Machiavelli Espresso III

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Anno I - Numero III - Febbraio 2014

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Numero III - Anno I - Febbraio 2014

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Social Network: la fine dell’autenticità

Di RACHELE PELLEGRINI

Il lato oscuro del web

Di MARCO RIDOLFI

Il Confronto: Caso Stamina

di ALICE MELOSI e MIA MARTINEZ

E’ nato il CSA

di ANNACHIARA BRESSAN

L’Arte in Catene

di MARTINA ANDREINI

Don’t clean up this blood: l’Assemblea del

triennio

di CLAUDIA CRISTIANI e ALESSANDRO

MARCHETTI

Intervista a Lorenzo Guadagnucci

La Shoah di un topo sopravvissuto

di MARCO RIDOLFI

London Calling

di SILVIA GIORGETTI

Una grande stagione del cinema

di GIOVANNI GIANNINI

The Wolf of Wall Street

di DAVIDE INNOCENTE

Gli Sdraiati

di IACOPO COTALINI

Ultime Uscite

Edipo, Sofocle e la 3B del Liceo Classico

Di MATILDE DAL CANTO

Barzellette e Giochi

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Indice

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FERMIAMOCI UN ATTIMO A RIFLETTERE

N ella situazione di

profonda crisi

economica e politi-

ca che attanaglia

l’Italia, risulta sempre più diffi-

cile voltarsi indietro per riflet-

tere. Osservare attentamente

quello che è avvenuto nel pas-

sato, spesso neppure

troppo lontano, per evita-

re che possa ripetersi nel

presente. Le preoccupa-

zioni della vita quotidia-

na spesso ci impediscono

anche di ritagliarci,

all’interno della giornata,

dei piccoli spazi per noi

stessi, figurarsi per ricor-

dare eventi accaduti

quando non eravamo neppure

nati. Così, mentre ormai quasi

tutti sanno che il 27 gennaio è

la “Giornata della Memoria”

per le vittime dei campi di

concentramento nazisti, in

molti meno sono a conoscenza

che il 10 febbraio si celebra il

“Giorno del Ricordo”, dedicato

alle oltre 11.000 vittime delle

foibe e dei campi di concentra-

mento jugoslavi. Un eccidio di

cui si è parlato molto poco, ma

che “tocca” noi Italiani in ma-

niera particolare poiché la

maggior parte delle vittime

furono nostri connazionali.

Iniziata come una repressione e

una vendetta nei confronti del

fascismo italiano, quest’opera

di sterminio compiuta dai par-

tigiani del dittatore jugoslavo

Tito, finì per coinvolgere tutti

gli Italiani presenti in Istria e

nelle regioni limitrofe. Molti di

loro furono costretti ad emigra-

re. Altri trovarono la morte per

la sola colpa di “essere italiani”

e quindi, attraverso il classico

ma orribile meccanismo dello

stereotipo, “amici del fasci-

smo”. Per chi abbia voglia e

buonsenso di documentarsi al

riguardo, sul web e negli archi-

vi storici, sono facilmente re-

peribili immagini che testimo-

niano questi massacri. Invitia-

mo caldamente ad andarle a

vedere, perché in questi casi

un’immagine forte è molto

meglio di mille vuote parole.

Sarebbe infatti difficile raccon-

tare di uomini gettati, insieme

a cadaveri, in profonde fosse e

costretti a morire lì di fame e di

stenti. Tutto questo senza sca-

dere nella banalità e nella

“scontatezza” che ormai la

fanno da padrone quando si

parla, per esempio, dello ster-

minio nazista. Ma perché oggi

c’è una così grande commemo-

razione del genocidio nazista e

una così poca considerazione

di altri eventi simili, come

questo o il genocidio armeno di

inizio Novecento? O l’elimina-

zione, da parte del regime stali-

nista, di circa 20 milioni di

persone, deportate nei gulag?

O di molti genocidi/guerre

civili ancora in corso in sper-

duti stati dell’Africa di cui non

sappiamo assolutamente nien-

te? Dare una risposta pre-

cisa è difficile, probabil-

mente la Shoah è stato il

simbolo, l’apice di una

folle ideologia che ha por-

tato l’Europa in guerra e in

rovina. Non per questo

dobbiamo smettere di com-

memorare i sei milioni di

ebrei che hanno perso la

vita nei campi di concen-

tramento. Semplicemente do-

vremmo fare più attenzione a

non distinguere tra “genocidi

di serie A e serie B”, magari

concentrandosi meno sul sin-

golo evento, ma più sulle cause

e sulle conseguenze. Insomma,

meno parole e più riflessione.

Magari, con un occhio a quello

che succede ancora oggi. Per-

ché, tanto per rifarsi a fatti di

attualità odierna, quei quasi

100 morti in Ucraina perché

volevano un paese migliore o

perché stavano svolgendo il

loro lavoro, ad esempio mante-

nere la sicurezza, non devono

valere di meno né dei morti

dello sterminio nazista, né

degli Italiani gettati nelle foibe.

Alessandro Marchetti II C

LC

Attualità

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Page 4: Machiavelli Espresso III

SOCIAL NETWORK: LA FINE DELL’AUTENTICITA’

I n tutto il mondo più di

800 mila persone possie-

dono un profilo su uno

dei più popolari Social

Network, come MySpace,

Facebook o Twitter. In Italia il

boom di iscritti vero e proprio

si è avuto tra il 2010 e dicem-

bre 2011, quando Facebook

arriva a registrare 21 milioni di

utenti attivi. Questi numeri

dimostrano come nel 2003

Mark Zuckenberg non abbia

fatto altro che mettere on-line

la prima bozza di quello che

sarebbe diventato un fenomeno

planetario in costante crescita,

una delle più grandi invenzioni

dell’ultimo decennio. Cosa

abbia spinto 21 milioni di per-

sone in un solo paese a iscri-

versi ad uno stesso Social Net-

work e cosa continui ad attrarre

la popolazione globale è la

domanda postasi da non pochi

studiosi e ancora oggi al centro

del dibattito sociologico inter-

nazionale. Sicuramente, come

ci conferma la riflessione di

alcuni ricercatori, il Social

Network risponde ai bisogni

primi ed essenziali dell’indivi-

duo in quanto tale: bisogni di

sicurezza (su Facebook le per-

sone con cui si comunica sono

solo “amici” e non estranei, ci

sentiamo quindi protetti all’in-

terno di un area da noi circo-

scritta.); bisogni associativi

(con gli “amici” posso comuni-

care, condividere foto e scam-

biare opinioni, riesco ad adem-

piere al mio

status di “animale sociale”

senza i freni emotivi e psicolo-

gici che può porre una situazio-

ne reale); bisogni di stima e i

bisogni di autorealizzazione.

(si possono scegliere gli

“amici” ma io a mia volta pos-

so essere scelto da altri. Per cui

se tanti mi scelgono accresco la

mia autostima).

Ecco la panoramica generale di

un qualcosa che, nato forse

come strumento di scambio e

comunicazione mondiale, si sta

trasformando nella più perico-

losa arma contro la relazione

sociale.

Sentiamo l’esigenza di lasciare

una traccia di noi stessi, di

combattere l’anonimato, ma

invece di farlo imprimendoci

nella memoria dei nostri amici

con ore di compagnia, preferia-

mo decisamente affollare gli

archivi di internet con l’istante

di un click. Sottomettendo

ogni nostra autenticità al biso-

gno di apparire, carichiamo

foto accuratamente scelte,

pubblichiamo commenti, stati e

riflessioni mirate e studiate, ci

impegniamo nella creazione di

un Io ideale e un avatar perfet-

to che di noi ha solo il nome e

l’aspetto. Non sono un caso, i

migliaia di casi di depressione,

un male che affligge ragazzi

compresi tra i quattordici e i

vent’anni ma l’inevitabile ri-

sposta della nostra coscienza

quando, catapultata nella real-

tà, intuisce di non poter essere

un “utente che cammina”, di

non poter aspettare alla fermata

del pullman rimanendo in posa,

di non poter dire a una persona

che gli piace perché non esiste

un tasto che lo faccia al posto

suo.

Ad un decennio dalla comparsa

del Social Network per eccel-

lenza, si parla già di dipenden-

za, ossessione, assuefazione. E

così vediamo sempre più spes-

so Facebook diventare l’eroina

degli insicuri, un mercato di

falsa autostima, di maschere e

di socialità ideali da pagare con

l’isolamento o nei casi più

estremi la causa di solitudine e

disistima , da colmare con il

maggior numero possibile di

richieste d’amicizia o “mi pia-

ce”. L’incapacità di accettare le

nostre insicurezze, la tendenza

all’omologazione, e la preca-

rietà di rapporti nati dal niente,

sono ciò che i Social Network

finiscono per offrire alle nostre

generazioni, portate a crescere

troppo in fretta senza l’occa-

sione di vivere il gioco, la timi-

dezza, il rischio, la delusione.

Ci invitano a vivere perenne-

mente improntati al raggiungi-

mento di modelli impossibili,

stabiliscono le priorità nella

vita di un adolescente di cui

non sanno niente, ti persuado-

no a giudicarti in base a ciò che

fanno e “scrivono” gli altri e

non in base a chi tu sei e ti 12

Attualità

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Page 5: Machiavelli Espresso III

SOCIAL NETWORK: LA FINE DELL’AUTENTICITA’ senti; questo è il compito

attualmente assunto dai

Social Network, che aven-

do trovato nella moderna

società dell’apparenza, del

consumismo e della su-

perficialità il loro ambien-

te ideale, continuano im-

perterriti ad agitare le

fragili dinamiche dell’e-

motività umana senza mai

prendersi la briga di ricor-

darci che l’autenticità

dell’uomo risiede nella

sua diversità, la forza di

una relazione nella since-

rità, il coraggio di ognuno

di noi nel saper essere noi

stessi, la vita nella realtà.

Rachele Pellegrini II B

LC

Attualità

L o chiamano Deep web

o Dark web ed è la

parte più grande e

meno conosciuta di

internet. È una zona che non si

può raggiungere coi normali mo-

tori di ricerca ed il suo più grande

pregio è quello di garantire l’ano-

nimato. Seguire la navigazione di

un’utente e scoprire i contenuti

immessi nel Deep web è quanto

mai complicato e laborioso. I siti

hanno per dominio incomprensi-

bili sequenze di numeri e lettere

registrate come “.onion”, ma

arrivarci non è comunque sempli-

ce: molti spesso durano solo qual-

che mese. È un mondo a parte che

ha pure una valuta tutta sua: il

bitcoin. Come una vera e propria

moneta ha un tasso di cambio

(attualmente un bitcoin corrispon-

de a più di 800 dollari americani);

come il contante, garantisce l’a-

nonimato e non può essere pro-

dotto all’infinito, tuttavia riesce a

sfuggire al controllo delle banche

centrali. Il Dark web è una zona

franca dove tutto è possibile: si

possono comprare armi, droga ma

anche leggere opinioni politiche

vietate da un regime dittatoriale.

È il covo perfetto per truffatori e

ladri, terroristi e pedofili, ma vi

convivono anche dissidenti politi-

ci, intelligence, giornalisti e libri.

In particolare abbonda la saggisti-

ca sulle scienze sociali e l’infor-

matica, testi difficilmente reperi-

bili tramite i canali convenzionali.

È una rete che offre smisurate

opportunità grazie alla totale li-

bertà e all’assenza di controllo,

che tuttavia la rendono anche un

luogo pericoloso. Se si dovesse

spiegare la rete con una metafora,

potremmo dire che è come un

gigantesco iceberg: la parte som-

mersa è di molto superiore a quel-

la emersa. Secondo una stima di

Bright Planet, un’organizzazione

americana, il web sarebbe costi-

tuito da oltre 550 miliardi di do-

cumenti e Google ne indicizze-

rebbe solo 2 miliardi. La maggio-

ranza di internet rimane quindi

per molti ignota. Chi frequenta il

Dark web però non sono solo

cybercriminali ma anche coloro

che hanno sviluppato una spiccata

sensibilità per la propria privacy.

Difatti il Deep web è utilizzato

innanzitutto da chi intende mante-

nere l’anonimato. È popolato

anche da coloro che sono refratta-

ri all’idea del web 2.0, dove ogni

azione è rintracciabile e l’utente è

sotto il controllo più vigile. Il

Dark web si configura paradossal-

mente come luogo sicuro e peri-

coloso nel medesimo tempo, ciò

che forse oggi è più vicino all’i-

dea stessa di internet, con tutti i

suoi lati positivi e negativi.

Marco Ridolfi

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Page 6: Machiavelli Espresso III

CASO STAMINA

12

Il Confronto

6

“ L’efficacia di una terapia non è mai

oggetto di opinione ma è materia di

dati scientifici, sperimentazioni,

risultati misurabili e noti”. Queste

le parole del dottor Paolo Bianco alla do-

manda: “Qual è la sua opinione , dottore,

in merito alla terapia Stamina?”

Ma possiamo veramente parlare di un

“metodo terapeutico” Stamina, quando il

metodo scientifico della ricerca internazio-

nale si fonda sulla consequenzialità ipotesi

-sperimento? No, perché una sperimenta-

zione scientifica della terapia stamina non

c’è mai stata. Che questa sia valida è solo

“l’opinione” dello psicologo Vannoni, suo

creatore, che da talentuoso demagogo, ha

trascinato l’Italia dietro di sé. Una

“magica pozione” con cellule staminali e

frammenti ossei per la quale Vannoni si è

fatto pagare dai 20000 ai 50000 euro a

paziente in ospedali pubblici, speculando

sulla sofferenza altrui. In sostanza, una

truffa: creata nel sottoscala di un call cen-

ter, la “cura” si propone di guarire malattie

purtroppo incurabili, alimentando false

speranze e creando un vero e proprio busi-

ness. Un preparato la cui composizione

non è del tutto chiara, ma che anzi potreb-

be essere nociva per la salute. E se dei

miglioramenti ci sono stati, scientifica-

mente non c’è alcuna prova che il risultato

sia da apportare alle punture sconosciute: i

miglioramenti possono essere dovuti all’a-

limentazione artificiale e alle terapie di

supporto riconosciute dalla medicina,

come spiega una pediatra. Stamina non ha

mai avuto pubblicazioni scientifiche, né un

brevetto: non è una cura. Si tratta di un

metodo in cui cura e speranza sono so-

vrapposte: la forza di Stamina è stata la

sofferenza dei pazienti.

Alice Melosi II C LC

“ Stamina” è un metodo inventato da Davide

Vannoni che prevede la conversione di cellu-

le staminali mesenchimali in neuroni. Lo

scopo è quello di curare malattie neurodege-

nerative, come Alzheimer, Parkinson e SLA, malat-

tie del sistema nervoso centrale accomunate da un

processo cronico e selettivo di morte cellulare dei

neuroni. Le cellule staminali mesenchimali sono

cellule già di per sé adulte e si possono facilmente

ricavare da diversi tessuti dell'organismo; da ciò

deriva la diffusione dello studio di queste particolari

cellule, in quanto potrebbero offrire soluzioni per

curare malattie senza porre problemi di tipo etico

rispetto a quelle embrionali, le quali invece si otten-

gono tramite la distruzione di embrioni che si po-

tranno evolvere in feti e in individui. A causa, però,

dell'insufficienza dei dati messi a disposizione e

della poca sperimentazione di questa terapia, Stami-

na non rientra nella categoria delle "terapie compas-

sionevoli"; secondo una legge del 2003 infatti, per

individui affetti da particolari malattie senza cura,

sarà possibile utilizzare terapie ancora non certifica-

te. Quando il metodo Stamina venne sospeso, molti

pazienti che seguivano questa terapia hanno fatto

ricorso e chiesto particolari permessi per continuare

ad utilizzarla. Il caso più celebre è quello della pic-

cola Sofia, una bambina affetta da una malattia

degenerativa molto grave che porta alla morte circa

cinque anni dopo la comparsa dei primi sintomi. I

genitori di Sofia, sostenendo che la figlia aveva

ricevuto notevoli benefici in seguito a questa tera-

pia, grazie ad appelli e interventi televisivi, riusciro-

no ad ottenere il permesso per la loro bambina, e

successivamente il ministro Balduzzi concesse "la

prosecuzione di trattamenti non conformi alla nor-

mativa vigente per i pazienti per i quali sono stati

già avviati alla data di entrata in vigore del decreto”.

Il caso comunque resta irrisolto, dal momento che in

molti hanno espresso il desiderio di provare il meto-

do Stamina, ma la domanda è: possibile che nel

XXI secolo l'Italia sia ancora un Paese dalla menta-

lità così chiusa?

Mia Martinez II B LC

Page 7: Machiavelli Espresso III

Cronaca Locale

7

E’ NATO IL CSA

C omoda per la posi-

zione centrale a

Lucca, la biblioteca

Agorà è luogo di

studio molto frequentato da

studenti medi e universitari.

Molteplici mancanze da parte

della gestione sono state evi-

denziate e discusse da un grup-

po di frequentato-

ri abituali del

luogo quando, in

seguito alla mani-

festazione del 28

Ottobre, si sono

riuniti nell’aula

pc e hanno for-

mato il CSA

(Coordinamento

Studentesco

dell’Agorà) , un

gruppo che rego-

larmente si riuni-

sce all’interno

della struttura

spinto dal deside-

rio e dalla volon-

tà di migliorare la

gestione e l’am-

biente che quoti-

dianamente vive.

La gestione non

ha accolto favo-

revolmente l’ini-

ziativa degli studenti anzi,

chiudendo l’aula pc e dispen-

sando motivazioni svariate e

ambigue riguardo alla chiusu-

ra, ha iniziato un percorso di

impedimento e ostacolo al

CSA che, a partire dalle prime

illusorie promesse fatteci

dall’assessore alle politiche

giovanili A. Fratello e culmi-

nando in un colloquio con la

stessa e l’ ex dirigente comu-

nale M.Tani, indagato dalla

procura, tuttora persiste . L’au-

la pc è ancora chiusa, un se-

condo giardino interno è inuti-

lizzato e inaccessibile, parte

del chiostro da qualche tempo

non viene più pulito dagli

addetti (bensì dai ragazzi del

CSA) e le promesse dell’asses-

sore sono rimaste tali. Di fron-

te ad una burocrazia inconclu-

dente ed illusoria il CSA conti-

nuerà a riunirsi invitando tutti

gli studenti interessati a parte-

cipare alle assemblee, ogni

Martedì e Giovedì alle 15.00,

con la speranza di una gestione

degli spazi cittadini migliore e

più popolare.

Annachiara Bressan II B LC

Page 8: Machiavelli Espresso III

È venuto il momento di liberarla e dare sfogo al genio che la possiede L’ARTE IN CATENE

L o scorso novembre

2013 è stato appro-

vato dall'attuale

Governo il Decreto

Scuola proposto dall’ex Mini-

stro dell'Istruzione Maria Chia-

ra Carrozza.

“Dopo anni di sacrifici, di 'tagli

alla cieca', questo decreto resti-

tuisce finalmente risorse e

centralità al mondo dell'Istru-

zione. Sono orgogliosa del

lavoro fatto, anche nel passag-

gio in Parlamento, dove sono

arrivati miglioramenti e propo-

ste sulle quali mi impegno a

proseguire il confronto” com-

menta l’ex-ministro. Ed effetti-

vamente il cambiamento co-

mincia a farsi sentire a partire

dai nuovi fondi destinati a

scuole e a università, dalle

nuove borse di studio e dai

finanziamenti per creare reti

wireless negli istituti, fino al

divieto di fumo che regna seve-

ro anche nei nostri cortili.

Ma che ne è della faccenda

relativa alla riduzione e, in

alcuni casi, soppressione della

storia dell'arte, portata avanti

dalla “spending review” del

Governo Berlusconi e approva-

ta nella Riforma Gelmini del

2009? Grazie a

quella, non

troppo popolare, riforma, que-

sta materia appare vecchia,

noiosa, superflua, stando al

messaggio del Governo.

Purtroppo, anche con il Decre-

to Carrozza niente è cambiato

su questo versante ed è nato

così un appello rivolto al Mini-

stero per restituire dignità alla

storia dell'arte.

E' paradossale che una Nazione

come questa, che sull’eccellen-

za artistica ha costruito la pro-

pria gloria, debba oggi mendi-

care ai propri governanti un

poco di rispetto in più per il

settore; infatti, attualmente

l'Italia possiede il maggior

numero di siti culturali e arti-

stici riconosciuti dall'UNESCO

(seguita dalla Cina e dalla Spa-

gna). Stiamo parlando della

patria dove si è sviluppata la

civiltà dei Romani, che ha

prodotto, nell'antica Roma

“caput mundi”, opere come

“La colonna Traiana” o

“L'Anfiteatro Flavio”; la terra

natia di geni come Leonardo e

Raffaello, di opere come “ La

Nascita di Venere” , “La Pie-

tà”, “ Amore e Psiche”; il tea-

tro dei disegni di Canaletto e

degli apparati effimeri del

Bernini.

Ma la rinomanza del nostro

Sato non finisce qua; infatti;

artisti stranieri di tutte le epo-

che sono cresciuti e maturati

solo dopo viaggi a Roma, Fi-

renze, Venezia e Napoli in cui

hanno potuto vedere e speri-

mentare da vicino il genio

creativo e artistico italiano di

autori come Caravaggio o Mi-

chelangelo.

I grandi

maestri del

passato,

con il

sapiente

disegno e

virtuosi-

smo tecni-

co, ci mo-

strano

ritagli di

un tempo

antico ma

non ancora

dimentica-

to, fieri

della loro

provenien-

za italiana.

Inoltre

sono mol-

tissimi gli

stati stra-

nieri che ci

invidiano

opere che

noi possia-12

Cultura

12 8

Page 9: Machiavelli Espresso III

È venuto il momento di liberarla e dare sfogo al genio che la possiede L’ARTE IN CATENE

mo osservare semplicemente

affacciandoci alla finestra.

Basti pensare alla nostra città,

Lucca,che pur essendo piccola

e spesso monotona, è una

delle principali città d'arte

italiane conosciuta in tutto il

mondo per la sua cinta mura-

ria risalente al periodo rinasci-

mentale; la città che chiama-

vano “bosco delle cento chie-

se” per la miriade di edifici

ecclesiastici che possiamo

osservarvi dallo stile romani-

co al barocco, sede della Tor-

re Guinigi e di palazzi quali

Palazzo Pfanner e Palazzo

Mansi. Addirittura le nostre

stesse scuole sono edifici

storici come quasi tutto all'in-

terno delle

mura.

E noi, che

dovremmo

valorizzare

ciò che pos-

sediamo,

essere orgo-

gliosi del

luogo in cui

viviamo e

conoscere la

nostra Nazio-

ne, invece

insistiamo a

tagliare dove

dovremmo

impiegare le

nostre forze.

A causa di

queste ridu-

zioni, i nostri

insegnanti

sono costretti

a scegliere

parti del pro-

gramma,

trascurando talvolta anche

autori importanti, senza parla-

re poi dell'arte contemporanea

che non viene mai affrontata.

Questo non succederebbe, se

si iniziasse a sensibilizzare gli

studenti all'arte fin dalle ele-

mentari e se tutti gli anni del

corso di studio superiore com-

prendessero anche l'insegna-

mento di questa materia, per-

ché “L'arte non riproduce ciò

che è visibile, ma rende visibi-

le ciò che non sempre lo

è.” (Paul Klee)

Martina Andreini III A LC

Cultura

9

Page 10: Machiavelli Espresso III

DON’T CLEAN UP THIS BLOOD: L’ASSEMBLEA DEL TRIENNIO

L ’ultima assemblea

d’istituto del triennio

ha certamente fatto

parlare di sé. Nume-

rosi sono stati gli apprezza-

menti, tante le critiche. La

proiezione del film Diaz ha

scosso diversi studenti per le

forti immagini, in cui tutta la

violenza e la brutalità del G8 di

Genova emergono chiaramen-

te, ma il dibattito col testimone

Lorenzo Guadagnucci è stato

più che mai seguito e parteci-

pato. Probabilmente se non

fosse stato proiettato un film

che scuotesse le coscienze, noi

studenti non avremmo mai

interiorizzato né compreso

appieno la gravità di quanto

accaduto. Problema peculiare

del dibattito durante le assem-

blee è sempre il disinteresse di

buona parte degli studenti che

spesso si dedicano ad altro: un

film come Diaz è servito per

colpire e per permettere che ciò

non accadesse. Una scelta az-

zardata ma di certo non fuori

luogo: non ci sono esagerazio-

ni nelle violenze, tutto ciò che

vediamo è riconducibile ad un

fatto accertato. Lo dice Loren-

zo Guadagnucci. Parlarne sola-

mente non avrebbe impresso a

sufficienza nelle menti di tutti

noi studenti l’importanza di un

evento accaduto in tempi non

lontani. Un’esposizione non

dettagliata dei fatti rischiava di

minimizzare quanto accaduto,

o quanto meno di non rendere

debita giustizia.

Il ragionamento è il medesimo

di quando si parla della Shoah:

le fotografie di quelle persone

provate nel fisico e nella mente

servono per renderci maggior-

mente conto di cosa è stato.

Diaz è servito allo stesso sco-

po. L’intento era infatti quello

di riportare l’attenzione su un

evento che da anni è caduto nel

dimenticatoio.

A chi giudica che l’informazio-

ne fosse faziosa, rispondo co-

me segue. Innanzitutto il film

non tace le violenze dei Black

Bloc durante i giorni di mani-

festazione precedenti all’episo-

dio alla Diaz né esclude a prio-

ri che all’interno della scuola

vi fossero alcuni di questi. In

secondo luogo, chi è venuto a

raccontarci i fatti è, ricordia-

mocelo, un giornalista. Sicura-

mente segnato dalla terribile

esperienza, ma non per questa

ragione fazioso nella sua rico-

struzione, che si è basata prin-

cipalmente su quanto emerso

dal processo. C’è chi potrebbe

affermare tuttavia che queste

non sono verità ma solo notizie

trapelate dagli atti processuali,

ma questa discussione porte-

rebbe lontano e non cambie-

rebbe il fatto che sono le uni-

che cose su cui possiamo arti-

colare un dibattito serio, basato

su fatti e non speculazioni.

Inoltre ciò non inficerebbe

quanto detto da Lorenzo Gua-

dagnucci. E’ innegabile che

egli vi abbia aggiunto un pro-

prio commento e la propria

idea personale ed è normale

che lo sia, tuttavia questo non è

abbastanza per ritenere total-

mente di parte il suo interven-

to. Terzo punto: è bene sapere

che è stata data la possibilità

anche alla questura di Lucca di

esprimersi sugli accadimenti

del G8 di Genova durante la

nostra assemblea, ma essa ha

ritenuto che non fosse necessa-

rio.

Tuttavia il vero problema è

forse un’ipocrisia di fondo:

nonostante la consapevolezza

che noi giovani siamo soliti

assistere a spettacoli ben più

crudi, alcuni genitori e docenti

si scandalizzano ugualmente di

fronte a qualcosa di tanto vio-

lento, seppur funzionale ad un

intento, solo perché avviene

palesemente sotto i loro occhi.

Non si domandano cosa guar-

diamo o cosa facciamo davanti

al computer quando loro sono

assenti, ma si preoccupano

solamente di quello che accade

a scuola. La polemica a cui

abbiamo assistito è il frutto di

una mentalità chiusa che atta-

naglia la Scuola: ci limita, ci

reprime ed impedisce che le

cose possano mai davvero

cambiare e migliorare.

A chi sostiene, invece, che le

assemblee d’Istituto dovrebbe-

ro parlare di problemi della

scuola, rispondo di guardare la

questione con un minimo di

realismo: se dovessimo eserci-

12

Cronaca Scolastica

10

Page 11: Machiavelli Espresso III

DON’T CLEAN UP THIS BLOOD: L’ASSEMBLEA DEL TRIENNIO tare davvero il nostro diritto

solo per questa funzione, di

assemblee potremmo farne una

ogni anno. Il motivo è semplice:

sarebbe del tutto inutile ed im-

produttivo. Conosciamo bene

tutti le condizioni disastrose in

cui vertono le due sedi dell’isti-

tuto e altrettanto bene sappia-

mo, o dovremmo sapere, che in

assenza di ingenti somme di

denaro, sono e rimarranno pro-

blemi irrisolvibili. L’assemblea

si trasformerebbe quindi in uno

snervante elenco di lamentele,

più o meno gravi, la cui conclu-

sione sarebbe solo quella di

assodare a maggioranza che il

nostro istituto è in condizioni

pessime. Le assemblee invece

dovrebbero servire non solo per

parlare dei problemi della scuo-

la, ma anche di quelli che sono

all’esterno. Dovrebbero essere

un modo per sensibilizzare, per

discutere e informare gli studen-

ti su temi o avvenimenti che

non si trattano normalmente

durante le ore di lezione ordina-

rie. Parlare del G8 di Genova,

del giorno della memoria, di

droga, di mafia e della sessuali-

tà è scuola. Non discuterne

equivale a chiudere gli occhi di

fronte a tutto questo, non tra-

smettere alcun valore, alcuna

sensibilità, non insegnare. Ed è

molto più produttivo che ribadi-

re che all’interno della propria

classe piove: succede pure nella

mia.

Claudia Cristiani

" Don't clean up this

blood". Una scritta nera

su foglio bianco. Con

questa scena finisce il

trailer di "Diaz", docufilm del

2011 che racconta i tragici fatti

avvenuti la notte del 21 luglio

2001, al termine del G8 di Ge-

nova. Il prefisso "docu", in tutta

la questione, è forse la cosa più

inquietante. Ebbene sì, è tutto

reale, esistono davvero delle

persone, degli esseri umani che

hanno vissuto quegli eventi. Il

contesto, da cui questa tragedia

non può e non deve essere estra-

polata, è il G8 di Genova del

luglio 2001. Un incontro tra i

più grandi capi di Stato del

globo, ma anche un'occasione

per manifestare, per esprimere il

proprio dissenso nei confronti di

quelle decisioni che stavano per

essere prese. La situazione è

degenerata quando, da entrambe

le parti, hanno ritenuto che la

violenza fosse l'unico mezzo per

farsi sentire o per mantenere

l'ordine pubblico. Ci sono stati

numerosi scontri. Un manife-

stante, Carlo Giuliani, è rimasto

ucciso in alcuni scontri e

tutt'oggi le circostanze della sua

morte rimangono un mistero.

Ma niente di tutto questo, dalla

pessima gestione dell'ordine

pubblico fino alla mancanza di

arresti, può spiegare i fatti della

scuola Diaz. È il 21 luglio 2001,

il G8 è ornai ai titoli di coda.

Molti manifestanti sono già

tornati a casa, esasperati loro

stessi dal clima di tensione che

si respira in città; altri si stanno

organizzando per la partenza.

Alla scuola Diaz sono ospitate

93 persone. Si dice che tra que-

sti si siano infiltrati i Black

Bloc, ma la loro presenza non è

mai stata accertata. Lì si trovano

anche tante altre persone, total-

mente estranee alle manifesta-

zioni come Lorenzo Guada-

gnucci, giornalista del Resto del

Carlino, a cui è ispirato uno dei

protagonisti del film, il giovane

Luca Gualtieri del fantomatico

Corriere di Bologna. Lorenzo

Guadagnucci tutt’oggi lotta

affinché quella brutta storia non

cada nell’oblio, lotta affinché

venga finalmente fatta giustizia.

Lotta affinché i più giovani si

rendano conto di ciò che accade

nel loro paese, anche nei tempi

recenti. Proprio per questo, è

intervenuto alla nostra assem-

blea. La sua testimonianza è

stato un contatto diretto, dopo la

visione del film Diaz, con quel-

la terribile realtà. Una realtà che

lo ha profondamente sconvol-

to... “non mi avevano chiesto il

nome, è terribile, quando non ti

chiedono l’identità sei pura

carne a disposizione di chi ha la

forza bruta dalla sua parte. Non

eravamo nulla.” Noi lo ringra-

ziamo per aver voluto condivi-

dere con noi questa sua espe-

rienza e pubblichiamo un’inter-

vista che ci ha gentilmente con-

cesso.

Alessandro Marchetti

II C LC

Cronaca Scolastica

11

Page 12: Machiavelli Espresso III

12 12

Intervista a Lorenzo Guadagnucci, testimone dei fatti della scuola Diaz 21 LUGLIO 2001, NOTTE DI SANGUE E FOLLIA

Lei si ritrova nell’esposizione

dei fatti del film, o ha qualco-

sa da aggiungere ?

Il film è molto preciso nella

ricostruzione delle scene di

violenza all’interno della scuo-

la Diaz, ogni episodio corri-

sponde ad un fatto accertato,

una testimonianza, una persona

riconoscibile. Il film ha forse

delle lacune, a mio avviso,

nella contestualizzazione. For-

se non è chiarissimo quale

fosse l’evento nel quale si col-

locano queste manifestazioni a

Genova, quindi la contestazio-

ne del G8, quella esplosione

dei movimenti sociali antilibe-

risti. Un’altra carenza che ho

anche avuto l’occasione di

rimarcare nel momento dell’u-

scita del film è la totale assen-

za di quello che è successo

negli anni successivi; questo è

un film uscito nel 2012 quindi

ha una distanza notevole dai

fatti e con una ricostruzione

storica ormai avvenuta dei

processi che a quel momento

erano già arrivati alle condanne

di secondo grado. Io credo che

ciò che è avvenuto dopo, per

certi versi, è addirittura più

grave di quello che è successo

il 21 luglio nel 2001 a Genova

perché questa caduta di legalità

costituzionale, questa esplosio-

ne di violenza da parte di fun-

zionari dello stato è stata af-

frontata nel nostro paese in

maniera a mio avviso assoluta-

mente negativa: non è stato un

episodio che è stato ripudiato e

rispetto al quale la Polizia di

Stato ha cercato responsabilità

ed ha in qualche modo messo

in chiaro che certe cose non

devono accadere mai più e che

non dovevano accadere. È

successo più o meno il contra-

rio quindi la Polizia di Stato si

è chiusa, ha rifiutato di indaga-

re al suo interno, ha protetto i

responsabili di questa opera-

zione, quelli di grado più alto

addirittura li ha promossi e con

una copertura politica anche

molto netta e un ostacolo siste-

matico al lavoro della magi-

stratura. Omettere tutta questa

parte a mio avviso è una lacuna

di questo film.

Che clima si respirava a Ge-

nova in quei giorni?

In particolare quel giorno c’era

un clima molto teso, perché nel

pomeriggio precedente c’era

stata l’uccisione di Carlo Giu-

liani in piazza, durante gli

scontri seguiti alla carica di un

corteo. Quindi ci fu questo

grande corteo il sabato mattina,

che era stato ovviamente

preannunciato da tempo e fu

confermato che si svolgeva in

un clima molto particolare: era

dal ’77 che non avveniva l’o-

micidio di una persona in piaz-

za da parte delle forze dell’or-

dine, dunque il clima era piut-

tosto teso anche se la giornata

era cominciata -per come me la

ricordo- in maniera piuttosto

serena. Se non che poi il cor-

teo nel pomeriggio fu caricato

selvaggiamente, quindi si re-

spirò un clima di terrore per

molte ore, con elicotteri che

sorvolavano le zone dove co-

minciarono certi scontri, un

uso smodato dei gas lacrimo-

geni; quindi la sera di sabato

luglio quando si svolge la sce-

na che si vede nel film era un

momento dove apparentemente

era finito tutto, le persone era-

no anche un po’ sfinite dalla

situazione vissuta nel pomerig-

gio e poi invece abbiamo visto

che stava solo per cominciare il

“bello”.

Come mai pensa che le forze

dell’ordine abbiano agito in

quel modo?

Le motivazioni sono varie,

hanno a che fare, una lo ha

stabilito anche il processo, con

la volontà da parte della Polizia

di Stato in qualche modo di

riscattarsi agli occhi anche del

governo che era da poco cam-

biato, rispetto alla gestione

pessima dell’ordine pubblico

nelle giornate precedenti, di

venerdì e sabato: venerdì con

l’omicidio di Carlo Giuliani e

sabato con queste scene di

violenza in piazza, con gli

agenti che rincorrevano cittadi-

ni assolutamente inoffensivi. In

quel momento c’era quindi un

bisogno di riscatto e c’era il

bisogno, come ha spiegato il

vice capo della polizia An-

dreassi al processo, di fare un

numero congruo di arresti, e

quindi fu deciso di fare questa

l’Intervista

Page 13: Machiavelli Espresso III

13

Intervista a Lorenzo Guadagnucci, testimone dei fatti della scuola Diaz 21 LUGLIO 2001, NOTTE DI SANGUE E FOLLIA

operazione all’interno della

scuola Diaz. L’altro motivo è

un motivo di ordine politico:

questi arresti di manifestanti

presi un po’a caso, perché a

manifestazioni finite fatalmen-

te si prende un po’ a caso,

potevano essere fatti in vari

luoghi della città. Fu scelta la

scuola Diaz perché era in qual-

che modo il quartier generale

in quei giorni del Genova So-

cial Forum, cioè l’organizza-

zione che aveva organizzato le

manifestazioni. Resterebbe da

spiegare in realtà perché così

tanta violenza, e dobbiamo

considerare che il fatto che non

sia morto nessuno all’interno

della scuola Diaz è solo un

caso, perché il comportamento

degli agenti con l’uso di questi

manganelli “tonfa” fu assoluta-

mente scriteriato, miravano

alla testa. Io credo che questo

comportamento, fino a sfiorare

l’omicidio, sia legato un po’ al

contesto nel quale questa cosa

avviene, quindi il fatto che sia

stata impiegata una squadra

speciale preparata per situazio-

ni “estreme”, non agenti ordi-

nari, che viene utilizzata per

questa operazione che avviene

in un modo molto particolare:

l’unica perquisizione nella

storia della Polizia di Stato che

si sia svolta alla presenza di

massimi dirigenti di Polizia

nazionali. Non si è mai vista

una perquisizione dove c’è il

vice capo della Polizia, il capo

di tutti i reparti operativi italia-

ni. Dunque per gli agenti era

una situazione molto particola-

re, dall’altro -di questo sono

fermamente convinto- c’era la

garanzia dell’impunità per cui

ogni agente sapeva che non

sarebbe stato toccato. Ovvia-

mente non so se quest’impuni-

tà sia stata promessa esplicita-

mente, se in qualche modo

fosse implicita, anche per il

fatto che questi agenti sono di

fatto irriconoscibili: avevano il

casco, spesso avevano un faz-

zoletto sul viso, e in Italia non

c’è l’obbligo di avere un codi-

ce sulle divise, quindi per noi è

stato impossibile riconoscere i

singoli agenti, che hanno agito

con tutta la loro forza beduina

senza preoccuparsi delle conse-

guenze. E devo dire che hanno

avuto ragione perché nessuno

degli agenti picchiatori è mai

stato perseguito sotto nessun

profilo, né dalla Magistratura

né dalla Polizia di Stato perché

hanno voluto così, hanno volu-

to evitare di perseguirli anche

sul piano disciplinare. Questo

la dice lunga sul livello al qua-

le quest’operazione è stata

concepita e protetta.

Qual è ora il suo sentimento

verso le forze dell’ordine?

Il mio sentimento è un po’ di

preoccupazione perché questa

vicenda credo che sia stato il

punto più basso toccato dalle

forze dell’ordine italiane negli

ultimi decenni, credo che sia

ormai un fatto storico che ha

anche minato fortemente la

loro credibilità agli occhi dei

cittadini, dell’opinione pubbli-

ca internazionale. Il problema è

che da questa operazione si

poteva comunque uscire, risali-

re, si era toccato il fondo ma si

poteva ripartire. Io ho avuto la

sensazione che si sia invece

scavato attraverso le scelte che

sono state fatte dopo, scelte

non di ripudio di quell’opera-

zione. Immaginiamo quello

che sarebbe potuto succedere

in un paese un pochino più

civile del nostro: si sarebbe

detto, a cominciare dal mini-

stro, dal capo della Polizia, che

queste cose sono scandalose,

non devono accadere, che non

accadranno mai più, i respon-

sabili saranno immediatamente

sospesi, che saranno avviati

procedimenti disciplinari, che

collaboreremo con la Magistra-

tura, che vogliamo fare un’in-

chiesta su questi reparti specia-

li, questo in un paese normale.

In Italia è successo che nessu-

no si è preso la responsabilità

di niente, l’azione della Magi-

stratura è stata ostacolata siste-

maticamente per anni, provve-

dimenti disciplinari interni non

ne sono mai stati presi, sospen-

sioni nemmeno a parlarne,

addirittura abbiamo avuto pro-

mozioni dei massimi dirigenti

presenti all’operazione e la

Magistratura è andata avanti

contro la Polizia, contro il

potere politico. Poi siamo arri-

vati a delle condanne per i

l’Intervista

Page 14: Machiavelli Espresso III

dirigenti, condanne anche cla-

morose perché alcuni di questi

dirigenti, che erano arrivati nel

frattempo ai vertici della Poli-

zia, hanno perso sostanzial-

mente il posto per la sospensio-

ne dai pubblici uffici che han-

no avuto. Un’altra cosa piutto-

sto grave è che è vero che la

Magistratura è arrivata ad un

risultato importante con le

condanne della catena di co-

mando di questa operazione,

ma gli esecutori materiali dei

pestaggi, i picchiatori, sono

usciti assolutamente indenni da

questa vicenda. Il giorno dopo,

il 22 luglio 2001, sono tornati

pubblicamente in servizio e

nessuno più li ha disturbati. Il

motivo è che la Magistratura

indaga solo per responsabilità

personali, quindi solo se c’è

un’identificazione, ma questi

agenti non erano identificabili,

avevano il casco e spesso an-

che un fazzoletto sul naso. Non

essendoci per la Polizia italiana

l’obbligo di avere un codice

identificativo sulla divisa, è

impossibile identificare chi

compie un abuso. Però diciamo

che la Polizia di Stato si è rifiu-

tata di fare i conti con questa

operazione, non l’ha presa sul

serio e in qualche modo l’ha

legittimata. In sostanza questo

è il messaggio che arriva ai

cittadini: è successo, può risuc-

cedere. Perché se lo si ripudia

un episodio così, in qualche

modo si va avanti addirittura

con gli stessi uomini, è questo

il messaggio che si manda, non

solo ai cittadini ma anche a chi

lavora in Poli-

zia. Mi metto

anche nei panni di un poliziotto

onesto, rispettoso della legge,

che crede che la Polizia debba

avere un ruolo nelle istituzioni

democratiche, e sono sicura-

mente la maggior parte degli

agenti; io penso a loro e credo

che loro avrebbero diritto a

dirigenti un pochino più re-

sponsabili di così .

Quest’esperienza è stata defi-

nita la più grande negazione

di diritti umani in occidente

dopo la II guerra mondiale.

C’è secondo lei una verità di

fondo o le sembra un’esage-

razione?

Questa è una definizione di

Amnesty International, che

raramente si lascia andare ad

esagerazioni. È chiaro che al

G8 di Genova si è assistito ad

una sospensione dei diritti

costituzionali e ad una repres-

sione di massa soprattutto pla-

teale, come raramente capita di

vedere. Io invito a vedere le

immagini, non solo della scuo-

la Diaz, della quale non ci sono

immagini interne, ma le imma-

gini di piazza fanno anche

impressione: inseguimenti dei

cittadini da parte delle forze

dell’ordine con pestaggi a cielo

aperto e sotto l’occhio delle

telecamere sono cose che non

si vedono così di frequente...

Probabilmente lì c’è stata una

preparazione esasperata a que-

sto evento con l’aspettativa che

ci fosse chissà quale violenza

da parte dei manifestanti, e c’è

stata un’esagerazione nell’uso

della forza con forse una sotto-

valutazione del fatto che nel

frattempo erano emersi i tele-

foni cellulari, le telecamere a

basso costo, per cui in realtà

tutte le cose avvenute in piazza

sono state filmate e c’è una

documentazione enorme. Io

credo che la definizione di

Amnesty International abbia un

fondamento.

I fatti del film sono esagerati

o c’è stata questa violenza ?

Gli episodi di violenza all’in-

terno della scuola Diaz sono

tutti reali, veri. Sono stati mol-

to rigorosi nella ricostruzione

rispetto alle testimonianze che

sono state raccolte e alla docu-

mentazione disponibile, e addi-

rittura possiamo dire che la

violenza reale è stata più forte

di quella che si percepisce qui.

Quando vidi il film mi manca-

va qualcosa, anche negli episo-

di all’interno della scuola, e

cioè, forse sembrerà un para-

dosso per voi che l’avete visto

e magari vi ha molto impres-

sionato; secondo me mancava

l’angoscia che si viveva, per-

ché era così forte, così intensa,

anche nei suoni, nei rumori, nei

lamenti, nei pianti, negli urli,

che c’era una situazione che

purtroppo il film non ha resti-

tuito e probabilmente non può

restituire, non si può pretende-

re che un film possa restituire

queste sensazioni, questo stato

d’animo.

Da un punto di vista persona-

le, emotivo, come ha vissuto

questa vicenda?

Io ero andato al primo forum

sociale mondiale e quindi mi

sembrava naturale andare an-

che a Genova, che raggiunsi

l’Intervista

12 12 14

Page 15: Machiavelli Espresso III

per ragioni di lavoro solo il

sabato mattina. Anche durante

il corteo ho assistito a scene

che non avrei mai immaginato,

la mattina con la continua ne-

cessità di scappare di fronte al

lancio di gas lacrimogeni, ho

visto i ragazzi del Black Bloc

staccarsi dal corteo e andare a

rompere vetrine e a fronteggia-

re la polizia schierata. È stata

una giornata un po’ angoscian-

te, con un clima di paura.

Quella sera è stato tutto più

incredibile. Apparentemente

era finito tutto, la gente tornava

a casa, il G8 e la contestazione

al G8 era finita, vi era una

stanchezza generale all’interno

della scuola, dove mi fu consi-

gliato di dormire perché era il

quartier generale del Genoa

social forum. Quando è comin-

ciata la scena con l’irruzione

della Polizia è stato una specie

di ciclone, ho avuto appena il

tempo di svegliarmi, perché

stavo dormendo. Vedere questi

agenti che entrano correndo,

urlando, cominciando a pren-

dere a calci e manganellate le

persone che mi si trovavano di

fronte è una cosa che ti travol-

ge. Durante un’intervista in cui

mi hanno chiesto di dare come

un’immagine di questa vicen-

da, l’ho descritta come una

tonnara: un pezzo di mare dove

i pescatori circondano un ban-

co di tonni impedendo loro di

uscire e cominciano ad arpio-

narli uno ad uno. I tonni guar-

dano i loro compagni morire,

aspettando il proprio turno. Io

ero in un angolo della palestra

rispetto all’ingresso e gli agenti

entrarono cominciando a pic-

chiare persone, tutte con le

braccia alzate che gridavano

non violenza nelle varie lingue,

perché in larga maggioranza

erano stranieri. Ricordo una

sensazione di disperazione

perché capivo che agivano

senza controllo, e nessuno

poteva venire a salvarci. Io

all’epoca pensavo che quando

c’era una minaccia era la Poli-

zia a salvare la gente. Il proble-

ma è che la Polizia era la mi-

naccia incombente. Un pensie-

ro che ricordo di aver avuto è

stato di proteggere la testa. A

ripensarci ora ne sono ancora

un po’ stupito perché questi

agenti usavano questi manga-

nelli “tonfa” che per la prima

volta venivano portati in Italia.

Questi manganelli avevano

un’asta particolare con una

impugnatura più forte, gli sfol-

lagente classici se usati con

molta forza si spezzano. Sono

un’arma letale che può spacca-

re le ossa di un bue. La violen-

za bruta degli agenti è stata

sconvolgente, mi hanno squar-

ciato un braccio, due persone

sono andate in coma. La parte

peggiore per me non è stata il

pestaggio, la cosa più spaven-

tosa sono state le due ore infi-

nite, successive all’inizio del

pestaggio, all’uscita in barella,

nelle quali siamo stati dentro la

scuola. Il tempo trascorso è

stato il tempo del terrore. Io

per fortuna non ho avuto il

pensiero che altri hanno avuto,

ovvero che fosse solo l’inizio e

che ci avrebbero ammazzati. I

più piangevano, una ragazza

ebbe una crisi epilettica. La

sensazione che ricordo era di

non essere nulla: non mi ave-

vano chiesto il nome, è terribi-

le, quando non ti chiedono

l’identità sei pura carne a di-

sposizione di chi ha la forza

bruta dalla sua parte. Non era-

vamo nulla. Il primo momento

di sollievo che è arrivato è

quando forse lunedì pomerig-

gio, sono venuti in ospedale,

siamo stati interrogati e io ero

un accusato, la Polizia era

venuta per accusare i Black

Bloc, dicendo che avevamo

addirittura reagito con violenza

alla perquisizione. Eravamo

accusati di: porto di armi da

guerra, due molotov sono state

portate dalla Polizia dentro la

scuola, ma in quel momento

eravamo accusati di averle

detenute noi; resistenza a pub-

blico ufficiale; associazione a

delinquere finalizzata alla de-

vastazione e al saccheggio:

reati enormi anche nella loro

portata penale. Io ero accusato

e indagato per questi reati. I

magistrati vennero ad interro-

garmi perché io potessi dare la

mia versione. In quel momen-

to, per quanto fossi schiacciato

dal peso di queste accuse in-

comprensibili, il fatto che ci

fosse qualcuno con un ruolo

istituzionale, che riportasse il

tutto su dei binari un pochino

più accettabili, che fosse arri-

vato un avvocato mi ha un

pochino portato la comprensio-

ne di ciò che era accaduto.

Intervista a cura di

Annachiara Bressan, II B LC

l’Intervista

15

Page 16: Machiavelli Espresso III

LA SHOAH DI UN TOPO SOPRAVVISSUTO

C omprendere è quan-

to mai complicato

quando si parla di

Shoah. La retorica

ripetitiva che circonda la gior-

nata della memoria è sia l’em-

blema della complessità del

fenomeno sia una delle cause

che banalizzano questo dram-

ma, impedendo di compie-

re una riflessione adegua-

ta. Tuttavia si può provare

innanzitutto a confrontarsi

con questo orrore. Si può

provare a leggere, ad

esempio, un cult del suo

genere: “Maus, racconto di

un sopravvissuto”.

Non è facile raccontare la

Storia. Trattare una vicen-

da così drammatica. Figu-

rarsi in un fumetto. E l’au-

tore, Art Spiegelman, fi-

glio di due sopravvissuti,

lo sa bene. Questo lavoro

lo impegna per anni: vi

infonde tutte le sue cono-

scenze, le esperienze di

una vita, ed il risultato è

una vera e propria pietra

miliare del fumetto ameri-

cano, insignita persino del

premio Pulitzer.

Il suo è un metafumetto che si

basa sul racconto veritiero

della giovinezza del padre,

Vladek Spiegelman, un ebreo

polacco, dalla vita agiata degli

anni ’30, al degrado del ghetto,

fino alla disperazione del lager.

La narrazione a flashback è

intervallata da momenti in cui

Art racconta

anche la propria condizione di

figlio nel presente, condiziona-

to dal difficile rapporto col

genitore. La particolarità sta

tutta nel trasformare le persone

in animali, una specie diversa

per ogni etnia: gli ebrei sono

topi, i tedeschi gatti, gli ameri-

cani cani, i polacchi maiali. La

Shoah appare perciò come una

gigantesca caccia del gatto al

topo, ma è un’immagine che

Spiegelman riprende dalla

retorica nazista stessa. Il suo è

un modo per farci leggere la

storia di una famiglia ebrea con

gli occhi di un nazista. E mai

quanto durante la detenzione

nei campi di concentramento la

“metafora” si fa tanto verosi-

mile e sinistra. Ma è innegabile

che dietro a quei volti da topo-

lini si nascondano delle perso-

ne: ci parlano d’amore, prova-

no dolore; dimostrano tutta la

loro essenza di una vecchia

famiglia dell’Europa orientate

con quei loro discorsi fatti di

sofferenza, umorismo e diverbi

quotidiani.

Spiegelman tuttavia non

vuole lasciare spazio a

troppa retorica, intende

raccontare la realtà per

quella che è ed è stata.

Instaura perciò un rap-

porto senza mediatori,

schietto, personale e

quasi brutale fra lui ed il

lettore, il quale si trova

di fronte ad una storia di

famiglia raccontata an-

che nei suoi aspetti più

privati ed intimi. Art si

rifiuta di rappresentare

suo padre come l’eroe

senza macchia: vuole

farne un ritratto oggetti-

vo e preciso e, senza

remore, delinea anche gli

aspetti più biechi e sgra-

devoli della sua persona-

lità. Emerge quindi mano a

mano quella stereotipata avidi-

tà, quell’insensato razzismo,

quel rapporto conflittuale con

la seconda moglie, quello mor-

boso con la prima, ormai de-

funta, quell’“affettuosa insensi-

bilità” col figlio. E poi c’è quel

pragmatismo e quell’astuzia

accomunate da un celato op-

portunismo ed un egoismo

12

Cultura

12 16

Page 17: Machiavelli Espresso III

LA SHOAH DI UN TOPO SOPRAVVISSUTO

assoluto. “Tu non capisci! (…)

In quel periodo ognuno pensa-

va per sé!” dice Vladek. Ma se

quei comportamenti gli hanno

salvato la vita ad Aushwitz, ora

Vladek sembra incapace di

tornare a vivere prima di

quell’orrore. Il tempo per lui si

è fermato in quel momento e

non è più riuscito a farlo scor-

rere. La Shoah è stata un’espe-

rienza tanto devastante che i

suoi effetti sulle persone si

sono manifestati anche e so-

prattutto dopo, comprometten-

do i rapporti con gli altri. Non

tutti sono riusciti a superare un

tale avvenimento: Anja, prima

moglie di Vladek e madre di

Art, si è uccisa, seppure fosse

sopravvissuta ai lager; si corre

il rischio di diventare degli

assassini della memoria, come

Vladek quando distrugge i

diari della moglie. In definiti-

va, sembra dirci Art, la soffe-

renza non nobilita ma mortifica

ed impedisce di apprendere

dalla vita.

Art tuttavia vuole superare il

dramma della Shoah, vuole

vivere e voltare pagina senza

dimenticare. Maus è quindi

anche una risposta tutta parti-

colare a quell’orrore che ha

impedito ad Anja e Vladek di

costruire un rappor-

to sano col figlio. È

un modo ed il ten-

tativo di Art di

capire il padre,

ascoltando, esami-

nando e narrando la

sua storia. La me-

moria assume per-

ciò un duplice ruo-

lo, di obiettivo e di

strumento, il cui

fine è quello di

evitare il ripetersi

di simili orrori.

Trattare la Shoah

significa per Spie-

gelman confrontar-

si con una visione

della storia e

dell’umanità; signi-

fica esporla per

potervi riflettere e

farvi riflettere. È

una partecipazione

attiva nella lettura e nel raccon-

to della Storia, che passa per

un confronto col presente.

L’intento non è quello di cele-

brare i morti ma di creare una

memoria per i vivi. Maus non è

soltanto l’illustrazione di ricor-

di e storie per evitare che si

dimentichino, ma un indirizza-

re ad una riflessione sul pre-

sente, che per Art è funzionale

alla comprensione della figura

del padre. È lecito e giusto

soffermarsi di fronte ai memo-

riali ma non è abbastanza.

Perché c’è il rischio di rimane-

re ancorati ad un passato incer-

to ed indeterminato, a vicende

che magari indignano la co-

scienza ma da cui essa si può

facilmente sciogliere e slegare.

Eventi passati, a cui essa non

ha partecipato e che si crede, in

fondo, non la riguardano.

Art è nato subito dopo la guer-

ra, ma l’influenza trasmessagli

dai genitori di ciò che è stata la

Shoah lo continua a condizio-

nare. Tuttavia egli, alla fine, è

l’unico ad aver superato questo

dramma. Ci è riuscito investen-

do tutto il suo enorme talento

in Maus, in quello che alla fine

è un racconto di formazione, il

cui protagonista è Art stesso.

L’unico, vero, sopravvissuto

che riafferma sé stesso con la

propria arte.

Marco Ridolfi

II C LC

Cultura

17

Page 18: Machiavelli Espresso III

LONDON CALLING

C ome tutti voi proba-

bilmente già saprete,

Londra, la magnifi-

ca capitale del Re-

gno Unito, non è soltanto la

capitale della cultura, della

storia e della letteratura, ma è

anche e forse soprattutto la

capitale della musica.

Affermazione scontata e certa-

mente risaputa, ma vi siete mai

chiesti perché proprio Londra e

non qualsiasi altra capitale del

mondo ha sempre ospitato e

dato il via alle più grandi rivo-

luzioni culturali e musicali? Se

la risposta vi è nota tanto me-

glio per voi, se non lo sapete,

invece, sarò lieta di

“accompagnarvi” in questo

viaggio attraverso le varie fasi

della cultura musicale di una

città che, citando la canzone

“The City” di Ed Sheeran,

“chiama perfino i suoi abitanti

degli stranieri, dei viaggiatori,

ma che dopotutto li accoglie

subito a casa”.

Il nostro viaggio nella “musica

londinese” comincia nel

“lontano”, ma non troppo,

1958, con l'apertura del Mar-

quee Club, ad Oxford Street.

Ormai Londra era già una città

multirazziale e multiculturale,

che accoglieva ogni genere di

etnia e popolazione.

Probabilmente per questo fatto-

re i generi musicali del jazz e

del blues erano stati

“importati” in Gran Bretagna.

Il Marquee Club

offriva appunto questo tipo di

musica, mischiato però al Roc-

kabilly, genere molto popolare

in Inghilterra in quel periodo.

Il primo gruppo di un certo

ragazzo chiamato John Len-

non, i Quarrymen, suonava

appunto questo genere musica-

le, che è poi confluito nelle

sonorità di un'altra grande band

inglese che ha fatto la storia.

Indovinate un po' di chi sto

parlando? I Beatles dite? Beh,

bravi, avete indovinato.

Al Rockabilly è seguito il ge-

nere Swing, e in un secondo

momento quello del Rock and

Roll. A quel tempo i gruppi più

in voga erano, solo per citarne

alcuni, i Beatles appunto, ma

anche i Rolling Stones, e i The

Yardbirds. Degli Yardbirds

facevano parte tre di quelli che

sarebbero diventati i più grandi

chitarristi di tutti i tempi: Jim-

my Page, Eric Clapton e Jeff

Beck. Cominciate a sentire un

senso di inferiorità? Bene,

anche io. Jimmy Page stesso,

che sarebbe poi diventato il

chitarrista di un gruppo qua-

lunque come i Led Zeppelin,

mosse i suoi primi passi per

l'appunto proprio nel Marquee

Club.

Lo studio discografico all'epo-

ca era, invece, l'IBC Recording

Studios, in cui registrarono, tra

gli altri, i Beatles, Bob Dylan e

Jimi Hendrix, che insieme alla

sua band si esibiva inoltre an-

che nel Marquee Club (insieme

a persone del calibro dei Rol-

ling Stones, i The Who e David

Bowie). Per gli appassionati,

immancabile la visita alla sua

casa al numero 23 di Brook

Street, se passate nei paraggi.

Negli anni settanta nasce a

Londra un'altra band che mi è

impossibile non citare, ovvero i

Queen. Quasi contemporanea-

mente ai Queen, nasce inoltre

uno dei forse più evidenti segni

che ormai la musica era diven-

tata parte integrante, se non

preponderante dell'universo

londinese dell'epoca, ovvero il

programma televisivo “Top of

the Pops”, che ogni settimana

proponeva la classifica dei

dischi più venduti. Sembra

forse una sciocchezza, ma

prima che un programma del

genere prendesse piede in Italia

sarebbero dovuti passare sem-

pre alcuni anni.

Alla fine degli anni Settanta

prende piede il movimento

musicale per cui forse Londra è

più famosa (forse secondo solo

alla Beatles Mania), il movi-

mento Punk, quello vero, quel-

lo con la P maiuscola che tanti

gruppi moderni cercano invano

di imitare. Il punk per cui an-

dava pazza la generazione

degli anni 60, il punk che sono

costretta ad ascoltare in casa da

anni, quello per cui mio padre

farebbe pazzie e che gli ricorda

i suoi 18 anni, il punk dei Sex

Pistols e dei Clash. London

12

Musica

12 18

Page 19: Machiavelli Espresso III

LONDON CALLING

Calling dei Clash viene consi-

derato un inno nazionale per

gli inglesi molto più dell'inno

nazionale stesso. Non mi scor-

derò mai di quando, appena

arrivata a Londra nel 2008, per

la chiusura dei Giochi Olimpici

di quell'anno, all'annuncio che

i prossimi si sarebbero tenuti

nella capitale inglese, un coro

di almeno 1000 persone situate

in Trafalgar Square ha comin-

ciato a cantare, per l'appunto,

London Calling. Sono cose che

non si scordano, fatevelo dire.

Negli anni Ottanta, il panorama

musicale inglese cambiò ulte-

riormente, e portò nel mondo

della musica nomi noti come

Billy Idol, i Dire Straits, The

Cure, Depeche Mode, The

Police, Simple Minds, e anche

“boy-band” come Duran Duran

e Spandau Ballet, oggi consi-

derati grandi nomi della musi-

ca (ricordatevelo quando criti-

cate le boy band attuali. Potre-

ste avere ragione, ma magari

vostro figlio in futuro vi verrà

a dire che hanno rivoluzionato

la storia della musica e voi non

potrete farci niente).

Questa era anche l'epoca della

New Wave e della musica

Electro Pop, di band come i

The Smiths, emblema della

depressione adolescenziale e

non solo, che hanno affascinato

generazioni su generazioni, ed

erano anche gli anni degli U2.

La metà degli anni 90 porta

alla luce gruppi come gli Oasis

e i Blur e Londra diventa l'epi-

centro del Britpop. La canzone

“Wonderwall” degli Oasis , ad

ora, è una delle canzoni di cui

sono state fatte più cover nel

corso della storia, ed una delle

canzoni che i giovani inglesi

innamorati cantano con tutta la

forza che hanno nei polmoni.

Arrivati quindi ai giorni nostri

potremmo affermare che or-

mai, dopo gli splendori passati,

Londra non ha più nulla da

offrire, ma questa affermazione

sarebbe completamente erro-

nea.

Le nuove stelle del firmamento

musicale inglese, come i

Coldplay, la scomparsa Amy

Winehouse, e i The Libertines

sono solo alcuni dei grandi

nomi che il panorama musicale

londinese ci può offrire di que-

sti giorni, un panorama che

non smette mai di stupirci.

Consigliato l'ascolto:

- The City – Ed Sheeran

- Hometown Glory – Adele

- Wests End Girl – Pet Shop

Boys.

- Wonderwall – Oasis.

- Waterloo Sunset – The

Kinks

- London – The Smiths.

Silvia Giorgetti II C LC

Musica

19

Page 20: Machiavelli Espresso III

UNA GRANDE STAGIONE DEL CINEMA

L a storia del cinema,

come quella di

qualsiasi arte, è

fatta di periodi

eterogenei: attimi di crisi, fasi

stagnanti, momenti positivi. E

poi ci sono quelle grandi sta-

gioni floride e “speciali”, que-

gli anni in cui qualsiasi idea

può essere lo spunto per creare

qualcosa di indimenticabile.

Una stagione come quella della

New Hollywood. E' il 1967.

Dopo l'assassinio di John Ken-

nedy nel '63 è diventato presi-

dente degli Stati Uniti Lyndon

Johnson, che ha incentivato

l'intervento delle truppe armate

americane nella guerra del

Vietnam. Gruppi musicali

innovativi come i Beatles e i

Rolling Stones hanno ormai

raggiunto il massimo della

popolarità, mentre il movimen-

to hippie si sta rivelando al

mondo con la Summer of Lo-

ve. Nell'aria si sente la voglia

di cambiare, di fare qualcosa di

nuovo che renda i contempora-

nei diversi da tutti coloro che li

hanno preceduti. Il laureato di

Mike Nichols riuscirà bene a

dar voce sul grande schermo a

questo sentimento. Un giovane

Dustin Hoffman, divenuto

apatico e indolente dopo aver

ottenuto la lau-

rea, viene sedot-

to da un'amica dei genitori, una

donna sposata che ha una figlia

della sua stessa età. Fu un suc-

cesso di pubblico e critica:

nessuno, fino ad allora, aveva

saputo mostrare

con tanta inten-

sità le proble-

matiche dei

giovani legate

ai rapporti con

il mondo e in

particolare con

le generazioni

precedenti. E'

con questo film

che inizia la

stagione della

così detta New

Hollywood, la nuova stagione

del cinema americano, che avrà

l'occasione di rifarsi su quello

europeo (allora molto più ap-

prezzato) per creare qualcosa

di nuovo. Fu come se il film di

Nichols avesse dato uno scos-

sone così forte da risvegliare

tutti coloro che fino a quel

momento erano rimasti sopiti. I

registi cominciarono ad affran-

carsi dalle grandi produzioni,

che fino ad allora li avevano

limitati o censurati, e, guada-

gnato il pieno controllo delle

loro creazioni, ebbero l'occa-

sione di dar vita alle loro idee e

di affrontare temi che fino ad

allora erano considerati dei

tabù.

Dennis Hopper e Easy Rider ci

portano nel mondo libero e

pericoloso dei “biker”. Francis

Coppola con Il padrino e Brian

De Palma con Scarface ci mo-

strano in modo affascinante ma

realistico il terribile mondo

della malavita. E mentre Mar-

tin Scorsese mette in scena per

la prima volta i bui e sporchi

bassifondi delle grandi città

con Taxi Driver, John Landis

si prende gioco delle università

americane con Animal House.

In questo periodo divengono

famosi giovani attori che gra-

zie al loro talento hanno saputo

dare un volto a questa ondata

di creatività: oltre al già citato

Hoffman, Jack Nicholson, Al

Pacino, Robert De Niro, John

12

Cinema

12 20

Page 21: Machiavelli Espresso III

UNA GRANDE STAGIONE DEL CINEMA Belushi e tanti altri. Questi

nomi e titoli dimostrarono alle

produzioni che il nuovo e l'al-

ternativo piacevano, e avevano

annche un buon successo di

bottheghino. Non temendo più

la censura, che fino a quel

momento negli Stati Uniti era

stata fortissima (ricordiamo, a

titolo di esempio, che Charlie

Chaplin fu esiliato con l'accusa

di essere un dissidente comuni-

sta a causa della forte critica

sociale contenuta nelle sue

pellicole), i registi hollywoo-

diani si sentirono liberi di guar-

dare con realismo e disincanto

alla loro nazione e anche al

resto del mondo, proprio come

già facevano i loro colleghi

europei. Molti dei film più

famosi di questo periodo sono

drammatici, poiché è un genere

che ben si presta alla dissacra-

zione di un periodo storico o di

un archetipo di personaggio,

ma presto la ventata di libertà

toccò anche altri generi: si ha

meno paura di mostrare la

violenza, sia negli western (Il

mucchio selvaggio di Sam

Peckinpah) che nelle pellicole

d'azione (Distretto 13-Le bri-

gate della morte di John Car-

penter); gli horror divennero

sempre più spinti ed espliciti

(L'esorcista di William

Friednik); anche la fantascien-

za divenne capace di farsi por-

tavoce di messaggi di critica

(1997-Fuga da New York sem-

pre di Carpenter, e Blade Run-

ner di Ridley Scott). Insomma,

un periodo veramente florido,

in cui chiunque sapesse fare

film poteva cimentarsi nella

settima arte.

La stagione della New Holly-

wood finì negli anni ottanta,

quando le produzioni tornarono

alla carica, e i film americani

divennero i bloackbuster che

oggi conosciamo. Sono gli

anni di Steven Spielberg, di

George Lucas, di Sylvester

Stallone e di Arnold Schwar-

zenneger. Quest'ultimo guada-

gnò tanta fama sul set da poter

diventare, in seguito, governa-

tore della California, un po'

come Ronald Reagan, che

divenne presidente degli Stati

Uniti nel 1981, ma che

prima era un noto attore

di film western.

Finì quindi una grande

stagione del cinema ame-

ricano, in cui la novità si

accompagnava alla de-

nuncia sociale. A noi,

della New Hollywood,

rimangono i capolavori di

quell'epoca, che ancora

oggi sono capaci di farci

sognare.

Giovanni Giannini II C

LC

Cinema

21

Page 22: Machiavelli Espresso III

un venditore di illusioni

C ontinua la grande

corsa e l’ascesa al

successo del nuovo

film del grande

Martin Scorsese, The Wolf of

Wall Street. In poco più di una

settimana ha già guadagnato

5,7 milioni di euro solamente

in Italia! Con ben cinque nomi-

nation agli Oscar, in poco tem-

po ha acquisito un biglietto da

visita da far venire la pelle

d’oca. Jordan Belfort è un

giovane agente di borsa, o in

gergo finanziario “broker”, che

entra nel mondo di Wall Street

nello sfortunato 19 ottobre

1987, il lunedì nero. Natural-

mente durante il suo periodo di

prova l’innocente ed ingenuo

newyorkese impara tutti i truc-

chi del mestiere, in modo tale

da essere capace in seguito di

fondare la propria società.

Attraverso le sue grandi abili-

tà di persuasione addestra un

ristretto gruppo di adepti e

riesce in breve ad arricchirsi

presentandosi a testa alta a

Wall Street. “Tutto questo era

legale?... Assolutamente no”.

Con questa frase il film si

accende. Scopriamo infatti

tutte le strategie del mondo

della borsa. Ciò che si vende

al mercato azionario non è un

vero e proprio

prodotto, ma

una sorta di illusione: l’illusio-

ne che si tratti di un bene indi-

spensabile per l’acquirente.

Questo fa salire alla stelle il

prezzo dei titoli. Le scene co-

minciano a susseguirsi con

molta velocità rendendo questa

prima parte densa di avveni-

menti. L’obbiettivo del regista

è mostrarci una perfetta analisi

antropologica dell’uomo avido

che è letteralmente condiziona-

to dal denaro, finendo nel vizio

della droga e della prostituzio-

ne. L’interpretazione di Leo-

nardo Di Caprio è magistrale: è

riuscito ad immedesimarsi

perfettamente nel personaggio

dimostrando di poter migliorar-

si da film a film (possiamo

infatti ricordare il ruolo ne “Il

Grande Gatsby”, nel quale, con

la sua eccentricità, ha incantato

il pubblico). Neovincitore del

Golden Globe, è già in prima

fila per ricevere l’ Oscar che

insegue ormai da anni. Chi

invece è nuovo a questa candi-

datura è Jonah Hill, in lizza

all’ambito premio come attore

non protagonista. Nel film si

mette in luce in modo partico-

lare, alleggerendo il peso delle

scene con una comicità che lo

ha caratterizzato in molte delle

sue interpretazioni.

Per tornare al protagonista,

attraggono le sue capacità di

affabulatore, con le quali riesce

a motivare ed esaltare i suoi

collaboratori spingendoli nella

direzione del facile guadagno e

dell’arricchimento: “Non c’è

nobiltà nella povertà, sono

stato un uomo ricco ed un uo-

12

Cinema

12 22

THE WOLF OF WALL STREET

Page 23: Machiavelli Espresso III

un venditore di illusioni mo povero e scelgo di esse-

re ricco tutte le volte!”.

Un film che fa riflettere. A

cosa porta la sete insaziabi-

le di denaro? A cosa porta

l’ambizione, l’arrivismo,

l’arrampicata sociale di

Jordan Belfort? Perde i veri

affetti, vive una vita srego-

lata ed anche le amicizie

che contrare si rivelano

fasulle.

Ciò che resta a noi spettato-

ri è la determinazione di un

uomo che, pur trasgredendo

le regole, si rivela un perso-

naggio positivo nel rispetto

dei valori dell’amicizia e

della famiglia.

Davide Innocente V A LC

Libri

23

GLI SDRAIATI

T ra i vari libri

pubblicati di

recente, ha certa-

mente suscitato

scalpore la breve, tuttavia

interessante, opera "Gli

sdraiati" di

Michele Serra.

Il giornalista di

Repubblica, in

questo suo

scritto, dipinge

una realtà fa-

miliare, nella

quale molti

padri e figli

possono rispec-

chiarsi: il più

giovane tra i

due sceglie,

assieme ai pro-

pri coetanei, di

trascorrere la sua circo-

scritta primavera attiva-

mente sdraiato sul divano

di casa, con gli occhi in-

collati allo schermo del

PC, senza mai mettersi in

pausa da quel vasto mondo

virtuale. Dissimile è, inve-

ce, la sorte, ed anche l'opi-

nione, del più adulto, il

quale sembra dover svol-

gere molteplici attività

fondamentali per un'armo-

niosa convivenza recipro-

ca, senza altresì riscontrare

interesse alcuno da parte

del minore. Entrambi ten-

tano, ciascuno con i mezzi

a propria disposizione, di

coinvolgersi reciprocamen-

te l'uno nell'universo

dell'altro, mettendo così in

luce l'eterno scontro gene-

razionale

presente

tra genito-

ri e figli.

Nonostan-

te possa

apparire

un banale

scritto

sull'adole-

scenza, il

testo del

Nostro

enuclea

spunti e

riflessioni

con interessanti, nonché

inaspettate, pennellate di

pura genialità, affascinanti

quanto la stessa gioventù.

Si intrecciano la tramonta-

ta giovinezza paterna con

l'infantile senescenza del

figlio e si viene, quindi, a

creare una mistica unione

d'anime, tanto contrappo-

ste quanto simili, con cui

l'autore invoglia il lettore a

sfogliar pagine alla ricerca

di un'ennesima complicata

svolta.

Iacopo Cotalini I A LC

Page 24: Machiavelli Espresso III

12 12

ULTIME USCITE

24

Ultime Uscite

MUSICA

- Aloe Blacc – The Man –

Febbraio 2014

- Beck – Morning Phase –

25/02/14

- Foreigner – I Want to

know what love is – The

Ballads – 04/02/14

- Gary Barlow – Since I

Saw you Last – 04/02/12

- George Michael – Let her

down easy – 14/02

- Katy Perry – Dark Horse

– 14/02

- Young the Giant – Mind

over Matter – Febbraio 2014

- Zucchero – Solo in questo

stato – Febbraio 2014

LIBRI

- Premiata ditta Sorelle

Ficcadenti

Narrativa italiana » Romanzi

- Non puoi tornare a casa

Nuovo

Narrativa straniera » Gialli,

Thriller, Horror

- Smamma

Narrativa italiana » Romanzi

- Punch al rum

Narrativa straniera » Gialli,

Thriller, Horror

- Il ritorno del killer

Narrativa straniera » Gialli,

Thriller, Horror

- Il collare della colomba

Narrativa straniera » Ro-

manzi

- Non l'ho mai detto

Narrativa straniera » Gial-

li, Thriller, Horror

- All'improvviso la feli-

cità Narrativa straniera » Let-

teratura rosa

- Il battesimo del fuoco

Narrativa straniera » Fan-

tasy

- Heaven

Narrativa straniera » Fan-

tasy

- Come il vento tra i

mandorli Narrativa straniera » Ro-

manzi

FILM

-Dragon Ball Z - La batta-

glia degli Dei—animazione

- Justin Bieber's Believe—

documentario, 4 febbraio

- Smetto quando voglio—

commedia, 6 febbraio

- A proposito di Davis—

drammatico, 6 febbraio

- RoboCop—fantascienza, 6

febbraio

- All Is Lost - Tutto è per-

duto—drammatico, 6 feb-

braio

- Which Way is the Front

from Here? The Life and

Time of Tim Hethering-

ton— documentario, 6 feb-

braio

- Walt Disney e l'Italia -

Una storia d'amore—

documentario, 10 febbraio

- Monuments Men— dram-

matico, 13 febbraio

- Storia d'inverno—

fantastico, 13 febbraio

- 12 anni schiavo— biogra-

fico, 20 febbraio

- Lone Survivor—azione,

20 febbraio

- Saving Mr. Banks—

commedia, 20 febbraio

- Amori elementari— com-

media, 20 febbraio

- Snowpiercer - azione, 27

febbraio

Page 25: Machiavelli Espresso III

25

I l 19 dicembre, presso l’Aula Magna della

sede del Liceo Classico in via degli Asili,

è stata rappresentata una “lettura” della

tragedia “Edipo Re” di Sofocle, realizzata

dalla classe IIIB del Liceo Classico e nata da

un’idea della prof.ssa Lucia Raffaelli, con la

preziosa collaborazione della prof.ssa Elisabetta

Bellora e l’aiuto delle famiglie. La storia è quel-

la di Edipo, il quale un giorno uccide Laio, re di

Tebe, senza sapere che è suo padre, diventando

re al suo posto e sposandone la moglie Gioca-

sta, senza sapere che è sua madre. Passato del

tempo, il regno è afflitto da una terribile pesti-

lenza; Edipo viene a sapere che questa è stata

mandata per colpire l’assassino di Laio e solo

dopo la sua punizione potranno tornare pace e

serenità. Così Edipo parla con l’indovino Tire-

sia, il quale gli fa capire che proprio lui è l’as-

sassino e gli rivela che Giocasta, sua moglie, è

anche sua madre e che Laio era suo padre; così,

dopo un drammatico confronto con la moglie –

madre, il susseguirsi delle vicende porta alla

morte di Giocasta, che si impicca e all’ autoac-

cecamento di Edipo.

L’idea dei ragazzi ha sviluppato in modo origi-

nale e piacevole una storia su due piani tempo-

rali diversi e paralleli, quello contemporaneo e

quello antico. Il primo svolge la funzione narra-

tiva della “cornice”. La prima scena si apre

infatti con tre ragazze che, trovandosi a sorseg-

giare qualcosa al bar, leggono il giornale e si

imbattono in un articolo che parla di un uomo

che è ha ucciso il padre e si è accecato; intervie-

ne una cameriera, la quale ha sentito l’argomen-

to della discussione, e si ferma a commentare

l’accaduto, ricordando la vicenda di Edipo; al

gruppo si unisce anche la capocameriera. Nelle

scene successive, con la tecnica del flashback,

viene rappresentata un’agile sintesi della storia

di Edipo, resa interessante e avvincente. Le

scene della vicenda antica vengono raccordate

da quelle della cornice attuale con i commenti

all’interno del bar. La rappresentazione, durata

meno di un’ora, è stata condotta bene, non solo

per la bravura dei ragazzi, che si sono rivelati

efficaci nell’arte della recita, ma anche per

l’accuratezza degli scenari, per le luci e per i

costumi. Il tutto è riuscito a creare un’atmosfera

misteriosa e sacrale, di notevole suggestione;

particolare il fascino delle musiche, eseguite

strumentalmente dagli stessi ragazzi.

Sono stati quindi ben accolti e soprattutto molto

meritati gli applausi del pubblico numeroso,

soddisfatto dell’opera, frutto di tanto lavoro ed

impegno ( pur in un arco ridotto di tempo) e di

pazienti prove. Molto gradito è stato anche il

video finale, che ha mostrato scene divertenti

del “dietro le quinte” (“back stage”), e come sia

stato sentito e partecipato il lavoro.

5 gennaio 2014

Matilde Dal Canto IV A LC

SOFOCLE, EDIPO E LA 3B

DEL LICEO CLASSICO

Cronaca Scolastica

Page 26: Machiavelli Espresso III

IL MAESTRO INTERROGA Il maestro interroga.

Fu chiamato Coretti e gli venne chiesto

quanto facesse 7x8. Egli rispose che faceva

52 e il maestro allora scosse il capo

“Nossignore” esclamò categorico. “Fa

56!”.

Un mormorio di protesta si levò dai banchi.

Franti si alzò di scatto e batté minaccioso il

pugno sul banco, ma il Cln scolastico, con-

trario ad ogni azione di violenza, gli impo-

se la calma e delegò Garoffi a esporre il

punto di vista della massa.

“Compagni” prese a dire Garoffi con impe-

to “dopo vent’anni di dittatura, di soprusi,

di dogmatismo politico, permetteremo che,

eliminato un duce, sorgano mille altri duci?

Permetteremo che si scriva su quella catte-

dra “Il maestro ha sempre ragione”?

Tutti urlarono che non l’avrebbero mai

permesso e Garoffi continuò: “E allora non

si accetti quella verità che ci è imposta da

chi ha un posto di comando, ma si cerchi la

verità attraverso la libera decisone del po-

polo! Sette per otto non deve fare cinquan-

tasei perché così vuole questo piccolo duce

che siede in cattedra! Sette per otto farà

quel che vuole il popolo”.

Cessati gli applausi, prese la parola il mae-

stro il quale si difese affermando che non

lui imponeva che sette per otto facesse

cinquantasei, ma la tavola pitagorica, che

non l’aveva inventata né lui né il fascismo,

ma che vigeva da secoli e secoli.

“Noi infrangeremo le tradizioni” gridò

Garoffi. “Noi spezzeremo le reni ai conser-

vatori, nemici del progresso e del popolo.

Noi elimineremo il sopruso di una tavola

che vieta al popolo il ragionamento e l’au-

todecisione! Non più “la tavola pitagorica

ha sempre ragione!” ma “il popolo ha sem-

pre regione!”. Basta anche coi duci dell’a-

ritmetica!”. Tutti si alzarono in piedi gri-

dando “Votazioni! Votazioni!”. E il Cln

dichiarò aperta la discussione pubblica

dopo la quale avvennero le votazioni.

E così risultò che 7x8 fa 53. Si alzò allora

Garoffi e in un silenzio che non esitò a

chiamare storico disse: “ Signor maestro, il

popolo ha deciso: sette per otto fa cinquan-

tatré. Noi comprendiamo i motivi senti-

mentali e gli interessi di categoria che la

legano al cinquantasei della tradizionale

tavola pitagorica. Ma per l’interesse comu-

ne ai fini della ricostruzione debbono cade-

re motivi sentimentali e interessi personali.

Dalla sua decisione dipende l’abbattimento

o meno delle barriere che fino a oggi hanno

diviso la borghesia dal popolo!”.

Lento e solenne il maestro si alzò. Rimase

immobile, l’occhio fisso. “Sia fatta la vo-

lontà del popolo! Disse “ sette per otto cin-

quantatré”.

Ci abbracciammo e singhiozzammo di te-

nerezza.

Tratto da Cuore epurato, scritto da Gio-

vannino Guareschi e pubblicato sul Candi-

do il 9 febbraio 1946

Barzellette

12 12 26

Page 27: Machiavelli Espresso III

Giochi

27

Page 28: Machiavelli Espresso III

Hanno collaborato a questo

numero:

Marco Ridolfi

Alessandro Marchetti

Martina Andreini

Annachiara Bressan

Mia Belen Martinez

Rachele Pellegrini

Giovanni Giannini

Silvia Giorgetti

Iacopo Cotalini

Alice Melosi

Matteo Anastasio

Matilde Dal Canto

Davide Innocente

Claudia Cristiani

Copertina e vignette: Marco Ridolfi

Ringraziamenti speciali a

Prof.ssa Visconti Elisabetta

Prof.ssa Batistoni Donatella

Prof. Galletti Paolo

per la correzione delle bozze

Sig. Stefano Giampaoli

per la collaborazione in fase

di impaginazione

Prof. Giorgio Macchiarini

per la stampa del giornalino

28

Ringraziamenti

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