTO: A dirla tutta il tempo lo perdo solo io e non sono cretinate. Le attività del gruppo , gli argomenti delle riunioni, vanno annotate.TERZO: Si, vabbè! La solita manfrina del teniamo sempre tutto a mente chiaramente.QUARTO: Non mi sembra una cosa da sottovalutare e poi fa anche rima.TERZO: Già è vero! Perdiamo tempo in chiacchiere, perdiamo tempo a riportare su stupidi registri quelle stesse chiacchiere, che non fanno altro che dare spunti di riflessione per ulteriori chiacchiere, quando invece dovremmo agire. Non abbiamo bisogno di parlare per capire che le cose non vanno, basta guardarsi intorno, mi viene solo voglia di marciare e sovvertire tutto quello che incontro e che non mi sta bene.QUARTO: Praticamente tutto! Credo che anche il caos abbia bisogno di un ordine. Le azioni improvvise possono senz'altro essere devastanti ed avere il loro ottimo “momentaneo” risultato, ma sono fini a sé stesse, poi il giorno dopo cosa farai?TERZO: Continuerò a marciare , sovvertire, distruggere se occorre.QUARTO: Per quanto tempo?TERZO: Finché le cose non saranno cambiate.QUARTO: ma quando tu marci, distruggi e poi prosegui sul tuo cammino di distruzione, come puoiessere sicura che ciò che ti lasci alle spalle cresca autonomamente sano?TERZO: Non lo posso sapere.

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QUARTO: Per questo dobbiamo essere sicuri che le nostre azioni siano definitive e non momentanee. Quando distruggiamo dobbiamo avere non solo la capacità ma anche il dovere di ricostruire.TERZO: Questo ci farà perdere tempo, sempre più tempo. Ci dobbiamo fermare, conquistare un piccolissimo traguardo alla volta, mentre tutto il resto va avanti come sempre, peggiora e quelle piccole oasi che noi mettiamo su fanno presto a prosciugarsi.QUARTO: Non se teniamo sempre ben a mente tutto quello che ci portiamo dietro, sappiamo dove andiamo solo perché sappiamo da dove veniamo.TERZO: Una frase piena di nulla...veniamo da una situazione di merda, che può essere cambiata solo se il sovvertimento è improvviso e continuo. Quello che io mi lascio dietro deve essere raggiunto e tenuto in disordine da un altro come noi, in un moto costante che coinvolga tutto e tutti. Non possiamo preparaci a prendere aria per poi spazzare tutto via con un solo soffio di rivolta, possiamo anche allenarci per mesi ma non avremo mai i polmoni abbastanza grandi, possiamo solo affannarci, deve essere una palpitazione continua, la nostra rabbia deve ansimare per le strade finché non perdiamo il fiato.QUARTO: Finendo stramazzati al suolo, sfiniti, tanto da non riuscire più nemmeno a far sentire lenostre voci.TERZO: Se tutti ci diamo forza gli uni con gli altri ognuno avrà tempo per riposare.QUARTO: Ma non puoi essere sicura che le cose andranno così, si possono correre solo dei rischi.TERZO: E' quello che dobbiamo fare: rischiare.QUARTO: Non possiamo rischiare perché qui non si parla solo di noi.

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TERZO: Intanto qui per ora io vedo solo noi, quando anche gli altri verranno a rischiare il culo mi preoccuperò anche di loro.QUARTO: Non è quello che pensiamo , lo sai.TERZO: Lo so e non mi trovi d'accordo. Se un giorno qualcuno usufruirà di benefici, per i quali noi abbiamo lottato, non lui, a questo qualcuno non negherò affatto la possibilità di goderne ma non esiterò un solo istante a dirgli quanto non se lo meriti e quanto disprezzi i codardi ipocriti.QUARTO: Non tutti sono portati per queste cose, alcuni hanno semplicemente paura.TERZO: Vivono nella paura piuttosto che lottare.QUARTO: Come puoi giudicarli?TERZO: Li giudico perché anche io vivo nella paura, come loro, potrebbero darmi la forza per sentirmi più forte e invece ci lasciano qui senza nemmeno rendersi conto della loro importanza.

Scena 2, centro sociale. Entra PRIMO più detti.

PRIMO: Ciao ragazzi.TERZO: Ciao Genio.QUARTO: Ehi, buongiorno!PRIMO: Come procede?QUARTO: Ne ho ancora per un'oretta poi ho finito.PRIMO: Senza ansia, vedi fin dove arrivi, poi puoi anche continuare in viaggio. Non dimenticare di riportare l'oggetto dell'ultima riunione che abbiamo fatto. A Stenopoli sarà uno degli argomenti principali del dibattito che si terrà prima della manifestazione. Dov'è la bestia innamorata?TERZO: Vorrei saperlo anche io, avevamo appuntamento qui, starà per arrivare credo.PRIMO: Tabella di marcia: ci vediamo con gli altri tra un'ora al motel prima dell'autostrada, dovremmo arrivare a

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Stenopoli in nottata, sarà un lungo cammino della speranza. Prevedo un grande esodo, per strada incontreremo parecchi dei nostri. Speriamo solo che nessuno inizi a surriscaldare gli animi con azioni improvvise e stupide.TERZO: Già speriamo di no.PRIMO: Allora siete eccitati o no? Dov'è l'entusiasmo?QUARTO: Caspita! Sarà un incontro storico.PRIMO: Puoi dirlo forte. Parleranno di questo raduno anche fra cent'anni.TERZO: Saranno sicuramente dei giorni indimenticabili.PRIMO: Ovvio! Indovinate chi hanno scelto per il discorso di apertura al forum?QUARTO: No! Non ci posso credere!TERZO: Chi?QUARTO: Come chi? Ma lui!TERZO: Tu?PRIMO: Già, sono emozionatissimo. Finalmente tutti sapranno il gran da fare che ci diamo quaggiù e come le nostre idee siano avanti rispetto alla retorica riformista che c'è in giro.TERZO: Beh, complimenti! Non credevo ti dessero questa grande opportunità.PRIMO: Non l'hanno data a me. La stanno dando a noi, al nostro gruppo. Bestia sarà su di giri appena lo saprà.TERZO: Si, certamente.QUARTO: Allora dobbiamo sbrigarci, per discutere sulle cose da dire.

Scena 3, centro sociale. Entra SECONDO con una borsa, nella borsa c'è una bomba, più detti.

SECONDO: Quali cose da dire?PRIMO: Eh eh, indovina?TERZO: Farà il discorso di apertura al forum!

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PRIMO: La domanda era per lui, ma fa niente...SECONDO: Ah finalmente! Lo dirai a quegli zombi che ora di svegliarsi e spaccare un po' di crani?PRIMO: Ma smettila!QUARTO: Fosse per te si finirebbe tutto con una scazzottata stile Far West.SECONDO: Perché qui non è un Saloon?PRIMO: Si, io sono lo sceriffo!SECONDO: Allora abbiamo un problema perché ho appena dato fuoco alla diligenza.QUARTO: Vi verso da bere prima che iniziate a spararvi?

Primo e Secondo si preparano per fare un gioco, che fanno spesso

SECONDO: Dagli qualcosa di forte che è il suo ultimo drink... (ne approfitta per sistemare il suozaino in una posto tranquillo)PRIMO: ah il mio ultimo drink? Tu inizia a pensare di che colore vuoi la bara se di ebano o di mogano?SECONDO: Mogano! Come la mia cameretta...PRIMO: che tristezza la tua camerettaSECONDO: Non ti piace più? Ho messo anche i cuoricini...PRIMO: Dieci passi o passamano?SECONDO: Passamano!PRIMO: Passamano...all'americana?

(Bestia vince il gioco)

SECONDO: Dai, vai sotto, tocca a tePRIMO: Va bene

(Giocano e Bestia bara)

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PRIMO: no, ma così non valeQUARTO: Così non vale!SECONDO: Ma chi ve lo ha detto che non vale?PRIMO: Arrenditi bestia (lo afferra)

Primo a Bestia giocano facendo a botte, Secondo vince facilmente.

PRIMO: Va bene, va bene, mi arrendo io!SECONDO: Se non fosse per me che vi salvo il culo negli scontri.QUARTO: Già!PRIMO: Soprattutto una certa persona, (riferendosi a Quarto) che per una sola volta che ha provato a stare in prima linea si è fatto circondare da 10 poliziotti e sarebbe rimasto lì per sempre se non lo avessi tirato fuori.SECONDO: Quello è stato un contrattacco storico, hanno dovuto ripiegare. Prima li abbiamo aggrediti con un muro di scudi spingendoli, poi il muro si apriva e con il piccone gli abbiamo fatto tanto male, da dietro volavano sampietrini come una grandinata estiva. E' stato molto romantico.QUARTO: Soprattutto quando un sampietrino mi ha colpito in testa.SECONDO: Ah ah! Ringrazia di essere amico mio e che corsi a prenderti, se no quel sampietrinolo rimpiangevi a botte di manganellate.PRIMO: Questa volta le cose andranno diversamente, lo sento.SECONDO: Sì, credo anche io.TERZO: Voi lusingatevi pure, tanto finisce sempre allo stesso modo.QUARTO: Questa è una manifestazione pacifica.TERZO: Non è quello che si sente dire in giro.SECONDO: Già è vero, anche io ho sentito strane voci.

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PRIMO: A noi non devono interessare, stiamone fuori.TERZO. Non ne possiamo stare fuori lo sai. Quando stai lì, siamo tutti dentro, chiusi.PRIMO: E' proprio quello che ho intenzione di dire a tutti al forum. Non creassero situazioni in cuia rimetterci sono i manifestanti pacifisti.TERZO: Non ti ascolteranno.PRIMO: Lo faranno.SECONDO: Perché dovrebbero?PRIMO: Perché gli parlerò diversamente.TERZO. Ma che cazzate!PRIMO: Non sono cazzate.TERZO: Ma chi ti credi di essere Martin Luther King, Che Guevara?PRIMO: Ma che cazzo centra questo?SECONDO: Dai, smettetela.PRIMO: Dovresti starci più attenta a quello che dici.QUARTO: Però tutto sommato potrebbe succedere che non ci ascoltano.PRIMO: Non succederà.QUARTO: Io lo spero, ma sai com'è.PRIMO: Perché non provate ad avere un po' di fiducia?QUARTO: Ci sto provando.TERZO: Non ne ho mai avuta.SECONDO: Lo sai come la penso.PRIMO: Va bene, se succederà qualcosa, allora, ci comporteremo di conseguenza.TERZO: Sicuramente ai gruppi estremisti verrà in mente di organizzare qualcosa di grosso e vedrai che la polizia si sfogherà contro di noi, che invece staremo lì come tanti coglioni a inneggiare alla non violenza mentre ci caricano.SECONDO: Se qualcuno fa qualche cazzata e io devo pagare per lui ho già il rimedio.PRIMO: E quale sarebbe?

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SECONDO: (tira fuori una pistola) Facciamo il morto!TERZO: Questo si che è parlare!PRIMO: Che cazzo è quella roba?QUARTO: Bestia stai perdendo la testa?SECONDO: Io non parto come uno sprovveduto...PRIMO: Allora ti conviene anche procurarti una macchina, perché con noi non vieni con quell'arnese dietro.SECONDO: Non fare il solito “cagasotto”.PRIMO: Cosa ti fa pensare che io abbia paura? Non è così che si risolvono i problemi, cazzo ma guardati, ma credi davvero che stiamo andando a nel Far West?SECONDO: Ehi, Genio svegliati! Stiamo andando al più grande raduno internazionale contro il sistema economico unificato. Ci sarà gente da tutto il mondo, le probabilità che scoppi l'apocalisse sono altissime e io non sarò certo uno dei tanti martiri.QUARTO: Bestia non solo stai esagerando ma , anche se fosse come dici tu, sei in completa opposizione sulla linea che abbiamo deciso di perseguire.SECONDO: Ridisegniamola allora questa linea! Non credete che le mie motivazioni possano valere quanto le vostre? E' questo? Io sono uno stupido, buono solo a far casino, e non capisco un cazzo di ideologia, politica e di ciò che è giusto o sbagliato?

Squilla il telefono, QUARTO va a rispondere.

PRIMO: Ma se abbiamo costruito insieme tutto questo, lo sai che non è così! Non mi sembra che qualche volta non abbiamo tenuto in considerazione le tue posizioni, o sbaglio?SECONDO: No, direi di no.QUARTO: Si un attimo...(al PRIMO) Ti vogliono al telefono.

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PRIMO: E quindi? Non mi fare la part...(ancora al SECONDO poi al QUARTO) Chi è?QUARTO: Quelli del raduno per il pernottamento.PRIMO: Va bene...aspetta un attimo, non continuate questa discussione senza di me.TUTTI: (annuiscono)QUARTO: A volte sei proprio una testa di cazzo!SECONDO: “Cagasotto”!PRIMO: (a QUARTO e SECONDO) Che cosa vi avevo chiesto? (al telefono) Pronto? (parla, ma non si capisce cosa dice)QUARTO: Fosse per me, per una cazzata del genere, ti lascerei qui.SECONDO: Peccato che tu non decidi un cazzo

SECONDO si allontana con TERZO.

TERZO: Sei andato?SECONDO: Si, è tutto apposto.TERZO: Non c'è stato nessun problema?SECONDO: Per ora no, ma è una strada tutta in salita.TERZO: Meno male che ci sei tu, questi sono solo dei vigliacchi.SECONDO: Non è così! E' solo che non hanno una visione di insieme.TERZO: Che accidenti gliel'hai fatta vedere a fare la pistola, lo sapevi che ti rompevano le palle.SECONDO: Sei proprio una piccola guerriera.PRIMO: Ehi buone notizie! ho un posto tranquillo dove possiamo pernottare durante il raduno.SECONDO: Bene!QUARTO: E dove sarebbe?PRIMO: In una scuola nel centro della città, saremo una cinquantina.

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SECONDO: Ah, in una scuola! Così potremmo trovarci anche un'aula appartata dove potresti farmi qualche lezione privata.TERZO: Ah ah!QUARTO: Non dimentichiamoci del ferro che hai in tasca.PRIMO: Nessuno se ne è dimenticato non ti preoccupare.SECONDO: Ragazzi sono adulto, so quello che faccio.PRIMO: No, non lo sai e ti dirò di più. Se questa gente che ci ospita scopre che tra di noi c'è qualcuno armato, non solo ci facciamo una figura di merda, io per primo, ma ci sbattono fuori, a dormire per strada, alla mercé delle ronde notturne e credo che se tu non voglia farti il problema perte, ti possa almeno preoccupare della tua signora...che dici?SECONDO: Ma se noi teniamo il becco chiuso...QUARTO: Becco chiuso un cazzo! Ma perché discuti con sto rimbecillito, lasciamolo qui.SECONDO: Rimbecillito a chi scribacchino?QUARTO: Guarda che non ho paura di te.SECONDO: E sbagli perché ti smonto (cerca di afferrarlo ma il PRIMO si frappone).PRIMO: Smettetela subito! Bestia ma che cazzo! (a QUARTO) Tu che cazzo offendi! Qui ladiscussione più importante sta nel fatto che questa azione non abbraccia per niente le nostre convinzioni, almeno per il momento, poi in futuro non lo so, e questo lo abbiamo deciso io e te insieme. Quindi non venirmi a dire adesso, ad un'ora dalla partenza, che hai cambiato idea, perché sarebbe una mancanza di rispetto nei miei confronti aver intrapreso una nuova strada senza neanche parlarne con me! Perciò ti scongiuro, ti prego, in nome della nostra amicizia, posa quell'arma.TERZO: Ma queste sono stronzate, ognuno decide da sé qual è la cosa giusta.

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QUARTO: Guarda che non funziona così e se non ti sta bene te ne puoi pure andare.TERZO: Infatti è quello che stavo giusto pensando.QUARTO: Allora avanti...TERZO: Stronzo (fa per andare).PRIMO: Tu non ti muovere! (a QUARTO) La smetti di dare ordini! Questa è una questione importante da risolvere con calma e rapidità e soprattutto questa è una faccenda tra me e Bestia e ce la sbrighiamo tra di noi, per favore non interferite.SECONDO: Genio ha ragione, ne avremmo dovuto discutere prima insieme, farò quello che vuoi.TERZO: Ma andate a fanculo!PRIMO: Dove vai?TERZO: Vado a pisciare posso? (esce)PRIMO: Certo ti sei scelto proprio un bel tipino.SECONDO: E' una guerriera!PRIMO: Dai Bestia posa quella pistola di merda.SECONDO: Va bene, la lascio a casa prima di partire.PRIMO: Bestia? Pensi che io sia scemo?SECONDO: Un poco!PRIMO: Partiamo subito, adesso, quindi lasciala qui, nel cassetto della scrivania.

Intanto TERZO si è messo in modo che può sentire quello che dicono, ma non la vedono

SECONDO: Come vuoi...capo! (mette la pistola nel cassetto)QUARTO: Ma poi dico io, ti metti a fare il pistolero e hai la responsabilità di una persona, una persona che ami.SECONDO: D'accordo ho sbagliato, possiamo non parlarne più?PRIMO: (a SECONDO) Metti in moto la macchina.

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SECONDO:Ok...ehi, hai fatto?TERZO: (da fuori scena) Un attimo!SECONDO: Noi iniziamo ad andare, fai presto!PRIMO: (a QUARTO) Fammi un favore, aspettala tu e poi chiudi tutto.QUARTO: va bene! (sistema qualcosa e poi li segue)SECONDO: Oh, devi aspettare qua, non lo hai capito?QUARTO: Si, l'ho capito, aspetto sulla porta, mi fumo una sigaretta.PRIMO: (a SECONDO) Dai muoviamoci!

PRIMO e SECONDO escono

QUARTO: Ehi io sono qua, sbrigati.TERZO: Ho fatto, ho fatto.

QUARTO è girato di spalle che fuma, TERZO entra nella stanza, rovista un po' in giro, prende la pistola, la infila nella borsetta

TERZO: Eccomi qua! Mi fai fare due tiri?QUARTO: Pure? Cammina va'!

Scena 4, al Palazzo di Stenopoli. Primo Ministro, Ministro della Difesa, Segretario della Difesa.

Primo Ministro: Salve ministro.

Ministro della Difesa: Primo ministro buonasera.Primo Ministro: Segretario...Segretario della Difesa: Buonasera Primo ministroPrimo Ministro: (lunga pausa) Volete accomodarvi?Ministro della Difesa: Si, magari, dove qui? (indica una delle due sedie)

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Primo Ministro: No, lì no.Ministro della Difesa: E dove?Primo Ministro: Ma dove vuole, non si preoccupi.Ministro della Difesa: Allora qui? (indica l'altra)Primo Ministro: No, lì proprio no. Si segga lì, c'è quella sedia, non le piace? (indicando la prima proposta del Ministro della Difesa)Ministro della Difesa: No, è che...Primo Ministro: Gliela faccio cambiare? Ne vuole una con l'imbottitura? Non si vergogni, sono problemi che abbiamo tutti.Ministro della Difesa: Ehm, no, va benissimo questa, grazie.Segretario della Difesa: Io rimango in piedi signore, grazie.Primo Ministro: Non l'avevo invitata a sedersi.Segretario della Difesa: Giusto signore, mi scusi.Primo Ministro: Vedremo...o forse no, chi lo sa! (si distrae)Ministro della Difesa: Signor primo ministro?Primo Ministro: Cosa c'è? Inizia a sentire fastidio?Ministro della Difesa: No, signor Primo Ministro, è che io sarei venuta per parlare.Primo Ministro: E adesso cosa crede che sta facendo?Ministro della Difesa: Le sto parlando...Primo Ministro: Lei, signor Ministro, esegue le sue mansioni in maniera impeccabile.Ministro della Difesa: La ringrazio ma... (fa un passo in avanti e supera una linea rossa che limita la zona per la privacy del Primo Ministro)Primo Ministro: Attenta alla linea! Non dovrebbe, ho appena fatto nominare il suo sostituto!Ministro della Difesa: Co...come?

Pausa.

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Primo Ministro: Ah ah, ci ha creduto! Stavo scherzando...o forse no...chi lo sa! (si distrae)Ministro della Difesa: Signor Primo Ministro, ecco, il punto è che...Primo Ministro: Già è arrivata al punto? Senza nemmeno un preambolo, una premessa, un'antifona, un caffè...Ministro della Difesa: No, cioè si, le promesse ci sono tutte.Primo Ministro: E chi le ha fatte? Io non ne voglio la responsabilità.Ministro della Difesa: No le promesse, le promoss... cioè le premesse.Primo Ministro: Di cosa?Ministro della Difesa: Del punto in questione.Primo Ministro: Che sarebbe?

Pausa.

Ministro della Difesa: Il piano di gestione urbanistico, e delle forze armate, durante il Congresso Economico Internazionale che si terrà nella città di Stenopoli a partire da domani. Si prevede intensa agitazione, tumulti e disordini, stato d'allerta portato a livello 4. Sono chiamate adintervenire tutte le forze dell'ordine, aeronautica e marina compresa. Serve la sua firma per l'approvazione del piano.

Scena 5, al Palazzo di Stenopoli. Entra Ministro dell'Economia, più detti

Primo Ministro: (Dopo aver riflettuto, perso nello sguardo del Ministro della Difesa, si accorge delMinistro della Economia) Carissimo Ministro dell'Economia! Prego, accomodati.

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Ministro dell'Economia: Grazie Signor Primo Ministro. Salve Ministro, buonasera Segretario.Ministro della Difesa: Buonasera Ministro.Segretario della Difesa: Salve Ministro.

Pausa.

Ministro Dell'Economia: Ho interrotto qualcosa?Primo Ministro: No! Mi dica, è tutto pronto per domani? Pronto a fare la sua relazione?Ministro Dell'Economia: Direi proprio di si.Primo Ministro: Bene, benissimo, ottimo.Ministro della Difesa: Signor Primo Ministro, io ho urgente bisogno... (supera di nuovo la linea)Ministro Dell'Economia: Attenta alla linea!Ministro della Difesa: Ho urgente bisogno che lei approvi quel piano...Primo Ministro: Mmm non lo so! (al Ministro dell'Economia) Lei che dice?Ministro Dell'Economia: (si avvicina lentamente, si ferma sulla linea, poi prende la sedia e supera lentamente la linea andando a sedersi alla destra del Primo Ministro) Dico che dovremmo fidarci del Ministro della Difesa, è una persona che conosce molto bene il suo lavoro.Ministro della Difesa: La cosa importante, Signor Primo Ministro, è gestire al meglio il flusso dei manifestanti, in modo da tenere separati i gruppi più violenti da quelli pacifisti. Per questo ci serve tutto l'aiuto disponibile da parte della prefettura e anche della protezione civile.Primo Ministro: Scusi, ha detto gruppi più violenti?Ministro della Difesa: Si.Primo Ministro: In che senso?Ministro della Difesa: Gruppi dissidenti estremisti.Primo Ministro: Estremisti... in che senso?

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Ministro della Difesa: Pronti a tutto Signor Primo Ministro.Primo Ministro: Sono pericolosi?Ministro della Difesa: Potenzialmente si.Primo Ministro: Io penso...Lei che ne pensa?Ministro dell'Economia: Forse dovremmo capire di più di che tipo di pericolo si parla.Primo Ministro: Già, di che tipo di pericolo parliamo? Ho detto bene?Ministro dell'Economia: Si, Signor Primo Ministro.Ministro della Difesa: Signor Segretario della Difesa...Segretario della Difesa: Eccomi!Ministro della Difesa: Esponga al Primo Ministro i pericoli di cui stiamo parlando.Primo Ministro: Si, esponga, esponga. Guardi però mi dispiace tantissimo che non la posso far accomodare.Segretario della Difesa: Sto benissimo qui Signore, grazie.Primo Ministro: Ma infatti lei non sta benissimo lì, si sposti un po' più in qua...Segretario della Difesa: Qui va bene?Primo Ministro: Assolutamente...no! Un po' più in là.Segretario della Difesa: Va bene qui? (si posizione in modo di stare dietro al Ministro della Difesa e quindi non viene visto dal Primo Ministro)Primo Ministro: Si, perfetto! (al Ministro della Economia) Almeno così non lo vedo.

Il Ministro della Difesa però si risiede e il Segretario è di nuovo visibile dal Primo Ministro

Segretario della Difesa: Signor Primo Ministro, alcuni gruppi hanno minacciato di voler creare una vera e propria guerriglia urbana, in strada, contro le forze dell'ordine, considerate la personificazione materiale delle istituzioni statali, e attraverso la lotta distruggere ideologicamente

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le sedi del potere corrotto, minando gli strati più superficiali del sistema, ritenuti quelli oggettivamente appartenenti alla realtà cittadina.Primo Ministro: Senta...Segretario della Difesa: Mi dica Signor Primo Ministro.Primo Ministro: Alcuni gruppi hanno minacciato?Segretario della Difesa: (lentamente) Di voler creare una vera e propria guerriglia urbana in strada contro le forze dell'ordine, considerate la personificazione materiale delle istituzioni statali, e attraverso la lotta distruggere ideologicamente le sedi del potere corrotto, minando gli strati più superficiali del sistema, ritenuti quelli oggettivamente appartenenti alla realtà cittadina.Primo Ministro: Bene ora ho capito tutto...siamo in pericolo?Ministro dell'Economia: Dovremmo capire di che mezzi dispongono questi gruppiPrimo Ministro: Di che mezzi dispongono questi gruppi? Ho detto bene?Ministro dell'Economia: Certo!Segretario della Difesa: Verranno armati di spranghe, caschi, oggetti taglienti, mazze, tubi idraulici, picconi artigianali, scudi, oggetti vari da lanciare contro i corpi antisommossa.Primo Ministro: Siamo tornati alle guerre Pudiche insomma!Ministro dell'Economia: Puniche!Primo Ministro: Pubiche?Ministro della Economia: Puniche!Primo Ministro: E che ho detto io? E noi, noi cosa abbiamo?Segretario della Difesa: I nostri reparti specializzati sono preparati al meglio per fronteggiare questi tipi di minacce.Primo Ministro: Bene, bene.

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Segretario della Difesa: Il fatto, Signor Primo Ministro, è che alcuni gruppi hanno minacciato di voler lanciare sugli agenti buste di sangue infetto.Primo Ministro: Buste? Che buste?Segretario della Difesa: Sacche di siero.Primo Ministro: Che siero? Il siero della verità?Segretario della Difesa: No Signor Primo Ministro, buste di sangue.Primo Ministro: E noi? Queste buste non le abbiamo?Segretario della Difesa: Signore, non possiamo avvalerci di questa possibilità.Primo Ministro: Ma per una questione economica, è un problema di soldi? No perché se no io...(fa il gesto di prendere dei soldi dalla tasca, il Ministro dell'Economia lo ferma)Segretario della Difesa: No Signore, non possiamo lanciare sacche di sangue infetto sui manifestanti. La loro è solo una provocazione per intimidire i soldati più giovani.Primo Ministro: Ah non possiamo?Ministro dell'Economia: Non credo sia il caso.Primo Ministro: Meno male, a me il sangue fa pure impressione. E' tutto qui?Segretario della Difesa: Per il momento si, Signor Primo Ministro.Primo Ministro: Grazie, ritorni anche al suo posto. (Segretario della Difesa ritorna al suo posto)Non lì, un po' più... ecco esatto!Ministro della Difesa: In verità Signor Primo Ministro ci sarebbe...Primo Ministro: Scusi un secondo Ministro! Segretario, chi le ha detto di stare lì? Qui finisce che litighiamo per un'inerzia.Ministro dell'Economia: Inezia!

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Primo Ministro: Appunto! Si sposti più in là...ecco! (al Ministro della Difesa) Diceva?Ministro della Difesa: Le dicevo che ci sarebbe giunta una soffiata sicura...Ministro dell'Economia: Ehm ehm (tossisce)Primo Ministro: Ministro, la soffiata le ha fatto venire la tosse? Ah ah, ho fatto una battuta (risata lunghissima, gli altri lo fissano, lui pian piano se ne accorge) ...che dice sta meglio adesso?Ministro dell'Economia: Si, grazie signor Primo Ministro.Primo Ministro: Benissimo...quindi diceva?Ministro della Difesa: No, scusi, credo di aver confuso i fascicoli, questa è una situazione riguardante un altro evento che sarà il mese prossimo.Primo Ministro: Allora ce ne occuperemo...quando?Ministro dell'Economia: A tempo debito.Primo Ministro: A tempo debito...ho detto bene?Ministro dell'Economia: Si, Signor Primo Ministro, però adesso le devo ricordare che è l'ora della conferenza stampa.Primo Ministro: Quale conferenza?Ministro dell'Economia: Quella con il Ministro degli Esteri?Primo Ministro: E' arrivato un Ministro dall'estero? Vuole parlare con me?Ministro dell'Economia: No, è il nostro Ministro che svolge attività diplomatiche con le istituzioni estere...suo nipote ricorda?Primo Ministro: Ah si, quel caro ragazzo! (al Ministro della Difesa) Voleva tanto viaggiare, sa? Era proprio una sua passione.Ministro della Difesa: Ah si? Eh, è bello viaggiare, fa bene.Primo Ministro: Già quello che dico anche io, chissà adesso che fine ha fatto?

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Ministro Dell'Economia: L'aspetta all'auditorium, Signor Primo Ministro.Primo Ministro: Davvero? Bene, benissimo, ottimo! E' da tempo che non lo vedo, sarà tornato a ritrovare i suoi parenti, sa non è facile stare troppo lontano da casa.Ministro della Difesa: Già, immagino.Primo Ministro: Allora vado a prepararmi, dove debbo firmare?Ministro della Difesa: (fa un passo in avanti) Dunque...Ministro dell'Economia: Attenta alla linea.Ministro della Difesa: (in una posizione scomodissima per raggiungere il tavolo) Una firma qui, un'altra qui e un'altra qui!Primo Ministro: Ma quante firme...Ministro della Difesa: Dopo il decreto legge 727 è obbligatorio firmare tutte le pagine del documento, per avvenuta visione.Primo Ministro: Che legge stupida, chi l'ha proposta?Ministro della Difesa: Lei Signor Primo Ministro. Ma non è stupida affatto, anzi.Primo Ministro: No guardi, non mi giustifichi, è una legge stupida! E' stupida?Ministro Dell'Economia: Seccante, ma sicuramente necessaria, Signor Primo Ministro.Primo Ministro: Stupida, seccante, ma sicuramente necessaria signor Primo Ministro. Perfetto, adesso vado.

Il Primo Ministro esce. Rientra subito. I presenti sobbalzano.

Primo Ministro: Mi raccomando gestite la cosa con cura e tranquillità. Meno disordini ci saranno più faremo una bella figura con gli altri paesi. Cercate di non dare spettacolo con inutili arresti e rappresaglie violente gratuite. Diamo vita ad

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un grande evento che verrà ricordato con gioia per gli anni a venire. Ma ho detto tutto io?Ministro dell'Economia: Si, Signor Primo Ministro.Primo Ministro: Discreto! Arrivederci signori.

Primo Ministro esce.

Scena 6,al Palazzo di Stenopoli. Ministro dell'Economia, Ministro della Difesa, Segretario della Difesa.

Ministro della Difesa: Quindi lei è a conoscenza...Ministro dell'Economia: Lei ha il dovere morale di risolvere questo problema il più velocemente possibile.Ministro della Difesa: Signor Ministro, ho bisogno di tutte le risorse disponibili.Ministro dell'Economia: L'Intelligence è a sua completa disposizione. Le invierò personalmente una squadra di agenti che sarà al suo servizio. Metta sotto sopra questa città e trovi il pazzo che si nasconde dietro questa follia.Ministro della Difesa: Dovremmo interrogare delle persone.Ministro dell'Economia: Allestiamo un centro operativo a pochi chilometri dal calderone centrale, credo che il Segretario della Difesa abbia tutte le abilità per mettere su la cosa velocemente.Segretario della Difesa: Lo consideri come già fatto Ministro.Ministro dell'Economia: Spero non ci deluderà Ministro.Ministro della Difesa: Farò tutto il necessario e anche di più. Dovessi io personalmente andare ad arrestare uno ad uno ogni tipo sospetto in città.Ministro dell'Economia: Ci terremo aggiornati.Ministro della Difesa: Grazie Signor Ministro. Quindi ci aggiorniamo?

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Ministro dell'Economia: Si, aggiorniamoci.Ministro della Difesa: Va bene, aggiorniamoci...ho detto bene?Ministro dell'Economia: Ah ah, lei farà strada.

Ministro dell'Economia esce.

Ministro della Difesa: Grazie, lo so.

Escono Ministro della Difesa e Segretario della Difesa.

Scena 7, Piazza di Stenopoli. PRIMO, SECONDO, TERZO E QUARTO sono in appena giunti.

SECONDO: Ehi, io vado a prendere delle birre.PRIMO: Sbrigati che dopo tocca a me.SECONDO: Stai tranquillo, non me lo perderei per nulla al mondo.

SECONDO esce.

Scena 8, Piazza di Stenopoli. PRIMO sale sul palco, TERZO E QUARTO tra la folla.

PRIMO: Orde di guerrieri che impavidi marciano contro il potere, chi sono? Ragazzi, studenti come me, che si battono per qualcosa che non sappiamo nemmeno se esiste davvero. Cos'è il potere in realtà, dove ha sede? Chi lo impersona? E' un uomo solo o sono tanti uomini? Soprattutto questi uomini che fanno?

SECONDO rientra e si unisce a TERZO e QUARTO.

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Io sento parlare ogni giorno di governi, leggi, finanziare, milioni di miliardi di euro spesi per questo o quella cosa. Tutto il mondo è corrotto, dicono, e poi ci sono i criminali, la camorra, la mafia e tutti quelli che hanno un potere che è diverso da quello politico ma complementare, come se fossero due parti di un solo pensiero. Io non lo so. Ed è terribile questa guardare nel pozzo e non sapere quantoè profondo. Quindi continuo a guardarmi intorno, ma continuo a non capire, nemmeno in quello che mi è vicino, familiare. Mio padre ogni mese riceve sul conto 2000 euro di stipendio. Non sono pochi! “Beato lui” pensano alcuni di voi. Giustissimo! Io però mi chiedo: da dove vengono queisoldi? Come gira questa economia? Ci sono professori occhialuti che possono spiegarti come funziona un mercato, la macroeconomia di tutto questo mondo, ma questi soldi “virtuali” come diventano carta? Io questo non riesco a spiegarmi. Il sindaco del mio paese viene votato e dopogestisce e amministra dei soldi “pubblici”, ma da dove vengono questi soldi? Dalle tasse! Ma come vengono gestite queste “risorse”? La verità, per me, è che pensare di riuscire a concepire materialmente tutto questo diviene un po' come cercare di razionalizzare la fede. Lo stato è come Dio. Sai che c'è, sai quello che può fare, intravedi addirittura quello che riesce a fare, ma non sai come. E' un oscurità, in cui si avvolge chi ha la possibilità, lasciando te alla luce. La luce ti riscalda, tu continui a vivere, ma non scoprirai mai nulla di quello che è nascosto nell'ombra. Allora lottiamo! Io voglio lottare per il diritto di sapere come funziona tutto questo sistema, e voglio lottare perché non ci posso credere che tutto è marcio. Ribelliamoci a questo. Vomitiamo il nostrodisprezzo ora, domani e per sempre.

Escono tutti.

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Scena 9, Scuola di Stenopoli. QUARTO sta scrivendo sul registro, entra TERZO

TERZO: Sempre a scarabocchiare su quel coso tu?QUARTO: Già!TERZO: Oggi è stato fantastico, sono distrutta.QUARTO: Bestia dov'è?TERZO: E' andato a procurarsi qualcosa da bere, stasera ci rilassiamo un po', che ne dici?QUARTO: Domani dobbiamo alzarci presto per l'incontro con...TERZO: Ma dai, smettila di essere così serio per un po'. Siamo qui , abbiamo percorso 800 km, non sta scritto da nessuno parte che non possiamo divertirci anche un pochino. O forse c'è scritto su quel registro? Fammi vedere... (gli sottrae il registro)QUARTO: No, lascialo stavo scrivendo.TERZO: Prendilo su?QUARTO: Per favore smettila!TERZO: Non è che ci scrivi anche delle annotazioni personali che non vuoi che legga?QUARTO: Macché! Solo noiosissime ma importanti annotazioni sulle attività del gruppo.TERZO: Bla, bla, bla! Forza, fammi vedere se sai combattere o sei una mammoletta.QUARTO: Tu sei una mammoletta! Ma che termini usi?TERZO: Perché tu non lo dici?QUARTO: No, se non voglio sembrare un bambino delle elementari.TERZO: Ma che dici? Davvero non lo usi?QUARTO: Proprio no, ti assicuro. Adesso dammi quel registro.TERZO: Vediamo se hai il fegato di venirtelo a prendere, mammoletta...

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QUARTO: Ah ah, senti non vorrei farti del male. (cerca di afferrarla ma lei lo scansa)TERZO: Dicevi?QUARTO: (le si avvicina piano piano) Non costringermi a dover scegliere tra l'integrità fisica del registro e la tua.TERZO: Rendiamole inscindibili allora (si infila il registro nella camicia)QUARTO: Sai che c'è? Se proprio ti interessa tanto...tienilo pure. (torna a sedersi)

Scena 10, Scuola di Stenopoli. Entra SECONDO, più detti

TERZO: (si toglie il registro dalla camicia) Cosa hai trovato?SECONDO: Dell'ottimo vino del sud e anche un po' di “Simpatia” da fumare.TERZO: Io, invece, ho estorto il suo personalissimo registro a quella mammoletta che non è riuscito a riprenderselo.SECONDO: A chi?TERZO: Allo scribacchino.SECONDO: Come lo hai chiamato?TERZO: Mammoletta! Perché neanche tu usi questo termine?SECONDO: Ah si, certo. Forse una volta...all'asilo.QUARTO: Eh eh (ride del TERZO sogghignando)TERZO: Vabbé, comunque non è riuscito a riprenderselo, perché non sa lottare, vive di luce riflessa. (sbatte il registro sul tavolo)SECONDO: Avete cartine voi?QUARTO: Io, giusto un paio.SECONDO: Giusto quelle che ci servono. Genio dov'è?QUARTO: Credevo fosse con te.

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Pausa

SECONDO: Non la smette mai di parlare con la gente, è una cosa incredibile.QUARTO: È la sua missione.SECONDO: Non so come faccia. C'è certa gente lì fuori che è proprio stupida e stargli a parlare è proprio inutile.TERZO: Non solo lì fuori! (si allontana)SECONDO: L'hai fatta proprio arrabbiare...QUARTO: E non ho fatto niente, giuro!SECONDO: Credimi è proprio quello che non sopporta. Non farle niente è come non considerarla. Quindi sei proprio sicuro di non non aver fatto niente nel tuo fare niente?QUARTO: No, non ne sono sicuro.SECONDO: Ah ah, ci avrei scommesso.

Scena 11, Scuola di Stenopoli. Entra il PRIMO, più detti.

PRIMO: Ragazzi, avete sentito quello che è successo?QUARTO. No, cosa?PRIMO: Una cosa incredibile, cazzoSECONDO: E parla, avanti.

Pausa

PRIMO: Oggi, durante gli scontri, un ragazzo è stato ucciso.SECONDO: Oggi quando?PRIMO: Quasi in chiusura, un paio di ore fa, forse tre, non lo so.TERZO: Ma chi lo ha ucciso?QUARTO: È stato un incidente?PRIMO: Non lo so. Non lo so.

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SECONDO: Come non lo sai? Qualcosa avrai sentito dire.

Pausa

PRIMO: Credo gli abbiano sparato.SECONDO: Cristo santo!Non è possibile. Ma chi? Chi?PRIMO: Una pattuglia isolata. Ma non si capisce bene, erano circondati e forse per difendersi...SECONDO: Difendersi un cazzo! Te lo avevo detto cazzo che qui non scherzavano, questi ci ammazzano, serviremo da esempio.PRIMO: Non è così, ci sarà una spiegazione valida.TERZO: Può mai esserci una spiegazione valida per un gesto del genere?PRIMO: Ragazzi c'è uno stress e una tensione in giro che la minima scintilla può scatenare un'esplosione a catena.QUARTO: Beh questa non è una scintilla Genio, qui la bomba già è esplosa.PRIMO: Lo so, per questo dobbiamo mantenere la calma e non fare azioni avventate.SECONDO: Ma che cazzo stai dicendo? I ragazzi vengono uccisi in strada e tu continui con questo atteggiamento pacifista da perdente? Dobbiamo reagire, subito, dobbiamo fargli male, altrimenti penseranno che siamo noi i deboli e dopo sarà davvero la fine per noi.PRIMO: Non dobbiamo reagire con la violenza, è quello che si aspettano.SECONDO: E fanno bene, perché sarà una reazione veloce e dolorosa.PRIMO: No, non è quello che si è deciso!SECONDO: Chi ha deciso?PRIMO: Quasi tutti i gruppi. Alcuni si sono astenuti, altri erano contrari, ma alla fine tutti erano d'accordo che domani

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per onorare la memoria di questo amico non ci sarebbero stati scontri.SECONDO: Tu hai parlato e deciso per il nostro gruppo senza nemmeno chiedermi un cazzo.PRIMO: Bestia ti ho cercato, ma non sapevo dove eri finito. E' successo tutto velocissimamente, ci siamo incontrati con gli altri, abbiamo votato e deciso sul da farsi...su mia proposta.SECONDO: Bene, bravo, vedo che stai facendo strada.PRIMO: Guarda che ho parlato al nome del gruppo, non mio personale, come sempre.SECONDO: Come credi!QUARTO: Quindi domani che si fa?PRIMO: Domani ci sarà un corteo lungo tutto il Corso della Liberazione sino al porto. Sarà un corteo ed una marcia funebre contemporaneamente. Abbiamo deciso che marceremo in assoluto silenzio e verranno anche distribuite delle candele che accenderemo lungo la strada come segno del nostro passaggio, almeno chi non vuole partecipare potrà rispettare il nostro percorso.QUARTO: Mi sembra un'ottima idea.PRIMO: Lo penso anch'io, e tu che ne pensi?TERZO: Si, forse mi sembra giusto, in onore di quel ragazzo.PRIMO: Tu bestia?SECONDO: Non mi interessa, facciamo quello che volete!PRIMO: Bene, a suo modo è pur sempre un assenso (QUARTO e TERZO ridono) Qualcuno ha portato del vino!TERZO: Ho proprio bisogno di bere qualcosa.QUARTO: Già, anche io.PRIMO: Abbiamo bisogno di bicchieri.TERZO: Vabbè ma anche senza, ci attacchiamo alla bottiglia, chi si ne frega.QUARTO: Ce l'hai l'apribottiglie?

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PRIMO: Questo potrebbe essere un problema, vedi se riesci a trovare qualcosa.QUARTO: Mica è facile.PRIMO: Chiedi a Bestia.QUARTO: Bestia ma non hai pensato ad un apri bottiglie?SECONDO: Non sono del catering io! Piuttosto dammi una cartina.QUARTO: Eccoti servito! (cerca in giro qualcosa)PRIMO: Qui la faccenda è complicata ragazzi, senza l'apri bottiglie la vedo dura..QUARTO: L'unica soluzione è spaccare il collo della bottiglia. A meno che tu non abbia qualcosa di utile in questa borsa. (fruga nella borsa di TERZO)TERZO: (correndo verso QUARTO) Ma che cazzo fai? Lascia stare la mia borsa.QUARTO: Ma che cazzo...TERZO: Lascia la borsa!QUARTO: Aspetta un attimo...PRIMO: Ehi, ma che problema c'è?QUARTO. Non dirmi che ho visto quello che ho visto?TERZO: Infatti, non lo hai visto.SECONDO: Che cosa ha visto?QUARTO: Sei stato tu a dirle di farlo?SECONDO: Ma cosa?QUARTO: Sei un pezzo di merda.SECONDO: Oh ma che cazzo vuoi? (va incontro a QUARTO, PRIMO si frappone)PRIMO: Mi volete dire che cosa succede?SECONDO: E che ne so, domandalo a sto coglione.PRIMO: (a QUARTO) Che c'è adesso?

Rumore dell'irruzione della polizia nella scuola.

PRIMO: Che cazzo sono questi rumori?

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SECONDO: Non lo so, vado a vedere.SECONDO esce.QUARTO: Ha una pistola nella borsa, la pistola di Bestia.PRIMO: Ma se l'abbiamo lasciata nel cassetto...QUARTO: Lo so, ma ce l'ha lei adesso.

Scena 12, Scuola di Stenopoli, rientra il SECONDO correndo dalla sala, più detti, poi Celerini.

SECONDO: Cazzo è una carica, scappate, barricatevi! (Affronta dei celerini, sembra avere la meglio ma poi viene sopraffatto)PRIMO: Prendi quel tavolo, mettiamolo lì. State calmi. Inginocchiatevi e mani sulla testa, non ci faranno niente.

Entrano dei celerini, con i passamontagna, pestano il QUARTO, fregandosene della posizione di resa. Strattonano anche il PRIMO. Il TERZO si allontana, estrae dalla borsa la pistola ed esplode un colpo che colpisce un celerino alla spalla, PRIMO si libera e raggiunge TERZO.

PRIMO: Ma che cazzo fai? Sei impazzita? Lascia quest'arma.

L'arma cade, i due vengono travolti dai celerini che li stendono bloccano a terra. Voce radio fuori campo del Segretario della Difesa con Primo Celerino.

Segretario della Difesa : (Voce fuori campo tipo comunicazione radio) Cosa succede lì dentro? Abbiamo sentito uno sparo.Voce Primo Celerino: Una donna ha sparato ad un agente, è ferito, ad una spalla.Segretario Delle Difesa: Quali sono le sue condizioni?

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Voce Primo Celerino: Si regge in piedi da solo, procediamo con l'operazione?Segretario della Difesa: Portatemi fuori quei figli di puttana, chiudo.Voce Primo Celerino: Ricevuto. Chiudo.

Escono tutti.

Scena 13, nei Container. PRIMO , SECONDO, QUARTO, inginocchiati con le mani sulla testa, poi 3 Celerini e Segretario della Difesa.

Segretario della Difesa: Luce. Li avete perquisiti per bene?Primo Celerino: Certo signore.Segretario della Difesa: Non gli avete trovato nulla addosso?Primo Celerino: Niente di compromettente signore.Segretario della Difesa: Avete controllato gli zaini, le borse?Primo Celerino: Niente, nemmeno lì Signore.Segretario della Difesa: Ricontrollate tutto.Primo Celerino: Subito Signore. (da ordine agli altri due celerini di ricontrollare)

I Due Celerini escono.

PRIMO: Possiamo sapere di cosa siamo accusati?Segretario della Difesa: Soldato, vedo che non riesce a mantenere un po' d'ordine qui dentro?Primo Celerino: (si dirige dal PRIMO e lo percuote) Signore lei è in stato di fermo, vuole dire qualcosa?PRIMO: Si, mi sta facendo male...Primo Celerino: Non riesco a sentirla bene signore, parli più forte.

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PRIMO: La prego, mi sta facendo male al collo.Primo Celerino: Signore, vuole dire qualcosa?PRIMO: No, no, niente.Primo Celerino: Bene! (torna dal Segretario della Difesa) Signore, era solo un colpo di tosse!SECONDO: Pezzi di merda, bastardi.Segretario della Difesa: Forse la luce li infastidisce, mettiamoli a loro agio. Buio.

Scena 14, Stanza dell'interrogatorio. TERZO, Segretario della Difesa , Terzo Celerino.

Segretario della Difesa: Credo che qualcuno ti abbia già spiegato la tua triste situazione. La cosa si fa alquanto facile con te, non devo far leva con nessun giochetto sadico, ne sottoporti a un reiteratostress psicologico.TERZO: Non potete farmi un cazzo, io ho i miei diritti.Segretario della Difesa: E' proprio questo il tuo problema adesso mia cara, diritti e doveri. Non avevi nessun diritto di sparare a quell'agente e ora hai il dovere di pagarne le conseguenze. Sarò franco con te, farò tutto ciò che è possibile per farti avere il massimo della pena, chissà forse anche 15 anni. Tu sei così giovane, tutto sommato usciresti di prigione ancora scopabile, per qualche tossico da stazione, sempre che in carcere non cambi il tuo orientamento sessuale.TERZO: Che volete da me? Che vuoi da me?Segretario della Difesa: Tu cosa vuoi mia cara?TERZO: Voglio andare a casa mia, solo andare a casa mia.

Scena 15, nei Container. PRIMO, QUARTO, SECONDO. Primo Celerino, poi 2 Celerini, infine Secondo Celerino.

Primo Celerino: Luce! Qualcuno ha bisogno di acqua?

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PRIMO: Io! Per favore agente, io, grazie, grazie.Primo Celerino: Eccotela! (gliela versa a terra, davanti a PRIMO) Dovevi dissetarti prima di venire a fare la rivoluzione.QUARTO: Agente, io devo andare al bagno, non ce la faccio più.Primo Celerino: Adesso non si può, sono tutti occupati.QUARTO: La prego non ce la faccio, sto malissimo.Primo Celerino: Non ti alzare, mani in testa!QUARTO: Va bene, va bene, non urli. Io però devo andare al bagno.SECONDO: Lasciatelo andare, sta male non vede?Primo Celerino: Tu stai zitto! Nessuno ti ha chiesto un cazzo. Ecco, mi ero deciso a lasciarti andare, ma, grazie al tuo amico, ora ci ho ripensato.QUARTO: No, aspetti, per favore (si alza e lo tocca)Primo Celerino: Stai giù, non toccarmi, mani sulla testa (lo manganella).SECONDO: Pezzo di merda lascialo stare (gli salta addosso).PRIMO: Bestia lascialo, aspettate c'è un equivoco...

Primo Celerino fischia ed entrano altri due Celerini. Insultano e picchiano il SECONDO, il QUARTO rimane a terra semi svenuto, entra Secondo Celerino.

Secondo Celerino: Basta, basta così! Tutti fuori di qui, datemi dell'acqua!

I Celerini escono.

Secondo Celerino: Ehi, ragazzo, stai bene?SECONDO: Direi proprio di no.

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Secondo Celerino: Ci credo. Prendete l'acqua. Tu ti puoi anche sdraiare adesso, e cercate di non fare casino, non fatemi tornare qui dentro.QUARTO: Io devo...Secondo Celerino: Adesso silenzio. Buio.

Scena 16, Stanza dell'interrogatorio. TERZO , Segretario della Difesa, Terzo Celerino

Segretario della Difesa: Noi possiamo fare molto per te, io posso fare molto. Posso espormi in prima persona, posso parlare direttamente al Ministro della Difesa della tua situazione, ma devi dirmi davvero qualcosa che possa interessarmi. La tua casa è lontana, prova ad immaginare quanto ci costa rimandarti lì.TERZO: Lei dice che potrei tornare direttamente a casa, senza essere accusata di nulla?Segretario della Difesa: Noi siamo un corpo specializzato. Nessuno sa di quello che è successo. Se vogliamo, se io voglio, la cosa potrebbe rimanere tra di noi, sempre che tu abbia qualcosa da dirci in cambio. Nomi grossi, strutture organizzative, sono informazioni che potrebbero farti avere al massimo uno sconto di un paio di anni. Quindi, piccola guerriera, stupiscimi!

Pausa

TERZO: Io so che c'è una bomba.

Scena 17, nei Container . PRIMO, SECONDO, QUARTO

Buio

PRIMO: Bestia come stai?

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SECONDO: Ho dolori ovunque. Ma il fianco sinistro è quello che mi fa più male, credo di avere delle costole spezzate.PRIMO: Io ho il collo che mi fa malissimo, quello stronzo per poco non me lo sbriciolava.QUARTO: Ragazzi...PRIMO: Ehi, come stai?QUARTO: (piange) Ragazzi, mi sono cagato addosso.SECONDO: Cazzo...QUARTO: Scusatemi, scusatemi, mi vergogno così tanto.PRIMO: Ehi, ehi, non ti preoccupare. Può succedere. Tra un po' vedrai che ci lasceranno andare.QUARTO: Io voglio andare a casa.SECONDO: Tieni duro, non dargliela vinta a quei figli di troia, noi siamo guerrieri.PRIMO: Vedrai che ci lasceranno andare.QUARTO: Ma quando? Io voglio andare a casa.PRIMO: Presto! Vedrai che ci lasceranno andare.SECONDO: E poi ci vendicheremo di 'sti stronzi.QUARTO: Io mi sento di morire. Voglio morire. Ma non qua, a casa, a casa mia.

Scena 18, Stanza dell'interrogatorio, TERZO, Segretario della Difesa, Terzo Celerino.

Segretario della Difesa: Quindi dovresti di nuovo ripetermi tutta la storia.TERZO: E' la settima volta che le ripeto le stesse cose, per favore basta, è tutto quello che so.Segretario della Difesa: Basta lo decido io. Se quello che sai è tutto lo stabilisco io. Probabilmente ripeterai altre dieci volte, se voglio io. Si evince da questa mia breve delucidazione che sono proprio io a comandare. Quindi ripeti daccapo.

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TERZO: Il mio ragazzo, prima di partire, aveva un appuntamento con un uomo per ritirare un ordigno esplosivo artigianale.

SCENA 19, in un Sottoscala. Anarchico e SECONDO (flashback)

Anarchico: Eccoti!SECONDO: Ciao, come va?Anarchico: Speriamo che vada bene.SECONDO: Non preoccuparti. So bene del tuo talento.

Pausa

SECONDO: Quindi è tutto qui?Anarchico: Perché la cosa sembra sorprenderti?SECONDO: No, non mi sorprende...mi aspettavo, magari, che avessi bisogno di fondi per sovvenzionare le tue creazioni.Anarchico: Guadagno abbastanza bene con il mio lavoro. Questa è un'altra storia.SECONDO: Questa è storia. Tu verrai al raduno?Anarchico: Non credo che condivideremo questa informazione. Ehi! Non andartene in giro a raccontare di questa roba.SECONDO: Fossi in te non ne dubiterei nemmeno un secondo.Anarchico: Buon lavoro.SECONDO: Anche a te.

Escono

Scena 19/2 , Stanza dell'interrogatorio, TERZO, Segretario della Difesa, Terzo Celerino.

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TERZO: Questo è quanto mi ha raccontato.Segretario della Difesa: Lui sarebbe uno dei ragazzi in stato di fermo...TERZO: Si, è quello che chiamano “Bestia”.Segretario della Difesa: La tua è un'accusa grave, lo stai cacciando in un mare di merda, lo sai vero?TERZO: Io le sto dicendo solo la verità.Segretario della Difesa: Quale verità? Quella in cui il suo compagno non ha mai portato l'ordigno a Stenopoli? Per quale motivo? Crisi di coscienza?TERZO: Non so perché. Forse è un bluff. Io ho viaggiato con lui e non aveva niente con sé.Segretario della Difesa: Potrebbe averla spedita prima in città o fatta portare da qualcun altro.TERZO: No, lui se ne è tirato fuori, forse sa qualcosa, ma lui non c'entra.Segretario della Difesa: Sta ritrattando quello che ha detto?TERZO: Io...Segretario della Difesa: Deve esserne sicura, altrimenti mi vedo costretta ad aiutarla. Posso farla sbattere in isolamento per schiarirsi le idee. Quanto le ci vorrà, una settimana in un buco al buio le basta?TERZO: No, no, vi prego.Segretario della Difesa: Allora decida velocemente.TERZO: Il costruttore della bomba... so dove abita.Segretario della Difesa: Mi scriva l'indirizzo qui (le passa un foglio) Conferma allora le sue ultime dichiarazioni riguardo il suo compagno, detto “Bestia”.TERZO: Si.Segretario della Difesa: Bene.

Pausa

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Segretario della Difesa: agente la porti via, spogliatela e mettetela in isolamento.TERZO: No, no! Lei aveva detto che se io...Segretario della Difesa: Lei ha sparato ad un'agente statale. Lei è in possesso di informazioni su attività criminali contro lo stato. Lei deve rimanere in nostra custodia finché non verranno effettuati chiarimenti sui fatti.TERZO: No, la prego no, lasciatemi chiamare a casa, vi prego.

TERZO viene portato fuori dal Terzo Celerino. Poi Segretario della Difesa esce.

Scena 20, al Palazzo di Stenopoli. Primo Ministro, Ministro della Difesa, Ministro della Economia

Primo Ministro: Ministro, devo farle i miei complimenti per come sta gestendo la situazione, in maniera esemplare.Ministro della Difesa: Grazie, Signor Primo Ministro.Primo Ministro: Ho sentito dire che ci sono stati dei disordini nei primi giorni. Cioè così mi è stato detto o meglio ho capito, ho intuito, ho cercato di farmi un'idea...Vabbè, insomma, cosa è successo?Ministro della Difesa: La solita routine signore.Primo Ministro: Ma sa, io questi giovani proprio non li capisco. Vengono a protestare qui, contro tutti i capi di governo delle nazioni più importanti, si radunano, fanno delle loro proteste una sola voce e queste voce parla in italiano.Ministro della Difesa: Scusi non ho afferrato.Primo Ministro: Ma perlomeno dovrebbero preoccuparsi di protestare in inglese, per essere capiti da tutti. Io dico: “Siamo, o no, nel nuovo millennio e ancora non ci sappiamo aggiornare?”.

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Ministro della Economia: Ha ragione Signor Primo Ministro, infatti la problematica della scelta di una lingua comune per i mercati è uno dei punti salienti del programma.Primo Ministro: Vede Ministro, oggi la lingua “It's importante”.Ministro della Difesa: Sicuramente.Primo Ministro: “Poi, abbiamo a disposizione tutta questa tecnologia, milioni spesi nella ricerca e sviluppo e questi giovani vengono a Stenopoli con auto, treni, qualcuno addirittura in aereo. Non potevano venire tramite internet?”. Abbiamo una rete che ci unisce in un lampo, oltre a far fallire le poste servirà a qualcosa? Perché sono fallite giusto? Non sono fallite? Vabbè non mi giudicate.Ministro della Economia: Lo sviluppo delle reti e dei sistemi di rete è un altro punto caldo. Benissimo Signor Primo Ministro.Primo Ministro: Sto andando bene?Ministro della Difesa: Meravigliosamente Signor Primo Ministro.Primo Ministro: Questo è parte del mio discorso di chiusura del convegno.Ministro della Difesa: Mi complimento per l'accuratezza.Ministro della Economia: Gli daremo giusto qualche ritocco.Primo Ministro: Si, si. Lei scriva tutto, tanto lo leggerò di filato. Parlerò di quanto sia velleitario...le piace il termine?Ministro della Economia: Palesa una certa erudizione.Primo Ministro: Già...è una cosa positiva?Ministro della Economia: Direi proprio di si.Primo Ministro: Bene. Dicevo, queste velleitarie pretese, cioè ambiziose, per non dire irrealizzabili, utopiche, vanagloriose, pretese di questi gruppi. Ma ha capito il significato del termine?Ministro della Difesa: Beh, credo di si.

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Primo Ministro: Perché io ho avuto un po' di problemi con i significati e quindi ho imparato tutti i sinonimi.Ministro della Difesa: Ha fatto bene signor Primo Ministro.Primo Ministro: Me l'ha consigliato il Ministro.Ministro della Economia: Se la sta cavando benissimo infatti. Il Signor Primo Ministro sta affinando le sue capacità di oratoria e demagogia.Primo Ministro: Esatto!...ma è sempre una cosa positiva?Ministro della Economia: Certo...sta seguendo la strada giusta.Primo Ministro: Sante parole. La strada giusta da seguire ce l'ho io, cioè noi, o meglio loro, vabbè non lo so chi...la soluzione a tutti i mali.

Pausa

Primo Ministro: La vuole sentire?Ministro della Difesa: Ovvio, stavo giusto per chiederglielo io.Primo Ministro: Risolveremo queste treppiedazioni.Ministro della Economia: Trepidazioni! Primo Ministro: Come stavo dicendo...trepidazioni giovanili, ma anche preoccupazioni, o meglio ansietà, inquietudini, turbamenti, con una nuova proposta lavorativa per questi ragazzi: il lavoro precario!Ministro della Economia: Delle quali potenzialità parleremo nella seconda metà del discorso.Ministro della Difesa: Questa, quindi, è una sorta di prova generale alla quale sto assistendo.Primo Ministro: Eh, diciamo di si...diciamo di si?Ministro della Economia: Possiamo dirlo.Primo Ministro: E diciamolo allora...

Pausa

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Primo Ministro: ...Si!Ministro della Difesa: La ringrazio per l'opportunità Signor Primo Ministro.Primo Ministro: Ma si figuri. Dopo di tutto lei è sempre il Ministro della...della...di cosa è Ministro la signorina?Ministro della Economia: Della Difesa.Primo Ministro: Della Difesa, già

Pausa

Primo Ministro: Difesa di cosa?Ministro della Economia: Dobbiamo andare Signor Primo Ministro, non possiamo assolutamente tardare.Primo Ministro: Va bene andiamo. Signor... “Ministro della Difesa”, viene con noi?Ministro della Difesa: No, rimango qui, devo sbrigare delle questioni amministrative. Ehm, ehm...

(tossisce)

Primo Ministro: Devo chiamare un tecnico per il clima qui. Siete sempre raffreddati, non vorrei prendermi un malanno anche io. Che ho una certa visibilità. Perché ce l'ho? Non ce l'ho? Vabbè non mi giudicate.Ministro della Economia: Lo faremo presente, si avvii anche Signor Primo Ministro, la raggiungo subito.Primo Ministro: Va bene, ma si sbrighi dobbiamo ripetere il discorso.

Primo Ministro esce.

Scena 21, al Palazzo di Stenopoli. Ministro dell''Economia, Ministro della Difesa.

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Ministro della Economia: Più che ripetere dovrò convincerlo che è più consono lasciarlo fare a me. Poi quando gli avrò spiegato cosa vuol dire consono, magari accetterà.Ministro della Difesa: Deve accettare, se non vogliamo fare le solite figuracce.Ministro della Economia: Ormai ci sono tutti abituati, c'è chi addirittura dice che renda più interessante questa vita politica.Ministro della Difesa: Signor Ministro, abbiamo avuto conferme dei nostri sospetti. C'è la possibilità di un attentato e credo possa essere domani alla conferenza.Ministro della Economia: Mi sembra il bersaglio adatto per creare la massima risonanza a livello internazionale.Ministro della Difesa: Dobbiamo capire solo come e quando avverrà la cosa. Se l'ordigno è già in posizione o tenteranno un azione terroristica.Ministro della Economia: Dovete risolvere immediatamente. In più, nessuno dovrà sapere nulla. Non possiamo far trapelare questo tipo di informazione. La conferenza sarebbe annullata e per la nostra immagine sarebbe deleterio.Ministro della Difesa: Signor Ministro, dovremmo avvisare del pericolo...Ministro della Economia: Assolutamente no! Noi abbiamo tutto sotto controllo, siamo il paese delle sicurezze, come sicuri e controllati sono i nostri progetti per il futuro. Signor Ministro, la credibilità è tutta una questione di apparenza.Ministro della Difesa: Va bene Signor Ministro, farò del mio meglio.Ministro della Economia: Questa volta non basta Signor Ministro, faccia di più. Mi tenga informato.

Ministro dell'Economia esce

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Ministro della Difesa: Cazzo!

Ministro della Difesa esce

Scena 22, nei Container. PRIMO, SECONDO, QUARTO, Segretario della Difesa, Anarchico, Primo, Secondo e Terzo Celerino.

PRIMO, SECONDO e QUARTO sono seduti e hanno le mani legate dietro la schiena. Il Segretario della Difesa è seduto dietro la scrivania. Terzo celerino è vicino al Segretario della Difesa. Primo Celerino alla destra di SECONDO, Secondo Celerino alla sinistra di Quarto. Alle Spalle dei ribelli, il corpo dell''Anarchico svenuto.

Segretario della Difesa: Allora signori, come procede il vostro soggiorno?PRIMO: Cominci a pensare come spiegherà tutto questo alla stampa.Segretario della Difesa: Nella sua situazione dedicherei meno tempo alle minacce.PRIMO: Ha ragione, dovrei imparare a star zitto. Prima o poi dovrete lasciarci andare, poi vedremo il da farsi.QUARTO. Senta signore, io non lo so perché siamo qui. Io non ho fatto nulla di male. Vorrei sapere solo quando posso fare una telefonata?Segretario della Difesa: I telefoni sono tutti isolati, c'è stata una tempesta ieri notte.SECONDO: Che cazzate!Segretario della Difesa: Non l'avete sentita?SECONDO: Per favore la smetta di dirci stronzate, fateci uscire di qui cazzo!

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Segretario della Difesa: Forse il signore ha bisogno di un po' d'acqua

Primo Celerino gli versa dell'acqua sulla faccia affogandolo

PRIMO: Questi atteggiamenti vanno contro i diritti di un qualsiasi essere umano. Lo faccia smettere subito!Segretario della Difesa: Forse a sete anche lei?PRIMO: No!Segretario della Difesa: Basta così...

Primo Celerino lascia andare SECONDO che crolla a terra. Primo Celerino lo rialza.

QUARTO: Posso fare la mia telefonata?Segretario della Difesa: Guardi, le darei il mio cellulare ma mi si è scaricata la batteria. Lei, soldato?Primo Celerino: Non ho credito, signore.Segretario della Difesa: Che peccato!SECONDO: Che stronzo!

SECONDO viene colpito da una manganellata allo stomaco dal Primo Celerino.

Segretario della Difesa: Tu sei Bestia, vero? Epiteto sofisticato. Di certo, qualcosa di animale, lo hai.SECONDO: Prova a slegarmi le mani e ti faccio vedere gli artigli e le zanne.Segretario della Difesa: Ah ah, non avresti nessuna possibilità neanche se io avessi una mano sola e tu un lanciarazzi.

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SECONDO: Proviamo. Adesso io e lei. Si tolga quel distintivo del cazzo e io le tolgo quel sorriso borioso dalla faccia.PRIMO: Bestia, per favore smettila, non peggiorare la situazione.SECONDO: Che c'è? Non hai le palle?Segretario della Difesa: Provo commiserazione per te.SECONDO: Io ti ammazzo, pezzo di merda.

Primo e Secondo Celerino lo bloccano

PRIMO: Lasciatelo stare, lasciatelo stare, Bestia calmati!Segretario della Difesa: Dica al suo amico di calmarsi.SECONDO: Non mi toccate, bastardi, non mi toccate!PRIMO: Calmati Bestia, calmati. Lasciatelo stare, si calmerà, lasciatelo!

Primo Celerino lo colpisce con forza e poi si allontana con Secondo Celerino.

SECONDO: Me la pagherete, bastardi.QUARTO: Senta, io voglio sapere, esigo di sapere, per quale accusa sono trattenuto qui.Segretario della Difesa: Ecco finalmente una richiesta che posso esaudire. Voi siete qui perché avete delle informazioni per noi molto importanti, e indovinate? Rimarrete qui finché non ce le avrete date.PRIMO: Che informazioni?Segretario della Difesa: Tutte quelle che avete.QUARTO: Io sono disposto a dirle tutto quello che so, ma riguardo a cosa?Segretario della Difesa: Credo che voi lo sappiate benissimo.

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SECONDO: Basta con queste cazzate, ci prendono per il culo.PRIMO: Io non credo che noi sappiamo cose che voi non sappiate già.SECONDO: Smettila di parlargli è una presa per il culo.QUARTO: Vuole che le facciamo dei nomi?SECONDO: Smettila cazzo!QUARTO: Smettila tu! Io sto male, voglio andarmene da qui.SECONDO: Ti ho detto di stare zitto! Genio digli qualcosa.PRIMO: Nomi di chi?SECONDO: No, no. Genio non fare il loro gioco.PRIMO: Cosa dovrei fare? Lo vedi che sta male, io devo portarlo fuori di qui.SECONDO: Ti fregheranno, lo sai, ti faranno firmare dichiarazioni che non hai mai fatto.QUARTO: Io voglio andarmene. Genio, ti prego, diciamo quello che sappiamo.SECONDO: Mi hai capito? Riesci a capirmi?PRIMO: State zitti, devo pensare.QUARTO: Andiamocene, andiamocene.SECONDO: Non lo fare.PRIMO: Lasciatemi riflettere!Segretario della Difesa: Allora, questa triste riunione di gruppo è finita? Mi stavo divertendo all'inizio, poi siete diventati patetici.PRIMO: Le farò dei nomi.Segretario della Difesa: Dei nomi?PRIMO: Nomi di capogruppo violenti che sono al comando dei disordini.SECONDO: Genio perché...Segretario della Difesa: E cosa dovrei farmene io dei nomi?PRIMO: Cosa vuole allora?

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Segretario della Difesa: Vedo che volete fare il giro lungo, non vi è bastato. Volete passare una settimana in isolamento?QUARTO: Ma cosa volete da noi?Segretario della Difesa: Voi cosa volete? Che perdiamo la pazienza? Vi conviene collaborare.PRIMO: Ma di cosa stiamo parlando? Lei sta sbagliando persone, non siamo noi quelli da interrogare.Segretario della Difesa: Impossibile!PRIMO: Impossibile cosa?Segretario della Difesa: Quell'uomo mi ha detto che eravate proprio voi le persone a cui dovevo chiedere.QUARTO: Quale uomo?PRIMO: Chi?Segretario della Difesa: Quello dietro di voi.

Provano a voltarsi ma non vedono bene. Il Segretario della Difesa fa trascinare il corpo davanti ai tre.

PRIMO: Ma chi è?QUARTO: Vi prego, voglio andare a casa.SECONDO: Cazzo, ma è morto? L'avete ammazzato?QUARTO. Io devo vomitare.PRIMO: Posso sapere chi è questa persona?Segretario della Difesa: Non lo conoscete?SECONDO: Mai visto prima.Segretario della Difesa: Siete sicuri?PRIMO: Si, non appartiene al nostro gruppo. Ve l'ho detto, ve l'ho detto, state sbagliando persone.Segretario della Difesa: Voi dite? Domandiamolo a lui...(gli muove la testa per farsi dare le risposte che vuole) Ehi, ragazzo, erano queste le persone di cui mi avevi parlato? Si? Loro dicono che non ti conoscono, è possibile? No? Allora dicono bugie? Si? Immaginavo...vedete, cosa dice il vostro

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amico e lo ha detto anche prima che si pisciasse addosso e perdesse i sensi.PRIMO: Ma che razza di gioco sadico è questo?Segretario della Difesa: Che razza di gioco è il vostro. Avanti ditemi dove si trova.PRIMO: Dove si trova cosa?

Scena 23, nei Container. Entra il Ministro della Difesa ,più detti.

Ministro della Difesa: L'ordigno esplosivo che avete portato a Stenopoli.PRIMO: Cosa? Ma di che cazzo state parlando?Ministro della Difesa: Signori io non ho tempo da perdere. Vi dico subito che sono pronta a qualsiasi cosa per ottenere le informazioni che cerco. La situazione è molto tesa, quindi è nell'interesse di tutti risolvere immediatamente.QUARTO: Genio ma di cosa parla?PRIMO: Io non lo so, noi non sappiamo nulla.Ministro della Difesa: Lei, cosa ha da dire?SECONDO: Io non so che cazzo volete da noi.Ministro della Difesa: Senta sappiamo benissimo chi è lei e voi che state con lui sicuramente siete invischiati. Quindi ci dica a chi ha consegnato la bomba.PRIMO: Bestia che cazzo significa?SECONDO: Non lo so te lo giuro, non ne so niente.PRIMO: Senta noi siamo un gruppo del movimento pacifista, chieda di noi in giro, ci conoscono tutti.Segretario della Difesa: Vanno avanti così da un pezzo. Addosso non avevano nulla e nemmeno tra gli oggetti personale, nessuna traccia, nessun biglietto.Ministro della Difesa: Voi credete che io non possa arrivare a farvi seriamente del male? Forse non ci siamo capiti, sono

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autorizzata ad usare qualsiasi mezzo per risolvere la questione.QUARTO: Ascolti, la prego, lei è una brava persona si vede, noi non sappiamo niente, noi vogliamo andare solo a casa.Ministro della Difesa: Volete andare a casa?QUARTO: Si, la prego.Ministro della Difesa: Ha sentito? I suoi amici vogliono andare a casa, lei può permetterlo. Mi dica dov'è la bomba?SECONDO: Io non capisco quale parte di “IO NON SO NULLA DI UNA CAZZO DI BOMBA” non vi è chiaro.PRIMO: Se lei mi permettesse di fare una telefonata le fornirò tutte le testimonianze necessarie riguardo le nostre attività.Ministro della Difesa: Nessuna telefonata finché non mi dite dove avete nascosto questa maledetta bomba.PRIMO: Ma lo ha capito che noi non sappiamo niente?Ministro della Difesa: (a SECONDO) Lei, 4 giorni fa, non si è incontrato con quest'uomo per ritirare un ordigno esplosivo artigianale e recapitarlo qui, nella città di Stenopoli?SECONDO: Si sta inventando una storia assurda.Ministro della Difesa: Non l'ho inventata io. L'ha inventata la sua donna che ora rimugina sulle sue azioni in isolamento.SECONDO: Che cazzo le avete fatto? Dov'è?PRIMO: Ma che significa?QUARTO: No, non è possibile, questo è un incubo.Ministro della Difesa: Non si preoccupi troppo per lei dato che l'ha denunciata, per avere uno sconto di pena.SECONDO: Questa è una cazzata, non ci credo.PRIMO: Bestia che cazzo sta succedendo qua?SECONDO: Cosa? Tu credi a questi bastardi?QUARTO: Andiamo a casa vi scongiuro.

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PRIMO: Guardami in faccia, negli occhi, e dimmi che cosa sta succedendo.SECONDO: Niente! Si stanno inventando un sacco di stronzateMinistro della Difesa: Un sacco di stro...va bene ho capito. Dov'è la pistola della ragazza?Segretario della Difesa: E' sul tavolo.Ministro della Difesa: Soldato prenda la pistola.PRIMO: Cosa ha intenzione di fare?Ministro della Difesa: Signori non volevo arrivare a questo ma il tempo a mia disposizione sta per finire, quindi mi vedo costretta a farvi del male, seriamente.PRIMO: Questa è tortura, fisica e mentale. Cosa crede di fare adesso?Ministro della Difesa: Soldato gli spari un colpo (indicando il QUARTO) e gli faccia molto male.QUARTO: No, no, che cazzo vuole farmi.SECONDO: Smettetela, voi non potete farlo, non potete.PRIMO: Questa è follia. Aspettate...

Il Primo Celerino prende la pistola e si avvicina al QUARTO. Gli punta la pistola addosso, lo guarda.

Pausa.

Primo Celerino: (abbassando l'arma) Io...io non posso.Ministro della Difesa: Soldato si sbrighi.Primo Celerino: No, così non ci sto.Ministro della Difesa: Soldato, io le ordino...Segretario della Difesa: Dai qua! (strappa via la pistola dalle mani di Primo Celerino. Spara due colpi uccidendo il QUARTO) Vaffanculo.PRIMO: Ma che cosa?! (è visibilmente sotto shock)

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SECONDO: No, pezzi di merda, che cazzo avete fatto! lo avete ammazzato...Ministro della Difesa: Segretario, avevo detto...Segretario della Difesa: Non mi diverto più Signor Ministro e non abbiamo più tempo. Allora stronzo, adesso ce lo dici dove sta questa cazzo di bomba?SECONDO: Lo avete ammazzato, bastardi (prova a colpire il Segretario della Difesa).Segretario della Difesa: Così vuoi ancora fare il duro...allora facciamo così (va dal PRIMO) adesso pianto una colpo in testa anche a lui e dopo ti strappo le unghie con le pinze finché non mi dici quello che voglio sapere.SECONDO: Lascialo in pace, non lo toccare.Segretario della Difesa: Vedi caro, tu adesso morirai e la colpa è solo del tuo amico.PRIMO: Voi vi state sbagliando, avete ucciso un innocente, fermatevi, vi prego.Segretario della Difesa: Poverino lui ti crede ancora... gli vuoi dire addio?SECONDO: No, basta, non lo fare.Segretario della Difesa: Ormai ho deciso. (Punta la pistola alla tempia di PRIMO)SECONDO: No! L'ho nascosta, l'ho nascosta io. In un seminterrato abbandonato vicino la piazza centrale di Stenopoli, la Piazza del Popolo, nel palazzo giallo di fronte l'istituto d'arte.Segretario della Difesa: Sbrigatevi, diffondete la notizie a tutte le squadre.PRIMO: Bestia che cosa hai fatto? Che cazzo hai fatto...sei un idiota, guarda cosa hai combinato!SECONDO: Mi dispiace, è tutta colpa mia, ho rovinato tutto, è tutta colpa mia.Ministro della Difesa: Ottimo lavoro Segretario, poco ortodosso ma efficace. Di loro cosa ne facciamo?

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Segretario della Difesa: Li mettiamo al fresco entrambi. Bestia ci rimarrà un bel po' per attività terroristica e tentata strage. L'altro gli farà compagnia finché tutta questa storia non si sarà sgonfiata, associazione terroristica per ora ci basta per tenerlo dentro.Ministro della Difesa: Non cercherà di creare problemi con la stampa?Segretario della Difesa: E anche se lo facesse? Che prove ha dalla sua parte? Abbiamo insabbiato e screditato storie molto più compromettenti Ministro. Sono solo leggere interferenze sul nostro canale, solo piccoli buchi sul velo dell'apparenza.Ministro della Difesa: A dopo Segretario.Segretario della Difesa: La terrò aggiornata signor Ministro.

Ministro della Difesa esce.

Segretario della Difesa: Ripulite tutto.

Segretario della Difesa esce mentre i Celerini ripuliscono la scena.

SCENA 24, Sala del Congresso. Primo Ministro , Ministro Dell'Economia. Carcere. PRIMO.

Ministro Dell'Economia: E con questo ultimo punto finisce la nostra proposta per implementare il Nuovo Piano Economico Internazionale. Ora cedo la parola al Primo Ministro per le conclusioni. Grazie.Primo Ministro: Grazie, signor Ministro! Saluto tutti i membri delle nazioni che hanno accettato di condividere con noi questo progetto pionieristico e di seguire questo nuovo

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percorso insieme, uniti, con lo sguardo volto insieme verso ambiziosi traguardi. Che altro dire? Già, cos'altro dire... (siguarda attorno sperduto, il Ministro Dell'Economia gli fa capire che deve continuare a leggere il discorso) Ah, ecco... Noi siamo orgogliosi di esserci proposti come punto di ritrovo, di partenza, di riferimento anche, per questo che vuole essere un nuovo inizio. Siamo lusingati che ci sia stataconcessa questa fiducia da parte di tutti voi, nell'affidarci questa creatura che è nata e cresce con la partecipazione di noi tutti.PRIMO: (registra un messaggio) 10 settembre. Salve, non farò un discorso lungo. Sto iniziando a rivalutare l'importanza delle parole. Non proverò nemmeno a parlare, come ho sempre cercato di fare, con il cuore, badando poco ai concetti ma cercando di esprimere quello che sentivo, che poi credo sia la cosa più importante. Potrei oggi raccontare di cose che sono successe, cose terribili a cui ho assistito, ma poi mi chiedo...cosa è successo?Primo Ministro: Un successo! Questo è quello che oggi insieme stiamo siglando, ognuno facendo la propria parte, ognuno investendo qualcosa, costruendo pezzo su pezzo una struttura solida per il nostro futuro, il futuro dei nostri figli, di questi giovani ragazzi...PRIMO: ...che sono accorsi in gran numero qui. Ognuno spinto da qualcosa, da un'idea, che per quanto possa essere condivisa, resta sempre personale, fortunatamente. Io dico: attenzione a queste idee. Forse non comunichiamo tra di noi efficacemente, siamo disgregati, siamo migliaia di frasidiverse appartenenti ad un unico discorso ma non riusciamo a decifrarci...Primo Ministro: ...ma riusciamo a capirci. Nonostante le nostre differenze antropologiche. Perché istintivamente abbiamo intuito che il miglior modo per...scusate devo

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girare pagina... preservarci e rompere queste barriere obsolete è iniziare a conoscerci...PRIMO: ...a parlarci chiaramente. Soprattutto preoccupandoci del fatto che se ciò che ognuno di noi intende venga recepito nella maniera giusta da tutti. Questo lo dico soprattutto per chi ha la responsabilità...Primo Ministro: ...l'oneroso dovere di rappresentare una guida...PRIMO: ...di essere un punto di riferimento...Primo Ministro: ...dover gestire...PRIMO: ...sapendo di poter condizionare...Primo Ministro: ...tutto questo enorme potenziale...PRIMO: ...abbiamo l'obbligo di tutelare...Primo Ministro: ...non possiamo agire con superficialità...PRIMO: ...dobbiamo saperci sempre mettere in discussione...Primo Ministro e PRIMO: ...io per primo.

FINE

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Immagine ideata e prodotta da Ornella Acqua

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#Fuori concorso

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NON OSIAMO PENSARE

di Silviya Plamenova Petkova

Non osiamo pensare a ciò che siamo: il corpo si realizzasotto una parete liscia,la perfezione - inganno per gli occhi fragrante, porosa, striscia.

Subordinata ai capricci del casola mente – farfalla e spinavacilla, si piega, trascina:materia nella mano – nastro di raso.

Come un dato di fattocome un’esigenza umanasi allarga, contiene, diventaapprende, desiderosa spaventa.

L’intimità sospirata, fugacevertigine, prospettiva che giaceproiettata in un lampo, da un istintosi scompone in questo corpo labirinto.

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Biografia

Silviya Plamenova Petkova, nata l’11 Aprile 1979 nella cittadina Gorna Oriahovitza, in Bulgaria. Ha lavorato come mediatrice linguistico-interculturale, ha organizzato eventi artistici in Italia e nel suo Paese di origine. E' una scrittrice, vincitrice di diversi concorsi letterari nazionali ed internazionali.

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Postilla finale

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Intempestivi e perciò senza corpounico

di Marcello Fagiani

Cosa manca, cosa è mancato?

La prima riflessione che mi vien da fare e che ho fatto è quella dello scarto tra le idee e gli uomini e le donne. Fuoritempo. Le idee da una parte, forse intempestive, gli uomini e le donne dall'altra, forse intempestivi.

Tempo, tempi. Non è ancora pronto, non siamo ancora pronti. Il tempo decide dell'essenza delle cose che, perciò stesso, muta, sempre, senza posa. E il tempo di noi non è ancora arrivato. Non siamo ancora carne a noi stessi, ci nascondiamo e rimuoviamo a noi di noi. Tempo a-venire?

La carne è ancora daffarsi. La carne non è il corpo. Corpo è composizione della carne. Quest'ultima, senza mediazione, vive. Un corpo interviene sulla nuda carne per poter vivere la vita. E giochiamo a rimuovere, rimuovere. Un corpo ci permette di vivere. Ma la carne è ancora daffarsi. Noi ci nascondiamo e poi, solo poi rimuoviamo. Noi, non abbiamo fatto carne di noi e perciò non abbiamo potuto cucire sulla nostra pelle un corpounico. Non abbiamo creduto alle nostre opere che si sono messe dinanzi a noi e ci sono apparse mute, e sorde, e cieche. E noi ciechi, sordi a parlare di questo e di quello e di....

Nessuno ci aveva portato sul monte, nessuna scorciatoia, nessun passaggio; avevamo scalato l'altura, i sassi sotto i

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piedi, la calura delle radure che troppo spesso si alternavano al sollievo del bosco. Sudore, fatica, il fiato sempre più prossimo alla gola: “non guardare avanti, cammina”, “hermano dame tu mano”. E poi l'abbiamo vista, almeno, io, l'ho vista, l'ho sentita. Saliva anch'essa sul monte, ad una velocità doppia la nostra. Aveva fame, la bava alla bocca. Non aveva bisogno di pensare e di pensarsi: era!

Io l'avevo già vista, in passato. Io la conoscevo. E allora, da allora, anch'io l'aspetto. O meglio. Cerco di imparare ad aspettarla e quando vedo coloro che sanno aspettarla, che la incontrano, che la amano, allora sono felice: sento, la vedo, c'è.

Noi non abbiamo creduto alle nostre cornee, le nostre pupille, i nostri padiglioni auricolari, i nostri gomiti, le nostre viscere. Non abbiamo creduto alla possibilità di incontrare la frattura, la forza che rivolta il noto, la compagna, il compagno che non ti fa avere più paura: la belva.

Avevamo faticato, spinto macchine, calcolato piani e angoli, raccolto lacrime, aspettato opinioni, voti, raccontato storie e bugie, fatto la voce grossa e mostrato pugni; avevamo chiesto udienze, gridato e difeso le nostre idee. Abbiamo scalato il monte. Ma non abbiamo imparato a vedere. Ma io credo che non ci sia altro da vedere e da fare. Non ci sono colpi di magia, futuri a-venire, da aspettare. C'è, ci sarebbe solo da imparare a vedere, ad ascoltare, a sentire.

Ci siamo tenuti stretti nei nostri corpi, singoli, le cose che avevamo già, quel bagaglio del quale siamo sin da sempre forniti: il noto. Al riparo dalla frattura, dal rischio dello

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straniero, dal pericolo di percorrere sentieri nella radura mai battuti prima del nostro passaggio. E allora mai corpounico.

Questo corpo di corpi, che cambia la natura della visione, della prospettiva, del respiro, del caldo e del freddo, del sonno e della veglia. Questo abbiamo rifiutato, non sapendo vederLa.

Intempestivi, le idee con un tempo, gli uomini e le donne con un altro. E la vista che non vede. Ma possono le idee prendere corpo senza corpo? Può una potenza divenir atto senza respiro, sangue, carne?

Abbiamo dinanzi a noi una separazione, non un abisso, una frattura. Una separazione. Siamo separati a noi stessi, scissi nell'impossibilità di vederci fratturati. Ciechi, accompagnati solo dalla paura di perderci. Nessuno, oramai, può darci la forza di vedere; nessuno può suggerirci dove rivolgere lo sguardo. Forse solo ora ognuno può andare incontro ai propri bisogni: il catalogo è dispiegato, le possibilità che ci siamo creati e che si sono offerte sono dinanzi a noi. Se non apriamo gli occhi è perché decidiamo di non aprirli: i nostri bisogni guardano altrove, il nostro corpo tende altrove.

Scegliamo altro. Naturalmente, senza incontrare giudizi o anatemi dei teologi, scegliamo altro. Di questo trattiamo. Nessuno può rivolgersi all'altro con indice puntato: ognuno ha diritto di abbracciare i propri bisogni.

Separati tra corpo e idea.

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Ma un corpo è anche la sua idea? E si fa con la sua idea? Ma allora perché abbiamo ragionato e lavorato sul corpo, alla sua scoperta, ed al suo ascolto? E l'idea, le idee, hanno a che fare con la ratio? Non riusciamo a spostarci dall'eterno conflitto mente vs corpo? È tutto qui il nostro rovello?

Ancora domande. Se le nostre singole, individuali storie avrebbero potuto essere tesoro, risorsa, allora possiamo chiederci come l'incapacità di metterle insieme senza metterle insieme sia stata una delle cause del fallimento.

E gli oggetti che abbiamo costruito, e che avrebbero dovuto essere palestra per un comune corpo, come hanno avuto luce e cosa ci dicono, ora?

Prima di tutto ciò, pensavo che il lavoro delle e nelle idee allevasse inevitabilmente i corpi. La carne, consideravo, verrà dopo, dopo la riscopriremo. Qui risiede la mia-nostra parte di errore in questa vicenda. O almeno quella che a me pare più evidente e grave.

L’accento sulla carne, sulla dimensione “a priori” dell’esistere, a mio avviso, decide della possibilità di rimanere-diventare corpo prima che la disciplina della civiltà ci decida. In questa trazione, in questa piega ci siamo fermati. A marcire sulle nostre supposte identità. Ovvio, essere, rimanere carne è solo l’esercizio della nostra dismisura, dell’impossibilità di arrivare presso noi stessi: nessuno coltiva ambizioni teologiche ma la pratica dell’inarrivabilità è pratica della prova continua e quotidiana del fallimento dell’idea di identità. Noi non siamo. Mai.

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Ora a me interessa affondare l’analisi nelle pieghe degli “inarrivabili” che hanno fatto naufragare il nostro movimento.Ad esempio, in quelle “autobiografie collettive”, che sono le grandi manifestazioni dei movimenti, il piano che veniva ripreso si soffermava anche su una nuda carne che faticava a farsi civiltà. Ed allora rimanere sulla domanda evocata da quelle immagini significa, a parer mio, tentare di vedere lo scarto, segnarlo, farlo in qualche modo proprio. Ma il vedere ha a che fare con il farsi corpo della carne. E’ questo il nostro problema? Nel nostro stare tra carne e corpo, in questo scarto, in questo “inarrivabile” si è impantanata la nostra vicenda. Non aver saputo ascoltare o vedere la nostra carne, ha significato vivere sulla sola necessità di edificare ed affermare le nostre singole identità, vestite di abiti confezionati dal Si. Mentre urlavamo quel “Fate Cuore, Fate Cuore Ragazzi”, in quello stesso momento non smettevamo di chiederci: “va tutto bene, sono vivo, sono viva, va tutto bene?”. E allora? Allora rimaniamo aggrappati all’io, alle sicurezze lasciateci dalla tautologia freudiana. Non siamo mai diventati corpounico perché mai ci siamo abbandonati alla carne che pure non possiamo non essere. La carne come stato in sé ma non per sé.È qui, non c’è niente da fare, è qui il nodo, la paura. Non abbiamo visto che, non solo si poteva vivere di carne, ma avevamo già ferite aperte sanguinanti. Tu lasci tutto, tutto è ridondante, tutto è niente: già visto, già detto, già ascoltato, già fatto. È sullo scarto che dobbiamo stare ed insistere; da quello scarto, quell’inarrivabile, forse può consentirci di scorgere qualcosa tra e dalle pieghe. Sul sottile, terribile movimento che veste la carne e un corpo si pone dinanzi, in noi, in quel

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movimento si dischiude lo spazio, il tempo, anzi la visione del politico. Il lavoro di disvelamento di quel momento è l’oggetto e lo scopo della politica.Possiamo dire che molte delle opere realizzate o frequentate da noi, in modo collettivo, ci abbiano attraversato in una forma, per così dire, privata, chiusa alla “dispersione pubblica”. Non abbiamo ceduto nulla di quello che avevamo raccolto; abbiamo tenute nascoste alla vista dell’altro le nostre nudità.Non so se la paura della dismisura, del lavoro a mostrare carne, a fasciarsi collettivamente la carne di corpo, non so se sia ancora un lavoro possibile. Non credo però che si possano eludere questi problemi. Il movimento che apre la vista sull’impossibile necessità a vestire la carne di un corpo non può che essere lo scopo di chiunque voglia dare un senso intimamente politico alla propria esistenza.

“Gli oggetti che abbiamo frequentato e manipolato ci hanno dato il segno di una necessità estetica per le nostre esistenze”. Quest’ultima frase è falsa. Questo pensiero l’hanno cucito addosso alle persone quelli come me. Molti volevano, legittimamente, altri abiti. È giusto che ognuno si fornisca dal sarto che vuole.Il dibattito, se si vuole, è aperto, le sartorie anche.

Metterci insieme, prossimità.Carne, idee, corpo, tempo, prossimità.

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Colonna sonora della raccolta

Requiem, Wolfgang Amadeus MozartAltri mondi, Modena City RamblersI will survive, Gloria GaynorFilastrocca per bambini, I musicanti del ventoCambia-menti, Vasco RossiSuccederà, BandabardòEl pueblo unido jamas sera vencido, Inti IllimaniEppure soffia, Pier Angelo BertoliWoman is the nigger of the world, John LennonI shall be released, Bob DylanA Hard Rain's A-Gonna Fall, Bob DylanLa locomotiva, Francesco GucciniIl testamento di Tito, Fabrizio De AndrèIl bombarolo, Fabrizio De AndrèL'operaio della Fiat 1100, Rino GaetanoGenerale, Francesco De GregoriCivil War, Guns N' RosesRebel rebel, David Bowie

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Si ringraziano: Alessandro Ambrosin, Direttore di Dazebaonews per aver creduto e sostenuto questo progetto, Ornella Acqua per la copertina e per il supporto grafico, Laura Piccolo per l'assistenza all'editing, tutti i partecipanti al concorso, anche i non selezionati per aver contribuito alla discussione, e i lettori di Dazebao per aver testato la validità e l'attrattiva dei racconti.

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