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manifest. ALTRI SENTIERI

- Scriviamo su Franco Costabile –

Contributi di:

ELISABETTA LONGO

PASQUALE ALLEGRO

MATTEO SCALISE

MARCO CAVALIERE

PIERPAOLO SACCO

DOMENICO ISABELLA

CESARE PERRI

MARIELLA MATERA

FRANCESCA ANNOSCIA & BILLY

DAVIDE DE GRAZIA

PIERLUIGI CUCCITTO, SIMONA

BARBACASTAGNARO

PAOLA SAVIO

PAOLO PILEGGI

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ELISABETTA LONGO

Indisposizioni

Impenetrabile

questo figlio della luna,

contò i passi

-dalla vite al calice-

di certi giri di fortuna

di certi riti contadini

che gli diedero i natali.

La sventura si consuma

all'ombra grigia della madre,

io che chiamo il cielo nudo

e il cielo piove

-rosso di garofano-

in nome di suo padre.

Cosi chiaro Paradosso,

riconoscermi in un uomo

senza averlo conosciuto.

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PASQUALE ALLEGRO

Un sorriso è caduto nel mare

Un sorriso è caduto nel mare.

Mentre i sorrisi degli uomini pratici,

messi in moto per mano del vento

– tra i tralci slogati della vite

avvolgono le labbra a tonnellate.

Il grigio sfilacciato del monumento

percorre le pieghe delle cicatrici,

a rimpiazzare versi e occhi del mattino

– lo sguardo assente sugli uomini e le cose.

Sotto un cielo così scuro

una finestra preziosa si posa

in un posto sempre uguale.

Ora ascolta con gli occhi semichiusi

le ragazze smunte e moderne

parlare ad alta voce interrogando la luce gialla

del Mezzogiorno sbiadito e necessario

per una carezza comunitaria in più.

Ora sente l’odore penetrante delle candele

– giù nel solco delle devozioni

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le grida dai balconi nudi e lividi di rabbia,

i pensieri sospirati dalle camere

e la poltrona che brontola per ogni bambino che

piange,

per ogni guerra combattuta con i colori appesi,

per cui scuotere tristemente il capo

– solo un momento prima

è il più alto prezzo da pagare.

Ma un sorriso dal fondo del marmo,

al solo ricordo degli ulivi serrati

dalle luci della sera – frutti come cocci di luna

degli spicchi a lacrimare arancio tra le dita,

svela la meraviglia di sempre.

E dopo misurata pioggia,

una piccola chiazza di luce

– là in fondo alla piazza

accoglie di riflesso per lui

le ali di terracotta sopra la città,

mentre la piccola grata

di ruggine e strada

porta quel sorriso murato

a brillare bizantino e cantastorie.

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MATTEO SCALISE

Migranti

“Siamo i marciapiedi più affollati.

Siamo i treni più lunghi.

Siamo le braccia le unghie d'Europa il sudore

diesel.

Siamo il disonore la vergogna dei governi […]”

Nel leggere la poesia sopra riportata del nostro poeta

Costabile, il testo poetico sembra scritto nei nostri

giorni, per come la tematica dell’emigrazione è

ancora drammaticamente attuale.

Cambiano solo i contrasti esistenziali che spingono

a migrare, altrimenti lo scenario di desolazione

economica, industriale e di opportunità per una vita

dignitosa nella Sambiase di ieri e di oggi (che è

Lamezia Terme), è ancora vergognosamente arida e

senza speranze.

Ieri i sambiasini migravano per fame, per il lavoro

mancante o perduto, oggi si emigra plurilaureati e

con master di ogni tipo utili solo per far corredi di

Curriculum Vitae infiniti ma inutili in questa vasta

pianura lametina che vive la contraddizione di avere

la più grande area industriale del sud Italia,

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attualmente servibile solo come cattedrale nel

deserto, con padiglioni sorti per fabbricare lavoro e

opportunità, ma vuoti come grembi sterili e freddi.

Lo sdegno, il pianto amaro e la nostalgia provata dal

poeta e dai suoi concittadini sambiasini nel cambiare

le loro vite abituate ad esser baciate dal sole del

golfo lametino e ritemprate dalla frescura del

Reventino è ancora oggi viva nella maggioranza dei

giovani e non giovani, che col trolley, indegno

sostituto della valigia di cartone, partono per un

futuro migliore, per un futuro all’altezza dei sogni

che si hanno.

Ai treni della speranza ora ci sono i voli di sola

andata.

alla cipolla col pane oggi c’è lo snack di ultima

generazione.

Al diesel presto sostituiremo gli autoveicoli ad

idrogeno.

L’oggi è il pallido riflesso di ieri.

Cambia la giacca, il suo tessuto, ma la povertà

economica è sempre la stessa.

Le lacrime antiche e attuali si confondono.

I sospiri di ieri e di oggi si uniscono in un funebre

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lamento che proviene da un cuore che rimane

disilluso e rassegnato.

“Salutiamoci, è ora.”

MARCO CAVALIERE

Migranti – Parte 2

Sono le crociere più affollate.

Sono i viaggi più lunghi.

Sono le braccia le unghie d’Italia il sudore nero.

Sono il disonore la vergogna dei governi.

L’odore di deserto che rinnova le viscere d’Italia.

Sono un’altra volta il sarcasmo degli dei.

Milioni di macchine escono targate Corno d’Africa.

Loro sono le giacche appese nei campi nelle

fabbriche d’Italia.

Preparati, terra.

Accogliamoli, è ora.

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PIERPAOLO SACCO

Se ne vanno ancora via

Se ne vanno ancora via

In barconi. Morte mescolano

A morte, alla speranza

Mille euro per comprare

odio, odio di chi resta,

odio del mare, ignoto.

La guerra là fuggono

La morte nel mar trovano

Partono, maledetti,

Maledetti tramontano

Nel mare. Settecento.

Settecento bare.

Partono, maledetti

Loro anche calabresi.

Come me,

Come te, Franco, ogni uomo

In questo mondo ha un Sud

Da cui fuggire. Eterno

Il ricordo di questo

S’insinua –altra condanna-

Fino alla morte e torna.

Vivere si, per sensi

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Di colpa. Mezza vita,

distanza e persecuzione.

DOMENICO ISABELLA

Adesso che piove

"Adesso che piove

hai bisogno d'un paio di scarpe,

la sera ti guardi tua figlia

le sue labbra sempre screpolate,

e dici Genova, un posto a Milano,

si trovasse una qualche amicizia, una chiave...".

Houmad chiuse il libro in preda alla rassegnazione.

La storia si ripeteva, cambiavano gli anni, i

contesti... ma le vittime erano sempre le stesse.

Costabile diceva "Tutti gli anni è una storia"... Beh...

la stessa storia.

Quelle parole di Costabile lo commossero... era la

sua vita in fondo ad essere raccontata, come quella

di moltissime altre persone. La speranza, pensava, ti

fa solo del male: ti accoglie gentile tra le sue braccia

delicate, e... poi... ti scaglia a terra, lasciandoti

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incapace di reagire, sprofondato nella tua totale

inadeguatezza.

L'uomo si distese sulla branda senza riuscire ad

addormentarsi. Sua figlia, nel sonno, lo cercò e

poggiò la testa sul suo petto scheletrico.

Pensava continuamente a lei. Houmad la amava a tal

punto da cercare di respirare il meno possibile per

non svegliarla. La loro stanza era piccola... troppo

piccola. Erano gli unici, della loro grande famiglia, a

sopravvivere agli innumerevoli e indescrivibili

sacrifici affrontati negli anni.

Ora vive a Sambiase...con lei. Aveva sentito parlare

di un poeta sambiasino di nome Franco Costabile,

che riusciva a descrivere l'ambiguità della sua città, i

doppi volti di un paradiso che poteva tramutarsi in

inferno, se la sorte lo avesse voluto... E la sorte,

Houmad lo sapeva, si comportava con lui come se

avesse un debito indecifrabile, senza fine.

Houmad doveva alzarsi all'alba. Mosse

delicatamente la testa e osservò le sue scarpe...

bucate. Aveva bisogno di comprarne un paio nuove.

Poi sorrise senza un motivo apparente. Stava

pensando che era diventato, per un solo istante, il

protagonista di una poesia del poeta sambiasino.

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CESARE PERRI

Morte che intorno a me ruoti

pur sei vita

E dalle zolle della terra, intrise del suo sangue

spuntò un fiore rosso: il suicidio di Aiace

nell'omonima tragedia di Sofocle. A differenza della

'visione' cristiana, nella mitologia greca il suicidio è

spesso ammantato di valori epici.

Pier della Vigna dato in pasto alle Arpie implora

Dante (Inferno III):

"L'animo mio [...] / ingiusto fece me contra me

giusto" /"E se di voi alcun nel mondo riede /

conforti la memoria mia [...].

Con maggiore frequenza dei comuni mortali i poeti,

gli artisti in genere, espandano la propria sensibilità

nel percepire i mali del mondo e quelli propri fino

ad essere travolti dalla loro stessa disperazione. Essi

cercano nei sogno creativo piuttosto che nelle

speranze un afflato totale e nella solitudine della

loro opera una vicinanza o almeno un

riconoscimento che in vita spesso non c'è.

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Nella decisione di spegnere motu proprio la vita,

per gran parte di essi, come anche per Costabile,

che pure fu tormentato fin dalla tenera infanzia

dagli abbandoni, non vi è mai una sola motivazione,

ma piuttosto una causa scatenante in un preciso

momento della vita, come una corda che sotto

continua trazione a un certo punto si spezza, ma la

causa effettiva non può essere attribuita all'ultima

tensione. Dopo il il definitivo distacco dal padre,

anche la moglie (con le due figlie) si allontana da

Roma, dove il poeta vive. Nel 1964 muore la madre

e l'anno dopo il poeta drammaticamente la segue ma

in molti versi vi è il 'sentore' di questa evenienza:

AL FIUME: [...] "Bussa il giorno / al mio corpo:/

stanche di tenermi / risuonano le mie ossa."

FORSE MORRO' SOPRA QUESTA CHITARRA:

Forse morrò sopra questa / chitarra / che conosce

il tumulto del mio /sangue. E conclude come può

solo un grande poeta : "E se bisogna attraversare il

cielo / l'appenderò sul corno della luna."

Nella poesia IO, LASSU' : "Io, lassù, / tra gli alberi

anneriti / non potevo più vivere." s'identifica con il

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carbonaro che abbandonate le "carbonaie dentro il

fumo pesante dei meriggi" raccoglie nella "grande

città" "tra le cicche e gli sputi"... "la pietà del

marciapiede".

In TU NON PUOI: "Tu non puoi / intendere le

notti / del marciapiede, / la mia vita alla luce/ delle

insegne luminose:/ erro, con passo / da soldato

sconfitto."

E in AVANZI DI OSSA "Si perdono qui le mie notti.

/ E se a volte/ questa acqua mi chiama /non ho che

remi di ossa per andare."

Infine, nell'elevarsi del suo canto, il sentimento di

perdita della speranza richiama nel poeta il desiderio

della terra muta: [...] ed anche i fiori / morirono,

lenti nel sogno./ Il mondo / è in quella terra / di

silenzi addolorati / ed io vivo / col sale del tuo

pianto".(PURE I CIELI AZZURRI).

Lui e il suo cuore non andarono d'accordo. Di

fronte a questa 'infinita' disperazione le parole

che si intrecciano nei gruppi umani sono inidonee

per qualsiasi interpretazione. Solo la pietas.

E così risponde Dante a Pier della Vigna: "tanta

pietà m'accora".

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MARIELLA MATERA

Pace al Sud

“Ecco, io e te, Meridione, dobbiamo parlarci una

volta, ragionare davvero con calma,

da soli, senza raccontarci fantasie sulle nostre

contrade.

Noi dobbiamo deciderci con questo cuore troppo

cantastorie”

Non c’è più vita tra le tue contrade, mio Sud. Tutto è

schiattato come dei conigli strafogati di pani

ammogghjiatu. Non c’è più gioventù tra i tuoi

parchi. I giochi a campana per la via sono 160

lettere scritte in sistema binario. Non c’è più fantasia

tra i tuoi borghi. Pensieri di automi tacciano

soluzioni e dall’alto degli altari le promesse sono

coriandoli biodegradabili.

Hai visto il colore del tuo mare?

Il colore del peggiore degli inferni ha assunto: il

nero dell’avidità gettato in fondo in taniche di

petrolio che odora di polvere da sparo, e il rosso

della disumanità che galleggia come fiori di

cordoglio.

Mio Sud, Mio Sud perché mi hai abbandonato?

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Non segna più mezzogiorno qui la lancetta, il

campanile tocca sempre le 15, sì, le 15, l’ora in cui

il Cristo spirò, sì, perché sei una croce amato mio

Sud. Sei la croce su cui spirano tutti i sogni e tutti i

progetti di ogni figlio che tu hai voluto partorire.

Ai piedi ci inchiodano valigie e alle mani

disilussioni. Sul nostro futuro gettano la sorte e si

vendono i nostri ideali per 30 minuti di gloria.

Avranno il loro nome della storia.

Infami, traditori e figli di buona mamma.

È questa la realtà mio Meridione.

Ah, ah, ah, ah.

Ma loro non hanno fatto bene i conti. Siamo agnelli,

non conigli, immolati per gettare semi che portano

frutto. Loro sì, credevano di ucciderci. Ah ah ah ah.

Cu mori ‘ncruci dopu tri jorna ravvivisci!

Siamo vivi tra le tue contrade mio Sud.

Siamo rosso e siamo il sangue che pulsa nelle tue

vene.

Siamo nero e siamo china che scrive una storia

romantica intonata da briganti,

con cuori troppo cantastorie.

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Pace a te, Sud.

Ti lascio la pace, ti do la mia pace.

Pace a te.

FRANCESCA ANNOSCIA & BILLY

Duu tua, duu mia

Il coraggio,

le stelle, il buio

delle case in pietra,

silenzio di cani e

lucciole,

i ciottoli delle strade

fanno impallidire la luna.

Mia Calabria,

suono di campane,

la siesta compagna,

arriva lentamente

la donna straniera.

E gli ulivi selvaggi,

imperterriti frondeggiano.

Il macellaio si nasconde,

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nel buio della sua lama

lucente.

E chiacchiere di contadine,

al mercato,

mentre la pioggia bianca

scivola sugli scaloni.

Mia Calabria,

puttana vestita

inconsapevole bambina.

Un cane piange,

chiuso nella prigione.

I suoi versi non ascoltano

gli abitanti del paese.

“Vivi e morti

cento volte impiccati”,

il tuo campo incolto

accoglie borragine e

belle di giorno.

E donne con il cappello

il sole fresco,

acciecati dallo specchio

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i maschi dal barbiere

fissano con impazienza

la donna riflessa.

Sei nata ricca,

cullata in una madia.

Troppo umile, orgoglio accanito,

non spogliarti del tuo cielo azzurro,

Questa tua anima, “così vicina

Ha paura del tuo stesso sangue.”

DAVIDE DE GRAZIA

Calabria, fiore del Mediterraneo

Calabria fiore del Mediterraneo

Calabria terra d’amuri

Calabria terra violenta.

Calabria cuore di emigranti

Calabria degli ulivi e dei pini

Calabria d’aspri monti, delle serre

E dei bambini.

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Placide valli ed alti contrafforti,

Calabria terra che brucia e che trema.

Trema la terra

Viva sotto i piedi

Calabria terra che balla.

Calabria al mare

Calabria balneare

Calabria terra da amare.

Calabria assente

Calabria inesistente

nelle agende dei politici

Calabria terra dimenticata.

Calabria bella sotto il cielo blu

Calabria mia che non esisti più.

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PIERLUIGI CUCCITTO, SIMONA BARBA

CASTAGNARO

Calabria allo specchio

Calabria allo specchio

Vento tra i capelli,

fruscio delle foglie,

sole improvviso e caldo,

fiume che scorre,

alberi lontani e arrossati,

nuvole sparse,

Estate che corre

e non si lascia aspettare.

Un anno sta volando, come l’orologio del mondo.

…Eppur, sembra ieri!

Le pietre che calpesto

le conosco bene, ormai.

Che succederà

quando non ci sarà più questo via vai?

Quale sarà

la via di fuga dai miei guai?

La clessidra dei mesi ha un regno tutto suo;

immobile scorre la vita, per innumerevoli attimi che

paion secoli,

e poi come un aquila maestosa e sovrana vola, e

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nessuno la può aggiungere.

Cosa resta di noi, in mezzo a questo folle e prezioso

turbine?

Lo specchio del ricordo avanza dentro me,

e una tristezza galoppante circonda la mia anima.

Chiudo gli occhi e sorrido, però.

Volti son quelli che vedo,

visi e anime che battagliano fieramente,

e fanno fiorire dentro me radici.

Sarà questo l’essere amici?

Sarà questo un cuore che batte dopo secoli di

deserto?

Non chiedermi perché il mondo gira così,

è già tanto se accetto di essere qui.

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PAOLA SAVIO

Chiudere gli occhi e sentire la terra

Chiudete gli occhi solo un attimo, e tornate indietro

di qualche decennio. Chiudete gli occhi solo un

attimo. Cosa vedete, sentite, assaporate? Di cos'è

fatta la vostra essenza? Di tarantelle d'estate e feste,

di voglia di ridere e ballare, di allegria e gioventù, di

cuori cantastorie e di chitarre in penombra che

suonano la vita mentre i giorni si allungano nei

profili dei colli e nei lembi dei mari, di piazze e

botteghe che splendono. Di tutto ciò che puoi ancora

scorgere attorno a te: sentieri, una piana di ulivi,

profumi, paesi soleggiati, colline, boschi silenziosi

che raccontano favole antiche, lucciole, passeri e

cicale nei loro cinguettii calabresi, fichi d'india,

aurore e albe, un sole cocente, spiagge, Francesco di

Paola, la Sila con i suoi laghi e i suoi alberi dietro

cui si scorge un tramonto d'oro perfetto, stagioni che

si alternano, dialetti resistenti. Questa terra, la mia, è

una lista di meraviglie, una lista tanto infinita e

poetica che commuoverebbe persino Whitman. E

poi c'è quello che non vedi più ma che conservi

nella memoria. Cosa conservi di così prezioso e

lontano? Vigneti, vendemmie, zappe, migliaia di viti

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sotto un sole rovente, pazienza e schiene stanche,

pensieri rivolti ad annate migliori con la

consapevolezza che ogni anno è una storia, scialli

neri, famiglie radunate attorno a un braciere. È un

cumulo di monti, orizzonti, golfi di sapienza. È tutto

un passato che si colora di presente. Basta chiudere

un attimo gli occhi per accorgersene, per lasciarsi

cullare dalla memoria. Chiudi gli occhi per un

attimo e ti sembrerà di vedere che "s'affaccia una

stella a pescare sul lago e vi sorprende gli angeli

giocare in pace con barchette di carta". È bene

vederli in quest'ottica, gli angeli. Un po' come

pensare che "nel cielo gli angeli fanno surf". Che

giochino o surfino, che importa? Immaginiamoli

così, dato che non hanno più bisogno di insegnarci i

sapori rossi di brindisi e calici ormai sfumati nel

tempo. Soltanto i morti non hanno pensieri e

finiranno con le stelle mentre noi restiamo ad

assaggiare i vini di botti antiche. Li immagino tra

stelle chiare, isole felici, luci. Li immagino andare

con altre vele, avere altre luci e altre note di mare.

L'antico splendore rinasce e la voce risuona

immortale.

Noi, invece, cosa abbiamo? Di cosa si costella la

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nostra realtà? Di inverni e parole che passano, di

lupi e padroni, di lettere (per chi ancora ne scrive).

Si costella anche di passaporti, sogni americani,

gente per il mondo che vaga all'avventura, anime di

emigrati, treni, stanchezza, valigie, paesani

sorridenti che spariscono mentre il cuore che si

riempie al passo di chi torna. Ti spieghi così come

una via perde un vecchio buongiorno, come se ne

fuggono quei cari proverbi che erano oro. Ti rivedi:

errante, con passo da soldato sconfitto, lontano ma

sempre con lo stesso sangue e con la stessa razza,

soldato, nostalgico, vagante in anonimi spazi di città

che ti lasciano ignaro degli anni perduti, ronzante

con un po' di stelle e di sole e nient'altro, viaggiatore

tra memorie e novità che vive immerso in un tempo

di alzarsi presto e partire. Un Ulisse incosciente e

incoerente "sospeso tra voglie alternate di andare e

restare". Un'anima in pena immersa nel grigiore

della finitudine, come direbbe il mio caro Bonnefoy.

Ma dove tornare se più nulla rimane? Dove tornare,

dove cercare di noi? Perché tutto fugge, perché il

tempo ci sfugge ma il senso del tempo rimane. E tu

hai atteso le foglie gialle come un'ansia d'amore

disconoscendo così la bellezza delle rose. Tu e il tuo

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cuore non andrete mai d'accordo. Tu che lasci e dici

addio. Tu che vuoi essere uguale a ogni altro uomo e

che, come ogni altro uomo, vorrai ripeterti meglio la

vita pur restando tra il nord e il sud della tua

solitudine. Tu che, però, continui ad amare la tua

terra nonostante gli andirivieni, l'essere sospeso, i

sogni da conquistatore, i ritorni. Continui ad amarlo

questo sud, continui a ricordare i bicchieri degli

angeli che giocano o le rose già aperte a maggio

anche quando una stanca primavera si spegne e una

nuova alba si leva facendo luce su una nuova

partenza. Questo sud è una terra che va rispettata, è

una terra che paga con la meraviglia della natura.

Ho chiuso gli occhi per un attimo e ho avuto modo

di vedere tutto questo. Li ho riaperti e mi sono posta

la mia solita, assillante, incessante domanda: perché

non ho mai scritto della mia terra, delle mie radici,

di un cielo così azzurro e così raro, dei miei angeli,

del mio stare e andare? Per la testardaggine di avere

così tanto da dire da sfociare nell'indicibile,

nell'inesprimibile, nell'impotenza di chi non farà mai

vibrare le corde di anime altrui nonostante conosca

queste meravigliose vibrazioni. L'ispirazione di

Costabile è ben accetta, allora. Quanti anni di sole ci

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son voluti per capire tanta oscurità, tanto disordine e

poi l'ordine, tanto dolore da bere che cresce con latte

e disgrazie.

PAOLO PILEGGI

Il canto degli ulivi

L’uomo era solo, in mezzo al campo. Osservava i

suoi olivi, con un’aria noncurante. Sembrava che

avesse altro a cui pensare che alla sua campagna.

Era un giorno molto caldo, come pochi. L’aria tersa

di quel pomeriggio primaverile, lo faceva sentire in

costante desiderio di appagare la sua sete. Con il

sudore che gli scorreva su tutto il corpo, compiva il

faticoso lavoro di potare gli alberi. Sollevò per

l’ennesima volta la sua ascia.

Certo, avrebbe dovuto seguire il consiglio di usare

una motosega, e invece no. Lui si teneva distante da

quelle cose pericolose.

Finalmente si alzò un po’ di vento, l’aria calda

diventò più sopportabile. Si mise a pensare, lo

faceva sempre quando era da solo.

Ogni colpo di ascia era un demone esorcizzato, uno

Page 29: manifest. - WordPress.com · 2015-05-28 · di certi giri di fortuna di certi riti contadini che gli diedero i natali. La sventura si consuma all'ombra grigia della madre, io che

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sfogo contro la rabbia della sua vita, ogni negatività,

ogni problema.

E ogni goccia di sudore asciugata era come se fosse

prodotta dalla lotta contro i suoi fantasmi. Riusciva

a fare questo solo quando era nel vecchio uliveto del

padre e del nonno. Non aveva mai pensato che ci

sarebbe andato, lui aveva sempre voluto fare poco

esercizio fisico, ne era un grande nemico. Del resto

voleva ricordarsi del padre, in quel luogo in cui non

era quasi nemmeno mai stato. Mangiare con l’olio

della sua terra. Un uomo che si era fatto da solo.

Si mise a piangere, finalmente, sentendo la grande

mancanza del padre. Tornava lì per quel motivo, per

risentire il più importante motivo per amare quella

terra: il fatto che chi lo aveva cresciuto da sempre,

anche dopo che anche a lui avevano cominciato a

venire un po’ di capelli bianchi, era sempre in quella

campagna. Come ricordo. Per onorare la memoria di

chi ci ha amato più di chiunque in vita nostra. E chi

gli aveva sempre donato la determinazione di lottare

nella sua vita. E non avrebbe mai dimenticato questo

debito immenso, Mai.