Mali culturali OFFICINA ITALIA Siena: assassinio CRE ATIVITÀ DA … · 2014. 7. 15. · Siena:...

1
VII il Fatto Quotidiano Venerdì 27 gennaio 2012 di Daniele Perra N ON CI CAPACITIAMO che i giovani artisti italiani, ri- spetto ai loro colleghi stranieri, non riescano a impor- si nel panorama internazionale. Non ci consola neanche constatare che solo in pochi, e nella maggior parte dei casi emigrati all’estero, siano riusciti a farlo. Mancanza di strut- ture all’avanguardia, accademie da “svecchiare”, gallerie private e istituzioni che non sostengono sufficientemente gli artisti nostrani, critici, collezionisti e curatori affetti da esterofilia? La questione è complicata, ma la mostra Offi- cina Italia 2. Nuova creatività italiana offre una risposta al dilemma. Nessuna scritta o indicazione fuori dallo spazio espositivo, nessun materiale informativo all’interno, ope- re, per lo più pittura e scultura, affastellate, un allestimento raffazzonato, un’illuminazione da fiera paesana con grossi fari da concerto lasciati a terra e alcuni lavori mai arrivati a destinazione. Dell’opera video di Meris Angioletti, ad esem- pio, rimangono solo una didascalia appiccicata al muro e un piedistallo vuoto perché del videoproiettore che avrebbe dovuto sostenere non vi è traccia. La Ex Chiesa di San Car- poforo dove ha sede il CRAB-Centro di Ricerca Accademia di Brera e che ospita la mostra, sembra abbandonata a se stessa. Sono due gli aspetti allarmanti su cui riflettere. Il primo: questa mostra ha persino avuto altre tappe prima di arrivare a Milano e alcuni degli artisti, probabilmente de- lusi, si sono persi per strada. Il secondo: dietro a quest’o- perazione non c’è qualche giovane studente che si è di- vertito a organizzare una mostra tra amici, magari dello stes- so corso d’Accademia, ma ci sono un comitato scientifico, il supporto di un comitato promotore tra cui gli Assessorati alla Cultura rispettivamente della Regione Emilia Romagna e Lombardia, un catalogo edito da Mazzotta e un curatore non certo alle prime armi come Renato Barilli. Autore di saggi, docente di Storia dell’Arte contemporanea e Feno- menologia degli stili ora in pensione, tanto brillante ai tem- pi delle sue lezioni al Dams di Bologna, quando paragonava con disinvoltura il Tondo Doni michelangiolesco a una piz- za margherita, quanto approssimativo nella regia di questa mostra. Più che un’officina, una discarica dell’arte. A quan- to pare il Padiglione Italia versione suk, alla scorsa Biennale di Venezia, ha fatto scuola. Una volta usciti rimane però un quesito. Perché quegli artisti, alcuni di talento come Mar- gherita Moscardini, hanno deciso di partecipare a un simile bazar, di dubbia progettualità? Spinti forse da un periodo di minor visibilità o perché la mostra finisce e a rimanere sono le immagini patinate su un catalogo da aggiungere in bi- bliografia. Se i nostri giovani artisti faticano a varcare i con- fini, la colpa, purtroppo, è anche un po’ loro. Officina Italia 2. Nuova creatività italiana, CRAB-Ac- cademia di Brera, Mila- no, fino al 12 feb- braio;www.cen- troricerca- brera.it ARTI Siena: assassinio della Cattedrale Mali culturali Il patrimonio del Duomo rischia d’esser gestito da un cinico marketing, mentre nel restauro del pavimento le bandiere diventano giraffe OFFICINA ITALIA CREATIVITÀ DA DISCARICA MOSTRE E MOSTRI • DA VEDERE: Tutte le migliori pub- blicazioni di fotogra- fia latinoamericana realizzate tra il 1921 e il 2012 riunite in una mostra, com- presi alcuni libri d’ar- tista con dibattiti e performance intorno al tema. Foto/gráfi- ca è di nicchia, ma preziosa e appro- fondita, perché frutto di una rigorosa ri- cerca durata tre anni, setacciando biblio- teche e archivi di 19 Paesi, da Cuba alla Patagonia. Parigi, Le Bal, fino all’8 apri- le. www.le-bal.fr • DA EVITARE: Ai grandi maestri (quasi) tutto è conces- so. Ma David Hockney iper tecnologico alle prese con l’iPad non convince. Ope- re monumentali, sicuramente ad effetto, ma senz’anima. Preferiamo ricordarlo mentre scattava polaroid nella Los An- geles degli anni ‘70. I living room, le pi- scine nell’assolata California e i ritratti. David Hockney RA: A Bigger Picture. Londra, Royal Academy of Arts, fino al 9 aprile. www.royalacademy.org.uk di Marco Filoni P RENDIAMO UN gruppo di studenti univer- sitari del primo anno a un corso di arte. Do- mandiamo loro se la Cappella Sistina è bella. Do- manda retorica, certo, però è interessante chie- dere, subito dopo la loro risposta affermativa, il “perché” è bella. E magari dopo aver ascoltato le motivazioni, si può legger qualche riga, senza svelare l’identità dell’autore, dal quale emerge un’insoddisfazione e un giudizio non troppo lu- singhiero su quel lavoro. Soltanto dopo si dirà a quegli studenti che è proprio Michelangelo ad aver giudicato la sua opera con amarezza. Questa sorta di esperimento è l’incipit di uno dei miglio- ri libri usciti di recente sull’arte. Lo ha scritto Se- rena Giordano, provocatorio e intelligente sin dal titolo: Disimparare l’arte. Manuale di an- tididattica (il Mulino). E va raccomandato a tutti quelli che, in vario modo, dai curatori ai docenti agli artisti stessi, hanno a che fare con quel mon- do. Giordano, che insegna all’Accademia di Belle Arti di Genova, ha potuto sperimentare con i pro- pri studenti una serie di domande affatto banali. L’esempio della Sistina è esemplare: perché la sua bellezza è indiscutibile? Perché di fronte a due opere d’arte, come la Gioconda di Leonardo e la Merda d’artista di Piero Manzoni, gli studen- ti sono propensi a considerare un capolavoro so- lo la prima perché frutto di una tecnica? Eppure la Merda d’artista, ricorda Giordano, è esposta alla Tate di Londra e in altri musei di prim’ordine, valutata a cifre impensabili, oggetto di desiderio di non pochi collezionisti. Insomma, Giordano ci ricorda che tanto la Gioconda quanto la provo- cazione di Manzoni «si sono guadagnati lo status di opera d’arte in base a riconoscimenti sociali e non estetici e che quelli sociali, a differenza dei secondi, sono determinanti». Lo stesso vale per il nostro patrimonio artistico: là dove c’è il bollino di “bene culturale”, come nel caso dell’Altare della Patria a Roma, allora è automaticamente bello, va tutelato e conservato. Eppure questa in- discutibilità, questa magnificente espressione artistica, rischia di generare un paradosso: pro- prio perché indiscussa quest’opera può, e spes- so succede nello sguardo delle giovani genera- zioni, diventare invisibile. E allora converrà ri- flettere su quanto diceva Andy Warhol: «La cosa più bella di Firenze è il McDonald’s». Ci si può indignare, si potrà dire che è una frase tagliente e, ad arte, irritante. Oppure la si può usare come uno spunto, come viene fatto in questo libro, per liberarsi da una serie di paradigmi. I quali, va det- to, sono vivi, verificati, di sicuro utili. Eppure nessuno li mette mai in discussione. Che succe- de se per un momento proviamo ad astrarci da queste regole universali della storia dell’arte e facciamo un ragionamento differente? C’è forse chi giudicherà irrituale, perciò illegittima, tale messa in discussione. Ma la didattica dell’arte e del nostro straordinario patrimonio può giovarsi di questo approccio. In un paese dove sempre minore è l’interesse per la cultura artistica (per non dire dei tagli o dello stato precario in cui ver- sano i nostri monumenti, da Pompei al Colos- seo), riuscire ad appassionare i giovani, interes- sarli, coinvolgerli, è comunque un’operazione interessante. E se per farlo, fra altre opzioni, è utile mettere a confronto una tela del Tintoretto con una striscia di Superman o di Spiderman, nessuno indignato stupore. Sarà soltanto, come ci insegnano con intelligenza queste pagine, un modo per «far uscire dalla scuola la storia dell’ar- te e collegarla con gli infiniti spunti che ci cir- condano». Serena Giordano, Disimparare l’arte, il Mulino, pagg. 211, 15,00 di Tomaso Montanari «Q UANTI, COL PIÈ fango- so, nulla curanti calpe- stano il bellissimo pavi- mento della chiesa catte- drale di Siena? … Egli è tutto a gran lastre di fino marmo bianco istoriate con tratti di scarpello in semplici linee piane che sol descrivono i corpi. Ma l’opera è d’ec- cellente lavoro». Quando, nel 1660, scri- veva Daniello Bartoli, quel famoso pa- vimento era già antico: se ancora oggi possiamo goderne è merito dell’Opera della Metropolitana di Siena, fossile vi- vente che da quasi ottocentocinquan- t’anni tramanda il gran corpo del Duo- mo, sede dell’arcivescovo metropolita. Oggi, tuttavia, nubi tempestose si affol- lano sul destino di quella gloriosa isti- tuzione: dove non hanno potuto la Peste Nera, la caduta di Siena e la dominazione medicea potrebbe riuscire il cinico mar- keting del patrimonio artistico. Una recentissima interrogazione parla- mentare della deputata PD Susanna Cen- ni rivela che l’Opera (una onlus con un volume d’affari annuo di sei milioni di in un monumentale conflitto di interes- si. E colpisce che lo spirito felicemente municipalista di Siena si sia sgretolato fino ad appaltare a maneggi fiorentini nientemeno che il Duomo, monumento civico e identitario non meno che re- ligioso. Sarà il ministro dell’Interno, e poi forse la magistratura, a dirci se è in corso una mutazione genetica dell’Opera del Duo- mo. Ma anche se – come speriamo – non ci saranno implicazioni fiscali o penali, esiste un colossale problema culturale. L’Opera è un bene comune per eccel- lenza, chiamato da secoli a fare solo e soltanto gli interessi della collettività, cioè del popolo di Siena: come si con- cilia con questa storia l’idea di appaltare, e addirittura cedere, le sue iniziative cul- turali ad una società privata con fini di lucro? Alcune conseguenze di questa mutazio- ne investono già il patrimonio artistico. Da anni, gli interventi di restauro e di manutenzione nella Cattedrale sfuggo- no sistematicamente al controllo e al va- glio della Soprintendenza (specie da quando questa è retta da Mario Scalini, uscito proprio dal vivaio del Polo mu- seale fiorentino), con la conseguenza che opere di artisti come Nicola Pisano, Michelangelo o Bernini sono oggetto di restauri ispirati più al marketing che non a ragioni di conservazione o conoscen- za. Ma il punto più basso si è forse toc- cato con il restauro del famoso pavimen- to, dove gli scalpellini vanno manipo- lando le forme, trasformando arbitraria- mente vessilli in teste di giraffa, e ser- penti in lombrichi. Così, la metafora barocca del padre Bartoli è ormai realtà: «Quanti, col piè fangoso, calpestano il bel- lissimo pavimen- to della chiesa cat- tedrale di Siena?». Possibile che nel- la colta e orgoglio- sa Siena nessuno voglia fermare quei piedi fango- si? Colorato Bazar Anna Galtarossa, “Totem”, 2010. Foto di Michele Sereni. Courtesy Studio La Città, Verona. Dal vessillo all’animale Particolari del restauro. Sotto: restauratore al lavoro sul pavimento del Duomo senese euro) ha ceduto un ramo d’azienda (quello che si occupa di accoglienza, mar- keting e – tenetevi forte – iniziative cul- turali), con ben dodi- ci dipendenti (i quali hanno fatto ricorso, impugnando la ces- sione), ad una società privata con fini di lu- cro: Opera Laborato- ri Fiorentini, una controllata di Civita. La cessione è avvenuta per un prezzo in- credibilmente esiguo (42.000 euro) e, contemporaneamente, l’Opera Metro- politana ha appaltato ad Opera Labora- tori quelle stesse funzioni. L’interrogan- te chiede al ministro degli Interni (il qua- le, attraverso il prefetto di Siena, nomina i vertici dell’Opera) se questa singolare operazione non finisca per modificare occultamente la natura dell’ente, da onlus a normale azienda, rischiando inoltre «di mettere in discussione la cen- tralità degli enti cittadini nella gestione del proprio patrimonio culturale, dimi- nuendo attività e prestigio di una delle più antiche istituzioni italiane ed euro- pee». E i dubbi sono più che fondati, visto che Opera Laboratori Fiorentini è uno dei pilastri del discutibile sistema del Polo Museale di Firenze così come è stato costruito da Antonio Paolucci ed ereditato da Cristina Acidini. Basti dire che pochi giorni fa un giornalista del «Giornale della Toscana» ha annunciato di esser stato assunto come addetto stampa dell’Acidini, specificando che il suo stipendio sarà pagato proprio da Opera: così quest’ultima parteciperà a gare (per mo- stre, gestioni museali e servi- zi aggiuntivi) in cui dovrà esser selezionata dal- la soprinten- dente a cui pa- ga il portavoce, ERME PERCHÉ LA SISTINA È BELLA

Transcript of Mali culturali OFFICINA ITALIA Siena: assassinio CRE ATIVITÀ DA … · 2014. 7. 15. · Siena:...

  • VIIil Fatto Quotidiano Venerdì 27 gennaio 2012

    di Daniele Perra

    NON CI CAPACITIAMO che i giovani artisti italiani, ri-spetto ai loro colleghi stranieri, non riescano a impor-si nel panorama internazionale. Non ci consola neancheconstatare che solo in pochi, e nella maggior parte dei casiemigrati all’estero, siano riusciti a farlo. Mancanza di strut-ture all’avanguardia, accademie da “s ve c ch i a re ”, gallerieprivate e istituzioni che non sostengono sufficientementegli artisti nostrani, critici, collezionisti e curatori affetti daesterofilia? La questione è complicata, ma la mostra Offi -cina Italia 2. Nuova creatività italiana offre una rispostaal dilemma. Nessuna scritta o indicazione fuori dallo spazioespositivo, nessun materiale informativo all’interno, ope-re, per lo più pittura e scultura, affastellate, un allestimentoraffazzonato, un’illuminazione da fiera paesana con grossifari da concerto lasciati a terra e alcuni lavori mai arrivati adestinazione. Dell’opera video di Meris Angioletti, ad esem-pio, rimangono solo una didascalia appiccicata al muro e unpiedistallo vuoto perché del videoproiettore che avrebbedovuto sostenere non vi è traccia. La Ex Chiesa di San Car-poforo dove ha sede il CRAB-Centro di Ricerca Accademiadi Brera e che ospita la mostra, sembra abbandonata a sestessa. Sono due gli aspetti allarmanti su cui riflettere. Ilprimo: questa mostra ha persino avuto altre tappe prima diarrivare a Milano e alcuni degli artisti, probabilmente de-lusi, si sono persi per strada. Il secondo: dietro a quest’o-perazione non c’è qualche giovane studente che si è di-vertito a organizzare una mostra tra amici, magari dello stes-so corso d’Accademia, ma ci sono un comitato scientifico, ilsupporto di un comitato promotore tra cui gli Assessoratialla Cultura rispettivamente della Regione Emilia Romagnae Lombardia, un catalogo edito da Mazzotta e un curatorenon certo alle prime armi come Renato Barilli. Autore disaggi, docente di Storia dell’Arte contemporanea e Feno-menologia degli stili ora in pensione, tanto brillante ai tem-pi delle sue lezioni al Dams di Bologna, quando paragonavacon disinvoltura il Tondo Doni michelangiolesco a una piz-za margherita, quanto approssimativo nella regia di questamostra. Più che un’officina, una discarica dell’arte. A quan-to pare il Padiglione Italia versione suk, alla scorsa Biennaledi Venezia, ha fatto scuola. Una volta usciti rimane però unquesito. Perché quegli artisti, alcuni di talento come Mar-gherita Moscardini, hanno deciso di partecipare a un similebazar, di dubbia progettualità? Spinti forse da un periodo diminor visibilità o perché la mostra finisce e a rimanere sonole immagini patinate su un catalogo da aggiungere in bi-bliografia. Se i nostri giovani artisti faticano a varcare i con-fini, la colpa, purtroppo, è anche un po’ l o ro .Officina Italia 2. Nuova creatività italiana, CRAB-Ac-cademia di Brera, Mila-no, fino al 12 feb-braio;www.cen -troricerca -b re r a . i t

    A RT I

    Siena: assassiniodella Cattedrale

    Mali culturali

    Il patrimonio del Duomo rischia d’esser gestito da un cinico marketing,

    mentre nel restauro del pavimento le bandiere diventano giraffe

    OFFICINA ITALIA

    CRE ATIVITÀDA DISCARICA

    MOSTRE E MOSTRI• DA VEDERE:Tutte le migliori pub-blicazioni di fotogra-fia latinoamericanarealizzate tra il 1921e il 2012 riunite inuna mostra, com-presi alcuni libri d’a r-tista con dibattiti eperformance intornoal tema. Foto/gráf i-ca è di nicchia, ma preziosa e appro-fondita, perché frutto di una rigorosa ri-cerca durata tre anni, setacciando biblio-teche e archivi di 19 Paesi, da Cuba allaPatagonia. Parigi, Le Bal, fino all’8 apri-le. w w w. l e - b a l . f r

    • DA EVITARE:Ai grandi maestri (quasi) tutto è conces-so. Ma David Hockney iper tecnologicoalle prese con l’iPad non convince. Ope-re monumentali, sicuramente ad effetto,ma senz’anima. Preferiamo ricordarlomentre scattava polaroid nella Los An-geles degli anni ‘70. I living room, le pi-scine nell’assolata California e i ritratti.David Hockney RA: A Bigger Picture.Londra, Royal Academy of Arts, fino al9 aprile. www.royalac ademy.org.uk

    di Marco Filoni

    PRENDIAMO UN gruppo di studenti univer-sitari del primo anno a un corso di arte. Do-mandiamo loro se la Cappella Sistina è bella. Do-manda retorica, certo, però è interessante chie-dere, subito dopo la loro risposta affermativa, il“p e rch é ” è bella. E magari dopo aver ascoltato lemotivazioni, si può legger qualche riga, senzasvelare l’identità dell’autore, dal quale emergeun’insoddisfazione e un giudizio non troppo lu-singhiero su quel lavoro. Soltanto dopo si dirà aquegli studenti che è proprio Michelangelo adaver giudicato la sua opera con amarezza. Questasorta di esperimento è l’incipit di uno dei miglio-ri libri usciti di recente sull’arte. Lo ha scritto Se-rena Giordano, provocatorio e intelligente sindal titolo: Disimparare l’arte. Manuale di an-tididattica (il Mulino). E va raccomandato a tuttiquelli che, in vario modo, dai curatori ai docentiagli artisti stessi, hanno a che fare con quel mon-do. Giordano, che insegna all’Accademia di BelleArti di Genova, ha potuto sperimentare con i pro-pri studenti una serie di domande affatto banali.L’esempio della Sistina è esemplare: perché lasua bellezza è indiscutibile? Perché di fronte adue opere d’arte, come la Gioconda di Leonardoe la Merda d’artista di Piero Manzoni, gli studen-ti sono propensi a considerare un capolavoro so-

    lo la prima perché frutto di una tecnica? Eppurela Merda d’ar tista, ricorda Giordano, è espostaalla Tate di Londra e in altri musei di prim’o rd i n e ,valutata a cifre impensabili, oggetto di desideriodi non pochi collezionisti. Insomma, Giordano ciricorda che tanto la Gioconda quanto la provo-cazione di Manzoni «si sono guadagnati lo statusdi opera d’arte in base a riconoscimenti sociali enon estetici e che quelli sociali, a differenza deisecondi, sono determinanti». Lo stesso vale per ilnostro patrimonio artistico: là dove c’è il bollinodi “bene culturale”, come nel caso dell’A l t a redella Patria a Roma, allora è automaticamentebello, va tutelato e conservato. Eppure questa in-discutibilità, questa magnificente espressioneartistica, rischia di generare un paradosso: pro-prio perché indiscussa quest’opera può, e spes-so succede nello sguardo delle giovani genera-zioni, diventare invisibile. E allora converrà ri-flettere su quanto diceva Andy Warhol: «La cosapiù bella di Firenze è il McDonald’s». Ci si puòindignare, si potrà dire che è una frase tagliente e,ad arte, irritante. Oppure la si può usare comeuno spunto, come viene fatto in questo libro, perliberarsi da una serie di paradigmi. I quali, va det-to, sono vivi, verificati, di sicuro utili. Eppurenessuno li mette mai in discussione. Che succe-de se per un momento proviamo ad astrarci daqueste regole universali della storia dell’arte e

    facciamo un ragionamento differente? C’è forsechi giudicherà irrituale, perciò illegittima, talemessa in discussione. Ma la didattica dell’arte edel nostro straordinario patrimonio può giovarsidi questo approccio. In un paese dove sempreminore è l’interesse per la cultura artistica (pernon dire dei tagli o dello stato precario in cui ver-sano i nostri monumenti, da Pompei al Colos-seo), riuscire ad appassionare i giovani, interes-sarli, coinvolgerli, è comunque un’o p e ra z i o n einteressante. E se per farlo, fra altre opzioni, èutile mettere a confronto una tela del Tintorettocon una striscia di Superman o di Spiderman,nessuno indignato stupore. Sarà soltanto, comeci insegnano con intelligenza queste pagine, unmodo per «far uscire dalla scuola la storia dell’ar -te e collegarla con gli infiniti spunti che ci cir-condano».Serena Giordano, Disimparare l’arte, ilMulino, pagg. 211, € 15,00

    di Tomaso Montanari

    «Q UANTI, COL PIÈ fa n go -so, nulla curanti calpe-stano il bellissimo pavi-mento della chiesa catte-drale di Siena? … Egli è tutto a gran lastredi fino marmo bianco istoriate con trattidi scarpello in semplici linee piane chesol descrivono i corpi. Ma l’opera è d’ec-cellente lavoro». Quando, nel 1660, scri-veva Daniello Bartoli, quel famoso pa-vimento era già antico: se ancora oggipossiamo goderne è merito dell’O p e radella Metropolitana di Siena, fossile vi-vente che da quasi ottocentocinquan-t’anni tramanda il gran corpo del Duo-mo, sede dell’arcivescovo metropolita.Oggi, tuttavia, nubi tempestose si affol-lano sul destino di quella gloriosa isti-tuzione: dove non hanno potuto la PesteNera, la caduta di Siena e la dominazionemedicea potrebbe riuscire il cinico mar-keting del patrimonio artistico.Una recentissima interrogazione parla-mentare della deputata PD Susanna Cen-ni rivela che l’Opera (una onlus con unvolume d’affari annuo di sei milioni di

    in un monumentale conflitto di interes-si. E colpisce che lo spirito felicementemunicipalista di Siena si sia sgretolatofino ad appaltare a maneggi fiorentininientemeno che il Duomo, monumentocivico e identitario non meno che re-lig ioso.Sarà il ministro dell’Interno, e poi forsela magistratura, a dirci se è in corso unamutazione genetica dell’Opera del Duo-mo. Ma anche se – come speriamo – nonci saranno implicazioni fiscali o penali,esiste un colossale problema culturale.L’Opera è un bene comune per eccel-lenza, chiamato da secoli a fare solo esoltanto gli interessi della collettività,cioè del popolo di Siena: come si con-cilia con questa storia l’idea di appaltare,e addirittura cedere, le sue iniziative cul-turali ad una società privata con fini dil u c ro ?Alcune conseguenze di questa mutazio-ne investono già il patrimonio artistico.Da anni, gli interventi di restauro e dimanutenzione nella Cattedrale sfuggo-no sistematicamente al controllo e al va-glio della Soprintendenza (specie daquando questa è retta da Mario Scalini,uscito proprio dal vivaio del Polo mu-seale fiorentino), con la conseguenzache opere di artisti come Nicola Pisano,Michelangelo o Bernini sono oggetto direstauri ispirati più al marketing che nona ragioni di conservazione o conoscen-za. Ma il punto più basso si è forse toc-cato con il restauro del famoso pavimen-to, dove gli scalpellini vanno manipo-lando le forme, trasformando arbitraria-mente vessilli in teste di giraffa, e ser-penti in lombrichi.

    Così, la metaforabarocca del padreBartoli è ormairealtà: «Quanti,col piè fangoso,calpestano il bel-lissimo pavimen-to della chiesa cat-tedrale di Siena?».Possibile che nel-la colta e orgoglio-sa Siena nessunovoglia fermarequei piedi fango-si? C

    olor

    ato

    Baz

    arA

    nna

    Gal

    taro

    ssa,

    “T

    o tem

    ”,20

    10. F

    oto

    di M

    iche

    leS

    eren

    i. C

    ourt

    esy

    Stu

    dio

    La

    Cit

    tà, V

    eron

    a.

    Dal vessilloall’an i m a l e

    Particolari del restauro.Sotto: restauratore al

    lavoro sul pavimento delDuomo senese

    euro) ha ceduto unramo d’azienda(quello che si occupadi accoglienza, mar-keting e – tenete viforte – iniziative cul-turali), con ben dodi-ci dipendenti (i qualihanno fatto ricorso,impugnando la ces-sione), ad una societàprivata con fini di lu-cro: Opera Laborato-

    ri Fiorentini, una controllata di Civita. Lacessione è avvenuta per un prezzo in-credibilmente esiguo (42.000 euro) e,contemporaneamente, l’Opera Metro-politana ha appaltato ad Opera Labora-tori quelle stesse funzioni. L’inter rogan-te chiede al ministro degli Interni (il qua-le, attraverso il prefetto di Siena, nominai vertici dell’Opera) se questa singolareoperazione non finisca per modificareoccultamente la natura dell’ente, daonlus a normale azienda, rischiandoinoltre «di mettere in discussione la cen-tralità degli enti cittadini nella gestionedel proprio patrimonio culturale, dimi-nuendo attività e prestigio di una dellepiù antiche istituzioni italiane ed euro-pee». E i dubbi sono più che fondati,visto che Opera Laboratori Fiorentini èuno dei pilastri del discutibile sistemadel Polo Museale di Firenze così come èstato costruito da Antonio Paolucci edereditato da Cristina Acidini. Basti direche pochi giorni fa un giornalista del«Giornale della Toscana» ha annunciatodi esser stato assunto come addettostampa dell’Acidini, specificando che ilsuo stipendiosarà pagatoproprio daOpera: cosìquest’ultimaparteciperà agare (per mo-stre, gestionimuseali e servi-zi aggiuntivi) incui dovrà esserselezionata dal-la soprinten-dente a cui pa-ga il portavoce,

    ERME

    PERCHÉ LA SISTINA È BELLA