magzine 11
-
Upload
scuola-di-giornalismo-universita-cattolica -
Category
Documents
-
view
236 -
download
4
description
Transcript of magzine 11
111gennaio
31gennaio2011
Periodico di approfondimento della Scuola di giornalismo dell’Università Cattolica del Sacro Cuore
www.magzine.it
magzine
»» Cataldo Motta,in Puglia la mafia c’è ancora
»» Lorenzo Fazio,tutto un altro libro
»» Polka, il giornaledei fotografi per passione
»» In Egitto e Tunisia scoppiala rivoluzione dei cittadini
»» Andrea Pessino,il genio dei videogiochi
COME DIVENTA R EP OV E R I
La crisi economica continua a picchiare duro. Aumentano in modopreoccupante le persone che si rivolgono ad associazioni umanitarieper sbarcare il lunario. Così i bisogni primari diventano negoziabili
La crisi economica continua a picchiare duro. Aumentano in modopreoccupante le persone che si rivolgono ad associazioni umanitarieper sbarcare il lunario. Così i bisogni primari diventano negoziabili
MAGZINE 11 | 1 gennaio - 31 gennaio 20112
inchiesta
di Giuditta Avellina e Enrico Turcato
In Italia molte famiglie sono in ginocchio. Nel 2010, s o l oa Milano,50 mila disperati si sono rivolti a Croce Rossae Cari t a s.Fa re sacri fici non basta più:mancano i soldi perp a g a re l ’ a f fitto e fare la spesa. R i t ratto dei nu ovi pove ri
R I S I, I N F L A Z I O N E, R E C E S S I O N E. Parole fin troppo
comuni nel vocabolario di tutti i giorni. Il motivo è
che la crisi economica, che dagli Stati Uniti si è tra-
sferita in Europa nel corso degli ultimi due anni, ha
indotto un aumento della povertà effettivo, anche in
Italia. Secondo la Caritas, in Italia i poveri sono 8.370.000, il 3,7%
in più di quanto rilevato dall’Istat.
Il ceto medio che prima viveva in maniera dignitosa, con la
sicurezza dei risparmi in banca, con un reddito sufficiente a paga-
re un mutuo, con l’autonomia, insomma, di programmare spese
e consumi, ora si trova in condizioni disperate. Il ceto medio infat-
ti rappresenta ben l’11,5% dei richiedenti aiuto. Sono sempre più
numerosi i casi di uomini e donne diventati realmente poveri,
costretti a chiedere un sostegno ad associazioni benefiche, in
cima a tutte Caritas e Croce Rossa. Il disagio economico cresce in
tutte le fasce di popolazione: tra le persone di mezza età, i separa-
ti e i divorziati, le donne sole con figli, i precari, i licenziati, le fami-
glie monoreddito.
E contrariamente a quanto accade in altri Paesi, in Italia il
rischio povertà cresce proporzionalmente al numero di figli nel
nucleo familiare; un fenomeno spia di un malessere generale, che
non fa distinzioni di sesso o razza e che colpisce anche quei ceti medi
che, fino a qualche mese fa, riuscivano a mantenere la famiglia.
Nel 2010 il comitato provinciale della Croce Rossa Italiana di
Milano ha registrato 50mila domande solo nel capoluogo.
Il numero è destinato a crescere, tanto che per il 2011 è previsto il
raggiungimento di quota 56.200. Perché la crisi ha messo in
ginocchio anche gli insospettabili, quelli che hanno sempre avu-
to un tenore di vita più che decoroso, e che ora, spinti dalla dispe-
razione, sono costretti a chiedere aiuto.
A richiamare l’attenzione su una situazione ormai allarman-
te è il nono rapporto sulle povertà nella diocesi di Milano, realiz-
zato sulla base delle richieste d'aiuto pervenute a 56 centri
d'ascolto di Caritas ambrosiana e a Sai (Servizio accoglienza
immigrati), Sam (Servizio accoglienza milanese) e Siloe (Servizi
integrati lavoro, orientamento, educazione). Nel biennio 2009-
2010 le strutture della Caritas hanno registrato un aumento
medio del 25% delle domande e le istan-
ze degli italiani sono cresciute del 40%.
L’impennata nelle richieste di aiuto è
data dalle domande presentate da nuclei
familiari. Il dato rilevante è che queste
sono in aumento rispetto a quelle pre-
sentate dai singoli.
Il disagio economico morde e non
risparmia la capitale economica italiana:
Milano. Lo conferma la storia di F l a v i o
M ., 45 anni, padre di due bambini. Con
la moglie lavorava da freelance per una
rivista della Mondadori che nel 2010 è
stata costretta a chiudere i battenti. Il
tenore di vita che avevano permetteva
loro di viaggiare per fare servizi fotogra-
fici e reportage che poi vendevano alla
rivista. «Poi nella prima metà dello scor-
so anno - racconta Flavio - i pagamenti
iniziarono ad arrivare in ritardo e di conseguenza facevamo fati-
ca a saldare le rate del mutuo della casa, nel centro di Milano».
«Quando ci hanno comunicato la fine del rapporto di lavoro -
continua - ci è crollato il mondo addosso. Con due figli da sfama-
re e un mutuo da pagare, se non hai entrate è la fine». La coppia
è stata costretta a vendere l’abitazione e ad andare a vivere dalla
suocera di Flavio. Oggi con i soldi ricavati dalla casa e l’assegno
che ricevono dal fondo famiglia-lavoro della Caritas riescono a
sopravvivere, ma sono stati costretti ad abbandonare gran parte
dei loro sogni e a condurre una vita che prima di puntare al futu-
ro, deve fare i conti con un presente problematico.
Proprio il fondo famiglia-lavoro ideato nel 2008 dal cardi-
nale Dionigi Tettamanzi si è rivelato uno strumento fondamen-
tale per aiutare le persone messe in ginocchio dalla crisi. Lo dimo-
strano chiaramente i numeri: 9 milioni di euro erogati e 3mila
famiglie coinvolte, di cui il 57,5% composte da stranieri. La mag-
gioranza dei beneficiari (76,5%) ha tra i 30 e i 49 anni.
Anche per gli stranieri integrati le difficoltà si sono moltipli-
c
A ffo n d at idalla crisi
cate. O s c a r T .ha 39 anni, è filippino e vive a Milano da quasi 15
anni. Lavorava come operaio in una cooperativa e viveva con la
moglie e la figlia in una palazzina della periferia milanese. La cri-
si ha colpito la sua azienda, lui è rimasto disoccupato e senza i sol-
di necessari a mantenere la famiglia. «Per me - spiega - è stato
tremendo: abbiamo dovuto lasciare la casa e cercare una siste-
mazione di emergenza. Ora viviamo in un appartamento senza
riscaldamento e acqua calda. È difficile, soprattutto per la mia
piccola. E ci sono tante altre famiglie ridotte come noi». Oscar
sopravvive con qualche lavoretto saltuario e con il sostegno di
varie associazioni. «Se la situazione non
migliorerà - dice - non riuscirò ad andare
avanti, a pagare le spese e a mantenere la mia
famiglia e sarò costretto ad abbandonare
l ’ I t a l i a».
Se poi alla recessione generale si aggiun-
ge la separazione o il divorzio, il quotidiano
diventa un vero e proprio incubo. Come per
Ruggero A., milanese di 48 anni, che dopo
il divorzio non ha più una famiglia né un lavo-
ro. Vive da solo in una casa in affitto e rara-
mente riesce a vedere la figlia. Ha speso mol-
ti soldi in avvocati e carte bollate, fatica ad
arrivare a fine mese, e la crisi gli ha tolto la
possibilità di contare su un lavoro stabile.
«Quando alla crisi economica fa seguito la
separazione tra coniugi - testimonia Ruggero
- la vita cambia moltissimo e in modo repen-
tino. Si affrontano difficoltà nuove: c’è da fare
i conti con l’idea di perdere famiglia e figli, di andare in contro a
problemi psicologici rilevanti, di non riuscire a gestire le scaden-
ze e l’economia di casa e soprattutto di dover affrontare i proble-
mi economici in solitudine».
Prima del divorzio, Ruggero aveva intrapreso con la moglie
un’attività di consulenza di diritto del lavoro, per iniziare la qua-
le aveva scelto di rinunciare al proprio lavoro. Con la separazio-
ne ha dovuto cercare un nuovo impiego e lo ha trovato in
un’azienda giapponese, come tecnico commerciale di prodotti
video e audio. Ma dopo poco tempo l’azienda ha chiuso i batten-
ti. Ruggero ha provato a reinventarsi ancora e si è iscritto alla
Camera di Commercio, prima come agente di commercio e poi
come impiantista elettricista, ma ha trovato solo lavori precari.
Oggi conta sugli ultimi risparmi messi da parte e la difficol-
tà maggiore è quella di affrontare le spese mensili e l’assegno di
mantenimento alla figlia: «Ho cambiato il mio tenore di vita ma
i soldi risparmiati stanno per finire. Voglio impegnarmi, non
potrei tollerare di cadere nel vortice della disperazione».
MAGZINE 11 | 1 gennaio - 31 gennaio 2011 3
Il 75% delle persone che chiede aiutoalle associazioni ha tra i 30 e i 49 anni. E la Caritas smentisce l’Istat: i poverisuperano di gran lunga gli 8 milioni
Per sap e rne di più
Aldo Giannuli, 2 0 1 2 : la grande cri s i ( Po n t e
alle Gra z i e ) ; Monica D’Ascenzio, Giada
V e r c e l l i; Donne sull’orlo di una crisi eco -
nomica ( R i z zo l i ) ; Pascal Salin, La crisi eco -
n o m i c a : chi è il colpev o l e ? ( C i d a s ) .
L I S T I P E N D I S O N O C O N G E L A T I, gli
affitti lievitano, la crisi falci-
dia le fasce più deboli. Capita
così di finire sul lastrico.
Un’indagine condotta dall’Os-
servatorio regionale lombardo sull’esclusio-
ne sociale (Ores), evidenzia che le richieste
di aiuto agli enti che distribuiscono beni di
prima necessità sono aumentate del 10% nel
2009. «Sono le famiglie - spiega G i a n c a r l o
R o v a t i, coordinatore del comitato scientifi-
co Ores - a essere in difficoltà: c’è richiesta di
aiuti di piccola cassa, per pagare bollette o
emergenze sanitarie».
Ma la crisi economica, per le famiglie,
rischia di tradursi in ansia esistenziale,
intaccando così le relazioni affettive. Di fron-
te a un futuro incerto, precisa Gioia di
Cristofaro Longo, ordinario di antropolo-
gia culturale dell’università La Sapienza di
Roma, «i giovani non fanno più investimen-
ti affettivi, mentre le coppie mature vanno in
crisi e si separano». Il singolo non si sente
più all’altezza, perde autostima e non riesce
più a gestire le proprie relazioni. La crisi è un
teatro di contraddizioni in cui gli attori reci-
tano a soggetto, cioè senza regia.
«Rassegnazione, crisi familiari, abuso di far-
maci, droga - aggiunge Longo - sono le con-
seguenze che i protagonisti negano persino a
se stessi».
Quando le famiglie si sfaldano, i padri
escono di casa. Le difficoltà aumentano
soprattutto per gli uomini: gli obblighi eco-
nomici di un divorzio finiscono per trasfor-
mare i capifamiglia in veri e propri clochard.
«Capita che alcuni di loro - interviene
Laura Leonini, sociologa dei consumi
all’Università degli Studi di Milano - usufrui-
scano delle mense pubbliche e si appoggino
alle strutture abitative per gli indigenti». Per
non parlare delle categorie da sempre ai
margini, come gli immigrati, svantaggiati
doppiamente: «Devono lavorare per mante-
nere il permesso di soggiorno - aggiunge
Leonini - e versare i contribuiti Inps man-
canti. Inoltre sono i meno garantiti dalla rete
di welfare familiare, perché la maggior parte
di loro non ha famiglia in Italia».
Invece per gli italiani che una famiglia
ce l’hanno fronteggiare la crisi vuol dire tro-
vare nuove strategie: ad aumentare sono
soprattutto le richieste alimentari «perché -
spiega il coordinatore del comitato scientifi-
co dell’Ores - quello del cibo è un bisogno
non negoziabile. È in questo solco che opera-
no iniziative come il Banco alimentare, la
Onlus che raccoglie le eccedenze agricole e
industriali della grande distribuzione e della
ristorazione, e che le smista agli enti di soli-
darietà».
Per chi ancora non fa la fila per gli aiuti
alimentari, invece, qual è il rapporto col car-
rello della spesa? Secondo i dati Nielsen
sugli acquisti nella grande distribuzione, le
famiglie scelgono prodotti più economici
pur di non privarsene. Una riduzione dei
consumi solo camuffata, osserva la professo-
ressa Leonini: «Non tutti arrivano alla
rinuncia perché accettare un cambiamento
dei propri modelli di vita richiede un allena-
mento mentale». Un esempio? «Non consu-
mare acqua in bottiglia per risparmiare -
dice la sociologa dei consumi - nel lungo
periodo si rivela un cambiamento di abitudi-
ne, in realtà non negativo».
L’oculatezza non risparmia la voce salu-
te: c’è chi si rivolge al Banco farmaceutico
per avere medicinali gratuitamente, e «per
molte famiglie - osserva la Leonini - il denti-
sta si è trasformato in lusso». Anche sulle
spese per i più piccoli il risparmio è d’obbli-
go: dalle culle ai vestiti, la nuova tendenza è
l’usato, come nei paesi anglosassoni. L’unico
bisogno non comprimibile è la casa: «Gli ita-
liani sono un popolo di proprietari - sottoli-
nea la sociologa - anche se questo limita fles-
sibilità e mobilità».
Quando i bisogni primaridiventano negoziabili
La crisi colpisce milioni di famiglie nel quotidianoe scalfisce per la prima volta la sfera affettiva deglii t a l i a n i . C resce la richiesta di assistenza alimentarea enti benefici e si ri s p a rmia anche sulla salute
MAGZINE 11 | 1 gennaio - 31 gennaio 20114
inchiesta
di simona peverelli e fabrizio aurilia
g
er risparmiare sugli
alimentari si va a cac-
cia di offerte e per la
cura della casa e l’igie-
ne personale si ridu-
cono i consumi: è questo l’atteg-
giamento dei lombardi di fronte
alla crisi rilevato dall’O r e s, l’Os-
servatorio regionale sull’esclu-
sione sociale. Uno dei maggiori
indicatori, spiega il direttore,
Luca Pesenti, è la capacità
d’acquisto: in Lombardia è pari
a 146,8 punti, più alta che nel
resto d’Italia (104,7), ma tra il
terzo trimestre 2009 e lo stesso
periodo del 2010 in Lombardia
è scesa di 2,4 punti, contro una
flessione di 1,9 rilevata a livello
nazionale.
Che si spenda di meno per
cibi e bevande emerge anche dai
dati divulgati dalla Confedera-
zione italiana agricoltori. Nel
2009 una famiglia italiana su tre
è stata costretta a tagliare gli
acquisti alimentari: in particola-
re, secondo i dati Istat e Ismea,
circa il 40% dei nuclei familiari
ha comprato meno frutta, ver-
dura, pane e carne bovina. Per
riempire il carrello la spesa
media mensile è stata di 461
euro (in particolare, 455 al nord,
472 al centro e 463 al sud). Tre
famiglie su cinque, inoltre, han-
no dovuto modificare il menù
quotidiano e oltre il 30% è obbli-
gato, a causa delle difficoltà eco-
nomiche, a comprare prodotti di
qualità inferiore. Analoga la per-
centuale di chi acquista ormai
esclusivamente i prodotti in
promozione.
La tendenza, secondo le
prime stime, sembra essersi
consolidata anche nel 2010,
anno in cui i consumi alimentari
sono rimasti praticamente al
palo e in alcuni casi sono scesi
(carne bovina -2,3%, pasta - 2 , 1 %,
pesce -1%).
Come sono cambiati i
consumi delle famiglie
milanesi dall’inizio del -
la crisi?
A Milano, non solo la spesa
complessiva è diminuita, ma si
rileva un’incidenza della spesa
alimentare sul totale legger-
mente superiore alla media del-
la Lombardia. È un indizio del
fatto che a Milano città si sta un
po’ peggio rispetto al resto della
Lombardia. Un altro segnale del
tentativo delle famiglie milanesi
di risparmiare più di quanto fac-
ciano gli altri lombardi è il fatto
che nel capoluogo la quota di
spesa alimentare acquistata in
promozione è maggiore che
altrove.
Qual è il profilo dei
poveri milanesi?
Nel capoluogo 80mila persone
almeno una volta si sono recate
nei centri di prima assistenza
gestiti dalla rete del privato
sociale. Un povero lombardo su
quattro che ha chiesto aiuto,
quindi, vive a Milano. Di questi
possiamo dire che due terzi
sono stranieri, e che le donne
sono più del 65%. Rispetto al
resto della Lombardia, dove il
50-55% di chi ha chiesto aiuto
lo ha fatto perché disoccupato o
in cassa integrazione, a Milano
il riflesso della crisi riguarda il
60% della popolazione censita.
E sempre a Milano l’impoveri-
mento causato da separazioni e
divorzi è del 2% superiore al
resto della Lombardia, dove
riguarda il 17% circa dei richie-
denti aiuto.
Come è cambiato il
modo di fare la spesa
delle famiglie?
Innanzitutto si sono spostate
dalla vendita al dettaglio alla
grande distribuzione. Tendono
poi a rinunciare a prodotti con-
fezionati come cibi precotti o
surgelati, o alle insalate in busta.
E infine evitano colazione e ape-
ritivi in bar e locali, sostituendo
questi consumi con l’acquisto di
prodotti come la pizza surgelata
o preparati per dolci, che noi
inseriamo nella categoria “hap-
py house”. Anche se l’incremen-
to nella vendita dei prodotti
“happy house” è minima, il
trend ci fa capire che è in
aumento l’orientamento verso
la dimensione domestica.
Gli esercizi della gran -
de distribuzione hanno
abbassato i prezzi per
andare incontro alle
esigenze delle fami -
g l i e ?
Diciamo piuttosto che in Lom-
bardia la gamma dei prodotti in
promozione è più ampia che
nelle altre regioni. Negli ultimi
due anni la spinta promoziona-
le da parte della grande distri-
buzione è cresciuta, come
anche la produzione di marchi
privati, a firma cioè del super-
mercato. I fatturati delle catene
sono diminuiti, ma in propor-
zione i carrelli si sono svuotati
meno. La forte competizione tra
i marchi evita un generale
aumento dei prezzi.
«Molte famigliehanno smessodi acquistare cibo confezionato. Ma sono in caloanche gli aperitivi,le colazioni fuoricasa e il superfluoin generale»
MAGZINE 11 | 1 gennaio - 31 gennaio 2011 5
inchiesta
pdi A l e s s a n d ro Socini
Nel 2009 tagli alla spesa per una fa m i glia su tre
B O S S D E L L ASA C R ACO R O N AUN I T A, arre-
stati alla fine degli anni Ottanta, stan-
no uscendo uno ad uno dalle carceri e
tutti stanno riprendendo il loro posto.
Ma la cosa più grave è che, dopo il
nostro intervento, trovano un territorio puli-
to, dove la loro azione criminale potrà insi-
nuarsi agevolmente». Per Cataldo Motta,
procuratore della Repubblica di Lecce, è un
paradosso. Ma la lotta alla mafia è una guer-
ra che non vale solo una battaglia vinta. Con-
trastata sul nascere da un intervento tempe-
stivo delle forze dell’ordine, quella che stava
diventando la quarta mafia nazionale ha
subito solo un rallentamento. «Per capire i
motivi dei successi ottenuti contro la Sacra
Corona Unita - continua Motta - è necessario
ricordare i fattori che portarono al sorgere
della criminalità salentina. In primo luogo
non si trattò di una mafia collegata a motiva-
zioni generate dal territorio, ma di un’inizia-
tiva di gruppi criminali per contrastare le
infiltrazioni che le altre mafie tentarono nel-
la regione sul finire degli anni Settanta. In
secondo luogo ci trovammo a contrastare
un’organizzazione perlopiù nata in carcere,
con le conseguenti debolezze».
Dalla fine degli anni Ottanta, la criminalità
pugliese si è riorganizzata continuando a
mantenere una rigorosa differenza tra Nord
e Sud, tra il distretto di Bari e quello di Lecce.
«Una mafia pugliese non c’è mai stata. Anche
quando Giuseppe Rogoli,il fondatore del-
la Sacra Corona Unita, pensò di dare all’orga-
nizzazione un’impronta regionale fu subito
chiaro che non c’era alcuna possibilità di
poter interferire con i gruppi criminali che
già agivano tra Bari e Foggia», spiega Motta.
«Nel Nord - chiarisce Antonio Pizzi,
procuratore generale di Bari - non si può par-
lare di mafia perché i clan familiari non sono
organizzati associativamente». Più debole
perché meno organizzata, la criminalità del
Nord non è però meno dannosa per il territo-
rio. «Negli ultimi tempi creano allarme i ten-
tativi criminali di infiltrazioni nella pubblica
amministrazione, finalizzati a pilotare con-
corsi e passare informazioni», spiega Pizzi.
Diversa è la situazione nel Grande
Salento, tra Lecce e Brindisi. Qui la Sacra
Corona Unita si era costituita come vera e
propria organizzazione mafiosa che nel tem-
po ha cambiato forma ma non sostanza. «La
vecchia struttura verticale del 1983 – aggiun-
ge Motta – ha lasciato posto a una orizzonta-
le. Gli ultimi collaboratori di giustizia parla-
no di un cambiamento nei sistemi di affilia-
zione: i rituali sono quasi scomparsi e tutto
tende ad essere più sommerso e moderno».
«Si tratta di gruppi – aggiunge il procurato-
re della Repubblica di Lecce - che riescono a
esercitare un controllo del territorio, gesten-
do tutte le attività criminali con “tasse” sui
piccoli spacciatori e sul contrabbando e sof-
focando l’imprenditoria pulita attraverso
l’usura e il pizzo. In più, gli affari con le ‘ndri-
ne calabresi, da cui viene acquistata la cocai-
na spacciata in Puglia, e con i criminali d’ol-
tre Adriatico, permettono di avere introiti da
ripulire anche al di fuori della regione».
«Adesso - conclude Motta - la nuova
frontiera della mafia salentina è avvicinare i
comuni cittadini all’organizzazione. Nelle
campagne associative delle squadre di calcio
di alcuni paesi della provincia di Lecce si sono
inseriti esponenti di famiglie criminali. Azio-
ni spiegabili solo come ricerca del consenso
popolare che è sempre mancato».
Sacra Corona Unita,la mafia che ritorna
Negli anni ’80 il lavo ro delle forze dell’ordine l ’ aveva soffocata sul nascere. Ma oggi la SacraC o rona Unita in Puglia si sta ri o rg a n i z z a n d o.E cerca nu ovi appoggi nel mondo del calcio
MAGZINE 11 | 1 gennaio - 31 gennaio 20116
mafie
Di Cristina lonigro
Per sap e rne di più
Ruotolo G., La quarta mafia: s t o rie di
mafia in Puglia ( P i ro n t i )
I
l fotogiornalismo non è una
realtà in via d’estinzione. A
confermarlo è P o l k a. Lan-
ciato a Parigi nella prima-
vera del 2007, il progetto
Polka prende forma in galleria.
Sei fotografi decidono di esibire i
propri scatti sul mondo. Subito
dopo nasce un racconto sulle
pagine di un magazine. P o l k a
riscuote un immediato successo.
Dopo tre anni, il team è formato
da sedici fotografi. Tutti mossi da
un’unica passione, quella di cat-
turare lo sguardo altrui.
I soggetti messi a fuoco non
sono quasi mai gli stessi mostrati
sulla carta stampata tradiziona-
le. Non sono necessariamente
d’attualità perché non è la feno-
menologia politica dominante a
dettare i temi. Piuttosto a ispira-
re i fotografi francesi sono le sto-
rie di donne e uomini, lontane e
insieme vicine nel tempo e nello
spazio, comuni o eccezionali. Ma
senz’altro mai scontate.
P o l k aesce ogni tre mesi, per
un totale di quattro numeri
all’anno. Si succede al ritmo delle
stagioni. «P o l k aè un nome vitale
che infonde positività - spiega
Dimitri Beck, uno dei fotogior-
nalisti - É facile da memorizzare
e semplice da pronunciare per
ogni lingua. Non potevamo chia-
mare questa rivista Photo qual-
cosa. E comunque Polka Maga -
z i n eè molto più che un giornale
di fotografia. É un modo per sco-
prire e leggere il mondo» .
Da chi è nata l’idea? «Sono
stati Adelie e Edouard Gene-
s t a r, due fratelli, che insieme al
padre Alain, già direttore di
Paris Match, decisero di suppor-
tare le mostre fotografiche prima
con un magazine e poi con un
sito web. Io fui contattato per
stendere il progetto e metterlo in
piedi», ricorda Beck. Ancora
adesso ogni numero della rivista
corrisponde a un’esposizione
fotografica, «anche se - precisa
Beck - le foto pubblicate sono
una selezione di quelle scattate e
messe in mostra». P o l k aè multi-
mediale. «Non esistono esempi
di fotogiornalismo paragonabili
alla nostra rivista». Individuare
fatti inediti e volti nascosti, dare
loro una voce, immortalarli e
rendere tutto ciò fruibile sul web,
oltre che attraverso il magazine e
le gallerie, è un’opportunità rara
nel panorama mediatico.
Polka Magazinev i e n e
distribuito in quindici Paesi, tra
cui l’Italia e quattro nazioni afri-
cane di lingua francese. «L’in-
tenzione è comunque allargare il
nostro mercato ad altri Stati»,
conferma Beck. Oltre alla diffusa
reperibilità, P o l k aoffre un altro
vantaggio: il modico costo di cin-
que euro. «É nelle nostre inten-
zioni mantenere accessibile a
tutti il nostro prodotto. Una delle
condizioni che ce lo permette
sono gli introiti provenienti dalla
pubblicità che ospitiamo».
Da citare è il web-documen-
tario che i fotogiornalisti di P o l k a
hanno prodotto insieme a M é d i -
cins du Monde, associazione che
si occupa di curare la salute di chi
vive ai margini della società. L a
vie à sac- questo il titolo del
documentario - dà voce a quattro
vite che si sono interrotte per
confrontarsi con la solitudine, la
malattia, l’esclusione sociale. Le
persone sono ritratte a partire da
ciò che resta di loro all'interno di
uno zaino. Ogni elemento custo-
dito, dalla carta d’identità ai
vestiti , dai biscotti a una bottiglia
d’acqua, diventa lo spunto per
tirare le fila del passato, per inda-
gare sul presente e insinuarsi nei
sogni di ciascuno.
Po l k a , il fo t og i o rn a l i s m os c o p re un nu ovo fo rm at
fotogiornalismo
MAGZINE 11 | 1 gennaio - 31 gennaio 2011 7
Per sap e rne di più
Il sito di Po l k a :
w w w. p o l k a m a gazine.com
di Chiara Daina
i
MAGZINE 11 | 1 gennaio - 31 gennaio 20118
giornalismo
di gabriele russo
O L A V O R A T O 25 A N N I
in grandi gruppi
come Rcs e Einaudi.
Ero protetto, tran-
quillo ma non completamente
libero. E questo era un motivo di
grande angoscia». L o r e n z o
F a z i o, 53 anni, è l’inventore di
C h i a r e l e t t e r e, casa editrice ano-
mala rispetto al panorama italia-
no: giovane, libera, di successo.
Tra gli addetti ai lavori passa per
uno col tocco magico. Non è una
leggenda del tutto infondata. La
biografia non autorizzata dice che
ha salvato due volte E i n a u d i d a l
fallimento, rilanciato i T a s c a b i l i
B o m p i a n i, infuso nuova vita alla
B u r. Nel 2006, dopo aver lasciato
il posto di direttore editoriale alla
Universale Rizzoli, ha plasmato
una factory a sua immagine e
somiglianza dove è tornato a respi-
rare a polmoni aperti e si è sentito
libero di sperimentare ancora.
Genovese di nascita, parigino
di formazione, pubblica libri che
scalano le classifiche e,
in genere, stanno al
centro del dibattito
politico. Timido, sorride
di rado, ma è gentile,
informale, ovviamente colto,
attento ai dettagli e con un fiuto
ferino per le storie che piacciono al
pubblico. Un rabdomante del-
l’editoria. Pubblica giornalisti
famosi, ma forse preferisce l’esor-
diente che ha sgobbato anni in cro-
naca e si ritrova per le mani un
grande affresco civile che aspetta
solo di essere raccontato.
C h i a r e l e t t e r e scopre talenti,
fa grandi numeri, tiene un profilo
basso, tratta argomenti scomodi,
becca querele e quasi sempre le
vince. Quando perde, paga e tira
dritto con la storia successiva. Un
atteggiamento raro per un editore
italiano, un gesto che non ha prez-
zo per un autore.
Nel 2009 Lorenzo Fazio ha
deciso di discendere una nuova
rapida e fondato un giornale, I l
Fatto Quotidiano, di cui C h i a r e -
l e t t e r e è editore: 30mila abbonati
prima ancora di arrivare in edico-
la, 70mila copie vendute ogni gior-
no, 10 milioni di utili a fine 2010
(ridistribuiti ai dipendenti). Meri-
to di scrittori e giornalisti, ma
anche di chi sta dietro le quinte, del
S u g g e r i t o r e .
Come nasce Chiarelette -
r e ?
Nel 2007 la R i z z o l i
decise di ritrasformare
la B u r in una collana,
togliendole l’autono-
mia di cui godeva. Deci-
si che all’età di 50 anni pote-
vo cimentarmi in qualcosa di
mio. Così progettai una casa edi-
trice concepita in modo diverso:
non solo un contenitore di libri
ma un polo di contenuti multi-
mediale dove gli autori venissero
valorizzati e messi in condizione
di esprimersi a più
livelli, su più piattafor-
me. Ne parlai con il
gruppo M a u r i - S p a -
g n o l che aderì al pro-
getto. Così fondammo
C h i a r e l e t t e r e.
Il nome della
casa editrice
appare come
una dichiara -
zione di intenti.
Chi lo ha scelto?
Tra i tanti nomi papabili stavamo
impazzendo. Quelli strani non mi
sono mai piaciuti. Poi una notte
scelsi C h i a r e l e t t e r e. Era perfetto
per rappresentare lo spirito di que-
sta casa editrice e di noi stessi. Ci
occupiamo di attualità e di proble-
mi sociali e ci rivolgiamo a coloro
che vogliono saperne di più. Pos-
siamo usare la libertà come voglia-
mo, a patto che i conti tornino.
Gli argomenti da tratta -
re sono scelti a tavolino
dall’editore o li propone
lo scrittore di turno?
Spesso arrivano proposte. Altre
volte, invece, siamo noi a chiedere
agli scrittori di trattare temi che
non hanno trovato spazio su gior-
nali, riviste o altri libri. Lavoriamo
a stretto contatto con gli autori
dando la giusta importanza a tutti
gli aspetti: non solo il contenuto
dell’opera ma anche titolo, coper-
tina, sottotitolo e quarta di coper-
tina. Ogni parola è decisiva per col-
pire l’attenzione del lettore.
Chiarelettere è solo l’ulti -
ma sua fatica professio -
nale. La sua carriera nel
campo dell’editoria ini -
zia trent’anni fa alla
Marietti. Cosa le ha inse -
g n a t o ?
Arrivai nel 1982 e collaborai con
don Antonio Balletto per tra-
sformare la casa editrice da ponti-
ficia a laica. Fu una grande espe-
rienza che mi aiutò a pensare alla
religione non più come a una con-
fessione ma come a un’esperienza,
la più ampia possibile, di libertà
individuale e di confronto.
Poi, nell’ordine, Einau -
di, Bompiani.
Arrivai in Einaudi in un momento
bruttissimo. La società era stata
commissariata ed era reale il
rischio di chiusura. Mi trovai di
fronte a grandissimi autori come
Primo Levi e Mario Rigoni
S t e r n. Fu difficilissimo convin-
cerli a restare. Dovevamo salvare
H
Pa ro l eche pesano
L o re n zo Fazio è considerato il re Mida dell’editoria i t a l i a n a .Dai tascabili Einaudi alla Bur,le sue scelte sisono sempre rivelate vincenti.E con Chiare l e t t e ree il Fatto Quotidiano sembra aver fatto di nu ovo centro
la storia e il prestigio della E i n a u -
d i. L’esperienza alla Bompiani m i
permise invece di comprendere i
meccanismi del mercato editoria-
le e l’importanza di valorizzare un
libro in ogni modo.
Siamo al ritorno all’Ei -
naudi e alla conquista di
un pubblico nuovo.
Come ci è riuscito?
Tornai alla E i n a u d i in un altro
momento drammatico. Riuscii a
rilanciare i tascabili facendoli arri-
vare anche ai lettori non speciali-
sti. In quella collana non c’era
quella presunzione, quell’intellet-
tualismo fine a se stesso che una
volta caratterizzava E i n a u d i. Il
mio motto era: cerchiamo di fare
libri necessari e guardiamo ai gio-
vani, abbassando i prezzi. Grazie
ai tascabili e alla collana Stile Libe -
r oriuscimmo a sistemare i conti e
ancora oggi E i n a u d i è una casa
editrice che va bene e guadagna.
Nel 2003 l’approdo al
gruppo Rcs e la direzio -
ne della Bur.
È stata un’altra scommessa. Pen-
sai che l’occasione di rilancio di
una collana storica come la B u r
potesse rappresentare una bella
sfida. La trasformai, anche grafi-
camente, e lanciai nuove collane
come Futuro Passatoe Senza Fil -
t r o. Iniziai a proporre opere di
autori come Sabina Guzzantie
Michele Santoroche ci permi-
sero di conquistare un pubblico
nuovo. Investii poi sui bravi gior-
nalisti del gruppo R i z z o l i - C o r r i e -
re della Sera dando spazio anche
ad autori che all’epoca non ne ave-
vano come Marco Travaglio e
Peter Gomez. I numeri furono
e c c e z i o n a l i .
Chiarelettere nasce nel
2007, in un’Italia già for -
temente divisa politica -
mente e alle prese con un
sistema di
i n f o r m a z i o -
ne in crisi.
Due anni
dopo compare
anche Il Fatto Quotidia -
no. Vent’anni fa avreb -
bero ottenuto lo stesso
s u c c e s s o ?
Vent’anni fa non c’era Berlusconi,
è vero. Ma i dubbi sull’informazio-
ne libera ci sono sempre stati. È
inutile che i direttori dei grandi
giornali dicano di essere al servizio
dei lettori: non è vero. Molti gior-
nalisti sono costretti a scendere a
compromessi.
Ricevete pressioni forti?
Capita spesso. Non minacce pre-
ventive ma querele a libro pubbli-
cato e, a volte, anche qualcosa di
più grave: quando è uscito N e l
paese dei Moratti di G i o r g i o
M e l e t t i, nel quale si ricostruisce
la tragedia di Sarroch del maggio
2009, la famiglia Moratti ha fatto
sapere che avrebbe querelato
chiunque avesse diffuso i conte-
nuti del libro. Una minaccia mol-
to grave nei confronti della libertà
di stampa.
Come si affronta un pro -
blema simile?
Ho paura che lo affronteremo in
tribunale. Loro sono molto forti, io
no… Pazienza. Del resto anche le
Ferrovie dello Stato ci hanno chie-
sto 25 milioni di euro di risarci-
mento. È chiaro che questi poteri
forti cercano di intimidire chi fa il
suo mestiere di editore libero.
Nel 2009 fonda Il Fatto
Quotidiano. Vi aspetta -
vate un successo simile?
Onestamente no. Ma siamo par-
titi con un’idea, la stessa idea di
Chiarelettere: siamo liberi, abbia-
mo il vantaggio di poter racconta-
re quello che vogliamo, quello che
gli altri non riescono a scrivere.
Questo, oggi, permette persino di
far quadrare i conti. É strano ma il
mercato premia la libertà.
Chi è libero ha più
mercato degli altri
anche se ha meno
strumenti e meno armi.
Anche Il Fatto online ha
raccolto risultati sorpren-
denti: arriviamo a punte di
300mila contatti unici al giorno.
Uno zoccolo duro di lettori e pen-
satori forti, insomma, c’è. Lo
abbiamo intercettato, convinti
che gli italiani non fossero tutti
berlusconizzati o indifferenti alla
v e r i t à .
Il Fatto funzionerà
anche quando uscirà di
scena Silvio Berlusconi?
Berlusconi ha radicalizzato la
politica ma viviamo in un Paese
pieno di conflitti di interesse. C’è
molto da lavorare indipendente-
mente da lui. I problemi sono tan-
ti: penso soprattutto al dramma
dei più giovani, che si domanda-
no cosa ci stanno a fare in Italia.
Un editore non può fare finta di
n i e n t e .
Il vostro giornale cresce
costantemente. Puntate
a diventare grandi?
La campagna acquisti nei giorna-
li è normale. Abbiamo preso V i t-
torio Malagutti d e l l ’E s p r e s s o,
Giorgio Meletti, ex C o r r i e r e
della Serae La7, Ferruccio San-
s a della S t a m p a. Per noi il fatto
che firme così importanti abbiano
preferito il nostro giornale ad altre
realtà, è motivo di grande orgo-
glio. Ne arriveranno altri perché il
massimo, per un giornalista, è riu-
scire a scrivere in modo libero. E
questa è la nostra forza.
MAGZINE 11 | 1 gennaio - 31 gennaio 2011 9
Le Ferrovie dello Stato ci hannochiesto 25 milioni di risarcimento.È chiaro che i poteri forti cercanosempre di intimidire gli editori liberi
libertà di stampa
MAGZINE 11 | 1 gennaio - 31 gennaio 201110
A C U C I N At r a d i z i o n a l e
in America? Dieci
europei su dieci
r i s p o n d e r e b b e r o ,
ridendo: il fast food. Oltreocea-
no lo sanno, e forse per questo
hanno imparato a prendere “in
prestito” le pietanze altrui. Le
rendono veloci, low cost, ma
soprattutto cool.
Succede a Pittsburgh, in
Pennsylvania. Questa volta,
però, i lungimiranti proprietari
hanno aggiunto agli ingredienti
un pizzico di cultura pop: si chia-
ma Conflict Kitchen. Da un ban-
cone coloratissimo e addobbato
con bandiere che si vedono di
rado da queste parti, si servono
solo piatti di Paesi con cui
l’America è in conflitto. Un
menù cerca di spiegare il perché
dei contrasti e intanto consiglia
pietanze come Bolani Pazi o
Kubideh. C’è stato l’Iran, ora è il
momento dell’Afghanistan.
Ogni volta la facciata del locale
cambia colore e consigli per il
pranzo: prima carne grigliata,
cipolle e menta sul pane Barba-
ri, ora pane arabo riempito di
zucca, patate spinaci, lenticchie,
completamente ricoperto con
yogurt. Tra quattro mesi, il loca-
le si trasformerà di nuovo e si
potrà assaggiare la cucina della
Corea del Nord e del Venezuela.
Il progetto è nato da
un’idea degli artisti J o h n
P e ñ a, Jon Rubin e D a w n
W e l e s k i. L’obiettivo è di pre-
sentare a rotazione un piatto
tipico del Paese scelto, così da
rendere il cibo un pretesto per
saperne di più. Ogni cliente è
omaggiato con un foglio infor-
mativo piegato in quattro sul
quale vengono date notizie sulla
politica, sulla cultura, sul cine-
ma e sulle tradizioni del Paese,
grazie ai contributi di chi provie-
ne da quelle terre o addirittura
dei residenti di Pittsburgh. La
missione dei proprietari si è
spinta anche oltre: organizzano
seminari, incontri e dibattiti.
Con cinque dollari, però, il
fast-food della pace, non può
ancora sciogliere tutti i nodi:
l’Exit Strategy, Guantanamo, lo
scandalo di Abu Ghraib. Ma
fuori dall’orario scolastico, alcu-
ni istituti della zona, hanno por-
tato i propri allievi a mangiare in
questa insolita mensa. I ragazzi
delle scuole superiori hanno
così potuto buttare l’occhio sul-
la carta che avvolgeva il loro
panino. Diceva: Taliban and Al
Qaeda, Women, Ethnic identi-
ty, Future. L’educazione, in
America, passa sempre più
spesso dalla cucina. Forse, da
oggi, anche l’armistizio si può
far mangiando.
L
Tu n i s i a ,al popolo la sua rivo l u z i o n e
C o n f l i c tK i t c h e n ,il fast fooddella pace
li uomini di Ben Ali,
la Francia, l’Italia,
gli altri Paesi africa-
ni e arabi: tutti cer-
cano di affossare la
rivoluzione». Così, M o h s e n
M e l l i t i, scrittore e regista tuni-
sino, da più di un ventennio a
Roma, spiega il cortocircuito
mediatico intorno alla nascente
guerra civile tunisina. Un Paese
lasciato solo nel silenzio assor-
dante del Maghreb e delle ex
potenze coloniali. Ma per la
prima volta, dice, è «ottimista»,
perché «dopo 24 anni la gente
non ha più niente da perdere».
Secondo Zied El Heni,
blogger e giornalista tunisino
«la rivoluzione è nata dai citta-
dini tunisini che aspirano alla
dignità e alla libertà, che voglio-
no poter godere dei loro diritti,
che hanno affrontato le barrica-
te e che non si sono arresi.
Adesso tutto questo deve essere
raccolto dai partiti per essere
tradotto in concreto». El Heni
però manifesta una preoccupa-
zione: quella che l’intifada tuni-
sina si risolva in un nulla di
fatto. Il blogger racconta di un
clima d’incertezza, di vecchi
membri dell’esecutivo che stan-
no infettando anche il nuovo
governo: «Sono state prese
decisioni importanti, come
quella di istituire una commis-
sione contro la corruzione e di
sancire la libertà dei partiti a
costituirsi, ma la gente non
capisce come si possa intra-
prendere un nuovo cammino
se a impegnarsi sono le stesse
persone che hanno fatto parte
di un sistema corrotto».
Sebbene cinque membri
del nuovo gabinetto si siano
ritirati respingendo il finto
cambiamento in atto, dall’altra
parte la nomina del blogger dis-
sidente Slim Amamou a l l a
carica di sottosegretario alla
Gioventù e allo Sport è un
segno di speranza. Amamou
rappresenta il simbolo di una
generazione che ha lottato per il
proprio futuro, che ha sfidato la
censura con internet. Solo ora
si inizia a parlare di libertà di
stampa: i media invitano gli
oppositori a comparire, i diri-
genti dei giornali nazionali giu-
rano di non interferire più con
la linea editoriale scelta dalla
redazione.
Mohsen Melliti “sente” che
qualcosa è cambiato: «I giovani
vogliono lottare contro un
Paese che vieta internet, in cui
una laurea non vale niente per-
ché anche per un posto di
ambulante bisogna essere
iscritti al partito». In Tunisia, se
svolta ci sarà, non potrà non
dipendere dal sì del nuovo
governo a un’assemblea costi-
tuente. Per dare voce ai sinda-
cati, alle associazioni, ai magi-
strati che hanno aspettato di
dire la loro per troppo tempo.
La vecchia politicasta intaccandoanche il nuovoesecutivo, stavoltaperò i tunisini non rinuncerannoa lottare. La nostragenerazione nonha più niente daperdere. Noi nonci arrenderemo
di Giulia Dedionigi
di carlotta garancini
Per sap e rne di più
j o u rn a l i s t e - t u n i s i e n - 1 1 0 .
b l o g s p o t . c o m
g
O A L L O O K D A N E R D. A n d r e a
P e s s i n osfata il luogo comune
che lo vorrebbe piccoletto,
nevrotico, arruffato, occhialu-
to. Creatore di D a x t e r, del cele-
bre eroe Kratos di God of War e di altri videoga-
mes di successo mondiale, a un primo sguardo,
penseresti di avere davanti un culturista:
Andrea è un omaccione corpulento. Da vent’an-
ni vive in California. Si è fatto da sé e non ha fini-
to di mettersi in rete.
Perché una vita fuori dall’Italia?
Ho sempre avuto la passione per i giochi ma in
Italia non mi sentivo realizzato. Così, dopo una
giornata spiacevole in un’azienda dove pro-
grammavo software gestionali, ho preso un
giornale di videogiochi e ho inviato il curriculum
in una sezione a caso. Sono finito a Santa Barba-
ra, California: mi hanno messo in prova. Risul-
tato: assunto dopo un mese. Il motivo della mia
“fuga”? Semplice: in Italia non sarebbe stato
possibile mettere a frutto le mie potenzialità.
Adesso, negli Usa, ha una carriera
di successo.
Sono passato da una piccola a grandi società; ho
iniziato a progettare programmi di grafica di
successo. Questi progetti hanno venduto tantis-
simo e io ho conquistato molti premi. Nel 2003
ero stanco di inventarmi giochi sul pc e ho
cominciato a progettare per la console. Il team
di sviluppo ha realizzato God of War. A n c o r a
oggi è il gioco su Psp con il massimo rating.
In Italia, chi lavora nei videogiochi
è considerato un programmatore
di serie B?
Sì, perché i più pensano ai videogiochi come
prodotti per bambini, con un fine educativo.
In America la mentalità è orientata al diverti-
m e n t o .
Ma almeno la formazione dei pro -
grammatori italiani è adeguata?
La buona educazione e la nostra preparazione
sono imbattibili. Purtroppo a livello universita-
rio non esiste nessuna scuola che dia una prepa-
razione completa: la scuola pubblica, poi, è trop-
po lenta e distaccata dalla realtà. Negli Usa ci
sono molte scuole di videogiochi, ma il talento
dipende dalla capacità di crescere da soli.
Per un giovane che volesse intra -
prendere questa carriera, trasferir -
si all’estero è obbligatorio?
Credo di sì. In Italia bisogna escludere l’idea di
lavorare in gruppo. L’alternativa è spostarsi e
trovare connessioni. Oppure basterebbe condi-
videre le idee attraverso le nuove tecnologie:
basta un computer e molto talento. In America,
quando arrivai vent’anni fa, mi dissero «Ok,
prova». In Italia non è esattamente lo stesso.
Dall’Italia si fugge o in Italia si tor -
n a ?
Tornerei solo in vacanza oppure per stimolare
la crescita del mercato e la creazione di gruppi di
sviluppo. Mi manca l’arte del nostro Belpaese e
mi ha sempre sorpreso come gli italiani non
vadano in giro con gli striscioni a celebrare le
proprie ricchezze, cosa che gli americani fanno
sempre. Gli italiani dovrebbero credere di più in
sé stessi. Qualsiasi cosa è possibile: basterebbe
convincersi che non c’è nessun sogno fuori dal-
la propria portata.
er i canadesi spesso è difficile
reclamare un territorio in lar-
ga parte disabitato ed estre-
mamente inospitale. Così,
ogni anno, una pattuglia di
ranger parte alla volta della zona artica
del paese. Non basta presidiarlo per via
aerea: se non ci cammini sopra, non
puoi dire che sia veramente tuo. Questo
lo spunto che ha portato la fotogiornali-
sta Dianne Whelana unirsi, nel
2007, a una spedizione di sette militari,
bianchi e nativi Inuit. La missione:
piantare una bandiera nel punto più
settentrionale del suolo canadese, sul-
l’isola di Ward Hunt, vicino al Polo
Nord. Duemila chilometri su motoslitta
attraverso pianure, ghiacciai, crepacci, e
neve perenne. Un’odissea di 16 giorni in
uno degli ambienti meno abitabili del
pianeta, tanto pericolosa quanto ricca a
livello visivo. Una ricchezza che Dianne
ha documentato in maniera straordina-
ria, con foto e video. Risultato: un’espe-
rienza completa, a 360 gradi. Un docu-
mentario di 35 minuti (con musica e
narrazione di Tanya Tagaq, cantante
nativa Inuit), un sito web interattivo con
i dati di viaggio, e, soprattutto, uno
splendido audio diario che esplora, con
graffiante nitidezza, un altro viaggio,
quello nell’animo umano. Fatica, paura,
incomprensione, ma anche spirito di
gruppo e coraggio. Per ricordare al
mondo che quella terra è loro, “land that
is ours”, come dice la targa che la spedi-
zione lascerà in ricordo dell’impresa.
E’ italiano il redei videogame
Sono fuggito da Asti e ora sviluppo videogiochi in California perché l’Italia non ha un ambientepropizio alla formazione dei giovani e al lavoro
multimedia
This Land,d i rezione A rt i c o
MAGZINE 11 | 1 gennaio - 31 gennaio 2011 11
di giuditta avellina
di Giacomo Sega n t i n i
Per sap e rne di più
www.readyatdawn.com
p
N
A T A B L O G and visuali-
zation, ovvero la
nuova chiave per leg-
gere l’attualità: la
sezione del sito del G u a r d i a n
gioca sul potere dell'immagine
per fare informazione, ricordan-
do ai lettori che i fatti sono sacri,
come cita il p a y o f f sotto la testa-
ta. E visto che i numeri sono la
sintesi estrema dei fatti, le notizie
sono infografiche. «Cerchiamo
fatti e vogliamo che i lettori sap-
piano leggerli in profondità»,
spiega Simon Rogers, capore-
dattore di Datablog and
V i s u a l i z a t i o n.
Come è nata l’idea di
creare questa sezione?
Mentre lavoravo alla selezione di
informazioni per un ufficio grafi-
co, mi sono accorto che stavamo
raccogliendo una grande quanti-
tà di dati grezzi da fonti credibili.
Allo stesso tempo, abbiamo
notato la crescita dell’interesse
per lo scambio on-line dei dati
stessi, di informazioni grezze.
Le pubblicazioni di
Wikileaks hanno influi -
to sull’idea di creare il
Datablog?
Il nostro ruolo nel pubblicare e
scomporre un’enorme serie di
dati affinché le persone possano
digerirli è sempre più reale. I let-
tori hanno bisogno di qualcuno
che analizzi i dati e che aiuti loro a
capire cosa significano. Noi pen-
siamo di essere nella giusta posi-
zione per chiedere ai lettori di
darci una mano. Cioè chiederci:
cosa si può trovare nei numeri?
Con Datablog i lettori
riescono a comprende -
re i fatti alla luce solo
dei dati pubblicati?
Ecco, arriviamo al punto. Noi
cerchiamo di offrire i link e un
contesto, tracciare una strada
per navigare tra i dati. Credo che
il giornalista debba essere un
ponte tra chi ha in mano i dati,
ma è incapace di interpretarli, e
coloro che hanno disperato biso-
gno di capire la realtà.
Ci sono anche molte
immagini. Perché?
Le immagini fanno capire meglio
i fatti. Con le rappresentazione
grafiche una storia diventa com-
prensibile ed è più facile che chi
visita un sito rimanga incollato
alla notizia e la legga.
Come selezionate i dati
da pubblicare?
Ci affidiamo alle fonti migliori,
quelle più credibili e mai anoni-
me, perché vogliamo che i lettori
conoscano le nostre fonti. Ci
sono talmente tante informazio-
ni lì fuori, che noi siamo in grado
di utilizzare solo dati pubblici
d i s p o n i b i l i .
In che modo il Datablog
condivide i contenuti
con i lettori? E qual è il
target di lettori a cui vi
r i v o l g e t e ?
Ci affidiamo ad applicazioni in
larga misura disponibili on-line,
come Google Docs, Google
Fusion Tables, Many Eyes e
T i m e t r i c. Condividiamo le
nostre storie anche via Twitter e
Facebook, per rendere partecipe
il maggior numero possibile di
p e r s o n e .
Questo modo di fare
informazione dimostra
che nessun governo è in
grado di controllare la
r e t e ?
Assolutamente. Anzi, è il gover-
no che in questo modo è sotto il
nostro controllo. Non avere
informazioni grezze renderebbe
questo obiettivo più difficile.
Tutto qui.
Il G u a rd i a n ha scelto di dare più spazio ai nu m e rie alle immagini. Sul sito è nata la sezione D at a bl o gand Vi s u a l i z at i o n. L’ o b i e t t ivo è quello di offri re ai lettoriuno strumento di analisi della realtà affilato e pro f o n d o
Periodico realizzatodal Master in Giornalismodell’Università Cattolica - Almed© 2009 - Università Cattolicadel Sacro Cuore
d i r e t t o r eMatteo Scanni
c o o r d i n a t o r iLaura Silvia Battaglia, Ornella Sinigaglia
r e d a z i o n eFabrizio Aurilia, GiudittaAvellina, Chiara Avesani,Lorenzo Bagnoli, ValerioBassan, Matteo Battistella,Marco Billeci, Valeria CastellanoSalvo Catalano, MicheleD’Onofrio, Chiara Daina, GiuliaDedionigi, Giulia Destefanis,Fabio Forlano, Giacomo Galanti,Carlotta Garancini, GiulianaGrimaldi, Cosimo Lanzo,Andrea Legni, Cristina Lonigro,Paolo Massa, AlessandroMassini Innocenti, AntonioNasso, Ambra Notari, TancrediPalmeri, Simona Peverelli, RosaRicchiuti, Denis Rizzoli,Gregorio Romeo, GabrieleRusso, Stefania Saltalamacchia,Giacomo Segantini, BiancaSenatore, Luigi Serenelli,Francesca Sironi, Matteo Sivori,Alessandro Socini, EnricoTurcato, Gianluca Veneziani
a m m i n i s t r a z i o n eUniversità Cattolica del Sacro Cuorelargo Gemelli, 120123 - Milanotel. 0272342802fax 0272342881m a g z i n e m a g a z i n e @ g m a i l . c o m
progetto graficoMatteo Scanni
service providerw w w . u n i c a t t . i t
Autorizzazione del Tribunale
di Milano n. 81 del 20 febbraio
2 0 0 9
grafica
di luigi serenelli
MAGZINE 11 | 1 gennaio - 31 gennaio 201112
I fatti sono sacri
D