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20 novembre 2012 Periodico di approfondimento della Scuola di giornalismo dell’Università Cattolica del Sacro Cuore www.magzine.it magzine Amedeo ricucci, armato di telecamera per raccontare i conflitti da tutto il mondo Testimone di guerra testimone di guerra Amedeo ricucci, armato di telecamera per raccontare i conflitti da tutto il mondo Le sfide di Tawadros all’alba del nuovo Egitto La finanza al servizio dei supercomputer Il Novecento in rete

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magzine is a project of the School of Journalism at Catholic University. Multimedia journalism is our language to report. We cover local, national and international stories with radio, documentary film and audioslideshow productions. Our main interest is for investigative journalism. This is a selection of our works. We hope you enjoy the view. You can contact us at [email protected]

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20novembre 2012

Periodico di approfondimento della Scuola di giornalismo dell’Università Cattolica del Sacro Cuorewww.magzine.it

magzine

Amedeo ricucci, armato di telecamera per raccontarei conflitti da tutto il mondo

Testimone di guerratestimonedi guerra

Amedeo ricucci, armato di telecamera per raccontarei conflitti da tutto il mondo

Le sfide di Tawadros all’alba del nuovo Egitto

La finanza al servizio dei supercomputer

Il Novecento in rete

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giornalismo

medeo Ricucci è un viaggia-

tore instancabile. È un giornali-

sta che continua a consumare le

suole delle scarpe in giro per il

mondo. Ma non c’è niente di

retorico, niente di ‘mitico’ nel

suo approccio al mestiere: avendo visto coi

propri occhi i più crudeli fronti di guerra, ha

sviluppato un sufficiente grado di disincan-

to per mettere al bando ogni enfasi. Due

molle lo spingono da un capo all’altro del

mondo: la curiosità e la passione per il pro-

prio mestiere che pratica con l’umiltà di un

onesto artigiano dell’informazione. Il narci-

sismo dell’autocitazione, lo lascia ad altri.

«Dopo una laurea in Economia - spie-

ga Ricucci - e un master in Relazioni inter-

nazionali mi sono trasferito in Africa, dove

sono riuscito a trovare un posto come Jpo

nell’ufficio stampa dell’Unicef per l’Africa

Occidentale e Centrale: ho passato quattro

anni a girare il Continente Nero e a farmi

un’esperienza preziosa. L’Africa per me è

stata una sorta di ‘battesimo del fuoco’. Gra-

zie a quest’esperienza, ho iniziato a collabo-

rare con diverse testate italiane: Il Manife-

sto,Avvenimenti, L’Espresso e Nigrizia».

Come è diventato un reporter

televisivo?

«Nel 1993 ho cominciato a maneggiare

una piccola telecamera ed è iniziata, insieme

a Milena Gabanelli, la mia esperienza in Rai.

Il programma si chiamava Professione

Reporter».

Un sogno che si realizzava?

«Sì, ma non immaginavo che mi avreb-

bero atteso dieci anni di precariato. Così,

dopo aver fatto l’inviato all’estero per anni (a

Professione Reporter, Mixer, TG1), copren-

do le crisi internazionali più importanti,

decisi di far causa alla Rai, visto che non c’era

altro modo per far valere i miei diritti. Nel

2004 un giudice del lavoro ha imposto la

mia assunzione: ne vado molto fiero perché

ce l’ho fatta da solo, senza l’ausilio esterno di

leader politici che mi proteggessero».

Da qui, una lunga carriera in Rai

e la frequentazione di molti fronti di

guerra.

«Lavoro dal 2005 nel format La Storia

siamo noi continuando a fare inchieste,

documentari e reportage soprattutto dal

Medio Oriente, dal Nord Africa e dai territo-

ri dell’ex Unione Sovietica. L’ultima tappa è

stata la Siria. In questo caso ho sperimenta-

to l’interattività sul web. Con un accordo con

il quotidiano Repubblica abbiamo svilup-

pato una mappa interattiva, consultabile

anche dal sito de “La storia siamo noi”. In

questo modo, tappa per tappa, mentre io,

Cristiano Tinazzi ed Elio Colavolpe

eravamo in Siria, abbiamo guidato chi ci

seguiva dentro una guerra di cui, in Occiden-

te, si sa poco e male».

Cosa avete visto in Siria?

«Sono arrivato in Siria il giorno del

grande attentato del 10 maggio. L’ho ribat-

tezzato “attentatuni”, per le affinità che ho

riscontrato con la strage di Capaci. Arrivan-

do dalla Libia, ero convinto che ci fosse una

situazione analoga. Ed effettivamente, pur

non essendo assimilabili, esistono delle ana-

logie tra ciò che è accaduto in Libia e ciò che

sta accadendo ora in Siria. In entrambi i

casi parliamo di regimi oppressivi. E in tut-

ti e due i casi assistiamo a due 'narrative'

contrapposte: bisogna provare a scavare la

verità dei fatti dietro i racconti sia del regi-

me che dell’opposizione armata. Detto ciò,

per quanto non condivida la scelta armata,

la mia simpatia va all’opposizione siriana

scesa in piazza nel marzo 2011. È deplore-

vole il comportamento del regime di Assad:

parla di “gruppi terroristici” , mentre que-

sta è prevalentemente una rivoluzione di

piazza. Considero le reazioni violente del-

l'opposizione peccati veniali rispetto alla

repressione del regime. Non è facile arriva-

re alla verità dei nudi fatti in Siria: le perso-

ne non si sfogano apertamente perché han-

no paura del governo Assad. Ho cercato di

restituire quel che ho visto in un documen-

tario per La storia siamo noi, appena anda-

to in onda».

Armato di telecameraper raccontare la guerra

Dal Nord Africa all’ex Unione Sovietica fino all’ultimo reportage in Siria. In vent’anniAmedeo Ricucci ha filmato scenari bellici di mezzo mondo. Cominciando da precario

di Francesco Mattana

A

MAGZINE 20 | novembre 20122

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MAGZINE 20 | novembre 2012 3

Nel caso del conflitto siriano,

come è possibile barcamenarsi, tra la

propaganda e le testimonianze on

the fields?

«Molti colleghi soffrono di seri disturbi

della vista: 'miopi' sono quelli che restando

a casa non riescono a vedere al di là dei pro-

pri occhi; 'presbiti' sono quelli che restano

appiattiti sulla cronaca e non colgono il qua-

dro generale; 'ipermetropi' o 'astigmatici'

quelli che, ovunque siano, fanno fatica a

mettere a fuoco gli avvenimenti che dovreb-

bero raccontare al loro pubblico. Bisogna

tener conto poi che le testate, con approccio

superficiale, chiedono il pezzo di colore.

Invece, per occuparsi di alcune crisi interna-

zionali, ci vuole la perizia di un chirurgo».

Quanto è stato importante per la

sua formazione professionale l’esse-

re cresciuto negli anni Settanta?

«La mia generazione aveva l'impegno

politico scritto nel dna. Nel mio caso perso-

nale, si è unita alla passione per i fronti di

guerra che è nata da bambino: guardavo l'in-

viato Marcello Alessandri dal Vietnam

sognando un giorno di seguire le sue orme».

Quali sono state le chiavi di volta

della sua carriera professionale?

«Senza dubbio il primo momento in cui

ho avuto in mano una telecamera. Ma non

posso dimenticare il momento più dram-

matico: vedere il mio amico e collega Raf-

faele Ciriellomorire davanti ai miei occhi

mi ha spinto a interrogarmi sul senso di que-

sto mestiere. Tutto quello che posso dire su

quella storia è che mi ha segnato profonda-

mente. Chi pensa che i giornalisti debbano

essere degli eroi votati al martirio dice una

grande sciocchezza».

Non tutti i giornalisti sono taglia-

ti per fare questo mestiere viaggian-

do in luoghi ostili. Ci sono delle con-

troindicazioni?

«Lo 'choc da sbarco' colpisce i viaggia-

tori solitari e soprattutto quelli che frequen-

tano mete poco battute, dove non ci sono

regole che tengano. Ci sono posti dove devi

inventarti soluzioni inedite per poter arriva-

re alla tua vera destinazione: fare l’autostop,

oppure aspettare una giornata intera che

qualcuno venga a cercarti, come è capitato a

me in Uganda. Ad ogni modo, è sempre

meglio lo 'choc da sbarco' che la sicurezza

artefatta dei viaggi stampa in gruppo, all

inclusive e senza emozioni».

È cambiato il modo di racconta-

re il mondo?

«L'informazione contemporanea ha

un forte bisogno di immediatezza a scapito

della qualità. Però attenzione a non attribui-

re alla modernità tutte le colpe: la manipola-

zione delle notizie, ad esempio, esiste da

quando esiste il potere. Diciamo che il lato

più negativo rispetto al passato è questa pro-

gressiva riduzione di importanza della clas-

se dei giornalisti. Ed è una strada molto

rischiosa».

I 'ferri vecchi' del mestiere, cioè

penna e taccuino, valgono sempre?

«La curiosità, l’onestà, la passione, la

competenza, il rispetto degli altri e l’etica del

vero servizio pubblico sono le basi della

nostra professione, sono evergreen. Per me

il giornalismo si fa così. In tasca mi porto

sempre i miei ferri vecchi. Pesano, sì, ma aiu-

tano a risolvere le situazioni più difficili».

Chi pensa che i giornalistidebbano essere deglieroi votati al martirio diceuna grande sciocchezza

Per saperne di più

Amedeo Ricucci, La guerra in diretta,

Bologna, Pendragon, 2004

Gli ultimi reportage realizzati per “La sto-

ria siamo noi”

"La guerra di Gheddafi e le bombe della

Nato" (2011)

"Muhammar Gheddafi: Tutti i volti del

potere" (2011)

"I fiori di Sidi Bouzid" (2011)

"I fantasmi della nuova Libia" (2012)

Foto di Elio Colavolpe

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esteri

IMOSTRARE CHE IL DIALOGO inter-

religioso in Egitto è possibile: è

questa la sfida che attende il

nuovo papa copto-ortodosso

Tawadros, eletto al Cairo nel-

la cattedrale di San Marco ed entrato in cari-

ca il 18 novembre scorso. È succeduto a

Shenouda III, al secolo Nazeer Gayed

Roufail, che fu papa dal 1971, dai tempi di

Sadat, e morto nel marzo scorso. Tawadros

è il 118esimo papa di Alessandria nonché

Patriarca della Santa Sede di San Marco,

scelto da 2400 membri del clero copto tra i

tre candidati: insieme a Tawadros c’erano il

vescovo Raphael e frate Raphael Ava

Mina.

«Tawadros proviene dal cuore della

comunità copta, il Delta del Nilo, che è pure la

zona più ricca del Paese e il centro industriale

dell’Egitto. Non è un caso che molti dei leader

del Paese, sia del vecchio che del nuovo regi-

me, provengano da qui». Lo afferma Paola

Caridi, giornalista free lance e direttrice del

blog Invisiblearabs.com, esperta del mondo

politico e religioso egiziano.

Il Delta del Nilo è anche il cuore di nuove

istanze sociali e religiose che si declinano in

politica: non è un caso che i leader salafiti qui

abbiano il maggior numero di seguaci. Così il

ruolo di Tawadros si profila decisivo tra le

comunità religiose come in politica. «Il con-

formismo religioso - spiega Caridi - fa parte

del dna del Paese, e questo vale sia per i copti

che per musulmani».

Ma la comunità copta è una minoranza

e Tawadros dovrà gioco-forza confrontarsi

con l’istanza più impellente: favorire il dialo-

go con la maggioranza musulmana-sunnita

nel Paese. «Per lungo tempo i copti - dice

Caridi - pari al 10% della popolazione egizia-

na, si sono rapportati con l’establishment

governativo trattando come comunità “a par-

te”, senza alcuna richiesta di integrazione. Di

contro, i regimi precedenti hanno difeso i cop-

ti ma li hanno anche usati: si veda il caso di

Boutros-Ghali». Boutros-Ghali divenne

Segretario Generale delle Nazioni Unite: la

sua figura è stata spesso tirata in ballo dal

governo Mubarak come esempio lampante

dell’integrazione della comunità copta in

Egitto.

Secondo Caridi, Tawadros ha un’idea

diversa su come venire a patti con la nuova

dirigenza egiziana: «Tawadros vuole difen-

dere i diritti di tutti gli egiziani. E della stessa

idea sono i copti che sono scesi in piazza con i

sunniti a piazza Tahrir. Su queste basi, Tawa-

dros non insisterà più sul dialogo copti-

musulmani (inteso come minoranza che

chiede udienza alla maggioranza) ma difen-

derà la convinzione che i copti siano essi stes-

si parte del popolo egiziano. Il tutto, in conti-

nuità con le richieste provenienti dal popolo

di Piazza Tahrir. Proprio qui si vede il più

grande punto di rottura con il suo predeces-

sore».

Più importante ancora è la visione di

Tawadros nei confronti della Costituzione

egiziana, annunciata dal neo-presidente

Mohamed Morsi e che ha fatto scoppiare

disordini e proteste . «Il papa copto - dichiara

Caridi – sostiene che non si può fare dell’Egit-

to un Paese con un’impronta religiosa così

forte. Nella precedente costituzione del 1971

si parlava vagamente dell’Islam in Egitto ma

senza forzare la mano sul Corano. Questo è

sempre stato il timore fondato della comuni-

tà copta» che ha sostenuto alle ultime presi-

denziali (maggio-giugno 2012) un candidato

del vecchio regime come Ahmad Shafiq,

sconfitto dal dirigente dei Fratelli musulma-

ni Mohammed Morsi».

Nell’Egitto del dopo Tahrir, in cui la

paura di una deriva letteralista e intransigen-

te della rappresentanza salafita è ormai

comune a laici, copti e islamici moderati,

«Tawadros dovrà dialogare con il Parlamen-

to, con i Fratelli Musulmani e con l’autorevo-

le università al-Azhar, centro teologico sun-

nita e progressista di primaria importanza».

Con il suo equilibrio, il nuovo papa si è già

attirato le simpatie dei “figli di Tahrir”: vale a

dire di tutti coloro che - dopo la protesta di

Maspero del 9 ottore - hanno disperso il loro

voto nell’universo dei partiti laici e si sono

sentiti “traditi” dagli esiti della rivoluzione.

Da questo punto di vista, una parte della “sfi-

da” di Tawadros è già vinta.

MAGZINE 20 | novembre 20124

Le sfide di Tawadrosall’alba del nuovo Egitto

D

di Matteo Menghini

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’UOMO SI RITROVA IN BALIA dei

computer che ha creato. Secon-

do il belga Paul Jorion, antro-

pologo, analista finanziario ed

ex programmatore specializza-

to in intelligenza artificiale, questa è molto

più che fantascienza. Il mondo della finan-

za si ritrova in balia dei sistemi di scambio

ad alta frequenza: robot che stanno portan-

do i mercati al suicidio.

L’acronimo di questi sistemi è Hft,

“high frequency trading”, cioè scambio ad

alta frequenza. I potentissimi computer che

utilizzano questi software sono in grado di

realizzare migliaia di operazioni al secondo.

Una velocità impossibile da pareggiare non

solo per qualsiasi umano, ma anche per

qualsiasi computer comune. Perché c'è

questo impellente bisogno di velocità? La

risposta è semplice: perché velocità signifi-

ca leggere il mercato per primi e lucrare su

questo vantaggio. Ovviamente, a scapito di

tutti gli altri.

Per capire come funzionano questi

computer, e come sono in grado di guada-

gnare dalle transazioni, Jorion utilizza un

esempio: «Immaginiamo che un investito-

re sia pronto a comprare un milione di azio-

ni di una data azienda fissando il prezzo

limite a 30,50 euro. Questo prezzo non è

visibile ai normali operatori. I terminali ad

alta frequenza, con la loro capacità di dialo-

gare ai mercati più velocemente, scoveran-

no l’ordine di acquisto prima degli altri ope-

ratori. Una volta in possesso di questo dato,

il trader Hft farà incetta di azioni al prezzo

di mercato di 30,10 euro, comprandone

piccolissime quantità a ogni transazione,

così da non farne crescere il prezzo. A que-

sto punto le rivenderà tutte all’investitore

reale al prezzo limite di 30,50 euro, con un

guadagno di 40 centesimi per ogni azione e

400mila euro complessivi, per un lavoro

durato poche frazioni di secondo». Questo

spiega perché, secondo le analisi, sui mer-

cati americani le azioni vengano media-

mente rivendute dopo 22 secondi.

Quella appena descritta è solo una del-

le tecniche utilizzate dai computer Hft: «I

computer più potenti, come quelli di Mor-

gan Stanley e Goldman Sachs, sono anche

capaci di sviluppare dei trend, cioè far lievi-

tare o scendere il prezzo di un determinato

contratto, sfruttando il fatto che il prezzo

viene fissato ad ogni nuova transazione,

indipendentemente dalla sua entità. Quin-

di comprano piccole quantità di azioni a un

prezzo crescente, per poi rivenderle in bloc-

co quando il prezzo è mutato abbastanza da

garantire enormi profitti».

L’attenzione degli organismi di con-

trollo sull’Hft sulle conseguenze che questa

macchina può avere sui mercati si è inten-

sificata dopo il 6 maggio 2010, il giorno del

“Flashcrash”. Quel 6 maggio, nel giro di

pochi secondi, l’indice Nyse della borsa di

New York crollò di quasi dieci punti in

meno di dieci secondi, per ragioni apparen-

temente inspiegabili. Il crollo misterioso fu

generato da un'imponente vendita di futu-

res da parte di un hedge fund, inizialmente

bilanciata dagli acquisti effettuati dai tra-

ders ad alta frequenza. Ma un volta presa

coscienza del rischio, i computer iniziarono

a sbarazzarsi dei titoli a un ritmo vertigino-

so (oltre 2mila operazioni al secondo), inne-

scando un meccanismo a cascata che portò

alla chiusura delle contrattazioni per ecces-

so di ribasso.

Quel giorno apparve chiaro a tutti che

«gli investitori istituzionali non possono

competere con questi robot. Nei mesi suc-

cessivi gli scambi alla borsa di New York

crollarono del 30 per cento, perché molti

investitori si spostarono su mercati che

proibiscono l’accesso a queste macchine»,

spiega Jorion.

I sistemi Hft possono avere effetti

imprevedibili e devastanti sui mercati, oltre

a farne crollare la profittabilità.

Perché, però, non sono state adottate

le misure draconiane promesse in un primo

momento? Il problema è che si trovano in

una posizione dominante gestendo il 73%

delle transazioni azionistiche negli Stati

Uniti e il 40% nel mercato europeo.

Le previsioni di Jorion sono funeste: «I

mercati si stanno autodistruggendo, e nes-

suno li sta fermando. Il controllo dei pro-

grammatori su quello che fanno è sempre

più debole: gli algoritmi genetici che li gui-

dano sono sempre più indipendenti dal-

l’azione umana. E, a differenza dell’uomo,

un computer non si preoccupa delle conse-

guenze perché non ha paura».

La finanza al serviziodei supercomputer

I sistemi “High frequency trading” sono in grado di compiere migliaia di operazioni al secondo. Anche con esiti devastanti, come il “Flashcrash” del 6 maggio 2010

di Alessio Schiesari

L

5MAGZINE 20 | novembre 2012

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PRE IL PRIMO MUSEO del

Novecento “virtuale”

della storia. È

Cultural Institute, un

progetto multimedia-

le di Google (http://www.goo-

gle.com/culturalinstitute/?hl=it

#!home) che dà vita a un raccon-

to lungo un secolo, grazie all’espe-

rienza di venti partner mondiali

tra musei, archivi, fondazioni e

istituti. Questo museo virtuale

interattivo raccoglie foto, video e

documenti che ripercorrono gli

avvenimenti più importanti del

secolo scorso su una timeline, una

sequenza di foto, testi e materiali

d’archivio straordinari.

Dopo la realizzazione di progetti

come “World Wonders”

(http://www.google.com/intl/it

/culturalinstitute/worldwon-

ders/) e la digitalizzazione degli

“Archivi Nelson Mandela”,

Google ha pensato di realizzare

oltre 40 esposizioni partendo dai

ritratti degli imperatori dell’estre-

mo Oriente raccolti da Alice

Roosevelt Longworth. Non

solo: in questo archivio digitale è

possibile ripercorrere tutte le fasi

della guerra civile spagnola; vive-

re nell’appartamento di Anna

Frank; ricordarsi com’era

l’Europa prima della caduta del

muro di Berlino; fino agli anni

dell’apartheid, raccontati seguen-

do la vita di Nelson Mandela.

Ogni pagina del Cultural Institute

mette insieme il materiale d’ar-

chivio, tra immagini ad altissima

definizione e approfondimenti

testuali per fornire prospettive

inedite sugli eventi storici. Per

l’Italia Google ha inaugurato la

collaborazione con l’Istituto Luce

di Cinecittà: il risultato è una pagi-

na ricchissima sugli anni della

Dolce Vita romana. Grazie al

Cultural institute è possibile

ripercorrere tutti gli avvenimenti

italiani dell’Italia del boom econo-

mico: dall’apertura del primo

supermercato a Roma al lancio

della Fiat 500, fino alle immagini

di Lascia o raddoppia con Mike

Bongiorno.

Tutte le “mostre” del Cultural

Institute sono disponibili in più

lingue. Non tutte sono state tra-

dotte in italiano. L’obiettivo finale

è rendere disponibili queste infor-

mazioni - fino a poco fa custodite

solo in archivi fisici, cartacei e

fotografici sparsi in parecchi e

lontani Paesi del mondo - in un

grande archivio globale accessibi-

le gratuitamente da tutte le parti

del mondo.

Il progetto è stato pensato con

l’intento di promuovere e preser-

vare la cultura in rete, divulgan-

dola allo stesso modo, ovvero il

più democratico possibile. Google

d’altronde, aveva già dimostrato

di credere nella “liberalizzazione”

della cultura a livello mondiale

con “Art project”, un progetto che

prevedeva la digitalizzazione delle

opere dei più grandi musei del

mondo (per l’Italia sono presenti

gli Uffizi, i musei Capitolini, il

Museo Poldi Pezzoli di Milano e i

musei di Strada Nuova di

Genova).

Altri progetti realizzati dal

Cultural Institute sono la digita-

lizzazione dei manoscritti del Mar

Morto (“Dead sea scrolls”), la pre-

sentazione dell’esposizione uni-

versale di Parigi 2020 (“Pavillon

de l’Arsenal”) e la realizzazione di

una versione in tre dimensioni

della reggia di Versailles

(“Versailles 3d”).

Al via Cultural Institute, un progetto di Google che raccoglie su una timeline foto, documenti e video tra i più importanti del secolo scorso. Tutto gratuito, fruibile e globale

Periodico realizzatodal Master in Giornalismodell’Università Cattolica - Almed© 2009 - Università Cattolicadel Sacro Cuore

direttore

Matteo Scanni

coordinatori

Laura Silvia Battaglia, Ornella Sinigaglia

redazione

Francesco Berlucchi, SachaBiazzo, Giuseppe Borello,Francesca Bottenghi, ValentinaBrini, Enrico Camana, LucianoCapone, Michele Chicco,Francesco Colamartino,Francesco Collina, AlessandroCracco, Stefano De Agostini,Francesco Durante, Danilo Elia,Arianna Filippini, LucaAristodemo Gentile, SimoneGiancristofaro, Barbara Giglioli,Michelangelo Iuliano, BenedettaLeardini, Ilaria Liberatore,Andrea Lucidi, Andrea Mari,Francesco Mattana, MatteoMenghini, Claudia Mingardi,Giovanni Naccarella, FaustoNicastro, Roberta Pacifico,Francesco Pandolfi, ChiaraPanzeri, Luca Pierattini, MarcoPuelli, Diego Rivera, GianniRosini, Eleonora Rossi, AlessioSchiesari, Linda Stroppa, AndreaTundo, Marcella Vezzoli

amministrazione

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Autorizzazione del Tribunale

di Milano n. 81 del 20 febbraio

2009

multimedia

di Luca Pierattini

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