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MANIFESTAZIONI NAZIONALI NEL 60° DELLA COSTITUZIONE DELL’ANRP (1948 - 2008) L’ ANRP VERSO IL FUTURO: DA ASSOCIAZIONE A FONDAZIONE Sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica rassegna mensile socio-culturale della anrp n.3-4 Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27-02-2004 n. 46) art. 1, comma 2 - DCB Roma mensile socio-culturale n.3-4 Marzo - Aprile 2008 della anrp

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    mensile socio-culturalen.3-4

    Marzo - Aprile 2008

    della anrp

  • 3editoriale

    Dare alle stampe un giornale come“rassegna” non è cosa facile. Questavolta più che mai. Infatti, in questidue mesi (marzo aprile) si sono rin-corsi svariati ed importanti eventi,sia a livello nazionale che interna-zionale, nonché avvenimenti asso-ciativi o legati agli ideali dell’ANRP

    che meriterebbero di essere tutti sottolineati: in Italia,per citarne il più rilevante, le elezioni politiche del 13-14 aprile 2008, che hanno riportato risultati a sorpre-sa; all’estero, le manifestazioni contro la violazionedei diritti umani da parte cinese nel Tibet, che stannoaccompagnando ovunque il percorso della Fiaccolaolimpica. Per questo numero di “rassegna” ci vediamopurtroppo costretti, per ovvie ragioni di economia, arinunciare alla solita formula ad ampio spettro, perprivilegiare la cronaca delle cerimonie legate allafesta del 25 aprile e alle manifestazioni promosse peril 60° anniversario della costituzione dell’ANRP(1948-2008), poste sotto l’Alto Patronato delPresidente della Repubblica, rinviando ai prossiminumeri sia le consuete rubriche, sia la trattazione deglialtri argomenti sopra accennati.Tuttavia non possiamo, almeno in questa pagina, nonaccennare agli interminabili tempi che si stannoincontrando per le procedure relative alla consegnadella Medaglia d’Onore ai deportati ed internati neilager nazisti (la legge istitutiva è del dicembre 2006!).“Le leggi son, ma chi pon mano ad elle”. Le parole diDante, tratte dalla “Divina Commedia”, cadono ben aproposito quando si intenda meditare sul “vizio” –tipicamente, anche se non esclusivamente italiano –consistente nello studiare e formulare migliaia di dise-

    gni e proposte di legge che spesso non giungono allaapprovazione da parte del Parlamento, perché sciolto,in attesa di nuove elezioni; o, quand’anche riescano asuperare tale scoglio, dopo essere stati firmati dalCapo dello Stato e pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale,richiedono ancora lungaggini burocratiche, affinchédivengano realmente operanti. È questo il caso deglianziani reduci dai lager nazisti e loro familiari, piùvolte delusi nelle loro legittime aspettative, che nonpossono attendere ancora a lungo.Anche i prigionieri di guerra italiani negli StatiUniti durante il secondo conflitto mondiale, o i loroeredi, dovranno attendere il 9 maggio, per vedere,davanti al giudice istruttore del Tribunale civile diRoma, la prima udienza della causa contro lo Statoitaliano al quale chiedono di essere rimborsati deisoldi che il Governo americano versò all’Italia comeretribuzione per il loro lavoro prestato durante laprigionia. Si tratta di una questione complessa, chetiene banco da anni, oggetto anche essa di interroga-zioni parlamentari: l’ultima il 28 febbraio da partedel sen. Michelino Davico che ha chiesto alGoverno “un atto ad hoc” per far fronte alle richie-ste degli ex prigionieri.È appena il caso di sottolineare che le due questioninon possono e non debbono essere ancora a lungodisattese. Di ciò è perfettamente conscia l’ANRP, che– per le sue stesse finalità istituzionali – sente il dove-re, del resto più volte già espresso anche tramite lepagine di “rassegna”, di sollecitare al Parlamento e alGoverno l’adempimento degli atti necessari affinchéle sospirate aspettative, prevalentemente “morali”, deireduci e dei loro familiari possano avere attuazione efinalmente giustizia.

    IL NOSTRO IMPEGNOdi Enzo Orlanducci

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    sul c/c postale 51610004 intestato: ANRP Roma

    “ C’ è chi vorrebbe dimenticare,c’ è chi vorrebbe falsificare.

    Noi cerchiamo di difenderela verità e la memoria storica”

  • 425 aprile a cura di Giovanni Mazzà

    Le elezioni politiche per la sedicesi-ma legislatura sono già archiviate:perse dal centro sinistra veltroniano,di conseguenza vengono vinte (anzistravinte) dal centrodestra di Berlu-sconi. Fatto noto a tutti, ma che diecigiorni dopo farà sentire i suoi effettisulle celebrazioni per il 63° anniver-sario della Liberazione.Celebrazioni che registrano – e questova ricordato e sottolineato – le massic-ce assenze degli esponenti politicivincitori alle urne.Assente il sindaco diMilano, Letizia Mo-ratti, figlia di padrepartigiano, assenteIgnazio La Russa,che preferisce porta-re un fiore sullatomba del padre, inSicilia; assente Ro-berto Calderoli, peril quale si può fe-steggiare a casa; as-sente, e non soltantoper ragioni di salute,Umberto Bossi. Èassente GianfrancoFini, che pure negliultimi anni si è pre-murato di prendere le distanze dal na-zifascismo, “male assoluto”.È stranamente assente il presidentedella Camera Fausto Bertinotti: pren-de un periodo di riposo. Sarà peròpresente a Torino il primo maggio.Assente, soprattutto, come sempre,Silvio Berlusconi. Però questa voltanon se ne va in Sardegna, ma lavora aPalazzo Grazioli alla difficile compo-sizione del suo quarto Governo: “La-voro – dichiara – considerandomi indebito con gli italiani che hanno de-ciso di liberarci dalle dittature che in-combevano sul nostro Paese”. Il gior-no dopo, però, diramerà un comuni-cato di molto interesse.È però presente il Capo dello Stato,Giorgio Napolitano, che vive duegiornate molto intense – insieme con

    il Ministro della Difesa, Arturo Parisi– pronunciando parole ferme e solen-ni, inequivocabili in questi periodi direvisionismi e negazionismi, per riba-dire la necessità di mantenere ferma lamemoria del 25 aprile, consegnandoai giovani il “testimone” trasmessodai padri e chiamandoli a contrastare inuovi “autoritarismi e integralismi”che rappresentano la negazione deiprincipi e dei valori che ispirarono lalotta per la Liberazione”.

    Giovedì 24 aprile, Napolitano riceveal Quirinale le Associazioni combat-tentistiche e partigiane – l’ANRP erarappresentata dal presidente UmbertoCappuzzo, dal presidente vicario Mi-chele Montagano e dal segretario ge-nerale Enzo Orlanducci – guidate dalloro presidente Gerardo Agostini ilquale, nel suo significativo interven-to, esprime la preoccupazione per il“disinteresse” delle istituzioni versola festa della Liberazione: “Vorrem-mo – afferma tra l’altro – che le isti-tuzioni dessero un segnale più forteper mantenere alta l’attenzione attor-no a questa data affinché la memoriadegli italiani sia sempre viva”. Il se-natore Agostini ricorda anche PortaSan Paolo,una data simbolo, che rap-presenta l’inizio della Resistenza con

    la ribellione all’invasione nazifasci-sta. Poi, fa un rapido excursus stori-co sul movimento partigiano, ricordai morti di Cefalonia e delle altregrandi stragi nazifasciste e la resi-stenza, senza armi, dei deportati e in-ternati nei lager nazisti.Sottolinea il sostegno dato al movi-mento partigiano dalla popolazione.Tocca quindi il tema fondamentale –purtroppo trascurato e sottovalutato –del collegamento con la Costituzio-

    ne, che è nata dallaResistenza, i cui va-lori hanno ispirato ipadri costituenti.Introduce il ministrodella Difesa, ArturoParisi. Custodire lamemoria delle pro-ve affrontate dallanostra Nazione.Signor Presidentedella Repubblica,a Lei, che è il rap-presentante dellaunità nazionale de-sidero esprimere lariconoscenza delGoverno e delleForze Armate per la

    Sua attenzione, costante e premurosa,nei riguardi di quanti hanno dedicatola propria vita alla Patria.Ai Presidenti di tutte le Associazionicombattentistiche e d’Arma e al Se-natore Agostini e al Generale Cala-mani, che rappresentano qua la nobi-le famiglia dell’associazionismo mili-tare, vada il saluto più affettuoso perl’impegno da essi profuso nel custodi-re le memorie, le tradizioni e i valoriche fanno grande la vita militare.In particolare, voglio rivolgere e rin-novare le congratulazioni al GeneraleCalamani per l’avvenuto riconosci-mento della personalità giuridica delConsiglio Nazionale Permanente del-le Associazioni d’Arma da lui presie-duto, un riconoscimento atteso a lun-go e perseguito con determinazione.

    I GIOVANI CONTRASTINO I NUOVIAUTORITARISMI E INTEGRALISMI

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    L’incontro di oggi ci chiama, anco-ra una volta, a riflettere sul signifi-cato e sul valore simbolico delleAssociazioni.Le Associazioni qua rappresentaterappresentano, nel loro insieme,l’espressione della tradizione e le le-gittime custodi del patrimonio di me-morie delle prove affrontate dalla no-stra Nazione. Muovendo dalla condi-visione di esperienze che corrispon-dono a passaggi capaci come pochialtri di segnare e di orientare la vitadi ognuno dei loro aderenti, le Asso-ciazioni costituiscono allo stessotempo un luogo e un mezzo per l’ap-profondimento dei valori comuni, peralimentare la solidarietà, e per raf-forzare il senso diappartenenza allacomunità, alle isti-tuzioni, alla Repub-blica.Gli stessi valori, lastessa solidarietà, esenso di apparte-nenza che sostenne-ro e guidarono imiei primi lontanipassi di bambino,orfano di guerra.Sì Signor Presiden-te, il circuito del-l’associazionismomilitare è stato an-che per me comeper tanti altri unarete di protezione. Conosco lo spiri-to, i valori, la dedizione dei tanti chein esse si impegnano per tenere vivi ilegami personali, culturali e socialiche le qualificano.Sono legami e valori che in questianni di servizio alla Repubblica co-me Ministro della Difesa ho ritrovatointatti.E questo è accaduto e accade grazieappunto all’impegno di quanti nelleassociazioni si spendono quotidiana-mente, di quanti sono qua rappresen-tati al massimo livello. Nulla è infattiscontato. Come tutte le amicizie an-che i legami custoditi dalle associa-zioni riescono infatti a durare neltempo solo se sanno rinnovarsi, solose sanno arricchirsi di nuovi conte-nuti e significati. Giorno per giorno.

    E a questo proposito è impossibilenon guardare alla sfida rappresenta-ta, dall’avanzare delle generazionidelle Forze Armate professionali cheè destinato ad imprimere una profon-da trasformazione anche nel mondodell’associazionismo militare.È una sfida alla quale non possiamosottrarci che ci chiama a porre alcentro della vita associativa la “cul-tura della Difesa” per chiederci checosa possiamo fare per radicarla nelPaese. Solo ricordando che la Difesae la Sicurezza sono dimensioni es-senziali dello Stato, condizioni senzale quali nessuna vita associata è pen-sabile, riusciremo ad evitare il ri-schio di pensare l’esperienza militare

    solo come rievocazione del passato.Gli anni dell’autoreferenzialità, avolte obbligata, sono finiti da tempo.Gli italiani ci guardano. E alla loroattenzione dobbiamo dare risposte,all’altezza delle nostre tradizioni enello spirito di dedizione e servizioche contraddistingue le Forze Arma-te, per dimostrare che i valori cheabbiamo ricevuto dal passato man-tengono intatta la loro attualità nelpresente.È per questo che l’associazionismomilitare continua a ricoprire un ruo-lo fondamentale nel consolidare il le-game fra cittadini e Forze Armate.Un ruolo che svolge attraverso i ra-duni, sempre seguiti con entusiasmodai militari in congedo e dalla popo-lazione in ogni città d’Italia.

    Un ruolo che svolge attraverso lemolteplici iniziative delle associazio-ni nel campo sociale ed in quello delvolontariato civile.Un ruolo che potrebbe trovare forzaulteriore anche attraverso la valoriz-zazione delle memorie conservatedal grande patrimonio dei sacrari,dei cimiteri di guerra e dei musei mi-litari, purtroppo non adeguatamenteconosciuto, un patrimonio che po-trebbe divenire un fulcro di iniziativenonché un nuovo, suggestivo motivodi interesse culturale, qualora fossemesso “in sistema” con l’iniziativadelle Associazioni e valorizzato me-diante il contributo di tutti.Signor Presidente della Repubblica,

    questa udienza an-nuale dei rappre-sentanti delle Asso-ciazioni combatten-tistiche e d’armaprecede la solennecelebrazione dellastorica data del 25aprile del 1945,quando la vittoriosainsurrezione dellecittà dell’Italia set-tentrionale portò aconclusione la Resi-stenza e la guerra diLiberazione.Nell’occasione, sen-to perciò la necessi-tà di rinnovare il

    pensiero ai Caduti, ai feriti, ai muti-lati, ai martiri che, con il loro sacrifi-cio, hanno segnato una pagina unicanella storia pur millenaria del nostroPaese.Le Forze Armate ricordano il primomoto di ribellione di tanti militariche, pur dopo lo scioglimento delleformazioni regolari, seppero nuova-mente interpretare con coerenza elungimiranza i sentimenti di fedeltàalla Patria; le formazioni partigiane,fondate, nella maggior parte dei ca-si, da ex militari; i reparti che sfuggi-ti agli eventi seguenti all’armistiziofurono il nucleo delle forze dellanuova Italia.In questa occasione, sento il doveredi ricordare Arrigo Boldrini, storicoPresidente Nazionale dell’ANPI, Me-

  • daglia d’Oro al Valor Militare, scom-parso a gennaio nella sua Ravenna,la città che aveva contribuito a libe-rare nel 1944.A questa figura di partigiano, di mili-tare, di politico, protagonista fra i piùillustri della stagione del riscatto, leForze armate della Repubblica rinno-vano il loro omaggio.Nel rievocare la sua memoria oggi,nel 63° anniversario della Liberazio-ne, le Forze Armate salutano i rap-presentanti dell’associazionismo erinnovano il loro proponimento diservizio alla Patria, pronte a onorar-lo con impegni all’altezza dei più lu-minosi esempi del passato.Signor Presidente,è con questo spirito che saluto i rap-presentanti delle Associazioni com-battentistiche e d’arma, custodi dellememorie e delle tradizioni militari.A loro rinnovo il mio personale salu-to e il ringraziamento per la collabo-razione di questi anni di governo.Non la dimenticherò. A loro resteròvicino anche nei miei futuri ruoli po-litici, in nome di una solidarietà fon-data sull’amor di Patria e sulla fedel-tà alla Repubblica.Interviene quindi il Capo dello Stato,Giorgio Napolitano, con un appassio-nato e intransigente discorso sui valo-ri della Resistenza.Mantenere costantemente viva lamemoria del 25 aprile.Signor Ministro della Difesa,Autorità civili e militari, Presidenti erappresentanti della Confederazionefra le Associazioni combattentistichee partigiane e delle Associazionid’Arma, anche quest’anno ho volutoche l’udienza a voi dedicata si svol-gesse al Palazzo del Quirinale, informa unitaria ed in concomitanzacon le celebrazioni per la ricorrenzadel 25 aprile, per sottolineare il si-gnificato solenne di questa data e diquesto incontro. Come ho sostenutoanche lo scorso anno a Cefalonia,credo sia importante che gli Italianimantengano costantemente viva lamemoria e consapevole la coscienzadelle diverse tappe e componenti delprocesso di maturazione e di lottache ha condotto il nostro Paese allaLiberazione.

    La Liberazione, infatti, non fu soltan-to il coronamento di una luminosa ri-nascita, lungamente sognata durantetutto l’oscuro periodo del nazi-fasci-smo e della guerra, ma anche e forsesoprattutto una promessa: la promes-sa di un’Italia nuova, di una vera Co-stituzione dei cittadini, di una demo-crazia reale; una promessa di svilup-po economico e sociale per tutto ilPaese.E in quest’anno, in cui ricorre il 60°anniversario dell’entrata in vigoredella Carta costituzionale, siamospronati ad un impegno maggiore permantenere quella promessa, per tene-re alti i principi ed i valori che hannoispirato la stesura del documentofondante della nostra vita democrati-ca. Quei principi vanno vissuti quoti-dianamente; i valori – anche ed innan-zitutto morali – che si esprimono neidiritti e nei doveri sanciti nella Costi-tuzione vanno apprezzati e coltivati.Spinti dalla propria drammaticaesperienza di vita, dalla soppressionedelle libertà, dalle stragi perpetratedal nazismo, dall’orrore delle depor-tazioni e dei campi di sterminio, i Co-stituenti conferirono giusto ed assolu-to rilievo ad una serie di diritti fonda-mentali, sacri, che furono per questodefiniti inviolabili. E su questa base,nel redigere l’articolo 11 della Carta,essi vollero giustamente ripudiare inmaniera definitiva la guerra come of-fesa alla libertà dei popoli e dellepersone e come mezzo di risoluzionedelle controversie internazionali. Conequilibrio e lungimiranza, essi com-presero però come il rifiuto dellaguerra andasse accompagnato da uncorrispondente impegno, attivo e for-te, dell’Italia nell’ambito delle Istitu-zioni che perseguono gli obiettivi dipace e di giustizia della ComunitàInternazionale, accettando per que-sto interesse superiore e condiviso, lenecessarie limitazioni alla sovranitànazionale.Purtroppo, una soddisfacente gover-nance del sistema internazionale, acui da allora l’Italia contribuisce conentusiasmo e generosità, non è anco-ra compiuta, e deve anzi confrontarsicon nuove complesse realtà e nuovesfide. La sicurezza degli esseri umani

    e delle loro opere è costantemente arischio, i diritti fondamentali di uomi-ni e donne sono ripetutamente e gra-vemente violati, lo sviluppo economi-co e sociale è in molteplici situazioniritardato e frenato.Il nostro Paese è attualmente tra imaggiori protagonisti delle missioniinternazionali, in linea con il ruoloprimario che rivestiamo nell’Organiz-zazione delle Nazioni Unite, nel-l’Unione Europea e nella NATO.Al momento, oltre 8500 militari italia-ni sono impiegati quotidianamenteper il ristabilimento della pace e dellasicurezza, per la promozione dellosviluppo, nei Balcani, in Libano, inAfghanistan ed in numerose altre mis-sioni minori, non meno importanti.In tante aree e regioni vicine o remotedel mondo, le nostre Forze Armate –unitamente a quelle di altri Paesi edalle strutture della cooperazione civi-le – onorano la promessa fatta dal-l’Italia quel 25 aprile 1945, ormailontano nel tempo, ma sempre pre-sente nei nostri cuori e nelle nostrementi, continuando così il processodemocratico della Liberazione.Ed il modo in cui i militari italianiassolvono a questo loro compito difondamentale importanza per la cre-scita della società nazionale e globa-le del XXI secolo guadagna all’Italiaripetuti riconoscimenti della Comuni-tà Internazionale e concrete espres-sioni di riconoscenza da parte dellepopolazioni interessate, della gentecomune, che, grazie al nostro impe-gno, vede riaccendersi la speranza diuna vita normale, percepisce la pos-sibilità di un futuro dignitoso.Negli ultimi anni, si è venuta affer-mando e diffondendo una cultura del-la sicurezza che comprende la legitti-mità e l’opportunità di interventi mili-tari a sostegno della pace condotti insinergia con le attività di assistenzaalle popolazioni, finalizzate alla rico-struzione istituzionale, sociale ed eco-nomica delle aree investite dalle crisi.Credo che questa cultura della sicu-rezza, fortemente sostenuta e diffusasoprattutto dall’Unione Europea,debba ispirare tutte le Istituzioni In-ternazionali. Sono convinto che essacostituisce fattore basilare per la rea-

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    lizzazione di un sistema condiviso digovernance democratica dell’ordinee della sicurezza internazionale, indi-spensabile per il controllo e la rego-lazione dei grandi fenomeni di scalaplanetaria che incidono sempre piùdirettamente sul futuro del nostroPaese e sulle vite di ciascuno di noi.In questo quadro, che, con stupefa-cente evidenza, dimostra tutta la mo-dernità ed il realismo dell’art. 11 del-la Costituzione, il ruolo delle ForzeArmate assume finalità e caratteri deltutto innovativi e di prospettiva benpiù ampia di quella ristretta della tra-dizionale, storica difesa nazionale.Le Forze Armate oggi costituisconocomponente essenziale per il control-lo della conflittualità, il mantenimen-to della sicurezza e il rispetto dellalegge dovunque ciò impegni la comu-nità internazionale; esse sono stru-mento irrinunciabile di qualunque ef-ficace strategia di pace.

    Alle Forze Armate il Paese deve quin-di assicurare prospettive di crescita esostegno, con il contributo anche del-le Associazioni che voi qui rappre-sentate e che svolgono capillare azio-ne di promozione, consolidamento ediffusione dei preziosi valori dellatradizione militare.La storia sembra assegnare ad ognigenerazione una missione.I nostri padri hanno realizzato il so-gno dell’Italia unita – e mi compli-mento con il Consiglio NazionalePermanente delle Associazioni d’Ar-ma per l’iniziativa di celebrare inTrieste il 90° anniversario della Vit-toria – la nostra generazione hasconfitto il nazi-fascismo e gettato lebasi dell’Europa unita, fino al supe-ramento della lunga stagione dellaGuerra Fredda con l’abbattimentodel muro di Berlino. I giovani di oggisono chiamati a contrastare i nuovi

    autoritarismi e integralismi nel mon-do, che rappresentano la negazionedei principi e dei valori che ispiraro-no la lotta per la Liberazione.A voi Presidenti e Rappresentantidelle Associazioni Combattentistichee d’Arma non solo l’onore di testimo-niare il passato, tramandando alle fu-ture generazioni il vostro retaggio ditradizioni e memorie, ma anche ilcompito di essere solido anello dicongiunzione fra la società civile edil mondo militare.Con tali sentimenti, vi rinnovo il miopiù vivo compiacimento per l’entu-siasmo con cui vi ponete a salvaguar-dia dei valori fondanti della Cartacostituzionale, per il concreto soste-gno che assicurate alle nostre ForzeArmate e per il vostro costante impe-gno a favore del Paese tutto nelle atti-vità di protezione civile e di aiuto allacollettività nazionale. �

  • La giornata di venerdì 25 aprile ha il tradizionale tonodella solennità, ma sempre retorica. La “festa dellaResistenza” viene però ricordata e celebrata dai rappresen-tanti delle istituzioni, come di consueto. Perché la partepolitica che ha vinto le elezioni e che si appresta a inse-diarsi sulle poltrone del potere, dando inizio alla sua sta-gione di governo è del tutto assente.Salvo un comunicato del prossimo presidente delConsiglio Silvio Berlusconi, che comunque fa registrareun salto di qualità e un passo importante nella direzioneche da anni viene auspicata.Conferma l’assenza fisica dalle celebrazioni, dedica lagiornata al gran lavoroper la formazione delnuovo governo, mascrive parole inequivo-cabili e da tutti apprez-zate, affermando che“il 25 aprile indica ilritorno dell’ Italia allademocrazia e alla liber-tà”, e aggiungendo chela caduta del regimefascista è stato accolto“con un sentimento diliberazione di un interopopolo, costretto acombattere una guerrache sperava conclusama che proseguì conl’occupazione del proprio territorio”.Precisa ancora, Berlusconi, che “la guerra civile e l’occupa-zione da parte dei tedeschi creò un segno di sangue nellamemoria italiana”. Questa precisazione, sterilizza la “com-prensione” delle ragioni dei “ragazzi di Salò”, auspicatodallo stesso leader del centrodestra, perché questa compren-sione “non può in qualche modo ledere l’orgoglio di chicombattè per la libertà contro la tirannide”.Se si ritorna con la memoria agli anni precedenti, que-ste nuove affermazioni di Berlusconi destano sorpresa esensazione, perché è chiaro che esse rappresentano unadecisa svolta nel suo pensiero. Non è il caso di ricercar-ne le ragioni, anche perché non si hanno elementi peruna valutazione e una spiegazione che si lascia agli sto-rici (se ne hanno voglia): bisogna solo registrare, eprenderne atto.Berlusconi fa anche una affermazione ancora più impegnati-va quando scrive che “non c’è revisione storica che possacambiare la gratitudine che dobbiamo a quei combattenti cheposero le basi per la libertà delle generazioni”.Non interessa a noi indagare sui perché di questa tardiva

    resipiscenza del prossimo capo del Governo; se essa è sen-tita e frutto di vera convinzione, oppure se essa debbaessere interpretata come strumentale: le parole di un presi-dente del Consiglio vanno lette e interpretate per quelloche esprimono. E l’ANRP interpreta con una certa soddi-sfazione le parole di Berlusconi.Al quale, alcuni giorni dopo, si aggiunge il neopresidentedella Camera dei deputati Gianfranco Fini, eletto alla terzacarica dello Stato nell’intervallo tra le due date-simbolodell’Italia repubblicana (25 aprile e primo maggio).Fini, nel suo discorso di insediamento – mercoledì 30 apri-le – si richiama al 25 aprile e al “valore della libertà”

    riconquistata anche gra-zie alla Resistenza; e, conun richiamo al primomaggio, sottolinea “ilmodo che le istituzionidevono avere nella tuteladei lavoratori e dellefasce più deboli dellapopolazione”. Siamo auna nuova svolta? Nonresta che attendere e veri-ficare.La cronaca della giornatadel 25 aprile, pur ricca diavvenimenti, deve peròregistrare un fatto adde-bitato a Berlusconi come“provocatorio”: riceve

    infatti Giuseppe Ciarrapico, neosenatore, noto esponentedella destra e che si autodefinisce fascista-non pentito.Non perde l’occasione il leader del centrosinistra, WalterVeltroni, per il quale “il gesto di Silvio Berlusconi è unosfregio nei confronti dei democratici, un insulto a una glo-riosa pagina di storia”. E ancora più duro, afferma:“Questa è una grande festa della libertà, e il Cavaliere havoluto celebrarla ricevendo coloro che stavano dalla partedi chi la libertà la toglieva. È un segnale politico che marcauna distanza molto profonda con lo stato d’animo degliitaliani”.Si è però in clima ancora elettorale, con residui di durapolemica. E Berlusconi non replica direttamente, ma conla nota di cui si è detto.

    La nostra gratitudine ai protagonisti del riscattonazionale.Il Ministro della Difesa, Arturo Parisi, venerdì 25 aprile inoccasione del 63° anniversario della Liberazione, accom-pagna all’Altare della Patria il Presidente dellaRepubblica, Giorgio Napolitano, che depone una corona

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    LA FESTA DELLA RESISTENZACELEBRATA SENZA RETORICA

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    di alloro al Milite Ignoto. Successivamente, alla presenzadel Capo dello Stato, si svolge la cerimonia di consegnadelle Medaglie d’Oro al Merito Civile dedicate allaResistenza e alla Liberazione.“Ai piedi dell’altare della Patria – esordisce Parisi – anco-ra una volta ricordiamo la vittoriosa conclusione dellaguerra di Liberazione e della Resistenza, a sessantatre annida quella giornata simbolo del 25 aprile 1945”. E sottoli-nea: “Rinnoviamo la nostra gratitudine ai protagonisti delriscatto nazionale: militari, partigiani, cittadini comuni,uomini e donne di un’Italia che non si arrese alla disfatta,un’Italia che volle recuperare per noi l’onore e la dignitàche sembrava perduta”. Il Ministro ricorda “La muta resi-stenza nei lager nazisti di migliaia di militari che noncedettero alle minacce e alle lusinghe e rifiutarono ognipossibile forma di collaborazione” e aggiunge che “laguerra di Liberazione e la Resistenza sono destinate a rap-presentare come pochi altri passaggi una pietra miliare”.Infatti, nei venti mesi di lotta “si diffuse, come mai prima,un sentimento di appartenenza alla cosa pubblica, fondatosulla solidarietà e sulla aspirazione ad una partecipazionedemocratica; un sentimento che, mentre rivendicava idiritti negati di libertà e uguaglianza, poneva nel panoramadei doveri anche quello della diretta e consapevole respon-sabilità politica di ogni cittadino. Tramontava un’Italiaantica, fatta di Istituzioni elitarie, con diseguaglianze diclasse, di genere, di censo”. E “il senso di responsabilitàverso la cosa pubblica apriva la prospettiva dellaRepubblica”.“Allo stesso tempo – prosegue Parisi – il cammino versouna regola costituzionale condivisa offriva un approdo,una premessa e una fonte permanente alla quale attingereper la riconciliazione nazionale”.“In questo spirito oggi partecipiamo con orgoglio e com-mozione al riconoscimento pubblico del valore e dell’eroi-smo di chi, in quei giorni, seppe dire no, no al passato e sìal futuro anche quando quel futuro veniva pagato con lapropria personale vita. È questo il messaggio di amor diPatria, di solidarietà, di senso del dovere, che questi eroidel passato ci affidano come guida del nostro presente”.”Il rilassamento morale – avverte il Ministro della Difesa– può divenire, nella società di oggi, una malattia dellecoscienze. Un virus che ci fa ripiegare su noi stessi, ridu-cendo talvolta la politica ad una lotta di parte nella quale

    è difficile riconoscere la preoccupazione per la conviven-za comune. Nulla può essere dato per scontato. Tutto vacontinuamente riconquistato, rinnovando i principi mora-li e dando ad essi radici forti alimentate dal coraggio edalla virtù”.Il Ministro così conclude il suo breve intervento: “Conquesti sentimenti le Forze Armate rinnovano la fedeltà allelibere Istituzioni e la volontà di operare in difesa dellaRepubblica, a favore della legalità e della pace nelMondo”.

    Niente false equiparazioni.Il nucleo delle celebrazioni si ha a Genova, a PalazzoDucale, dove il Capo dello Stato dà una interessante e defi-nitiva “lettura” della Resistenza. Lo fa nel capoluogo ligu-re dove, alle 19,30 del 25 aprile 1945, a Villa Migone inValbisagno, il generale tedesco Meinhold con i suoi diciot-tomila uomini si arrese al partigiano Remo Scappini delComitato di Liberazione Nazionale.Unico caso di resa dei tedeschi a una città.Il discorso, di grandissimo spessore, va letto e custoditonella sua interezza, perché rappresenta un punto fermonella storiografia e respinge le tentazioni revisioniste dimolti ambienti politici e non.“Rinnovo innanzitutto l’omaggio appena reso alla memo-ria dei vostri 1863 caduti, il cui sacrificio rispecchia l’am-piezza e l’eroismo delle schiere dei combattenti per lalibertà nella città di Genova e nel suo entroterra. Desideronello stesso tempo rivolgere un saluto e un apprezzamen-to particolare all’Istituto ligure per la storia dellaResistenza e dell’età contemporanea e al suo presidentesen. Raimondo Ricci: un istituto che ha sempre costituitoun luogo di incontro e di unità, impegnandosi ad appro-fondire e trasmettere ricostruzioni obbiettive e non diparte dell’esperienza della Guerra di Liberazione. Essoha continuato – con iniziative anche recenti cui avrò mododi riferirmi – ad alimentare una coscienza storica comu-ne, affidata non a stereotipi ma a conoscenze e valutazio-ni inoppugnabili.E sono da ciò confortato nel guardare a questa celebrazio-ne come non rituale e non ripetitiva. Sappiamo quel chesignifica per l’Italia la data del 25 aprile: essa segna laliberazione piena del paese dalla dittatura e dall’occupa-zione straniera, la riconquista su tutto il territorio nazio-

  • nale di una condizione di libertà, unità e indipendenza.Ma dobbiamo ogni volta sentirci impegnati a trasmetterenella sua interezza, a ripercorrere nella sua complessità,l’esperienza vissuta nel drammatico periodo in cui“l’Italia era tagliata in due”: esperienza tradottasi in unastraordinaria prova di riscatto civile e patriottico. Questofu la Resistenza, dai primi giorni seguiti alla firma dell’ar-mistizio e al crollo dell’8 settembre 1943 fino ai gloriosimomenti conclusivi della liberazione delle nostre città edella nostra terra. Ed essa non può perciò apparteneresolo a una parte della nazione, ma deve porsi al centro diuno sforzo volto a “ricomporre, in spirito di verità” –come dissi nel mio primo messaggio al Parlamento – “lastoria della nostra Repubblica”. Dobbiamo giungere sem-pre più decisamente a questa condivisione, a questo comu-ne sentire storico. E credo che in tal senso si siano com-piuti nel corso degli anni – da una celebrazione all’altradel 25 aprile – importanti passi avanti, importanti pro-gressi.Ho un anno fa celebrato il 25 aprile a Cefalonia, per ren-dere commosso omaggio all’eroismo e al martirio dellemigliaia di militari italiani, che in quell’isola greca tra-sformata in roccaforte, scelsero di battersi in spirito difedeltà alla patria italiana, caddero in combattimento,furono barbaramente trucidati dopo la sconfitta e la resa– soldati, ufficiali, generale Comandante – o portati allamorte in mare, o deportati in Germania. E ho attribuitoun significato speciale al ricordo di quella tragedia, suc-cessiva all’8 settembre 1943, che resta la più terribileespressione della rabbia e della ferocia nazista dinanzialla volontà di riscatto nazionale degli italiani costretti auna innaturale e servile alleanza. Un significato speciale,dicevo, nel senso dell’impegno a cogliere e porre in primopiano una componente della Resistenza che fino a tempirecenti non è stata abbastanza valorizzata. Parlo del con-tributo dei militari.Sappiamo tutti quale apporto essenziale venne dalle for-mazioni partigiane, nelle montagne e nelle città, e da mol-teplici forme di solidarietà popolare, che si espresse tral’altro nell’appoggio spontaneo ai giovani che si rifiutava-no di subire la chiamata alle armi con la repubblica diSalò, agli ebrei che cercavano di sfuggire a un destino dimorte, e anche a molti militari alleati fuggiti dai campi diprigionia che spesso si univano alle unità dei combattentidella libertà.Ma molto importante fu il concorso dei militari, chiamatia repentine, durissime prove all’indomani dell’armistizio,degli ufficiali e dei soldati che si unirono ai partigiani raf-forzandone la capacità di combattimento e infine dellenuove forze armate che si raccolsero nel Corpo Italiano diLiberazione. E grande significato ebbe anche la resisten-za di centinaia di migliaia di militari italiani internati inGermania nei campi di concentramento, che respinsero, inschiacciante maggioranza, l’invito a tornare in Italia ade-rendo al regime repubblichino.A quest’ultima esperienza dedicò un bel libro di memoria sto-rica con il titolo “L’altra resistenza”, un testimone e analista

    d’eccezione, Alessandro Natta; e mi piace ricordare che pre-sentai proprio io quel libro qui a Genova dieci anni orsono.Le ragioni, le molle della ribellione e della lotta di tantinostri militari vanno ricercate senza retorica, se non inuna coscienza politica già pienamente maturata, piuttostonel senso dell’onore e della dignità nazionale e personale,e in un impulso di solidarietà umana e di corpo tra gliappartenenti a reparti militari sottoposti a dure provecomuni.Più in generale, ci fu solo nel tempo una saldatura tra igiovani e i giovanissimi che ingrossarono le fila dellaResistenza e il patrimonio ideale e politico degli uominidell’antifascismo.Fu decisiva, e abbracciò tutti, la riscoperta, la riconquistadi un senso sicuro della patria. La descrisse così una scrit-trice sensibile come Natalia Ginzburg:“Le parole patria e Italia ci apparvero d’un tratto senzaaggettivi e così trasformate che ci sembrò di averle uditee pensate per la prima volta. Eravamo lì per difendere lapatria, le strade e le piazze delle nostre città, i nostri carie la nostra infanzia, e tutta la gente che passava”.In quella guerra patriottica, e nella difesa dell’Italiaanche nelle sue strutture materiali e nelle sue possibilitàdi futuro, si univano naturalmente partigiani e militarifedeli ai loro doveri nazionali.Ho di recente preso visione degli atti del Convegno inter-nazionale promosso lo scorso anno dall’Istituto ligure perla storia della Resistenza e dell’età contemporanea. Inquel Convegno si sono ricostruite le vicende del salvatag-gio del porto di Genova e di altri scali mediterranei adopera delle formazioni partigiane. Non c’è bisogno diricordare come la sera del 25 aprile 1945, a conclusionedell’incontro svoltosi sotto gli auspici del CardinaleArcivescovo e nella sua ospitale abitazione, il generaleMeinhold avesse firmato la resa tedesca nelle mani deirappresentanti del Comitato di Liberazione Nazionale,presieduto da Remo Scappini. Fu quello un fatto senzaeguali, che rimane un grande segno di distinzione e dionore per la Resistenza genovese. “Per la prima voltanella storia di questa guerra” – si lesse nell’appello delCLN per la Liguria – “un corpo d’esercito si è arresodinanzi a un popolo”. Parole restate sempre care, come cihanno infine detto anche le sue Memorie, a un protagoni-sta dell’insurrezione di Genova, Paolo Emilio Taviani,eminente personalità politica e di governo, che per decen-ni continuò a testimoniare la pluralità delle ispirazioniideali della Resistenza.Tuttavia, anche dopo la firma della resa da parte del gene-rale Meinhold, permaneva il rischio del piano di distruzio-ne dei porti di Genova, Trieste e Fiume, il cosiddetto“piano Z” da tempo predisposto dai Comandi tedeschi.Poi, anche l’ufficiale nazista più determinato a far saltareil porto di Genova fu costretto ad arrendersi ai partigiani.Quel che mi preme mettere in luce è l’impegno – documen-tato nello stesso Convegno del vostro Istituto – dei rappre-sentanti della Marina militare italiana presso l’organizza-zione partigiana, il più importante dei quali, il capitano di

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    fregata Kulczycki già comandante in seconda a bordodella corazzata Cavour , aveva dato vita a un organismo,il Vai, che riuniva tutte le forze patriottiche a caratteremilitare e apolitico, cadendo poi, a Genova, nella manidelle SS e venendo fucilato nel campo di Fossoli. Il nomedi questi nostri eroici militari è segnato nell’Albo d’orodella Resistenza.Ricordarli, rendere loro onore, è essenziale per rappresen-tare la Resistenza nella sua interezza, nell’insieme dellesue componenti, nella ricchezza delle adesioni e parteci-pazioni che ne garantirono il successo.Questi sono fatti, non retorica, non mito. Vedete, c’è statoin tempi recenti un gran parlare dell’esigenza di “smitiz-zare” la Resistenza. Ora, è giusto – proprio per renderepiù credibile la valorizzazione della Resistenza – nontacere i suoi limiti, sia o no accettabile che la si presenticome realtà ed esperienza “minoritaria” ; ma bisogna bendistinguere quel che è cresciuto come “mito” sulla base diun’analisi oggettiva, al di là della grande onda emotivadella liberazione, e quello che è stato tutt’altro. E a que-sto proposito vorrei dire che in realtà c’è stato solo unmito privo di fondamento storico reale e usato in modofuorviante e nefasto : quello della cosiddetta “Resistenzatradita”, che è servito ad avvalorare posizioni ideologichee strategie pseudo-rivoluzionarie di rifiuto e rottura del-l’ordine democratico-costituzionale scaturito proprio daivalori e dall’impulso della Resistenza.All’inizio dello scorso decennio, è apparso un saggio sto-rico di non comune impegno e profondità, dovuto aClaudio Pavone, nel quale si sono messi in evidenza idiversi volti della Resistenza, e in particolare, accanto aquello di una guerra patriottica, quello di una “guerra

    civile”. Tale profilo è stato a lungo negato, o consideratocon ostilità e reticenza, da parte delle correnti antifasci-ste. Ma se ne può dare – Pavone lo ha dimostrato –un’analisi ponderata, che non significhi in alcun modo“confondere le due parti in lotta, appiattirle sotto uncomune giudizio di condanna o di assoluzione”. E questovale anche per i fenomeni di violenza che caratterizzaro-no in tutto il suo corso la guerra anti-partigiana e da cuinon fu indenne la Resistenza, specie alla vigilia e all’indo-mani della Liberazione. Le ombre della Resistenza nonvanno occultate, ma guai a indulgere a false equiparazio-ni e banali generalizzazioni; anche se a nessun caduto, eai famigliari che ne hanno sofferto la perdita, si può nega-re rispetto: un rispetto naturalmente maturato, col tempo,sul piano umano. Insomma, è possibile e necessario rac-contare la Resistenza, coltivarne la storia, senza sottacerenulla, “smitizzare” quel che c’è da “smitizzare” matenendo fermo un limite invalicabile rispetto a qualsiasiforma di denigrazione o svalutazione di quel moto diriscossa e riscatto nazionale cui dobbiamo la riconquistaanche per forza nostra dell’indipendenza, dignità e liber-tà della Nazione italiana.E a cui dobbiamo anche il contesto di rispetto della nostrasovranità entro il quale fu elaborata la Costituzionerepubblicana. Si guardi alla sorte che toccò ai due paesiche rimasero fino alla sconfitta totale coinvolti nella guer-ra voluta da Hitler, nell’alleanza guidata dalla Germanianazista. Il percorso di definizione di nuovi assetti istituzio-nali e costituzionali in Germania fu pesantemente condi-zionato dalla divisione del paese in due zone di occupazio-ne e di influenza. Quel percorso fu affidato, nella zonaoccidentale, dai governatori militari delle potenze occu-

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    panti ai governi dei Länder, e la nuova “Legge fondamen-tale” fu approvata da un ristretto e provvisorio ConsiglioParlamentare solo nel maggio del 1949. In Giappone, larevisione costituzionale ebbe per base un progetto ispira-to dal generale americano MacArthur, del quale preseaddirittura il nome.In Italia, il progetto di nuova Costituzione democraticavenne invece elaborato dall’Assemblea Costituente, elet-ta a suffragio universale, fu discusso in piena libertà eautonomia di pensiero e approvato a stragrande maggio-ranza il 22 dicembre 1947. È difficile immaginare qualesarebbe stato il percorso, se l’Italia non avesse trovato insé la forza per affrancarsi dall’alleanza con la Germanianazista e per prendere il suo posto, grazie al contributodelle sue nuove Forze Armate e della Resistenza, comeco-belligerante nell’alleanza antifascista accanto alleformazioni occidentali che combatterono duramente perliberare il nostro paese.Le idealità e le aspirazioni dei nostri combattenti per lalibertà poterono così tradursi in un essenziale quadro diriferimento per l’elaborazione della Carta costituzionalenell’Italia divenuta Repubblica per volontà di popolo.Quelle aspirazioni appa-iono pienamente recepitenella limpida sintesi dei“Principi fondamentali”della Costituzione repub-blicana e nell’insiemedei suoi indirizzi e pre-cetti. Ricordiamo i primidodici articoli dellaCarta. Diritti inviolabilidell’uomo e doveri inde-rogabili di solidarietà;uguaglianza davanti allalegge di tutti i cittadini,senza distinzione disesso, di razza, di opinioni politiche, di condizioni perso-nali e sociali; rimozione degli ostacoli che impedisconoil pieno sviluppo della persona umana; diritto al lavoro;unità e indivisibilità della Repubblica; ripudio dellaguerra e impegno a promuovere e favorire le organizza-zioni internazionali che mirano ad assicurare la pace ela giustizia fra le nazioni – ebbene, non è precisamentequesta l’Italia libera, più giusta, aperta al mondo, che icombattenti per la Resistenza sognavano? Sì, possiamocon buoni motivi dire che il messaggio, l’eredità spiri-tuale e morale della Resistenza, vive nella Costituzione:in quella Costituzione in cui possono ben riconoscersianche quanti vissero diversamente gli anni 1943-45,quanti ne hanno una diversa memoria per esperienzapersonale o per giudizi acquisiti. La Carta costituziona-le – di cui stiamo celebrando il sessantesimo anniversa-rio – costituisce infatti la base del nostro vivere comunee della nostra rinnovata identità nazionale. “Nessunadelle forze politiche oggi in campo” – desidero ribadirequel che ho detto dinanzi al Parlamento – può rivendi-

    carne in esclusiva l’eredità”. È un patrimonio cheappartiene a tutti e vincola tutti.Naturalmente, la Costituzione poteva solo offrire la tramadella nuova Italia sperata e invocata a mano a mano cheprogrediva la guerra di Liberazione, e all’indomani dellasua conclusione. Non ne nascevano già definiti nella loroconcretezza la società e lo Stato corrispondenti al dettatocostituzionale. Dare attuazione a quei principi ha richie-sto e richiede un impegno civile, culturale e politico, chenon si dà una volta per tutte, che va sempre rinnovato efatto rivivere, con l’apporto essenziale delle nuove gene-razioni. Impegno ed apporto, che possono essere sollecita-ti dal sempre più significativo collocarsi della nostraCarta e del nostro patrimonio costituzionale nel grandequadro del processo di costruzione dell’Europa unita.Contano nella nostra Carta – a sessant’anni dalla suaentrata in vigore – non solo i principi, i diritti e i doveri,ma le istituzioni. Queste sono certamente perfettibili eriformabili rispetto al disegno che ne fu definito nel 1946-47, ma esse costituiscono, nell’essenziale, pilastri insosti-tuibili dello Stato di diritto e della democrazia repubblica-na : il Parlamento, in cui si esprime la sovranità popola-

    re; le Regioni e gli entilocali; la magistraturacome ordine autonomo eindipendente; gli istitutidi garanzia costituziona-le. Alla vitalità di questeistituzioni è ugualmenteaffidato il retaggio dellaResistenza, la trasmissio-ne della drammatica espe-rienza vissuta dall’Italiafino alla piena liberazio-ne dal fascismo e dall’op-pressione straniera.Penso a quel che disse,

    sul ruolo delle istituzioni, un grande costruttoredell’Europa unita Jean Monnet, rivolgendosi nel lontano1952 all’Assemblea della appena nata Comunità del car-bone e dell’acciaio:“Gli avvenimenti tragici che noi abbiamo vissuto” – Monnetsi riferiva, evidentemente, alla seconda guerra mondiale dapochi anni conclusasi – “ci hanno forse reso più saggi. Magli uomini passano, altri verranno e prenderanno il nostroposto. Quel che potremo lasciar loro non sarà la nostraesperienza personale che sparirà con noi ; quel che possia-mo lasciar loro sono delle istituzioni. La vita delle istituzio-ni è più lunga di quella degli uomini, e le istituzioni possonocosì, se sono ben costruite, accumulare e trasmettere la sag-gezza delle generazioni che si succedono”.In questo spirito celebriamo oggi congiuntamente l’anni-versario del 25 aprile e quello della Costituzione e delleistituzioni repubblicane, cui va il rispetto non formale maeffettivo e coerente degli italiani di ogni parte politica pergarantire un degno avvenire democratico al nostro paese.Viva la Resistenza, viva la Costituzione, viva l’Italia”. �

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    L’arrivo (anzi il ritorno) del governodi destra dopo le elezioni del 13-14aprile non promette niente di buono.Ad essere ancor più pessimisti c’è dadire che la situazione che si profila èpessima. Non per la natura del gover-no, che ha anche i suoi buoni motivi,ma per gli elementi che ingloba,distanti dalle lotte per la liberazione el’antifascismo. Non si tratta di pregiu-dizio a tutti i costi bensì di una condi-zione che diversi politici non hannomancato di manifestare durante lacampagna elettorale. Si profila, dun-que, stando ad alcune dichiarazioniprogrammatiche di intenti distruttivi,cioè la revisione dei libri scolastici incui si parla della Resistenza al fasci-smo allo scopo di rivalutare episodisottaciuti o amputati della guerra civi-le fra italiani, secondo quanto si èsvolto fra il 1943 e il ’45, ma anchequanto di aspro fra le parti avverse siè avuto nei primi anni del dopoguerra.Stando così le cose si va incontro a unfuturo che accrescerà ulteriormente lecontraddizioni di quel periodo stori-co, non poco confuso. Gli italianihanno votato la destra forse non cal-colando le conseguenze che potrebbe-ro riemergere da una visione contro-versa che ha diviso e continua a divi-dere la nostra coscienza politica ecivile. Il revisionismo annunciato, chenon sappiamo se sarà veramenteeffettuato, peserà soprattutto su colo-ro che hanno combattuto il fascismo esu quanti si sono sacrificati nelle lotteche ne sono derivate. Non si può farfinta di niente come se il riaffiorare dicerte inquietudini fossero cose daarchiviare rapidamente, una cancella-zione per non ancora chiari obiettivistrumentali senza tener conto che sitratta di materia pericolosa che vienedal profondo, da tempi ormai lontanima che tuttavia ha ancora la capacitàdi restare valida, non bisognosa diversioni opposte. I segnali che arriva-no in questo momento si aggiungono

    alle tante delusioni già patite da colo-ro che ne sono stati protagonisti. LaResistenza che viene rimessa indiscussione non fa certamente bene,nessuno ha falsato le carte per vince-re chissà che cosa. E’ triste, ed aber-rante al tempo stesso, che se ne parliin questi termini, e che avvenga in unmomento in cui c’è il cambio di ungoverno, ma tant’è. In gioco sonovalori ai quali si è creduto sul serio econ slancio, sperando che una nuovaera cominciasse, così come si andavaprospettando all’ombra dei cannoni.In prima fila, nel sostenerli, vi sonotrovati gli internati italiani inGermania che nell’autunno del 1943,prelevati a forza dalle zone di opera-zione, furono all’avanguardia nel-l’aprire la vicenda resistenziale.Infatti dissero per primi un No seccoai tedeschi che volevano a tutti i costiil loro arruolamento per mandarli acombattere nelle file della Repubblicadi Salò che nel frattempo si era costi-tuita in Italia. Fu il segnale da cuipartì una riscossa convinta, decisa,irrevocabile, non solo contro i nazistiinvasori del nostro territorio ma anchecontro il fascismo che a lungo avevacondizionato la nostra esistenza. Daquesto punto di vista si è trattato di undato inequivocabile, e pertanto, perquanto riguarda questo aspetto, non si

    vede cosa ci sia da revisionare. La dif-fusa “indifferenza” in Italia di cuihanno sofferto gli ex IMI al loro ritor-no in patria non ha tenuto conto diquesto fondamentale episodio, che fudeterminante per il corso del conflit-to, ma poi si è ignorato tutto il resto,le drammatiche vicende di una prigio-nia inesorabile e feroce per moltiversi. Quanti per circa due anni sonorimasti rinchiusi negli Stalag, fra i filispinati circondati dalle SS, avrebberocertamente dovuto aspettarsi unamaggiore comprensione, oltre che,nel dopoguerra, un’assistenza mate-riale di cui non hanno per nientegoduto. L’affronto indubbiamente èstato grande, si è fatto ancora di piùsentire con il passare degli anni, figu-riamoci come si farà sentire con ilfuturo negazionista che si annunciacon l’opinione pubblica nazionalesempre più distante e impreparata alproblema. Il passato conta sempremeno, la memoria è come messa incantina a marcire. L’8 settembre èstato un vero e proprio spartiacque nelpopolo italiano, diviso a metà, unaparte di qua e una parte di là, non unafase passeggera perchè la divisione èrimasta e minaccia sempre più diacuirsi. I ventenni di allora che indos-savano il grigioverde furono moltoresponsabili, intuirono il corso deglieventi con prontezza e intelligenza,presero una decisione che avrebbesegnato la loro vita. Non bisognadimenticare che andavano incontro aun destino terribile: restando nei lagerdove erano stati deportati sarebberostati prima o poi carne da macello. Itedeschi, del resto, li avevano avverti-ti: “con il vostro rifiuto a non arruo-larvi fra le file della Repubblica diSalò – avvertirono – non rivedretemai più le vostre famiglie, per anniresterete a lavorare alla ricostruzionedelle nostre città ferite dai bombarda-menti, vi terremo per sempre costrettiai lavori forzati. Un messaggio molto

    GLI IMI CONTRO OGNI REVISIONISMOLA LORO STORIA, PRIMO ATTO DELLA RESISTENZA, NON SI TOCCA

    di Ettore Zocaro

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    chiaro, minaccioso, sinistro, che davabrividi solo a sentirlo pronunciarenella piana del campo di Witzendorf,presso Hannover dove i deportati,man mano che arrivavano dallaGrecia, dalla Jugoslavia, dallaFrancia, venivano ammassati.L’invito, più volte ripetuto, era diripensarci, Ma non ci fu niente dafare: il No venne ribadito ancor piùsecco da quasi tutti (salvo piccolefrange che si illudevano di fuggire almomento opportuno, non appenamesso piede in Italia). Scelta, insom-ma, consapevole, di una massa di cen-tinaia e centinaia di migliaia di solda-ti che in questo modo si ribellava allaguerra voluta dal fascismo e al suosconvolgente e assurdo andamento.Sarebbe stato impossibile alloraimmaginare qualsiasi tipo di ritornoin patria, si pensava che non sarebbemai avvenuto, ormai si era consegna-ti a una situazione senza via d’uscita.Anche se sconfitta la Germania ciavrebbe comunque fatto pagare ilconto in qualche modo, e difatti ce loha fatto pagare largamente con cru-deltà varie poiché considerati tradito-ri, un conto fatto di decimazioni perfame, malattie, perentorie eliminazio-ni, incessanti bombardamenti aerei acui si era sottoposti per disprezzosenza alcuna protezione. Il nostropopolo è stato duramente segnato daquesta vicenda, oltre ottocentomila irinchiusi nelle baracche sgangherate

    del Terzo Reich, una massa enormeresa immobile e avvinghiata su sestessa. Negarne dopo tanto tempo laconsistenza e il ruolo avuto sarebbeun grave errore storico. Derubricarneil significato e la funzione sarebbe deltutto ingeneroso, insopportabile, unaumiliazione senza precedenti, ladepressione per una intera generazio-ne. Proprio pochi giorni fa un impor-tante giornale come il “Corriere dellaSera”, cogliendo la questione conintelligente sensibilità, ha invocatouna visione allargata dei fatti, e hadenunciato la visione oscurata che èstata messa in atto per far largo adaltre storie dell’universo concentra-zionario, importanti, tremendeanch’esse ma non esclusive. Ne haparlato l’autorevole editorialista GalliDella Loggia che non ha avuto diffi-coltà nel riconoscere che ’’la memoriaè rimasta imbrigliata da fatti chehanno finito con l’inghiottire l’antifa-scismo’’. Non gli si può non dareragione, finalmente qualcuno ha par-lato chiaro, cosi come non si può nondare ragione a Giovanni De Luna chesul quotidiano “La Stampa” dice cheper condannare il fascismo non bastaricordare soltanto l’infamia delleleggi razziali del 1938: c’è molto altrodi grave se si considerano i tanti limi-ti imposti alla libertà. Il pericolo perla storiografia è il segno dell’incom-pletezza, il rischio di non considerarel’intero quadro nelle sue diverse

    angolazioni, nei suoi tanti momentichiave. La parte avuta dall’IMI è unadi quelle cose che attestano l’incom-pletezza, rimasta in gran parte fuori,quasi mai valutata nel suo giustopeso. Il che procura disagio, sofferen-za. Oggi per fortuna se ne torna a par-lare come una faccenda a torto trascu-rata che merita di essere riaperta. Ne èuna prova, tra l’altro, un articolo su“La Repubblica” intitolato “Gli schia-vi di Hitler’’. Essi non sono altro chei prigionieri italiani catalogati in sche-dari da poco emersi in una cittadinadell’Assia in cui si attestano comemigliaia di deportati erano costretti alavorare, spesso fino alla morte, nellegrandi aziende tedesche, un caso nonisolato perchè altri documenti dellostesso tipo sono nel frattempo venutialla luce con dati ancor più pesanti.La Resistenza italiana è cominciata dalì, in modo inoppugnabile, lassù nellaterra tedesca, fra le brune dellaForesta Nera e le plumbee fabbrichedella città di Stettino, oggi polacca.Una Resistenza che si fa fatica a rico-noscere, ma che è un dato di fatto, unmomento della guerra sul qualeoccorrerebbe riflettere a lungo.Parlare oggi di revisione in questocaso è un’assurdità, una pretesto tira-to fuori per secondi fini, vuol direnegare una realtà pagata con il san-gue, la quale, purtroppo, dopo oltremezzo secolo, è ancora in attesa delriconoscimento che merita. �

    I RAGAZZI DI SALÒdi Claudio Sommaruga

    Da più di 60 anni fascisti e antifascisti parlano e sparlano atorto o a ragione dei “ragazzi di Salò” con cognizione o non,spesso con confusioni, superficialità e generalizzazioni chemeritano chiarezza.Succubi dei tedeschi, questi ragazzi (15-25 anni o poco più)erano gli avversari accaniti dei partigiani e badogliani nellelaceranti guerre di liberazione dai tedeschi.L’ex presidente della Camera dei deputati Luciano Violantenel 1996 invitò a comprenderli e li ha rievocati, lo scorso 25aprile, con l’ennesimo invito retorico alla rappacificazione.Ma per rappacificarsi bisogna ricordare e perdonare e perperdonare ci vogliono dei pentiti che riconoscano le colpe e

    nella fattispecie ne ho identificati ben pochi nei repubblichi-ni di ieri e nei loro simpatizzanti di oggi.Non entro nel merito di un giudizio etico e storico sui“ragazzi di Salò”, che nel mio caso sarebbe di parte come exIMI e deportato, né mi inserisco nei soliti dialoghi retorici:rappacificazione si o no tra protagonisti per lo più deceduti,“i morti sono uguali... ma erano diversi da vivi...”, colpo dispugna o ricordare, perdonare senza pentiti, tutti ugualivincitori e vinti di due patrie diverse, ecc. Mi limiterò a unarido approfondimento su chi erano e quanti erano i “ragazzidi Salò” e le loro varie radici per aiutare una discussionepolitica che non sembra esaurirsi ma anzi rinvigorirsi.

  • Ma chi erano e quanti erano i “ragazzi di Salò” e quali le loroorigini?Erano per lo più i giovani militari e militarizzati della RSI,cioè degli ex “giovani fascisti/MVSN/CC.NN.” ed ex mili-tari disertori del Regio Esercito legalitario e optanti per laRSI. In tutto e arrotondando le cifre (da prendere come ordi-ni di grandezza), 550.000 militari e militarizzati dei quali115.000 optanti per la RSI alla cattura e nei Lager, 265.000volontari e coscritti arruolati nelle quattro “DivisioniGraziani” (50.000 uomini) e nelle altre forze armate dellaRSI (marina, aviazione, X MAS...), 150.000 coerenti exMVSN/CC.NN. arruolati della “Guardia NazionaleRepubblicana” (GNR), circa 20.000 legionari delle SS ital-iane e non contando 17.000 ex IMI optanti all’estero nelleWaffen SS allogene e 61.000 nei battaglioni di lavoratoriausiliari della Whermacht.Non si sono inclusi invece i civili della RSI: per lo piùanziani. Operai e contadini con forse un milione di familiarie simpatizzanti dei repubblichini e 17 milioni di agnostici eattendisti dei liberatori ma per buona parte simpatizzanti insegreto della Resistenza; fra questi vanno stimati almeno 10milioni di congiunti e amici dei 600.000 IMI finali, 45.000deportati politici e ebrei nei lager e 350.000 partigiani, patriotie loro collaboratori e 57.000 combattenti del CIL.Per scrupolo e per non fare d’ogni erba un fascio è bene sot-tolineare che i cosidetti “ragazzi di Salò“ erano in verità ditre tipi eticamente ben differenziabili: volontari, obbligati efasulli.1) VOLONTARI (d.o.c., ideologici): fanatici o coerenti, inbuona fede o opportunisti, con un concetto retorico imperia-lista di patria aggressiva ereditato dal ventennio fascista edai nazisti; erano per lo più figli di irriducibili fascisti aiquali risalgono in primis le responsabilità delle scelte volon-tarie o guidate dei loro figli; nonché o militari optanti allacattura per coerenza (ex CC.NN. fascisti nostalgici o fedeliall’alleato tedesco) o opportunismo (“tutti a casa”).Ma anche noi IMI (da 716.000 nel ‘43 a 613.000 nel ‘45)soldati del Regio Esercito allevati dalla stessa scuolafascista, abbiamo reiterata per due anni la scelta opposta diuna patria libera e democratica, una scelta continua, soffertama spontanea, individuale, plateale,antifascista.Molti “ragazzi di Salò”, fiancheggiatori deinazisti, si macchiarono di crimini efferatisia con le armi che con rastrellamenti edelazioni e oggi rinascono nei pochiirriducibili nostalgici neofascisti delladestra.2) OBBLIGATI (di fatto, non ideologici):90.000 soldati disertori del R. Esercitooptanti alla cattura per coerenza (exCC.NN...) opportunismo, voglia di casa etimore, sfuggiti ai rastrellamenti tedeschi ereclutati col “bando Graziani”. Gli sban-dati rastrellati dai tedeschi furono internaticome IMI nei lager.Dei 180.000 coscritti previsti della “levaGraziani” che prevedeva la fucilazione deirenitenti e disertori o 10 anni di carcere ecomunque rappresaglie sui familiari, se ne

    presentarono solo 87.000, per lo più non per ideologia maper paura delle sanzioni. Ma 10.000 coscritti disertarono neiprimi giorni aggiungendosi ai 93.000 renitenti precedente-mente imboscati o espatriati in Svizzera o aggregati ai parti-giani in montagna e ai gapisti in pianura. Una curiosità:Mussolini vietò l’iscrizione al Fascio Repubblicano aglioptanti nelle SS non considerandoli più italiani come glialtoatesini optanti per il Reich!3) FASULLI equivocati dalle propagande fasciste e antifas-ciste: oggi ignorati da tutti (istituzioni, gente, media e storici)paradossalmente etichettati in dispregio “badogliani” dairepubblichini e “repubblichini” dai badogliani, partigiani eAlleati, in realtà né carne né pesce, non coscritti di Badoglio(data la giovane età) ma ritardatari di tre mesi della “levaGraziani”! Erano almeno 3.000 e comunque meno di 5.000“deportati in patria”, riuniti in almeno tre “battaglioni di dis-ciplina” del Genio della RSI ma sotto controllo tedesco. Tredi questi “badogliani ad honorem” li ho incontrati nelle miericerche.La loro storia è incredibile e paradossalmente sfuggitaall’indagine storica. Ritenuti indegni di fregiarsi dei “gladi”repubblichini, armati non di moschetto ma di picco e pala,vestiti in dispregio con divise badogliane e fregiati con le“stellette” (sic!) per lo più proibite agli IMI nei Lager.Alcuni reparti di questi ragazzi chiesero addirittura corag-giosamente le stellette e furono esauditi (sic!)! Nella primav-era del ‘44 inquadrati in battaglioni di lavoratori del geniodella RSI ma sotto comando di un maresciallo tedesco e disottotenenti repubblichini, vennero dapprima impiegati inItalia centrale nelle retrovie del fronte a ripristinare ferroviee difese. Poi furono deportati al servizio della Whermacht inGermania di fatto prigionieri-lavoratori ma rigorosamenteseparati dagli IMI e dai battaglioni (Baubtl) di prigionieri-lavoratori IMI/KGF ex resistenti con le armi catturati nell’au-tunno 1943. Alla fine del ‘44 a molti di loro fu offerto il riscat-to col miraggio di mangiare e di limitate libertà, non più pri-gionieri ma sempre lavoratori militarizzati della RSI fregiaticoi “gladi” repubblichini. Diversi aderirono conservando però

    in tasca le stellette con le quali rimpatriaronoconfusi agli IMI.Ma le loro disavventure non finirono qui: alloro rimpatrio furono accomunati ai “ragazzidi Salò”, molti in campi di concentramento emolti trattenuti a un nuovo servizio militaresotto la monarchia/repubblica italiana nonavendo effettuato sotto la repubblica fascistal’addestramento alle armi!Confusi a torto coi “ragazzi di Salò”,“repubblichini badogliani”. Autodefinitisi“deportati in patria” e “sottosoldati”, igno-rati dagli storici, politici e associazioni direduci e della resistenza come non fosseromai esistiti.Anche questo è successo: non tutti i cosid-detti “ragazzi di Salò” erano di fatto “ragazzidi Salò”. �

    1525 aprile

  • 16manifestazioni

    In occasione del 60° anniversariodella costituzione dell’ANRP (1948-2008), si è ritenuto, anche a seguitodelle molte sollecitazioni, di promuo-vere una serie di manifestazioni alivello nazionale, al fine di testimonia-re l’impegno morale e socio-culturalesvolto dall’Associazione in questolungo arco di tempo. Non è nostraintenzione elencare le principali attivi-tà svolte dall’ANRP negli anni, perchéciò potrebbe far pensare alla semplicestesura di un bilancio per trarne moti-vo di compiacimento. In parte, effetti-vamente lo sarebbe, ma in realtà sivuole rappresentare qualcosa di moltopiù impegnativo, quasi un’ indicazio-ne programmatica per il futuro. Unfuturo in funzione del quale si staabbozzando felicemente, proprio inquesti ultimi anni, l’idea di un radica-le rinnovamento di contenuti e dimetodi nella vita e nelle prospettivedell’Associazione. Siamo in presenzadi una autentica “svolta”. Il dibattitoche animerà quest’ anno di manifesta-zioni celebrative è improntato sultema: “l’ANRP verso il futuro: daAssociazione a Fondazione” con osenza il punto interrogativo (?). Nellosforzo di comprendere l’evoluzionedei tempi, ci si è proposti di reinter-pretare il ruolo dell’Associazione,ritenendo che non potesse essere con-finato nel culto, fine a se stesso, di un“reducismo” nostalgico che esaurissela sua presenza nel rito delle ricorren-ze celebrative, cosa che non incide inalcun modo sulla società e che, in par-ticolare non ha presa alcuna sullenuove generazioni.Ritorniamo in questi giorni con lamemoria, quasi in una sorta di pelle-grinaggio spirituale, dal quale, non lonascondiamo, usciamo rafforzati,all’impegno democratico che spinse ifondatori dell’ANRP ad associarsisessant’anni or sono. Ricordiamo laspontaneità con cui in molti, anzi mol-tissimi, si ritrovarono a Roma, prove-nienti da luoghi e da esperienze diver-

    se, a coincidere in una straordinariaunità d’azione, di volontà, di ideali.Ed è soprattutto questo che ancoraoggi anima la nostra convinzione diavere scelta la via giusta “allora” e diessere nel giusto “oggi”, quando per-petuiamo il ricordo di quei tempi equando cerchiamo di perseguire,ognun secondo coerenti e responsabiliscelte, i nostri obiettivi di fondo.L’ANRP è consapevole dell’altaresponsabilità morale e civile del suoruolo, a memoria di tutti quei reduciche, a volte fino al sacrificio persona-le, si batterono per contribuire allacausa della libertà, e che vollero affer-mare la dignità della persona di frontealla violenza e alla sopraffazione. Perloro merito oggi viviamo, non imme-mori, in un clima di libertà e di pace,prefigurato sessant’anni or sono in tre-pidante speranza. Come a loro “ieri”,così a noi “oggi”, in una società carat-terizzata da problemi e da gravi con-traddizioni, spetta il compito di prose-guire sulla via democratica.La libertà, il progresso, la pace, lademocrazia, la sicurezza sono beni chesi conquistano e si difendono giornoper giorno. Questo dicevano e questodiciamo in nome di quelle “testimo-nianze” di vita, alle nuove generazioni.

    Non deve sembrare anacronistico edesagerato il nostro non voler tradiregli ideali che ci fecero riunire sessan-t’anni or sono, anche se tante e sottilisono le tentazioni a cui siamo sogget-ti: il trasformismo politico, per cui ciòche importa è stare dalla parte del vin-citore; il personalismo, per cui nonl’uomo serve ad un’idea, ma ci siserve dell’ idea per il proprio torna-conto e i propri desideri di potere;iltatticismo esagerato, per cui la formavale più della sostanza e sull’altaredegli accomodamenti si sacrificano leproprie idee; la prepotenza comemetodo di vita, per cui chi comandaagisce non come colui che deve essereal servizio del prossimo, ma per avereragione, anche se non la si ha; il mate-rialismo, per cui si tende a sopprimerei veri valori dell’uomo, o quantomeno, a sovvertirne l’ordine; l’ipocri-sia che ci porta all’incoerenza tra ciòche si dice e ciò che si fa; l’egoismoche ci fa dimenticare il comune desti-no degli uomini e che ci fa dormiretranquilli nelle nostre case, mentre apoca distanza da noi c’è chi nondorme, perché soffre o ha fame.Il Paese, durante questi sessant’anni,ha vissuto il suo più lungo periodo dipace, di democrazia, e di progresso enoi dell’ANRP siamo orgogliosi diessere stati interpreti e compartecipirealizzatori di tali valori, che sono cosìdiventati parte della nostra tradizione.A questa consapevolmente ci richia-miamo, per proseguire insieme ai gio-vani, anzi affidando a loro il “testimo-ne” per il cammino dell’Italia didomani.Per fronteggiare le sfide dei tempi chestiamo vivendo, bisogna però cercareuna linea nuova, trovare una diversacollocazione che consenta all’ANRPdi acquisire rilevanza sociale, aggior-nando e ravvivando il proprio impegnoe costruendo un proprio spazio sulpiano culturale. In sostanza, l’ANRPdeve far sentire la sua voce, affrontan-do con determinazione e coraggio i

    Associazione Nazionale Reduci Prigionia, Internamento, Guerra di Liberazione e loro familiariEnte Morale D.P.R. 30 Maggio 1949 - Ente Nazionale con Finalità Assistenziali D.M. 10 Settembre 1962

    Sede Nazionale: Via Sforza, 4 - 00184 Roma - Segreteria Generale: Via Labicana, 15/A - 00184 Roma

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    MANIFESTAZIONI NAZIONALI NEL 60°DELLA COSTITUZIONE DELL’ANRP (1948-2008)

  • 17manifestazioni

    grandi temi di una vicenda storica cheha visto gli appartenenti all’Associa-zione vittime e protagonisti a untempo. Per riuscire nell’intento, il“messaggio” e la “testimonianza”devono superare i limiti della revoca-zione retorica, confinata nell’ambitodelle scadenze commemorative, perdiventare occasione di approfondi-mento sulle ragioni della crisi odierna,di cui tanto si parla e di richiamo aprincipi e valori che – per i reduciappunto – sono stati regola di vita insituazioni altamente drammatiche.L’ANRP, oggi presente in tutte leregioni italiane, inquadrando schieredi ancora validi dirigenti – sia purevia via decrescenti nel numero – puòcontinuare a fornire un apporto rile-vante in settori di alta valenza sociale,quali il rafforzamento del “senso delloStato” e l’affermazione della stessa“cultura della legalità”. Questi i moti-vi profondi delle manifestazioni, degliincontri e delle attività, che di volta involta l’ANRP propone, con l’intentodi concorrere, ancora una volta, allosviluppo e alla crescita morale e socia-le della Nazione ed a partecipare atti-vamente all’affermazione di un’Italiademocratica in cui, nel rispetto delleleggi e delle istituzioni, tutti i cittadinipossano collaborare al bene della col-lettività nazionale.La linea di tendenza è stata già trac-ciata e molti ne sono gli esempi con-creti: dal sodalizio con l’Università

    per convegni di studio, master e corsidi aggiornamento, agli incontri deiveterani con studenti e docenti; dallemostre d’arte, ai concerti e ai recitalsul tema della memoria. Il patrimonioeditoriale dell’ANRP, dai saggi diinteresse prettamente storiografico,alle riviste periodiche, di cui ricordia-mo il nuovo trimestrale “le porte dellamemoria”, è sempre più aggiornato ericco di nuove pubblicazioni, apprez-zate sia dagli “addetti ai lavori”, sia daun più vasto pubblico di lettori.L’ANRP accoglie, rielabora in chiavecritica e propositiva le testimonianze elo fa con antichi e nuovi strumenti eattraverso le più diverse forme dellacomunicazione, per essere più vicinaalle persone e renderle partecipi diquella vicenda di cui ancora i libri discuola non parlano.L’ANRP sente il dovere di trasmetterela memoria storica a tutti coloro chevogliono sapere e che hanno il dirittodi sapere. Pertanto, in occasione del60° anniversario della sua costituzio-ne, l’Associazione ha voluto metterein campo una vasta gamma di iniziati-ve educative e di studio, momenti diricerca e di confronto, convegni e pub-blicazioni. Ma ha voluto farlo anchecon le nobili discipline di sempre,come la musica, l’arte, la poesia e conquant’altro possa contribuire a genera-re una sensibilità nuova e a trasmette-re, attraverso la conoscenza e la com-prensione di una importante pagina di

    storia, i valori di pace di cui l’ANRPsi è sempre fatta portatrice.Questo è il percorso già avviato. D’orain poi si tratta di consolidare i risulta-ti ottenuti per portare avanti progetti dipiù ampia portata. Non è questione diambizione. Come appartenentiall’ANRP sentiamo una pesanteresponsabilità morale sulle nostrespalle, ma noi siamo lieti di portarla edi poter concorrere all’impegnocomune di un migliore avvenire.Non ci troverà d’accordo chi cerca dispeculare rinfocolando odi, risenti-menti, rivincite. Sì, invece, allanostra identità – nella verità storica –che consiste nel voler far germogliareil seme di libertà, di unione, di con-cordia, di perdono e di solidarietà chefu gettato, e che fu fecondato da unospirito nuovo, affinché produca ilfrutto di una società nuova, più giu-sta, più solidale. Dobbiamo cercareun sistema di vita economica e social-mente sempre più equa ed avanzata,combattendo contro chiunque volessegarantirla al di fuori della libertà edella pace.L’unità spirituale di questo lungoperiodo, degli aderenti all’ANRPnon significa non differenziarsisecondo le idee e la vocazione di cia-scuno, ma onorare un silenzioso giu-ramento, cui non sarà mai lecitovenire meno, ed impedire ad ognicosto che l’Italia possa rientrarenella spirale fatale di una dittatura, diqualsiasi colore essa sia. �

  • Da questa data, fino all’8 settembre del1944, il capitano Giacomo Brisca, depor-tato e internato nei lager nazisti, giornodopo giorno, su fogli di un piccolo blocconotes, annota fatti, eventi, pensieri, senti-menti, con una scrittura minuscola, rapi-da, fitta, quasi si direbbe per non perdereil senso della propria identità in quel flui-re del tempo che rischia di distruggere,cancellare la coscienza, sprofondarti nel-l’inferno dell’oblio.Ora quel diario è diventato un libro.Custodito dalla figlia per tanto tempo, èstato da lei stessa sottoposto all’attenzionedell’ANRP che ha subito compreso la pre-ziosità documentaristica dello scritto. Hapertanto istituito un gruppo di studio composto dallasociologa Barbara Bechelloni, dallo storico NicolaPalombaro e dall’esperta in scrittura diaristica RosinaZucco, con il coordinamento di Enzo Orlanducci, segre-tario generale dell’Associazione. Dal lavoro di ricerca ènato, per l’appunto, il volume “Secondo coscienza- Ildiario di Giacomo Brisca 1943-44”, che è stato presenta-to il 12 marzo, alle ore 17,30, a Roma, presso dellaBiblioteca del Senato “Giovanni Spadolini”.È stata al di sopra delle aspettative la partecipazione delpubblico che, in risposta all’invito dello stesso presidentedella Biblioteca, Sergio Zavoli, ha gremito la Sala degliAtti Parlamentari. Molti i rappresentanti delle forze arma-te, del mondo accademico, della scuola, della cultura edella ricerca. Molti gli anziani reduci, ma molti, anzimoltissimi anche i giovani, la presenza dei quali sta viavia aumentando in queste occasioni, grazie all’attività disensibilizzazione sempre più capillare svolta dall’ANRPpresso le università. In prima fila i familiari di GiacomoBrisca, figlio e nipoti. Seduta al tavolo dei relatori, la

    figlia dell’autore, Lidia Brisca Menapace.A testimonianza dell’importanza del-l’evento, Anna Maria Isastia, docente distoria contemporanea presso Sapienza,Università di Roma, e Presidente vicariodell’ANRP, ha letto i messaggi auguraliinviati rispettivamente dal presidente delSenato, Franco Marini, e dal ministrodella Difesa, Arturo Parisi, che perimprorogabili impegni istituzionali nonhanno potuto essere presenti, ma chehanno espresso un plauso per le iniziati-ve dell’ANRP legate al recupero dellamemoria storica e riconoscimento per ivalori di cui l’Associazione si fa portatri-ce. Dopo un’ampia introduzione sul tema

    degli IMI, la prof.ssa Isastia, in qualità di coordinatricedella tavola rotonda, ha dato la parola ai vari relatori,ciascuno dei quali ha contribuito a contestualizzare sottovarie angolazioni la condizione degli internati, offrendoin tal modo ai presenti una più agevole chiave di letturadell’esperienza personale di Giacomo Brisca, da consi-derarsi specchio di quella di tanti altri che come luipagarono di persona la scelta di non collaborare con ilnazi-fascismo.Ha fatto seguito l’intervento di Maria ImmacolataMacioti, ordinaria di Sociologia presso SapienzaUniversità di Roma. Dopo aver sottolineato il valore del-l’opera e il suo significato nel più ampio ambito dellamemoria individuale e collettiva, la Macioti ha percorso lepagine del libro, soffermandosi a commentare il lavorodei singoli autori. Il manoscritto ha destato subito grandeinteresse, perché non è facile trovare un diario dell’inter-namento scritto in tempo reale e quindi testimonianzaimmediata, in quanto non sottoposta ad alcuna manipola-zione successiva. Alla lettura, rivelatasi particolarmente

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    8 SETTEMBRE 1943: SECONDO COSCIENZAdi Amalia D’Addio

    IL DIARIO DI GIACOMO BRISCA1943-1944

    SECONDO COSCIENZA

    Barbara BechelloniEnzo Orlanducci

    Nicola PalombaroRosina Zucco

    Presentazione di Lidia Brisca Menapace

    Mediascape • Edizioni ANRP

  • ardua per le caratteristiche peculiari della grafia e per levecchie pagine ingiallite e consumate dal tempo, è segui-to il lavoro di trascrizione che ha permesso successiva-mente un’approfondita indagine sul piano socio-psicolo-gico e storico. La professoressa ha espresso una positivavalutazione dell’ accurato e approfondito lavoro svoltodagli autori e dell’ampio apparato critico e bibliograficoche lo documenta. Ha soprattutto apprezzato la metodo-logia con cui è stata affrontata la lettura e la trascrizionedel diario, un percorso didattico che potrebbe essereoggetto di una lezione sulla scrittura diaristica.Interessante il punto di vista di Fabrizio Battistelli,docente anche lui di Sociologia presso SapienzaUniversità di Roma, che ha posto l’attenzione sulla parti-colare situazione in cui si venne a trovare l’esercito italia-no dopo l’8 settembre ’43, lo sbandamento causato dallamancanza di direttive, il disorientamento dei militari chesi trovarono improvvisamente a dover scegliere da qualeparte stare. Proprio su quest’ultimo punto l’ottica diBattistelli induce a riflettere: ciascun soldato, allora, fecela sua scelta di combattente, obbedendo alle proprie con-vinzioni e ai propri ideali, sia chi, come Brisca, espressereiteratamente il proprio “NO!” alla collaborazione con itedeschi, sia chi invece optò per essa e chi, ancora, passònelle file della Repubblica di Salò. Rispetto a quelle chesono state fino ad oggi certe posizioni, basate prevalente-mente sulla dicotomia “resistenza/fascismo”, il discorsodi Battistelli ci è apparso di grande apertura perché sem-bra preludere ad una visione più oggettiva della storia e aduna maggiore serenità di giudizio.Dopo gli interventi dei relatori, ha preso la parola LidiaBrisca Menapace, che ha catturato l’attenzione dei pre-senti, affascinandoli con il suo modo di parlare brioso edarguto. Testimone della memoria paterna, ha raccontatoepisodi di vita familiare, rendendo meno astratta la figuradell’autore del diario e aprendo flash sul privato, conaneddoti risalenti al periodo della sua adolescenza.Intervallando il proprio racconto con colorite espressionipiemontesi, ha offerto numerosi spunti di riflessione sutematiche oggi molto vive: l’importanza della guidapaterna nel trasmettere valori quali il rigoroso senso deldovere, la forza dei sentimenti come collante dei legamitra i familiari, lo spirito di sacrificio, l’amore per lo studioe per la cultura. Ha posto l’accento sullo spirito mazzinia-no del padre, che sentiva fortemente la necessità di supe-rare le barriere nazionali per una più ampia dimensioneeuropea a livello politico e sociale. Un maestro di vita, unpadre attento e premuroso, pur nella lontananza e nellasua difficile condizione di internato.Sulle parole della Menapace hanno concordato gli altrirelatori; Anna Maria Isastia ha puntualizzato come l’ideadell’Europa sia fondata proprio sul pensiero di GiuseppeMazzini.L’incontro è stato concluso dal Enzo Orlanducci, coauto-re del libro, il quale, dopo aver ringraziato gli altri treautori, prima di salutare gli intervenuti, ha ricordato checon questo incontro si è dato il via alle manifestazioni a

    carattere nazio-nale per il 60°a n n i v e r s a r i odella costituzio-ne dell’ANRP(1948-2008) inoccasione delquale sono inprogramma perl’intero annovarie iniziative.In ultimo ha fattomenzione della“ m e d a g l i ad’onore” istituitadalla Repubblicaper i deportati egli internati ita-liani, militari ecivili, vittime del nazismo, onorificenza per la qualel’ANRP si sta adoperando attraverso il Comitato istituitoa tal fine. Orlanducci ha fatto presente con un certo ram-marico che, oltre al notevole ritardo con cui sta proceden-do il lavoro di esame delle domande pervenute, il numerodi queste ultime è ancora esiguo in quanto alla notiziadella concessione non è stata data divulgazione né rile-vanza come dovuto, essendo mancata purtroppo la sensi-bilizzazione da parte dei mass media. �

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    Associazione Nazionale Reduci Prigionia, Internamento, Guerra di Liberazione e loro familiariEnte Morale D.P.R. 30 Maggio 1949 - Ente Nazionale con Finalità Assistenziali D.M. 10 Settembre 1962

    Sede Nazionale: Via Sforza, 4 - 00184 Roma - Segreteria Generale: Via Labicana, 15/A - 00184 Roma

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  • La Giornata di studio sul tema“Prigionie. Storia e testimonianze deimilitari italiani tra cattura e ritorno(1940-1945)”, che si è svolta il 2 apri-le 2008 presso l’Università Roma Tre,facoltà di Scienze Politiche, ha segna-to un’altra tappa delle manifestazionia carattere nazionale promossedall’ANRP per celebrare il 60° anni-versario della sua costituzione. Unevento in “apertura” particolarmentesignificativo a testimonianza di quan-to il dialogo tra l’Associazione e ilmondo dell’università, della cultura edella ricerca sia sempre più foriero diinteressanti spunti operativi, per unpercorso volto a promuovere la pacee il rispetto dei diritti umani.In sintonia con tale spirito propositivoe con tali finalità, l’Università RomaTre ha voluto invitare i rappresentantidell’ANRP a questo incontro, ancheper presentare il corso di laurea in“Consulente esperto per i processi dipace, cooperazione e sviluppo” eaprire un momento di confronto sultema delle prigionie in tempo di guer-ra e di pace, ascoltando la voce deitestimoni.L’interesse per la tematica in oggetto eper le dinamiche che potevano scaturi-re dall’incontro è stato testimoniatodal calore con cui sono stati accolti irappresentanti dell’ANRP.L’inizio dei lavori è stato precedutodal saluto del preside della facoltà,Luigi Moccia, il quale, tra l’altro, havoluto sottolineare l’importanza del-l’attività dell’ANRP ai fini della dife-sa della memoria storica, non solo per-ché patrimonio collettivo, ma perchéstrumento prezioso per tutelare e pro-muovere la pace.Un apprezzamento per la sinergia sta-bilitasi tra il mondo dell’università el’Associazione è stato formulato dalpresidente Umberto Cappuzzo che hamesso in risalto come l’ANRP, nelcorso dei suoi 60 anni di vita, abbiasubito una profonda evoluzione, testi-moniata da iniziative sempre più

    diversificate e concrete.Da una posizione rivendi-cativa a tutela dei reduci edei loro familiari,l’Associazione è diventa-ta sempre più propositivae al passo con i tempi,avvalendosi della collabo-razione di soggetti partneraltamente qualificati delmondo degli studi e dellaricerca, con i quali intrat-tiene uno stretto e profi-cuo dialogo per renderevivificante la memoria delpassato attraverso un

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    PRIGIONIE. STORIA E TESTIMONIANZEdi Rosina Zucco

    UN BOLOGNESE NEI LAGER DI GERMANIA E POLONIAdi Olindo Orlandi

    Con “Interniertr” edito nel 1995, ho raccontato – mezzo secolo dopo il conflittomondiale 1943-1945 – le mie vicende di ufficiale di complemento, cioè non di car-riera, catturato in Montenegro il 15 settembre 1943 ed internato dai nazisti quale“prigioniero senza tutela”, in una serie di lager, staflager e Konzentrationslager diGermania e Polonia sino alla liberazione, nel 1945, ad opera delle truppe americane.In qualità di IMI, mi limiterò ad alcune riflessioni, complementari a quelle altrettan-to significative dei POW, che formulai nel dopoguerra quando, nel 1993, su iniziati-va del Guaisco e con l’aiuto determinante di Ezio Dall’Oro, uno di noi di Colonia làtrasferitosi nel dopoguerra, ci recammo in Sud Africa. Visitando lo Zonderwater,forse il più grande cimitero di caduti italiani in tempo di guerra, apprendemmo comesi potesse morire giovani, in prigionia, anche senza…soffrire la fame.Nel novembre 1943, giunto nel sacro suolo del 3° Reich, fui segregato in una deci-na di lager, prima a Meppen e Versen (Westfalia), quindi in Polonia a Chelm, enella fortezza di Deblin, poi di nuovo in Germania a Oberlangen, a Disdorf beiBonn am Rhein, a Koln-Merheim, quindi a Wietzendorf, per concludere la miaodissea nel Neubearbeitung di Velpke, dipendenza del campo di sterminio diNeuengamme, nell’11° Wehrkeis di Hannover dove, l’11 aprile 1945, fummo libe-rati dalle truppe americane che si erano incontrate a Fallersleben con le truppe russeprovenienti da opposta direzione, in una località assai prossima al nostro lager.Fu così che i tedeschi divennero prigionieri di guerra in casa loro e noi liberi cit-tadini con l’impegno, sulla parola di…non approfittarne.Per uno strano scherzo del destino il mio gruppo terminò la lunga segregazionenella “Stadt K.d.F” (Kraft durch Freude) nei pressi di Wagens, città dell’automo-bile, definita autentica città nazista, battezzata appunto “Città della forza attraver-so la gioia”, che gli americani dichiararono subito “città aperta”. Non so se i resi-denti quella “Gioia” – promessa dal Fuhrer Afolf Hitler – l’avessero mai provata.I nazisti, ancora increduli, negando a se stessi la nuova realtà, tentarono, in unprimo momento, di continuare a molestarci, ma tutto finì ben presto ed assai maleper loro, di fronte all’intrasigenza delle truppe americane. �

  • costante lavoro di sensibilizzazionedei giovani, per un futuro di pace e dicollaborazione tra i popoli. Ed è conqueste finalità che l’attività associati-va dell’ANRP, pur mantenendoun’identità univoca, legata soprattuttoal valore della “Memoria”, si è arric-chita di una serie di significativi eautorevoli contributi, finalizzatiall’ampliamento degli orizzonti criticie conoscitivi a livello storico, per unamaggiore incidenza sulla realtà socio-culturale, nell’intento di sollecitarel’attenzione verso il passato, ma senzaignorare il presente, di cui il passato,come memoria, è parte integrante.Fortunato Minniti, in qualità di coor-dinatore della giornata, ha dato l’avvioagli interventi dei relatori.Annunziata Nobile ha illustrato lefinalità del Corso di laurea in“Consulente esperto per i processi dipace, cooperazione e sviluppo” che

    mira ad offrire una preparazione ade-guata alla comprensione e gestionedelle complesse interdipendenze poli-tiche, economiche, giuridiche, socialie culturali che caratterizzano la realtàcontemporanea e alla realizzazione diinterventi nelle aree di crisi, volti allapromozione di una cultura del rispet-to e della tutela dei diritti umani.A seguire, Maria Luisa Maniscalco hapresentato Il Master in Peacekeeping&Security Studies, percorso formativodalla dimensione multiculturale, rivol-to a frequentatori civili e militari,messo a punto in collaborazione conl’Esercito italiano ed arricchito dallacollaborazione di altri preziosi par-tner, tra cui può annoverarsi l’ANRP.Il Corso, che attrae ogni anno studentidi tutto il mondo, si basa su un approc-cio integrato, creativo e flessibile,volto a potenziare, attraverso specifi-che attività laboratoriali, le competen-

    ze comunicative e le abilità relaziona-li da spendere sul campo.Sempre in relazione al tema della pace,nel suo intervento su L’insegnamentodella storia della pace, Renato Moro,direttore della Scuola dottorale inScienze Politiche, ha analizzato ilrapporto tra ideologie politiche esocietà di massa, con particolare atten-zione all’intreccio tra processo dimodernizzazione, fenomeni politici (inparticolare nazionalismo, razzismo,pacifismo) e dimensione religiosa.Entrando più specificatamente neltema delle prigionie di guerra, AnnaMaria Isastia, docente di St