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Un incontro bergamasco: CERESA - BASCHLNIS CARLO CERESA (1609-1679) il più grande ritrattista italiano del Seicento. Al viaggio di Carlo Ceresa in Milano fa esplicito riferimento il Tassi (1793): «ma per meglio potersi incamminare per la via di questa professione, si mise sotto la dire- zione di Daniello Crespi pittor Milanese di primo grido, che in quel tempo non poche miglia lontano dimorava ». Documenti non esistono; ma doveva tramandarsi memoria nell'ambiente artistico bergamasco, tanto più che il Ceresa era in buoni rapporti con alcune famiglie di censo illustre, per mecenatismo o, per via di donne, parentela: i Zignoni nonché i Boselli, che lo aiutarono fin dai primi passi. Ma se è vero che le opere contano come documenti inoppugnabili, a saperle leggere, esse parlano chiaro e appunto di una derivazione personale dal Crespi. Il Tassi fu un biografo scrupoloso, amava dise- gnare in proprio e da quando divisò di scrivere le storie dei pittori bergamaschi, ebbe l'ausilio di altri eruditi e collezionisti locali: lo zio teatino, il conte Giacomo Carrara, il Marenzi, si presume anche il Pasta, che andava preparando la sua guida di Bergamo, stampata nel 1774. Su questa informazione precisa del Tassi, il Locatelli ( 1869) indivi- duò la Certosa di Garegnano, « non poche miglia lontano », dove nel 1629 Daniele con- duceva gli affreschi delle storie certosine. Non si esclude che il giovane, « da se stesso studiando e disegnando » come attesta an-

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U n incontro bergamasco: C E R E S A - B A S C H L N I S

C A R L O CERESA ( 1 6 0 9 - 1 6 7 9 )

i l più grande r i tratt ista italiano del Seicento.

A l viaggio d i Carlo Ceresa i n Mi lano fa esplicito r i fer imento i l Tassi ( 1 7 9 3 ) : «ma per meglio potersi incamminare per la via di questa professione, si mise sotto la dire­zione di Daniello Crespi pittor Milanese di primo grido, che in quel tempo non poche miglia lontano dimorava ». Documenti non esistono; ma doveva tramandarsi memoria nell'ambiente artistico bergamasco, tanto più che i l Ceresa era i n buoni rapport i con alcune famiglie d i censo i l lustre, per mecenatismo o, per via d i donne, parentela: i Zignoni nonché i Boselli, che lo aiutarono fin dai p r i m i passi. Ma se è vero che le opere contano come documenti inoppugnabil i , a saperle leggere, esse parlano chiaro e appunto d i una derivazione personale dal Crespi. I l Tassi fu un biografo scrupoloso, amava dise­gnare in propr io e da quando divisò d i scrivere le storie dei p i t t o r i bergamaschi, ebbe l'ausilio d i a l t r i erudi t i e collezionisti locali: lo zio teatino, i l conte Giacomo Carrara, i l Marenzi, si presume anche i l Pasta, che andava preparando la sua guida di Bergamo, stampata nel 1774. Su questa informazione precisa del Tassi, i l Locatelli ( 1869) indivi ­duò la Certosa d i Garegnano, « non poche miglia lontano », dove nel 1629 Daniele con­duceva g l i affreschi delle storie certosine.

N o n si esclude che i l giovane, « da se stesso studiando e disegnando » come attesta an-

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cora i l Tassi, tenesse conto d i alcuni p i t t o r i locali del seguito moroniano: i l Salmeggia, i l Cavagna, e d i più modesta levatura i l G r i f o n i , lo Zucco, i l Ronzelli . Ma nel Salmeggia c e sempre un che d i esibito anche quando affronta la realtà, d i esteriore e, nel suo eroicismo, d i teatralmente impaginato. Più solido i l Cavagna, specie laddove badava con maggior impiego alla lezione del M o r o n i , da cui apprese (dopo essere stato « nella fiori­tissima stanza di Tiziano » ) qualcosa d i più che « l ' impasto dei colori », e cioè i l rap­porto franco con la realtà, attuandolo anzi in incontr i plebei, « quasi da compagno del Caravaggio », dice i l Tcstori ( 1953 ) . Ma pure i l Cavagna, deviando a un certo momento sui veneti, e precisamente sul Bassano, annacquò quel suo tentativo di innovazione in ambiente bergamasco. Dagli a l t r i , i l Ceresa aveva capito che non c'era più nulla da spre­mere, scialbi com'erano; e scomparsi i l Salmeggia nel '26, i l Cavagna nel 1627, quando più, a dic iot t 'anni , aveva bisogno d i innesti feraci, si decise a cercare altrove. La sua partenza f u , q u i n d i , un atto d i scelta responsabile.

Milano faceva parte d i un altro Ducato; ma era prossima, poco al d i là de l l 'Adda , e d i là venivano notizie d i gran fervore d i opere. Spentasi la morìa della peste d i San Carlo, che mezzo secolo prima aveva devastato la città, e preso nuovamente vigore, si era data a costruire, ad abbellire. L o stesso Salmeggia v i si era recato più volte e lasciato nume­rosi d i p i n t i , persino i n D u o m o , regno incontrastato del Cerano, per un altare del quale dipinse nel 1601, avendone 180 ducatoni d i compenso, l'ancona dello « Sposalizio della Vergine », per tanto tempo ritenuta d i Federico Zuccari , finché g l i venne restituita dal-l 'Ars lan, che trovò le ricevute d i pagamento ( 1 9 6 0 ) .

D i quel gran daffare a M i l a n o c'è una precisa e contemporanea testimonianza a stampa del 1619, i l « Supplimento » d i Girolamo Borsieri al termine della nuova edizione della « Nobiltà d i Mi lano » pubblicata primamente da Paolo Mor ig ia nel 1595. Dice dunque i l Borsieri : « Grande occasione di proseguir le fabriche Eclesiastiche, e di farne anco di nuove dentro Milano in questo corso d'anni ha data, e dà tutta volta la pace, che regnar vi si è veduta sotto lo imperio de' Re della Spagna, Filippo il padre, e Filippo il figliuolo, con la politica introdotta, e conservata nelle chiese da' Chierici Regolari e da' Frati, che in ciò cominciano imitarli. Dall'anno dunque 1595 fino al presente, ch'è il 1619, si è finita la cupola di S. Lorenzo al Carohbio, opera degna d'esser paragonata con qual si sia altra, che si habbiano fatta gli antichi in Roma si per lo artificio, e per la spesa, come anco per la magnificenza, e per lo decoro, havendo tale architetto ne' tempi passati, che giudicava impossibile impresa il ridurla a stato di perfezione. Si sono abbellite le Chiese di S. Antonio, secondo il vulgo de' Teatini, di S. Maria Secreta de' Chierici della Somasca, e di S. Alessandro de' Bamabini, con capelle adorne di stucchi, di colonne tratte da' mi­gliori e più fini marmi e porfidi che hoggi si cavino e di pitture fatte de' più eccellenti maestri » ( pag. 20 ) .

E con non poco orgoglio, però anche con preciso senso cri t ico, i l Borsieri prosegue col dire che « la Lombardia hoggi non ha bisogno de' Pittori che fioriscono in Roma, haven-

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2. Sacra Famiglia: collezione privata.

1. Pala di Pianca, 1630: S . G i o v a n n i Bianco, Bergamo.

done anch'ella di quei che possono annoverarsi fra i principali, che seguano anco le ma­niere trovate da M. Angiolo da Caravaggio, e dalla Scola de Carati) » {pag. 73 ) .

I n pari tempo, i l cardinale Federigo aprì agli studiosi la Biblioteca Ambrosiana ( 1 6 0 7 ) , per la quale faceva incetta d i incunaboli e d i l i b r i rar i i n ogni parte, e poco segui che, iniziata i n Roma l'Accademia d i San Luca nel 1593, d i cui era protettore, volle che fosse imitata, aprendone un'altra in Mi lano accanto alla Biblioteca. Da Bologna giungevano le lodi per i m e r i t i dell'Accademia carraccesca; e Federigo ne chiese al cardinale Paleotti, che gl i rispose allegando una lettera d i Ludovico Carracci. E come donò i l i b r i , così ce­dette le raccolte delle opere d'arte ( 1 6 1 8 ) , chiamandovi a insegnare i l Cerano la pi t tura , G i o . Andrea Biffi la scultura e Fabio Mangone l 'architettura.

Per conoscere le idee artistiche del cardinale, uomo d i profonda e moderna cultura, si legga i l « Museum », dato alle stampe nel 1625, dove elenca tutte le opere donate, non

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solo, ma le vaglia e giudica. Si intuisce che le sue preferenze vanno al Tiziano de l l 'Ado­razione dei Magi , d ip into per i l card. I p p o l i t o d'Este che lo voleva donare a Enrico I I d i Francia, e riscattato dal cardinale Borromeo per una grossa somma, a pubblico godi­mento; per i l L u i n i , d i cui apprezzava « certa delicatezza, le movenze e l'aria dei volti affettuosa e devota »: una condizione che, in accordo al Concil io d i Trento , andava rac­comandando a t u t t i g l i art ist i della sua diocesi. Nella munifica donazione era compresa anche la natura morta del Caravaggio, e i l Cardinale ben ne comprendeva i l nuovo e per­sino sconvolgente mot ivo poetico: « Ne di poco pregio è un canestro, che gli sta presso, con dei fiori a tinte vivaci. Lo fece Michelangelo da Caravaggio che si acquistò gran nome in Roma, lo avrei voluto porgli accanto un altro canestro simile, ma non avendo potuto nessuno raggiungere la bellezza ed eccellenza incomparabile di questo, rimase solo ».

Questo « canestro » gl i fu donato dal cardinale Del M o n t e a Roma, e dalle parole del

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Ritratto di famiglia: collezione privata.

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Borromeo è lecito presumere che avesse scritto per averne almeno un al tro , da far cop­pia con quello da lu i estimato incomparabile.

Forse ci siamo tardati alquanto su queste vicende milanesi; ma veda ognuno che cera quanto bastasse a mettere Tali ai piedi d i un giovane d i talento, che non voleva pestare acqua nel mortaio d i una tradizione pittorica in patria dissugata. Vediamo quindi i l Ceresa a Mi lano nel 1629, sulle orme di Daniele a Garegnano. Chiamando a modello i frati del cenobio, i l Crespi compiva un'operazione difficile nel tentativo di accordare le « catastrofi liturgiche » del Cerano (che nel 1621 l'ebbe allievo al l 'Ambrosiana) con la concretezza del reale quotidiano. Fatto sta che sui m u r i della chiesa v i andava svolgendo un racconto pit torico a colori grigio-violacei, bianco-verdi, che i l Del l 'Acqua non esita a definire un « romanzo psicologico » ( 1957 ). Quelle « storie », da vicenda sacra, si tra­sformano in documentari d i vita contemporanea con squarci d i natura cosi freschi, tanto pregnanti, da risolversi in novità per l 'ambiente milanese; e quei santi de l l 'Ordine dentro le finte nicchie, in bianco e così imminent i quasi stessero per scendere a dire i salmi col coro dei confratell i , costituiscono una vera galleria d i r i t r a t t i .

I l Ceresa arriva propr io sul fare d i tali affreschi, e guarda a quel realismo che, dal M o r o -n i , nessuno in patria seppe curare, e studia, e confronta. I l Testori presume persino che vi abbia messo anche le sue mani sulla volta. Questo, per un ventenne, se davvero avven­ne, era un bell ' impiego oltre che una prova d i precocità.

Ma ci si chiede se i l Ceresa si accontentasse d i quell 'esempio, o non andasse in giro a vedere altro. In tanto quel « canestro » del M e r i s i , fonte pr ima della svolta clamorosa al Manierismo, e segno d i una diversa moralità fatta d i sangue più che d i convenzioni, anche peritissime. I l Testori suggerisce ancora i l Cerano, che aveva terminato da circa un ventennio i « quadroni » della vita e dei miracoli d i San Carlo per i l D u o m o . Prese p o i , certamente, la via alla Passione, dove Daniele aveva terminato le contorte e ferali ante degli organi. V i trovò anche due vaste tele del conterraneo Salmeggia, datate 1609.

Al la Passione c'era l ' U l t i m a Cena d i Gaudenzio, che anche Daniele prenderà a prestito per la sua « Cena » ora a Brera e a quel tempo presso le Benedettine d i San Pietro d i Bru-gora, in Brianza. I n al tr i luoghi c'era sull'altare d i San Lazzaro (e dal 1805 a Brera) la « Madonna del Rosario » del Cerano: e q u i n d i i bianchi e i neri del saio domenicano, Io schema a piramide, e quel vo l to d'afflizione amorosa, che vedremo tornare più volte nelle pale del Ceresa, quasi letteralmente nella pala d i A l m e . M a è facile arguire che mosse i suoi passi verso la Passione per vedervi i l « D i g i u n o d i San Carlo », che Daniele aveva compiuto pochi mesi avanti : un sorprendente quadro d i verità quotidiana, un me­morabile incontro d i spir i to lombardo e d i r igorismo spagnolo che, date alla mano, in­crocia col realismo di Velasquez, caravaggesco già dagli anni d i Siviglia e venuto in Ital ia giusto nel '28, nonché con i tempi matur i d i Zurbaran. N o n sorprenda. E ' ormai provato che le notizie, se non propr io i disegni, circolavano presto tra g l i art ist i che ne avevano interesse.

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C'era anche del l 'a l tro da vedere, in Mi lano, e mettere a prof i t to . Si può pensare con molta verosimiglianza che i l Ceresa trasse schizzi a memoria d i quel che vedeva. I l San Carlo che appare nella pala in Santa Caterina in Borgo a Bergamo, del 1653, è troppo simile a quello del « Digiuno », e vero, quasi palpitante, perché non l'abbia cavato da un disegno conservato da quel viaggio milanese. Una puntata alla Pace, e lì trovava gli affreschi or ora compiut i dal Tanzio: quei bianchi lunari e quella cronaca rustica dei pastori svegliati dagli angeli. Tanzio era stato a Roma proprio negli anni del clamore caravaggesco e ne portava in Lombardia stigmate profonde: « una mistura bellissima di naturalezza caravag­gesca e di estremo manierismo lombardo », come scrisse Roberto Longhi nel 1943. Sarà appena una coincidenza; ma è significante i l fatto che nel 1911 a Firenze i l r i t ra t to del­l 'Armigero (tavola I I a color i ) venisse scambiato propr io per uno del Tanzio. Che fer­mento nella memoria del giovane bergamasco, e quale saccheggio con gli occhi ansiosi di apprendere.

La sosta d i Mi lano non dovette durare mol to . La peste batteva la campagna già durante quell'estate e sul cominciamento dell 'autunno giunse in Mi lano . I l capitolo X X X I dei Promessi Sposi, così grave nel crescere luttuoso del morbo che si annuncia e nessuno

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crede e poi impazza, « grassante lue » inarrestabile, ci dice che i l Sellala fu preso a sassate dalla folla per aver r i fer i to dell'avanzante moria. Sulla base del Tadino, testi­monio d i quei fa t t i , i l Manzoni cita i l misero che la introdusse in M i l a n o , « soldato italiano al servizio di Spagna... di quartiere nel territorio di Lecco », g iunto in Mi lano il 22 ottobre 1629. Dalla terra d i Chiuso, ult ima del terr i tor io d i Lecco e confinante col Bergamasco, ove i l Settala avverti i l contagio, la peste passò anche nelle terre d i Ber­gamo. Le cronache registrano che alla fine del morbo, nel 1630, nel Milanese, secondo i l Cappuccino padre Felice che ebbe in cura i l Lazzaretto, morirono 120.000 persone; secondo il Cusani 86.000. Sempre una carneficina. I l Ghirardel lo ci fa sapere nell'« His to-ria del memorabile contagio » ( 1 681 ) che nel Bergamasco, « raccolto il computo de' mor­ti, si trovorno fra la Città e il territorio mancavano 56.897 persone, delle quali 9.550 alla città e il rimanente fuori ». Una popolazione quasi dimezzata.

Nel 1630 i l Ceresa, in fuga da Mi lano assalita, è sicuramente in Val Brembana, a San Giovanni Bianco, dove — secondo i l Tassi — era nato nel 1609. Al la frazione di Pian-ca, sopra i mont i , tra forre e boschi, si trova la paletta firmata e datata 1630. E ' un ricordo di quella peste. A chiare lettere sul quadro, al modo che i l Ceresa userà spesso, c'è la scritta dedicatoria: « Ex voto - comunitatis », e i santi che v i ha d i p i n t o , Seba­stiano e Rocco, sono i santi della peste.

N o n so chi abbia visto questa paletta giovanile. I l luogo dove si t rova, bellissimo, è però impervio e v i conduce una strada che spesso si muta in mulatt iera. Ora è stata foto­grafata (tavola 1 ) . Se fosse stata vista, e non soltanto citata da l ibro a l ibro , i l comin-ciamento dell'arte del Ceresa sarebbe apparso più chiaro ed evitate supposizioni d i cro­nologia da lasciare perplessi.

Misura circa cm. 150x100 e sta all'altare d i destra, i santi allineati e come conf i t t i den­tro i l r istretto spazio. E ' chiaramente d i cultura palmesca: abbondanti i panni, serpen­tine le figure. Se contano i r i fer iment i , la contorsione di San Sebastiano legato all'albero è da confrontare con la figura a sinistra della « Trinità » d i Nese dipinta da Palma i l Gio­vane; e i l gonfiore delle vesti pesanti. C e da concludere che i l viaggio a M i l a n o non fruttificò subito nella pi t tura del ventenne p i t tore . I n simile situazione stilistica si t ro­vano in V a l Brembana altre palette firmate dal Ceresa: la « Visitazione » d i San Gal lo , la « Sacra Famiglia » d i San Pietro d 'Orz io , i l cui arcaismo non fa superare d i mol to quella data precoce. Si rimanda per i chiarimenti alle più estese « Considerazioni sulla cronologia », più innanzi.

Però, a ben guardare, sia pure arcora acerbo, già traspare quel che sarà i l vero Ceresa: il San Rocco così intento, così vivace d i sguardo, non si può più dire uno stile r ipetuto , bensì è un anticipo di evoluzione in corso.

Ma già da queste palette sperse nelle frazioni si possono trarre grosse conseguenze. Te­niamo d'occhio i santi d i Pianca, ed è impossibile trovare una collocazione vicina, o ad­di r i t tura anteriore, al « Ri t ra t to d i giovinetta » della Carrara ( n . 7 3 7 ) . I l Testori , cui

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spettano tanti meri t i per la storia del Ceresa, ne deduce che « potrebbe, salvo la qualità della materia più sostanziosa, dirsi di Carlo Francesco Nuvoloni; mentre è del Ceresa e forse, a tutt'oggi, il primo suo » ( 1953, p. 2 4 ) . E ' un quadro che intriga un poco t u t t i i c r i t ic i . Per la O t t i n o della Chiesa i r i t r a t t i ceresiani « ci mostrano legittima una discen­denza Moroni-Cavagna, con una leggera intrusione di mestiere da Daniele Crespi e, nei più giovanili, come questo di aristocratica e un poco sussiegosa fanciulla, dal Nuvolone ».

Tut ta l t ro che « leggera intrusione di mestiere », quello d i Daniele ( e lo si vede tenendo conto della pala di Pianca ) fu un incontro destinato a diventare determinante e revulsivo.

Comincia proprio da lui i l discorso sulla realtà; e se all 'origine sta, come è giusto i l M o r o n i , essa è una fonte che s'era disseccata o per lo meno persa in Bergamo, dove pure nacque. I l viaggio a Mi lano glie la fece ritrovare fresca e zampillante, oltre i t i m i d i accenni d i natura del Salmeggia e i rischi deviami sul Bassano del Cavagna.

Nel 1630 è presumibilmente ancora t ramort i to da quel che vide a M i l a n o . M a nel '33 è digià sbocciato, è un pi t tore nuovo, come dimostra i l « Ri t ra t to d i ragazzo » datato e firmato dei Musei Civici milanesi. La pala della sacrestia d i San Giovanni Bianco, che si aggira su quell 'anno, reca, segno anch'esso della revulsione avvenuta in senso naturali­stico, la Madonna in effige d i Caterina Z i g n o n i , sua moglie. Era cioè avvenuta quella f u ­sione di iconografìa sacra e d i iconografia mondana, che tentò sia i l Cavagna che i l Sal­meggia, con esiti meno c o m p i u t i , meno fusi .

Per tornare alla « Giovinet ta » della Carrara, essa è i l f r u t t o d i una serra preziosa, che non ha nulla da spartire con la schiettezza diuturna del Ceresa. Semmai bisognerebbe salire nel tempo, verso i l settimo decennio d i sua attività. M a pur durante i l periodo ultimi», quando i l Ceresa riprende l'evidenza tangibile crespiana come un r i torno d i fiam­ma, cresciuta però di tutte le malinconie accumulate e delle consapevolezze moral i che la sua lunga pratica d i u o m i n i e d i eventi aveva approfondito , c'è sempre una torn i tura , una levigatezza che rianima, in senso moderno, i grandi esempi del M o r o n i . Propr io alla Carrara si veda l'identità non soltanto iconologica fra i l r i t r a t t o crespiano d i « Iacopo firaboschi » ( n . 14 alla Carrara, tav. 40 del nostro catalogo) e i l « R i t ra t to d i vecchio s ignore» del M o r o n i ( n. 13 alla Carrara) , ambedue severi e quasi aqui l in i d i gr inta .

Invece la « Giovinet ta » è d ip inta con un colore soffice, da petalo muschioso, che ap­partiene a pi t tore d i tut t 'a l t ra estrazione più compiaciuta e mondana: Carlo Francesco Nuvolone, i l nome che è affiorato i n quasi t u t t i i c r i t i c i . D i f a t t i l 'autore della contigua, alla Carrara, « Madonna col Bambino » è i l nome ben più conveniente a questo bel r i ­tratto « un poco sussiegoso », al quale bisognerà rest i tuir lo .

Occorre, q u i n d i , d'ora in avanti , tener d i s t i n t i i due gruppi d i opere della V a l Brembana; quelle acerbe e giovanil i d i Pianca, d i San Gal lo , ecc., e le altre bellissime e meditate, con

9. Madonna coi SS . Alessandro e Luiiù re di Francia: collezione privata.

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ascendenze di finezza cromatica verso G i u l i o Cesare Procaccini, del santuario della Costa 0 d i San Pellegrino, databil i al 1650/5. I l Ceresa le mandò su da Bergamo, oppure tornò al paese per dipingerle. Che ritornasse d i quando in quando in valle, alla sua cara luce montanina, alle rive aspre ma mormorant i del Brembo, lo dimostra una sua lettera del 28 maggio 1667 da San Giovanni Bianco a MafTìo Tassis d i Brescia ( B i b l . A c c , Bergamo) .

Protetto dai Boselli, che a San Giovanni Bianco possedevano una casa sul fiume a domi­nio della valle, imparentato con i Zignoni d i cui sposò una Caterina, sorella o cugina di Laura Zignoni ( tav. I I I a co lor i ) andata sposa a un Boselli , i l Ceresa scese presto a Bergamo. Passato lo spavento della peste, trovò i sopravvissuti animati da una volontà

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12. Donna col ventaglio: collezione privata. 13. Gentiluomo col fazzoletto: collezione privata

d i vi ta , e le chiese da un fervore at t ivo, che si riscontra nel grande numero di r i t ra t t i entrati nelle case avite e d i altrettante pale salite sugli altari .

Si è già citato i l « Ri t ra t to d i ragazzo » d i Mi lano ( tav. 4 ) datato 1633. L'artista ha preso i l suo avvìo su Daniele e ha già trovato i l modello per tanti suoi r i t r a t t i con uno scatto d i verità fìsica e psicologica inconsueta anche nei grandi modelli cinquecenteschi del Mo­roni . Nella serie dei quadri religiosi si incontra subito una paletta con la Sacra Famiglia,

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14. Duma col fazzoletto bianco: Pinacoteca Brera, 15. Bambina con la rosa: collezione privata.

Milano.

d i chiesa o d i casa privata non si sa, perché da tempo nella raccolta d i un collezionista.

Risulta ancora arcaica e q u i n d i giovanile. Essa permette d i osservare quanto rapido vada maturando in l u i i l « naturale » del Crespi, anche nel gusto del racconto. C'è un'aria confidenziale nei personaggi, sorpresi i n u m i l i azioni quotidiane. V i e n da pensare al tono rustico del Tanzio, se quel drammatico e tanto più esplicito pi t tore d i r i t i penitenziali e d i crudeli mart i ro logi avesse d i p i n t o una scena d i altrettale commovente verità plebea.

I n t a n t o , c'è da crederlo, i l Tanzio avrebbe to l to , come i l Caravaggio, le aureole, per una santità che è più dentro le persone e nel loro patire, e tanto meno avrebbe collocato quel breve nimbo d i angeli sfarfallanti . M a quanta verità d iuturna , quale umana terre­strità, e tepore da stalla in quell 'ombra densa d i fiati della paletta ceresiana. Le clau­sole tr identine hanno ancora scarsa presa. E ' ben vero che, i n opere d i maggior impiego ecclesiastico — i l « San Vincenzo in D u o m o ( tav . 8 ) o la pala del Rosario per Almè ( tav. 11 ) , per citare qualche esempio — i l Ceresa v i acconsente con larghezza, e col­loca con divozione i personaggi, introduce angeli e p u t t i . M a non è un cedere remissivo; piuttosto è da vedere un tentativo spesso felice d i innestare la concretezza del reale sulla convenzione l i turgica.

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16. Ritratto di Bernardo Gri t t i , 1646: Rijksmuscum, Amsterdam

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18. Ritratto di Giovanni Pesenti, 1650; coli, privala. 17. Ritratto di Battista Pesenti, 1650: coli, privata.

Proprio nel « San Vincenzo » c'è quel sorprendente paesaggio che rif lette l 'ora e la luce sulle t o r r i e le cupole d i Città A l t a , e i l santo, permettendo la compunzione della sua gloria celeste, è un bel giovine in dalmatica rossa visto passeggiare in piazza e preso co­me modello. I I Tassi, occhio fino, rileverà con giustezza i l suo piacere d i fare « li pattini assai carnosi e ritondi, e che molto dilettano per le loro idee belle e ridenti ». Rimetten­do in circolo terreno le figure e le azioni della santità, veniva ad o f f r i re un ausilio più che un conforto a chi , scampata la morte, tornava a vivere la sua cronaca giornaliera, e la chiesa era d i nuovo una società d i esseri v i v e n t i , coinvolta nell'umiltà dei g i o r n i , anziché rima­nere estranea nei f u m i degli incensi. H a ragione Luig i Salerno (1956 , pag. 2 0 ) quando dice che « la Controriforma lombarda guidata dal Borromeo, fedele ai testi sacri e amica della povertà e della penitenza », si differenzia, quasi contrastando col suo mondo mo­rale cresciuto nelle lacrime di fronte alle m o r t i , con Roma, « dove la Controriforma era esteriore e politica ».

Immettere le donne e gl i uomini che incontrava nelle strade e dentro le case nei suoi quadri d'altare, u m i l i , concreti , corposi e l'occhio v i v o anche se assorti e compresi nei r i t i d i cui reggono i s imboli (la palma, la graticola, i seni tagliat i , la ruota, le chia­v i , l 'ascia), voleva significare per i l Ceresa che la natura umana, persi i pr iv i leg i e g l i ideali del Rinascimento, ne aveva acquisiti a l t r i fondat i su quella coscienza della soffe-

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renza comune. Faceva ressa una società nuova, consapevole delle sue sorti , e t u t t i gl i stru­menti voleva che si adeguassero alla sua nuova condizione. Anche quelli della fede, tanto più che le piaghe appena lenite o che potevano riaprirsi per improvviso e furente con­tagio, non erano di f ferent i da quelle dei santi Rocco e Sebastiano e offr ivano la precisa cognizione d i una identità comune, rifattasi carne e patimento quot idiani , da ideale e dogmatica che era. I l Caravaggio, lombardo pure l u i e cresciuto a Mi lano in frangenti non dissimili a causa della peste d i San Carlo, ritroverà la natura reale per « concentrazione morale sulla storia » ( Salerno ) e nel realismo umile della gente povera, nei panni laceri dei popolani, tra gl i oggetti plebei d i taverna e d i cucina, calerà i simboli dell'antica fede, ridonandole una sostanza che non era soltanto quella del disquisire teologico.

I l Ceresa non si può certo dire un realista spinto, né tanto meno volto ai ferali spetta­coli penitenziali del Tanzio e alle morbose complessità d i Del Cairo. Da quel « canestro di f rut ta » all 'Ambrosiana e dalle versioni che Tanzio e Daniele portavano nella pittura

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22. Ritratto di Lorenzo Ghirardello: Museum of Fine A r i s , Boston.

milanese, egli prese quel tanto che gl i servì a ricreare una verità domestica, una mistione personalissima d i maniera ideale e d i realtà tangibile. N o n f u un r ivoluzionario . Ma nei confront i delle r ipet izioni retoriche e spesso vacue consumate in Bergamo anche dagli onorati Salmeggia e Cavagna che lo precedettero, fu un deciso r i formista . N o n raccoglie i l luminismo drammatico che nel conterraneo Caravaggio è specchio d i spasimante rive­lazione propr io tramite i l confl i t to tra luce che folgora e tenebra che sommerge. A que­sto proposito si può trascrivere ancora una volta i l Tassi, quando ammette che « nel-l'inventare fu piuttosto aggiustato, che ferace ».

D'a l t ro canto le clausole tr identine in verità non furono mai categoriche al punto da pre­cludere agli art ist i che l i sapessero affrontare, sugli esempi del Caravaggio, i temi del reale giornaliero. Lo Zeri ha già indagato questa situazione dell 'arte italiana dopo i l 1570 nel suo bel l ibro sul Pulzone romane ( 1957) e dimostrato che la crisi era insita nello stesso svolgimento del Manierismo italiano, sullo sfondo di un'inarrestabile involu­zione della società italiana. G l i scri t tori d'arte l'andavano rivelando, quella crisi , nelle loro discussioni e nei loro t ra t ta t i a stampa.

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23. Donna seduta: collezione privata.

24. Ritratto di dama: collezione Suida, New York

Nel 1564 appare quello del G i l i o : « Due dialoghi . . . degli errori de' p i t t o r i » dedicato al card. Alessandro Farnese; nel 1584 appare a Firenze « I l Riposo » del Borghini ; nel 1590 a Mi lano pubblica la sua frondosa « Idea del Tempio della pi t tura » i l Lomazzo; lo stesso anno esce a Mantova i l « Figino ovvero del fine della pi t tura » del Comanini ; e nel 1607 Federigo Zuccaro dedica a Carlo Emanuele d i Savoia la sua « Idea dei p i t t o r i , scultori e architetti ». T u t t i indici d i una crisi crescente e sempre più irrimediabile. Anche Bernardino Campi pubblicò a Cremona nel 1584 i l suo l ibro d i « Pareri sulla pi t tura ».

Quale esempio delle idee allora in discussione tra g l i scr i t tori e g l i art ist i , proviamo a riportare una pagina del G i l i o , anti-Michelangelo feroce. Nel suo rigido conservatorismo iconografico, raccomandava di ridare forza all'antica consuetudine. « Qual è questa anti­ca consuetudine? E' il dipingere le sacre immagini honeste, e devote, con que' segni che gli sono stati dati da gli antichi per privilegio della santità; il che è paruto a moderni vile, goffo, plebeo, antico, humile, senza ingegno e arte; per questo essi anteponendo l'arte al honestà, lasciando l'uso di fare le figure vestite l'hanno fatte, e le fanno nude, lasciando l'uso di farle devote l'hanno fatte sforzate, ponendogli gran fatto di torcerli

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il capo, le braccia, le gambe, e parer che, più tosto rapresentino chi fa le moresche, e gli atti, che chi sta in contemplazione ».

Tali l i b r i circolavano senza dubbio anche a Bergamo, dove esisteva una classe di clero e d i nobi l i co l t i , d i u o m i n i d i studio. Ne è prova i l fatto che Io stesso Salmeggia scrisse nel 1607 un trattato, giunto a noi solo in qualche brano.

I l Concil io Tr ident ino ( 1563) f u abbastanza generico nelle disposizioni concernenti l'ar­te per le chiese, lasciando ai vescovi la tutela e la sorveglianza della dignità delle opere da porre sugli al tari . I n particolare si preoccupava d i vietare « tutte le lascivie d i una sfacciata bellezza dalle sacre figure ». Nel trattato « De pictura sacra » che Federigo Bor­romeo pubblicò a Mi lano nel 1624, un capitolo intero è dedicato al nudo e alla vere­condia degli atteggiamenti, e un altro ai r i t r a t t i al naturale: « Mentre lodiamo e racco­mandiamo l'usanza e la premura di ritrarre le fisionomie dei vivi, non possiamo poi non rimproverare quegli artisti che scelgono persone di fama perduta per appioppare i volti e gli aspetti loro alle immagini dei Santi ». Inv i tava infine a non in t rodurre figure d i laici nelle sacre rappresentazioni, e tanto meno d i commit tent i e i loro ornat i stemmi.

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Sicché non dappertutto i l rigore ispirò l'azione dei vescovi. Nel Bergamasco la curia do­vette essere tollerante, se questa disposizione non risulta applicata alla lettera. N o n fu per lassismo; piuttosto è da ritenere che non dubitasse della fede religiosa dei berga­maschi e non parve opportuno infierire laddove mancava ogni intenzione perversa o intinta d i eresia r i formistica. Su questo punto specifico lo stesso cardinale Federigo nel suo trattato of f r iva un certo margine d i libertà: « Io esorto quindi caldamente gli arti­sti a non effigiare alcuno al vivo se non di fama costumata ed onesta, e far in modo che non siano maledetti per il loro pennello, non tocchino cioè loro i biasimi e i danni che sogliono guadagnarsi le penne velenose degli scrittori ».

E' ben nota la serie dei santi nei quadri del Ceresa, naturali fino all'esattezza fisionomi­ca. N o n si conoscono i personaggi; ma certi v o l t i sono cavati dalle persone amiche. I santi del Ceresa giungono alla cronaca laica dei r i t r a t t i e dei costumi adorni. Tutte le

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29. Pala del Rosario: Parrocchiale sul M o n t e di Breno, Bergamo.

Madonne delle sue pale, chi non lo sa?, sono repliche d i r i t r a t t i della moglie Caterina, peraltro vezzosa e amabile; e succede spesso d i veder sbucare dal margine delle pale an­che le teste degli of ferent i in atteggiamento devoto. Una devozione che non impedisce tuttavia al personaggio r i t ra t to al piede della paletta d i San Pietro d 'Orz io , d i voltarsi a guardare verso l'esterno. Forse un vecchio d i casa Boselli o d i casa Zignoni col pizzetto bianco, e guarda con un pigl io da padrone d i casa uso al comando.

Però una volta concesso quel margine d i « decoro » e d i « devozione », d'altra parte cor­rispondente, lo si vede bene, a una sua inclinazione religiosa e al suo carattere malinco­nico e silenzioso, quale libertà d i rappresentazione, quale schietto ricorso all'evidenza oggettiva. Un'umiltà premanzoniana, la considera i l Testori ( 1953, p. 2 6 ) . N o n per

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nulla in un periodo in cui « l 'artif icio barocco » invade la pi t tura veneziana, smagliante e polposo con lo Strozzi, rilegato d i classicismo più o meno pagano col Padovanino, i l L iber i , i l Carpioni , scintillante d i fantasia tra i l bizzarro e l ' inquieto col Maffei e i l Maz­zoni, nella Bergamasca periferica ma tut ta l t ro che tagliata f u o r i dal grande respiro cul­turale, i personaggi del Ceresa nei quadri sacri appaiono « d i una certa espressione e naturalezza, che parevano v i v i » (Tassi, 2 4 1 ) . Fu una r i forma sul serio e non agghin­data sui cànoni tradizionali . L'antica cultura moroniana, già così franca e cordiale, trovò negli innesti milanesi un nuovo sangue vivo e ne vennero, L i a Ceresa e Baschenis, conse­guenze d i tale novità, che la critica accademica e classicheggiante dell 'Ottocento, per­dutis i g l i entusiasmi degli erudi t i settecenteschi, non seppe più valutare appieno e giunse fino a disperdere un patr imonio prezioso ricevuto in dono.

Si è già visto come l'esempio di Daniele fruttificasse nel « Ragazzo » del 1633. I l ritrat­to d i Laura Zignoni Boselli, al confronto con i r i t r a t t i alla Passione di Mi lano, e ben

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33. Gentiluomo in nero: collezione privata. 32. Giovane gentiluomo: collezione privata.

inteso con quel l i , pochi , che appartengono al Crespi, non cede di un palmo per vigoria espressiva e sostanza d i colore. A n z i , f u o r i d i l i turgia , concentra meglio la sua diuturna esistenza con un memorabile riscontro psicologico senza forzare l ' immagine, tenendola al contrario sul massimo di semplicità e d i concisione.

Disceso a Bergamo, mano a mano i l gruppo dei r i t r a t t i si accresce; famiglie intere posa­no davanti a lu i e studiandole dal naturale, veniva piano piano completando i pantheon domestici delle varie casate: i Marenzi , i L u p i , i Boselli, i Sala, i Secco Suardo, i Cavalie­r i , i Pesenti, i Z ignoni , i Camozzi; una folla d i uomini e donne, anche d i ragazzi, che t u t t i insieme ricreano una società serena nei suoi decori , legata da a f fe t t i , forte nelle imprese e non solo orgogliosa dei blasoni, delle genealogie dichiarate sui quadri come fossero lapidi ; ma anche delle attività quotidiane: i l chirurgo, i l notaio, i l cancelliere, lo scrit­tore, i f i landieri , d i cui è testimonianza la bella e inattesa natura morta con la seta nei vari stadi d i lavorazione in filanda ( tav . V i l i a c o l o r i ) .

Della felicità paesaggistica del Ceresa si è già parlato a proposito del « r i t r a t t o d i città » inserito nella pala d i San Vincenzo; ed è un rammarico che non sia tornato su quel-

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35. Ritratto di Pietro Maria Pesenti, 1657: collezione 34. Ritratto di Maria Passi, 1657: collezione privata, privata.

l'esempio, almeno per quel che si sa fino ad oggi. Era prevedibile che la cura spesa nel dipingere g l i oggetti o la f rut ta o i fiori dentro i quadri sacri e laici, dovesse dare qualche quadro d i « oggetti d i ferma » come si chiamavano allora le nature morte. Si badi alla fiasca d i vetro nel r i t ra t to d i Anna Maria Pesenti ( tavola X I V a colori ) , omaggio memore, dopo tanti anni , al Caravaggio; e ancora ai l i b r i , ai gioiel l i , alla f rut ta in mano ai pargoli , alla rosa dell 'al tro memorabile r i t ra t to di bambina (tavola 15) , alle else delle spade, alla tavola imbandita del quadro d i famiglia ( tavola V I I a colori ) . La natura morta della filanda e l 'altra degli s trumenti musicali che q u i si propongono, non giungono improvvise. Una perlustrazione in questa direzione dovrebbe dare altre scoperte: « miscel­lanee » d i f rut ta o d i cucina o d i s trumenti . E ' un'operazione critica da farsi con molta cautela e con riscontri letteral i , ma non tanto d i iconologia per serie, quanto d i espres­sione pittorica e di verità poetica, ben conoscendo quanto sia infido i l campo, dove gli imitator i del Baschenis, che queste nature morte del Ceresa dovette tener in gran conto, sono più d'uno e se non proprio dozzinali, certo d i più corsive immagini . Con i v o l t i , con i costumi e le case dei v i v i , anche gl i oggetti d i pratica quotidiana. Quanto ai r i t r a t t i , sappiamo già della « sua cura nel concretarli quasi ossessivamente come "oggetti" fra luci

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e ombre a contrasto, assai simile alla lunga pazienza con cui Evaristo Baschenis... colloca le sue miscellanee di oggetti al traguardo dell'immobilità, sotto la luce protratta dei po­meriggi estivi » ( L o n g h i , 1953, p. I X ) . Q u i si apre i l quesito dei debi t i e credi t i fra Ceresa e Baschenis, e si rimanda alle singole schede di catalogo. Una situazione che si capovolge, rispetto a quanto sin qui r i tenuto , a largo favore del Ceresa: problema che rimandiamo alcune pagine più avanti .

La ritratt ist ica del Ceresa prende notevole spicco nella p i t tura europea del Seicento. Si è visto a quali f r u t t i portò l 'avvio preso su Daniele Crespi. I l Carrara, per spiegarsi ai suoi anni , cioè sul finire del Settecento, donde venisse quel robusto « macchiare » cere-siano. dovette ricorrere al Guercino. L ' A r m i g e r o ( tav . I I a co lor i ) dice invece aperta­mente Io scambio col Tanzio; e da questa parte, ol tre che dalla « canestra » d e l l ' A m b r o ­siana, Ceresa attinge al Caravaggio. I l traversone d i luce alle spalle del personaggio i n piedi ricorda da vicino quello della « Maddalena » Doria con la fiasca d i vetro posata accanto alle perle. La qualità d i resa pit torica d i questi r i t r a t t i è già al d i là degli e f fe t t i r i p e t i t i v i ; è maturazione personale.

I rapporti con la p i t tura spagnola, dato i l f i t to scambio di quadri e d i art ist i con M a d r i d .

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39. L'uomo grasso: collezione privata. 38. Gentildonna con libro chiuso in mano: collezione

privata.

Siviglia c Mi lano , non sono soltanto un'ipotesi . Due anni fa, al Cason del Buen Retiro a M a d r i d , nell'occasione del 150° anniversario del Prado si fece un'esposizione di quadri italiani del Seicento. Duecento g iunt i d'ogni parte della Spagna sono un bel bot t ino oltre che un'efficace antologia. E quanti milanesi, dal Cerano a Daniele, ai Procaccini; ed è solo una parte d i ciò che la Spagna conserva. Quanto basta per sollevare non pochi veli su quegli scambi d i cultura e d i arte. Alcune opere giovanili d i Caravaggio vi giunsero pre­sto, per l'acume collezionistico d i Camillo Contreras, che f u priore all'ospedale della Consolazione a Roma, dove i l giovane Caravaggio fu ricoverato; e per quella strada giunsero a Siviglia. La « Salomè » dell 'Escoriai, degli u l t i m i anni del Caravaggio, si r i trova già a M a d r i d in un inventario del 1686. Ma quando vi giunse? I pr imi quadri d i Velasquez sono stigmatizzati in profondo dall 'arte del maestro lombardo, anche per a l t r i apporti i n d i r e t t i , dal Borgianni ai napoletani. Venne in Ital ia nel 1629 e nel set­tembre, da Genova, Velasquez procedette fino a Mi lano , dove presiedeva, governatore e generale delle truppe spagnole, lo Spinola. I r i t r a t t i i n piedi del duca di Olivares con la mezza tenda alzata d i lato, quello del re F i l ippo I V o del l ' Infante don Carlos, si collo­cano t u t t i tra i l 1624 e i l '28. I l Ceresa non l i vide; ma stampe e disegni dovettero esse-

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40. Ritratto di Jacopo Tiraboschi Bergamo.

Accademia Carrara. 4 1 . Vecchio gentiluomo in poltrona: Roberto Longhì, Firenze.

Fondi

re frequenti in I ta l ia e i n special modo nel Ducato d i Mi lano guidato dalla Spagna. Le s i m i l i t u d i n i coi r i t r a t t i in piedi del Ceresa sono numerose per non indiziare un'attrazione del p i t tore bergamasco. I l r i t ra t to della madre con tre f igl i ( tav. 5 ) sembra collocarsi a ridosso, se non in anticipo, del tempo maturo d i Zurbaran. Una volta che del r i t ra t to d i Lorenzo Sala ( tav. X V I a co lor i ) si perse la paternità, fu giocoforza ricercarla nel giro dei maestri internazionali , e si tentò i l nome del fiammingo Sustermans, abilissimo ap­paratore d i r i t r a t t i cort igiani .

N o n si vuol dire a l tro , per i l momento, che sono tut te coincidenze, e affinità e scambi e assimilazioni, troppo numerose perché si possano ritenere soltanto causali. Per lo meno rivela un Ceresa dentro i l grande giro dei maestri. N e l confronto con Sustermans, le figure del fiammingo sembrano d i cera agghindata, mentre quelle del Ceresa giungono al caldo del sangue per i l colore che vuole essere carne viva .

Fra i l '50 e i l '60 i l r i t ra t to ceresiano non allenta la sua presa, anche se la sostanza del colore, al d i là del nero preferito per i costumi che permettono i l gioco alterno e spalan­cato dei bianchi, diventa solivo, trasparente d i l ievi fiati sulle carnagioni chiare: i l « Gen-

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42. Dama di casa Benaglia: collezione privata.

t i luomo con i guanti » ( tav. X I I I a colori ) , i l « Gent i luomo in nero » ( tav. X V a colori ) , i l giovane « Lorenzo Sala » ( tav . X V I a color i ) d i un pallore malinconico.

E 1 i l momento i n cui anche nelle pale religiose i l colore si schiara. Parlarono i vecchi erudi t i d i G u i d o Reni e dipese da quel filato prezioso d i colore in luce d'argento: i l bianco-violaceo degli affreschi certosini a Garegnano, i l contrapporsi del bianco avorio col nero d'onice degli abit i domenicani nella pala a San Lazzaro del Cerano. E semmai, volendo allargare l 'orizzonte, filtrava da Brescia l'aria d'argento del Moret to . Ma in quello schieramento d i t inte del sesto decennio, uno schiarimento che ne accentua i l tono quieto e gl i accordi d is t i l l a t i , si potrebbe tener conto d i un ricordo d i G i u l i o Cesare Procaccini, che ora veniva anch'esso a maturazione lungo la fronda robusta d i Daniele. E ' un perio­do i n cui i l Ceresa compie non dico un ripensamento, ma un riscontro formale, se ha tenuto persino a copiare, a modo suo, una Madonna d i Raffaello, come si vede alla Carrara ( n . 779 ) .

G l i anni però galoppano e la cultura, con la società, compie variazioni continue. Tenere i l passo senza cedere, è la prova più ardua per un pit tore e un segno della sua conti-

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nuità d i intel letto e d i fantasia. Da t r e n t a n n i i l Ceresa accompagna le for tune d i questa gente e ne condivide i pensieri e mano a mano i l gusto per lo sfarzo e la posa un poco spettacolare. Nel « R i t ra t to d i cavaliere » ( tav . X V I I a c o l o r i ) , e siamo verso i l 1660, i l vo l to incarnato e pieno, i l colore turgido sotto la chioma soffice, parmi accordato sul San Cristoforo che lo Strozzi mandò ad Almenno San Salvatore. Nel r i t ra t to d i « Cateri­na Gironda » ( tav . X V I I I a color i ) addensa lo scuro perché b r i l l i i l rosso della veste e

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45. Carlo Francesco Nuvolone (1608-1661), Ritratto di giovinetta: Accademia Carrara, Bergamo.

46. Antonio Cifrondi ( 1657-1730), Ritratto di prelato: Accademia Carrara, Bergamo.

dei granati attorno al collo. Se la luce disegna le ombre dietro le figure in piedi , le tende d i vel luto si alzano come sipari a creare una cavità più profonda (tavola X X a c o l o r i ) .

Si preparano tempi diversi e tra poco adatti al Galgario. Recuperando la cordiale con­centrazione realistica del M o r o n i ( i l « Tiraboschi » della Carrara ne è palmare esempio) i l Ceresa si pone come anello d i congiunzione con l'impetuosa verità carnale e pittorica d i Fra Galgario, come dimostra i l r i t ra t t ino in corazza (tavola X X I a c o l o r i ) , dove sembra esserci una sovrapposizione d i mani fra i due maestri, uno al termine della sua carriera, l 'altro al cominciamento.

Quando muore i l 10 febbraio 1679 (ed è una data controllata nel « L i b r o dei M o r t i » di San Alessandro della Croce) , non lascia certo un'eredità dissanguata al Galgario e al Ce­r u t i , quale ricevette quando ebbe vent 'anni. E ciò anche senza at t r ibuirg l i r i t r a t t i che non sono del suo pennello. D i f a t t i , come si è proposto d i togliere la « Giovinetta » del N u ­volone, si tolga dall'elenco del Ceresa i l « Ri t ra t to d i prelato » (Carrara n . 719 ) : i l colore l iv ido e la smorfia terrea, le mani verdastre dalle grosse vene, appartengono al l 'Antonio Ci f rondi d i Clusone, sul finire del secolo, quando i l Ceresa, pur imitato ancora nel modo d i « tagliare » i l r i t ra t to , non esisteva più da almeno un ventennio.