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11 1 gennaio 31 gennaio 2011 Periodico di approfondimento della Scuola di giornalismo dell’Università Cattolica del Sacro Cuore www.magzine.it magzine »» Cataldo Motta, in Puglia la mafia c’è ancora »» Lorenzo Fazio, tutto un altro libro »» Polka, il giornale dei fotografi per passione »» In Egitto e Tunisia scoppia la rivoluzione dei cittadini »» Andrea Pessino, il genio dei videogiochi COME DIVENTA R E P OV E R I La crisi economica continua a picchiare duro. Aumentano in modo preoccupante le persone che si rivolgono ad associazioni umanitarie per sbarcare il lunario. Così i bisogni primari diventano negoziabili La crisi economica continua a picchiare duro. Aumentano in modo preoccupante le persone che si rivolgono ad associazioni umanitarie per sbarcare il lunario. Così i bisogni primari diventano negoziabili

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mag | zine - La free-press della Scuola di giornalismo dell'Università Cattolica

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111gennaio

31gennaio2011

Periodico di approfondimento della Scuola di giornalismo dell’Università Cattolica del Sacro Cuore

www.magzine.it

magzine

»» Cataldo Motta,in Puglia la mafia c’è ancora

»» Lorenzo Fazio,tutto un altro libro

»» Polka, il giornaledei fotografi per passione

»» In Egitto e Tunisia scoppiala rivoluzione dei cittadini

»» Andrea Pessino,il genio dei videogiochi

COME DIVENTA R EP OV E R I

La crisi economica continua a picchiare duro. Aumentano in modopreoccupante le persone che si rivolgono ad associazioni umanitarieper sbarcare il lunario. Così i bisogni primari diventano negoziabili

La crisi economica continua a picchiare duro. Aumentano in modopreoccupante le persone che si rivolgono ad associazioni umanitarieper sbarcare il lunario. Così i bisogni primari diventano negoziabili

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MAGZINE 11 | 1 gennaio - 31 gennaio 20112

inchiesta

di Giuditta Avellina e Enrico Turcato

In Italia molte famiglie sono in ginocchio. Nel 2010, s o l oa Milano,50 mila disperati si sono rivolti a Croce Rossae Cari t a s.Fa re sacri fici non basta più:mancano i soldi perp a g a re l ’ a f fitto e fare la spesa. R i t ratto dei nu ovi pove ri

R I S I, I N F L A Z I O N E, R E C E S S I O N E. Parole fin troppo

comuni nel vocabolario di tutti i giorni. Il motivo è

che la crisi economica, che dagli Stati Uniti si è tra-

sferita in Europa nel corso degli ultimi due anni, ha

indotto un aumento della povertà effettivo, anche in

Italia. Secondo la Caritas, in Italia i poveri sono 8.370.000, il 3,7%

in più di quanto rilevato dall’Istat.

Il ceto medio che prima viveva in maniera dignitosa, con la

sicurezza dei risparmi in banca, con un reddito sufficiente a paga-

re un mutuo, con l’autonomia, insomma, di programmare spese

e consumi, ora si trova in condizioni disperate. Il ceto medio infat-

ti rappresenta ben l’11,5% dei richiedenti aiuto. Sono sempre più

numerosi i casi di uomini e donne diventati realmente poveri,

costretti a chiedere un sostegno ad associazioni benefiche, in

cima a tutte Caritas e Croce Rossa. Il disagio economico cresce in

tutte le fasce di popolazione: tra le persone di mezza età, i separa-

ti e i divorziati, le donne sole con figli, i precari, i licenziati, le fami-

glie monoreddito.

E contrariamente a quanto accade in altri Paesi, in Italia il

rischio povertà cresce proporzionalmente al numero di figli nel

nucleo familiare; un fenomeno spia di un malessere generale, che

non fa distinzioni di sesso o razza e che colpisce anche quei ceti medi

che, fino a qualche mese fa, riuscivano a mantenere la famiglia.

Nel 2010 il comitato provinciale della Croce Rossa Italiana di

Milano ha registrato 50mila domande solo nel capoluogo.

Il numero è destinato a crescere, tanto che per il 2011 è previsto il

raggiungimento di quota 56.200. Perché la crisi ha messo in

ginocchio anche gli insospettabili, quelli che hanno sempre avu-

to un tenore di vita più che decoroso, e che ora, spinti dalla dispe-

razione, sono costretti a chiedere aiuto.

A richiamare l’attenzione su una situazione ormai allarman-

te è il nono rapporto sulle povertà nella diocesi di Milano, realiz-

zato sulla base delle richieste d'aiuto pervenute a 56 centri

d'ascolto di Caritas ambrosiana e a Sai (Servizio accoglienza

immigrati), Sam (Servizio accoglienza milanese) e Siloe (Servizi

integrati lavoro, orientamento, educazione). Nel biennio 2009-

2010 le strutture della Caritas hanno registrato un aumento

medio del 25% delle domande e le istan-

ze degli italiani sono cresciute del 40%.

L’impennata nelle richieste di aiuto è

data dalle domande presentate da nuclei

familiari. Il dato rilevante è che queste

sono in aumento rispetto a quelle pre-

sentate dai singoli.

Il disagio economico morde e non

risparmia la capitale economica italiana:

Milano. Lo conferma la storia di F l a v i o

M ., 45 anni, padre di due bambini. Con

la moglie lavorava da freelance per una

rivista della Mondadori che nel 2010 è

stata costretta a chiudere i battenti. Il

tenore di vita che avevano permetteva

loro di viaggiare per fare servizi fotogra-

fici e reportage che poi vendevano alla

rivista. «Poi nella prima metà dello scor-

so anno - racconta Flavio - i pagamenti

iniziarono ad arrivare in ritardo e di conseguenza facevamo fati-

ca a saldare le rate del mutuo della casa, nel centro di Milano».

«Quando ci hanno comunicato la fine del rapporto di lavoro -

continua - ci è crollato il mondo addosso. Con due figli da sfama-

re e un mutuo da pagare, se non hai entrate è la fine». La coppia

è stata costretta a vendere l’abitazione e ad andare a vivere dalla

suocera di Flavio. Oggi con i soldi ricavati dalla casa e l’assegno

che ricevono dal fondo famiglia-lavoro della Caritas riescono a

sopravvivere, ma sono stati costretti ad abbandonare gran parte

dei loro sogni e a condurre una vita che prima di puntare al futu-

ro, deve fare i conti con un presente problematico.

Proprio il fondo famiglia-lavoro ideato nel 2008 dal cardi-

nale Dionigi Tettamanzi si è rivelato uno strumento fondamen-

tale per aiutare le persone messe in ginocchio dalla crisi. Lo dimo-

strano chiaramente i numeri: 9 milioni di euro erogati e 3mila

famiglie coinvolte, di cui il 57,5% composte da stranieri. La mag-

gioranza dei beneficiari (76,5%) ha tra i 30 e i 49 anni.

Anche per gli stranieri integrati le difficoltà si sono moltipli-

c

A ffo n d at idalla crisi

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cate. O s c a r T .ha 39 anni, è filippino e vive a Milano da quasi 15

anni. Lavorava come operaio in una cooperativa e viveva con la

moglie e la figlia in una palazzina della periferia milanese. La cri-

si ha colpito la sua azienda, lui è rimasto disoccupato e senza i sol-

di necessari a mantenere la famiglia. «Per me - spiega - è stato

tremendo: abbiamo dovuto lasciare la casa e cercare una siste-

mazione di emergenza. Ora viviamo in un appartamento senza

riscaldamento e acqua calda. È difficile, soprattutto per la mia

piccola. E ci sono tante altre famiglie ridotte come noi». Oscar

sopravvive con qualche lavoretto saltuario e con il sostegno di

varie associazioni. «Se la situazione non

migliorerà - dice - non riuscirò ad andare

avanti, a pagare le spese e a mantenere la mia

famiglia e sarò costretto ad abbandonare

l ’ I t a l i a».

Se poi alla recessione generale si aggiun-

ge la separazione o il divorzio, il quotidiano

diventa un vero e proprio incubo. Come per

Ruggero A., milanese di 48 anni, che dopo

il divorzio non ha più una famiglia né un lavo-

ro. Vive da solo in una casa in affitto e rara-

mente riesce a vedere la figlia. Ha speso mol-

ti soldi in avvocati e carte bollate, fatica ad

arrivare a fine mese, e la crisi gli ha tolto la

possibilità di contare su un lavoro stabile.

«Quando alla crisi economica fa seguito la

separazione tra coniugi - testimonia Ruggero

- la vita cambia moltissimo e in modo repen-

tino. Si affrontano difficoltà nuove: c’è da fare

i conti con l’idea di perdere famiglia e figli, di andare in contro a

problemi psicologici rilevanti, di non riuscire a gestire le scaden-

ze e l’economia di casa e soprattutto di dover affrontare i proble-

mi economici in solitudine».

Prima del divorzio, Ruggero aveva intrapreso con la moglie

un’attività di consulenza di diritto del lavoro, per iniziare la qua-

le aveva scelto di rinunciare al proprio lavoro. Con la separazio-

ne ha dovuto cercare un nuovo impiego e lo ha trovato in

un’azienda giapponese, come tecnico commerciale di prodotti

video e audio. Ma dopo poco tempo l’azienda ha chiuso i batten-

ti. Ruggero ha provato a reinventarsi ancora e si è iscritto alla

Camera di Commercio, prima come agente di commercio e poi

come impiantista elettricista, ma ha trovato solo lavori precari.

Oggi conta sugli ultimi risparmi messi da parte e la difficol-

tà maggiore è quella di affrontare le spese mensili e l’assegno di

mantenimento alla figlia: «Ho cambiato il mio tenore di vita ma

i soldi risparmiati stanno per finire. Voglio impegnarmi, non

potrei tollerare di cadere nel vortice della disperazione».

MAGZINE 11 | 1 gennaio - 31 gennaio 2011 3

Il 75% delle persone che chiede aiutoalle associazioni ha tra i 30 e i 49 anni. E la Caritas smentisce l’Istat: i poverisuperano di gran lunga gli 8 milioni

Per sap e rne di più

Aldo Giannuli, 2 0 1 2 : la grande cri s i ( Po n t e

alle Gra z i e ) ; Monica D’Ascenzio, Giada

V e r c e l l i; Donne sull’orlo di una crisi eco -

nomica ( R i z zo l i ) ; Pascal Salin, La crisi eco -

n o m i c a : chi è il colpev o l e ? ( C i d a s ) .

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L I S T I P E N D I S O N O C O N G E L A T I, gli

affitti lievitano, la crisi falci-

dia le fasce più deboli. Capita

così di finire sul lastrico.

Un’indagine condotta dall’Os-

servatorio regionale lombardo sull’esclusio-

ne sociale (Ores), evidenzia che le richieste

di aiuto agli enti che distribuiscono beni di

prima necessità sono aumentate del 10% nel

2009. «Sono le famiglie - spiega G i a n c a r l o

R o v a t i, coordinatore del comitato scientifi-

co Ores - a essere in difficoltà: c’è richiesta di

aiuti di piccola cassa, per pagare bollette o

emergenze sanitarie».

Ma la crisi economica, per le famiglie,

rischia di tradursi in ansia esistenziale,

intaccando così le relazioni affettive. Di fron-

te a un futuro incerto, precisa Gioia di

Cristofaro Longo, ordinario di antropolo-

gia culturale dell’università La Sapienza di

Roma, «i giovani non fanno più investimen-

ti affettivi, mentre le coppie mature vanno in

crisi e si separano». Il singolo non si sente

più all’altezza, perde autostima e non riesce

più a gestire le proprie relazioni. La crisi è un

teatro di contraddizioni in cui gli attori reci-

tano a soggetto, cioè senza regia.

«Rassegnazione, crisi familiari, abuso di far-

maci, droga - aggiunge Longo - sono le con-

seguenze che i protagonisti negano persino a

se stessi».

Quando le famiglie si sfaldano, i padri

escono di casa. Le difficoltà aumentano

soprattutto per gli uomini: gli obblighi eco-

nomici di un divorzio finiscono per trasfor-

mare i capifamiglia in veri e propri clochard.

«Capita che alcuni di loro - interviene

Laura Leonini, sociologa dei consumi

all’Università degli Studi di Milano - usufrui-

scano delle mense pubbliche e si appoggino

alle strutture abitative per gli indigenti». Per

non parlare delle categorie da sempre ai

margini, come gli immigrati, svantaggiati

doppiamente: «Devono lavorare per mante-

nere il permesso di soggiorno - aggiunge

Leonini - e versare i contribuiti Inps man-

canti. Inoltre sono i meno garantiti dalla rete

di welfare familiare, perché la maggior parte

di loro non ha famiglia in Italia».

Invece per gli italiani che una famiglia

ce l’hanno fronteggiare la crisi vuol dire tro-

vare nuove strategie: ad aumentare sono

soprattutto le richieste alimentari «perché -

spiega il coordinatore del comitato scientifi-

co dell’Ores - quello del cibo è un bisogno

non negoziabile. È in questo solco che opera-

no iniziative come il Banco alimentare, la

Onlus che raccoglie le eccedenze agricole e

industriali della grande distribuzione e della

ristorazione, e che le smista agli enti di soli-

darietà».

Per chi ancora non fa la fila per gli aiuti

alimentari, invece, qual è il rapporto col car-

rello della spesa? Secondo i dati Nielsen

sugli acquisti nella grande distribuzione, le

famiglie scelgono prodotti più economici

pur di non privarsene. Una riduzione dei

consumi solo camuffata, osserva la professo-

ressa Leonini: «Non tutti arrivano alla

rinuncia perché accettare un cambiamento

dei propri modelli di vita richiede un allena-

mento mentale». Un esempio? «Non consu-

mare acqua in bottiglia per risparmiare -

dice la sociologa dei consumi - nel lungo

periodo si rivela un cambiamento di abitudi-

ne, in realtà non negativo».

L’oculatezza non risparmia la voce salu-

te: c’è chi si rivolge al Banco farmaceutico

per avere medicinali gratuitamente, e «per

molte famiglie - osserva la Leonini - il denti-

sta si è trasformato in lusso». Anche sulle

spese per i più piccoli il risparmio è d’obbli-

go: dalle culle ai vestiti, la nuova tendenza è

l’usato, come nei paesi anglosassoni. L’unico

bisogno non comprimibile è la casa: «Gli ita-

liani sono un popolo di proprietari - sottoli-

nea la sociologa - anche se questo limita fles-

sibilità e mobilità».

Quando i bisogni primaridiventano negoziabili

La crisi colpisce milioni di famiglie nel quotidianoe scalfisce per la prima volta la sfera affettiva deglii t a l i a n i . C resce la richiesta di assistenza alimentarea enti benefici e si ri s p a rmia anche sulla salute

MAGZINE 11 | 1 gennaio - 31 gennaio 20114

inchiesta

di simona peverelli e fabrizio aurilia

g

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er risparmiare sugli

alimentari si va a cac-

cia di offerte e per la

cura della casa e l’igie-

ne personale si ridu-

cono i consumi: è questo l’atteg-

giamento dei lombardi di fronte

alla crisi rilevato dall’O r e s, l’Os-

servatorio regionale sull’esclu-

sione sociale. Uno dei maggiori

indicatori, spiega il direttore,

Luca Pesenti, è la capacità

d’acquisto: in Lombardia è pari

a 146,8 punti, più alta che nel

resto d’Italia (104,7), ma tra il

terzo trimestre 2009 e lo stesso

periodo del 2010 in Lombardia

è scesa di 2,4 punti, contro una

flessione di 1,9 rilevata a livello

nazionale.

Che si spenda di meno per

cibi e bevande emerge anche dai

dati divulgati dalla Confedera-

zione italiana agricoltori. Nel

2009 una famiglia italiana su tre

è stata costretta a tagliare gli

acquisti alimentari: in particola-

re, secondo i dati Istat e Ismea,

circa il 40% dei nuclei familiari

ha comprato meno frutta, ver-

dura, pane e carne bovina. Per

riempire il carrello la spesa

media mensile è stata di 461

euro (in particolare, 455 al nord,

472 al centro e 463 al sud). Tre

famiglie su cinque, inoltre, han-

no dovuto modificare il menù

quotidiano e oltre il 30% è obbli-

gato, a causa delle difficoltà eco-

nomiche, a comprare prodotti di

qualità inferiore. Analoga la per-

centuale di chi acquista ormai

esclusivamente i prodotti in

promozione.

La tendenza, secondo le

prime stime, sembra essersi

consolidata anche nel 2010,

anno in cui i consumi alimentari

sono rimasti praticamente al

palo e in alcuni casi sono scesi

(carne bovina -2,3%, pasta - 2 , 1 %,

pesce -1%).

Come sono cambiati i

consumi delle famiglie

milanesi dall’inizio del -

la crisi?

A Milano, non solo la spesa

complessiva è diminuita, ma si

rileva un’incidenza della spesa

alimentare sul totale legger-

mente superiore alla media del-

la Lombardia. È un indizio del

fatto che a Milano città si sta un

po’ peggio rispetto al resto della

Lombardia. Un altro segnale del

tentativo delle famiglie milanesi

di risparmiare più di quanto fac-

ciano gli altri lombardi è il fatto

che nel capoluogo la quota di

spesa alimentare acquistata in

promozione è maggiore che

altrove.

Qual è il profilo dei

poveri milanesi?

Nel capoluogo 80mila persone

almeno una volta si sono recate

nei centri di prima assistenza

gestiti dalla rete del privato

sociale. Un povero lombardo su

quattro che ha chiesto aiuto,

quindi, vive a Milano. Di questi

possiamo dire che due terzi

sono stranieri, e che le donne

sono più del 65%. Rispetto al

resto della Lombardia, dove il

50-55% di chi ha chiesto aiuto

lo ha fatto perché disoccupato o

in cassa integrazione, a Milano

il riflesso della crisi riguarda il

60% della popolazione censita.

E sempre a Milano l’impoveri-

mento causato da separazioni e

divorzi è del 2% superiore al

resto della Lombardia, dove

riguarda il 17% circa dei richie-

denti aiuto.

Come è cambiato il

modo di fare la spesa

delle famiglie?

Innanzitutto si sono spostate

dalla vendita al dettaglio alla

grande distribuzione. Tendono

poi a rinunciare a prodotti con-

fezionati come cibi precotti o

surgelati, o alle insalate in busta.

E infine evitano colazione e ape-

ritivi in bar e locali, sostituendo

questi consumi con l’acquisto di

prodotti come la pizza surgelata

o preparati per dolci, che noi

inseriamo nella categoria “hap-

py house”. Anche se l’incremen-

to nella vendita dei prodotti

“happy house” è minima, il

trend ci fa capire che è in

aumento l’orientamento verso

la dimensione domestica.

Gli esercizi della gran -

de distribuzione hanno

abbassato i prezzi per

andare incontro alle

esigenze delle fami -

g l i e ?

Diciamo piuttosto che in Lom-

bardia la gamma dei prodotti in

promozione è più ampia che

nelle altre regioni. Negli ultimi

due anni la spinta promoziona-

le da parte della grande distri-

buzione è cresciuta, come

anche la produzione di marchi

privati, a firma cioè del super-

mercato. I fatturati delle catene

sono diminuiti, ma in propor-

zione i carrelli si sono svuotati

meno. La forte competizione tra

i marchi evita un generale

aumento dei prezzi.

«Molte famigliehanno smessodi acquistare cibo confezionato. Ma sono in caloanche gli aperitivi,le colazioni fuoricasa e il superfluoin generale»

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inchiesta

pdi A l e s s a n d ro Socini

Nel 2009 tagli alla spesa per una fa m i glia su tre

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B O S S D E L L ASA C R ACO R O N AUN I T A, arre-

stati alla fine degli anni Ottanta, stan-

no uscendo uno ad uno dalle carceri e

tutti stanno riprendendo il loro posto.

Ma la cosa più grave è che, dopo il

nostro intervento, trovano un territorio puli-

to, dove la loro azione criminale potrà insi-

nuarsi agevolmente». Per Cataldo Motta,

procuratore della Repubblica di Lecce, è un

paradosso. Ma la lotta alla mafia è una guer-

ra che non vale solo una battaglia vinta. Con-

trastata sul nascere da un intervento tempe-

stivo delle forze dell’ordine, quella che stava

diventando la quarta mafia nazionale ha

subito solo un rallentamento. «Per capire i

motivi dei successi ottenuti contro la Sacra

Corona Unita - continua Motta - è necessario

ricordare i fattori che portarono al sorgere

della criminalità salentina. In primo luogo

non si trattò di una mafia collegata a motiva-

zioni generate dal territorio, ma di un’inizia-

tiva di gruppi criminali per contrastare le

infiltrazioni che le altre mafie tentarono nel-

la regione sul finire degli anni Settanta. In

secondo luogo ci trovammo a contrastare

un’organizzazione perlopiù nata in carcere,

con le conseguenti debolezze».

Dalla fine degli anni Ottanta, la criminalità

pugliese si è riorganizzata continuando a

mantenere una rigorosa differenza tra Nord

e Sud, tra il distretto di Bari e quello di Lecce.

«Una mafia pugliese non c’è mai stata. Anche

quando Giuseppe Rogoli,il fondatore del-

la Sacra Corona Unita, pensò di dare all’orga-

nizzazione un’impronta regionale fu subito

chiaro che non c’era alcuna possibilità di

poter interferire con i gruppi criminali che

già agivano tra Bari e Foggia», spiega Motta.

«Nel Nord - chiarisce Antonio Pizzi,

procuratore generale di Bari - non si può par-

lare di mafia perché i clan familiari non sono

organizzati associativamente». Più debole

perché meno organizzata, la criminalità del

Nord non è però meno dannosa per il territo-

rio. «Negli ultimi tempi creano allarme i ten-

tativi criminali di infiltrazioni nella pubblica

amministrazione, finalizzati a pilotare con-

corsi e passare informazioni», spiega Pizzi.

Diversa è la situazione nel Grande

Salento, tra Lecce e Brindisi. Qui la Sacra

Corona Unita si era costituita come vera e

propria organizzazione mafiosa che nel tem-

po ha cambiato forma ma non sostanza. «La

vecchia struttura verticale del 1983 – aggiun-

ge Motta – ha lasciato posto a una orizzonta-

le. Gli ultimi collaboratori di giustizia parla-

no di un cambiamento nei sistemi di affilia-

zione: i rituali sono quasi scomparsi e tutto

tende ad essere più sommerso e moderno».

«Si tratta di gruppi – aggiunge il procurato-

re della Repubblica di Lecce - che riescono a

esercitare un controllo del territorio, gesten-

do tutte le attività criminali con “tasse” sui

piccoli spacciatori e sul contrabbando e sof-

focando l’imprenditoria pulita attraverso

l’usura e il pizzo. In più, gli affari con le ‘ndri-

ne calabresi, da cui viene acquistata la cocai-

na spacciata in Puglia, e con i criminali d’ol-

tre Adriatico, permettono di avere introiti da

ripulire anche al di fuori della regione».

«Adesso - conclude Motta - la nuova

frontiera della mafia salentina è avvicinare i

comuni cittadini all’organizzazione. Nelle

campagne associative delle squadre di calcio

di alcuni paesi della provincia di Lecce si sono

inseriti esponenti di famiglie criminali. Azio-

ni spiegabili solo come ricerca del consenso

popolare che è sempre mancato».

Sacra Corona Unita,la mafia che ritorna

Negli anni ’80 il lavo ro delle forze dell’ordine l ’ aveva soffocata sul nascere. Ma oggi la SacraC o rona Unita in Puglia si sta ri o rg a n i z z a n d o.E cerca nu ovi appoggi nel mondo del calcio

MAGZINE 11 | 1 gennaio - 31 gennaio 20116

mafie

Di Cristina lonigro

Per sap e rne di più

Ruotolo G., La quarta mafia: s t o rie di

mafia in Puglia ( P i ro n t i )

I

Page 7: magzine 11

l fotogiornalismo non è una

realtà in via d’estinzione. A

confermarlo è P o l k a. Lan-

ciato a Parigi nella prima-

vera del 2007, il progetto

Polka prende forma in galleria.

Sei fotografi decidono di esibire i

propri scatti sul mondo. Subito

dopo nasce un racconto sulle

pagine di un magazine. P o l k a

riscuote un immediato successo.

Dopo tre anni, il team è formato

da sedici fotografi. Tutti mossi da

un’unica passione, quella di cat-

turare lo sguardo altrui.

I soggetti messi a fuoco non

sono quasi mai gli stessi mostrati

sulla carta stampata tradiziona-

le. Non sono necessariamente

d’attualità perché non è la feno-

menologia politica dominante a

dettare i temi. Piuttosto a ispira-

re i fotografi francesi sono le sto-

rie di donne e uomini, lontane e

insieme vicine nel tempo e nello

spazio, comuni o eccezionali. Ma

senz’altro mai scontate.

P o l k aesce ogni tre mesi, per

un totale di quattro numeri

all’anno. Si succede al ritmo delle

stagioni. «P o l k aè un nome vitale

che infonde positività - spiega

Dimitri Beck, uno dei fotogior-

nalisti - É facile da memorizzare

e semplice da pronunciare per

ogni lingua. Non potevamo chia-

mare questa rivista Photo qual-

cosa. E comunque Polka Maga -

z i n eè molto più che un giornale

di fotografia. É un modo per sco-

prire e leggere il mondo» .

Da chi è nata l’idea? «Sono

stati Adelie e Edouard Gene-

s t a r, due fratelli, che insieme al

padre Alain, già direttore di

Paris Match, decisero di suppor-

tare le mostre fotografiche prima

con un magazine e poi con un

sito web. Io fui contattato per

stendere il progetto e metterlo in

piedi», ricorda Beck. Ancora

adesso ogni numero della rivista

corrisponde a un’esposizione

fotografica, «anche se - precisa

Beck - le foto pubblicate sono

una selezione di quelle scattate e

messe in mostra». P o l k aè multi-

mediale. «Non esistono esempi

di fotogiornalismo paragonabili

alla nostra rivista». Individuare

fatti inediti e volti nascosti, dare

loro una voce, immortalarli e

rendere tutto ciò fruibile sul web,

oltre che attraverso il magazine e

le gallerie, è un’opportunità rara

nel panorama mediatico.

Polka Magazinev i e n e

distribuito in quindici Paesi, tra

cui l’Italia e quattro nazioni afri-

cane di lingua francese. «L’in-

tenzione è comunque allargare il

nostro mercato ad altri Stati»,

conferma Beck. Oltre alla diffusa

reperibilità, P o l k aoffre un altro

vantaggio: il modico costo di cin-

que euro. «É nelle nostre inten-

zioni mantenere accessibile a

tutti il nostro prodotto. Una delle

condizioni che ce lo permette

sono gli introiti provenienti dalla

pubblicità che ospitiamo».

Da citare è il web-documen-

tario che i fotogiornalisti di P o l k a

hanno prodotto insieme a M é d i -

cins du Monde, associazione che

si occupa di curare la salute di chi

vive ai margini della società. L a

vie à sac- questo il titolo del

documentario - dà voce a quattro

vite che si sono interrotte per

confrontarsi con la solitudine, la

malattia, l’esclusione sociale. Le

persone sono ritratte a partire da

ciò che resta di loro all'interno di

uno zaino. Ogni elemento custo-

dito, dalla carta d’identità ai

vestiti , dai biscotti a una bottiglia

d’acqua, diventa lo spunto per

tirare le fila del passato, per inda-

gare sul presente e insinuarsi nei

sogni di ciascuno.

Po l k a , il fo t og i o rn a l i s m os c o p re un nu ovo fo rm at

fotogiornalismo

MAGZINE 11 | 1 gennaio - 31 gennaio 2011 7

Per sap e rne di più

Il sito di Po l k a :

w w w. p o l k a m a gazine.com

di Chiara Daina

i

Page 8: magzine 11

MAGZINE 11 | 1 gennaio - 31 gennaio 20118

giornalismo

di gabriele russo

O L A V O R A T O 25 A N N I

in grandi gruppi

come Rcs e Einaudi.

Ero protetto, tran-

quillo ma non completamente

libero. E questo era un motivo di

grande angoscia». L o r e n z o

F a z i o, 53 anni, è l’inventore di

C h i a r e l e t t e r e, casa editrice ano-

mala rispetto al panorama italia-

no: giovane, libera, di successo.

Tra gli addetti ai lavori passa per

uno col tocco magico. Non è una

leggenda del tutto infondata. La

biografia non autorizzata dice che

ha salvato due volte E i n a u d i d a l

fallimento, rilanciato i T a s c a b i l i

B o m p i a n i, infuso nuova vita alla

B u r. Nel 2006, dopo aver lasciato

il posto di direttore editoriale alla

Universale Rizzoli, ha plasmato

una factory a sua immagine e

somiglianza dove è tornato a respi-

rare a polmoni aperti e si è sentito

libero di sperimentare ancora.

Genovese di nascita, parigino

di formazione, pubblica libri che

scalano le classifiche e,

in genere, stanno al

centro del dibattito

politico. Timido, sorride

di rado, ma è gentile,

informale, ovviamente colto,

attento ai dettagli e con un fiuto

ferino per le storie che piacciono al

pubblico. Un rabdomante del-

l’editoria. Pubblica giornalisti

famosi, ma forse preferisce l’esor-

diente che ha sgobbato anni in cro-

naca e si ritrova per le mani un

grande affresco civile che aspetta

solo di essere raccontato.

C h i a r e l e t t e r e scopre talenti,

fa grandi numeri, tiene un profilo

basso, tratta argomenti scomodi,

becca querele e quasi sempre le

vince. Quando perde, paga e tira

dritto con la storia successiva. Un

atteggiamento raro per un editore

italiano, un gesto che non ha prez-

zo per un autore.

Nel 2009 Lorenzo Fazio ha

deciso di discendere una nuova

rapida e fondato un giornale, I l

Fatto Quotidiano, di cui C h i a r e -

l e t t e r e è editore: 30mila abbonati

prima ancora di arrivare in edico-

la, 70mila copie vendute ogni gior-

no, 10 milioni di utili a fine 2010

(ridistribuiti ai dipendenti). Meri-

to di scrittori e giornalisti, ma

anche di chi sta dietro le quinte, del

S u g g e r i t o r e .

Come nasce Chiarelette -

r e ?

Nel 2007 la R i z z o l i

decise di ritrasformare

la B u r in una collana,

togliendole l’autono-

mia di cui godeva. Deci-

si che all’età di 50 anni pote-

vo cimentarmi in qualcosa di

mio. Così progettai una casa edi-

trice concepita in modo diverso:

non solo un contenitore di libri

ma un polo di contenuti multi-

mediale dove gli autori venissero

valorizzati e messi in condizione

di esprimersi a più

livelli, su più piattafor-

me. Ne parlai con il

gruppo M a u r i - S p a -

g n o l che aderì al pro-

getto. Così fondammo

C h i a r e l e t t e r e.

Il nome della

casa editrice

appare come

una dichiara -

zione di intenti.

Chi lo ha scelto?

Tra i tanti nomi papabili stavamo

impazzendo. Quelli strani non mi

sono mai piaciuti. Poi una notte

scelsi C h i a r e l e t t e r e. Era perfetto

per rappresentare lo spirito di que-

sta casa editrice e di noi stessi. Ci

occupiamo di attualità e di proble-

mi sociali e ci rivolgiamo a coloro

che vogliono saperne di più. Pos-

siamo usare la libertà come voglia-

mo, a patto che i conti tornino.

Gli argomenti da tratta -

re sono scelti a tavolino

dall’editore o li propone

lo scrittore di turno?

Spesso arrivano proposte. Altre

volte, invece, siamo noi a chiedere

agli scrittori di trattare temi che

non hanno trovato spazio su gior-

nali, riviste o altri libri. Lavoriamo

a stretto contatto con gli autori

dando la giusta importanza a tutti

gli aspetti: non solo il contenuto

dell’opera ma anche titolo, coper-

tina, sottotitolo e quarta di coper-

tina. Ogni parola è decisiva per col-

pire l’attenzione del lettore.

Chiarelettere è solo l’ulti -

ma sua fatica professio -

nale. La sua carriera nel

campo dell’editoria ini -

zia trent’anni fa alla

Marietti. Cosa le ha inse -

g n a t o ?

Arrivai nel 1982 e collaborai con

don Antonio Balletto per tra-

sformare la casa editrice da ponti-

ficia a laica. Fu una grande espe-

rienza che mi aiutò a pensare alla

religione non più come a una con-

fessione ma come a un’esperienza,

la più ampia possibile, di libertà

individuale e di confronto.

Poi, nell’ordine, Einau -

di, Bompiani.

Arrivai in Einaudi in un momento

bruttissimo. La società era stata

commissariata ed era reale il

rischio di chiusura. Mi trovai di

fronte a grandissimi autori come

Primo Levi e Mario Rigoni

S t e r n. Fu difficilissimo convin-

cerli a restare. Dovevamo salvare

H

Pa ro l eche pesano

L o re n zo Fazio è considerato il re Mida dell’editoria i t a l i a n a .Dai tascabili Einaudi alla Bur,le sue scelte sisono sempre rivelate vincenti.E con Chiare l e t t e ree il Fatto Quotidiano sembra aver fatto di nu ovo centro

Page 9: magzine 11

la storia e il prestigio della E i n a u -

d i. L’esperienza alla Bompiani m i

permise invece di comprendere i

meccanismi del mercato editoria-

le e l’importanza di valorizzare un

libro in ogni modo.

Siamo al ritorno all’Ei -

naudi e alla conquista di

un pubblico nuovo.

Come ci è riuscito?

Tornai alla E i n a u d i in un altro

momento drammatico. Riuscii a

rilanciare i tascabili facendoli arri-

vare anche ai lettori non speciali-

sti. In quella collana non c’era

quella presunzione, quell’intellet-

tualismo fine a se stesso che una

volta caratterizzava E i n a u d i. Il

mio motto era: cerchiamo di fare

libri necessari e guardiamo ai gio-

vani, abbassando i prezzi. Grazie

ai tascabili e alla collana Stile Libe -

r oriuscimmo a sistemare i conti e

ancora oggi E i n a u d i è una casa

editrice che va bene e guadagna.

Nel 2003 l’approdo al

gruppo Rcs e la direzio -

ne della Bur.

È stata un’altra scommessa. Pen-

sai che l’occasione di rilancio di

una collana storica come la B u r

potesse rappresentare una bella

sfida. La trasformai, anche grafi-

camente, e lanciai nuove collane

come Futuro Passatoe Senza Fil -

t r o. Iniziai a proporre opere di

autori come Sabina Guzzantie

Michele Santoroche ci permi-

sero di conquistare un pubblico

nuovo. Investii poi sui bravi gior-

nalisti del gruppo R i z z o l i - C o r r i e -

re della Sera dando spazio anche

ad autori che all’epoca non ne ave-

vano come Marco Travaglio e

Peter Gomez. I numeri furono

e c c e z i o n a l i .

Chiarelettere nasce nel

2007, in un’Italia già for -

temente divisa politica -

mente e alle prese con un

sistema di

i n f o r m a z i o -

ne in crisi.

Due anni

dopo compare

anche Il Fatto Quotidia -

no. Vent’anni fa avreb -

bero ottenuto lo stesso

s u c c e s s o ?

Vent’anni fa non c’era Berlusconi,

è vero. Ma i dubbi sull’informazio-

ne libera ci sono sempre stati. È

inutile che i direttori dei grandi

giornali dicano di essere al servizio

dei lettori: non è vero. Molti gior-

nalisti sono costretti a scendere a

compromessi.

Ricevete pressioni forti?

Capita spesso. Non minacce pre-

ventive ma querele a libro pubbli-

cato e, a volte, anche qualcosa di

più grave: quando è uscito N e l

paese dei Moratti di G i o r g i o

M e l e t t i, nel quale si ricostruisce

la tragedia di Sarroch del maggio

2009, la famiglia Moratti ha fatto

sapere che avrebbe querelato

chiunque avesse diffuso i conte-

nuti del libro. Una minaccia mol-

to grave nei confronti della libertà

di stampa.

Come si affronta un pro -

blema simile?

Ho paura che lo affronteremo in

tribunale. Loro sono molto forti, io

no… Pazienza. Del resto anche le

Ferrovie dello Stato ci hanno chie-

sto 25 milioni di euro di risarci-

mento. È chiaro che questi poteri

forti cercano di intimidire chi fa il

suo mestiere di editore libero.

Nel 2009 fonda Il Fatto

Quotidiano. Vi aspetta -

vate un successo simile?

Onestamente no. Ma siamo par-

titi con un’idea, la stessa idea di

Chiarelettere: siamo liberi, abbia-

mo il vantaggio di poter racconta-

re quello che vogliamo, quello che

gli altri non riescono a scrivere.

Questo, oggi, permette persino di

far quadrare i conti. É strano ma il

mercato premia la libertà.

Chi è libero ha più

mercato degli altri

anche se ha meno

strumenti e meno armi.

Anche Il Fatto online ha

raccolto risultati sorpren-

denti: arriviamo a punte di

300mila contatti unici al giorno.

Uno zoccolo duro di lettori e pen-

satori forti, insomma, c’è. Lo

abbiamo intercettato, convinti

che gli italiani non fossero tutti

berlusconizzati o indifferenti alla

v e r i t à .

Il Fatto funzionerà

anche quando uscirà di

scena Silvio Berlusconi?

Berlusconi ha radicalizzato la

politica ma viviamo in un Paese

pieno di conflitti di interesse. C’è

molto da lavorare indipendente-

mente da lui. I problemi sono tan-

ti: penso soprattutto al dramma

dei più giovani, che si domanda-

no cosa ci stanno a fare in Italia.

Un editore non può fare finta di

n i e n t e .

Il vostro giornale cresce

costantemente. Puntate

a diventare grandi?

La campagna acquisti nei giorna-

li è normale. Abbiamo preso V i t-

torio Malagutti d e l l ’E s p r e s s o,

Giorgio Meletti, ex C o r r i e r e

della Serae La7, Ferruccio San-

s a della S t a m p a. Per noi il fatto

che firme così importanti abbiano

preferito il nostro giornale ad altre

realtà, è motivo di grande orgo-

glio. Ne arriveranno altri perché il

massimo, per un giornalista, è riu-

scire a scrivere in modo libero. E

questa è la nostra forza.

MAGZINE 11 | 1 gennaio - 31 gennaio 2011 9

Le Ferrovie dello Stato ci hannochiesto 25 milioni di risarcimento.È chiaro che i poteri forti cercanosempre di intimidire gli editori liberi

Page 10: magzine 11

libertà di stampa

MAGZINE 11 | 1 gennaio - 31 gennaio 201110

A C U C I N At r a d i z i o n a l e

in America? Dieci

europei su dieci

r i s p o n d e r e b b e r o ,

ridendo: il fast food. Oltreocea-

no lo sanno, e forse per questo

hanno imparato a prendere “in

prestito” le pietanze altrui. Le

rendono veloci, low cost, ma

soprattutto cool.

Succede a Pittsburgh, in

Pennsylvania. Questa volta,

però, i lungimiranti proprietari

hanno aggiunto agli ingredienti

un pizzico di cultura pop: si chia-

ma Conflict Kitchen. Da un ban-

cone coloratissimo e addobbato

con bandiere che si vedono di

rado da queste parti, si servono

solo piatti di Paesi con cui

l’America è in conflitto. Un

menù cerca di spiegare il perché

dei contrasti e intanto consiglia

pietanze come Bolani Pazi o

Kubideh. C’è stato l’Iran, ora è il

momento dell’Afghanistan.

Ogni volta la facciata del locale

cambia colore e consigli per il

pranzo: prima carne grigliata,

cipolle e menta sul pane Barba-

ri, ora pane arabo riempito di

zucca, patate spinaci, lenticchie,

completamente ricoperto con

yogurt. Tra quattro mesi, il loca-

le si trasformerà di nuovo e si

potrà assaggiare la cucina della

Corea del Nord e del Venezuela.

Il progetto è nato da

un’idea degli artisti J o h n

P e ñ a, Jon Rubin e D a w n

W e l e s k i. L’obiettivo è di pre-

sentare a rotazione un piatto

tipico del Paese scelto, così da

rendere il cibo un pretesto per

saperne di più. Ogni cliente è

omaggiato con un foglio infor-

mativo piegato in quattro sul

quale vengono date notizie sulla

politica, sulla cultura, sul cine-

ma e sulle tradizioni del Paese,

grazie ai contributi di chi provie-

ne da quelle terre o addirittura

dei residenti di Pittsburgh. La

missione dei proprietari si è

spinta anche oltre: organizzano

seminari, incontri e dibattiti.

Con cinque dollari, però, il

fast-food della pace, non può

ancora sciogliere tutti i nodi:

l’Exit Strategy, Guantanamo, lo

scandalo di Abu Ghraib. Ma

fuori dall’orario scolastico, alcu-

ni istituti della zona, hanno por-

tato i propri allievi a mangiare in

questa insolita mensa. I ragazzi

delle scuole superiori hanno

così potuto buttare l’occhio sul-

la carta che avvolgeva il loro

panino. Diceva: Taliban and Al

Qaeda, Women, Ethnic identi-

ty, Future. L’educazione, in

America, passa sempre più

spesso dalla cucina. Forse, da

oggi, anche l’armistizio si può

far mangiando.

L

Tu n i s i a ,al popolo la sua rivo l u z i o n e

C o n f l i c tK i t c h e n ,il fast fooddella pace

li uomini di Ben Ali,

la Francia, l’Italia,

gli altri Paesi africa-

ni e arabi: tutti cer-

cano di affossare la

rivoluzione». Così, M o h s e n

M e l l i t i, scrittore e regista tuni-

sino, da più di un ventennio a

Roma, spiega il cortocircuito

mediatico intorno alla nascente

guerra civile tunisina. Un Paese

lasciato solo nel silenzio assor-

dante del Maghreb e delle ex

potenze coloniali. Ma per la

prima volta, dice, è «ottimista»,

perché «dopo 24 anni la gente

non ha più niente da perdere».

Secondo Zied El Heni,

blogger e giornalista tunisino

«la rivoluzione è nata dai citta-

dini tunisini che aspirano alla

dignità e alla libertà, che voglio-

no poter godere dei loro diritti,

che hanno affrontato le barrica-

te e che non si sono arresi.

Adesso tutto questo deve essere

raccolto dai partiti per essere

tradotto in concreto». El Heni

però manifesta una preoccupa-

zione: quella che l’intifada tuni-

sina si risolva in un nulla di

fatto. Il blogger racconta di un

clima d’incertezza, di vecchi

membri dell’esecutivo che stan-

no infettando anche il nuovo

governo: «Sono state prese

decisioni importanti, come

quella di istituire una commis-

sione contro la corruzione e di

sancire la libertà dei partiti a

costituirsi, ma la gente non

capisce come si possa intra-

prendere un nuovo cammino

se a impegnarsi sono le stesse

persone che hanno fatto parte

di un sistema corrotto».

Sebbene cinque membri

del nuovo gabinetto si siano

ritirati respingendo il finto

cambiamento in atto, dall’altra

parte la nomina del blogger dis-

sidente Slim Amamou a l l a

carica di sottosegretario alla

Gioventù e allo Sport è un

segno di speranza. Amamou

rappresenta il simbolo di una

generazione che ha lottato per il

proprio futuro, che ha sfidato la

censura con internet. Solo ora

si inizia a parlare di libertà di

stampa: i media invitano gli

oppositori a comparire, i diri-

genti dei giornali nazionali giu-

rano di non interferire più con

la linea editoriale scelta dalla

redazione.

Mohsen Melliti “sente” che

qualcosa è cambiato: «I giovani

vogliono lottare contro un

Paese che vieta internet, in cui

una laurea non vale niente per-

ché anche per un posto di

ambulante bisogna essere

iscritti al partito». In Tunisia, se

svolta ci sarà, non potrà non

dipendere dal sì del nuovo

governo a un’assemblea costi-

tuente. Per dare voce ai sinda-

cati, alle associazioni, ai magi-

strati che hanno aspettato di

dire la loro per troppo tempo.

La vecchia politicasta intaccandoanche il nuovoesecutivo, stavoltaperò i tunisini non rinuncerannoa lottare. La nostragenerazione nonha più niente daperdere. Noi nonci arrenderemo

di Giulia Dedionigi

di carlotta garancini

Per sap e rne di più

j o u rn a l i s t e - t u n i s i e n - 1 1 0 .

b l o g s p o t . c o m

g

Page 11: magzine 11

O A L L O O K D A N E R D. A n d r e a

P e s s i n osfata il luogo comune

che lo vorrebbe piccoletto,

nevrotico, arruffato, occhialu-

to. Creatore di D a x t e r, del cele-

bre eroe Kratos di God of War e di altri videoga-

mes di successo mondiale, a un primo sguardo,

penseresti di avere davanti un culturista:

Andrea è un omaccione corpulento. Da vent’an-

ni vive in California. Si è fatto da sé e non ha fini-

to di mettersi in rete.

Perché una vita fuori dall’Italia?

Ho sempre avuto la passione per i giochi ma in

Italia non mi sentivo realizzato. Così, dopo una

giornata spiacevole in un’azienda dove pro-

grammavo software gestionali, ho preso un

giornale di videogiochi e ho inviato il curriculum

in una sezione a caso. Sono finito a Santa Barba-

ra, California: mi hanno messo in prova. Risul-

tato: assunto dopo un mese. Il motivo della mia

“fuga”? Semplice: in Italia non sarebbe stato

possibile mettere a frutto le mie potenzialità.

Adesso, negli Usa, ha una carriera

di successo.

Sono passato da una piccola a grandi società; ho

iniziato a progettare programmi di grafica di

successo. Questi progetti hanno venduto tantis-

simo e io ho conquistato molti premi. Nel 2003

ero stanco di inventarmi giochi sul pc e ho

cominciato a progettare per la console. Il team

di sviluppo ha realizzato God of War. A n c o r a

oggi è il gioco su Psp con il massimo rating.

In Italia, chi lavora nei videogiochi

è considerato un programmatore

di serie B?

Sì, perché i più pensano ai videogiochi come

prodotti per bambini, con un fine educativo.

In America la mentalità è orientata al diverti-

m e n t o .

Ma almeno la formazione dei pro -

grammatori italiani è adeguata?

La buona educazione e la nostra preparazione

sono imbattibili. Purtroppo a livello universita-

rio non esiste nessuna scuola che dia una prepa-

razione completa: la scuola pubblica, poi, è trop-

po lenta e distaccata dalla realtà. Negli Usa ci

sono molte scuole di videogiochi, ma il talento

dipende dalla capacità di crescere da soli.

Per un giovane che volesse intra -

prendere questa carriera, trasferir -

si all’estero è obbligatorio?

Credo di sì. In Italia bisogna escludere l’idea di

lavorare in gruppo. L’alternativa è spostarsi e

trovare connessioni. Oppure basterebbe condi-

videre le idee attraverso le nuove tecnologie:

basta un computer e molto talento. In America,

quando arrivai vent’anni fa, mi dissero «Ok,

prova». In Italia non è esattamente lo stesso.

Dall’Italia si fugge o in Italia si tor -

n a ?

Tornerei solo in vacanza oppure per stimolare

la crescita del mercato e la creazione di gruppi di

sviluppo. Mi manca l’arte del nostro Belpaese e

mi ha sempre sorpreso come gli italiani non

vadano in giro con gli striscioni a celebrare le

proprie ricchezze, cosa che gli americani fanno

sempre. Gli italiani dovrebbero credere di più in

sé stessi. Qualsiasi cosa è possibile: basterebbe

convincersi che non c’è nessun sogno fuori dal-

la propria portata.

er i canadesi spesso è difficile

reclamare un territorio in lar-

ga parte disabitato ed estre-

mamente inospitale. Così,

ogni anno, una pattuglia di

ranger parte alla volta della zona artica

del paese. Non basta presidiarlo per via

aerea: se non ci cammini sopra, non

puoi dire che sia veramente tuo. Questo

lo spunto che ha portato la fotogiornali-

sta Dianne Whelana unirsi, nel

2007, a una spedizione di sette militari,

bianchi e nativi Inuit. La missione:

piantare una bandiera nel punto più

settentrionale del suolo canadese, sul-

l’isola di Ward Hunt, vicino al Polo

Nord. Duemila chilometri su motoslitta

attraverso pianure, ghiacciai, crepacci, e

neve perenne. Un’odissea di 16 giorni in

uno degli ambienti meno abitabili del

pianeta, tanto pericolosa quanto ricca a

livello visivo. Una ricchezza che Dianne

ha documentato in maniera straordina-

ria, con foto e video. Risultato: un’espe-

rienza completa, a 360 gradi. Un docu-

mentario di 35 minuti (con musica e

narrazione di Tanya Tagaq, cantante

nativa Inuit), un sito web interattivo con

i dati di viaggio, e, soprattutto, uno

splendido audio diario che esplora, con

graffiante nitidezza, un altro viaggio,

quello nell’animo umano. Fatica, paura,

incomprensione, ma anche spirito di

gruppo e coraggio. Per ricordare al

mondo che quella terra è loro, “land that

is ours”, come dice la targa che la spedi-

zione lascerà in ricordo dell’impresa.

E’ italiano il redei videogame

Sono fuggito da Asti e ora sviluppo videogiochi in California perché l’Italia non ha un ambientepropizio alla formazione dei giovani e al lavoro

multimedia

This Land,d i rezione A rt i c o

MAGZINE 11 | 1 gennaio - 31 gennaio 2011 11

di giuditta avellina

di Giacomo Sega n t i n i

Per sap e rne di più

www.readyatdawn.com

p

N

Page 12: magzine 11

A T A B L O G and visuali-

zation, ovvero la

nuova chiave per leg-

gere l’attualità: la

sezione del sito del G u a r d i a n

gioca sul potere dell'immagine

per fare informazione, ricordan-

do ai lettori che i fatti sono sacri,

come cita il p a y o f f sotto la testa-

ta. E visto che i numeri sono la

sintesi estrema dei fatti, le notizie

sono infografiche. «Cerchiamo

fatti e vogliamo che i lettori sap-

piano leggerli in profondità»,

spiega Simon Rogers, capore-

dattore di Datablog and

V i s u a l i z a t i o n.

Come è nata l’idea di

creare questa sezione?

Mentre lavoravo alla selezione di

informazioni per un ufficio grafi-

co, mi sono accorto che stavamo

raccogliendo una grande quanti-

tà di dati grezzi da fonti credibili.

Allo stesso tempo, abbiamo

notato la crescita dell’interesse

per lo scambio on-line dei dati

stessi, di informazioni grezze.

Le pubblicazioni di

Wikileaks hanno influi -

to sull’idea di creare il

Datablog?

Il nostro ruolo nel pubblicare e

scomporre un’enorme serie di

dati affinché le persone possano

digerirli è sempre più reale. I let-

tori hanno bisogno di qualcuno

che analizzi i dati e che aiuti loro a

capire cosa significano. Noi pen-

siamo di essere nella giusta posi-

zione per chiedere ai lettori di

darci una mano. Cioè chiederci:

cosa si può trovare nei numeri?

Con Datablog i lettori

riescono a comprende -

re i fatti alla luce solo

dei dati pubblicati?

Ecco, arriviamo al punto. Noi

cerchiamo di offrire i link e un

contesto, tracciare una strada

per navigare tra i dati. Credo che

il giornalista debba essere un

ponte tra chi ha in mano i dati,

ma è incapace di interpretarli, e

coloro che hanno disperato biso-

gno di capire la realtà.

Ci sono anche molte

immagini. Perché?

Le immagini fanno capire meglio

i fatti. Con le rappresentazione

grafiche una storia diventa com-

prensibile ed è più facile che chi

visita un sito rimanga incollato

alla notizia e la legga.

Come selezionate i dati

da pubblicare?

Ci affidiamo alle fonti migliori,

quelle più credibili e mai anoni-

me, perché vogliamo che i lettori

conoscano le nostre fonti. Ci

sono talmente tante informazio-

ni lì fuori, che noi siamo in grado

di utilizzare solo dati pubblici

d i s p o n i b i l i .

In che modo il Datablog

condivide i contenuti

con i lettori? E qual è il

target di lettori a cui vi

r i v o l g e t e ?

Ci affidiamo ad applicazioni in

larga misura disponibili on-line,

come Google Docs, Google

Fusion Tables, Many Eyes e

T i m e t r i c. Condividiamo le

nostre storie anche via Twitter e

Facebook, per rendere partecipe

il maggior numero possibile di

p e r s o n e .

Questo modo di fare

informazione dimostra

che nessun governo è in

grado di controllare la

r e t e ?

Assolutamente. Anzi, è il gover-

no che in questo modo è sotto il

nostro controllo. Non avere

informazioni grezze renderebbe

questo obiettivo più difficile.

Tutto qui.

Il G u a rd i a n ha scelto di dare più spazio ai nu m e rie alle immagini. Sul sito è nata la sezione D at a bl o gand Vi s u a l i z at i o n. L’ o b i e t t ivo è quello di offri re ai lettoriuno strumento di analisi della realtà affilato e pro f o n d o

Periodico realizzatodal Master in Giornalismodell’Università Cattolica - Almed© 2009 - Università Cattolicadel Sacro Cuore

d i r e t t o r eMatteo Scanni

c o o r d i n a t o r iLaura Silvia Battaglia, Ornella Sinigaglia

r e d a z i o n eFabrizio Aurilia, GiudittaAvellina, Chiara Avesani,Lorenzo Bagnoli, ValerioBassan, Matteo Battistella,Marco Billeci, Valeria CastellanoSalvo Catalano, MicheleD’Onofrio, Chiara Daina, GiuliaDedionigi, Giulia Destefanis,Fabio Forlano, Giacomo Galanti,Carlotta Garancini, GiulianaGrimaldi, Cosimo Lanzo,Andrea Legni, Cristina Lonigro,Paolo Massa, AlessandroMassini Innocenti, AntonioNasso, Ambra Notari, TancrediPalmeri, Simona Peverelli, RosaRicchiuti, Denis Rizzoli,Gregorio Romeo, GabrieleRusso, Stefania Saltalamacchia,Giacomo Segantini, BiancaSenatore, Luigi Serenelli,Francesca Sironi, Matteo Sivori,Alessandro Socini, EnricoTurcato, Gianluca Veneziani

a m m i n i s t r a z i o n eUniversità Cattolica del Sacro Cuorelargo Gemelli, 120123 - Milanotel. 0272342802fax 0272342881m a g z i n e m a g a z i n e @ g m a i l . c o m

progetto graficoMatteo Scanni

service providerw w w . u n i c a t t . i t

Autorizzazione del Tribunale

di Milano n. 81 del 20 febbraio

2 0 0 9

grafica

di luigi serenelli

MAGZINE 11 | 1 gennaio - 31 gennaio 201112

I fatti sono sacri

D