Maggioni, Bruno - Ecco Io Sono Con Voi. Anno A

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    SHEMAscolto e Annuncio

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    BRUNO MAGGIONI

    Ecco, io sono

    con voi...Meditazioni sulle letturedellanno A

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    ISBN 978-88-250-3645-9ISBN 978-88-250-3687-9 (PDF)

    ISBN 978-88-250-3688-6 (EPUB)

    Copyright 2013 by P.P.F.M.C.MESSAGGERO DI SANTANTONIO EDITRICEBasilica del Santo - Via Orto Botanico, 11 - 35123 Padovawww.edizionimessaggero.it

    Prima edizione digitale 2013

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    TEMPO DI AVVENTO

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    Introduzioneal tempo di avvento

    Nelle letture bibliche delle domeniche di avvento sisovrappongono due attese: i profeti che attendono iltempo messianico (prima lettura) e i discepoli di Ges

    che attendono il ritorno glorioso del loro Signore (Van-gelo). I cristiani sanno che il messia gi venuto e cheil mondo nuovo gi iniziato, tuttavia vivono ancoranellattesa: attendono che il seme del regno di Dio di-venti un grande albero e che la vittoria del Signore simanifesti in tutta la sua pienezza. Signore, affretta lavenuta del tuo regno, era una delle preghiere pi fre-

    quenti dei primi cristiani. E cos i profeti restano ancoraattuali e le loro visioni hanno ancora molto da dirci. questo il motivo che ci autorizza a commentare la pri-ma lettura (solitamente, ma a torto, trascurata), senzaper questo dimenticare che il Vangelo deve in ogni casorestare un punto di riferimento. Siamo infatti uominidel Nuovo Testamento, non dellAntico, e non possia-

    mo pi leggere i passi anticotestamentari nellidenticaprospettiva in cui furono scritti: dobbiamo rileggerli inprospettiva cristiana.

    Lavvento , infine, un itinerario che di domenica indomenica ci conduce a comprendere meglio il Natale,a comprendere pi a fondo, e personalmente, il signi-ficato della venuta di Dio fra noi. La liturgia, per giun-

    gere a questo, ci aiuta a far nostre le attese dei profeti.Solo coloro che si abbandonano alla speranza sono ingrado di capire limportanza del Natale.

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    Prima domenica di avvento

    Lattesa del Cristo che venuto

    e che verrIs 2,1-5 Rm 13,11-14a Mt 24,37-44

    La liturgia dellavvento si apre con una visione di

    speranza (cf. Is 2,1-5). una visione coraggiosa, fruttodi quella grande fede che soltanto i veri uomini di Diohanno il dono di possedere. Il coraggio di affermare cheun piccolo popolo senza importanza, comera appuntoil popolo dIsraele, sarebbe un giorno diventato il cen-tro religioso e spirituale di tutti i popoli (Ad esso afflu-iranno tutte le genti, v. 2). Il coraggio di parlare di un

    mondo rinnovato (e non come semplice desiderio, macome cosa sicura: Ricevette in visione, v. 1) in uno deiperiodi pi tormentati della storia di Giuda e del Vici-no Oriente quale era la seconda met dellVIII secoloa.C.: guerre, oppressione dei poveri, violenza, frodi ecorruzione degli uomini di governo. Isaia sa benissimoche a una simile societ Dio non pu risparmiare dei

    castighi: giusto che le idolatrie degli uomini crollinoe la loro arroganza venga confusa. Ma Dio punisce perpurificare e disperde per rinnovare. questa la primalezione che le parole del profeta ci offrono: il coraggiodi sperare sempre e comunque. Vivere lavvento, dun-que, significa ringiovanire la nostra speranza.

    La visione del mondo rinnovato (in pace, fraterno e

    sottomesso al Signore) si conclude con un imperativo:Venite, camminiamo nella luce del Signore (v. 5). un invito alla conversione, componente essenziale dellasperanza. E questa la seconda lezione. Non basta lafiducia nel futuro per potersi dire uomini di speran-za. La speranza attenzione, impegno e rinnovamento.

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    Sperare gettare qui e ora, nelle proprie concrete si-tuazioni le basi del mondo nuovo, cio semi di pace,fratellanza e obbedienza al Signore. Camminare nella

    luce del Signore espressione che nel Vangelo diventaseguire Ges tutto questo.Senza dimenticare una precisazione importante sug-

    gerita dal Vangelo (cf. Mt 24,37-44): per non lasciarsisorprendere impreparati dagli avvenimenti, per mante-nere il coraggio e la lucidit in ogni situazione, per sa-per scoprire le occasioni di rinnovamento che anche nei

    momenti pi oscuri non mancano mai tutto questo sperare occorre essere sobri, non appesantiti, nondistratti dalle troppe cose che a gran voce reclamanola nostra attenzione. Altrimenti pu succedere come aitempi di No: Mangiavano e bevevano, prendevanomoglie e prendevano marito [] e non si accorsero dinulla (vv. 38-39). Come al tempo di No, gli uomini si

    preoccupano poco della questione fondamentale, e ciodella relazione con Dio, completamente immersi nellepreoccupazioni quotidiane. Vivono tranquilli, ignari delgiudizio di Dio che non mancher: perch al ritorno delSignore ci sar, appunto, un discernimento, salvezzaper coloro che hanno vigilato e condanna per coloroche non si sono accorti di nulla (cf. vv. 40-41).

    Vegliate dunque, perch non sapete in quale giornoil Signore vostro verr, cos dichiara Ges nel Vange-lo di Matteo (v. 43). Vigilare non significa, come nelmondo greco, svegliarsi per raccogliere tutte le proprieforze e per trovare in se stessi tutto il coraggio possibile; invece svegliarsi per confidare in Dio e per aggrappar-si a lui. Vigilare non un rientrare in se stessi ma un

    uscire da s per abbandonarsi al Dio. Si comprende al-lora come la parola vigilanza non indichi direttamentequalcosa da fare, ma un modo di vivere e di guardarecon concentrazione, senza lasciarsi distrarre.

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    Seconda domenica di avvento

    I tempi lunghi di Dio,

    la speranza del profetae la conversione del cuoreIs 11,1-10 Rm 15,4-9 Mt 3,1-12

    La visione messianica di Isaia (cf. 11,1-10) forsela pi grandiosa di tutte. Il sogno del profeta coinvol-ge tutte le aspirazioni delluomo: la ricerca di Dio ela ricerca della giustizia, la pace fra noi e la pace conla natura; un mondo pieno della saggezza del Signorecome le acque riempiono loceano. Eppure Isaia non uno sprovveduto sognatore. un uomo lucido e sen-sato, realistico, inquietante. Per accorgersene basta leg-gere alcune pagine del suo libro. Al profeta non sfug-gono la gravit e la vastit della corruzione dilagante(nella politica, nei diversi settori della societ, persinonellapparato religioso): denuncia i grandi proprietariterrieri che aggiungono casa a casa e campo a campo;ironizza sui ricchi che nuotano nel lusso ma non han-no intelligenza n perspicacia e neppure si accorgonoche il loro mondo sta andando in rovina; condannala politica del governo che cerca sicurezza nelle allean-ze e negli armamenti anzich nella parola del Signore. proprio questuomo lucido e rigoroso, coi piedi perterra, che osa sognare un mondo totalmente rinnovato.Non, dunque, lillusione di un sognatore ingenuo, mail coraggio e la lungimiranza di un uomo di Dio.

    La chiesa vuole che andiamo incontro al Natale conlanimo carico delle attese dei profeti. Ma non forsecontroproducente? I giudei, nutriti appunto dalle spe-ranze profetiche, provarono delusione di fronte a Ges.

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    Non potrebbe accadere lo stesso anche a noi? Il messia venuto e nulla sembra essere cambiato: ancora il pecca-to, ancora le guerre, ancora la corruzione e la violenza.

    Tutto come al tempo di Isaia e anche il popolo di Diocontinua a meritarsi gli stessi rimproveri di allora. Frala visione del profeta e il Natale sembra dunque esserciun contrasto, ma un contrasto positivo e istruttivo,un passo in avanti nella stessa speranza. Ingenuamenteci attendiamo un Dio che compia gesti sorprendenti,drastici e immediatamente risolutori. Il Natale ci inse-

    gna invece che la via di Dio completamente diversa: la via del seme, la via della conversione perseguitasenza ricorrere n alla violenza n allimpazienza. Lavia di Dio non salta i tempi della storia, e soprattuttonon strappa luomo alle sue responsabilit e alla sualibert. Ges non ha smentito in alcun modo le attesedei profeti: al contrario le ha fatte sue, sottolineandole

    e ingrandendole, insegnandoci per nel contempo chelui ha posto il fondamento e ha tracciato la strada masta a noi, popolo di Dio, assumercene il carico.

    Nella prospettiva profetica si inserisce la scena evan-gelica che ritrae la missione di Giovanni Battista. Il suocompito di preparare la via al Signore annuncian-done la venuta imminente. Si presenta come un asceta

    del deserto, con indosso ruvide vesti e una cintura dipelle attorno ai fianchi; ma non invita gli uomini a di-venire asceti come lui. Preparare la strada al Signore altra cosa. Ecco come il Battista la esprime: Con-vertitevi, perch il regno dei cieli vicino []. Noncrediate di poter dire fra voi: Abbiamo Abramo perpadre!. Perch io vi dico che da queste pietre Dio pu

    suscitare figli di Abramo. Gi la scure posta alla radicedegli alberi; perci ogni albero che non d buon fruttoviene tagliato (vv. 2.9-10). Dunque, sono soprattut-to due le cose che Giovanni ritiene urgenti: convertirsie non cullarsi in una illusoria sicurezza. Convertirsi una parola che indica un mutamento della mente e del

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    comportamento; non soltanto un cambiamento mora-le, ma teologico, cio un modo nuovo di pensare Dio.Le caratteristiche che accompagnano sempre la conver-

    sione evangelica sono almeno tre.La prima la radicalit. La conversione non uncambiamento esteriore o parziale, ma un riorientamen-to di tutto lessere delluomo. Per Ges si tratta di unvero e proprio passaggio dallegoismo allamore, dalladifesa di s al dono di s; un passaggio talmente rinno-vatore da essere incompatibile con le vecchie strutture

    (mentali, religiose e sociali), come il vino nuovo non sipu porre nelle vecchie botti.Una seconda nota della conversione evangelica la

    religiosit: non confrontandosi con se stesso che luo-mo scopre la misura e la direzione del proprio muta-mento, bens riferendosi al progetto di Dio. E il primomovimento non quello delluomo verso Dio, bens

    quello di Dio verso luomo: un movimento di graziache rende possibile il cambiamento delluomo e ne of-fre il modello.

    La terza caratteristica la profonda umanit dellaconversione evangelica: convertirsi significa tornare acasa, un recupero di umanit, un ritrovare la propriaidentit. Convertendosi luomo non si perde ma si ri-

    trova, liberandosi dalle alienazioni che lo distruggono.

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    lo scoraggiamento n la rassegnazione, tanto meno ildisfattismo. Ci non sarebbe coerente con la certezzadel Dio che viene a salvarci, la cui venuta, appunto,

    mantiene aperte tutte le possibilit positive: se Dio tra noi nulla pu mai dirsi definitivamente perduto.E poi c modo e modo di leggere e valutare le

    cose che succedono. I profeti sanno che molto spessosi tratta di un vero e proprio giudizio di Dio. Nulla diparticolarmente clamoroso, non c bisogno che Diointervenga a punire, pi semplicemente, si raccoglie

    ci che si seminato: se si semina lidolatria del dena-ro, o lidolatria del successo, come puoi sorprendertise poi raccogli corruzione, violenza e menzogna? Eccoperch di fronte al male che viene allo scoperto e chepare travolgerti gli autentici credenti non concedo-no troppo spazio alla meraviglia: sanno benissimo cheluomo, una volta smarrito il senso di Dio, capace di

    questo e ben altro. E neppure concedono troppo spa-zio alla ricerca delle cause, che peraltro gi conosconoda sempre: labbandono di Dio, appunto. Si affrettanoinvece a far pulizia e a ricostruire.

    Seguendo il filo della visione di Isaia in cui si al-ternano, come abbiamo rilevato, imperativi, parole alfuturo e parole al presente tre sono le cose da fare.

    Primo: annunciare, con voce forte e vigorosa, lagrande certezza: Ecco il vostro Dio (v. 4). Far risco-prire alluomo la presenza di Dio significa metterlo incondizione di sperare, significa fargli ritrovare lo slan-cio, la gioia del momento, la voglia di progettare: inaltre parole, il gusto di vivere.

    Secondo: chiamare a raccolta gli uomini onesti e di-

    sponibili, uomini che si sentono smarriti e vacillanti, aiquali tuttavia basta una voce per ritornare a sperare. Ilpopolo di Dio deve trasformarsi in una grande piazzain cui tutti gli uomini di buona volont possono in-contrarsi. Questi uomini sono numerosissimi: se si riu-nissero insieme riempirebbero le strade, apparirebbero

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    come una forza travolgente. Ma bisogna che una voceli inviti a uscire.

    Terzo: allargare lo sguardo per accorgersi che non c

    solo il male. Ci sono anche i segni del bene: gesti di so-lidariet, sforzi di giustizia, ricerche appassionate dellaverit. Sono i segni di Dio che infondono coraggio eluomo di fede deve incaricarsi di mostrarli a tutti.

    Cos Ges nel Vangelo, agli inviati del Battista chevogliono rendersi conto della sua messianicit (Sei tucolui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?,

    v. 3), non risponde direttamente, ma rinvia alle proprieopere: I ciechi riacquistano la vista, gli storpi cammi-nano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i mortirisuscitano, ai poveri annunciato il Vangelo. E beato colui che non trova in me motivo di scandalo (vv. 5-6).Si tratta di miracoli che ricalcano le profezie dellAnti-co Testamento, e tra questi c persino la risurrezione

    dei morti. Lultimo segno (ai poveri annunciato ilVangelo) non un miracolo e tuttavia il segno pidecisivo, che imprime una direzione ben definita a tut-ti gli altri, ponendoli al servizio di una concezione mes-sianica sulla quale molti inciamperanno: E beato coluiche non trova in me motivo di scandalo. Che Ges siaun inviato di Dio provato dai miracoli, ma la sua

    predilezione per i poveri come le sue umili origini e lavia della croce che rivela la novit teologica della suarivelazione di Dio e della sua scelta messianica.

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    Quarta domenica di avvento

    Natale: il Dio-con-noi.

    Tra credenti e increduliIs 7,10-14 Rm 1,1-7 Mt 1,18-24

    Il brano tratto dal libro del profeta Isaia (cf. 7,10-

    14) richiede qualche parola di ambientazione. A Ge-rusalemme appena giunta la notizia che lesercito diDamasco e lesercito di Samaria si sono messi insiemesulle montagne di Efraim e stanno marciando contro ilpiccolo regno di Giuda. Di fronte al pericolo incom-bente il suo [del re] cuore e il cuore del suo popolo siagitarono, come si agitano gli alberi della foresta per il

    vento (Is 7,2). Ma il profeta non trema perch sa cheDio in grado di salvare il suo popolo. Va incontro alre che sta facendo il giro dei bastioni per controllare lefortificazioni e lo invita a non aver paura, ad aver fede,a non cercare alleanze altrove ma a confidare soltantonel Signore. Per indurlo a questo Dio anche dispostoa dargli un segno ma il re ha gi deciso di chiedere pro-

    tezione al governo assiro e rifiuta il segno, adducendo ipocritamente una motivazione religiosa: Non vogliotentare il Signore (v. 12). La realt invece che il re nonha il coraggio di confidare unicamente nel Signore.

    in questo preciso contesto che lannuncio dellEm-manuele prende tutto il suo rilievo. Di fronte allin-credulit del re, il rimprovero: Non vi basta stancare

    gli uomini, perch ora vogliate stancare anche il mioDio? (v. 13). Ma poi la sorpresa; ci aspetteremmo cheil profeta continuasse con parole di minaccia e di casti-go e invece continua con una parola di speranza: Lavergine concepir e partorir un figlio, che chiamerEmmanuele (v. 14).

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    Allincredulit del re e del popolo, Dio rispondepromettendo la nascita di un bambino che sar il Diocon noi. Sta qui la meraviglia del Natale, che poi

    la meraviglia dellamore di Dio: Dio non si allontanadalla nostra incredulit ma la vince avvicinandosi, fa-cendosi fratello degli uomini peccatori.

    Levangelista Matteo racconta che Ges fu generatonel grembo purissimo della Vergine e per virt delloSpirito (dunque la sua origine viene dallalto), tuttaviaegli anche inserito in una genealogia, e fra i suoi an-

    tenati ci sono giusti e peccatori, credenti e increduli. questa la grande consolazione, la roccia su cui poggiala speranza cristiana, tema che costituisce sulla scortadei passi del profeta il filo conduttore di tutto il tem-po dellavvento: nonostante le nostre infedelt, nono-stante le forze del male sempre pi agguerrite, Dio noncessa di essere lEmmanuele, il Dio con noi. Un nome

    semplice e consolante. Dio uscito dalla sua lontanan-za e dalla sua invisibilit, facendosi visibile e concreto,raggiungibile. Venuto fra noi in forma umana, il figliodi Dio vuole che si continui a cercarlo fra gli uomini eche lo si accolga come un uomo. Da quando il figlio diDio si fatto uomo, non pi possibile unaltra ricercadi Dio, perch Dio non soltanto si fatto uomo, ma

    rimasto fra gli uomini.Tuttavia ci sono tre cose da non dimenticare. La pri-ma che non bisogna rimanere chiusi nel passato. Agliuomini della sua generazione Isaia andava ripetendo:Non ricordate pi le cose passate, non pensate pi allecose antiche! (43,18). Non il passato che deve ritor-nare. C un attaccamento al passato, una nostalgia di

    ci che cera una volta, che impedisce di afferrare lenuove possibilit. Chi sogna di rifare le cose di primanon un costruttore di speranza.

    Poi occorre il coraggio di ammettere che la situa-zione che ci troviamo tra le mani causata anche dallanostra personale responsabilit. Far ricadere le respon-

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    sabilit sempre e soltanto sugli altri semplicistico eipocrita. Come se, ad esempio, il popolo di Dio dicesseche la colpa tutta del mondo, della cultura atea, del

    secolarismo, del consumismo e via dicendo. In realtla responsabilit di tutti, e abbiamo la situazione chemeritiamo. Dunque umilt, pentimento, conversione,disponibilit ai cambiamenti: anche coraggiosi, anchedolorosi. Solo gli uomini che si lasciano mettere in di-scussione hanno capito il Natale e sono portatori disperanza.

    E infine luomo che modella la propria speranza suGes Cristo sa che il bene e il male toccano, alla fin fi-ne, i fatti quotidiani, la vita di ogni giorno. Credere chetutto si giochi l dove si decidono i destini dei popoli una tentazione e unillusione. La storia cambier sol-tanto se ogni uomo prender in mano il suo destino, ilsuo mondo quotidiano, rinnovandolo. La speranza sale

    dalla base pi che discendere dai vertici.

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    Introduzione al tempo di Natale

    Il Natale al centro della fede cristiana, ma moltisegni fanno pensare che per troppi cristiani si sia quasiridotto a un semplice fatto di costume. Lo festeggia-no in tutto il mondo credenti e non credenti, e questonon privo di sospetto. Il Natale rischia di divenireuna ricorrenza, una vacanza o un generico richiamo avalori universali quali la bont, la pace e la famiglia. invece una festa precisa, con un volto preciso, unapietra di contraddizione accettata da alcuni e rifiuta-ta da molti. urgente che il Natale ritorni a essere sestesso. E il primo passo da compiere a questo scopo una lettura seria dei racconti evangelici della nascita diGes. Espressione della fede robusta dei primi testimo-ni, questi racconti devono essere per noi la memoriaa cui costantemente riferirci.

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    25 dicembre: Natale del Signore(Messa della notte)

    Evento da annunciaree condividere

    Is 9,1-6 Tt 2,11-14 Lc 2,1-14

    Il racconto dellevangelista Luca (cf. 2,1-14) certo pieno di poesia, ma anche ricco di spunti polemicinei confronti delle nostre concezioni. Vuole consolare,ma soprattutto vuole convertire. E difatti il Natale non soltanto un evento di cui gioire in quanto compimen-to della nostra attesa (Vi annuncio una grande gioia,v. 10); anche un evento al quale convertirci (conver-

    tire la nostra stessa attesa!) e rivelatore di una strada dapercorrere. Riassumiamo in tre punti i principali inse-gnamenti del racconto evangelico.

    Anzitutto lintero racconto costruito sullo schemadellannuncio missionario. Dapprima la narrazionedellaccaduto (leditto di Cesare Augusto e la nasci-ta di Ges a Betlemme), poi lannuncio ai pastori di

    quanto accaduto (gli angeli sono i primi missionari cheannunciano levento di salvezza), e infine laccoglienzadellannuncio (i pastori vanno a Betlemme e incon-trano Ges). Si noti come la successione degli eventi(il fatto, lannuncio, laccoglienza) non chiusa, maaperta: i pastori infatti a loro volta raccontano ad altriquanto hanno visto (Dopo averlo visto, riferirono ci

    che del Bambino era stato detto loro, v. 17). Avvienesempre cos: chi ha incontrato il fatto cristiano e ne hacompreso il significato di salvezza, non lo tiene per s,ma lo annuncia ad altri. Il Natale una festa missiona-ria da annunciare, non da tenere per s, una gioia dacondividere, non da godere da soli, a porte chiuse.

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    Un secondo punto essenziale del racconto racchiu-so nelle parole degli angeli ai pastori. Sono appuntole parole che esprimono il senso profondo dellavve-

    nimento e la fede in Cristo delle prime comunit. Ilbambino povero e rifiutato (Per loro non cera postonellalloggio, v. 7) il Salvatore, il Messia, il Signo-re. Sta proprio qui la sorpresa: il Signore glorioso ha ilvolto di un bambino povero, rifiutato, avvolto in fascee deposto nella mangiatoia (questultima espressione tanto importante che ritorna tre volte). Tutto il rac-

    conto di Luca contemporaneamente attraversato dalmotivo della povert e dal motivo della gloria: poverte gloria sono intrecciate, inseparabili. E questo signi-ficativo: si delinea cos la strada di Dio come strada dipovert, e si afferma il profondo legame fra la presenzadi Dio e la storia dei poveri: in una storia di povertche si nasconde la gloria di Dio ed ai poveri che essa

    si rivela.Infine c un ultimo tema: il concetto di pace, chelevangelista pone in collegamento con lavvento mes-sianico presentandolo come conseguenza dellamoredivino verso luomo. un concetto di pace che divergesia dalla concezione romana che da quella dellebraismodellepoca (e si differenzia anche dalle nostre attuali con-

    cezioni). A Roma si era sviluppata una filosofia politicache sosteneva e giustificava lascesa della citt a potenzamondiale: Roma conduce le sue guerre per imporre leleggi della pace ai vinti e per garantire a loro, in tal mo-do, ordine sicurezza e civilt. Non a questo concettodi pace che il Vangelo allude, anzi Matteo riferisce lanascita di Ges in sottintesa antitesi alla ideologia im-

    periale Il vero Salvatore non limperatore Augusto,ma il bambino posto nella mangiatoia; la vera pace non lapax augusta, ma quella offerta da Dio agli uomini,oggetto del suo amore. Nellebraismo palestinese i ma-estri della legge concepivano la pace come accordo trale parti che si riconoscono reciprocamente diritti e pos-

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    no i tuoi giorni nel paese che il Signore, tuo Dio, ti d(Es 20,12). Il testo semplice, ma alcune osservazionisono ugualmente opportune.

    Primo: il brano non si rivolge ai fanciulli o agli ado-lescenti perch onorino e obbediscano ai genitori, maai figli adulti perch si occupino dei loro genitori an-ziani.

    Secondo: occorre precisare lesatto significato delverbo onorare ripetuto pi volte. Non equivale alsemplice obbedire ma abbraccia una gamma di atteg-

    giamenti pi ampia e flessibile. Lobbedienza senzadubbio un dovere ma non il solo e, in certi casi, nep-pure il principale. Onorare significa obbedire, rispet-tare, aiutare, dare affetto, spazio e importanza. Dare,ad esempio, importanza allesperienza dei genitori an-ziani, esperienza che non necessariamente deve essereripetuta, ma certo sempre attentamente valutata e mai

    acriticamente rinnegata. Significa comprendere che igenitori, anche se anziani e ammalati, hanno una lorofunzione in quanto portatori di un patrimonio di espe-rienza e di saggezza che non deve assolutamente andareperduto. I genitori anziani, che non possono pi lavo-rare e guadagnare, non hanno perso il loro significatoe la loro presenza in famiglia non deve considerarsi un

    inutile peso. Tuttaltro: possono insegnarci a vivere.Terzo: si noti la costante correlazione tra lonore ver-so Dio e lonore verso i genitori: rispettare il padre ela madre temere il Signore e abbandonare il padre come bestemmiare Dio. un esempio particolare dellapresenza di Dio nel prossimo, ed una forte sottoli-neatura dello stretto rapporto fra doveri verso Dio e

    doveri verso luomo, religione e giustizia. In un certosenso, i rapporti familiari sono il banco di prova dellavera religiosit.

    Quarto: a chi onora il padre e la madre promessoil dono di una lunga vita. Non si tratta del numero dianni o della salute. Si tratta di qualcosa di pi profon-

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    do: chi ama i genitori e li accoglie, si prepara a sua voltaun futuro di accoglienza. Il conflitto fra le generazionisi risolve anzitutto allinterno delle famiglie: i genitori

    che amano e accolgono i propri genitori anziani dannoai figli adolescenti una lezione di convivenza, una provadi come uomini di et differente e di mentalit diversapossano non solo vivere insieme, ma amarsi e recipro-camente arricchirsi.

    Passando dal testo del Siracide alla lettera di Paolo aiColossesi (cf. 3,12-21) il discorso si apre decisamente

    su dimensioni ecclesiali e comunitarie: gli avvertimentidi vita familiare (le mogli devono andare daccordo coni propri mariti e i mariti devono amare le proprie mo-gli, i figli devono obbedire ai genitori e i genitori nondevono esasperare i figli) si trovano alla fine di unesor-tazione che riguarda lintera comunit cristiana, vistaappunto come una famiglia pi grande e pi profonda:

    non pi il sangue che fonda anzitutto i rapporti difraternit ma il possesso della medesima fede e lessereamati dal medesimo Padre.

    Lepisodio evangelico (cf. Mt 2,13-15.19-23) narralitinerario, quasi un nuovo esodo, della famiglia di Ge-s: Betlemme, Egitto, Nazaret. Giuseppe, Ges e Ma-ria vivono la condizione di profughi. Da questo punto

    di vista la famiglia di Nazaret una famiglia del tuttonormale: il figlio di Dio condivide il destino degli uo-mini, non vive un destino diverso, a parte.

    Certo, si tratta di una famiglia amata da Dio, ogget-to attento e prediletto della sua provvidenza (Alzati,prendi con te il bambino, v. 13a) ma non sottrattaal destino degli uomini (Erode infatti vuole cercare il

    bambino per ucciderlo, v. 13b). Lamore di Dio salvagli uomini, ma non sottraendoli alla storia delluomoe neppure alla storia della violenza. Dio li accompagnae li aiuta nelle difficolt, come ha fatto con Ges: nonlha sottratto alla morte, ma lo ha accompagnato nellamorte.

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    donna, e chi lo incontra lo trova accanto alla madre. Equesto gi significativo: il bambino e la madre nonsono separabili.

    C per un punto che Luca sottolinea, ed latteg-giamento della madre nei confronti del figlio, il modocon cui Maria ha vissuto la sua maternit: Maria, daparte sua, custodiva tutte queste cose meditandole nelsuo cuore (v. 19). Lannotazione pi importante pro-prio questultima che abbiamo riportato. Lo stupore diMaria si distingue dallo stupore generale. Anche Ma-

    ria sente le parole (tutte queste parole) che spieganolevento che ella stessa vede e vive. Parole che custodiscenel cuore, dentro di s. Le parole che in altri suscitanostupore, in lei si fanno ascolto consapevole, pensoso eintelligente: il cuore indica tutto questo. La funzionedella madre anzitutto di custodire: il figlio nato dalei, le parole che si dicono di lui, gli eventi che accado-

    no attorno a lui, tutto questo non lo considera suoma semplicemente affidato, da custodire con fedelt.E poi meditare: il mistero di Ges (come il miste-

    ro di Dio e il mistero della vita) difficile da compren-dere, e comunque lo si comprende a mano a mano chesi svolge davanti agli occhi, a mano a mano che lo sivive con fiducia. La comprensione frutto di un viag-

    gio: un viaggio che si compie rendendosi disponibili,osservando e meditando, soprattutto partecipando.Ed appunto ci che fa Maria sentendo, da una parte,le parole che proclamano la gloria del Bambino (paroleda lei stessa ascoltate e accolte dallangelo nellannun-ciazione) e, dallaltra, vedendo il bambino adagiato inuna mangiatoia (v. 16). la solita tensione fra gran-

    dezza e piccolezza, gloria e povert che costituisce los-satura dellevento cristiano. Lascolto di Maria diventadunque uninterpretazione vera e propria che fa lucesul mistero di Ges: Maria non solo la madre di Ge-s, ne anche la pi profonda interprete.

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    Seconda domenica dopo Natale

    Comprendere a quale speranza

    Dio ci ha chiamatoSir 24,1-4.12-16 Ef 1,3-6.15-18 Gv 1,1-18

    La liturgia ci invita a proseguire la meditazione sul

    mistero dellincarnazione. Il cuore delluomo abitatoda un desiderio di vita, di luce e di conoscenza. Comedare una risposta a questo anelito di speranza, di pace,di pienezza di bene che luomo porta e aspira per s eper il mondo intero?

    Nellinno che apre la lettera agli Efesini (cf. 1,3-6.15-18), lapostolo Paolo introduce il motivo della

    speranza: [Il Padre della gloria] illumini gli occhi delvostro cuore per farvi comprendere a quale speranzavi ha chiamati (v. 18). La speranza, a cui Paolo quiaccenna, non si identifica con la speranza mondana,bens la converte profondamente, rinnovandola. Laprima novit il fondarla non sulle previsioni degli uo-mini (quasi sempre molto insicure) ma sulla promessa

    di Dio di cui ti fidi totalmente. La seconda novit lo sperare ci che Dio ci ha promesso, cio il trionfodellamore e della sua verit, non il trionfo di chi saquali altre cose. Dio non sostiene le nostre speranzeinutili o illusorie.

    Il passo dellapostolo Paolo preceduto da uno deipi importanti tra i testi dellAntico Testamento che

    inneggiano alla figura della sapienza personificata e checostituisce il punto culminante di tutto il libro del Sira-cide (c. 24). La sapienza prende la parola per esprimereil suo ruolo nella creazione delluniverso e nella storiadel popolo di Israele. Il progetto di Dio fin dagli inizidella storia fondato e guidato dalla sua sapienza, ben

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    oltre le attese e i desideri degli uomini. E nelle parolee immagini che descrivono la sapienza intuiamo che siallude al Verbo eterno per mezzo del quale tutto stato

    fatto, nel quale il Padre, inviandolo nel mondo, ci hadetto e ci ha donato tutto.Veniamo allora al prologo di Giovanni: In princi-

    pio era il Verbo, cos lincipitdel Vangelo di Giovan-ni, riproposto allascolto dei fedeli in questo tempo diNatale. Levangelista sa benissimo che il Verbo GesCristo. Nonostante ci il suo scopo di illustrare laf-

    fermazione centrale di tutto il testo. Il Verbo si fattocarne (v. 14); ma per far capire chi questuomo dicui parla tutto il Vangelo, guarda in alto, va alla radi-ce, indicando cos quale la sua origine. Attira subitolattenzione sul fatto che questo Ges parola di Dioe per descrivere questa Parola la metter in rapporto aDio e al mondo.

    Chiamare Ges Cristo Parola gi unaffermazio-ne splendida e piena di speranza. Egli gi in seno allaTrinit e, successivamente nella sua esistenza storica, la Parola, non solo in quanto ha parlato, ma perch intutta la sua persona, nelle sue parole e nei suoi gesti,rimanda continuamente al Padre, la sua trasparenza.La parola il mezzo con il quale noi comunichiamo,

    il pensiero che in qualche modo nascosto si rendetrasparente grazie alla parola e chi ci ascolta riesce acoglierlo. Ges Cristo quindi questa trasparenza delPadre; con il termine parola sintende non solo la co-municazione, ma anche la ragione, lintelligenza. Ge-s, in quanto parola di Dio, non una parola vuota,secondaria, che non dice nulla, ma una parola lumi-

    nosa, una parola intelligente, una parola che incanta,una parola nella quale si pu scoprire una ragione, unalogica.

    Ges, che Parola, viene pure riconosciuto e profes-sato come vita e luce degli uomini (cf. v. 4): vita e lucesono due simboli fondamentali ed esprimono ci che

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    luomo cerca e vorrebbe avere. Tuttavia se il mondo haestremamente bisogno di questa luce che splende, inrealt non ne vuol sapere, la rifiuta: e le tenebre non

    lhanno vinta (v. 5). Si osservino anzitutto i tempi ver-bali. Per la luce si ricorre al presente splende, per ilrifiuto della tenebra al passato (non lhanno vinta).La luce brilla sempre, appartiene alla sua natura illumi-nare. Questo il significato del presente. Per la tenebrainvece un verbo al passato, per dire che si tratta di unfatto storico, non di una necessit, un fatto che po-

    trebbe esserci e non esserci, perch dipende dalluomoe dalla sua libert. Questo significa che nessuno pufar cessare la luce che proviene da Cristo: essa brillasempre, ovunque. La tenebra pu rifiutarla, ma nonspegnerla. Il dramma profondo ma lo spazio dellasperanza sempre aperto.

    Nel prologo c unaltra affermazione che, ancora

    pi profondamente, costituisce il fondamento di tuttala speranza cristiana: Il Verbo si fatto carne (1,14).Carne luomo nella sua caducit e nella sua debolez-za. Per comprendere la forza di questa affermazione diGiovanni basta confrontarla con unaffermazione delprofeta Isaia: Ogni uomo come lerba []. Seccalerba, appassisce il fiore, ma la Parola del nostro Dio

    dura per sempre (40,6.8). Per il profeta tra la paroladi Dio e la caducit delluomo c un ma che indicatutta la distanza fra linconsistenza delluomo e la soli-dit di Dio. Nel prologo di Giovanni, invece, il ma scomparso. La solidit della parola di Dio si fattacarne, ci che permane ha assunto ci che caduco:nel cammino di ogni uomo e dellintera umanit si

    inserita una presenza che salva dalla vanit e dallim-permanenza.

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    Epifania del Signore

    Anche i lontani

    attorno al presepeIs 60,1-6 Ef 3,2-3a.5-6 Mt 2,1-12

    LEpifania il giorno della manifestazione, il giorno

    in cui il progetto di Dio (che la Bibbia chiama il mi-stero di salvezza) giunge al punto di maggior chiarezzacon la nascita di Ges. Un disegno in atto da sempre,preparato da Dio gi nei tempi antichi, come trasparedalla pagina profetica di Isaia (cf. 60,1-6).

    Una lettura attenta evidenzia in primo luogo i dueimperativi: Alzati e rivestiti di luce (v. 1) e Alza gli

    occhi intorno e guarda (v. 4). Due imperativi che reg-gono lintero discorso e gli imprimono un tono di di-retto coinvolgimento: il profeta si rivolge direttamentecon il tu al popolo che lo ascolta (e ora a ciascuno dinoi che lo legge), interpellandolo ed esortandolo.

    Alzati! un invito a smetterla con la stanchezza econ le lamentele, e rivestiti di luce! un invito alla

    gioia. Alza gli occhi intorno e guarda un invito auscire dal proprio angusto orizzonte, a rompere il cer-chio delle proprie meschine preoccupazioni e a smet-terla di ripiegarsi su se stessi. Se appena alzi lo sguardo,ti accorgi che c tutto un movimento. Un duplice mo-vimento: la luce di Dio che viene verso Gerusalemmee lintera umanit che si pone in cammino. Due realt,

    dunque, da guardare, due realt grandiose chiarissime,ma se non si alza lo sguardo se non ci si scuote, se nonsi esce da se stessi si rischia di non vederle: un con-trasto, e cio una citt luminosa in un mondo immersonella nebbia, e una immensa carovana, lintera umanitin cammino attratta dalla luce.

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    Almeno altri due aspetti sono da notare. Si osservi,ad esempio, come la luce non provenga dalla citt, mapiova sulla citt: Gerusalemme non brilla di luce pro-

    pria, ma di luce ricevuta, di luce riflessa. lo splendo-re di Dio che la illumina: La gloria del Signore brillasopra di te (v. 1), su di te risplende il Signore (v. 2).Se il popolo di Dio una luce in un mondo oscuro, unpunto di riferimento per lumanit disorientata, tuttoquesto non per merito, ma per grazia. Ed per questoche i popoli attratti da quella luce non lodano la

    citt, ma il Signore: Tutti verranno [] proclamandole glorie del Signore (v. 6).E osservando limmensa carovana che si avvicina, ci

    si accorge che in essa ci sono come due colonne: la co-lonna dei figli di Israele che rimpatriano dallesilio, e lacolonna delle nazioni straniere attratte dalla luce; duespezzoni di umanit accomunati nello stesso cammino

    e diretti verso lo stesso punto (tutti costoro si sono ra-dunati, vengono a te, v. 4). una visione di universa-lismo, la visione di unumanit non pi contrapposta,ma riunita e in cammino. E con questo il profeta ci hasvelato due delle principali caratteristiche del disegnodi Dio: la salvezza dono e lintera umanit senzadistinzione di sorta chiamata a godere della stessa

    luce.Ma non tutto ancora precisato. Tanto vero che ilracconto evangelico (cf. Mt 2,1-12), pur riprendendosostanzialmente la visione del profeta, la approfondiscee vi introduce delle sorprese. Ges il momento dellaverit, il momento in cui il disegno di Dio appare conuna tale chiarezza da non tollerare pi alcun equivoco.

    E infatti la pagina di Matteo di equivoci ne fa crollarealmeno tre.Primo: ci che brilla come unoasi di luce in un

    mondo oscuro e induce i popoli a mettersi in cammi-no, non anzitutto una citt n una comunit, ma unapersona: Ges. I magi, simbolo delle nazioni, vengono

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    a cercare il figlio di Dio, non Gerusalemme: Abbiamovisto spuntare la sua stella e siamo venuti per adorarlo(v. 2).

    Secondo: le nazioni vengono ad adorare Ges, ma lasua citt lo induce a fuggire (Erode rest turbato e conlui tutta Gerusalemme, v. 3). E questa senza dubbiola sorpresa pi sconcertante: non pi dallEgitto cheproviene il rifiuto, n dalle nazioni, ma da Gerusalem-me e dal suo re, dallo stesso popolo di Dio. E cos ognieventuale orgoglio del popolo di Dio tagliato alla ra-

    dice.Terzo: il movimento delle nazioni che si indirizzanoverso Cristo non tutto. Il disegno di Dio contemplaanche un movimento inverso altrettanto importante. IlVangelo si apre con la visione dei magi (i popoli) chevengono a cercare Ges (un movimento dalla periferiaal centro), ma si chiude con la visione dei discepoli che

    si incamminano verso le nazioni (un cammino dal cen-tro alla periferia): Andate dunque e fate discepoli tuttii popoli (Mt 28,19).

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    Battesimo del Signore

    Il figlio prediletto che

    devessere ascoltatoIs 42,1-4.6-7 At 10,34-38 Mt 3,13-17

    Il battesimo di Ges al Giordano (cf. Mt 3,13-17)

    un racconto di rivelazione: ci aiuta a comprendere chi Ges e indirettamente chi il cristiano. Determi-nanti sono le parole introduttive delloracolo profetico:Ecco il mio servo (Is 42,1). Indicano loggetto chesta a cuore a Dio e che egli intende, appunto, farci co-noscere. Le frasi successive ci dicono quello che il servopossiede (lo Spirito), la missione che gli affidata e lo

    stile con cui la deve compiere. Ciascuno di questi sin-goli aspetti merita tutta la nostra attenzione.Chi il servo? Scrivendo questa parola il profeta

    pensava certamente al popolo di Israele (o meglio, algruppo dei pii e degli autentici credenti), ma pensavaanche al messia. Dicendo ecco il mio servo, Dio vuo-le parlarci insieme del messia e del suo popolo, di Ges

    e della sua chiesa.Servo: la parola evoca obbedienza e sottomissione, una missione da compiere non a nome proprio ncon proprio stile, ma in dipendenza e a nome di un al-tro. Questo vero, tuttavia il nostro passo moltiplica leespressioni per ricordare anche un altro aspetto, e ciolamicizia: di cui mi compiaccio, il mio eletto, che

    io sostengo (v. 1). Dunque, servo e pi di servo. Albattesimo di Ges la voce celeste ha giustamente cam-biato il termine servo in figlio: Ges sottomesso edocile alla volont del Padre, obbediente, ma pi diservo, figlio. E lo stesso pu dirsi del cristiano: servoe figlio.

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    radice di tutti gli altri aspetti. solo lo Spirito e sol-tanto lo Spirito la forza capace di prendere un uomoqualsiasi, un meschino ed egoista come tutti gli altri, e

    trasformarlo in servo e in figlio, gioiosamente con-sapevole di essere amato, dedito a una missione che vaben oltre il proprio personale interesse. La trasforma-zione di un uomo in servo e figlio un miracolo: ilmiracolo appunto della nascita cristiana e battesimale.

    Guidati dalla parola del profeta e dal Vangelo diMatteo siamo continuamente passati da Ges al disce-

    polo, e non certo per confondere le cose: un conto Ges e un conto siamo noi. Ma resta vero che il battesi-mo di Ges il modello del nostro battesimo, e che percomprendere chi siamo noi dobbiamo guardare lui.

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    TEMPO DIQUARESIMA

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    Introduzioneal tempo di quaresima

    La prima lettura delle domeniche di quaresima non scelta in base al Vangelo, come succede invece peril resto dellanno liturgico. Tratta dallAntico Testa-

    mento, la prima lettura indica le tappe principali del-la storia di Israele: Adamo, Abramo, Mos, Davide, iprofeti. Il Vangelo, invece, tratteggia i momenti pi sa-lienti dellitinerario di Ges. Nel tempo di quaresima,dunque, prima lettura e Vangelo presentano le tappeprincipali della storia dIsraele e quelle pi significativedel cammino di Ges come due linee che si chiariscono

    reciprocamente e formano un vero e proprio itinerariodi conversione. Come nel tempo di avvento, porremoattenzione particolare alla prima lettura in quanto cioffrir alcune chiavi di comprensione e approfondi-mento dei testi evangelici.

    Nelle grandi tappe del cammino di Israele e di Ge-s, come ci raccontano le letture di quaresima, ciascu-

    no di noi chiamato a specchiarsi. Compito difficilee necessario. Difficile, perch richiede un coraggiosoriorientamento della vita. Necessario, perch lunicocammino che conduce a Dio e al ritrovamento di noistessi. Ma dove trovare la forza per farlo? Nella potenzadi Dio, ci suggerir la lettura del Vangelo di Giovanniquasi al termine di questo itinerario di conversione. Io

    sono la risurrezione e la vita, non semplicemente lavita, ma anche la risurrezione e con questo Ges affer-ma di possedere la forza per vincere persino la morte, econ la morte il peccato, linerzia e la passivit. Egli hala forza in una parola di rendere possibile ci che anoi pare impossibile.

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    nostro, a sua volta, condiziona le generazioni future. per mettere in luce questa storia di peccato che i primiracconti della Bibbia si sviluppano secondo uno schema

    genealogico: un peccato dipende dallaltro, il peccato diCaino dipende dal peccato di Adamo, e cos via.Terzo: il peccato di Adamo non solo il primo pec-

    cato, ma anche il modello di ogni altro peccato. Nel-la sua tentazione vediamo fotografata la nostra. Comeappare dal dialogo fra Eva e il serpente, la forza dellatentazione sta nel dubitare di Dio, nel credere che egli

    imponga una legge per impedirci di divenire simili a lui(dunque per umiliarci e salvare i suoi privilegi), anzichper impedirci di morire (cio per il nostro bene). Latentazione sta tutta qui: credere che la legge di Dio siaalienante e che luomo viva meglio al di fuori di essa.Tentazione attualissima che sembra descrivere in unasorta di profezia la mentalit delluomo moderno,

    che nellobbedienza al Signore e nellascolto della suaparola ha paura di sminuirsi, di perdere libert e auto-nomia. Non per nulla si cerca da molte parti di presen-tare lateismo come umanesimo. E invece il contrario,dice il nostro passo, che insieme frutto di rivelazionee di esperienza: quando luomo travalica i limiti e siatteggia a signore, e vuole costruire una storia per con-

    to proprio, allora che si perde la libert e si genera laviolenza, e luomo ridotto a strumento.La tentazione di Ges (cf. Mt 4,1-11) che troviamo

    nel Vangelo ripropone nella sostanza la medesimatentazione di Adamo. In superficie le tentazioni sonomolte, ma alla radice sempre una sola: percorrere lavia messianica indicata da Dio (la via della croce) op-

    pure scegliere una via propria conforme alle valutazio-ni degli uomini (la via del prestigio, del successo, deldominio)? Per due volte (v. 3 e v. 6) Satana si rivolge aGes dicendogli: Se tu sei figlio di Dio. Per Geslessere figlio si esprime nellobbedienza radicale e nelladedizione totale al Padre. Per Satana invece essere figlio

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    significa poter disporre della potenza divina a propriopiacimento e per la propria gloria. A differenza di Ada-mo, Ges ha scelto lobbedienza, indicando cos anche

    a noi il cammino del ritorno.In perfetto contrasto con latteggiamento di Adamo,lultima risposta di Cristo al tentatore : Sta scritto in-fatti: Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderaiculto (v. 10). una risposta che ogni uomo deve faresua. E a nessuno sfugga la sincera ammissione di Sata-na: Tutte queste cose io ti dar se, gettandoti ai miei

    piedi, mi adorerai (v. 9). esatto: tutti coloro che sisottraggono a Dio per fare da soli e per porsi nel mon-do come padroni, in realt sono costretti ad adorareSatana. Non vogliono il vero Signore e se ne trovanoun altro, tirannico e mortificante. Un tiranno che hamolti nomi (denaro, successo, potere), ma un unicovolto: contro luomo.

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    Seconda domenica di quaresima

    Abramo: il coraggio

    di cambiare vitaGen 12,1-4a 2Tm 1,8b-10 Mt 17,1-9

    La storia di Abramo, ma in un certo senso linte-

    ra storia della salvezza il grande cammino di ritornoa Dio incomincia con questo racconto brevissimo,asciutto e tuttavia cos ricco di significato.

    Al primo posto liniziativa di Dio: Il Signore dissead Abram (v. 1). Tutto parte da qui, da questo inter-vento di Dio descritto con semplicit, senza quei trattigrandiosi (lampi e tuoni, luce che abbaglia) che abi-

    tualmente accompagnano le descrizioni bibliche delleapparizioni divine. Semplicemente Dio disse. Abra-mo ha gi alle spalle unintera vita, vecchio (avevasettantacinque anni quando lasci Carran, v. 4, preci-sa il testo), ha moglie e figli, un ambiente e un passato,e tuttavia come se la sua vita cominciasse soltanto ora.La sua vera storia inizia qui, quando Dio gli rivolge la

    parola e imprime alla sua esistenza una svolta. Primaera come un camminare senza direzione e senza senso,il solito affannarsi degli uomini giorno dopo giorno,cercando che cosa? Ora diventa un cammino che im-bocca una direzione e un significato.

    La parola di Dio si presenta come un ordine (Vatte-ne dalla tua terra [] verso la terra che io ti indicher,

    v. 1), e come una promessa (Far di te una grandenazione e ti benedir, render grande il tuo nome,v. 2). Ordine e promessa che, parallelamente, esigonodalluomo obbedienza e fiducia: allordine si obbediscee alla promessa si aderisce con fiducia. Abramo chia-mato a un cambiamento di esistenza (lascia e vieni),

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    ad abbandonare cio tutto il suo mondo gi noto, abi-tuale (la casa, la terra, i parenti) per andare verso unfuturo la cui unica garanzia la parola del Signore. E

    questa obbedienza, ma soprattutto fiducia. Si trat-ta di imparare a vivere non pi nello sforzo disperatodi conservare ci che gi si possiede, ma nello sforzofiducioso di andare in avanti, di uscire da ci che ci gi noto e abituale per andare verso un mondo che ilSignore garantisce ma che noi ancora non vediamo.

    Perch Dio ha chiamato Abramo? Se il Dio di

    tutti, perch chiama un uomo solo? Non c che unarisposta: Dio non chiama a una salvezza per se stessi,ma a un servizio e una responsabilit nei confronti ditutti. Ecco il senso dellaffermazione: In te si dirannobenedette tutte le famiglie della terra (v. 3). E questa la terza componente del nuovo cammino: dopo lobbe-dienza e la fiducia, il servizio.

    C una quarta caratteristica: la perseveranza. Il se-guito della storia di Abramo ci dice che il suo camminofu continuamente messo alla prova. Gli anni passano, ifigli non vengono, e le promesse di Dio sembrano sem-pre pi allontanarsi. Dio non ha fretta di mantenerele sue promesse. Si accontenta di rinnovarle. Commo-vente il racconto del colloquio notturno fra Abramo

    e il Signore: Soggiunse Abram: Ecco, a me non haidato discendenza []. Poi lo condusse fuori e gli disse:Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle; esoggiunse: Tale sar la tua discendenza. Egli credetteal Signore (Gen 15,3-6). Lintero cammino di Abramo racchiuso in questa semplice annotazione: Egli cre-dette al Signore. Ma lepisodio pi impressionante

    ancora un altro, il racconto del sacrificio di Isacco (cf.Gen 22), che inizia con una battuta e gi lascia trasparirela lezione: Dio mise alla prova Abramo (v. 1). Dio hapromesso ad Abramo una numerosa discendenza ora glichiede lunico figlio. un Dio misterioso, un Dio chemette alla prova, un Dio le cui vie non sono le nostre.

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    Fin qui la storia di Abramo, il padre di tutti i cre-denti. Il Vangelo di Matteo completa il discorso rac-contandoci il cammino di Ges, che in compagnia dei

    discepoli si dirige verso Gerusalemme (cf. Mt 17,1-9).Sullo sfondo c la croce, e questa incute nei discepolitimore e resistenza. Occorre uno sguardo pi acuto peraccorgersi che dietro la croce c la risurrezione. E que-sto appunto il senso dellepisodio della trasfigurazio-ne. Ges mostra ai discepoli che lo accompagnano checosa veramente li attende alla fine del cammino: non la

    croce, ma la risurrezione.Sappiamo che nel cammino della conversione cposto per la tentazione che viene da Satana, il qualevuole distoglierci dalla strada di Dio per incamminarcisu altre strade: la tentazione di Abramo e la tentazionedi Ges nel deserto. Nellitinerario della conversione cisono anche le prove che vengono da Dio stesso: hanno

    lo scopo di purificare, approfondire e convertire. Manella vita di fede, anche questo non va dimenticato,non mancano le luci, le consolazioni, le verifiche, lapregustazione della comunione con Dio, la certezzache la sua parola ha sempre ragione. Ci sono momentiin cui il credente vorrebbe ripetere le parole di Pietrosul monte: Signore, bello per noi essere qui (Mt

    17,4).Cos, la trasfigurazione non soltanto la rivelazionedellidentit profonda di Ges e del suo destino, nelcontempo una rivelazione dellidentit del discepolo.La via del discepolo ugualmente incamminata versola croce e la risurrezione. Nel cammino della fede nonmancano momenti chiari, gioiosi, allinterno della fa-

    tica dellesistenza cristiana. Occorre saperli scorgere esaperli leggere. Il loro carattere per fugace e prov-visorio, e il discepolo deve imparare ad accontentarsi.Non sono il definitivo, la meta, ma soltanto un antici-po profetico di essa.

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    Terza domenica di quaresima

    Un popolo tra libert

    e nostalgie di schiavitEs 17,3-7 Rm 5,1-2.5-8 Gv 4,5-42

    Il racconto dellEsodo, ambientato durante la lunga

    marcia del deserto, ci prepara allascolto del bellissimoincontro di Ges con la donna di Samaria. Molteplicisono le risonanze in comune: lincredulit delluomo,la pazienza di Dio, il dono dellacqua.

    Lepisodio (cf. Es 17,3-7) narra unesperienza che si impressa nella memoria di Israele in modo indele-bile. Gli ebrei compresero (e noi con loro) che fu un

    momento di particolare lucidit, unesperienza che hamesso a nudo alcuni atteggiamenti che accompagnanosempre il cammino delluomo verso Dio. appunto inquesta prospettiva che vogliamo rileggere lepisodio diMassa (tentazione) e Merba (protesta), ricostruendoi due lati del confronto: da una parte il ragionamentodel popolo, dallaltra la risposta di Dio.

    Privo di acqua per s e per il bestiame, il popolo pro-testa e pretende: Dateci acqua da bere! (v. 2). Non pre-ga (come far invece Mos), non chiede, ma pretendee reclama, come chi crede di poter accampare diritti.Tentare il Signore tutto questo. Poi dalla protestapassa alla mormorazione: Perch ci hai fatto saliredallEgitto []? (v. 3). Questo mormorare significa

    mettere in dubbio la validit di ci che Dio ha fatto, lavalidit dellimpresa iniziata. Valeva la pena di liberarsidallEgitto per poi trovarsi in questa situazione precaria?Daccordo la libert, ma la vita in Egitto era pur sempretranquilla, il cibo e lacqua assicurati! Di fronte alla faticadella libert nasce la nostalgia della schiavit.

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    tanto vero che spesso chiede una cosa mentre Diovuole dargliene unaltra. La tentazione di chi cerca Dio sempre quella di rinchiudere il dono di Dio dentro la

    propria attesa, ma Dio non si lascia imprigionare nelleattese delluomo: le dilata. il caso della donna di Samaria. Signore, dammi

    questacqua, perch io non abbia pi sete e non conti-nui a venire qui ad attingere acqua (Gv 4,15), chiede.E pi avanti, accortasi che Ges profeta, gli sottoponeunaltra questione: meglio adorare a Gerusalemme

    o su questo monte? (cf. v. 20). Ma non sono questi iproblemi che Ges intende risolvere. La donna cercadi situare Ges nelle categorie religiose tradizionali, lasua ricerca chiusa nel passato, ma egli cerca invece diaprirla a esigenze pi profonde e di condurla alla fede.Infatti le dice: Se tu conoscessi [] chi colui che tidice Dammi da bere. (v. 10). Ges che d da bere

    a lei e non il contrario, come la samaritana pensava. Intutto dialogo appare chiaro come sia Ges a suscitare leattese di questa donna, quasi obbligandola a esprimer-si; da quelle poi parte per lasciarle cadere o dilatarle. Ecome se la costringesse a guardare al futuro e a prenderecoscienza che nel mondo arrivata una novit che rin-nova il problema dalle fondamenta.

    Il cammino della donna pu certamente essere vistocome unimmagine del cammino delluomo verso Dio.Ges guida la ricerca, la disincaglia dalle chiusure chevia via incontra e la libera da alternative che luomoriterrebbe inevitabili (la donna non deve farsi giudea,ma restare samaritana). La ricerca termina in Cristo,rivelatore e salvatore, ma laccoglienza del dono di Cri-

    sto uno spazio aperto sulla vera adorazione del Padre.Importante, e sottolineato, linvito al superamentodi ogni altra attesa religiosa: le attese religiose, evocatedalle espressioni e dai simboli attorno a cui si svolge ildialogo, sono tutte superate e concentrate in Cristo. Inlui acquistano un senso di presenzialit e di pienezza.

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    Quarta domenica di quaresima

    Dio guarda al cuore,

    non alle apparenze1Sam 16,1b.4.6-7.10-13a Ef 5,8-14 Gv 9,1-41

    La liturgia chiama la quarta domenica di quaresima

    la domenica Laetare(della gioia). Il cammino quaresi-male un cammino di conversione, non di tristezza.Convertirsi significa ritornare a casa, ritrovare Dio e sestessi e questo gioia!

    La lettura dellAntico Testamento e il Vangelo nonsvolgono un tema comune, la prima continua la me-ditazione sulle grandi tappe della storia della salvezza:

    dopo Adamo, Abramo e lEsodo, la volta di Davide.Di lui, la Bibbia ricorda labilit politica e militare, ilcoraggio e lintelligenza, ma soprattutto lobbedienza alSignore. Davide il re secondo il cuore di Dio, e nonperch senza debolezze di lui, anzi, si racconta ampia-mente anche il peccato ma perch ha sempre avutola consapevolezza di essere al servizio dellunica regalit

    del Signore. Davide non ha mai tentato di sostituirsi aDio, usurpandone i diritti. E questa la cosa che contadi pi. Una preoccupazione che traspare anche dalleprime parole del nostro racconto: Il Signore disse aSamuele []: mi sono scelto [] un re (1Sam 16,1).Prima di raccontare lelezione di Davide, la Bibbia af-ferma che Dio non rinuncia alla sua regalit: c posto

    soltanto per una regalit che si esercita nellobbedienzae nel servizio per unautorit che non potr mai dirsiassoluta, ma sempre delimitata da precisi doveri.

    Il nostro racconto riproduce il canovaccio comunea tutte le chiamate di Dio. Dio pu chiamare diretta-mente (come Abramo e Mos), oppure attraverso un

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    dere, restano nelle loro tenebre (siccome dite: Noivediamo, il vostro peccato rimane, v. 41). La loroverit non ammette che un miracolo avvenga di saba-

    to, e questa loro sicurezza li chiude e li acceca. Non silasciano smuovere da nulla, neppure dallevidenza deifatti, per salvare uno schema religioso che non si vuo-le modificare. Fariseo luomo incapace di aprirsi allastoria, al concreto comunque esso sia, e di lasciarsi daesso mettere in questione: non leale, bara al gioco ed cieco.

    Dio scelse il piccolo Davide e non i suoi fratelli piappariscenti, e Ges rivela se stesso a un cieco e non acoloro che si reputavano maestri. La ragione la mede-sima: Dio guarda al cuore, non alle apparenze.

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    Quinta domenica di quaresima

    Quando sembra inutile

    continuare a sperareEz 37,12-14 Rm 8,8-11 Gv 11,1-45

    II profeta Ezechiele svolse il suo ministero fra gli esi-

    liati, a Babilonia. Nel 597 a.C. Gerusalemme si arreseallesercito babilonese, e il re Ioiakim venne deportatoa Babilonia assieme alle persone pi importanti dellacitt. Fra i deportati ci fu anche Ezechiele.

    Dapprima gli esiliati mantennero una inalterabilefiducia in Dio e nei destini del popolo. Gerusalemmenon sar distrutta, pensavano, lesilio non sar che una

    breve parentesi (un giusto ma momentaneo castigo diDio) e presto si ritorner in patria. Ma poi, di frontealla nuova sconfitta del 586 a.C. e alla distruzione diGerusalemme, le illusioni si infransero e subentr ladisperazione. appunto a questo stato danimo mol-to pericoloso che le prime righe del nostro passo (cf.37,12-14) si riferiscono: Le nostre ossa sono inaridi-

    te, la nostra speranza svanita, noi siamo perduti (v.11). E invece no, ribatte il profeta a nome di Dio: Ioapro i vostri sepolcri, vi faccio uscire dalle vostre tom-be (v. 12). Tutto il passo si regge su questo contrasto:da un lato labbattimento degli esuli (Siamo perduti),dallaltro la parola di Dio (Apro i vostri sepolcri): loscopo di far compiere al popolo una svolta, un capo-

    volgimento alla fiducia.La situazione del popolo in esilio descritta dalprofeta in forma di visione: Il Signore [] mi depo-se nella pianura che era piena di ossa; mi fece passareaccanto a esse da ogni parte. Vidi che erano in gran-dissima quantit [] e tutte inaridite (37,1-2). Una

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    ogni caso il sopravvento: So che risorger nella risur-rezione dellultimo giorno (v. 24). Fede ammirevole,e tuttavia non ancora completa; occorre sperare di pi.

    Ges risponde spostando laccento in due direzioni chepoi convergono. La prima cronologica: la risurrezionedei morti non un fatto degli ultimi tempi, ma acca-de adesso. La seconda di persona: la risurrezione deimorti non unopera compiuta solo da Dio alla finedei tempi, ma un evento che Ges compie. Quindi,Marta pensava: Esiste una risurrezione dei morti alla

    fine, per opera di Dio; Ges ribatte: Esiste la risurre-zione dei morti adesso, per opera di Cristo. Marta spe-rava in un lontano futuro (nellultimo giorno), Ge-s parla al presente: Io sono la risurrezione e la vita(v. 25). Daccordo il futuro, ma molto gi possibileoggi: possibile convertirci, vincere il nostro peccato,costruire comunit cristiane pi evangeliche, avviare

    nella societ un processo di giustizia.

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    Domenica delle Palme: passione del Signore

    Dallosanna al crucifige

    la serenit del credenteIs 50,4-7 Fil 2,6-11 Mt 26,14-27,66

    La domenica delle Palme caratterizzata dallentrata

    di Ges a Gerusalemme, un episodio festoso: La follache lo precedeva e quella che lo seguiva, gridava: Osan-na al figlio di Davide! Benedetto colui che viene nelnome del Signore! (Mt 21,9). Un momento di gioiosotrionfo, che prelude per agli insulti della croce. iltrionfo di un messia crocifisso, come appunto la litur-gia sottolinea ponendoci di fronte a un contrasto vio-

    lento e significativo; dopo la festosa processione degliulivi, tutte e tre le letture della messa ci parlano dellacroce: Matteo racconta la passione e la morte di Ges,lapostolo Paolo ci invita a imitare i sentimenti di Cri-sto che umili se stesso facendosi obbediente fino allamorte e a una morte di croce (Fil 2,8) e Isaia parla delservo del Signore. Vista la pregnanza di questa figura, ci

    soffermiamo sulla pagina profetica (cf. Is 50,4-7), doveil servo di Dio prefigurazione del messia, ma anchepersonificazione dellintero popolo di Dio parla inprima persona e ci racconta, per cenni brevissimi masignificativi, la sua storia, o meglio, ci descrive i trat-ti salienti della sua spiritualit. Eccoli: ogni mattina sipone in ascolto della parola del Signore; Dio gli affida

    la missione di sostenere e confortare gli sfiduciati; unamissione questa che va incontro a resistenze e a perse-cuzioni violente, che per egli affronta con coraggioperch la sua fiducia nel Signore.

    Sono esattamente i tratti della fisionomia e dellastoria di Ges. E se la liturgia ce li propone, non sol-

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    tanto per farci conoscere Cristo e contemplarlo neglieventi della settimana santa, ma anche per offrirci unprogramma e una verifica.

    Il servo di Dio vive in mezzo a un popolo stanco,scoraggiato, privo di slancio. Non la situazione degliesiliati, ma quella di chi, ritornato dallesilio con lani-mo pieno di speranze, ha dovuto poi constatare, conil passare del tempo, che quelle speranze non si sonorealizzate. Una stanchezza dunque, che non fisica mamorale, interiore. la stanchezza peggiore, perch

    molte cose insieme: delusione, sfiducia, scoraggiamen-to, rassegnazione.Diversamente dalla sua comunit, il servo di Dio

    pieno di slancio e di coraggio. Il popolo dice: Il Signo-re mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato(Is 49,14) e invece il servo afferma: Il Signore Dio miassiste [] sapendo di non restare confuso (v. 7a.d).

    La ragione di un tale contrasto semplice: ogni giornoil servo si pone in ascolto del Signore, questo il segre-to dei profeti e di tutti i veri uomini di Dio; lincon-tro quotidiano con Dio non permette che si accumulistanchezza e sfiducia, ma ringiovanisce. Lincontro conla parola di Dio non avviene di tanto in tanto, ma tuttii giorni, e non lultima cosa della giornata ma la pri-

    ma (ogni mattina).Il servo poi non parla da soggetto protagonista, maattribuisce tutto allazione di Dio: il Signore che gliapre lorecchio, il Signore che gli dona una linguada discepolo. Orecchio e lingua: lorecchio per ascol-tare e la lingua per annunciare. Con una precisazioneripetuta due volte: orecchio e lingua da discepolo.

    Questimmagine del discepolo sottolinea la docilit, ladisponibilit e lattenzione tutte cose che si richie-dono per ascoltare e per parlare ma sottolinea anchequalcosa daltro: discepolo colui che va a scuola, estudia, che frequenta assiduamente e sistematicamente.In altre parole, non si ascolta la Parola improvvisando,

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    occorre preghiera, ma anche intelligenza, studio, faticae metodo. Il profeta ogni giorno ridesta lorecchio, vaa scuola di Dio, per poter nutrire se stesso ed essere in

    grado di dare una risposta agli stanchi. Cerca la paroladi Dio per essere un uomo di speranza. Senza questoincontro quotidiano non si pu dare una risposta anessuno, n alla propria stanchezza, n a quella deglialtri.

    Il servo di Dio perseguitato. Il racconto degli ol-traggi segue una specie di crescendo: lo flagellano, poi

    gli strappano la barba pena non soltanto dolorosa maumiliante e infine lo coprono di sputi. la passionedi Ges: Allora gli sputarono in faccia e lo percossero;altri lo schiaffeggiarono (Mt 26,67). Ma ci che qui pi sottolineato il coraggio e la serenit del profe-ta: egli non sottrae il suo volto, addirittura presenta ildorso ai flagellatori, e non perde in nessun istante la

    fiducia nel suo Dio. questa fiducia che lo rende co-raggioso e forte: per questo rendo la mia faccia duracome pietra (Is 50,7c). Una fiducia possibile soltantol dove c un quotidiano dialogo con Dio. Non dif-ficile passare da Isaia alla passione di Ges, una storiache appare come un prodigio di coraggio, di fedelt edi amore. La radice? Il Vangelo, sia pure con grande

    discrezione, ce la lascia intravedere ed la medesimaradice di cui ci ha parlato il profeta: la costante comu-nione col Padre, continuamente nutrita nella preghierae nella meditazione delle Scritture. Di fronte alle per-sone venute con spade e bastoni (v. 55) per arrestarlocome un ladro, Ges esclama: Ma tutto questo avve-nuto perch si compissero le Scritture dei profeti! (v.

    56). E sulla croce recita un salmo (Sal 22), nel quale gisi prefigurava il suo destino.

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    TRIDUO PASQUALE,TEMPO DI PASQUAE SOLENNITDEL SIGNORE

    NEL TEMPO ORDINARIO

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    Gioved santo

    Li am fino alla fine

    Es 12,1-8.11-14 1Cor 11,23-26 Gv 13,1-15

    Con la messa in Coena Dominiinizia il triduo dellaPasqua del Signore. Il mistero pasquale viene ricordatonella sua dimensione celebrativa dallapostolo Paolo,che ai cristiani di Corinto scrive come Ges ha lasciatoai suoi discepoli, nel segno del pane spezzato e distri-buito e del calice dato da bere, il dono di se stesso (cf.1Cor 11,23-26). Questo gesto Ges comanda ai suoidi farlo perch ci che esso significa e contiene, ildono della sua vita, continui a rimanere presente perloro: fate questo in memoria di me. Lapostolo affer-ma che: Ogni volta infatti che mangiate questo panee bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore,finch egli venga (v. 26).

    Se Paolo racconta lultima Pasqua di Ges, il gestodel pane e del vino, la prima lettura (cf. Es 12,1-8.11-14) ci presenta le sue origini antiche, lagnello pasqualedi Israele. Il racconto dellEsodo ci riporta alleventostorico della liberazione del popolo dallEgitto (cf. v.11). Il suo ricordo, per, non si esaurisce nel passato,ma un memoriale (v. 14), che rende presente quan-to accaduto, per cui sempre unesperienza di libera-zione e di salvezza, anche se ci si trova in una situazionedi difficolt e oppressione, come lo erano gli ebrei inEgitto. E la Pasqua antica trova il suo compimento nelgesto di Ges che lava i piedi ai suoi discepoli, primadella sua morte in croce (cf. Gv 13,1-15).

    Per comprendere il significato di questa azione diGes, occorre partire dalle parole iniziali dellevangeli-sta: Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li am

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    fino alla fine (v. 1). Qui riassunta tutta la vita di Ge-s: lamore per i discepoli fino a quel momento e da lin poi, per il tratto di strada che rimane fino alla croce.

    Tutta lesistenza di Ges si pu raccogliere nella cate-goria dellamore. Lespressione fino alla fine indica lacaratteristica di questo amore: la totalit, fino al massi-mo della perfezione. Ges ama oltre ogni misura.

    Il gesto della lavanda dei piedi viene raccontato neisuoi minimi particolari (cf. vv. 4-5) per mettere in evi-denza che non soltanto un atto di umilt. In real-

    t, come il testo lascia intuire, si tratta di un gesto dirivelazione per mostrare un significato pi profondoe autentico. un gesto rivoluzionario che rovescia irapporti abituali tra maestro e discepoli, tra padrone eservi. Ges stesso dice che ordinariamente il maestro onorato, servito e tuttavia qui lui fa un gesto da schia-vo. Con il suo gesto Ges rende visibile la logica di

    amore, di servizio, di dono che ha guidato tutta la suaesistenza e che esprime la sua dignit e la sua filiazio-ne divina. La lavanda dei piedi svela chi Ges, o permeglio dire, rivela la figura di Dio che egli venuto amostrare. servendo e donandosi che il Cristo si rendedisponibile nelle mani del Padre, divenendone limma-gine e la trasparenza: Dio amore. un gesto sconvol-

    gente sul piano religioso perch ci comunica qualcosadel volto di Dio impensabile per i ragionamenti umani:Dio serve luomo. E la lavanda dei piedi mostra che ilservire, non il potere n il comandare, azione divina.

    Ges ha chiara consapevolezza del senso di ci chesta compiendo; non cos i suoi discepoli. La reazionedi Pietro denota una vera e propria incomprensione

    del gesto di Ges (cf. vv. 6.8). Non semplicemente ilrifiuto di un gesto di umilt da parte di Ges, ma piprofondamente della scelta del messia e Signore di ab-bassarsi e di farsi servitore. unincomprensione dellavia della croce, in linea con altri passi evangelici (cf. Mt16,22; Mc 8,32). Pietro non comprende la croce, non

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    comprende il modo di Ges di rivelare se stesso. Lo ri-conosce come Messia e Signore, ma proprio per questovorrebbe che Ges percorresse una strada differente. Di

    fronte alla resistenza del discepolo, Ges invita Pietroalla fiducia: Quello che io faccio, tu ora non lo capisci,lo capirai dopo (v. 7).

    Oltre che rivelazione di Ges, il gesto della lavanda una lezione per i discepoli: Vi ho dato un esempio, in-fatti, perch anche voi facciate come io ho fatto a voi(v. 15). Il termine tradotto in italiano con esempio

    ha una connotazione visiva di immagine, tipo, modelloda osservare. Ges non presenta semplicemente questoesempio, si potrebbe dire dimostrazione, come unmodello esteriore da imitare, ma come un dono chegenera il comportamento futuro dei discepoli. La co-munit cristiana invitata a intraprendere la strada delservizio. La grandezza della chiesa, come gi quella di

    Cristo, si rivela nel servizio.

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    Venerd santo

    Volgeranno lo sguardo a colui

    che hanno trafittoIs 52,13-53,12 Eb 4,14-16; 5,7-9 Gv 18,1-19,42

    Il venerd santo non semplicemente il ricordo

    del tragico e doloroso evento della crocifissione, ma e deve rimanere memoria di una morte che pasquale,di una passione che beata.

    Il racconto della passione del Vangelo di Giovanni,senza venir meno alla dimensione storica e realistica,interpreta i fatti proprio alla luce di questa idea fonda-mentale: il crocifisso il vero vincitore. Il Cristo regna

    dalla croce. proprio attorno a questa convinzione difede che sfida le apparenze sensibili, che levangelistaracconta le ultime ore delle vita di Ges.

    La passione di Ges la reazione del mondo alle sueparole, un netto rifiuto, ma nel contempo la smentitadellillusione del mondo: colui che il mondo rifiuta iltrionfatore. La passione prefigura e inizia la condanna

    di Ges da parte del mondo, ma in realt il momentoin cui avviene la sconfitta del mondo. Agli occhi degliuomini tutto sembra irrimediabilmente perduto ilmomento della massima debolezza eppure il cam-mino glorioso verso il Padre.

    Nellampia scena del processo (cf. 18,33-38) Ges giudicato dagli uomini, ma in realt lui stesso che

    giudica il suo popolo ponendolo di fronte allalternati-va di obbedire o rifiutare. Levangelista vede realizzarsinella croce di Ges il giudizio definitivo, salvezza per idiscepoli e condanna per il mondo.

    compiuto! esclama Ges crocifisso (19,30). Ilverbo, che ricorre tre volte, suggerisce lidea di un per-

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    Al di l di questi tratti iniziali, levangelista sottolineasoprattutto un fatto, che il Crocifisso risorto. Sono leparole dellangelo che danno lannuncio, illuminando

    gli occhi delle donne incapaci da sole di comprendere:So che cercate Ges, il crocifisso. Non qui. risor-to [], come aveva detto (vv. 5-6). Langelo, come sivede, non si limita ad affermare che il Cristo risorto,ma attira lattenzione sulla croce: la risurrezione lavittoria della croce, ne svela il senso positivo e salvifico.Mantenere ferma lidentit tra il Crocifisso e il risorto

    fondamentale. La via dellamore percorsa con ostina-zione da Ges non dunque stata vana: contrariamen-te al giudizio degli uomini, essa la via che porta allavita e costruisce il mondo nuovo.

    La risurrezione un giudizio di Dio che capovolge levalutazioni degli uomini e nel quale si possono scorgerealmeno due significati. Anzitutto Dio ha fatto risorgere

    proprio colui che gli uomini, a nome suo, hanno cro-cifisso. Questi hanno condannato Ges, appendendoloalla croce, giudicandolo un falso messia, incapace dioffrire salvezza: Dio approva Ges di Nazaret e lo farisorgere. Dunque Ges aveva ragione, la risurrezione la verit del Crocifisso.

    Insistendo sulla realt della risurrezione (risurrezio-

    ne del corpo e non solo dello spirito) il Vangelo intendenon soltanto ribadire la realt storica della risurrezionedi Ges, ma anche aprirci a una grande e concreta spe-ranza, una speranza religiosa, perch ha il suo fonda-mento in Dio, nellamore di Dio. Dio fedele ed ilvivente, ha creato tutto per la vita, non per la morte.Lamore che sembrato sconfitto sulla croce, in realt,

    nel risorto, vittorioso.In secondo luogo, la risurrezione di Ges veritdella scelta della croce anche la verit delluomo, inquanto la croce non appartiene soltanto al camminodi Ges, ma anche, in senso molto reale, il simbo-lo della vita in generale, della nostra vita incamminata

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    (sembra) verso la morte, sconfitta di fronte al peccatoe alla violenza. la risurrezione che permette di faredi questa vita in apparenza segnata dalla vanit e dal

    peccato una diversa lettura.Molte sono le esperienze che possono indurre luo-mo a perdere il senso dellesistenza e smarrirsi. Lespe-rienza, ad esempio, di una vita che promette e nonmantiene, lesperienza della vanit e della stoltezza, delpeccato e della violenza. Il mondo nuovo anzich avvi-cinarsi sembra allontanarsi, e la storia continua a essere

    in mano ai potenti e ai prepotenti.Ebbene, queste riflessioni portano ai piedi dellacroce, al momento in cui (nella vita di Ges e nellanostra) lamore sembra sconfitto dal peccato, la veritdalla menzogna, la vita dalla morte, la promessa di Diodal suo apparente abbandono. Tuttavia dopo la crocec la risurrezione, e la risurrezione di Ges mostra che

    il muro della vanit si infranto. Naturalmente, nonogni vita infrange il muro della vanit, del non senso,ma solo quella che ripercorre il passaggio aperto da Ge-s: la via dellamore, della dedizione e della obbedienzaa Dio. A Pasqua si celebra la vittoria di un preciso mo-do di vivere.

    Luomo trova la sua verit. Luomo che si apre alla

    fede nella risurrezione, vive la gioia di unesistenza cheha trovato finalmente il suo fondamento e la sua ragio-ne: quella in cui lamore, che appare inutile, invece larealt che vince perch fondata sulla fedelt dellamoredi Dio.

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    Domenica di Pasqua

    La lezione di Pasqua:

    un Dio imparzialeAt 10,34a.37-43 Col 3,1-4 Gv 20,1-9

    Lc 24,13-35

    Lepisodio della corsa dei discepoli al sepolcro il mat-tino di Pasqua apre il racconto pasquale (cf. Gv 20,1-9). Maria si reca al sepolcro, lo vede aperto e pensasubito al trafugamento del cadavere. Ne sicura e correa portare la notizia ai discepoli.

    Pietro e il discepolo che Ges amava corrono alsepolcro. Pietro entra per primo nel sepolcro e nota che

    le bende e il sudario, nei quali era avvolto il corpo diGes, non erano gettati per terra alla rinfusa, ma pie-gati con ordine: un indizio che gi di per s smentiscelopinione di un frettoloso trafugamento del cadavere.

    A sua volta entra nel sepolcro anche il discepolo ama-to, e vide e credette (v. 8). chiaro che levangelistaattribuisce a questo discepolo amato un ruolo impor-

    tante, ne mette in risalto la sicurezza, lintuizione e laprontezza a discernere la traccia del Signore risorto. Luisolo ha compreso tutto il senso racchiuso nel sepolcrovuoto e nei panni piegati.

    La conclusione dellepisodio perlomeno sorpren-dente: Infatti non avevano ancora compreso la Scrit-tura, che cio egli doveva risorgere dai morti (v. 9).

    Non soltanto dunque lincomprensione di Maria edi Pietro, ma anche la fede del discepolo amato inqualche modo rimproverata, quasi fosse ancora insuffi-ciente, anchegli infatti ha avuto bisogno di vedere percredere. Se avesse compreso le Scritture, non avrebbeavuto bisogno di vedere, dato che la Scrittura essa

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    39-40). Fra il giudizio di Dio e il giudizio degli uomi-ni c un netto contrasto. Le valutazioni di Dio sonocapovolte rispetto a quelle degli uomini. Gli uomini

    hanno condannato Ges, Dio invece lo ha approva-to e lo ha fatto risorgere. Lapostolo sottolinea questocontrasto per indurre i suoi ascoltatori alla conversio-ne. Occorre mutare i propri criteri di valutazione. Cmodo e modo di leggere le vicende, c modo e mododi valutare la storia. C una lettura mondana e c unalettura di fede. Luomo convertito colui che ha impa-

    rato a ragionare vale a dire a valutare la propria vitae le vicende secondo i criteri che sono racchiusi nellarisurrezione di Ges: ci che considerato stolto dagliuomini pu essere saggio agli occhi di Dio, ci che gliuomini rifiutano pu essere proprio ci che Dio cerca.

    Infine la terza sottolineatura: Ges pass benefi-cando e risanando tutti (v. 38). Ges ha detto e ha

    fatto molte cose, ma tutte furono dettate da ununicaansia: fare del bene. Completamente dimentico di s, vissuto dallinizio alla fine per Dio e per i fratelli.Questa una vita che il mondo rifiuta e deride, e nonraramente crocifigge, ma quella che Dio approva. Ge-s ha vinto la morte per s e per noi, e questo il fon-damento della nostra gioia. Ma la sua risurrezione ci

    insegna anche che non tutte le strade portano alla vita:le strade dellegoismo, della violenza e della menzognanon portano alla vita, ma come dice lApocalisse, con-ducono alla seconda morte. Soltanto la via percorsa daGes la via della croce e dellamore porta alla vita.

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    erano perseveranti insieme nel tempio e, spezzando ilpane nelle case (v. 46). Anche qui il tratto messo inevidenza la costanza: ogni giorno. Questi primi cri-

    stiani si sentivano ancora legati al popolo dIsraele, allasua liturgia e alle sue feste, e per questo frequentavanoil tempio. Tuttavia la loro fede si esprimeva soprattut-to nel celebrare leucaristia nelle case. Il testo non sidilunga su queste celebrazioni, ne sottolinea per lasemplicit e la gioia, lasciandoci capire che si trattavadi celebrazioni ricche non soltanto di fede, ma anche di

    fraternit e di calore umano.Infine fra lascolto della Parola e la preghiera par-ticolare attenzione era riservata alla comunione frater-na. Non era una fraternit che si riduceva ai momentiassembleari o cultuali, ma una fraternit che si esten-deva a tutta la vita e coinvolgeva i rapporti quotidiani.Una comunione concreta, globale, nellesistenza. Non

    solamente un rapporto spirituale, n una semplice (an-che se fondamentale) comunione nella fede, ma unrapporto di reciproco aiuto, di vera e propria condi-visione, a tutti i livelli: Vendevano le loro propriet esostanze e le dividevano con tutti (v. 45). Questi primicristiani non rinunciavano ai loro beni per desiderio diessere poveri, ma perch volevano vivere la fraternit:

    lideale la fraternit, non la povert.Ascolto costante della Parola, perseveranza nella pre-ghiera e sforzo di fraternit quotidiana, ecco dunquealcuni tratti che caratterizzano la comunit degli uo-mini che hanno fatto Pasqua, degli uomini cio chesono passati (Pasqua significa appunto passaggio) daun modo vecchio a un modo nuovo di vivere.

    Il Vangelo di Giovanni (cf. 20,19-31) ci suggerisceun quarto segno del rinnovamento: il passaggio dallapaura alla gioia e al coraggio. Il racconto ci presentadapprima i discepoli in preda alla paura (per paura deigiudei le porte del luogo dove si trovavano erano chiu-se), poi ce li mostra pieni di gioia e di slancio.

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    Terza domenica di Pasqua

    E la luce venne verso Emmaus

    At 2,14a.22-33 1Pt 1,17-21 Lc 24,13-35

    Levangelista Luca che spesso si rivela un fine nar-ratore ha costruito il racconto dei discepoli di Em-maus attorno alle immagini del cammino. Limma-gine suggerita con insistenza: dapprima un camminoche allontana da Gerusalemme, dagli avvenimenti del-la passione e dal ricordo di Ges, potremmo dire uncammino dalla speranza alla delusione (speravamo,v. 21), un cammino carico di tristezza (si fermaronocol volto triste, v. 17); ma poi, dopo lincontro con laparola del Signore, un cammino di ritorno, dalla delu-sione alla speranza (Partirono senza indugio e feceroritorno a Gerusalemme, v. 33). Linversione di marcia dovuta alla nuova lettura degli eventi che lo scono-sciuto ha loro suggerito. Gli eventi sono rimasti quellidi prima la croce e il sepolcro vuoto ma ora sonoletti diversamente, con occhi nuovi.

    Limmagine del cammino si presta molto bene a il-lustrare i due interrogativi che levangelista ci propone:come riconoscere il Signore nel nostro cammino quo-tidiano? E come valutare gli eventi che troppo spessosembrano contraddire ogni speranza? Per riconoscere ilSignore e per ritrovare la speranza anche l dove sembrasmentita dice Luca occorre una chiave di letturache luomo non sa trovare da solo, ma che viene dalleScritture ed dono di Dio: cominciando da Mos e datutti i profeti, spieg loro in tutte le Scritture (v. 27).

    La luce che illumina gli avvenimenti dono di Dioma esige disponibilit. I due discepoli si allontanavanoda Gerusalemme e dalla speranza per, come annota

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    pubblico e richiama lattenzione di tutti. Di Cristo nonsi parla a bassa voce ma con voce alta e chiara. Nella so-ciet palestinese del tempo non mancavano certo con-

    flitti culturali, sociali e politici, e molte cose (noi oggiparleremmo di strutture), sia religiose che politiche,dovevano essere cambiate. Tuttavia Pietro sembra con-centrarsi su un unico punto, il pi essenziale, la radicedi ogni altra eventuale presa di posizione: parlare diCristo, della sua morte e della sua risurrezione, e delprogetto di vita che egli ha indicato.

    Si parla dunque subito di Ges e del suo messaggio:il resto verr dopo. E c una chiara insistenza in questodiscorso: proprio Ges nazareno, il Crocifisso, risorto(Voi, per mano di pagani, lavete crocifisso e laveteucciso. Ora Dio lo ha risuscitato, liberandolo dai dolo-ri della morte (vv. 23-24). questo un tratto abitualedella predicazione apostolica che ha lo scopo di sotto-

    lineare un contrasto: da una parte i giudei che hannorifiutato Ges di Nazaret, ritenendolo abbandonato daDio; dallaltra, il giudizio di Dio che ha esaltato Ges elo ha riscattato dalla morte. Dunque un contrasto pro-fondo tra il giudizio delluomo e il giudizio di Dio. Untale contrasto sottolineato per mostrare tutta la cecitinsita nella mentalit delluomo e per indicare di quale

    radicale cambiamento esso abbia bisogno. questo ilcambiamento che urgente compiere.

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    Quarta domenica di Pasqua

    Credere a Cristo anche