Magazine Un' Altra Storia

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La voce di chi crede che un’altra Sicilia è possibile!!! SEDE NAZIONALE UN'ALTRA STORIA via Mariano Stabile 250 Palermo tel. 0918888496 fax. 0918888538 www.unaltrastoria.org

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SEDE NAZIONALEvia Mariano Stabile 250Palermotel. 0918888496fax. 0918888538www.unaltrastoria.org

REFERENTI LOCALI DI UN’ALTRA STORIA MAGAZINE

Agrigento: TIZIANA LANZA / [email protected] Caltanissetta: FRANCESCA GRASTA / [email protected] Palermo: ANGELA SOLARO / [email protected] Siracusa: RITA PANCARI / [email protected] Catania: GIUSEPPE PILLERA / [email protected] Messina: VERONICA AIRATO / [email protected] Trapani: PIERO DI GIORGI / [email protected] Enna: SALVATORE PASSARELLO / [email protected]

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uando nell'autunno del 2005 decisi di mettere la mia candidatura a disposi-zione dello schieramento del centro sinistra (allora Unione) per la corsa allaPresidenza della Regione Siciliana, era un momento particolarmente difficile

e complesso (uno dei tanti, troppi). La mia era una scommessa, di più, una provoca-zione. Una politica arrogante riproponeva un personaggio come Totó Cuffaro e l'opposizionetemporeggiava, non trovando la forza e la volontà di contrapporsi adeguatamente. Ilmio primo slogan elettorale per la sua formulazione, ritenuta da molti scarsamentecomunicativa. "Conosco una Sicilia che vuole cambiare: davvero".Era quasi una riflessione, una constatazione. Per oltre dieci anni avevo girato in lungoe in largo per la Sicilia. Avevo percorso le stradi spesso disastrate che collegano tradi loro i 392 comuni. Mi ero fermata nelle scuole e nelle piazze,.avevo incontrato uo-mini, donne, bambini, giovani (sempre meno numerosi). Avevo conosciuto amministratori e associazioni.Conoscevo sempre meglio problemi e potenzialità di ogni territorio. La rassegnazione e la grande vogliadi riscatto. Io tutto questo lo conoscevo davvero ed era a tutto questo che volevo dar voce, facendo questascelta.Il programma partecipato (frutto del lavoro partecipato dei cantieri a cui hanno lavorato i cittadini insieme,suddivisi per gruppi tematici, che hanno scritto il programma, mettendoci dentro qualcosa di loro, facendoproposte e sollevando perplessità) non era il mio programma, voleva e doveva essere il programma dei si-ciliani per la Sicilia. A questo sono serviti i Cantieri. Sappiamo tutti come finì allora quella esperienza. maci è servita per crescere, per imparare a guardarci dentro, e a guardarmi attorno. Per capire che è da noiche bisogna ripartire, e per prendere coscienza che non si deve ripartire da zero. Quel patrimonio c'è an-cora. Quella volontà c'è ancora. E' vero siamo un po' più stanchi e molto delusi, ma ci siamo ancora.Quando uccisero mio fratello, scelsi di restare a Palermo, di restare in via D'Amelio e mi dissi: "Non sono ioche devo andare via; sono loro che devono andarsene".Siamo noi che scegliendo di restare, mi dico oggi, dobbiamo aiutare questa terra "bellissima e disgraziata"a darsi un volto nuovo a trovare in se le motivazioni vere: il cambiamento per il bene comune. E cosi, (sonopassati 19 anni), vogliamo provare a realizzare uno strumento che ci permetta di migliorare la comunica-zione, l'informazione ma anche la riflessione e l'approfondimento di tematiche di nostro interesse, legate alprogetto di bene comune che sta alla base del nostro percorso.Vogliamo offrivi e offrirci una rivista dove potranno trovare spazio riflessioni, approfondimenti e in cui i pro-tagonisti dovranno essere i territori, con le loro suggestioni, a partire dalle iniziative dei "cantieri territorialidi Un'Altra Storia" e, di quanti credono, che un'altra Sicilia, un'altra Italia è possibile.La rivista, vuole essere strumento per coloro che, cittadini e realtà organizzate, operano nei territori e ognigiorno vivono e raccontano un'altra Sicilia.Sarà la voce di quanti ogni giorno, spesso in solitudine, operano per il bene comune. Vogliamo sostituirealla politica urlata dei salotti televisivi un luogo di riflessione e approfondimento. A tutti coloro che hannocontribuito e contribuiranno a organizzare questo sogno, il mio, il nostro, dico grazie. Nulla è impossibilequando lo si vuole davvero e come diceva Martin Luther King: " Se sogni da solo il tuo sogno resta unsemplice sogno; se sogniamo insieme il nostro sogno diventa realtà".

Editoriale

febbraio • 2011 • N.13

La voce di chi crede cheun’altra Sicilia è possibile

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L’Antisociale

Le mani sulla cittàGenius Loci

febbraio • 2011 • N.1 4

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febbraio • 2011 • N.15

in questo numero

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6IL PUNTOContro il professionismo della politica spazio al popolo della gratuità, di Alfio Foti

12 Un piano contro il Sud, di Franco Garufi

14 I costi del federalismo, di Carmen Vella

14 La via del Sud per il federalismo, di B. Amoroso

21 Fondi post 2013, l’Ue vuole più garanzie

25 Il modello dei Gas, di Roberto Li Calzi

28 L’Osservatorio popolare, di Franco Pignataro

30 La mafia sbarca a Bruxelles

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L’INTERVENTO

Mezzogiornoquestionenazionaledi Giorgio Napolitano

EDITORIALELa voce di chi crede che un’altra Sicilia è possibile, di Rita Borsellino

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DOSSIER

In Sicilia serveun’altra economiadi Alberto Tulumello

Direttore responsabileAngelo Meli

Coordinamento editorialeGiovanni Ferro

Redazione Dario Prestigiacomo, Carmen Vella

Contributi di

Bruno Amoroso, Alfio Foti, Franco Garufi,

Giorgio Napolitano, Francesco Pignataro,

Claudio Riolo, Alberto Tulumello,Roberto Li Calzi

Grafica e copertina

Ciccio Falco

Stampa

Tipografia Antonino Bonura

Redazione

via Mariano Stabile, 250 - 90141 Palermo

tel. 0918888496 - fax 0918888538

Supplemento al settimanale ASud’Europa del Centro di Studi e iniziative culturali

“Pio La Torre” - Onlus / Registrazione presso il tribunale di Palermo 2615/021

Il magazine è scaricabile presso il sito www.unaltrastoria.org / La riproduzione dei testi è possibile solo se viene citata la fonte

10POLITICACeto politico e classi dirigenti, un patto perversotra Nord e Sud, di Claudio Riolo

Sommario

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febbraio • 2011 • N.1 6

Il punto

di ALFIO FOTICoordinatore di Un’altra Storia

Conosco una Sicilia chevuole cambiare davvero. UnaSicilia che chiede di essere

partecipe e protagonista nella co-struzione del proprio futuro”.Questa frase è stata uno deglielementi caratterizzanti l’ingressodi Rita Borsellino nella politica “uf-ficiale”, quella delle elezioni e delleistituzioni.L’intento era e rimane moltochiaro: dare corpo, peso, rappre-sentanza a quella parte di societàsiciliana che non si rassegna, chevuole ancora determinare un pro-prio percorso di vita, che da va-lore al termine dignità e che apartire da essa tende a daresenso e significato all’esistenzaquotidiana.Questa società da decenni subi-sce il mortificante peso di un si-stema politico - clientelare –mafioso che ne ha impedito lapiena espressione ed ha forte-mente condizionato la possibilitàche l’enorme potenziale da essaposseduto potesse trasformarsi inenergia positiva, volano di svi-luppo, di crescita qualitativa di ter-ritori e comunità.Sappiamo che la nostra regionevive una crisi fortissima, che èetica, culturale, politica, sociale,economica. Una crisi che investeuna società parcellizzata, semprepiù priva di riferimenti di identità

collettiva, sempre meno capace diriconoscersi e di agire seguendologiche di cooperazione. La do-manda sociale frammentata haprodotto interventi-risposte a ca-rattere erogatorio ed assisten-ziale, con l’obiettivo di non dareautonomia ai diversi soggetti indi-viduali e collettivi, creare dipen-denza dal sistema di potereperché esso potesse riprodursi erafforzarsi, perdurando nel tempofino a determinare la drammaticasituazione attuale con i dati di di-sgregazione sociale, disservizi,disoccupazione, povertà, eva-sione scolastica, emigrazioneormai noti a tutti.La “fiducia nel futuro” è semprepiù debole e tende quasi ad an-nullarsi di fronte ad una assenzapraticamente totale di progettua-lità, di una idea di Sicilia e dellesue reali possibilità di sviluppoautentico non eterodiretto, non as-sistito, non fittizio, ma autonomo,autocentrato, sostenibile sul pianoambientale e sociale, coerentecon le tradizioni e rispettoso dellevocazioni dei diversi territori.Di fronte a tale situazione le forzepolitiche tradizionali appaionocome asserragliate in gabbienelle quali si scatenano lotte dipotere, con relativi complotti, tra-dimenti, passaggi strumentali dauna parte all’altra ed in cui agi-scono dinamiche che non incon-trano il quotidiano di cittadini ecittadine, delle persone in carne

ed ossa con le loro differenze ed ibisogni che esplicitamente espri-mono o implicitamente portanodentro con forme di pesantezza,rassegnazione, disagio, a volteperfino di disperante solitudine.Questa politica appare semprepiù lontana dalla vita, sempre piùstrumento, luogo di formazione diprofessionisti esperti in tecnichedi gestione di potere personale odi gruppo e la democrazia, nellasua forma rappresentativa, si pre-senta sempre più debole, condi-zionata dai poteri forti, svuotata,priva di densità, incapace di rap-presentare anche parzialmente ibisogni dei cittadini elettori. Lospettacolo offerto quotidiana-mente da assemblee elettive qualil’ARS e molti Consigli Comunali eProvinciali è deprimente. Le atti-vità che in esse si svolgono nondi rado si tingono del colore dellamediocrità fino a toccare la di-mensione dell’indifferenza, del ci-nismo, perfino della violenzarispetto alle condizioni reali in cuiversano migliaia, milioni di citta-dine/cittadini. Non si tratta di ge-neralizzare o fare di tutta l’erba unfascio. Esistono differenze chevanno rispettate; esistono rappre-sentanti del popolo che cercanodi fare pienamente il loro dovereche vanno sostenuti e non lasciatisoli, ma il quadro generale,ahimé, è quello descritto ed è ciòche percepiscono i cittadini, al-meno quelli non condizionati dal

Contro il professionismo della politicaspazio al popolo della gratuità

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febbraio • 2011 • N.17

Il punto

voto di scambio, non ricattabili edè per tale ragione che sempre piùsi diffonde il senso di paura esmarrimento. In questo contesto,sicuramente pesante, dramma-tico, difficile da affrontare, nelquadro di un paese sempre più inpreda ad un degrado che ha del-l’incredibile e dentro una crisi cheha segnato il fallimento clamorosodella globalizzazione economicaliberista, deve assumere forteconsapevolezza e svolgere unruolo di protagonismo quella so-cietà cui si rivolgeva Rita, quelPopolo della dignità e della gra-tuità che rappresenta il veronuovo soggetto politico fuori daogni schema organizzativo tradi-zionale, che possa finalmentedare alla politica il senso, il signifi-

cato, il valore di impegno per Co-struire il Bene Comune, senza see senza ma!Un popolo che esprima al mas-simo il potenziale che possiede,che sia in grado trasformarlo inenergia sociale, in grado di acce-dere ad una dimensione proget-tuale e gestire itinerari dicambiamento che diano centralitàal presupposto partecipativo nellademocrazia, alla comunità localee alla sua intrinseca capacità diriappropriarsi dei luoghi per pro-durre ricchezza duratura attra-verso la responsabilevalorizzazione delle risorse. Unacomunità sempre più densa dibeni relazionali, quindi di processidi coesione e di inclusione. Un Sogno? No, una necessità,

una urgente ed inderogabile ne-cessità.Questo popolo esiste, bisognasolo trovare il modo per farloesprimere con continuità, di indi-viduare forme e strumenti perchépesi ed eserciti una vera e propriafunzione di governo attraverso unrapporto di proficua complemen-tarietà tra la dimensione istituzio-nale/rappresentativa e quellapartecipativa. Un popolo che re-cuperi pienamente i valori dellatradizione democratica e progres-sista, che sia capace di incarnarli,che proponga costruttivamentepositivi elementi di conflitto anchealle forme tradizionali di politicadeterminando cambiamenti pro-fondi e sostanziali, dando pienavalorizzazione a tutti quei mo-menti e a quelle esperienze chenegli ultimi periodi hanno costi-tuito e costituiscono significativisegmenti di speranza nel per-corso di liberazione individuale ecollettiva di questa nostra terra.Un’altra Storia è nata e vive perquesto progetto, essa vuole es-sere strumento di movimenta-zione sociale interamente alservizio di esso.Questo giornale al suo primo nu-mero va nella medesima dire-zione, con umiltà intende svolgereil ruolo di “agente di relazione ecomunicazione”, luogo di appro-fondimento e confronto, una dellevoci di quel popolo motivato edimpegnato a costruire la societàdi giustizia.

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di GIORGIO NAPOLITANOPresidente della Repubblica italiana

uelle del Mezzogiorno sono terredi storiche virtù, di grande labo-riosità contadine e operaie, di

fervore intellettuale e di dinamismo deiceti medi, nonché di comune profondoattaccamento all'unità nazionale edalla causa italiana. Non dimentichia-molo mai! Non lo dimentichi nessuno!L'Italia è impegnata in uno sforzo asso-lutamente indispensabile ed ineludibiledi riordinamento, di risanamento dellafinanza pubblica e di contenimento deldebito e della spesa pubblica corrente;ma questo non può far perdere di vistal'imperativo della crescita, che poi è unimperativo vitale per il nostro Mezzo-giorno ed è l'imperativo cui siamo tuttitenuti, perché riguarda il futuro dei no-stri giovani. È inutile girarci attorno:questa è la questione numero uno oggiesistente nel nostro Paese. Noi possiamo anche registrare con re-lativa soddisfazione che il tasso delladisoccupazione complessiva nazio-nale è minore rispetto a quello di altrigrandi paesi europei, ma sappiamoche questo tasso nazionale com-prende in sé un livello enormementepiù elevato per le giovani generazioni,per i giovani dai 15 ai 29 anni, troppidei quali oggi si trovano (condizioneche è stata analizzata anche statistica-mente) senza lavoro pur avendo con-cluso il ciclo della formazioneeducativa e non essendo nemmenoimpegnati in attività di addestramentoprofessionale. Noi abbiamo un dovere storico ed undovere morale di dare risposte a queigiovani che hanno il diritto di aspirarea crescere, a formarsi e ad affermarsisulla loro terra, qui nel nostro Mezzo-giorno.Vi sono poi altre questioni che riguar-dano ancora una volta aspetti di carat-

tere istituzionale ed amministrativo. Seposso evocare un ricordo che risale apiù di dieci anni fa: quando, da Mini-stro dell'Interno, tenni per la prima voltaun'assemblea di sindaci del Nord-Est,mi trovai di fronte ad una polemica cheveniva da sindaci di sicuro molto legatiad una visione autonomista e federali-sta, una polemica aspra circa il rischiodi un centralismo regionale. Bisognamuoversi con grande equilibrio: peral-tro, anche questo è un tema che intro-duce quello ben più generale relativoa come intendere il federalismo. Quinon si tratta di tornare indietro o di met-tere bastoni fra le ruote rispetto ad unprocesso che è già in corso e che noiormai dobbiamo considerare sempli-cemente come processo di attuazionedella Costituzione, del nuovo Titolo Vdella Carta Costituzionale; ma non bi-sogna giocare con le parole quando siparla di federalismo solidale, coopera-tivo ed equilibrato; bisogna che, dav-vero, questi aggettivi ovvero questicaratteri del federalismo siano concre-tamente rispecchiati nei provvedimentiche, di volta in volta, il Parlamentodovrà esaminare e che dovranno in de-finitiva essere adottati e firmati dal Pre-sidente della Repubblica.È molto importante che le prospettivedello sviluppo dell'Italia meridionale sileghino strettamente ad una visione eu-ropea del ruolo del Mediterraneo edelle potenzialità dell'area euromedi-terranea; questa non è stata una que-stione sempre così pacifica, ed iocredo che abbia ben fatto il Governoitaliano, con il consenso del Parla-mento, ad insistere perché anche il re-cente nuovo impulso - sollecitato dalPresidente francese - alla dimensionemediterranea dell'Unione Europea nonfosse affidato alla formula ambiguadell'Unione del Mediterraneo, ma aquella dell'Unione per il Mediterraneo;infatti non solo sono affare di tutta l'Ita-

lia e non semplicemente del Mezzo-giorno, ma sono anche affare di tuttal'Europa e non solo delle sue regionidel Sud questa proiezione, questo im-pegno e questa visione dello sviluppoche abbracci l'intero Mediterraneo. Sul federalismo serve un confronto pro-duttivo e di esso è condizione il bloc-care penose dispute contabili erecriminazioni sul dare e l'avere traNord e Sud.I dati da cui partire ci sono, provenientida diverse fonti: ricordo quelli presen-tati, a conclusione di approfondite ri-cerche, dal convegno della Bancad'Italia della fine dello scorso anno e ri-chiamati anche nella sua più recenteAssemblea generale. Così come ri-cordo le elaborazioni del Rapporto Svi-mez. Ma soprattutto cito - perl'ufficialità della fonte - il Rapporto an-nuale 2009 sugli interventi nelle areesottosviluppate predisposto dal Dipar-timento competente e presentato dalMinistro Fitto il 15 luglio scorso. Ed inmateria di dare ed avere in senso piùampio è disponibile da qualche meseanche l'importante ricerca condotta daesperti della Banca d'Italia e dell'Uni-credit, e a cura, in particolare, del pro-fessor Paolo Savona, sulle bilance deipagamenti regionali verso l'esterno(estero e resto d'Italia) che danno unquadro di flussi tra regioni del Nord edel Sud ben più ampio di quelli dei solitrasferimenti pubblici e assai più favo-revole al Centro-Nord.Sì, ci sono i dati - e sono dati oggettivi- da cui partire per una discussionenon viziata in partenza da contrappo-sizioni polemiche, non condizionata daaccuse perentorie e invettive comequelle che di recente si sono ascoltate.Ma quello che è mancato, e ancoramanca, è un esame attento, nelle sediistituzionali - a cominciare dal Parla-mento - e nelle sedi politiche, delle ela-

Il presidente Giorgio Napolitano:“Mezzogiorno questione nazionale”

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L’intervento

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borazioni provenienti, come ho ricor-dato, da fonti tecniche ed anche go-vernative. Il rapporto governativo di sette mesi faci ha in effetti detto cose precise, sullapiù forte riduzione - nel 2009 - dell'oc-cupazione nel Mezzogiorno, sulla piùbassa - sempre nel Mezzogiorno -spesa pro capite della Pubblica Ammi-nistrazione (il presidente Caldoro fa-ceva l'esempio della spesa per lasanità), sull'utilizzazione dei Fondistrutturali e sull'impiego effettivo deifondi FAS, sulla riduzione operata nelladotazione complessiva originaria delFAS, e così via. Lo stesso rapporto pre-sentato dal Ministro Fitto in luglio cidice cose inquietanti sulla qualità deiservizi nel Mezzogiorno, le cui insuffi-cienze - gravi in più casi - rinviano pe-raltro ad un problema che non è solodi disponibilità di risorse finanziariepubbliche.E allora diciamo semplicemente cheuna questione di risorse finanziariepubbliche per il Mezzogiorno - di ri-sorse che siano non solo programmate

ma rese realmente disponibili - esistecertamente, ma che esiste non menoseriamente una questione di capacitàdi selezione, di progettazione, di attua-zione, la quale chiama in causa di-verse responsabilità, compresa inparticolare quella delle Regioni.Dissi, quasi un anno fa parlando a Na-poli, a proposito dell'efficienza e dellaqualità dell'impiego delle risorse dispo-nibili: "Qui non poche sono le note do-lenti che chiamano in causa moltepliciresponsabilità, in gran parte, non pos-siamo nasconderlo, interne al Mezzo-giorno. Note dolenti, in particolare esoprattutto, a proposito dell'impiego diassai cospicui Fondi europei. Ritardinell'utilizzazione, scelte dispersive, in-sufficienze progettuali e ripiegamentifuorvianti - dissi allora - su cosiddetti"progetti sponda" hanno condotto al ri-schio di perdere una grande occa-sione. È dunque indispensabile checambino i comportamenti di tutti i sog-getti pubblici e privati, che condizio-nano negativamente il miglior uso,secondo l'interesse generale, delle ri-

sorse disponibili per il Mezzogiorno".Non posso che sottoscrivere ancheoggi queste mie parole di un anno fa.Ho affermato altre volte che i veri meri-dionalisti non sono mai stati indulgenti,e non possono esserlo ora, versoquello che non va nel Mezzogiorno edunque verso le insufficienze che leclassi dirigenti, le rappresentanze isti-tuzionali, le amministrazioni pubblichee, in definitiva, le forze politiche hannomostrato nel Mezzogiorno dinanzi alleprove dell'autogoverno regionale e chevengono oggi al pettine nel processodi attuazione del federalismo fiscale.Ciò premesso, resta quel che ha dettotempo fa il Ministro dell'economia, edè importante che lo abbia detto: "LoStato deve tornare a fare di più è moltodi più per il Mezzogiorno, rimanendo ilMezzogiorno - egli ha giustamente ri-levato - una questione nazionale e nonuna sommatoria di interessi regionali".Ed è indubbio che ci debba essere peril Mezzogiorno più coordinamento, più"regìa" al livello nazionale.Non ci si può comunque abbandonarea rappresentazioni fuorvianti, spessocaricaturali, tutte in nero del Sud e tuttein bianco, anzi in bianco-oro, del Cen-tro-Nord. Comune deve essere, in tuttaItalia, la consapevolezza che (comeebbe a dire il Governatore della Bancad'Italia) "gli spazi di crescita sono moltopiù ampi al Sud che al Nord. Azionivolte a sfruttarli possono dare un con-tributo decisivo al rilancio di tutta l'eco-nomia italiana".Di tale consapevolezza stanno dandoprova le forze sociali a livello nazionale:nel caso della Confindustria con inizia-tive e progetti di particolare significato,che non ho mancato di apprezzare.Questo è lo spirito con cui trarre le le-zioni dal passato e guardare ad un mi-gliore futuro per il Paese, nel 150ºanniversario dell'Unità d'Italia che nonpuò essere solo occasione di celebra-zioni formali o rituali. (Tratto dal di-scorso del 14/10/2010 a Salerno)

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L’intervento

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Politica

di CLAUDIO RIOLO

er comprendere le caratteri-stiche del ceto politico meri-dionale, che può essere

considerato come quella partedella classe dirigente che hafunzioni strettamente politiche,cioè una sorta di “sottosezionespecializzata” delle classi diri-genti locali, è necessario inclu-dere nell’analisi l’insieme delleélites economiche, burocratichee culturali di cui esso è espres-sione. E il punto di partenza del-l’analisi non può che essere ilvecchio “patto perverso” traclassi dirigenti del Nord e delSud su cui si è retta per quaran-t’anni la cosiddetta “prima Re-pubblica”.Com’è noto, le politiche meridio-nalistiche avviate negli anni cin-quanta, sia quelle perl’agricoltura e le infrastruttureche quelle per l’industrializza-zione, invece di promuovereuno sviluppo più equilibrato delPaese e una diffusione territo-riale dell’industria, venivano pie-gate agli interessi, non identicima convergenti, delle classi diri-genti del Nord e di un ceto poli-tico nazionale che, in buonaparte, si reggeva sulle risorseconsensuali del Mezzogiorno. Inparticolare, sul piano politico-sociale, la spesa pubblica ali-mentava la gradualeformazione, in sostituzione delvecchio blocco agrario in crisi,di una nuova classe dirigenteparassitaria e clientelare. Si for-mava, cioè, un vasto blocco so-ciale, egemonizzato da cetimedio-alti (blocco edilizio, im-prenditoria speculativa, nuovopersonale politico-amministra-

tivo, neoprofessionisti e grossicommercianti) cementati in uninestricabile intreccio econo-mico-politico dalle occasioni edai redditi improduttivi creati daiflussi di spesa pubblica; unblocco parassitario in grado digarantire, ad un tempo, unampio mercato di consumi mo-derni e la stabilità politica e so-ciale.Questo “patto perverso” traclassi dirigenti del Nord e delSud ha trovato nell’Isola – eccola specificità della “questione si-ciliana” - un forte amplificatorenell’uso distorto dei poteri spe-ciali della Regione autonoma,alla cui ombra sono cresciuti unpotente e ramificato ceto poli-tico-amministrativo e un vastostrato di imprenditori edili, spe-culatori e faccendieri che ope-ravano spesso in una zonagrigia, ai margini della legalità,dove tragicamente era destinatoa pascersi anche il potere ma-fioso. Un ceto locale politica-mente trasformista e subalternoagli equilibri del sistema di po-tere nazionale, rispetto al qualegodeva sì di una relativa auto-nomia, ma solo nella misura incui esercitava un potere di ri-catto nel quadro di un rapportodi scambio centro-periferia trarisorse pubbliche e consensoelettorale.Il patto ha retto tra alti e bassi –puntualmente scanditi al Sud daperiodiche rivolte popolari e on-date di voto di protesta nei mo-menti più acuti di crisieconomica – per circa quaran-t’anni, e si è temporaneamenterotto quando, sull’onda del dis-sesto statale, della rivolta leghi-sta e di “tangentopoli”, quel

sistema di potere è crollato. Maciò non ha ovviamente compor-tato un ricambio automaticodelle classi dirigenti locali, che,rimaste orfane dei vecchi refe-renti politici, si sono ben prestoadeguate al nuovo sistema bi-polare, mimetizzandosi trasfor-misticamente nelle nuoveaggregazioni politiche con l’ob-biettivo di conservare i vecchiprivilegi.Il polo di centro-destra – innova-tivo mix tra populismo mediaticoberlusconiano e macchina poli-tica democristiana - ha natural-mente attratto il grosso delletradizionali reti clientelari e pa-rassitarie, che hanno continuatoad alimentarsi grazie al controllodi vecchi e nuovi filoni di spesapubblica (spesa ordinaria,opere pubbliche, fondi europei),esercitando all’occorrenza laminaccia di un ribaltamento dialleanze. Ma anche il centro-si-nistra, che negli ultimi due de-cenni si è alternato al governocentrale e ai governi delle re-gioni meridionali, non è sem-brato immune dal pericolo diessere preso d’assalto da co-loro che sono adusi da semprea saltare sul carro dei vincitori.E su queste esperienze di go-verno, sia quelle concluse disa-strosamente come in Campaniae Calabria, che quelle ancora incorso e apparentemente più vir-tuose come in Puglia, ancoramanca una seria riflessione cri-tica che ne analizzi, in formacomparata, le differenze, le si-milarità e i risultati. E in questo quadro la Sicilia –tradizionale roccaforte del cen-tro-destra, ma dove anche leforze di centro-sinistra, dagli

Ceto politico e classi dirigentiun patto perverso tra Nord e Sud

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anni ’90 ad oggi, sono state sal-tuariamente al governo dellaRegione, in un primo tempo in-sieme al vecchio pentapartito,successivamente con Cuffaroed oggi, sia pure sotto la for-mula ambigua del “governo deitecnici”, con Lombardo – rap-presenta un osservatorio privile-giato. Sembra, infatti, che il cetopolitico locale, di fronte alla crisie allo sfaldamento del blocco dicentro-destra, stia reagendo,ancora una volta, in modo tra-sformistico, in nome della risco-perta, sempre più inconsistentee strumentale, di una diffusa vo-cazione “autonomistica” e “me-ridionalistica”. E così assistiamoad una nuova frammentazionedell’offerta politica locale e allanascita di formazioni politichepiù o meno “sudiste”, comeForza del Sud di Micciché e ilPid di Romano e Mannino, cheaffiancano il già consolidatoMPA di Lombardo. Al di là dellediverse strategie di alleanze incui si collocano è difficile scor-gere delle differenze significa-tive tra queste formazioni che,pur in concorrenza tra loro,sembrano espressione dellostesso blocco di interessi paras-sitari e delle stesse modalità diacquisizione clientelare del con-senso. Le varie leghe del Sudsembrano predisporsi a contrat-tare, nel quadro dei nuovi equili-bri che potrebbero scaturiredalla crisi del regime berlusco-niano, un ennesimo scambiocentro-periferia tra risorse econsenso, sia pure in un quadrocaratterizzato, tra crisi econo-mica e prospettiva federalista,da una crescente scarsità di ri-sorse pubbliche disponibili. Ma,com’è noto agli studiosi del fe-

nomeno, la manipolazione dellascarsità è per la macchinaclientelare una leva altrettantopotente della distribuzione dellaricchezza. D’altra parte il fon-dato allarme per un federalismosquilibrato e di segno “nordista”viene già abilmente utilizzatocome incentivo ad una mobilita-zione “meridionalistica”, in fun-zione di contrappeso rispettoalla crescente influenza dellaLega Nord.Oggi, dunque, le forze progres-siste si trovano, nel Mezzo-giorno, di fronte a un bivio:possono competere con il “cuf-farismo” e il “lombardismo” sulloro stesso terreno, puntandoad una mera alternanza di cetopolitico nel quadro dell’enne-sima operazione trasformisticadi una parte dell’attuale sistemadi potere (e l’ambigua espe-rienza in corso in Sicilia do-vrebbe già offrire molti elementidi riflessione); oppure possonocercare di costruire una reale al-ternativa che si misuri con l’an-noso ed irrisolto problema di undiverso modello di sviluppo lo-cale, che non riproduca disoc-cupazione e precariato,assistenza clientelare, degradoambientale e controllo mafioso(e qualche suggerimento po-trebbe emergere dall’interes-sante, ancorché non priva dicontraddizioni, esperienza pu-gliese). Questa seconda stradaè certamente più difficile, poi-ché la formazione di nuove éli-tes politico-burocratiche,economiche e culturali non puòche essere il risultato di lunghi ecomplessi processi di trasfor-mazione della società, dell’eco-nomia e delle istituzioni. Ma nonesistono scorciatoie.

Politica

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di FRANCO GARUFI

’approvazione nel Cipe delloscorso 11 gennaio della deli-bera sulla selezione ed attua-

zione degli investimenti finanziatidal Fas e dai fondi strutturali (n.79del 30 luglio 2009), rappresentauno dei primi adempimenti del co-siddetto “Piano per il Sud”. Il Con-siglio dei ministri, alla fine delloscorso novembre, aveva già ap-provato i due decreti legislativisulla perequazione infrastrutturalee sulle risorse destinate alle politi-che di sviluppo. Il primo stabilisceche in sede di attuazione dell’arti-colo 16 della l.42/09 (Legge de-lega sul federalismo fiscale) èistituito il Fondo per lo sviluppo ela coesione che sostituisce il Fased è iscritto nello stato di previ-sione del Ministero dell‘Economiae delle Finanze. Il “contratto istitu-zionale di sviluppo” definirà la de-stinazione delle risorse edindividuerà responsabilità, tempi emodalità d’attuazione degli inter-venti”. Viene, per fortuna, confer-mata l’assegnazione dell’85%delle risorse al Sud e del 15% alleRegioni del Centro-Nord. L’altrodecreto prevede la ricognizionedegli interventi infrastrutturali pro-pedeutica alla perequazione infra-strutturale tra le diverse aree delPaese e riguarderà le strutture sa-nitarie, assistenziali, scolastiche,nonché la rete stradale, autostra-dale e ferroviaria, il trasporto pub-blico locale e il collegamento conle isole, la rete fognaria, le retiidrica, elettrica e di trasporto e di-stribuzione del gas, le strutture

portuali ed aeroportuali. In conseguenza di tali scelte (e diquelle che seguiranno), la pro-grammazione unitaria prevista dalQuadro strategico nazionale2007-2013, fondata sul partena-riato delle istituzioni locali e delleforze economiche e sociali, vienesostituita dalla centralizzazione alivello ministeriale della maggiorparte delle decisioni.Dalle priorità del Piano, che con-fermano otto dei dieci titoli in cui èarticolato il Qsn; scompaiono la“competitività ed attrattività dei si-stemi urbani” (VIII) e l‘“aperturainternazionale ed attrazione inve-stimenti” (IX); per contro è intro-dotto il tema “certezza dei dirittie delle regole” che si propone lasemplificazione del processo ci-vile e la realizzazione di una seriedi azioni finalizzate ad aggredire i

nodi che impediscono il consegui-mento di livelli più elevati di effi-cienza della giustizia civile nelMezzogiorno. Il capitolo sicurezza e legalità nonsi discosta dalle finalità del “Ponsicurezza e legalità” per il periododi programmazione 2007-2013,mentre gli obiettivi di migliora-mento della pubblica amministra-zione e di semplificazioneamministrativa per le imprese e lefamiglie risentono dell’imposta-zione punitiva nei confronti del la-voro pubblico propria del ministroBrunetta.La Banca del Mezzogiorno rap-presenta il caposaldo politicodell’intera operazione.Il ministro Tremonti porta all’in-casso la sua idea condotta per ri-costruire uno strumento creditiziogovernato direttamente dal Tesoro

Un piano contro il SudDal governo tagli per 30 miliardi

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Politica

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attraverso cui canalizzare e con-trollare eventuali flussi d’investi-menti pubblici e privati dadestinare al Mezzogiorno. Tale è ilsenso dell’acquisizione di Medio-credito centrale da parte dellePoste, importante anche nellaprospettiva dei possibili intreccicon la Cassa Depositi e Prestiti edella presenza delle banche dicredito cooperativo. La banca, disecondo livello, si propone comeprincipale soggetto di gestionedegli strumenti di agevolazionenei territori meridionali, anche at-traverso la gestione di un fondorotativo Jeremie (fondo europeofinalizzato alle piccole e medieimprese). La riforma degli incentivi sarà rea-lizzata tramite decreto legislativoe si propone una radicale sempli-ficazione centrata su:- incentivi automatici (con prefe-renza per strumenti di fruizionecome il bonus fiscale in forma divoucher);- bandi per il finanziamento di pro-grammi organici e complessi;- procedure negoziali per il finan-ziamento dei grandi progetti d’in-vestimento oltre i 20 milioni dieuro.Il governo ha enfatizzato l’entitàdelle risorse destinate al Piano,quantificandole in 100 miliardi dieuro.In realtà, è del tutto assente il rife-rimento al criterio dell’addiziona-lità rispetto alla spesa ordinariadestinata al Sud la quale è pro-gressivamente diminuita nell’ul-timo decennio. Continua, inoltre,l’emorragia delle risorse nazionaliper lo sviluppo. Con l’ultimo taglio

di 5 miliardi operato nella Leggedi stabilità, sommano ormai a 30 imiliardi di euro sottratti al Fas,mentre è passato quasi sotto si-lenzio il taglio di ulteriori 5 miliardidi Fas operato con la deliberaCipe che ha accompagnato il lan-cio del Piano. I cofinanziamentinazionali e regionali ai fondi strut-turali sono, in molti casi, bloccatidai vincoli del Patto di stabilità in-terno.Il Piano non prevede un solo eurodi finanziamenti aggiuntivi, com’èriscontrabile dalle rilevazioni di di-versi studiosi. Cersosimo, Orlandoe Zumbo quantificano, in un re-cente scritto, le risorse effettiva-mente programmabili a partiredall’1 gennaio 2011 in circa 58 mi-liardi di euro. 5,3 miliardi di eurosono residui della programma-zione 2000-2006, di cui 3,5 mi-liardi di risorse Fas 2000-2006 e1,5 miliardi di risorse liberate deiProgrammi operativi 2000-2006non programmate; 53,0 miliardi dieuro sono invece riferiti alla pro-grammazione 2007-2013, di cui18,6 per i Programmi attuativi fi-nanziati con i fondi Fas e 34,4 peri Programmi operativi cofinanziaticon i fondi strutturali. Viesti eProta, da parte loro, determinanoin 36 i miliardi provenienti daifondi strutturali non ancora impe-gnati di cui 0,7 miliardi residuatidal Fas nazionale, 19,3 prove-nienti dai Fas delle quattro princi-pali Regioni del Sud, 1,3 residuinon impegnati dalle Regioni, 5,3per risorse liberate dai precedentiperiodi di programmazione.Infine il governo ha stabilito che iProgrammi attuativi Fas delle Re-

gioni del Mezzogiorno devono es-sere sottoposti a revisione, sullabase delle linee guida del Piano,entro 30 giorni dalla data di ap-provazione del Piano da parte delCipe. In sostanza, lo scopo finaledell’esecutivo è di concentrarenelle sue mani la gestione dellerisorse, obbligando le Regioni aduna riprogrammazione che fini-rebbe per ridurre ulteriormente ladisponibilità di risorse dei Pro-grammi attuativi regionali, nel frat-tempo l’accelerazione sui decretidi attuazione del federalismo, no-nostante le comprensibili resi-stenze della Conferenza delleRegioni, determinerebbe una re-distribuzione delle risorse tale daprovocare ulteriori gravi tensionialle Autonomie locali meridionaligià fortemente indebolite dai taglidella manovra di luglio.Risulta evidente la finalità eletto-rale dell’operazione, tesa a riac-quisire consenso in un’area delPaese in cui il centrodestra perce-pisce fenomeni di smottamento ditradizionali roccaforti. Dietro ilgran battage propagandistico, sicela l’intenzione del Governo di ri-durre le risorse disponibili nelleRegioni meridionali e di limitare laloro autonomia imponendo uncontrollo centrale che indirizze-rebbe le poche risorse disponibilisu alcune grandi opere di imme-diato impatto pubblicitario, come ilponte di Messina, trascurando lamessa in sicurezza del territorio,abbandonando a se stessi i gio-vani disoccupati, spingendo glienti locali fin sull’orlo del disastrofinanziario. In una parola, unPiano contro il Sud.

Politica

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Economia

di CARMEN VELLA

iù risorse al Nord e meno alSud. È un meccanismo per-verso a somma zero che to-

glie ai poveri per dare ai ricchi.Come dire, oltre il danno la beffa.Almeno stando all’analisi del se-natore Marco Stradiotto del Par-tito Democratico (membro dellaCommissione bicamerale per l’at-tuazione del Federalismo) che harealizzato uno studio-inchiesta in-sieme al giornalista Marco Alfieri,“il federalismo tanto propugnatodalla Lega è pura e semplice pro-paganda, e l'impressione che siha è che Lega e governo non ab-biano la minima idea di come isti-tuire questo meccanismo”.In sostanza il federalismo fiscalemunicipale provocherebbe unavera e propria stangata ai bilancidi molti comuni e in particolare aquelli del Mezzogiorno. Lo studiocurato dal senatore democraticoMarco Stradiotto, sulla base deidati forniti dalla Copaff (Commis-sione paritetica sul federalismo fi-scale presso il ministero delTesoro) ha prodotto una proie-zione degli effetti sui singoli co-muni capoluogo di provincia. Secondo quetso studio, con ilnuovo modello di federalismomolti comuni vedranno decurtatauna buona parte delle risorse chericevono dallo Stato per garantirei propri servizi ai cittadini.Il decreto, infatti, modifica il mec-canismo di redistribuzione. I capi-toli di spesa da cui oggi gli entilocali ricevono i trasferimenti sa-ranno sostituiti da un fondo ali-

mentato con il gettito derivante dauna serie di tasse e imposte (diregistro, di bollo, ipotecaria e ca-tastale, tributi catastali speciali,Irpef relativa ai redditi fondiari edalla cedolare secca sugli affitti).Tali risorse verranno ripartite aglienti locali sulla base della percen-tuale degli importi fiscali versatida ogni territorio. Queste però non basteranno a farfronte a tutte le esigenze di co-muni e province. Pertanto la leggeistituisce due nuove imposte, unaobbligatoria e l’altra facoltativa. Laprima si chiama IMU (impostamunicipale unica) raggrupperà leattuali tasse comunali come l’ici,l’addizionale irpef, ecc. La se-conda, denominata IMS (impostamunicipale secondaria) sostituirà,se l’amministrazione deciderà diavvalersene, le imposte già esi-stenti come la tosap, la cosap, latassa pubblicità, il canone per gliimpianti pubblicitari, ecc. L’entratain vigore è prevista per il 2014.Facendo due conti, per esempio,la città di Palermo perderebbe185 milioni di euro di trasferi-mento statale, mentre città comeMilano e Venezia vedrebbero au-mentare i propri trasferimenti ri-spettivamente di 169 e di 25milioni.

Aumenta la forbice tra Nord eSudA conti fatti questo sistema favori-sce quegli enti locali siti nellearee più ricche del Paese adanno di quelli che si trovanonelle zone più disagiate. Il Nordd’Italia ha molte più imprese del

Sud, un giro d’affari superiore e,quindi, un mercato che produceun maggiore gettito fiscale. Se-condo il criterio redistributivo in-trodotto dal decreto legislativo siviene a creare un circolo perversoper cui chi ha molto avrà ancoradi più e chi ha poco avrà sempredi meno. I comuni del Mezzo-giorno, che partono da una condi-zione di svantaggio rispetto aquelli del Settentrione e devonofare quotidianamente i conti consituazioni difficili e precarie in tuttii settori (lavoro, trasporti, politichesociali ecc.), verranno privatianche del minimo indispensabileper garantire l’ordinario. Così aumentano le differenze trachi può godere di un livello di ser-vizi e infrastrutture in linea con lamedia europea e chi no. La ri-forma del federalismo, infatti, pre-vede diversi investimenti perrecuperare il gap presente nelMezzogiorno, ma la maggioranzacontinua ad ignorare questopunto e a concentrare le proprieenergie sui provvedimenti chetanto stanno a cuore alla Lega.Più in generale se la tanto riformaagognata dalla Lega venisse ap-provata i comuni del Sud perde-rebbero 445 milioni di euro. Lostudio condotto su 92 dei 110 co-muni capoluogo italiani individuain quello de L’Aquila il comune piùpenalizzato con un taglio del 66%rispetto al 2010, seguito da Napolicon un taglio del 61% e Messinacon un taglio del 59 % rispettoall’anno precedente.

Cosa accadrà

I costi del federalismoChi paga è il Mezzogiorno

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Economia

Il decreto legislativo 292 prevedela devoluzione, a favore dei Co-muni, della fiscalità immobiliare edel gettito derivante dalla nuovacedolare secca degli affitti. Nellostudio - si legge – “sono statisommati e stimati i gettiti derivantidalle imposte immobiliari devolutesommate alla cedolare seccasugli affitti per ogni singolo Co-mune Capoluogo di Provincia(esclusi i capoluoghi delle regioniFriuli V.G. Trentino Alto Adige e ValD’Aosta) ed il dato ricavato è statoconfrontato con i trasferimenti cheogni Comune si è visto assegnatoper il 2010 (dati estratti da spet-tanze Enti Locali del Ministerodell’Interno)" e dimostra che "i ce-spiti immobiliari considerati pro-ducono un’entrata moltodisomogenea da Comune a Co-mune e di conseguenza sarà as-solutamente necessario un

consistente fondo perequativo diridistribuzione". "In sostanza -conclude - dalle proiezioni apparechiaro che il meccanismo di devo-luzione della fiscalità immobiliarecome prevista dal D.Lgs. 292 ri-schia di non dare una rispostacorretta alla necessità di riequili-brio nella ripartizione delle risorsetra i diversi Comuni".

I comuni penalizzatiÈ il comune de L'Aquila, dunque,quello che subirà il taglio peg-giore: - 66% con una perdita di26.294.732 milioni. Segue a pocadistanza Napoli (-61%) che perdequasi 400 milioni (392.969.715). Ilcomune partenopeo è il comuneche riceve i trasferimenti statalipiù alti rispetto a tutti gli altri capo-luoghi italiani (668 euro per abi-tante di fronte a una media di 387euro). Se il nuovo fisco previsto

nel federalismo municipale andràin vigore il capoluogo abruzzeseincasserà 13.706.592 di euro ditasse a fronte di 40.001.324 di tra-sferimenti avuti nel 2010. Si trattadi 360 euro in meno all'anno perabitante. I cittadini aquilani paghe-ranno, infatti 188 euro di Imu,mentre attualmente per ognuno diloro vengono dati al Comune 548euro. Non va meglio a Napoli checon grazie all'autonomia imposi-tiva incassa 252.054.150 euro,ma nel 2010 ha avuto trasferi-menti per 645.023.865.

Tutti in perdita i comuni sicilianiA pagare le maggiori conse-guenze sarebbe Messina, con unmeno 59%, dietro Palermo,quarto comune in assoluto, conun meno 55%, seguono Catania,-43% e Caltanissetta e Trapani (-30%). In termini assoluti però siprospetta a Palermo il tracollopeggiore: -185 milioni di euro dientrate rispetto ad oggi. Se infattiattualmente i trasferimenti statalial capoluogo siciliano ammontanoa circa 340 milioni di euro, con lariforma il gettito dell’Imu porte-rebbe nelle casse palermitane ap-pena 154 milioni di euro, 234 euroad abitante contro i 516 attuali ditrasferimento statale. A Messinasi prevede una riduzione di 69 mi-lioni di euro (47 milioni di entratedalle imposte a fronte di 116 mi-lioni di trasferimenti attuali dalloStato). Un minor incasso di 62 mi-lioni invece per Catania (81 mi-lioni invece dei 143 cheattualmente arrivano dallo Stato).

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Economia

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di BRUNO AMOROSOCentro Studi Federico Caffè

’esistenza delle tre Italie, cioèdelle differenze socioeconomi-che ed istituzionali del territorio

della penisola italiana, trova confermain tutte le fasi della storia italiana anchese le misure introdotte si proponevanodi negarle o ridurne il significato. L’oc-cupazione militare del territorio italianoda parte dell’esercito piemontese 150anni fa fu espressione della consape-volezza di questa diversità e trovò con-ferma nella feroce guerra civile che neè seguita. Nel secondo dopoguerra,anche per le forme ed i tempi del pro-cesso di liberazione del paese, questediversità si sono riconfermate e si sonoriflesse nel lavoro attento della Assem-blea Costituente. La formula scelta fuquella del federalismo regionale co-struito per mantenere il ruolo centraledello Stato ma consentendo forme didecentramento a livello regionale. Questo percorso è divenuto particolar-mente accidentato sia per la scarsavolontà dei poteri forti e del complessodelle istituzioni e del sistema politico-sociale di rinunciare alla centralizza-zione dei loro privilegi, sia a causadell’integrazione dello Stato italianonell’Unione Europea e della Globaliz-zazione di cui è parte integrante. Duefenomeni che, in particolare a partiredagli anni Settanta, hanno rapida-mente indebolito la centralità delloStato e delle istituzioni nazionali. Oggipiù dell’80% delle leggi presentate alParlamento nazionale sono in realtànorme attuative di leggi e decisioni del-l’UE e la stessa attività degli altri organidello Stato (magistratura,ecc.) è sotto-posta a stretto monitoraggio. Quindi, inuna situazione di decrescente sovra-nità dello Stato nazionale, la retoricacorrente dell’inno e della bandiera nonriesce a nascondere le conseguenze

negative, economiche e sociali, chehanno generato a livello territoriale ri-sposte localistiche. Sia da parte delceto politico e burocratico che ha ac-centuato le proprie tendenze predato-rie sia degli altri gruppi sociali che siaggrappano alle possibilità contrattua-listiche di conservare spazi di potere eprivilegio. La ripresa del regionalismoe del federalismo è alimentata da que-sta situazione ed è un tentativo di dareuna risposta organizzata.Il tema del federalismo richiama oggidue problemi: uno di tipo sostanzialeed uno formale. L’aspetto sostanzialefa riferimento al tema perenne della di-versità socioculturale della penisola edel conflitto irrisolto tra i confini naturalie socioeconomici dei suoi territori equelli imposti dagli interessi del mer-cato capitalistico nazionale. L’aspettoformale riguarda le forme che ha as-sunto la sua unificazione sotto la di-zione “società italiana” e la formagiuridica che il federalismo ha assuntonel corso degli ultimi 150 anni. Di que-sti problemi ne fornisce una brillantedescrizione Giorgio Ruffolo nel suolibro: Un paese troppo lungo (Einaudi2010). Le diversità della penisola, se-condo la sua proposta, sono ricompo-nibili dentro un disegno unitariomediante il riconoscimento dell’esi-stenza delle tre Italie (Nord, Centro eSud) ed un patto di cooperazione traloro. Un disegno di federalismo cheeviti la frammentazione regionalistica,nelle forme di contrapposizione e com-petizione a cui assistiamo oggi, ma sti-moli forme di cooperazione e dirappresentanza megaregionale tra letre parti del paese in un quadro nazio-nale confederale. La soluzione confederale delle tre me-garegioni consentirebbe una rispostapositiva e costruttiva alle nuove perce-zioni della dimensione territoriale inatto (il Mezzogiorno, l’Italia Centrale e

la Padania), ed il consolidarsi ed ap-profondimento dell’individuazione edelle scelte che riguardano sia i sistemiproduttivi sia le forme di organizza-zione sociale ed istituzionale facendolecosì emergere dalla presente situa-zione “informale”. I problemi di coe-sione e solidarietà tra le tre grandi areedel paese uscirebbero così dalla fin-zione giuridica universalistica dei dirittie delle garanzie costituzionali per as-sumere un contenuto reale nell’orga-nizzazione socioeconomica delle tremegaregioni e ricollegarsi a livello na-zionale mediante un nuovo patto so-ciale basato sulla solidarietà nelladiversità. La soluzione megaregionale consenti-rebbe di realizzare quel coordinamentotra regioni necessario per le infrastrut-ture e l’organizzazione territoriale perbacini (naturali) e distretti (produttivi).Inoltre acquista maggiore importanzanel quadro della cooperazione interna-zionale delle regioni italiane. Si usci-rebbe anche in questo campodall’attuale sistema di competizione lo-calistica e regionalistica essenzial-mente orientato verso le aree ricchedell’Unione Europea e della Globaliz-zazione per raggiungere una maggiorearticolazione che dovrebbe privilegiareper le regioni del Mezzogiorno i paesiBalcanici, la Turchia, i paesi arabi el’Iran, il Maghreb e i paesi africani, edel Nord Africa. Come si rapporta tutto ciò all’attuale di-battito sul federalismo (municipale eregionale) che si muove dentro i sen-tieri tracciati dall’ordinamento costitu-zionale e legislativo? Il rischio è che lenuove spinte e sollecitazioni che ho ri-chiamato, il cui obiettivo è rafforzare edorientare i contenuti del federalismo inItalia, divengano invece il pretesto pernuovi rinvii ed ostacoli formali alla suaattuazione come emerge chiaramentedal dibattito in corso. Per questa ra-

“Riunificare i fattori di sostenibilità”La via del Sud per il federalismo

L

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gione è importante assumerle comemateria di indirizzo ed iniziative giàpossibili nel quadro politico e legisla-tivo vigente, come strutture informali dilavoro affidate alla capacità di coordi-namento delle regioni, dei partiti e delleorganizzazioni della società civile.L’esempio fornito dall’esperienza delleregioni del Centro Nord è certamentepositivo indipendentemente dalle spe-cificità degli indirizzi che questo ha as-sunto in questa megaregione. Il Mezzogiorno ha sui problemi che ri-guardano l’elaborazione di una suaspecificità un patrimonio molto ricco dicultura ed organizzazione sociale ca-pace di riunificare i fattori della sua so-stenibilità costituiti dall’armonia trasistemi produttivi – natura - culture.Dico riunificare perche sono stati divisie frammentati dal processo di “moder-nizzazione” imposto al Mezzogiorno.La strategia della “modernizzazione”del Mezzogiorno, che per decenni haconsiderato le specificità come fattoridi ritardo dello sviluppo e quindi osta-coli da rimuovere con l’industrializza-zione forzata all’acquisto del consensomediante le politiche sociali clientelisti-che, è stata riproposta con l’accompa-gnamento della retoricadell’innovazione nel corso dell’ultimoventennio. Si è iniziato con il negarel’esistenza del Mezzogiorno, conside-rato una sorta di peccato originale, perpoi frammentarlo con strategie di inno-vazione che in realtà sono il trapiantolocale delle cosiddette “buone prati-che” delle economie del nord d’Italia.Alla colonizzazione fallita del modelloFIAT e della grande impresa, che oggiparadossalmente alcuni sembrano rim-piangere, è così seguito il tentativo al-trettanto fallimentare dellacolonizzazione dei “distretti industriali”emiliani. A me appare chiaro che i sen-tieri di emancipazione del Mezzo-giorno, grazie anche all’aiuto delfederalismo, dovranno seguire percorsidiversi da quelli sin qui perseguiti.

Economia

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Il nuovo modello di federalismo fiscale prevede l’abolizione dei trasferimenti stataliai Comuni e l’introduzione a partire dal 2014 di una nuova tassa comunale l’IMU (im-posta municipale unica) imposta che raggrupperà le attuali tasse comunali (comeICI e Irpef) ed entrerà in vigore a partire dal 2014. L’IMU è l’architrave della riformafederalista comunale, ma in pochi sanno che nelle Regioni a Statuto autonomo, isindaci non saranno tenuti ad applicare l’IMU. Va detto anche che le sei Regioni aStatuto speciale sono già di per sé federaliste (hanno regole proprie con vincoli disolidarietà generici e sfumati rispetto al Paese) e quindi escluse dal meccanismoprincipale dei “costi standard” che con l’introduzione della riforma sostituirà quelloattualmente in vigore della “spesa storica” con cui lo Stato rimborsa i governatori.All’imposta municipale unica, il decreto aggiunge anche un’imposta secondaria (fa-coltativa) che sostituirà le imposte già esistenti come TOSAP, COSAP, Tassa Pubbli-cità, Canone per gli impianti pubblicitari, ecc. Anche per questa imposta l’entrata invigore è prevista per il 2014. Per gestire il passaggio alle nuove norme a partire dal2011 i fondi trasferiti dallo Stato arriveranno attraverso un fondo “sperimentale di rie-quilibrio” che dovrebbe durare al massimo 5 anni ed è alimentato dal gettito dell’im-posta di registro, di bollo, dall’imposta ipotecaria e catastale, dai tributi catastalispeciali, dall’IRPEF relativa ai redditi fondiari e dalla cedolare secca sugli affitti. Apartire dal 2014 ad ogni Comune verrebbero erogati quote del gettito derivante daitributi sopra elencati attinenti agli immobili situati nel territorio di competenza dell’entee sulla base dei fabbisogni standard.

Dall’Imu al fondo di riequilibrioCosa prevede la riforma

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di ALBERTO TULUMELLO

n’altra Storia si propone di susci-tare e costruire processi parteci-pativi – e di collegarli e

valorizzarli, ove sorti spontaneamente– per innescare il cambiamento attra-verso processi di assunzione di re-sponsabilità collettiva.Alla base, e innanzitutto, l’idea è “diuna profonda riforma dei contenuti edei metodi della politica” in Italia, e inSicilia in specifico, là dove l’associa-zione è nata ed è particolarmente radi-cata, ma con il proposito di costruireun modello che risponda al bisogno dicambiamento nazionale, e per certiaspetti anche europeo.Si tratta innanzitutto di costruire “un’al-tra politica”, attraverso la partecipa-zione e la cittadinanza attiva, e dipensare la politica come luogo delledecisioni collettive liberamente as-sunte, come luogo della costruzionedel futuro secondo il principio di re-sponsabilità. Costruzione del “noi” eluogo di esercizio del Selbstdenken,del pensare da sé, liberamente, costru-zione della politica come costruzionedel “noi”, lo spazio condiviso degli uo-mini che pensano liberamente, edanche liberamente discutono e conflig-gono, secondo l’insegnamento – il li-bero pensare da sé – di Hanna Arendt.L’economia riguarda questo progetto –e il processo di cambiamento che ilprogetto vuole innescare e accompa-gnare – sotto due profili, connessi, madistinti:1) il profilo della produzionedella ricchezza e della costruzione delbenessere;2) il profilo del lavoro e quindidei cittadini, degli uomini che produ-cono la ricchezza e costruiscono il be-nessere.Sotto il primo profilo si tratta di contri-

buire all’economia nazionale ed euro-pea e in specifico in Sicilia di affrontareil problema dell’arretratezza, di col-mare il divario con l’economia delleparti più avanzate del paese e di utiliz-zare virtuosamente i trasferimenti cheItalia ed Europa assegnano a questoscopo. Non è tollerabile che qualcuno possaparlare di “sacco del Nord”, con riferi-mento a sprechi e cattivo utilizzo deitrasferimenti verso il Mezzogiorno; nonè tollerabile che ci siano ragioni e fattiche diano se non giustificazione, al-meno l’occasione di avanzare quelleaccuse, e che spingano a tagliare o ariportare al centro quei trasferimenti,come è già avvenuto per i fondi nazio-nali (FAS) e come minacciato per iFondi strutturali europei.Sotto il secondo profilo del lavoro iltema diventa quello della dignità del la-voro, che prende le forme di tassi di di-soccupazione alti, troppo più alti diquelli delle parti avanzate del paese,di tassi di attività bassi, troppo piùbassi di quelli delle parti più avanzatedel paese: doppi i primi, quasi metà isecondi; di tassi di irregolarità del la-voro troppo alti, con sacche di lavoronero troppo estese e con segmenti dilavoro in mano alla criminalità organiz-zata inquietanti. La dignità del lavoro sigioca sia sulla quantità (chi lavora e chino, e chi, gli inoccupati, neanche ac-cede al mercato del lavoro) e sullaqualità (regolarità, stabilità, livello dellaretribuzione) del lavoro. Il Sicilia la pervasiva presenza del pub-blico nel mercato del lavoro, attraversouna bulimia dell’impiego pubblico euna vergognosa gestione di forme diprecariato, investe non solamente ilprimo profilo e la sostenibilità dell’eco-nomia della regione e il blocco dellosviluppo, ma anche la qualità e la di-gnità del lavoro e la sua dipendenza ericattabilità, fino a determinare una si-

tuazione paradossale per cui il preca-riato diventa un privilegio, perché è lavia di accesso ad un mercato del la-voro asfittico e dipendente dalla cattivapolitica.

Quale economia?La prima domanda da porsi è “qualeeconomia?”. Quale modello di econo-mia abbiamo in mente quando ci pro-poniamo di costruire una “altraeconomia”, a misura del progetto di“un’altra storia”, q uale scenario di mo-delli possibili nell’epoca della crisi deimodelli storici, e che cosa dei modellistorici riteniamo sia da conservare percostruire il nostro progetto? Se non è più all’ordine del giorno lacontrapposizione tra capitalismo e so-cialismo, tra economia di mercato edeconomia di stato, e se quindi il socia-lismo non è più l’orizzonte del cambia-mento possibile, la convinzione dellaesistenza e della necessaria prote-zione dei “beni comuni” e di segmentidell’economia che debbono esseresottratti alla logica del mercato, restauno dei punti qualificanti di uno scena-rio del cambiamento possibile. Un’altrastoria riconosce nei “beni comuni” unadella basi fondamentali, anche se nonesaustive, e non alternative all’econo-mia di mercato (più o meno regolata).Se è in crisi il keynesismo e il modello

Dossier

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In Sicilia serveun’altra economia

U

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di Stato sociale che sul keynesismo èstato costruito bel secondo dopo-guerra, e se quindi la contrapposizionetra capitalismo liberale e capitalismoregolato (dallo Stato) non è più lo sce-nario fondamentale delle contrapposi-zioni di politica economica, anche peril ridotto ruolo che gli Stati nazionalipossono svolgere nella gestione e nelcontrollo dell’economia di mercato nelcontesto della globalizzazione, se tuttociò è vero, il ruolo dello Stato resta an-cora uno degli elementi decisivi del go-verno dell’economia. E’ inoltreaumentato il ruolo degli organismi de-centrati dello Stato e delle autonomielocali in specifico, all’interno dei pro-cessi di decentramento, autonomie edevoluzioni. Il ruolo regolativo del mer-cato più che al solo Stato oggi è affi-dato al complesso sistema delleistituzioni pubbliche centrali e decen-trate, e alla loro capacità di coordina-mento e di azione comune(governance). D’altra parte i “beni co-muni” richiedono un ruolo attivo siadello Stato che dei livelli decentrati

della dimensione istituzionale pub-blica, per la loro difesa e per il loro go-verno. Inoltre la dimensione non solocentrale e statale dell’intervento pub-blico e la conseguente crescita di pesodelle istituzioni locali sono concepibilisolamente in connessione con un ruolopiù attivo e presente della società civilee della sua partecipazione e la capa-cità di essere attore del governo e delcambiamento.Oggi lo scenario sembra essere diven-tato quello della contrapposizione tral’economia neo-liberale e finanziariadella globalizzazione – che si accom-pagna a nuove forme di grande im-presa neo-fordista autoritaria –, da unaparte, e difesa della società con formedi regolazione statale (ove lo Stato e igoverni nazionali non sono supini ri-spetto allo strapotere della economianeo-fordista e finanziaria: cfr. Germaniae Francia) e con attivismi locali e regio-nali (secondo differenze territoriali ac-centuate, che vanno da eccesso dipresunte autodifese a comportamentisubalterni alle dinamiche centrali: cfr.

Lega Nord da un lato, e regioni o co-muni che si limitano a raccogliere con-senso e a distribuire mance), pubblicie privati, dall’altra. E’ in questo scenario, difficile e scivo-loso, che si può e si deve costruire ilcambiamento e “l’altra economia”.

Un’altra economiaUn’altra storia ha l’ambizione di contri-buire a costruire elementi di “un’altraeconomia” in un contesto ancora piùdifficile, quale è quello di un’area arre-trata di un paese europeo in difficoltà,nel contesto della crisi mondiale del-l’economia finanziaria e in presenza diforme di neo-fordismo autoritario. Ma inun contesto in cui la partita del ruolodello Stato è assolutamente aperta e incui l’Unione europea può giocare unruolo ancora più importante, sia in pro-prio, sia attraverso gli Stati e i territoriche il principio di sussidiarietà coin-volge e virtuosamente obbliga ad agiresecondo gli indirizzi europei Se il capitalismo neo-liberale e autori-tario punta sulla dimensione globale esu finanza e grandi imprese multinazio-nali che con il supporto degli Stati – su-balterni alle strategie delle grandiimprese e delle banche – competonoa livello mondiale, “l’altra economia”punta sulla dimensione locale e regio-nale, sui “luoghi” e sulle comunità lo-cali e a partire da questi punta ariqualificare il ruolo dello Stato e a rin-forzare la dimensione sovranazionaledell’Europa e il ruolo delle politiche eu-ropee di sviluppo e coesione.Ecco un primo importante punto dellastrategia possibile per la costruzione diun’altra economia: la convergenzadella politica europea di sviluppo ecoesione con il dinamismo attivo dellecomunità locali e la partecipazionedelle istituzioni, degli enti e delle asso-ciazioni locali e territoriali. Questa con-vergenza può promuovere, costruire evalorizzare processi economici sensatie dinamici, che vanno in direzione di

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valorizzare processi economici sensatie dinamici, che vanno in direzione diuno sviluppo economico “armonioso,equilibrato, sostenibile e partecipato”,come recitano i trattati europei, basatosul lavoro e sulla creatività degli uo-mini, rispettoso della loro dignità e ca-pace di valorizzare le comunità locali,le loro vocazioni e le loro risorse.Perseguire questa strategia richiedeche si abbia chiaro il contesto e gliscenari possibili, e conseguentementeche si abbia chiaro il limite della azionevolta al cambiamento e l’obiettivo cheè ragionevole tentare di raggiungere:in generale, con riferimento agli sce-nari globali ed europei, ossia in riferi-mento alla crisi finanziaria mondiale,che ha conseguenze anche locali, e inspecifico, con riferimento alla Sicilia eallo stato dell’economia e delle politi-che di sviluppo in atto nell’isola.La deindustrializzazione in atto in Sici-lia – di cui la vicenda Fiat di TerminiImerese è solamente il punto di crisipiù evidente, ma non è l’unico e forseneanche il più grave – è certamenteconseguenza della crisi globale, ma ilmancato utilizzo dei Fondi europei perlo sviluppo è frutto di processi e di po-litiche regionali, così come la persi-stenza del divario economico con laparte avanzata del paese, nonostantele risorse nazionali ed europee asse-gnate, e l’intreccio inquietante con lamancanza di governo dell’economiaregionale e con la persistente cattivapolitica di utilizzo delle risorse per laproduzione, stabilizzazione e riprodu-zione di precariato pubblico, sonofrutto di processi regionali e di conni-venze locali.

Un’altra economia in Sicilia, oggiLo scenario, generale e specifico re-gionale, è inquietante, e il compito diproporre “un’altra economia” è difficile,anche perché la crisi abilita e giustificacomportamenti e politiche di corto re-spiro, proprio nel momento in cui sa-

rebbe invece necessario attrezzarsiper guardare lontano. Di fronte ad uncompito immane, probabilmente supe-riore alle forze individuali e di gruppodi cui disponiamo, ma urgente, perchéin gioco è una posta decisiva per il fu-turo dell’isola – ma anche del paese edell’Europa, e del mondo –, si trattasemplicemente di non chiudere gliocchi, di armarsi di una dose massic-cia di umiltà e di mettere mano a ciòche è alla portata della nostra com-prensione e della nostra azione. Fare esperimentare ciò che è alla portatadelle nostre forze e delle forze degliuomini e delle donne che condividonoil progetto, qui, oggi, in Sicilia innanzi-tutto, partendo dai territori, ossia dallerisorse disponibili, e dalle persone,ossia dalla fonte prima e ineliminabiledella ricchezza e della vita che è il la-voro delle persone, l’intelligenza, i sa-peri diffusi, le competenze e lecapacità di progetto e di futuro. In Sicilia, oggi, partendo da ciò chec’è, ma immaginando e progettandoun futuro possibile migliore e “un’altra

economia”. Realismo e utopia. E umiltà per andareverso l’utopia: per andare avanti e pernon lasciare spazio a processi caotici,frutto di insostenibilità sociale e di cat-tivo governo, come sta avvenendo inTunisia, in Egitto e in un Mediterraneoche da troppo tempo ha rinunciato adivenare “area di prosperità condi-visa”, come si proponeva il Partena-riato Euromediterraneo avviato aBarcellona di Spagna nel 1995.

In Sicilia, oggi, partendo da ciò chec’è. Innanzitutto un insieme di comunità lo-cali, uomini e donne e giovani conbuoni livelli di istruzione e con capacitàe competenze altrettanto buone, e di“luoghi” ricchi di risorse e di potenzia-lità di sviluppo inesplorate, e di istitu-zioni che hanno precorso gli indirizzipiù recenti di autonomia e di sussidia-rietà possibile; un insieme di comunità,“luoghi” e istituzioni legati da un de-stino politico ed economico comune,regione d’Italia e dell’Unione europea,

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destinataria delle risorse necessarie esufficienti per avviare un processo disviluppo adeguato; un patrimonio in-dustriale di livello elevato che fa riferi-mento ai Poli industriali – meccanici,petrolchimici, energetici – e a un tes-suto di piccole imprese deboli ma dif-fuse; un potenziale turistico, che siappoggia ad una natura ricca e a beniculturali immensi, di fatto ancora ine-splorato; una agricoltura in via di cre-scita e di specializzazione che puòancora crescere e far crescere agroin-dustria e agriturismo di alta qualità;una collocazione geografica al centrodel Mediterraneo, che potrebbe diven-tare una risorsa importante e significa-tiva, se l’economia dell’isola avviasseun processo di sviluppo autonomo.

In Sicilia, oggi, partendo da ciò chenon si fa.Un governo sensato delle ingenti ri-sorse regionali, derivanti dall’autono-mia speciale: queste risorse vengono,non da oggi, né da ieri, ma da decenni,utilizzate in modo improprio e contrarioagli interessi dell’isola e del suo svi-luppo: eccessivo peso dell’impiegopubblico e dell’assistenza impropria;una utilizzazione sensata e finalizzataalla crescita dell’economia delle ri-sorse nazionali ed europee per lo svi-luppo: al cattivo utilizzo delle risorse diAgenda 2000 si sta attualmente ag-giungendo un ritardo insostenibiledell’utilizzazione dei Fondi strutturali2007-2013, e una cattiva programma-zione dei FAS che tardano ad arrivare,e di cui si lamenta il ritardo; un governosensato del mercato del lavoro: afronte di tassi di occupazione e disoc-cupazione e di tassi di attività inquie-tanti, a fronte di lavoro nero e a voltecontrollato dalla criminalità organizzatanon esiste una politica sensata, e sicontinua a mal governare con la pro-duzione di precariato e con i piani dirientro dello steso attraverso stabilizza-zioni nell’impiego pubblico, che aggra-

vano ulteriormente la debolezza delmercato del lavoro e la depressionedell’economia, in una spirale perversada cui non si vuole uscire.Un programma di governo regionalepotrebbe essere basato e produrrebbeun cambiamento radicale sul contrastodi questi tre fenomeni, ossia facendociò che non si fa. Ma è possibile pen-sare di meglio e pensare un’altra eco-nomia a partire da ciò che si potrebbeimmediatamente e facilmente fare e daciò che si potrebbe inventare.

In Sicilia, oggi, partendo da ciò che sipotrebbe fare con ciò che si ha. Un piano di sviluppo sensato e da at-tuare con i tempi europei a partire dauna rivisitazione dei Programmi deiFondi strutturali europei, e una pro-grammazione coerente dei Fondi na-zionali (FAS), accompagnata da unrisanamento dei conti ordinari della re-gione che conduca ad un utilizzo coe-rente con il piano d sviluppo dellerisorse pubbliche regionali e locali.In Sicilia, oggi, partendo da ciò che sipotrebbe fare, inventando il futuro ecostruendo “un’altra economia”.Perché la inquietante situazione delmercato del lavoro, misurata innanzi-tutto dal bassissimo tasso di attività,che misura la grande quantità di per-sone, competenze, capacità, potenzia-lità umane che non si affaccianoneanche sul mercato del lavoro e nelsistema dell’economia regionale, ossiauomini e donne fuori dall’economia eprivati della dignità di partecipare e diessere autonomi, potrebbe diventare lapiù grande risorsa della Sicilia; si trat-terebbe di inventare e costruire politi-che a costo zero, dinamismo civile,pubblico e privato, di puntare adespandere “altre economie” già esi-stenti, da collegare e valorizzare e con-nettere con l’economia di mercato econ il governo regionale e locale. Difare sviluppo locale di prossimità e dalbasso, anche senza soldi o con pochi

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La battaglia (politica, s’intende) sul futurodei fondi europei post-2013 per le regionidel Vecchio Continente è appena comin-ciata. Prima il Parlamento europeo, poi laCommissione si sono pronunciati nei mesiscorsi su quelle che dovrebbero essere lelinee d’azione del nuovo regime d’aiutidella politica di coesione. Strasburgo, in estrema sintesi, ha chiestoche le risorse rimangano calibrate sul li-vello di ricchezza dei singoli territori. Bru-xelles ha fatto capire che va bene lasolidarietà, ma qualcosa va cambiato.Cosa? La Commissione ha citato nellasua proposta per gli aiuti post-2013 tuttauna serie di nuovi strumenti per limitare lalibertà d’azione delle regioni. Strumentiche sono legati a doppio filo alla Strategia2020 dell’Ue (che ha sostituito il Pro-gramma di Lisbona) e soprattutto alle co-siddette “condizionalità”. La Strategia 2020 pone cinque obiettivispecifici: tasso d’occupazione al 75 percento, spesa in ricerca e sviluppo al 3 percento del Pil, riduzioni delle emissioni digas, abbattimento del tasso d’abbandonoscolastico e riduzione del 25 per cento delnumero di cittadini che vivono sotto la so-glia di povertà. Rispetto al legame piuttostoflebile tra la vecchia programmazione e ilProgramma di Lisbona, la Commissioneha chiarito di voler rendere molto stretta lacorrispondenza tra la nuova politica di coe-sione e la Strategia 2020. Che la Commissione voglia assumere unruolo sempre più centrale lo si evince me-glio quando parla delle condizionalità,ossia del meccanismo di premi e racco-mandazioni che verrà allegato alla politicadi coesione. Bruxelles parla addirittura diun “contratto” da stipulare con i paesimembri e “armonizzato con il raggiungi-mento degli obiettivi” della Strategia 2020.E se il messaggio non fosse abbastanzachiaro, la Commissione prevede, nell’obiet-tivo di assicurare “il rispetto dei principi dicofinanziamento e addizionalità”, la costitu-zione di un fondo di riserva (sottratto allostanziamento generale) per premiarequelle regioni che, strada facendo, mostre-ranno le migliori performance rispetto alraggiungimento degli obiettivi della Strate-gia 2020. (d,p)

Fondi post 2013L’Ue vuole più garanzie

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soldi. Si pensi alle potenzialità del mi-crocredito e della microimpresa che èpossibile promuovere. Di fronte a questa situazione e tenendoconto di quanto detto, la riflessionecondotta dentro il Cantiere sviluppoeconomico di Un’altra storia, in conti-nuazione con il lavoro condotto nel2006 per la predisposizione del Pro-gramma partecipato di Rita Borsellino,ha elaborato una strategia di possibileintervento, un modello di sviluppo pos-sibile, e di recente anche una propostadi rimodulazione, ossia di nuova pro-grammazione dei Fondi europei, da ul-timo proponendo la costituzione di unorgano di proposta politica, l’Osserva-torio popolare sulle politiche di svi-luppo e coesione, che chiede aiterritori e per essi ai Sindaci di farsiparte attiva, assieme alle parti sociali eagli attori della società civile della pro-posta e della politica di “nuova econo-mia”.I punti di riferimento della riflessione edella proposta sono:la protezione e lo sviluppo del patrimo-nio industriale e la promozione dellepotenzialità economiche della regione;l’utilizzo virtuoso ed efficace dei Fondistrutturali europei e dei Fondi nazionali(FAS);la promozione e valorizzazione delle ri-sorse umane tenute fuori dal mercatodel lavoro, attraverso processi di svi-luppo locale dal basso e attraverso leeconomie di prossimità e le forme al-ternative di produzione della sussi-stenza e della ricchezza diffusa.

Dal Programma partecipato all’Osser-vatorio per le politiche di sviluppo ecoesioneLa riflessione ha seguito tre momenti didefinizione e approfondimento dellaidea e delle proposte. Le ricostruiamobrevemente e sommariamente, interes-sati a ricostruire soprattutto gli elementidi analisi e di proposta che sono an-cora presenti e a base della proposta

analitica e di governo che oggi il Can-tiere fa, al governo regionale e alle isti-tuzioni locali – la nascitadell’Osservatorio popolare ha legato inmodo forte la proposta alla Regione ela proposta di azione delle istituzioni lo-cali, con al centro il ruolo dei Comuni,con il proposito di dare gambe serie aforme di federalismo municipale, mododiverso di dire e proporre la partecipa-zione come metodo di governo e lasussidiarietà come principio europeodi governance –, così come alla so-cietà civile e ai cittadini tutti, nella suaperdurante azione per un governo sen-sato dell’economia e per la costruzionedi “un’altra economia”.

1. Il programma partecipato del 2006Nell’introduzione al Programma, e alleSchede programmatiche che lo costi-tuiscono, ciascuna elaborata da unCantiere tematico, si enuncia innanzi-tutto il principio generale che informaUn’altra storia: la partecipazione come“metodo di governo”. Si articolano poii principi che guidano il lavoro svolto eil Programma: Autonomia, Laicità, Pa-

rità di genere, Legalità e Beni comuni.E quindi si procede a determinare le“direttrici” del programma, che tradu-cono il principio generale e gli altriprincipi in linee “direttrici” appuntodell’azione del programma di governo.La prima direttrice indica la traduzionedei principi in linee guida per “un’altraeconomia”: 1. Sviluppo locale come strumentodella crescita. Conviene riportare il testo che la illu-stra: “In una regione in cui l’apparatoproduttivo è debole, e in cui la granparte del reddito deriva dal terziario edal pubblico, lo sviluppo locale va pen-sato come modo autopropulsivo e du-raturo nel tempo di creazione dellaricchezza. Il modello di sviluppo eco-nomico punta alla partecipazione ditutti gli attori locali e alla valorizzazionedelle risorse del territorio. Sviluppo lo-cale e politiche per il rafforzamentodelle infrastrutture sono le due faccedel modello. Le politiche per le infra-strutture – materiali e immateriali –vanno pensate come politiche dell’of-ferta ai territori, per metterli in condi-

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zione di far esplodere le proprie capa-cità di sviluppo autopropulsivo. Le in-frastrutture sono il mezzo per operaresul terreno proprio della produzionedella ricchezza, sono una politica dicreazione del contesto favorevole allosviluppo e alla crescita economica.Perché lo sviluppo – locale, integrato,partecipato, sostenibile – è lo stru-mento e la condizione per la crescita,per l’aumento della ricchezza: suffi-ciente ed adeguata per i livelli di vitacivile che riteniamo adeguati allabuona vita. Parliamo di quella ric-chezza che permette un livello digni-toso di esistenza e di vita per tutti icittadini della regione. E per comprendere il quadro comples-sivo in cui lo sviluppo locale viene in-serito conviene riportare le altre“direttrici:2. Politiche di inclusione e partecipa-zione al processo di crescita. 3. Risorse europee e “risorsa” Mediter-raneo. 4. Innovazione organizzativa e culturainnovativa d’impresa.5. Economia della conoscenza e so-cietà delle reti”.Se il lavoro svolto dai Cantieri dopo lasconfitta e nel nuovo ruolo di vocedell’opposizione e di critica e propostaalternativa al governo Cuffaro prima eLombardo dopo, tante proposte delProgramma sono state cambiate, ap-profondite e adeguate al cambiamentodella realtà – tra tutte si pensi al cam-biamento di scenario con la crisi del-l’economia mondiale a partire dal 2008– la prima direttrice e il ruolo fonda-mentale e imprescindibile dello svi-luppo locale come altra faccia ineconomia della partecipazione hannocontinuato ad essere elemento di basedelle proposte del Cantiere Sviluppoeconomico e di Un’altra storia in gene-rale.

2. Il modello “europeo” di sviluppodell’economia. Le due dimensioni dello

sviluppoIl prosieguo delle attività del Cantiere,prima del cambiamento di contestodeterminato dalla crisi, ha approfonditola analisi e le caratteristiche dell’eco-nomia siciliana, prendendo in esame lacomplessità di un’economia debolema articolata e con potenzialità di-verse, rispetto a cui pensare le politi-che da mettere in campo e l’utilizzovirtuoso delle risorse per lo sviluppoeconomico. Quell’impostazione si rive-lerà necessaria nel momento in cui lacrisi finanziaria prima ed economicapoi che ha attraversato e sta ancora in-combendo sull’economia mondiale,comincerà nel 2009 a produrre gravis-simi effetti di deindustrializzazione, e acolpire tutti i livelli dell’articolazione delsistema di produzione della ricchezzasiciliano.In premessa all’analisi esitata dal Can-tiere nel febbraio 2007 si scriveva:“L’economia siciliana ha una strutturae una organizzazione complessiva de-bole, è un’economia in ritardo di svi-luppo, o più precisamente, èun’economia ‘depressa’ (A. Bertolino,economista trapanese, che ha inse-gnato a Firenze ed è stato il maestro diG. Becattini, teorico dei distretti indu-striali e dello sviluppo locale): non bi-sogna misurare l’arretratezza di unaeconomia rispetto a parametri esternie strettamente quantitativi, ma innanzi-tutto in riferimento alle potenzialità realidel territorio e del “consorzio umano”che lo popola. Un’economia è “de-pressa” se non realizza le sue poten-zialità e se spreca i suoi talenti.Depressa è un’economia di sussi-stenza che non produce più la sussi-stenza, accontentandosi di mancepubbliche e di piccole prebende incambio di voto e di consenso, allostesso modo che è depresso un terri-torio che non coltiva, non aggiorna enon potenzia tradizioni di produzionealta e tecnologicamente avanzata (cfr.Messina e la sua tradizione cantieri-

stica, o Catania e le potenzialità dellaEtna Valley, il Calatino o S. Stefano oSciacca e le potenzialità nel settoredella ceramica, Agrigento e la sua de-bole valorizzazione delle potenzialitàturistiche). Certamente allora, innanzitutto, si deb-bono identificare gli impedimenti alla li-bera crescita di queste individualità, sideve – e Bertolino qui cita Cattaneo –“disostruire ogni fatal ristagno”. Si po-trebbe allora innanzitutto affrontare iltema dei due principali ostacoli alla li-bera crescita e sviluppo delle econo-mie siciliane, la criminalità organizzatae la cattiva politica, regionale e localee lo spettro dei ceti e dei gruppi socialiche vi si appoggiano e che ne costitui-scono il fondamento e il brodo di col-tura”. L’analisi dell’economia, e della sua ar-ticolazione interna veniva determinatain modo da costituire base per le pro-poste di politica economica da effet-tuare. I documenti del Cantiere del 2008 cosìriassumevano l’una, l’analisi:1a. In Sicilia esiste la grande impresa,anche quella che produce sulla fron-tiera della tecnologia e dell’innova-zione. Dalla Fiat di Termini Imerese,alla SGS Thompson, e poi ancora aciò che resta dei poli chimici e petrol-chimici.1b In Sicilia esiste un tessuto – rado,ma non debole – di medie e medio-pic-cole imprese, che sono il riferimentoprivilegiato delle riflessioni, sia europeeche italiane, sul rapporto virtuoso traimpresa, mondo della ricerca (e Uni-versità) e innovazione e trasferimentotecnologico. 2a. In Sicilia esiste un tessuto di microe piccole imprese, per lo più collocatein settori tradizionali o maturi e chemaggiormente risentono del ritardocomplessivo dell’economia e della “de-pressione” del sistema. E’ questo ilsegmento più rilevante e più impor-tante del sistema di produzione della

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ricchezza.2b. In Sicilia esiste il mondo dell’arti-gianato, contiguo alla microimpresa,con le sue potenzialità e i suoi problemitradizionali, e con i suoi nuovi problemiderivanti dalla trasformazione del mer-cato del lavoro, che ha fatto crescerea dismisura la fascia del lavoro auto-nomo e semiautonomo, a metà tra lavecchia dipendenza e il vecchio lavoroautonomo.In Sicilia sta crescendo un interessantesistema di imprese sociali, che da unlato sono alla base di un possibile rin-novamento di aspetti importanti del si-stema di Welfare, dall’altro coniuganolavoro di servizio con criteri economicie con aspetti del sistema produttivo econ la piccola e media impresa.3. Una considerazione specifica biso-gna porre alle imprese incentivate, aseguito delle intense politiche di aiutidi stato all’impresa che hanno avuto lamassima efficacia dal 1996. L’esito diquesto massiccio “investimento so-ciale” operato con la legge 488, con iPatti territoriali e la programmazionenegoziata, e con gli altri strumenti (in-

centivi all’impresa femminile, giovanile,borse di lavoro etc.) è ancora non de-ciso nella sua capacità di contribuire aldecollo dell’economia isolana: circa7.000 imprese incentivate (di cui 5000dalla 488) […].Bisogna allora pensare a due macro-politiche industriali di base, una che di-rettamente accetta la sfida di Lisbona,e l’altra che accompagna nel processodi crescita l’impresa piccola e deboleed esalta le potenzialità dell’artigianatoe del lavoro autonomo. A ciò si deve af-fiancare una politica di tutela e valoriz-zazione dello sforzo compiuto sino adoggi […]. E le altre, le politiche.Le tre macro-politiche possibili, con-nesse e interdipendenti, sono:Macro-politica 1 – La strategia di Li-sbona in SiciliaPuntare sulle medie imprese e sulle retidi piccole imprese capaci di fare si-stema. Al centro sta il rapporto tra in-dustria e ricerca, innovazione etrasferimento tecnologico. Il cuoredella strategia progettuale è di farescoccare l’ ”arco voltaico tra Università

e industria”, tra ricerca, trasferi-mento tecnologico e innovazionee mondo dell’impresa – impresaindustriale innanzitutto, ma nonsolamente, anche l’impresa so-ciale deve partecipare al pro-cesso di innovazione. Ladebolezza delle medie imprese inSicilia e la difficoltà della crea-zione di reti, impone una partico-lare attenzione […]..Anche le crisi dei segmenti dellagrande impresa presenti in Siciliavanno affrontate a livello alto, pun-tando su investimenti in innova-zione e tecnologia, e sul ruolo chepossono svolgere le risorse per losviluppo, oltre che il patrimonio disaperi e di tecnologia presentidelle Università e negli istituti di ri-cerca, piuttosto che su ammortiz-zatori e assistenza.

Macro-politica 2 – Sviluppo locale (Po-litiche di aiuto alle imprese e ai territori)Da un lato politiche di incentivi alle im-prese, in continuazione e migliora-mento delle politiche svolte a partiredal 1992, e dall’altro politiche di aiutoai territori e di sostegno alle capacitàdei territori di autorganizzarsi e di for-nire servizi reali allo sviluppo locale.Gli incentivi debbono essere traspa-

renti, oggettivi, e non distorsivi dellaconcorrenza. Lontani dalla politica. Esicuramente non hanno avuto tali ca-ratteri i sistemi regionali di incentivi.[…]Specifiche forme di aiuto alla costru-zione di filiere produttive […] lavorandosul terreno di confine tra costituzione diconsorzi e creazione di innovativi stru-menti creditizi. Importanti anche specifiche politicheper l’artigianato […]. Strumenti di aiutoe di potenziamento del sistema delleimprese social[…]. Infine il riordinodelle politiche per le aree di insedia-mento produttivo: ASI, Aree artigianali,Servizi a rete e servizi reali, informatiz-zazione e wireless e distrettualizza-

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zione del territorio.Macro-politica 3 – Politiche per le im-prese incentivate (Politiche di non im-mersione)Specifica attenzione alle 7000 impreseche hanno ricevuto aiuti di stato e chedebbono costituire il nucleo dello svi-luppo. Aiutarle a restare sul mercato(rischio di immersione al termine degliaiuti), e spingere avanti verso ulterioresviluppo. […]Non solamente in questi anni non si èfatta politica industriale a nessuno deitre livelli indicati, e non si sono adope-rate le risorse che erano disponibili aquesti scopi, se non in maniera irrisoriae con modalità spesso quasi contro-producenti, in un contesto di altre poli-tiche assolutamente contrarie aqualsiasi logica di sviluppo economicoed industriali in specifico – le politicheper il mercato del lavoro, non fatte epeggio a volte quando fatte, e poi lepolitiche dell’occupazione pubblica edi costruzione del precariato. Non si èavviata nessuna iniziativa su terrenodella terza macropolitica, e non siamoneanche in grado di misurare il dannoprodotto e le potenzialità perse.Poi è sopraggiunta la crisi dell’autunnodel 2008, che già nel 2009 presentavail conto all’apparato industriale e pro-duttivo dell’isola.Il tema della mancanza di spesa deiFondi per lo sviluppo diventava sem-pre più urgente e il Cantiere aggior-nava l’analisi, semplificandola elegandola alla denuncia della man-canza di strategia di impiego dei Fondieuropei e rileggeva in chiave europeale considerazioni fatte.La strategia di intervento indicata dalCantiere diventava quella posta a basedella proposta di rimodulazione deiFondi strutturali 2007-2013.Un serio programma di sviluppo, chevoglia indicare una strada sensata perla costruzione di una economia che ri-sponda alle esigenze dei siciliani e chesia la base di una vita civile degna di

questo nome e non dipendente dal-l’aiuto esterno, ha bisogno di duegrandi linee di prospettiva e di inter-vento. 1. Una “strategia alta”, che punta agliobiettivi di Lisbona e di Göteborg eche fa della ricerca e dell’innovazioneil perno per una ristrutturazione e unariqualificazione dell’apparato produt-tivo forte, che punta sulle città e sulleistituzioni di ricerca (Università, CNR,ricerca e innovazione delle imprese) eche nelle città – nella funzione metro-politana delle città di fornire servizi altial territorio e all’impresa produttiva – hail suo cuore. Si tratta allora innanzituttodi far scoccare “l’arco voltaico tra Uni-versità e impresa”.2. Una “strategia diffusa”, che puntaalla valorizzazione dei territori, alla re-sponsabilizzazione delle comunità lo-cali e in generale allo sviluppo localediffuso, valorizzando le capacità di-verse e variegate dei territori e dellecomunità locali di diventare attori re-sponsabili del proprio futuro. Le politi-che territoriali capaci di creare ediffondere sviluppo locale diffuso sonoalla base dell’idea europea di sussidia-rietà e costituiscono la sostanza del-l’assetto federalista, che è suggeritodall’Europa e che l’Italia si appresta aistituire. Senza sviluppo diffuso né lasussidiarietà, né il federalismo sareb-bero sostenibili nel tempo.Grandi progetti sulla frontiera dell’inno-vazione, della tecnologia e della ri-cerca più avanzata, da una parte, epolitiche territoriali diffuse e di sviluppolocale integrato e sostenibile dall’altra,debbono divenire le due facce di unastrategia unitaria, ma a due livelli.

3. La proposta di rimodulazione deiFondi 207-2013 e l’OsservatorioCon l’avanzare della crisi, il Bilanciodella regione sempre più in difficoltàinduce ad una politica economicapoco responsabile, che ricorre alle ri-sorse europee per finalità improprie at-

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di ROBERTO LI CALZI Siqillyàh – Le galline felici

La creazione di una rete di economia soli-dale nasce dall’esigenza di salvaguardareil territorio mantenendo vive le attività pro-duttive che su di esso si svolgono, favo-rendo lo scambio di beni e servizi tra iproduttori locali che agiscono secondo cri-teri di sostenibilità e solidarietà. I cittadinipromuovono la nascita di GAS (Gruppi diAcquisto Solidale), spacci, negozietti, mer-catini e tutte le altre occasioni di incontrotra le persone e di distribuzione dei pro-dotti. Per agevolare tali scambi è allo studiouno strumento informatico e logistico chequi chiamiamo provvisoriamentePI.DI.deFI.CO (PIccola DIstribuzione dellaFIliera COrta). Investire energie nella costituzione di que-sta rete è importante perché è necessarioper dimostrare concretamente che un’al-ternativa è possibile, praticabile, conve-niente ed anche molto piacevole; perchécrediamo in una società basata sul capi-tale delle relazioni; perché riteniamo che,ad esclusione di una piccola fetta di “feten-toni” irrecuperabili, la stragrande maggio-ranza della popolazione ambisca a viverein una società in cui il rispetto della vitadebba essere praticato in tutte le sueforme e accezioni.COS’ÈE’ un movimento reticolare e orizzontale disoggetti, singoli o associati, in cooperative,consorzi, associazioni, Gas, ecc che deci-dono di cooperare per promuovere unosviluppo equilibrato dei territori su cui insi-stono le loro attività, sviluppo che si fondisu solidarietà e sostenibilità e soprattuttosul principio che “il mio benessere èmonco se non contempla quello di tutti glialtri viventi, uomini, animali e piante”.CHISono chiamati a parteciparvi tutti coloroche, insoddisfatti dello stato delle cose esi-stente, intendono modificarlo agendo con-cretamente a partire dalle proprie piccoleazioni quotidiane in stretta collaborazione,cooperazione, solidarietà e dono, piuttostoche in concorrenza. Produttori di beni ed utilizzatori associati,fornitori di servizi e fruitori, liberi professio-

BUONE PRATICHE Il modello dei “Gas”

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sponda, o progetti coerenti, oggi chia-mati con più onestà, unita ad impu-denza, “progetti imputabili”, ossiaprogetti che è possibile passare suiFondi europei per acquisire risorse albilancio ordinario – 40% delle risorsedi Agenda 2000 sono state “dirottate”in questo modo nel Mezzogiorno,come attesta la Svimez. Oggi si lavoracon azione addirittura preventiva su2007-2013, attraverso la ricerca siste-matica di “progetti imputabili” al postodi azione decisa di rimodulazione e diintervento per bloccare la deindustria-lizzazione e utilizzare in modo strate-gico le risorse disponibili. E viene ildubbio che il ritardo nell’utilizzo deiFondi – il 6,5% contabile, ma il 3%reale di spesa alla fine del quarto annodel periodo di spesa ordinaria del pro-gramma – sia finalizzato alla sua utiliz-zazione impropria. Il tema diventava quello della rimodu-lazione dei Fondi 2007-2013. E il temadiventa quello politico della capacità eforza della proposta, dell’attore che sene fa carico e che abbia titolo per pre-tendere dall’Autorità di gestione atten-zione e risposta. Da qui nasce, apartire Rita Borsellino, ossia da un rap-presentante siciliano al parlamento eu-ropeo, fonte delle risorse inutilizzate, ediscutendo con alcuni sindaci siciliani,ossia con rappresentanti istituzionali lo-cali che particolarmente soffrono lacrisi, il mancato sviluppo e l’ineffi-cienza del governo regionale nel pro-muovere lo sviluppo utilizzando lerisorse europee a ciò dedicate, l’ideadell’Osservatorio popolare sulle politi-che di sviluppo e coesione. Questo, acui aderiscono le parti sociali e gli at-tori politici che condividono il Proto-collo d’intesa che lo istituisce, assegnaun ruolo privilegiato ai Sindaci, qualirappresentanti istituzionali dei territorie attori primi e fondamentali della par-tecipazione che tutte le regole europeerichiedono per la programmazione, at-tuazione e controllo delle risorse per lo

sviluppo.L’Osservatorio, nei cui confronti il Can-tiere sviluppo economico diventa stru-mento tecnico per la costruzione delleproposte politiche, e che quindi conti-nua l’azione del Cantiere, con si speramaggiore forza politica, di denuncia edi proposta, la sua azione, perfezio-nando e portando avanti la denunciasul ritardo nella spesa dei Fondi strut-turali e la proposta di rimodulazioneche si ritiene importante per contra-stare la crisi e per intervenire sul pro-cesso di deindustrializzazione in atto,avviando le politiche di sviluppo che èpossibile e necessario attuare con le ri-sorse disponibili.Perché il problema, oggi, è guardare acome uscirà l’economia siciliana dallacrisi, e come entrerà nel probabile fe-deralismo, quando, se federalismovero sarà, i conti tra entrate e uscite, traricchezza prodotta e ricchezza consu-mata saranno più trasparenti e più dif-ficile sarà giustificare la incapacità didifendere l’apparato di produzionedella ricchezza e la sua sostituzionecon un mostruoso sistema di impiegoe di consumo pubblico.Nel momento in cui le Autorità di ge-stione regionali dei Fondi stanno pro-cedendo a proposta di rimodulazione,l’Osservatorio ha avanzato una propo-sta, ragionevole e praticabile, che inlinea di principio non è in conflitto conil lavoro che gli Uffici della programma-zione regionale stanno conducendoper la Rimodulazione, ma che puntaad accelerare la spesa e contribuire adevitare il disimpegno automatico, ra-gionando sulle risorse non ancora as-segnate e riservate per la premialità –il 30% dei Fondi – ritenendo che par-lare di premialità, oltre metà tempodella spesa, al 3% di spesa effettivarealizzata, è poco convincente. Mentrequella riserva potrebbe essere postasu finalità di rottura e su specifiche fi-nalità di contrasto alla deindustrializza-zione. Un piano di rimodulazione di

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nisti ed artigiani, operatori della cultura edella sanità, purché operino nel rispettodella vita, dell’ambiente e delle regole, sot-toscrivano la carta che ci daremo assiemee si impegnino a rispettarla. Ma anche enti pubblici, istituzioni, scuole,DSM e altri enti che collaborino stabil-mente e organicamente con la rete, poten-ziando con ciò le proprie pratiche nelsegno della solidarietà, del rispetto e dellafantasia.Se per esempio in un dipartimento di sa-lute mentale si attiva un Gas e gli utentiproducono frutta, ortaggi e prodotti zootec-nici per la vendita diretta agli operatori edalle famiglie, otteniamo: sostenibilità eco-nomica, salute mentale, gratificazione, mi-nore inquinamento ambientale e maggioreinserimento sociale. Non è utopia. Le ab-biamo fatte queste cose.QUANDO E DOVEDopo alcuni incontri preparatori che sisono svolti nei mesi scorsi, cominciano adelinearsi alcune tappe: 1) Il primo passo ufficiale sarà il seminariodi formazione che si terrà ad Enna il 2 e 3aprile 2011, che sarà presieduto dal pro-fessore Perna e condotto dai tecnici dellacoop SCRET di Milano ed altri esperti2) Sarà la Rete siciliana di economia e pra-tiche solidali ad organizzare la terza festadei GAS, a Gela il 27, 28 e 29 maggio 20113) Ed auspichiamo che sia sempre la retead organizzare SBARCOGAS a Petralia enon solo, nella prossima estate4) La fiera “Fa’ La Cosa Giusta” che si terràin autunno in Sicilia sarà probabilmente ilmomento di consacrazione ufficiale dellarete.COMEC’è una precondizione per avviare un per-corso di questa portata: spogliarsi del pro-prio individualismo, delle proprie smanie diprotagonismo e cominciare a sentirsi partedi un organismo unico in movimento. Cosìcome c’è un modo molto semplice di farfallire o quanto meno indebolire questoprocesso: portarsi dentro i retro-pensieri,le strategie occulte che mirano al vantag-gio personale, le vecchie ruggini. Siamostrapieni di esempi di questo tipo, negli ul-timi cento anni? E delle relative, nefaste,conseguenze. Vogliamo fare qualcosa dinuovo? Per maggiori informazionihttp://www.siqillyah.it

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questo genere andrebbe discusso conla Commissione europea e potrebbepartire rapidamente in parallelo con leauspicabili accelerazioni dell’attua-zione dei Programmi che dovrebberoderivare dalle proposta di modulazioneche la programmazione regionale staelaborando e dalle dichiarate inten-zioni di cambiamento delle regole e dicambio di passo nella azione dei di-partimenti regionali. In estrema sintesi, la proposta di rimo-dulazione dell’Osservatorio, che difatto perfeziona ed è in continuità conle proposte del Cantiere sviluppo eco-nomico e con gli indirizzi di Un’altrastoria, per la costruzione di Un’altraeconomia, è la seguente. La proposta dell’Osservatorio mira alcuore di una strategia di sviluppo del-l’economia secondo le due dimensionidette, e reputa di potere trovare spaziofinanziario anche senza interferire conil lavoro dell’Autorità di gestione, valu-tando che anche con la migliore rimo-dulazione “ordinaria” e con la piùsolerte accelerazione della capacità dispesa, non si riuscirà a recuperare unritardo che si misura in un 6,7% dispesa effettiva (di fatto poco più del3%, perché i fondi Jessica e Jeremi,contabilizzati come spesa sono ancorain attesa di venire utilizzati) a metàmandato, di un processo che continua

a misurarsi sul 70% delle risorse dispo-nibili, essendosi l’Autorità di gestioneriservata il 30% per premialità e rimo-dulazioni a programma avanzato. Rite-niamo che il 30% possa e debbaconsiderarsi libero di essere impiegatoper finalità strategiche e di reale svi-luppo (senza progetti “coerenti” o “im-putabili”) e possa costituire la basefinanziaria per le proposte dell’Osser-vatorio, o meglio per gli indirizzi chel’Osservatorio propone.L’utilizzazione del 30% delle risorsenon ancora attribuite ai Dipartimentipotrebbero/dovrebbero essere utiliz-zate:– Secondo l’indirizzo della Commis-

sione: più investimenti strutturali perl’apparato produttivo per contrastare ladeindustrializzazione e per proiettare ilsistema economico e produttivo aldopo-crisi.– Secondo la strategia a due livelli –

strategia alta volta a contrastare ladeindustrializzazione dei Poli industrialie strategia diffusa di sostegno al si-stema produttivo della piccola, mediae anche micro impresa – , identificatadal Cantiere e riconosciuta valida daisottoscrittori del Protocollo che istitui-sce l’Osservatorio.Strategia “alta”: investimenti in Ricercae Sviluppo per i Poli industriali e per ilsistema delle medie e grandi impresedell’Isola, prevalentemente ruotanti at-torno ai settori dell’energia (Poli petrol-chimici e altro) e della mobilità (Fiat diTermini Imerese e altro, Cantieri Na-vali).– Ricerca su Energia e Mobilità soste-nibile.– Progetto da costruire con l’Universitàe il CNR, con le Agenzie Nazionali perlo sviluppo del Mezzogiorno, con legrandi imprese interessate e presentinei Poli.– Conferenza regionale sui Poli indu-

striali da organizzare a breve.– Progetti da coordinare con la rimo-

dulazione regionale sulle Aree di crisi,

che sembra puntare a interventi infra-strutturali, complementari rispetto a unprogetto di forte intervento sulla Ri-cerca e sull’Innovazione secondo lastrategia europea di Lisbona e di Gö-tebotg.Strategia “diffusa”: investimenti sui ter-ritori e sull’economia diffusa.– Rinforzo finanziario dell’Asse VI (in

coerenza con un indirizzo dell’Autoritàdi gestione), ma con un deciso riavviodi un processo di partecipazione e diresponsabilizzazione dei territori e conuna forte e diversa qualità del partena-riato.– Servizi reali alle imprese, a partire

dalle aree artigianali, aree industriali,altre aree di insediamento produttivo,reti di imprese (distretti riconosciuti, ealtri addensamenti di imprese).– Rinforzare la politica per il credito

alle PMI e il microcredito per le impresedi prossimità (modello ZFU).– Costruzione di un “sistema infrastrut-turale della legalità e della traspa-renza” attraverso il riordino, ilcoordinamento e i servizi alle aree diinsediamento produttivo, obbligate allamessa in rete di tutti i processi e di tuttele azioni amministrative, i servizi fornitie l’utilizzazione delle risorse pubblicheper la promozione delle imprese.Inserire nel processo di riforma dellaPA regionale in atto un “sistema infra-strutturale per la legalità e la traspa-renza degli atti della PA”: sistemainformativo unico degli atti, delle pro-cedure, dei bandi e dei processi di se-lezione e di valutazione: tutti pubblici etutti in rete.Con la citazione della parte finale deldocumento schematico della confe-renza stampa dell’Osservatorio del 29novembre del 2010, chiudiamo questarassegna, in modo assolutamenteprovvisorio, perché il Cantiere è ancoraal lavoro e il processo di costruzione diUn’altra economia è ancora all’inizio.

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di FRANCO PIGNATAROSindaco di Caltagirone e presidentedell’Osservatorio popolare su politi-che di sviluppo e fondi europei

iconoscere centralità allo svi-luppo locale nella spesa co-munitaria e garantire

un'interconnessione fra territori limi-trofi per monitorare la spesa deifondi europei e per contribuire acolmare un “gap” (l'incapacità dispesa) che caratterizza la Sicilia. E'nato con questi scopi l'Osservatoriopopolare sulle politiche di sviluppoe coesione, e per la rimodulazionedei fondi europei, costituitosi a Cal-tagirone grazie all'intuizione e all'im-pegno dell'europarlamentare RitaBorsellino, ai rappresentanti di tantiComuni siciliani e di altri organismiche ne hanno sposato le finalità.L'Osservatorio è uno strumento utileper riaffermare la centralità dei terri-tori di fronte alle scelte accentratrici

e liquidatorie del governo dell'Isolae per supplire alla scarsa operati-vità dell'Anci regionale. Oggi – e da sindaco tocco quotidia-namente con mano gli effetti nefastidi queste politiche – i Comuni nonsoltanto sono stati abbandonati ase stessi da uno Stato e da una Re-gione sempre più lontani e incapacidi svolgere il proprio ruolo, ma sonostati per lo più privati, oltre che disomme sempre più consistenti cheservivano a garantire servizi essen-ziali, degli strumenti attraverso cuierano riusciti a costruire fulgidiesempi di programmazione, con-certazione e valorizzazione di po-tenzialità e risorse. Con un colpo dispugna e senza tenere conto deigrandi risultati in molti casi prodottinon solo in termini concreti - maanche da un punto di vista del me-todo messo in campo - la program-mazione negoziata è statacancellata e, con essa, sono state

eliminate le esperienze virtuose chene erano scaturite. Eppure i territorinon sono soltanto l'inevitabileavamposto in cui le istituzioni locali,peraltro con sempre più scarsimezzi a disposizione, sono chia-mate a fronteggiare il disagio cre-scente dei cittadini, ma sono ancheil luogo in cui si sperimenta in con-creto, più che altrove, la capacitàdelle classi dirigenti di interpretaree farsi carico dei bisogni di una co-munità. Ripartire dal basso significaanche dare impulso al privato, riatti-vando così un circuito rivelatosi inmolte circostanze virtuoso, e intro-durre nuovi meccanismi di sussidia-rietà. Con l’Osservatorio vogliamo, per-tanto, ripartire dai territori per pro-grammare e utilizzare meglio lerisorse comunitarie e dimostrareche la Sicilia vuole davvero cam-biare. E può e deve farlo, proprioaffidandosi a un rinnovato “patto dicollaborazione” fra gli enti locali,che invece certe deprecabili sceltehanno spogliato di risorse e rele-gato a ruoli sempre più marginali.Sul tavolo dell'Osservatorio sonostati posti i primi obiettivi su cui la-vorare: la rimodulazione dei fondieuropei, a partire dalla riduzionedegli assi di spesa (attualmentesono circa 360) a non più di unadozzina, per meglio razionalizzarel'utilizzo delle risorse, ma anche l'in-terlocuzione con la commissioneUe all'Ars e con l'Ufficio program-mazione dei fondi europei e la co-stituzione di consorzi di Comuni perla presentazione di progetti comuni-tari.

“Dai territori il rilancio dello sviluppo” La mission dell’Osservatorio popolare

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Fondi Ue, Sicilia lumacaSpeso solo il 6 per cento

Sono passati quattro anni dall’avvio della nuova programmazione dei fondi eu-ropei. Ma in Sicilia in pochi se ne sono accorti. I dati delle spese validate sinoratra Fondo europeo per lo sviluppo (Fesr), Fondo sociale europeo (Fse) e Pianodi sviluppo rurale (Psr), i principali fondi del programma operativo 2007/2013,parlano chiaro: su 11,3 miliardi di euro messi a disposizione per questi tre fondi,la Sicilia ha speso finora poco meno di 700 milioni di euro. Una quota pari al6,1 per cento del totale. Il ritardo più preoccupante lo sconta il Fondo sociale europeo. A fine 2009, infatti,la Regione era riuscita a impegnare appena 47 milioni dei circa 2,1 miliardi dieuro dell’intera dotazione. Un avanzamento del 2,2 per cento che, se non fosseintervenuta la modifica del regolamento comunitario sui fondi regionali, avrebbeportato al disimpegno automatico di decine di milioni di euro (ossia alla restitu-zione all’Ue delle somme non impegnate). “Il nuovo regolamento – spiega Bo-nanno – ha permesso di spalmare la prima tranche di finanziamenti, quelli chesi dovevano spendere entro il 2009, nelle successive sei annualità”. Una modificache ha riguardato, per la fortuna della Sicilia, anche gli altri fondi.Già, perché se le regole di Bruxelles non fossero state ritoccate, il disimpegnoavrebbe potuto colpire anche il Fesr, il principale fondo per lo sviluppo regionale,che al 31agosto 2010 faceva registrare un avanzamento della spesa del 6,3 percento (mentre per gli impegni l’avanzamento era fermo al 15,8 per cento). An-dando alle somme, dei 6,5 miliardi dati alla Sicilia per infrastrutture, svilupposostenibile e protezione del territorio (tanto per citare gli obiettivi principali diquesto programma) finora sono stati spesi poco più di 410 milioni di euro.“E’ vero che quest’anno, con molta probabilità, eviteremo il disimpegno – diceRita Borsellino, deputato del Parlamento europeo – Ma per la fine del 2011 laRegione dovrà spendere quasi 1 miliardo se vuole evitare di perdere importantirisorse per l’economia dell’Isola”. Si vedrà. Se per Fse e Fesr, le difficoltà nella programmazione riguardano apari merito impegni e spese, per il Psr, programma incentrato sullo sviluppodell’agricoltura, la Regione si trova dinanzi a un paradosso: gli impegni arrivanoal 30,7 per cento (dati del 31 marzo 2010) ma le spese si fermano all’8,7 percento. “Il problema – spiega Antonio Bufalino, responsabile del Cantiere agri-coltura di Un’altra Storia – è che i produttori non riescono ad accedere ai bandi,spesso a causa delle disfunzioni della macchina burocratica”. E così, se gli impegni hanno raggiunto quota 830 milioni, ossia un terzo delladotazione totale, le spese erogate sono ferme a circa 241 milioni. Dei cinqueassi del Psr, solo per tre si è proceduto ai pagamenti. Per l’Asse 1, che contieneimportanti interventi a favore di lavoratori, infrastrutture e ammodernamentodelle aziende e dei processi produttivi, sono stati spesi appena 2,5 milioni dieuro a fronte di 1,4 miliardi messi a disposizione. Ossia, appena lo 0,1 per cento.Mentre le aziende agricole chiudono, anche per la difficoltà di adattarsi allenuove esigenze del mercato, la Regione non ha ancora mosso un euro dei 760milioni previsti per l’ammodernamento delle imprese. E lo stesso ha fatto perl’intero asse 3 (dotato di 132 milioni per strategie di sviluppo e diversificazioniproduttive) e per tutto l’asse 4 (35 milioni per sviluppo locale e Gal). Un po’ me-glio va per l’asse 2, che prevede interventi per indennità ai lavoratori, pagamentiagro ambientali e per il miglioramento del territorio: ad oggi, dei 950 milionimessi a disposizione, ne sono stati spesi circa 238 milioni, ossia il 25 per cento. Dario Prestigiacomo

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en 311 miliardi di euro tra droga,prostituzione, contraffazione,armi e altre attività come il traf-

fico di esseri umani e il traffico di ri-fiuti. E’ questo il giro d’affarisommerso in cui si muovono le orga-nizzazioni criminali in Europa. Unacifra enorme e che comunque è infe-riore al reale peso delle mafie nelVecchio Continente, visto che la stima(elaborata da Havocscope per il Re-port 2011 sui rischi globali del Worldeconomic forum) non tiene contodell’ammontare di risorse sottratteall’economia attraverso la corruzionee il controllo di attività legali. Quello che colpisce guardando ai datiè che l’80 per cento di questo volumedi affari (circa 250 miliardi di euro) siconcentra in Spagna, Italia, Gran Bre-tagna, Germania e Francia, ossia nelcuore produttivo dell’Europa. La quotamaggiore di affari illegali si consumain Spagna (90,1 miliardi), seguitadall’Italia (81,5 miliardi) e dalla GranBretagna (45,2 miliardi).“La mafia in Europa, non può essereconsiderata alla stregua di un feno-meno folkloristico italiano. La mafianon ha confini né nazionalità. Credereche si tratti di un problema regionaleè quanto di più sbagliato l’Europapossa fare”. E’ questo uno dei puntichiave del discorso tenuto da RitaBorsellino nel corso della conferenzainternazionale “La lotta alla criminalitàorganizzata e alle mafie: proposte peruna strategia globale nell’Ue”, che si èsvolta a febbraio a Bruxelles e che èstata organizzata dal gruppo dei So-cialisti e dei Democratici al Parla-mento europeo. Alla conferenzahanno partecipato, tra gli altri, il presi-dente del gruppo S&D MartinSchultz, il procuratore nazionale anti-mafia Pietro Grasso, il capo della pro-cura di Torino Giancarlo Caselli, ildirettore dell’Europol Rob Wainwright,

il procuratore antidroga spagnoloJosé Ramon Norena Salto, il presi-dente di Eurojust Aled Williams, il pre-sidente di Libera don Luigi Ciotti,l’eurodeputato Rosario Crocetta, ilgiornalista Attilio Bolzoni e CalogeroParisi, della cooperativa “Lavoro enon solo”. La conferenza ha rappresentatoun’occasione storica per accelerare inseno all’Ue il dibattito sulle strategietransnazionali di lotta e contrasto allemafie. Già, perché finora Bruxelles haconcentrato i suoi sforzi maggiori sulterrorismo, sottovalutando la portataeuropea delle organizzazioni crimi-nali, non solo quelle italiane. “Il cri-mine organizzato prospera in Europae nel mondo – ha detto Grasso - Loaiuta la globalizzazione economica elo ha fatto diventare un protagonistadi assoluto rilievo a livello macroeco-nomico. L'Europa è ancora un’area alegalità variabile”. Per questo motivo,

ha proseguito la Borsellino, “il contra-sto alle mafie necessita di azioni co-ordinate e forti da parte di tutti glistati”. Azioni che possono trovare ispi-razione nella legislazione italiana, disicuro la più all’avanguardia in Eu-ropa sul fronte della lotta alla crimina-lità organizzata. Una di questepotrebbe essere il riutilizzo socialedei beni confiscati alle mafie, unostrumento che è stato inserito, graziea un emendamento della Borsellino,nel programma di Stoccolma (unasorta di documento base predispostodal Parlamento europeo per quellache dovrà essere la strategia comuni-taria contro il crimine). “Il mio augurio– ha detto la Borsellino - è che questostrumento possa divenire parte inte-grante di una strategia globale euro-pea contro il crimine organizzato,perché il primo passo del contrastoalla mafia è proprio quello di impove-rirla”.

“Un cancro europeo da 311 miliardi” La lotta alle mafie sbarca a Bruxelles

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Affidata a Rita Borsellino la relazione sulla sicurezza nell’Ue

L'Unione europea sta lavorando a una strategia per la sicurezza interna e lalotta alla criminalità organizzata. In questo quadro, un ruolo importante è statoassegnato a Rita Borsellino, cui è stato affidato il compito di redigere uno deidocumenti più delicati in materia: la relazione del Parlamento europeo sullastrategia della sicurezza interna dell'Ue.Un lavoro che ha mosso già i primi passi e che servirà a tracciare le linee guidache l'Assemblea di Strasburgo metterà a punto insieme al Consiglio in materiadi contrasto alla criminalità, riciclaggio e terrorismo . "L'avere avuto attribuitoquesto compito - dice la Borsellino, che è membro della commissione parla-mentare per le Libertà civili, la giustizia e gli affari interni - è per me un motivodi grande orgoglio, ma anche di alta responsabilità istituzionale, visto che dovròfare da collettore dei contributi e delle proposte avanzate anche dai parlamentinazionali degli stati membri, dalla società civile, dagli operatori del settore edalle organizzazioni specifiche.Ma gli impegni della Borsellino sul fronte della lotta alla criminalità non si fer-mano qui: l’eurodeputata, infatti, ha dato il suo contributo all’elaborazione delleproposte del gruppo gruppo S&D per una strategia europea di lotta alla crimi-nalità organizzata e alle mafie. Proposte che puntano innanzitutto sull’utilizzodi strumenti legislativi incisivi per sostenere il lavoro delle magistrature, dellepolizie e della società civile.Tra queste, la Borsellino ha chiesto con forza e ottenuto che fossero inseritedue proposte normative come la confisca e il riutilizzo a fini sociali dei beni ma-fiosi e un quadro di tutele chiare ed efficaci per i testimoni di giustizia. “Partendodalla Direttiva sulla confisca dei beni e degli averi - si legge nel documento delgruppo - si attende che la Commissione includa norme comuni a sostegnodel riutilizzo a fini sociali, fra cui anche la creazione di un Coordinatore europeoper la confisca e il riutilizzo, sul modello del Coordinatore europeo per lotta alTraffico di esseri umani, istituito di recente dalla Commissione, che metta in retele esperienze nazionali e coinvolga attori istituzionali, operatori e società civile”.Sui testimoni, si legge ancora nel documento, “occorre riempire il vuoto legisla-tivo in materia di testimoni di giustizia” attraverso “una Direttiva che detti normecomuni sul ruolo dei testimoni di giustizia nei procedimenti e sulla loro prote-zione”. Tra le altre proposte avanzate dal gruppo S&D, compaiono: strumenti più efficaciper lo scambio, l'utilizzo e la raccolta delle prove, una direttiva quadro sulla pro-tezione e il risarcimento delle vittime della criminalità organizzata, la revisionedella direttiva sul riciclaggio, maggiori sanzioni sui reati legati alle cosiddetteEcomafie e sulla corruzione. Altro punto fondamentale è quello del rafforzamento del ruolo di controllo e le-gislativo del Parlamento europeo. A tal proposito, assumono maggiore rilevanzale relazioni parlamentari in materia, quella già citata della Borsellino, ma anchequella sulla criminalità organizzata affidata a Rosario Crocetta. “Sarà questa -si legge sempre nel documento - la prima occasione per il Parlamento europeodopo Lisbona di far sentire la sua posizione in merito alla strategia politica perla sicurezza e la lotta alla criminalità organizzata e le mafie nell'Unione europea”. In aggiunta, il gruppo S&D ha chiesto l’atttivazione di strumenti, procedure esedi appropriate di controllo dell'attività di law enforcement e di intelligence a li-vello europeo, il fafforzamento di agenzie come Europol ed Eurojust e l’istitu-zione di figure come il Procuratore Europeo.

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