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M. Laura Gemelli Marciano

Democrito e l’Accademia

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Studia Praesocratica

Herausgegeben von / Edited by

M. Laura Gemelli Marciano · Richard McKirahanOliver Primavesi · Christoph RiedwegGotthard Strohmaier · Georg Wöhrle

Band 1

≥Walter de Gruyter · Berlin · New York

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Democrito e l’AccademiaStudi sulla trasmissione dell’atomismo antico

da Aristotele a Simplicio

di

M. Laura Gemelli Marciano

≥Walter de Gruyter · Berlin · New York

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ISBN 978-3-11-018542-3

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A Clarisse

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Premessa

Questo lavoro è la rielaborazione della mia Habilitationsschrift approvatadalla Philosophische Fakultät I di Zurigo nel semestre estivo 1995. E' passatoda allora molto tempo. La ragione di questa lunga gestazione sta princi-palmente nel fatto che, immediatamente dopo la libera docenza, mi sonodedicata ad una edizione commentata di una larga scelta di frammenti deicosiddetti presocratici anch'essa in fase di pubblicazione. In ogni caso illavoro sulle fonti e i problemi che avevo allora impostato sono, a mioavviso, a tutt'oggi estremamente attuali. Negli anni trascorsi dalla primastesura di questo testo la ricerca sull'atomismo antico, se si esclude lo stu-dio di P.-M. Morel, Démocrite et la recherche des causes, Paris 1996, che peròcoinvolge una tematica più ampia ed è condotto con metodi e scopi di-versi rispetto a questo lavoro, non ha registrato grandi progressi perquanto riguarda l'analisi delle fonti. La Quellenforschung sembra essere pas-sata di moda soprattutto fra gli storici della filosofia. Eppure, proprio lostudio dell'atomismo antico, che conosciamo in grandissima parte soloattraverso la trasmissione indiretta, non può prescindere da una analisiprecisa e dettagliata dei contesti e delle tradizioni attraverso cui le testimo-nianze sono state tramandate. Dato che spesso le dottrine di Democrito eLeucippo vengono viste attraverso "gli occhiali aristotelici", ho cercato quiinnanzitutto di esaminare la fattura di questi "occhiali" e mi è sembrato dipoterne ricondurre in parte la fabbricazione anche più indietro, alla discus-sione delle aporie eleatiche e alla formulazione delle tesi basilari dell'atomi-smo nell'Accademia platonica. Da Aristotele ho preso poi le mosse perindividuare anche nella tradizione successiva diverse linee di trasmissioneche hanno generato una certa oscillazione nella definizione dell'indivisibi-lità dell'atomo leucippeo e democriteo nelle fonti tarde. Lascio al lettorepiù o meno benevolo il compito, certamente non facile, di seguire questipercorsi e di trovarne eventualmente dei nuovi. Questa via comporta an-che la formulazione di ipotesi, ma la ricerca sugli atomisti e sui presocraticiin genere è costellata di ipotesi e le varie teorie sull'indivisibilità dell'atomosviluppate da una certa tradizione esegetica moderna lo dimostrano am-piamente. Se il lavoro di "scavo" da me fatto nella direzione della Quellen-forschung e nel tentativo di ancorare l'atomismo antico al contesto culturaledel V sec. a.C. contribuirà a scardinare alcuni luoghi comuni, a far vacillare

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PremessaVIII

delle sicurezze e a rimettere in moto una discussione costruttiva, lo scoposarà raggiunto al di là delle inevitabili critiche che ne seguiranno.

Desidero qui dunque ringraziare J. Barnes che, come relatore esternodi questa tesi, è stato il primo a sollevare obiezioni costruttive, di cuialcune mi hanno indotto a correzioni, altre mi hanno stimolato ad appro-fondire ulteriormente la ricerca nella direzione da me imboccata. Nono-stante il nostro metodo esegetico e la nostra interpretazione non solodell'atomismo, ma dei presocratici in genere divergano sostanzialmente neimetodi e nei risultati, ho trovato in lui un interlocutore intelligente e di-sponibile e uno stimolante dialettico.

La mia più grande riconoscenza va al mio maestro, Walter Burkert,che ha ispirato, seguito e incoraggiato questo lavoro anche in momentiestremamente difficili per la mia storia personale. Le conversazioni con luisu questo e su altri temi della cultura antica sono per me, a tutt'oggi, unasorgente inesauribile di arricchimento scientifico e personale.

Un ringraziamento infine a mio marito Dino, senza il cui costantesupporto questo libro non avrebbe potuto essere portato a termine, esoprattutto a Clarisse che, irrompendo gioiosamente e talvolta con unpizzico di impertinenza nel mio "spazio di ricerca", mi ha costantementericordato che l'impegno scientifico non è produttivo e creativo se non èancorato ad una realtà viva e globale. A lei è dedicato questo libro.

Giubiasco, 20 Aprile 2007 M. Laura Gemelli Marciano

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Indice

Premessa ............................................................................................................. VII

Introduzione1. Considerazioni generali ................................................................................... 12. Trasmissione e ricezione dell'atomismo anticoda Aristotele a Simplicio ..................................................................................... 4

2. 1. Democrito nella tradizione medica ............................................ 62. 2. Democrito nella tradizione bibliotecario-grammaticale ........ 102. 3. Democrito negli scrittori di trattati tecnicie di storia naturale ............................................................................... 122. 4. Leucippo e Democrito nelle scuole filosofiche ...................... 13

3. Interpretazioni moderne dell'atomismo antico .......................................... 234. Democrito, l'Accademia e le interpretazioni dell'atomo........................... 295. Osservazioni metodologiche......................................................................... 34

Capitolo primo. Platone e Democrito1. Considerazioni generali .................................................................................. 422. Democrito e Platone nella tradizione biografica ....................................... 473. Sintesi ................................................................................................................ 58

Capitolo secondo. Principi corporei/ incorporei. Atomisti antichi,Platone, Accademici, da Aristotele a Simplicio1. Il compito del vero fisico............................................................................... 592. La gigantomachia del Sofista e lo schema principi corporei/ incorporeiin Aristotele .......................................................................................................... 613. Platone e Democrito in Teofrasto ............................................................... 654. La tradizione "diafonica": Accademici contro atomisti inSesto Empirico Adv. Math. 10,248-262 (121 L.)............................................. 68

4. 1. Autenticità della polemica antiatomista nell'excursusdi Sesto.................................................................................................... 744. 2. Senocrate "figlio dei Pitagorici" e la polemica antiatomista .. 794. 3. Una fonte scettica per Sesto ....................................................... 84

5. La tradizione "sinfonica" sui principi di Platone e Democrito................ 905. 1. Plutarco De prim. frig. 948 A-C (506 L.)..................................... 915. 2. Galeno e i principi di Platone:PHP 8,3,1 (II,494,26 De Lacy = V,667 K.) ...................................... 92

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IndiceX

6. Simplicio sui principi di Democrito e Platone ........................................... 956. 1. Simpl. In Phys. 188a 17, 179,12 ................................................... 976. 2. Simpl. In Phys. 184b 15, 35,22ss.(67 A 14 DK; 111, 247, 273 L.) ......................................................... 996. 3. Simpl. In De cael. 299a 2, 564,10-566,16(68 A 120 DK; 171 L) ....................................................................... 102

7. Sintesi .............................................................................................................. 107

Capitolo terzo. Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)1. Considerazioni generali ................................................................................ 1092. Leucippo e gli "Eleati" ................................................................................. 110

2. 1. Il logos eleatico in Aristotele (De gen. et corr. A 8, 325a 2-23):considerazioni generali ....................................................................... 1112. 2. Gli strati del logos eleatico .......................................................... 118

2. 2. 1. Lo schema sofistico ........................................................1182. 2. 2. Le problematiche accademiche del logos:vuoto, contatto e divisione ......................................................... 122

3. Logoi eleatici nell'Accademia? ......................................................................1273. 1. Il logos eleatico di Porfirio 135 F Smith(Simpl. In Phys. 187a 1, 139,24)........................................................ 1273. 2. "Concedere ai logoi". Aporie eleatiche e loro soluzione(Arist. Phys. A 3, 187a 1) ................................................................... 133

4. I logoi di Leucippo: De gen. et corr. A 8, 325a 23-b 11(67 A 7 DK; 146 L.)......................................................................................... 137

4. 1. La prima parte del logos di Leucippo(De gen. et corr. A 8, 325a 23-30)........................................................ 1404. 1. 1. Vuoto e movimento ....................................................... 1414. 1. 2. Vuoto e non essere ......................................................... 1434. 1. 3. Atomi e uno .....................................................................144

4. 2. Altre prospettive sul vuoto atomistico ...................................... 1454. 2. 1. Vuoto e non essere: mh; ma'llon to; de;n h] to; mhdevn(68 B 156 DK; 7, 78 L.)............................................................. 1464. 2 .2. Vuoto e vuoti. Modalità e funzioni ............................. 1524. 3. La seconda parte del resoconto aristotelico(De gen. et corr. A 8, 325a 30-b 11) ............................................ 155

5. Atomisti ed Eleati in Teofrasto e nelle testimonianze tarde .................. 1585. 1. Theophr. Fr. 229 FHS&G(Simpl. In Phys. 184b 15, 28,4-15) (67 A 8 DK; 147 L.)............... 1585. 2. Le testimonianze tarde sui rapporti degli atomisti con gliEleati ..................................................................................................... 161

6. Sintesi .............................................................................................................. 163

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Indice XI

Capitolo quarto. La dimostrazione della necessità degli indivisibili(De gen. et corr. A 2)1. Considerazioni generali ................................................................................ 1652. Democrito e gli Accademici sugli indivisibili: il preamboloaristotelico (De gen. et corr. A 2, 315b 28-316a 14) ........................................ 1693. Le due parti del logos sugli indivisibili ......................................................... 1724. Il logos sugli indivisibili. Prima parte. Motivi accademici erielaborazioni aristoteliche ............................................................................... 173

4. 1. Divisione mentale e divisione reale(De gen. et corr. A 2, 316a 15-29) ....................................................... 1734. 2. Corpi e grandezze indivisibili ................................................... 1764. 3. Punti, segatura e affezioni(De gen. et corr. A 2, 316a 30-b 16) .................................................... 177

5. La seconda parte del logos. La dimostrazione "fisica" dellanecessità degli indivisibili (De gen. et corr. A 2, 316b 18-35) ........................ 1836. Sintesi .............................................................................................................. 186

Capitolo quinto. Atomi e minimi. Concetti accademici eterminologia democritea in Aristotele1. Minimo privo di parti come misura nell'Accademia ............................... 1882. Atomi e minimi. L'interpretazione matematizzantedell'atomo in Aristotele .................................................................................... 1943. Terminologia accademica nelle denominazioni degli atomi inAristotele ............................................................................................................ 2054. Terminologia atomista in Aristotele .......................................................... 2115. Sintesi .............................................................................................................. 218

Capitolo sesto. L'indivisibilità dell'atomo di Leucippo e Democritonella dossografia tarda1. Tradizione epicurea e peripatetica:atomo indivisibile per la solidità ..................................................................... 2202. Atomi privi di qualità e indivisibili per la solidità.La tradizione stoicizzante: Accademia scettica e classificazioniposidoniane ........................................................................................................ 224

2. 1. La critica all'atomo indivisibile e privo di qualitànell'Accademia scettica....................................................................... 2272. 1. 1. Cicerone. De natura deorum, Academica............................. 2272. 1. 2. Plutarco. Contro Colote........................................................ 2282. 2. La vulgata di matrice posidoniana ........................................ 231

3. Atomo indivisibile per la piccolezza e minimo fisiconegli autori tardi................................................................................................. 234

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IndiceXII

3. 1. Le premesse. Epicuro fra l'Accademia e Aristotele:atomi solidi e minimi dell'atomo ...................................................... 2353. 2. Epicuro contro atomisti antichi sull'indivisibilità dell'atomonella tradizione dossografica e negli autori di età imperiale ......... 243

3. 2. 1. Lattanzio........................................................................... 2453. 2. 2. Pseudo-Plutarco .............................................................. 2523. 2. 3. Galeno .............................................................................. 2573. 2. 4. Teodoreto......................................................................... 261

3. 3. Minimo privo di parti ed epitomi dossografiche................... 2643. 4. Atomo indivisibile per la piccolezza e privo di parti:atomisti antichi, Aristotele, Epicuronei commentatori neoplatonici ......................................................... 266

4. Sintesi .............................................................................................................. 275

Capitolo settimo. L'atomismo antico e il suo contesto culturale1. Costrizioni cosmiche e vulnerabilità dei corpi. Per una definizionedei fondamenti eterni ...................................................................................... 2782. Il grande vuoto: cosmologie orfiche ed embriologia nella cosmogoniadi Leucippo. Per una ridefinizione del vuoto atomistico............................ 2843. Stavsi" e aggregazione: immagini socio-politiche nella cosmogoniadi Democrito...................................................................................................... 2884. Effluvi, eidola e inalterabilità dell'atomo..................................................... 2905. Atomi e pulviscolo: per una ridefinizione dell'atomo ............................. 2926. Il metodo........................................................................................................ 296

6. 1. Il sostrato "tecnico" del "metodo" democriteo:caso e causalità..................................................................................... 2966. 2. La visione dell'invisibile ............................................................. 2986. 2. 1. Visualizzare l'invisibile: l'immagine analogica ............... 2996. 2. 2. Riconoscere i segni:i mediatori dell'invisibile e l'esercizio della gnwvmh..................... 3056. 2. 3. La difficoltà dell'impresa: dichiarazioni "scettiche" eottimismo corporativo. Per una revisione dello "scetticismo"democriteo ..................................................................................... 311

7. Democrito e il Corpus Hippocraticum............................................................ 3138. Sintesi .............................................................................................................. 320

Sintesi generale .................................................................................................. 323

Bibliografia ......................................................................................................... 330Indice dei passi .................................................................................................. 352

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Introduzione

1. Considerazioni generali

Il complesso di osservazioni e dottrine attribuite a Leucippo e Democritoha sofferto, forse più di altri, delle rielaborazioni e dei travisamenti dellatrasmissione indiretta. La riemergenza in età ellenistica dell'atomismo nellaforma codificata da Epicuro ha contribuito in larga parte alla scomparsadelle opere di questi autori dall'orizzonte dei dotti antichi. Il fatto poi chenella biblioteca di Simplicio, la fonte più copiosa di citazioni letterali deipresocratici, non si trovassero testi originali degli atomisti ha definitiva-mente cancellato la possibilità di recuperarli. Di Leucippo non è rimastoneppure un brandello1. Di Democrito, a fronte delle numerose gnomaietiche, è sopravvissuta solo una manciata di frammenti fisici di cui è assaidifficile ricostruire il contesto. Tutto il resto sono resoconti mediati dallatradizione indiretta. Come è stato più volte sottolineato in questi ultimidecenni negli studi sulla storiografia filosofica antica, gli interpreti antichinon erano interessati ad una resa "alla lettera" degli autori di cui trattavanole opinioni, ma ad un loro inserimento nella problematica di volta in voltatrattata secondo una certa ottica. E' sintomatico il fatto che Aristotele eTeofrasto, coloro che hanno costituito il modello per questa storiografiafilosofica, raramente riportino citazioni letterali. I loro resoconti miranosoprattutto a cogliere la diavnoia di quanto i loro predecessori hannodetto, vale a dire ad estrapolare da testi talvolta oscuri e soprattutto nati inun clima culturale diverso da quello dell'Atene del IV sec. a.C., quello cheessi hanno potuto comprendere nell'ottica del problema che stanno di-scutendo. Questo è naturalmente gravido di conseguenze per la forma eper il contenuto del resoconto stesso. L'immagine dell'atomismo anticoche ci rimandano Aristotele, Teofrasto e in generale le fonti antiche co-stituisce dunque una visione filtrata da quelli che O'Brien ha indicato con

1 Quella che viene riportata da Stobeo 1,4,7c (67 B 2 DK; 22 L.) al Peri; nou' di Leucippo(un'opera indicata invece come democritea nel catalogo di Trasillo) è sicuramente dovutaad una confusione di lemmi (la doxa precedente, quasi simile a questa, viene attribuita aParmenide e Democrito), cf. Diels 1879, 321 app. ad loc., Rohde 1881 [I, 1901, 249 n. 2].

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Introduzione2

una espressione felice come pré-jugé (nel senso etimologico di "opinioneanteriore ad un giudizio", accettata senza essere sottoposta ad esame) epré-supposé ("trama concettuale implicita preesistente" che costituisce ilsistema di riferimento dell'esegeta e attraverso la quale viene filtrata ogninotizia). Soprattutto quest'ultimo, agendo a livello subliminale, precludeall'interprete la reale comprensione di ciò che non è conforme alla suacultura e alle sue forme di pensiero2.

Queste due categorie condizionano tuttavia non solo la trasmissioneantica, ma anche l'interpretazione moderna. Si tratta di un problema ri-proposto sempre più frequentemente nella storia della filosofia degli ultimidecenni, ma risolto a volte troppo sbrigativamente con l'affermazione cheogni tentativo di interpretare la cultura del passato è comunque una co-struzione basata su pre-giudizi e pre-supposti e che una interpretazione"filosofica" deve estrarre quei "nuclei" di pensiero, quelle idee che, purnon espresse nella forma che hanno assunto in epoche posteriori, hannoavuto uno sviluppo produttivo per la storia della filosofia fino ai nostrigiorni3. E' opportuno fare qualche precisazione su questo punto perchél'interpretazione dell'atomismo antico, da Aristotele in poi, ha sofferto piùdi ogni altra delle conseguenze di questa prospettiva.

Il problema della "traduzione" da un sistema culturale all'altro e dellacommensurabilità delle culture è un tema su cui gli antropologi discutonoda più di mezzo secolo passando attraverso posizioni perfettamente pa-rallele a quelle sopra citate e riconoscendone i limiti e i pregi. Da questediscussioni, però, essi hanno imparato a riflettere sui propri metodi e suipropri presupposti traendone stimoli per allargare il loro orizzonte meto-dologico. Così Tambiah (1993, 157) sintetizza il compito dell'antropologorispetto al problema della traduzione delle culture

La «traduzione delle culture» implica la cosiddetta «doppia soggettività», caratteri-stica del modo in cui oggigiorno si praticano le scienze sociali, ma estranea allescienze fisiche. La doppia soggettività implica simpatia ed empatia oltre che di-stanza e neutralità da parte di colui che osserva, analizza e interpreta i fenomenisociali: l'osservatore deve prima addentrarsi quanto più possibile «soggettiva-mente» nella mente degli attori e comprenderne le intenzioni e le reazioni allaluce delle loro categorie di significato, e dopo, o contemporaneamente, deve di-stanziarsi da quei fenomeni e tradurli o disegnarli secondo il linguaggio comune ele categorie occidentali, cosa che a sua volta favorisce un processo di autoanalisi,attraverso cui approfondiamo la comprensione di noi stessi, delle nostre valuta-zioni e dei nostri presupposti culturali.

Questa prospettiva mi sembra estremamente utile per definire anche unmetodo di approccio agli atomisti e ai cosiddetti presocratici in generale.

2 O'Brien 1982, 189s.3 Cf. e.g. Makin 1993.

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Introduzione 3

Gli storici della filosofia tendono infatti a saltare il primo gradino dell'ana-lisi, quello dell'empatia, del tentativo (per quanto difficile e limitato daimpedimenti oggettivi) di sintonizzarsi attivamente col contesto culturaledell'autore esaminato, di capire quale mondo si nasconda al di là delladiavnoia che i vari interpreti antichi hanno attribuito alle sue affermazioni.Come causa del rifiuto di penetrare in questa atmosfera viene general-mente addotto il fatto che il materiale a disposizione per ricostruire ilcontesto culturale dell'autore è scarso e parziale. Questo è vero solo inparte. Spesso, anche quando c'è, si rifiuta insistentemente di prenderneatto perché lo si giudica di scarso interesse filosofico4. In generale si ignorala possibilità di aprire la prospettiva a testi di altro tipo, anche contempo-ranei all'autore studiato, ad eventuali testimonianze storiche e archeologi-che e si fa come se intorno a lui non ci fosse stata una vita sociale, politicae un clima culturale specifico. Emarginare questo genere di ricerca dallastoria della filosofia non è dunque una opzione giustificata dal taglio "filo-sofico", ma una omissione che, oltre a perpetuare in modo irriflesso ipresupposti teorici su cui sono basati i giudizi e le analisi moderne, faperdere di vista le reali dimensioni della dottrina stessa.

La storia delle interpretazioni dell'atomismo antico da Aristotele finoalla tarda antichità, per la natura stessa dei presupposti più o meno espli-citati dagli autori, è dunque marcata dalla "traduzione anempatica" in cate-gorie culturali eterogenee. Non si tratta qui di dare un giudizio di valore,ma di riconoscere un dato di fatto che deve essere tenuto ben presenteall'atto della valutazione delle fonti. Anch'esse hanno bisogno di una con-testualizzazione. Questo discorso vale non solo per i resoconti indiretti,ma anche per le citazioni letterali. Anche queste si inseriscono in un con-testo pre-supposto e vengono finalizzate alla dimostrazione di tesi diverseda quella originaria. Dunque, laddove ci sono delle citazioni letterali opresunte tali, in particolare negli autori tardi, non c'è necessariamente an-

4 Paradigmatica a questo proposito è la posizione di Barnes 1982, XVI: "In speaking sli-ghtingly of history I had two specific things in mind—studies of the 'background' (econo-mic, social, political) against which the Presocratics wrote, and studies of the network of'influences' within which they carried on their researches. For I doubt the pertinence ofsuch background to our understanding of early Greek thought[…]. I am sceptical, too, ofclaims to detect intellectual influences among the Presocratics. The little tufts of evidencewhich bear upon the chronology of those early publications are, as I observed in more thanone connection, too few and too scanty to be woven into the sort of elegant tapestry whichwe customarily embroider in writing the histories of modern philosophy. Much of the hi-storical detail with which scolarship likes to deck out its studies is either merely impertinentor grossly speculative". E' curioso osservare come proprio l'autore di una ricostruzione subase analitica altamente speculativa del "pensiero" dei cosiddetti presocratici proietti questacaratteristica sulle ricostruzioni del contesto storico-culturale di questi personaggi. Sull'in-terpretazione decontestualizzata in particolare di Parmenide ed Empedocle, cf. Kingsley1995a, 2002, 2003.

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Introduzione4

che una conoscenza diretta del testo integrale e, soprattutto, non c'è unainterpretazione neutrale. La citazione letterale, estrapolata già in originedal proprio contesto, si è spesso tramandata anche quando l'opera interanon era più letta o era andata perduta5. La trasmissione all'interno di unatradizione specifica ha giocato in alcuni casi un ruolo di primo piano etalvolta si è imposta anche quando il citatore conosceva di prima mano itesti: il famoso verso di Parmenide: ouj ga;r mhvpote tou't oujdamh'i ei\nai mh;ejovnta (28 B 7,1 DK) citato in questa forma metricamente zoppicante daPlatone6, viene riprodotto tale e quale da Aristotele7 e da Simplicio chepure riporta una porzione più ampia del testo parmenideo8. La presenza dicitazioni letterali non è dunque una prova inconfutabile della conoscenzao dell'utilizzazione diretta da parte del citatore del testo integrale di un'o-pera e tantomeno dell'intera produzione dell'autore citato e, soprattutto,nasconde le stesse insidie del pre-giudizio e del pre-supposto della tra-smissione indiretta.

Queste premesse sono indispensabili in quanto l'argomento discussonel presente lavoro è caratterizzato dal problema della trasmissione nellasua più acuta ed estrema manifestazione, dunque può essere affrontato etrattato solo attraverso una dettagliata analisi delle fonti, ma anche con losguardo rivolto al contesto culturale del V sec. a.C. in cui Leucippo e De-mocrito hanno vissuto e agito.

2. Trasmissione e ricezione dell'atomismo anticoda Aristotele a Simplicio

Dal momento che la fisica leucippea e democritea si è trasmessa quasiesclusivamente per via indiretta, si rende innanzitutto indispensabile unabreve panoramica sulla ricezione di Democrito e di Leucippo nell'antichitàper definire preliminarmente e brevemente i percorsi di questa trasmis-sione. E' opportuno, però, premettere che Leucippo viene citato da solounicamente in alcuni passi di Aristotele e nei resoconti risalenti a Teofra-sto. Quest'ultimo gli attribuiva il Mevga" diavkosmo"9 ritenendolo più anticodei libri di Democrito e di Diogene di Apollonia; affermava infatti che

5 Cf. su questo Gemelli Marciano 1998.6 Soph. 237a. La lezione tou'to damh'i che si legge nelle edizioni del Sofista è dovuta ad una

correzione operata dagli editori in base al testo del frammento in due codici di Simplicio, v.infra, III 3. 2 n. 84.

7 Metaph. N 2, 1089a 3.8 In Phys. 187a 1, 143,31. Per la discussione del passo, v. infra, III 3. 2 n. 84.9 Diog. Laert. 9,46 (68 A 33 (III) DK; CXV (III) L.).

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Introduzione 5

Leucippo era stato maestro dell'uno e modello per l'altro che lo aveva inparte imitato10. Se Democrito nasce intorno al 460 a.C., la presunta data dinascita di Leucippo dovrebbe cadere intorno al 500 a.C. e la sua attivitàintorno agli anni '60 del V sec. a.C. Egli era dunque probabilmente uncontemporaneo di Anassagora e di Zenone e un poco più vecchio di Em-pedocle e di Melisso. Epicuro e il suo discepolo Ermarco11 ne mettevanotuttavia in dubbio l'esistenza e Trasillo inseriva nel catalogo delle opere diDemocrito anche il Mevga" diavkosmo". La questione della storicità di Leu-cippo e della differenza fra le sue tesi e quelle democritee è stata moltodibattuta alla fine del secolo scorso12. Oggi non è una priorità in quantonon sembra possibile isolare l'uno dall'altro per lo meno per quanto ri-guarda la concezione dell'atomo. Democrito si distingue piuttosto per unavasta produzione libraria che abbraccia tutti i campi della polymathia delsuo tempo compresa la letteratura tecnica. Al di là delle possibilità di di-stinzione delle dottrine vale però la pena tener conto di un fatto: se è Leu-cippo il primo ad aver formulato l'ipotesi di un mondo fatto di "atomi",l'atmosfera in cui egli l'ha sviluppata è quella degli anni '60 non degli anni'20 del V sec. a.C. Difficilmente egli può aver tenuto conto degli scritti diZenone o di Melisso o di Anassagora. Si pone dunque il problema dellafiliazione eleatica nella forma espressa da Aristotele e ripresa da Teofrasto.Il fatto che di Leucippo sia rimasta una labile traccia anche nelle testimo-nianze indirette è da imputare ad una specie di destino connaturato allastoria stessa dell'atomismo: le versioni più recenti hanno infatti cancellatoquelle più antiche e l'avversione della grande maggioranza degli autoriantichi contro gli Epicurei ha fatto il resto. Democrito ha "riassorbito"Leucippo, Epicuro ha praticamente eclissato ambedue e, a causa dell'osti-lità verso le tesi atomistiche diffusa nelle scuole filosofiche e mediche dietà imperiale, sono spariti dall'orizzonte non solo i testi degli Epicurei e, inparte, anche quelli del loro fondatore, ma anche quelli di medici che so-stenevano tesi corpuscolariste come Erasistrato e Asclepiade. L'atomismoaccademico è, dal canto suo, naufragato molto presto sotto il peso delgiudizio aristotelico. Qui di seguito fornirò dunque una panoramica prin-cipalmente della ricezione di Democrito in quanto Leucippo comparesolamente nella tradizione risalente a Teofrasto. Per il resto il suo nome èveicolato da quello del suo più famoso successore.

Partendo da Aristotele, il primo che abbia trattato diffusamente degliatomisti antichi, si possono distinguere grosso modo quattro filoni,

10 Theophr. 226 A FHS&G (Simpl. In Phys. 184b 15, 25,1).11 Apollod. ap. Diog. Laert. 10,13 (67 A 2 DK; LXXV L.).12 Ricordo qui solo come esempio la polemica fra Rohde 1881 [1901] e Diels 1881 [1969],

1887. Per una bibliografia e una discussione sulla questione, rimando ad Alfieri 1936, 8 n.27; Guthrie, II, 1965, 382 n. 1.

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Introduzione6

ognuno dei quali mostra proprie peculiarità nella scelta, nell'interpreta-zione e nella trasmissione dei testi:

1. La tradizione medica.2. L'ambito bibliotecario-grammaticale.3. L'ambito degli scrittori di storia naturale e di trattati tecnici.4. Le scuole filosofiche.

Il nome di Leucippo compare unicamente nella tradizione filosofica,mentre il protagonista nella altre tradizioni è Democrito autore anche diun gran numero di scritti tecnici.

2. 1. Democrito nella tradizione medica

Democrito ha goduto, non solo come filosofo, ma soprattutto come au-tore di scritti medici, di grande autorità nella tradizione medica fino all'etàimperiale e oltre, testimoniata anche dal fiorire di opere spurie e dalla leg-genda del suo incontro con Ippocrate. L'interesse dei medici si appunta,per ovvi motivi, principalmente sulle affermazioni democritee riguardantila biologia umana, le malattie e il loro trattamento13, ma talvolta, soprat-tutto presso i medici di età ellenistica e imperiale, anche su più generaliaffermazioni di carattere epistemologico e metodologico.

Citazioni e testimonianze indirette sulla biologia umana si sonotramandate attraverso la tradizione medica come il detto, parzialmenteriportato da diversi autori di età imperiale a cominciare da Plinio, chedefinisce l'atto sessuale una "piccola epilessia"14 e una doxa sulla nutrizione

13 Non tutte quante le testimonianze su questo tema classificate da Diels e da altri comespurie devono essere per forza tali. Se Democrito ha scritto opere di carattere medico spe-cialistico come la Ihtrikh; gnwvmh non stupisce che egli abbia parlato delle malattie e di unloro eventuale trattamento. Cf. su questo Gemelli Marciano 2007, 220-224.

14 Questo (e non ajpoplhxivh) è il termine riportato in tutte le fonti riconducibili ad una tradi-zione medica. Il detto compare per lo più in contesti che sottolineano gli effetti negatividell'atto sessuale. Galeno, nei commenti al terzo e sesto libro delle Epidemie ne attribuisce lacitazione a Sabino, un medico vissuto nella prima metà del II sec. d.C. il quale utilizzaspesso un altro commentatore ippocratico, Rufo Efesio, a sua volta citatore di testimo-nianze più antiche (cf. Deichgräber 1965, 29 n. 1.). Gal. In Hipp. Epid. III 1,4 (25,3 Wenke-bach = XVII A,521 K.) (68 B 32 DK; 527 L.) sumbaivnei toi'" ojyimaqevsin ejnantiwvmatalevgein ajkaivrw" fluarou'sin. tiv" ga;r h\n ajnavgkh gravfein Dhmovkriton me;n eijrhkevnai mi-kra;n ejpilhyivan ei\nai th;n sunousivan, Epivkouron de; mhdevpote me;n wjfelei'n ajfrodisivwncrh'sin, ajgaphto;n dæ, eij mh; blavyeien… ejpi; ga;r tw'n ejx ajfrodisivwn ajmevtrwn noshsavntwnejcrh'n eijrh'sqai tou;" lovgou", oujk ejpi; tw'n ejnantivw" aujtoi'" diaithqevntwn. ajllæ o{mw" kai;tau'tæ e[grayan oiJ peri; to;n Sabi'non, oujk aijsqanovmenoi th'" ejnantiologiva" ª...º kai; tau'tagravfousin aujtoi; mnhmoneuvsante" ejn th'i tw'n prokeimevnwn ejxhghvsei Dhmokrivtou te kai;Epikouvrou, mhdevpw mhde;n ajgaqo;n ejx ajfrodisivwn genevsqai faskovntwn. Cf. Gal. In Hipp.Epid. VI 3,12 (138,3 Wenkebach-Pfaff = XVII B,28 K.) A questa tradizione medica si rial-lacciano anche gli autori latini che riportano il frammento. Così Plin. Nat. hist. 28,58; Gell.

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dell'embrione nell'utero15. Alcune affermazioni sulle cause delle malattiesono state mediate da Sorano16.

Fra il I sec. a.C. e i primi anni del I sec. d.C., in un clima di recuperodegli antichi, Democrito ha avuto una reviviscenza in ambito medico frapersonaggi che in qualche modo a lui si richiamavano17. Cicerone nominadei non ben identificati Democritii in due passi. Dal primo si deduce soloche si tratta di un gruppo ristretto18, nel secondo si accenna alla divergenzafra costoro e gli Epicurei nell'interpretazione della dottrina di Democritosu un tema tipicamente medico quale quello della persistenza della sensa-zione e del dolore nei corpi morti19. "Democritei" compaiono anche inuna Quaestio convivalis di Plutarco ancora in relazione ad un argomentomedico come l'irrompere nel mondo di malattie prima sconosciute qualil'idrofobia e l'elefantiasi. Dato che queste erano state trattate in particolareda Temisone, allievo ribelle di Asclepiade e precursore della scuola meto-

19,2,8 che attribuisce la prima parte del detto a Ippocrate stesso. Cf. inoltre Stob. 3,6,28che la riporta ad Erissimaco, il medico del Simposio platonico; Clem. Paed. 1,94; [Gal.] Ananimal sit 5 (XIX,176 K). A questa citazione allude probabilmente anche il medico Zopironelle Quaestiones convivales (653 Bss.) di Plutarco. La versione più precisa e più ampia venivainvece riportata negli gnomologi. La lezione ajpoplhxivh si incontra infatti solo in Stob.3,6,28 (xunousivh ajpoplhxivh smikrhv: ejxevssutai ga;r a[nqrwpo" ejx ajnqrwvpou), in un conte-sto etico, ed è sottesa alla citazione in Hippol. Ref. 8,14 che la attribuisce però all'eresiarcaMonoimo l'Arabo e la colloca sullo sfondo dell'interpretazione allegorica delle piaghe d'E-gitto: Æa[nqrwpo" ãga;rà ejx ajnqrwvpou ejxevsãsÃutaiÆ, fhsivn, Ækai; ajpospa'tai, plhgh'i tinimerizovmeno"Æ. Anche costui potrebbe aver tratto la citazione da gnomologi. Sulla trasmis-sione di questo frammento, cf. Gemelli Marciano 2007, 215-217.

15 La doxa sulla nutrizione dell'embrione attraverso piccole mammelle poste nell'utero vienecitata anonima in Arist. De gen. anim. B 4, 746a 19 (68 A 144 DK; 535 L.), ma attribuita aDemocrito da Ps.-Plut. 5,16, 907 D (68 A 144 DK; 536 L.), cf. [Gal.] Hist. Phil. 120. In P.Flor. 115 B (Manetti 1985, 177) la stessa doxa è attribuita anche ad Alcmeone.

16 Cf. Soran. 3,4 (17,25 Bourguière-Gourevich = 105,1 Ilberg) (68 A 159 DK; 567a L.) checritica l'eziologia democritea dell'infiammazione (flegmonhv) dal flegma (inteso evidente-mente come elemento caldo, cf. anche Philol. 44 A 27 DK). A Sorano attinge Celio Aure-liano quando attribuisce a Democrito la spiegazione dell'idrofobia come un'infiammazionedei tendini e la rispettiva cura con decotto di origano (Acut. 3,14,112ss.). Questa testimo-nianza è stata considerata spuria dal Diels e dagli altri editori senza una ragione precisa. Sel'idrofobia come tale sembra essere stata riconosciuta solo alla fine dell'età repubblicana,dal testo di Celio risulta chiaro che Democrito non si riferiva a questa malattia e alla sua te-rapia, ma a due forme di spasmo come l'opistotono (Acut. 3,15,120) e l'emprostotono(Acut. 3,14,112). Su questo, cf. Gemelli Marciano 2007, 221s.

17 Si trattava evidentemente di tendenze arcaizzanti che riprendevano in una certa ottica letematiche e gli autori presocratici. Anche Enesidemo, il fondatore del neopirronismo, si ri-chiamava in molti punti ad Eraclito (cf. l'espressione di Sesto Aijnesivdhmo" kata; ÔHravklei-ton, infra, n. 21).

18 Cic. Hort. Fr. 53 Straube-Zimmermann (Non. De comp. doctr. 418,13 Lindsay) Itaque tuncDemocriti manus urguebatur; est enim non magna.

19 Cic. Tusc. 1,34,82 (68 A 160 DK; 586 L.) Num igitur aliquis dolor aut omnino post mortem sensusin corpore est? nemo id quidem dicit, etsi Democritum insimulat Epicurus, Democritii negant.

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dica20 e dai suoi discepoli, siamo ricondotti ad un gruppo di medici vissutiin età tardo-repubblicana e sotto il primo impero, collegato sì ad Ascle-piade, ma anche critico nei suoi confronti, che si richiamava a Democrito.Nella dossografia sull'egemonico riemergono ancora indizi che rimandanoallo stesso ambito. Sesto riferisce che "alcuni, secondo Democrito", soste-nevano che la sede del pensiero era in tutto il corpo21. Questo contrastacon la dossografia di matrice aeziana secondo cui Democrito situava l'e-gemonico nel cervello22. Quella che Sesto riporta è in realtà una tradizioneinterpretativa diversa, di ambito medico, che si ritrova anche in un passoparallelo del De anima di Tertulliano. Quest'ultimo, che ha come fonteSorano, cita tuttavia al posto dei tine;" kata; Dhmovkriton di Sesto un nomeben preciso, quello del medico Moschione datato fra il I sec. a.C. e il I sec.d.C.23. Questo personaggio viene nominato da Galeno come il correttoredella definizione di sfugmov" di Asclepiade24 e altrove come autore di ri-cette farmacologiche25. La denominazione "Democritei", sembra dunqueessere stata applicata a medici che, pur prendendone le distanze, si situa-vano nell'orbita di Asclepiade26, sostenitore di dottrine corpuscolari e sicu-ramente simpatizzante dell'atomismo27.

20 Sulle relazioni fra Temisone e Asclepiade, cf. Moog 1994, 102ss.21 Sext. Emp. Adv. Math. 7,349 (68 A 197 DK; 456 L.) ajllæ oiJ me;n ejkto;" tou' swvmato" (scil.

th;n diavnoian ei\nai), wJ" Aijnhsivdhmo" kata; ÔHravkleiton, oiJ de; ejn o{lwi tw'i swvmati,kaqavper tine;" kata; Dhmovkriton.

22 Theodoret. 5,22 (68 A 105 DK; 455 L.) ÔIppokravth" me;n ga;r kai; Dhmovkrito" kai; Plavtwnejn ejgkefavlwi tou'to iJdru'sqai. Cf. Ps.-Plut. 4,5, 899 A.

23 Tert. De an. 15,5 Ut neque extrinsecus agitari putes principale istud secundum Heraclitum, neque pertotum corpus ventilari secundum Moschionem. Cf. Waszink 1947, 227 ad loc.; Polito 1994, 454, inbase alla citazione di questo e di altri nomi di medici in Tertulliano-Sorano, ipotizza amonte di Sorano e di Sesto dei Placita medici. Il tinev" di Sesto si spiegherebbe col fatto chei nomi menzionati in quella sede erano conosciuti nell'ambito strettamente medico, ma nondicevano nulla ai profani. Per una diversa interpretazione del passo di Tertulliano, Man-sfeld 1990, 3165.

24 Gal. De diff. puls. 4,15 (VIII,758 K.).25 Gal. De comp. med. sec. loc. 1,2 (XII,416 K.); 4,8 (XII,745 K.); 7,2 (XIII,30 K.); De comp. med.

per gen. 2,17 (XIII,537 K.) et al. Cf. anche Soran. 2,29 (II,41,37 Burguière-Gourevitch =75,13 Ilberg); Plin. Nat. hist. 19,87. Su Moschione, cf. Deichgräber 1935, 349.

26 La cui morte si situa con una certa sicurezza nel 91 a.C., cf. Rawson 1982.27 Sulla dottrina di Asclepiade e i suoi rapporti con l'atomismo, cf. Stückelberger 1984, 101-

13; per una interpretazione più strettamente medica di Asclepiade, Vallance 1990. Vallancetende a separarlo nettamente dalla tradizione "filosofica" atomista e a porlo invece sullascia di Erasistrato. Sebbene questa visione sia in parte giustificata, egli tralascia il fatto chein un passo fondamentale, citato da Celio Aureliano, Asclepiade difende espressamentecoloro che ponevano corpuscoli primi privi di qualità i quali non possono essere altro chegli atomisti (Acut. 1,14,106 Nec, inquit, ratione carere videatur quod nullius faciant qualitatis cor-pora). Faciant, che presuppone un soggetto plurale e traduce il verbo greco poiei'n, "assu-mere", indica chiaramente che Asclepiade si riferisce a teorie di altri ("e non sembra essereprivo di logica, dice, che assumano corpi privi di qualità"). Vallance, seguendo Gottschalk

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Una posizione particolare nella ricezione di Democrito, soprattutto perquanto riguarda questioni di metodo, occupano i medici empirici che locitano come un'autorità contro gli avversari dogmatici. Galeno, nell'operaSulla medicina empirica, in gran parte perduta nell'originale greco, ma so-pravvissuta in una traduzione araba28, riporta per lo meno due citazioniletterali da Democrito: il famoso frammento sul giudizio dei sensi controla frhvn29 e un altro sul ruolo dell'esperienza nello sviluppo delle technaiconservato solo nella traduzione araba30. Il fatto che questi frammenti nonvengano citati da nessun'altra fonte costituisce un indizio forte per la con-sultazione diretta da parte dei medici empirici di opere democritee. Dallacerchia empirica proviene forse anche una notizia riportata da Celso se-condo cui, per Democrito, non sarebbe possibile stabilire con esattezzaquando veramente un corpo è morto. Il contesto, infatti rimanda ad unaimpossibilità di prevedere in base a segni sicuri una morte imminente31.

È invece improbabile che Galeno, nonostante la sua erudizione,avesse letto delle opere democritee innanzitutto perché le due citazionisuddette, le uniche letterali da lui riportate, provengono dalla tradizioneempirica (è infatti un medico empirico che parla nel dialogo). Per il resto, ivari riferimenti agli atomisti antichi disseminati nella sua opera, compresoil lungo excursus del De elementis secundum Hippocratem32, sono basati sullarielaborazione di resoconti di varia provenienza. Galeno, inoltre, sembranon conoscere un attributo originale dell'atomo come nastovn33, attestato

1980, 46, pone corpora come soggetto di faciant aggiungendo un complemento oggetto inesi-stente nel testo latino (It is not illogical, says Asclepiades, that bodies with no quality should make upthe sensible world). Cf. su questo punto la critica a Gottschalk e la traduzione esatta del passodi Stückelberger 1984, 109. Contro la svalutazione dei rapporti di Asclepiade con l'atomi-smo anche Casadei 1997.

28 Walzer 1944; sulla presenza di Democrito nella medicina empirica, cf. anche Walzer 1932,466ss.; Löbl 1976, 26ss.; 1987, 8ss.

29 Gal. De exper. med. 15,7, 114 Walzer (68 B 125 DK; 79-80 L.). Cf. su questo passo, GemelliMarciano 1998.

30 Gal. De exper. med. 9,5, 99 Walzer (68 A 171 DK Nachtr.; 558 L.) And in short, we find thatof the bulk of mankind each individual by making use of his frequent observations gainsknowledge not attained by another; for as Demokritos says, experience and vicissitudeshave taught men this, and it is from their wealth of experience that men have learned toperform the things they do.

31 Cels. 2,6,13s. (68 A 160 DK; 586 L.) Illud interrogari me posse ab aliquo scio: si certa futurae mortisindicia sunt, quomodo interdum deserti a medici convalescant? quosdamque fama prodiderit in ipsis funeri-

bus revixisse. Quin etiam uir iure magni nominis Democritus ne finitae quidem uitae satis certas notas esseproposuit, quibus medici credidissent: adeo illud non reliquit, ut certa aliqua signa futurae mortis essent.

32 Su questo brano, v. infra, VI 3. 2. 3. Sul debito di Galeno nei confronti della tradizionescettica, cf. Morel 1996, 375-91 e Gemelli Marciano 1998.

33 Cf. la critica al medico di età traianea Archigene per aver usato il termine in relazione allearterie piene di sangue in De dign. puls. 4,2 (VIII,931 K.) (68 A 46 DK) ejn touvtwi de; tw'ilovgwi prw'ton tiv dhloi' to; nastotevran ouj pavnu safw'" oi\da, dia; to; mhde; suvnhqe" ei\nai

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in Aristotele e ben documentato in tutta la dossografia di ascendenzateofrastea.

2. 2. Democrito nella tradizione bibliotecario-grammaticale

L'ambito bibliotecario-grammaticale ha tramandato per lo più glosse in séscarsamente informative da un punto di vista "dottrinale", ma interessantiperché, nella loro specificità, aprono uno spiraglio sullo stile di Demo-crito, uno stile particolare, ricercato, talvolta criptico e vicino a quello disofisti come Antifonte, uno stile che, fuori dall'ambito in cui e per cui gliscritti sono stati redatti, doveva risultare estremamente inusuale e ostico.In effetti, già nel III sec. a.C. Callimaco aveva composto un Pivnax tw'nDhmokrivtou glwssw'n kai; suntagmavtwn34, un segno che i testi democriteierano ai suoi tempi di difficile lettura anche per i dotti. A quest'opera ri-salgono probabilmente in ultima analisi le glosse sparse riportate da Esi-chio e dai grammatici35.

Sempre da notizie riguardanti la sfera bibliotecario-grammaticale insenso lato si apprende che l'opera di Democrito era presente ancora allafine del II sec. a.C. in Asia Minore. Egesianatte, un grammaticoproveniente dalla Troade, che aveva esercitato funzioni di consigliere eambasciatore di Antioco III di Siria36, aveva redatto un'opera Sullo stile di

toi'" ”Ellhsin o[noma kata; tou' toiouvtou pravgmato" levgesqai. a[rton me;n gavr tina nasto;nejkavloun, ouj mh;n a[llo gev ti sw'ma pro;" aujtw'n ou{tw" wjnomasmevnon ejpivstamai. aujto;" de; oJArcigevnh", dikaiovtaton ga;r th;n ejn toi'" ojnovmasin aujtou' sunhvqeian par aujtou'manqavnein, dokei' moi to; nasto;n ajnti; tou' plhvrou" ojnomavzein.

34 Callim. Fr. 456 Pfeiffer (Suda s.v. Kallivmaco") (68 A 31 DK; CXXIV L.). Questa formula-zione ha creato difficoltà ad alcuni interpreti moderni e portato talvolta a tentativi di corre-zione del testo. Oder 1890, 74 proponeva Pivnax tw'n Dhmokrivtou kai; glwssw'n suvntagma.West 1969, 142 corregge glwssw'n in gnwmw'n con la motivazione che Democrito non erafamoso per le glosse, ma per le massime. Dato che dal IV sec. a.C. in poi si sarebbe diffusoun gran numero di sentenze falsamente attribuite a Democrito, Callimaco avrebbe redattoun inventario di quelle autentiche per mettere ordine in questa congerie. Il titolo dell'operaviene tradotto generalmente Indice delle glosse e delle opere di Democrito (Diels-Kranz app. adloc.). Secondo questa traduzione, dunque, Callimaco avrebbe stilato, con l'elenco delleglosse, anche quello di tutte le opere democritee. Cassio 1991, 11s., ha formulato invece l'i-potesi che si trattasse di un elenco di glosse con il titolo delle rispettive opere da cui esseerano tratte. Egli cita il parallelo di un glossario ippocratico di Glaucia, cui fa cenno Ero-tiano (7,23 Nachmanson) compilato secondo questo criterio. Cf. anche O'Brien 1994,699ss. L'ipotesi mi sembra verosimile in quanto anche le glosse di Antifonte Sofista ripor-tate dai lessici sottendono un procedimento del genere (cf. 87 B 3-5, 11, 14-15, 17-19 al.DK).

35 Cf. Schmid 1948, 245 n. 3.36 Cf. Jacoby 1912.

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Introduzione 11

Democrito37. A quest'opera, attraverso i manuali di retorica, fanno capoprobabilmente i giudizi sullo stile di Democrito che troviamo negli autoriposteriori quali Cicerone e Dionisio di Alicarnasso38.

All'età di Tiberio risale poi il grande catalogo delle opere democritee,corredato di una introduzione e redatto da Trasillo per tetralogie sul mo-dello di quello che egli aveva composto per Platone39. Il fatto che Trasilloscrivesse un'introduzione alla lettura degli scritti di Democrito, testimoniache tali opere nella sua cerchia e nel luogo in cui egli si trovava al mo-mento della redazione del catalogo erano ancora lette. La difficoltà sta,però, proprio nell'identificare questo luogo. Il Löbl40 dà per sicuro cheTrasillo abbia redatto il suo catalogo a Roma alla corte di Tiberio, ma nonc'è nessun indizio a supporto di questa ipotesi. Più interessante è inveceosservare da quale territorio l'astrologo-filosofo proviene e a quale tradi-zione si riallaccia. Egli è infatti un egiziano di Alessandria41 che si ricono-sce nella tradizione pitagorica con cui a più riprese collega anche Demo-crito. Se si pensa inoltre che Trasillo è indovino e astrologo (caratteri tipicidella rinascita del pitagorismo in età repubblicana e imperiale), si può ca-pire perché Democrito fosse così importante per lui e per quelli come lui.Proprio in Egitto, qualche secolo prima, egli era stato l'autore di riferi-mento per Bolo di Mende, autore di un'opera di carattere magico Sullesimpatie e sulle antipatie42 e dei Cheirokmeta (Manufatti). Bolo viene definitodalle fonti tarde, oltre che espressamente come "Democrito", anche comeun pitagorico43. Le due cose non si escludono44 visto che Democrito vienepiù volte, dal V sec. a.C. in poi, messo in relazione col pitagorismo. Èpossibile dunque che in Egitto, fra i neopitagorici platonizzanti per i qualila magia era un elemento essenziale, il nome e le opere stesse di Demo-crito assumessero una particolare rilevanza. Nella grande biblioteca di

37 Herodian. Peri; parwnuvmwn, 895,40 Lentz (68 A 32 DK; CXXV L.) ÔHghsiavnax gramma-tiko;" gravya" Peri; th'" Dhmokrivtou levxew" biblivon e}n kai; Peri; poihtikw'n levxewn. h\n de;Trwiadeuv".

38 V. infra, 2. 4 n. 90.39 Diog. Laert. 9,41 (68 A 1 DK; I, CXXVII L.) wJ" de; Qrasuvlo" ejn tw'i ejpigrafomevnwi Ta;

pro; th'" ajnagnwvsew" tw'n Dhmokrivtou biblivwn. Non ci sono testimonianze che possano farrisalire l'ordinamento tetralogico delle opere di Democrito ad un periodo anteriore, cf.Mansfeld 1994, 101.

40 1987, 128.41 Cf. Vetter 1936, 581.42 L'attenzione di Bolo per Democrito in questo contesto non è così strana come si potrebbe

pensare se si tiene conto del fatto che la dottrina dei pori e degli effluvi, che caratterizzagran parte delle eziologie democritee e in particolare la spiegazione dei sogni, delle appari-zioni di fantasmi, del malocchio, sta alla base della magia, v. infra, VII 4.

43 Pitagorico: Suda s.v. Bw'lo" Mendhvsio". Democriteo: Schol. Nic. Ther. 764; Suda s.v. Bw'lo"Dhmovkrito".

44 Cf. Kingsley 1995a, 326ss.

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Alessandria queste ultime erano ancora presenti. In questo campo si pos-sono naturalmente fare solo ipotesi, ma è probabile che Trasillo abbiaredatto il suo catalogo ad Alessandria in particolare per una cerchia difilosofi pitagorizzanti che si interessavano a Democrito come autore-mo-dello. Trasillo è comunque l'ultimo erudito del quale sia testimoniato uninteresse per l'intera opera democritea.

2. 3. Democrito negli scrittori di trattati tecnici e di storia naturale

Dal catalogo di Trasillo si può dedurre che Democrito fa parte di quelgruppo di sophistai che nell'ultimo quarto del V sec. a.C. invadono il campodelle technai scrivendo trattati teorici sui più svariati argomenti45. Delle sueopere tecniche si è tuttavia conservato ben poco anche per una caratteri-stica propria alla letteratura tecnica per cui generalmente i manuali piùrecenti soppiantano quelli più antichi. A questo si aggiunge il problemacostituito dalla letteratura pseudo-democritea legata al nome di Bolo cherende ardua la valutazione delle citazioni riportate da autori tardi. Così èspesso difficile stabilire se e in che misura Columella, Plinio e i Geoponicariportino materiale democriteo originale, anche se lo scetticismo dellafilologia tedesca di fine '800-inizio '900 è sicuramente esagerato e determi-nato in parte anche dal pregiudizio secondo cui un filosofo che si rispettinon può scrivere di agricoltura46.

Per quanto riguarda gli autori latini di scritti tecnici si può osservareche Vitruvio riporta alcune notizie su Democrito non presenti in altrefonti. Tuttavia i suoi brevi accenni in cataloghi di autori che hanno trattatoun determinato tema, rivelano la loro provenienza da manuali tecnici enon da letture dirette47.

45 Una polemica contro questi autori in ambito medico, è evidente già nei trattati ippocraticicome ad esempio VM 20,1 (145,18 Jouanna = I,620 Littré) e Acut. 6,1 (38,11 Joly = II,238Littré). Per quanto riguarda l'agricoltura se ne avvertono gli echi in Xen. Oec. 16 dove vieneloro rimproverato di trattare il tema da un punto di vista teorico, senza avere alcuna espe-rienza pratica. Questa stessa obiezione sta alla base dell'ironica tirata socratica nel Lacheteplatonico (183c-184a) contro il sofista Stesileo, che tiene conferenze dotte sull'oplomachiae subisce una clamorosa smentita all'atto pratico quando tenta di usare (a sproposito) inuna battaglia navale una nuova arma. Nei Memorabili di Senofonte (3,1,1) Socrate ironizzasul sofista Dionisodoro che insegna la tattica militare.

46 Cf. Oder 1890; Wellmann 1921. Cf. anche Hammer-Jensen 1924. Per una visione piùarticolata del problema, cf. Sider 2002; Gemelli Marciano 2007, 224-228.

47 Cf. Vitruv. 7,pr. 11 (68 B 15b DK; 139, 160 L.); 9,5,4; 9,6,3 (68 B 14,1 DK; 424,1 L.). Alladossografia manualistica risale anche l'excursus sui principi di Vitruv. 2,2,1 Democritus quiqueest eum secutus Epicurus atomos, quas nostri insecabilia corpora, nonnulli individua vocitaverunt; Pythago-

reorum vero disciplina adiecit ad aquam et ignem aera et terrenum. Ergo Democritus, etsi non proprie res

nominavit sed tantum individua corpora proposuit, ideo ea ipsa dixisse videtur, quod ea, cum sint disiun-

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Introduzione 13

Anche Eliano (II sec. d.C.), che nelle Storie naturali riporta notizie piuttostodettagliate sulle cause di alcune caratteristiche di animali in diverse zoneclimatiche48, difficilmente ha avuto accesso ai libri delle Aijtivai peri; zwviwn(68 A 33 (VI) DK; CXV (VI) L = Diog. Laert. 9,47). e ha molto piùverosimilmente utilizzato materiale indiretto49.

2. 4. Leucippo e Democrito nelle scuole filosofiche

Per il tema trattato in questo lavoro, in particolare la tradizione sull'atomo,ci si può avvalere solo in maniera indiretta ed episodica delle fonti cui hofinora accennato. Le peculiarità dell'atomo sono descritte infatti princi-palmente nelle testimonianze che fanno capo alle diverse scuole filosofi-che, un fatto che pone serie ipoteche sulla possibilità di avere un quadrochiaro e incontrovertibile dei fondamenti stessi della dottrina. Infatti leteorie degli atomisti hanno subito i più profondi rimaneggiamenti proprionell'ambito della tradizione filosofica. Se si escludono gli scarsi frammentiriguardanti la gnoseologia, ci si trova infatti di fronte ad una trasmissioneindiretta che si estende da Aristotele e Teofrasto fino ai commentatorineoplatonici di Aristotele.

Lasciando per ora da parte le interpretazioni di Democrito nell'Acca-demia e nel primo Peripato, tema che costituisce l'oggetto principale diquesto studio, cercherò qui di seguito di tracciare un breve schizzo dellaricezione degli atomisti nell'ambito delle scuole filosofiche dall'età elleni-stica in poi. Si tratta ovviamente non di un esame esaustivo, ma di unapanoramica globale offerta a titolo di orientamento.

cta, nec laeduntur nec interitionem recipiunt nec sectionibus dividuntur, sed sempiterno aevo perpetuo infi-nitam retinent in se soliditatem. Il testo corrisponde grosso modo alla prima parte di Ps.-Plut.1,3, 877 D, infra, VI 3. 2. 2. Alla letteratura pseudo-democritea è da riportarsi invece Vitruv.9,14 (68 B 300,2 DK).

48 Aelian. Hist. nat. 12,17 (68 A 152 DK; 521 L.): perché ci sono più aborti nelle zonemeridionali che in quelle settentrionali del mondo. 12,16 (68 A 151 DK; 519, 545, 561 L.):perché il cane e il maiale sono multipari. 12,18 (68 A 153 DK; 541 L.): perché ai cervi cre-scono le corna. 12,19 (68 A 154 DK; 543 L.): perché i buoi arabi femmina hanno cornasottili lunghe e storte. 12,20 (68 A 155 DK; 542 L.): spiegazione del fatto che ci sono torisenza corna. Cf. inoltre 9,64 (68 A 155a DK; 554 L.): i pesci si nutrono dell'acqua dolceche si trova nel mare. 5,39 (68 A 156 DK; 549 L.): il leone nasce con gli occhi aperti. Inquello che il Diels designa come Fr. 150a, Eliano cita in realtà Democrito solo come esem-pio retorico di ricerca di cause e non come autore della doxa contenuta nel brano, Hist. nat.6,60 (68 A 150a DK; 560 L.) ajlla; ei[te aijdw' famen ei[te fuvsew" dw'ron ajpovrrhton, tau'taDhmokrivtwi te kai; toi'" a[lloi" kataleivpwmen ejlevgcein te kai; ta;" aijtiva" levgein oi[esqaiiJkanoi'" uJpe;r tw'n ajtekmavrtwn te kai; ouj sumblhtw'n. Allo stesso modo procede Ciceronein De orat. 2,58,235 (68 A 21 DK; LXI, 513 L.) Atque illud primum, quid sit ipse risus, quo pactoconcitetur, ubi sit, quo modo exsistat [...] viderit Democritus.

49 Cf. su questo Perilli 2007, 158s.

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Introduzione14

Nel Peripato Democrito ha suscitato un particolare interesse soprattuttonelle prime due generazioni di aristotelici. Oltre a Teofrasto, anche l'altroallievo di Aristotele, Eudemo di Rodi, aveva sicuramente letto Democritoseguendo le linee interpretative del maestro. Simplicio cita direttamente lesue parole per lo meno su due questioni: la critica al vuoto democriteo, dalui interpretato come causa del movimento50, e la discussione sul ruolodella tuvch. Soprattutto riguardo a questo secondo punto, Eudemo sembraaver avuto davanti un testo specifico democriteo. Riferisce infatti un logos,non altrimenti attestato, che eliminerebbe la funzione della tuvch51. Comegià Aristotele e Teofrasto, anche Eudemo preferisce la parafrasi alle cita-zioni letterali. Democrito è sicuramente conosciuto anche da Stratone(attraverso di lui i suoi scritti potrebbero essere arrivati alla biblioteca diAlessandria) il quale aveva ammesso, come gli atomisti e contrariamenteall'aristotelismo ortodosso, un vuoto interno ai corpi. Stratone aveva co-munque aspramente criticato la dottrina delle forme atomiche quali quellead amo e ad uncino definendola come "sogni di un Democrito non mae-stro, ma visionario"52. Dopo di lui non si hanno più tracce di una discus-sione o di una acquisizione di dottrine democritee nel Peripato. E' piutto-sto verosimile che, in generale, da questo momento in poi, l'interesse perDemocrito cadesse progressivamente, soppiantato dalle discussioni sul-l'atomismo epicureo. La difficoltà di lettura dei testi, di cui proprio nel IIIsec. a.C. si cominciavano a redigere le glosse, e le opere di Aristotele e diTeofrasto su Democrito, più semplici e di più agevole consultazione,contribuivano ovviamente all'oblio53. Per trovare menzioni di Democritofra i Peripatetici bisogna scendere fino ad Alessandro di Afrodisia il quale,però, non ha letto nulla degli atomisti antichi. Non solo egli non riportaalcuna citazione diretta, ma, o si serve unicamente di materiale di scuola(dal quale non sono assenti talvolta sovrapposizioni fra atomismo demo-criteo ed epicureo54), o si limita a parafrasi dei testi aristotelici nei qualiviene nominato Democrito. Dunque, nel Peripato, dal III sec. a.C. in poinon è più documentabile una lettura diretta delle opere democritee.

L'Epicureismo è stato determinante non tanto per la trasmissione ditesti, quanto soprattutto per l'interpretazione delle dottrine di Democrito.

50 Eud. Fr. 75 Wehrli (Simpl. In Phys. 209a 18, 533,14) (251 L.).51 Eud. Fr. 54a Wehrli (Simpl. In Phys. 196a 11, 330,14) (68 A 68 DK; 24, 99 L.), infra, VII 6.

1 n. 64. Cf. anche Fr. 54b Wehrli (Simpl. In Phys. 196b 10, 338,4).52 Cic. Ac. 2,38,121 (68 A 80 DK; 26 L.). Per il testo e un esame più approfondito del passo,

v. infra, VI 3. 2. 1 n. 111.53 Per le opere di Aristotele su Democrito, cf. Diog. Laert. 5,26s. (68 A 34 DK; CXVII L.).

Arist. Fr. 208 Rose (Simpl. In De cael. 279b 12, 294,33) (68 A 37 DK; 172, 197 L.). Perquelle di Teofrasto, cf. Diog. Laert. 5,43; 49 (68 A 34 DK; CXVIII L.). Ovviamente Teo-frasto faceva testo anche col De sensu e con la sua raccolta di Physikai (o Physikon) Doxai.

54 V. infra, VI 1.

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Introduzione 15

Dall'epoca di Epicuro infatti, inevitabilmente, l'atomismo antico si è tro-vato ad essere veicolato, in positivo e in negativo, dalla forma moderna edominante dell'atomismo epicureo. Contrapposto o assimilato a quest'ul-timo, non ha più avuto una vita autonoma né rappresentato un oggetto diinteresse primario. Ma qual è il ruolo giocato da Epicuro stesso e dalla suascuola nella lettura e nella trasmissione dei testi e delle dottrine degli ato-misti antichi? Da quanto è rimasto, non sembra che gli Epicurei abbianocontribuito molto alla diffusione delle teorie dei loro antenati dottrinali,anzi, semmai si sono distinti per un atteggiamento critico nei loro con-fronti55. Epicuro, come si è visto, aveva, con il suo discepolo Ermarco,negato l'esistenza di Leucippo56. Con questa presa di posizione, una fra letante destinate a suscitare scandalo, Epicuro rispondeva probabilmente aTeofrasto che aveva attribuito a Leucippo il Mevga" diavkosmo". Nell'Epi-stola a Pitocle ci sono comunque chiare allusioni anonime alla cosmogoniadi Leucippo, in particolare al "grande vuoto", al vortice cosmico,all'ajnavgkh, alla fine dei mondi. Dato che le espressioni caratteristiche dellacosmogonia di Leucippo di ascendenza teofrastea sono tutte presenti nelpasso epicureo57, non si può stabilire con sicurezza se Epicuro si riferisseal testo originale o al resoconto che ne aveva dato Teofrasto. Allo stessomodo la critica all'infinità delle forme atomiche58 lascia aperta sia lapossibilità di una conoscenza diretta, sia quella della consultazione delleopere di Aristotele e Teofrasto, sia ambedue. Alcune testimonianze deipapiri ercolanesi sembrerebbero indicare che Democrito era presente nellabiblioteca di Epicuro. In un'opera di Filodemo infatti si menziona la ri-

55 Per una esaustiva trattazione della posizione degli Epicurei nei confronti degli atomistiantichi rimando a Morel 1996, 249-355.

56 V. supra, n. 11.57 Ep. Ep. 2,88 (67 A 24 DK; 383 L. comm.) kovsmo" ejsti; periochv ti" oujranou' a[stra te kai;

gh'n kai; pavnta ta; fainovmena perievcousa, ajpotomh;n e[cousa ajpo; tou' ajpeivrou ª...º o{ti de;kai; toiou'toi kovsmoi eijsi;n a[peiroi to; plh'qo", e[sti katalabei'n, kai; o{ti kai; oJ toiou'to"duvnatai kovsmo" givnesqai kai; ejn kovsmwi kai; metakosmivwi o} levgomen metaxu; kovsmwndiavsthma ejn polukevnwi tovpwi kai; oujk ejn megavlwi kai; eijlikrinei' kenw'i, kaqavper tinev"fasin, ejpithdeivwn tinw'n spermavtwn rJuevntwn ajfæ eJno;" kovsmou h] metakosmivou h] kai; ajpo;pleiovnwn ª...º ouj ga;r ajqroismo;n dei' movnon genevsqai oujde; di'non ejn w|i ejndevcetai kovsmongivnesqai kenw'i kata; to; doxazovmenon ejx ajnavgkh", au[xesqaiv te, e{w" a]n eJtevrwiproskrouvshi, kaqavper tw'n fusikw'n kaloumevnwn fhsiv ti". tou'to ga;r macovmenovn ejstitoi'" fainomevnoi". Cf. su questo passo, Silvestre 1985, 125-29. Per Leucippo, cf. Diog.Laert. 9,33 (67 A 1 DK; 382 L.) kovsmou" te ejk touvtou ajpeivrou" ei\nai kai; dialuvesqai eij"tau'ta. givnesqai de; tou;" kovsmou" ou{tw: fevresqai kata; ajpotomh;n ejk th'" ajpeivrou polla;swvmata pantoi'a toi'" schvmasin eij" mevga kenovn, a{per ajqroisqevnta divnhn ajpergavzesqaimivan kaqæ h}n proskrouvonta kai; pantodapw'" kuklouvmena diakrivnesqai cwri;" ta; o{moiapro;" ta; o{moia. ei\naiv te w{sper genevsei" kovsmou, ou{tw kai; aujxhvsei" kai; fqivsei" kai;fqora;" katav tina ajnavgkhn. Cf. anche Hippol. Ref. 1,12 (67 A 10 DK; 23, 291 L.). Una pa-noramica dei passi di Epicuro riferentisi a Democrito in Gigante 1981, 50-62.

58 Ep. Ep. 2,42s.

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Introduzione16

chiesta di Epicuro ad un discepolo di testi di Democrito59. Lo stato estre-mamente lacunoso del papiro impedisce però di sapere di quali libri sitrattasse. In un'altra opera, Filodemo accenna ad uno scritto di Epicurocontro Democrito, ma anche qui il testo non fornisce ulteriori chiari-menti60. Nei frammenti dal Peri; fuvsew" di Epicuro non ci sono menzionidirette degli atomisti antichi, ma piuttosto una critica al presunto determi-nismo democriteo61. Anche queste allusioni, tuttavia, non dicono nulla dicerto sulla consultazione delle opere originali in quanto si tratta di puntitrattati diffusamente nei testi aristotelici62 che Epicuro sicuramente avevapresenti. Insomma, se Epicuro aveva letto le opere degli atomisti antichi eanzi, come gli aneddoti biografici vogliono far credere, era stato spinto allafilosofia dai libri di Democrito63, la sua critica segue le linee delle esposi-zioni aristoteliche e teofrastee e non aggiunge nessuna informazione sup-plementare a quanto già detto dai due Peripatetici.

Per quanto riguarda gli allievi di Epicuro, a Metrodoro di Lampsacoviene attribuita un'opera contro Democrito64. Essendo un trattato adhominem, è probabile che egli conoscesse gli scritti di prima mano, ma an-che qui non c'è nulla che lo testifichi. Diverso è il discorso per Colote,l'altro allievo di Epicuro che aveva attaccato Democrito. Le sue citazionidemocritee hanno infatti tutta l'aria di essere di seconda mano e la suainterpretazione ha buone probabilità di essere basata sull'immagine delDemocrito scettico che circolava anche nell'Accademia di Arcesilao65.Plutarco, nell'opera Contro Colote, forse con una esagerazione retorica, mada tenere pur sempre in considerazione, gli rimprovera proprio di nonaver mai letto i libri di Democrito.

Dall'epicureismo tardo, dal I sec. a.C. in poi, non vengono testimo-nianze tali da far propendere per una consultazione diretta dei testi piutto-sto che per una conoscenza di tipo manualistico. Tracce di questa manua-

59 Philod. Ad contubernales Fr. 111,166s. Angeli æprºosevªtºaxa ª---ºON uJmi'n ª---º.. KTAª..---ºperievstaªi---º. A. ª...... to; perºi; ªSwºkravtªou" tou' Arºistivppou ªkºai; Speuªsivppou toºu'Plavtwno" ªejgkwvmionº kai; Aristotevªlou" ta;º Analutika; kai; ªta; Peri;º fuvsew", o{saperejªnekrivnºomenæ: ejpi; d Eujbouvlªou: æth;ºn ejpistolh;n PROSDª....ºGOIS kai; tw'n Dhªmokrivºtoutinav, oujc oi|on...

60 Philod. De libert. dicendi Fr. 20 Olivieri (68 A 34 DK; 36a L.) e[ti de; th;ªnº merizomevnhnsungªnºwvªmºhn ejn oi|" dievpeson, wJ" e[n te toi'" pro;" Dhmovkriton i{statai dia; tevlou" oJEpivkouro" kªai; pro;"º ÔHrakleivdhn ejn…

61 Per la critica al determinismo contenuto nel concetto di ajnavgkh contro coloro "che hannoricercato le cause" (oiJ d aijtiologhvsante"), cf. Long-Sedley 1987, II,20C, 107 (Ep. Peri;fuvsew" [34. 30] Arr.) (68 A 69 DK; 36a L.).

62 Arist. Fr. 208 Rose (Simpl. In De cael. 279b 12, 295,18-20) (68 A 37 DK; 293 L.); Arist.Phys. B 4, 196a 24ss. (68 A 69 DK; 18, 288 L.).

63 Diog. Laert. 10,2 (68 A 52 DK; XCV L.).64 Diog. Laert. 10,24 (68 A 34 DK; CXXIII L.)65 V. infra, VI 2. 1. 2.

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Introduzione 17

listica scolastica di ambito epicureo o di altra provenienza si ritrovano inLucrezio. Egli cita Democrito espressamente solo due volte: sul corso e laposizione delle stelle, e sulla posizione dei corpuscoli dell'anima alternati aquelli del corpo. Le notizie sull'astronomia corrispondono a quelle delresoconto di Diogene Laerzio su Leucippo e di Pseudo-Plutarco66. La doxasull'anima non è pervenuta attraverso altre fonti, ma potrebbe derivareanche da materiale dossografico di ambito medico data la brevità e lo stiledell'accenno67. Filodemo è l'unico epicureo attraverso cui conosciamocitazioni dirette da Democrito. La doxa sull'origine della credenza negli dèicontenuta nel De pietate è tuttavia chiaramente di matrice dossografica inquanto corrisponde a Sext. Emp. Adv. Math. 9,24 (68 A 75 DK; 581 L.)68,negli altri casi si tratta di excerpta che non riguardano la dottrina fisica,bensì la sfera etica e l'origine della musica69. D'altra parte nei titoli dellabiblioteca ercolanese non compaiono opere dell'Abderita. Evidentementela scuola epicurea era concentrata soprattutto sul proprio atomismo eriteneva ormai superato quello antico, atteggiamento, del resto, condivisoanche dalle altre scuole filosofiche. Diogene di Enoanda riporta anch'eglidelle doxai di Democrito derivate comunque da una trasmissione indirettainterna alla tradizione epicurea, ma nulla più70.

Nel complesso si può quindi concludere che la lettura diretta delleopere fisiche democritee e leucippee da parte di Epicuro è probabile, ma

66 Lucr. 5,621-37 (68 A 88 DK; 380 L.); cf. Diog. Laert. 9,33 (67 A 1 DK; 382, 389 L.); Ps.-Plut. 2,15, 889 B (68 A 86 DK; 390 L.).

67 Lucr. 3,370 (68 A 108 DK; 454 L.). Sulle concezioni dei medici che, secondo Sesto, Adv.Math. 7,349, seguivano Democrito nell'affermare che l'egemonico è sparso in tutto il corpo,v. supra, n. 21 e 23. Lucrezio allude, fra l'altro, nei versi precedenti (350-69), alle teorie diStratone che in Sesto sono attribuite anche ad Enesidemo "secondo Eraclito". Lucrezio se-gue nell'esposizione anche lo stesso ordine: teoria di Stratone (in Sesto di Enesidemo)-teo-ria di Democrito (in Sesto "alcuni secondo Democrito"). Una sequenza simile si trova an-che nel passo parallelo di Tertulliano (De an. 15,5), supra, n. 23. La doxa potrebbe risultaredallo sviluppo di una osservazione aristotelica in De an. A 5, 409b 2-4 (ei[per gavr ejstin hJyuch; ejn panti; tw'/ aijsqanomevnwi swvmati, ajnagkai'on ejn tw'i aujtw'i duvo ei\nai swvmata, eijsw'mav ti hJ yuchv).

68 P. Herc. 1428 fr. 16, cf. Henrichs 1975, 96-106.69 Sull'etica, cf. Philod. De ira P. Herc. 182, col. XXIX,20 Indelli (68 B 143 DK; 64 L.); De

adulat. P. Herc. 1457, col. X (Crönert 1906, 130) (68 B 153 DK; 611 L.). La stessa citazionecompare anche in Plut. Reip. ger. praec. 821 A. Considerazioni sulla morte, in Philod. Demorte, P. Herc. 1050, col. XXIX,27-32 e col. XXXIX,9-15 Mekler (68 B 1a DK; 587 L.).Sull'origine della musica, Philod. De mus. IV, P. Herc. 1497, col. XXXVI,87 Neubecker (68B 144 DK; 568 L.). Cf. l'ultima lettura del papiro in Gigante-Indelli 1980, 451-66.

70 Così l'accusa di sovvertire la vita (Diog. Oenoand. Fr. 7 II Smith = 61 L.), corrispondequasi perfettamente a quella di Colote (Plut. Adv. Colot. 1109 A-1110 F); quella al moto"costretto" degli atomi (Diog. Oenoand. Fr 54 II-III Smith = 68 A 50 DK; 39 L.), riecheg-gia un frammento del Peri; fuvsew" di Epicuro ([34.30] Arr.). L'accenno agli idoli che com-paiono nei sogni (Diog. Oenoand. Fr. 10 I,4ss.; IV,10ss. Smith) corrisponde alla descri-zione data da Plut. Quaest. conv. 734 F (68 A 77 DK; 476 L.).

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Introduzione18

non produce in ogni caso informazioni di particolare rilievo. La suascuola, invece, sembra aver vissuto piuttosto, a parte qualche rara ecce-zione, di una trasmissione interna indiretta o mediata da altre scuole.

Per quanto riguarda lo stoicismo antico è pervenuto solo un titolo diun'opera di Cleante Contro Democrito71. Un allievo suo e di Zenone, Sfero,aveva scritto contro gli atomi e gli ei[dwla72, ma il titolo non lascia capirese si dirigesse contro Epicuro o contro Democrito. Nella lunga lista delleopere di Crisippo, non compare invece nulla che abbia a che fare conl'atomismo antico, ma sappiamo, attraverso Plutarco, che Crisippo avevaper lo meno discusso un paradosso democriteo, il cosiddetto dilemma delcono73. E' evidente che comunque l'interesse degli Stoici doveva essersiconcentrato soprattutto sull'atomismo epicureo a loro contemporaneodalla cui ottica probabilmente veniva giudicato anche quello antico: lecritiche fondamentali agli atomi di Epicuro (mancanza di un principioattivo e ordinatore e discontinuità di una materia "passiva"74) erano valideanche per quelli di Democrito. Questa tendenza assimilatrice delle duedottrine è poi quella dominante nella dossografia tarda.

Fondamentali per la trasmissione di notizie dirette e indirette su De-mocrito è stato sicuramente Posidonio. Attraverso di lui si sono traman-dati tre tipi di informazioni:

1. citazioni più o meno rimaneggiate75,2. doxai su argomenti specifici, in particolare sull'astronomia e le que-

stioni naturali76,3. schemi dossografici nei quali le concezioni atomiste rientrano in un

quadro più generale e classificatorio dei vari tipi di corpuscolarismo77.

71 SVF I 481, 107,1.72 SVF I 620, 139,25.73 Plut. De comm. not. 1079 E (68 B 155 DK; 287a L.).74 Su questo punto, v. infra, VI 2.75 Tali sono quella sull'attrazione dei simili conservata da Sext. Emp. Adv. Math. 7,116-118

(68 B 164 DK; 11, 316 L.), cf. anche Ps.-Plut. 4,19, 902 C-D (68 A 128 DK; 11, 316, 491L.), l'esempio dei vasi di vetro e di bronzo in Sen. Nat. quaest. 4,9,1, una testimonianza nonriportata né da Diels-Kranz né da Lur'e, ma segnalata da Stückelberger (1990, 2576), v. an-che infra, VII 6. 2. 1 n. 88. Per le affermazioni sugli ei[dwla che si ritrovano in diversi autoridi età imperiale, infra, VII 4.

76 In quest'ultimo ambito rientrano gli excursus piuttosto ampi che si incontrano nelle Natura-les quaestiones di Seneca come la descrizione dei venti e dei terremoti in Nat. quaest. 5,2 (68 A93a DK; 12, 371 L.) e, rispettivamente, 6,20 (68 A 98 DK; 414 L.), una doxa democriteasulla via lattea (F 130 E.-K. = Macr. Somn. 1,15,6, infra, VII 6. 2. 1 n. 87) non presente nelleraccolte di frammenti del Diels e del Lur'e, e probabilmente anche una doxa sulla spiega-zione dei terremoti riportata in un commento di Olimpiodoro ai Meteorologica aristotelici,diverso da quello greco e tramandato solo in arabo (Badawi 1971, 133s.; traduzione inStrohmaier 1998, 363, v. infra, VII 6. 2. 1 n. 84).

77 V. infra, VI 2. 2.

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Un particolare interesse nell'ambito del tema dell'atomo riveste la tra-dizione scettica nei suoi due filoni ben distinti, ma spesso confluenti eintersecantisi nelle testimonianze antiche: scetticismo pirroniano e neopir-roniano (da Timone ad Enesidemo fino a Sesto Empirico) e scetticismodell'Accademia di mezzo nelle sue varie gradazioni fino ad Antioco. Nellesuccessioni dei filosofi Pirrone è posto spesso in stretta relazione conDemocrito attraverso la linea Anassarco-Metrodoro di Chio78. Pirrone nonha però scritto nulla e sembra fosse interessato soprattutto all'etica79. Dun-que la notizia di un allievo, secondo cui egli apprezzava molto Demo-crito80, potrebbe riferirsi ad opere etiche di quest'ultimo. Il detto "nulla èin verità, ma gli uomini agiscono per consuetudine e secondo un costumestabilito"81 sembra comunque riecheggiare la famosa massima democritea"novmwi glukuv..."82. Il suo allievo Timone dedica a Democrito alcuni versidei Silloi chiamandolo, oltre che "sapientissimo" (perivfrona), anche "pa-store di discorsi" (poimevna muvqwn) e "ciarlone dal pensiero ambiguo"(ajmfivnoon lesch'na)83. Timone potrebbe alludere con queste definizionialla polymathia, al carattere narrativo ed evocativo del linguaggio84, allaenorme produzione libraria di Democrito e a quella sua presunta ambi-guità rispetto al problema della conoscenza delineata nelle opere aristoteli-che e in Teofrasto85. Nell'ambito del neopirronismo abbiamo infine latestimonianza di Sesto Empirico la cui posizione esemplifica tra l'altroquanto si diceva sul valore delle citazioni letterali per determinare la cono-scenza di prima mano di un autore. Per quanto infatti egli riporti un di-screto numero di citazioni altrimenti sconosciute, col titolo delle opere dacui sono tratte, Sesto non ha letto nulla di Democrito. Nel caso ad esem-pio dell'ampio frammento riportato in Adv. Math. 7,135 si rifà ad unafonte intermedia86. Per altre citazioni, che si incontrano anche in autori

78 Cf. Clem. Strom. 1,14,64,2 (67 A 4 DK; VIII, 152 L.); [Gal.] Hist. phil. 3 (67 A 5 DK; 152L.); Eus. Praep. Ev. 14,17,10 (VIII L.); cf. anche 14,18,27 (LXXXIII, XCIV L.); Epiph. Defide 15, 505,30 Holl (VIII L.).

79 Il carattere principalmente etico della filosofia di Pirrone viene ribadito con energia daGörler 1994, 735ss.

80 Diog. Laert. 9,67 (XCII L.).81 Pyrrh. T 1 Decleva Caizzi (Diog. Laert. 9,61) oujde;n ga;r e[fasken ou[te kalo;n ou[t aijscro;n

ou[te divkaion ou[t a[dikon: kai; oJmoivw" ejpi; pavntwn mhde;n ei\nai th'i ajlhqeivai, novmwi de; kai;e[qei pavnta tou;" ajnqrwvpou" pravttein: ouj ga;r ma'llon tovde h] tovde ei\nai e{kaston.

82 Cf. Hirzel III, 1883, 14 n. 2; Decleva Caizzi 1981, 144; 1984, 16-19; Di Marco 1989, 218s.83 Tim. Fr. 46 Di Marco (68 A 1 DK; LXXX L.).84 Sulle immagini di Democrito, v. infra, cap. VII.85 Decleva Caizzi 1984, 18; Di Marco 1989, 218.86 Cf. Sedley 1992, 27-44; Gemelli Marciano 1998.

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come Cicerone, si serve di materiale proveniente dall'Accademia scettica87,per le interpretazioni e le doxai democritee fa capo, oltre che a quest'ul-tima, a Posidonio, alla tradizione epicurea e ai medici empirici.

L'immagine completamente scettica di Democrito, tuttavia, più chedal pirronismo, viene mediata dall'Accademia scettica di Arcesilao. Comedi tutti i predecessori, anche di Democrito, Arcesilao forniva questavisione estrapolando verosimilmente dal contesto alcune massimeinterpretabili secondo i suoi scopi. A lui risale sicuramente una sequenzadi due citazioni, la famosa massima "novmwi glukuv..." e quella altrettantofamosa "ejn buqw'i...", riportate da Diogene Laerzio come esempi diinterpretazioni scettiche di Democrito. Le stesse due frasi, infatti,compaiono rispettivamente in parafrasi e in traduzione letterale negliAcademica di Cicerone: Arcesilao avrebbe dichiarato di seguire, nella suaprofessione di scetticismo, non solo Socrate, ma anche presocratici comeEmpedocle, Anassagora, Democrito88. Ad Arcesilao non si può attribuireuna trattazione globale dell'atomismo in quanto, al di fuori di questiframmenti gnoseologici, non ci è rimasta nessun'altra testimonianza, ma èverosimile che egli avesse conoscenza diretta delle opere di Democrito perpoterne fare degli excerpta. Al contesto della sentenza "ejn buqw'i…" alludeinfatti anche Aristotele nel libro G della Metafisica89. La presenza diDemocrito nell'Accademia di mezzo da Carneade fino ad Antioco èdeducibile con sicurezza soprattutto dalle opere ciceroniane. Cicerone,nelle vesti di Accademico, o per bocca di un Accademico, cita più volteDemocrito, spesso esprimendo un giudizio positivo e contrapponendoload Epicuro, ma talvolta anche pronunciandosi criticamente sulle sue teorieproprio per la loro affinità con quelle epicuree. Importante è anche il fattoche Cicerone nomina più di una volta insieme a Democrito ancheLeucippo, cosa non frequente nelle testimonianze postteofrastee.Cicerone, tuttavia, non ha sicuramente letto i libri di Democrito. Le sueosservazioni sullo stile, che a prima vista potrebbero fa pensare ad unaconoscenza diretta, erano luoghi comuni nella retorica90 e risalivanoprobabilmente all'opera sullo stile di Democrito di Egesianatte. La suaconoscenza degli atomisti antichi si basa per lo più su materiale

87 E' questo ad esempio il caso dell'incipit dell'opera democritea che compare solo in Sext.Emp. Adv. Math. 7,264 e in Cic. Ac. 2,23,73 (68 B 165 DK; 63, 65 L.). Per altre citazionicomuni, cf. Decleva Caizzi 1980; Gemelli Marciano 1998.

88 Diog. Laert. 9,72 (68 B 117 DK; 51 L.); Cic. Ac. 1,12,44 (59 A 95 DK; II, 58 L.). Su questo,cf. Gemelli Marciano 1998.

89 Arist. Metaph. G 5, 1009b 11 h[toi oujqe;n ei\nai ajlhqe;" h] hJmi'n gæ a[dhlon.90 Cf. soprattutto l'affinità della sequenza Democrito-Platone-Aristotele in Cic. De orat.

1,11,49 e Dionys. De comp. verb. 24 (68 A 34 DK; 827 L.); la coppia Democrito-Platone ri-torna ancora in Cic. Orat. 20,67 (68 A 34 DK; 826 L.).

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dossografico scolastico interno all'Accademia91. Dai testi ciceronianiemerge soprattutto un interesse strumentale alle dottrine fisichedemocritee in contesti critici dell'epicureismo e in excursus dossografici piùgenerali atti a giustificare una attitudine scettica nei confronti delle variescuole filosofiche. Per quanto riguarda il primo tipo di contesto gli accenniciceroniani si possono sostanzialmente ordinare in due gruppi principali:

1. critica globale ai principi atomistici e relativa assimilazione di De-mocrito ad Epicuro,

2. critica specifica all'atomismo epicureo in cui, per contrasto, vienevalutata positivamente la dottrina democritea.

Nel primo gruppo rientrano le critiche agli atomi impassibili e privi diqualità, alla possibilità di un arresto della divisione in un corpo per suastessa natura divisibile all'infinito, alle forme atomiche e ad un cosmogovernato dal caso. La confutazione attinge ad argomentazioni di diversaprovenienza sia stoica che peripatetica. Nei testi del secondo gruppo vienesottolineata invece la superiorità delle tesi democritee e vengono confutatele eventuali obiezioni di parte epicurea a queste ultime. Un esempio è latrattazione della teoria epicurea del clinamen, presentata nel De fato (10,22)non come un miglioramento, ma come un peggioramento della dottrinademocritea. Ambedue i tipi di testo rientrano comunque in sequenze dia-lettiche di ampio respiro che si servono di tesi e controtesi tipiche delmodo di argomentare accademico. Un secondo tipo di contesto è costi-tuito dall'excursus dossografico di Ac. 2,37,118 risalente in ultima analisiall'opera teofrastea92 e rimaneggiato in versione accademica (per sottoline-are il disaccordo fra i filosofi e quindi l'impossibilità di aderire ad una o adun'altra tesi dogmatica). Gli Accademici scettici hanno comunque usatouna pluralità di schemi interpretativi e confutativi a seconda della necessitàdel contesto. All'occasione si sono serviti anche, cambiando loro di segno,delle polemiche epicuree contro l'atomismo antico e di quelle di matricestoica contro la dottrina atomistica in generale.

Se Cicerone riflette per lo più una rappresentazione manualistica escolastica dell'atomismo antico, la conoscenza diretta delle opere fisiche diDemocrito nei filosofi vissuti dopo il I sec. a.C., è piuttosto desolante.L'immagine che ci restituiscono le fonti antiche è quella di un'assolutapreponderanza della tradizione indiretta anche laddove ci sono citazioniletterali. Forse un'unica eccezione è costituita da Plutarco. La sua cono-scenza diretta di Democrito è una vexata quaestio mai risolta definitiva-

91 Anche a tanta distanza di tempo, sulle fonti di Cicerone rimane fondamentale e insuperatanella sua globalità Hirzel I, 1877, 32-45 per le fonti accademiche del primo libro del De na-tura Deorum e III, 1883, 251-341 per le fonti degli Academica.

92 La menzione di Leucippo è un'ulteriore indicazione in questo senso. Sulla provenienzateofrastea delle doxai di Ac. 2,37,118, cf. Mansfeld 1989 [1990b, 238-63].

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mente. Un fatto tuttavia è certo: egli riporta una gran quantità di citazioniletterali non reperibili in altre fonti. Questo non basta comunque per af-fermare che egli abbia sempre attinto agli originali democritei. Infatti irelativi contesti permettono di ipotizzare non una, ma due modalità diacquisizione dei testi:

1. Una consultazione diretta di opere democritee. Il fatto che non citimai titoli particolari non è in sé rilevante in quanto, anche per altri autoripresocratici egli riporta raramente l'indicazione dell'opera.

2. Una consultazione di fonti molto dettagliate che riportavano anchecitazioni letterali democritee soprattutto nel caso di oggetti specifici qualiad esempio la demonologia93.

Plutarco riutilizza comunque più volte nelle sue opere, secondo la suanormale prassi, le citazioni democritee creando dei "doppioni" diversa-mente ricontestualizzati94 e rendendo difficile l'eventuale ricostruzione delcontesto originale. Egli si serve però anche di resoconti di matrice dosso-grafica laddove espone sinteticamente i fondamenti della dottrina demo-critea con relativa critica come nella Contro Colote95. In questo caso ripro-duce un modello di esposizione e critica dell'atomismo correntenell'Accademia di mezzo. Le argomentazioni fornite da Plutarco com-paiono infatti anche in Cicerone e, per accenni, in Sesto Empirico.

Dopo Plutarco e, in generale, dopo il I sec. d.C., nei primi decenni delquale Trasillo redige il suo catalogo, difficilmente si possono trovare indizidi una conoscenza diretta delle opere fisiche democritee. Gli autori dal Isec. d.C. in poi fanno ricorso, per lo meno per illustrare la dottrina fisica, afonti indirette siano esse pure di pregevole fattura come quella di ascen-denza teofrastea utilizzata da Diogene Laerzio per la sua esposizione dellacosmogonia leucippea. Quest'ultimo usa solo fonti di seconda e di terzamano96 e così fanno anche gli autori cristiani Ippolito e Clemente97, per

93 Secondo Hershbell 1982, 94 apparterebbero a questo gruppo anche le citazioni delleQuaestiones convivales. Per il problema della presenza di Democrito nel De tranquillitate animi ein altre opere etiche, cf. Id., 84-89 con bibliografia in n. 3.

94 Cf. ad es. la citazione sul cordone ombelicale in due contesti diversi: embriologico, vicinoprobabilmente all'originale, De amore prol. 495 E (68 B 148 DK; 537 L.) e cosmogonico, mariportato come citazione dotta e senza nominare Democrito, De fort. Rom. 317 A (68 B 148DK; 537 L.). Sulle modalità di citazione di Plutarco, cf. Kidd 1998.

95 Lo stile dossografico di Adv. Colot. 1110 F (68 A 57 DK; 179 L.) è indubitabile per lenumerose concordanze con altri resoconti che si incontrano negli autori tardi quali adesempio Pseudo-Plutarco e Galeno. Su questo brano, v. infra, VI 2. 1. 2.

96 Le scarse e incomplete citazioni letterali sono di provenienza scettica, cf. Gemelli Marciano1998.

97 Le due uniche citazioni letterali riguardanti, una la fisiologia umana, l'altra la concezionedegli dèi che troviamo in Clemente provengono, una da una tradizione di tipo medico pre-sente anche in altri autori (v. supra, n. 14), l'altra, pur essendo attribuita in questi termini aDemocrito solo da Clemente Protr. 6,68,5; Strom. 5,14,101,4 (68 B 30 DK; 580 L.), si ritrova

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non parlare poi dei commentatori tardi di Aristotele cui si accennerà inseguito. In pratica, dopo Plutarco, le opere fisiche originali di Democritosembrano essere sparite dall'orizzonte dei dotti.

3. Interpretazioni moderne dell'atomismo antico

Dalla mappa fin qui tracciata risulta anche troppo evidente come la tra-smissione delle dottrine democritee abbia sofferto dei pre-giudizi e deipre-supposti delle fonti antiche tanto da rendere estremamente arduoqualsiasi tentativo di interpretazione. Chi cerca di comprendere i fonda-menti dell'atomismo antico deve dunque non solo destreggiarsi fra le varietendenze della trasmissione indiretta, ma anche spingersi al di là dell'am-bito ristretto delle scuole filosofiche dal IV sec. a.C. in poi per ricostruire,nei limiti del possibile, l'atmosfera e il contesto in cui Leucippo e Demo-crito hanno vissuto.

Le ipotesi sulla natura del cosiddetto atomo e, più in generale, sul ca-rattere delle dottrine di Leucippo e Democrito dall'ottocento ad oggi sonocaratterizzate da un approccio teorico-ideologico oscillante continuamentefra due poli opposti: fisica o ontologia in qualche modo già condizionatadalla matematica, empiria o deduttivismo, dottrina di matrice eleatica oradicata nella filosofia della natura della Ionia? Ciò che colpisce è propriola scarsa attenzione ai due punti succitati: all'analisi delle fonti che veico-lano la visione dell'atomismo98 e alla realtà storico-culturale in cui gliatomisti antichi hanno vissuto e operato. La preoccupazione principaledegli interpreti, a parte rare eccezioni99, sembra quella di "salvarli" da ac-cuse di materialismo e di superficialità etica e filosofica (come la maggiorparte degli storici della filosofia di fine-ottocento) o di scarsa coerenza

in una serie di esemplificazioni del comune concetto dell'esistenza degli dèi. Il corrispettivoesempio latino (versi di Ennio) di ciò che nel modello greco andava sotto il nome di De-mocrito compare in Cic. De nat. deor. 2,2,4. Allo stesso modo la citazione riguardante l'ispi-razione del poeta in Clem. Strom. 6,18,168 (68 B 18 DK; 574 L.) proviene molto probabil-mente in ultima istanza dall'opera sullo stile di Democrito di Egesianatte. Una similerappresentazione si ritrova infatti anche in Cic. De orat. 2,46,194; De div. 1,37,80; Hor. Ep.2,3,295-97 (68 B 17 DK; 574 L.). Clemente conosceva le massime etiche democritee attra-verso gnomologi del tipo di quelli che si trovano in Stobeo con il quale talvolta concorda,cf. e.g. Strom. 4,23,149,3; Stob. 2,31,65 (68 B 33 DK; 682 L.).

98 Una eccezione è Morel 1996 il quale, però, è interessato soprattutto al contesto più stretta-mente filosofico delle fonti.

99 Cf. Salem 1996, che cerca per lo meno di storicizzare le testimonianze e di precisare lerelazioni delle opere democritee nella loro globalità con altri testi a loro contemporanei.

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logica (prevalente invece negli interpreti del novecento in particolare diarea anglosassone100).

La critica del primo ottocento, i cui rappresentanti di spicco sono l'al-lievo di Schleiermacher, Ritter, e Brandis, interpretava l'atomismo soprat-tutto come una teoria materialista e meccanicista legata alla rappresenta-zione del mondo dei cosiddetti ionici e in stretta correlazione/opposizione con le dottrine anassagoree101. Ritter, sulla scia del suo mae-stro102, ne dava un giudizio estremamente negativo considerandolo unaforma di sofistica che non andava a fondo di nessun problema, che avevarifiutato di porsi domande sull'origine del movimento103, ridotto i feno-meni spirituali a fatti corporei104 e negato la possibilità di conoscenza equindi di scienza105. Insomma l'atomismo era una teoria antifilosofica chenegava l'unità e dissolveva tutto nell'infinita molteplicità degli atomi enell'infinità del vuoto106. Questa visione prevalente ai tempi dell'edizionepreliminare dell'opera zelleriana107 scaricava sull'atomismo un pre-giudizioetico e di merito derivato da considerazioni completamente anacronisti-che. Sul versante opposto stava l'autorevole interpretazione di Hegel chenelle sue Vorlesungen über die Geschichte der Philosophie, pubblicate postume,aveva visto nell'atomo non un'entità fisica, ma piuttosto l'unità astratta, iltentativo di determinazione dell'assoluto108. Proprio a questa visione hege-liana dell'atomo come uno si riallacciava Zeller nella sua rivalutazionedell'atomismo soprattutto contro Ritter109. Egli insisteva in particolare sudue punti strettamente connessi e non scevri anch'essi da pre-supposti:

100 Cf. ad es. Makin 1993, 12 "What recommends the account that will be given of Democri-tean atomism is charity. The indifference arguments which generate, and practically con-stitute, the basic atomic theory are cogent and stimulating arguments, and one should sointerpret a philosopher as to attribute the more cogent and plausible positions to him". E'ovvio che qui la "cogenza" e la "plausibilità" pre-supposte sono quelle codificate dalle cate-gorie del pensiero filosofico moderno. Sui problemi sollevati da questa "concezione crite-riologica della razionalità", cf. Putnam 1985, 120-123; Tambiah 1993, 166s.

101 Cf. Brandis I, 1862, 303ss.102 Schleiermacher 1839, 19; 72; 74ss. L'opera fu pubblicata postuma da Ritter stesso.103 Ritter, 1829, 567; cf. anche Brandis I, 1862, 319s.104 Ritter 1829, 574.105 Ritter 1829, 576ss.106 Ritter 1829, 581 "Überblickt man diese ganze Lehre des Demokrit, so läßt sich das

Antiphilosophische seiner Bestrebung nicht leicht verkennen. Denn nicht nur hebt er dieEinheit der Welt, sondern auch die Einheit der Seele und des Bewußtseins auf. An dieEinheit der Wissenschaft ist dabei nicht zu denken; Alles löst sich ihm in die unbestimmteVielheit der Atome und in das Unermeßliche des Leeren auf".

107 Zeller 1844, 195-200.108 Hegel 1996, 355ss.109 Zeller si rivolgeva contro queste tesi già nel 1843 in un excursus sulle "storie della filosofia"

pubblicate negli ultimi 50 anni (Zeller 1910, 46s.) e riprendeva con maggior dovizia di ar-

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1. Da una parte sul fatto che l'atomismo come dottrina materialistica,per una specie di necessità storica dello sviluppo dello spirito, non potevaderivare dalla dottrina anassagorea che poneva invece un principio spiri-tuale (il Nous) al di fuori della materia sviluppando un primo nucleo diconcezione teleologica del mondo. Anassagora "doveva", secondo loschema evoluzionistico hegeliano, essere anche cronologicamente poste-riore agli atomisti. Per questo Zeller si schierava a favore della cronologiabassa di Leucippo: non era Anassagora ad aver influenzato gli atomisti,bensì il contrario. Conseguentemente, nella Philosophie der Griechen, que-st'ultimo veniva trattato dopo Leucippo e Democrito.

2. Dall'altra sul fatto che l'atomismo, pur essendo una dottrina mate-rialista, era radicato nella dottrina eleatica sulla cui scia aveva posto il pro-blema dell'uno110. A questo proposito Zeller portava in primo piano latestimonianza aristotelica di De generatione et corruptione A 8 secondo cuil'atomismo deriverebbe dalla accettazione/ correzione di tesi eleatiche111ed enfatizzava poi sempre più nelle successive edizioni della Philosophie derGriechen questa dipendenza a scapito della presunta ascendenza eraclitea112.In questo modo cercava di liberare l'atomismo dal pregiudizio etico con-tro materialismo e sofistica diffuso ai suoi tempi, senza tuttavia staccarsiegli stesso da una visione che valutava positivamente soprattutto le dot-trine nelle quali si potesse intravvedere in qualche modo una teorizzazionedell'unità e una preminenza dello spirito sulla materia.

gomentazioni la critica a Ritter nell'edizione preliminare della Philosophie der Griechen I, 1844,198ss.; cf. anche Zeller-Nestle I, 2, 2, 1920, 1166ss.

110 Zeller-Nestle I, 2, 2, 1920, 1171 "Ebenso ist es schief, wenn man wegen der Vielheit derAtome behauptet, es fehle diesem System gänzlich an Einheit. Fehlt seinem Prinzip auchdie Einheit der Zahl, so fehlt doch nicht die Einheit des Begriffs; indem es vielmehr derVersuch macht, alles ohne Einmischung weiterer Voraussetzungen aus dem Grundgegen-satz des Vollen und des Leeren zu erklären, so erweist es sich eben damit als das Erzeugniseines konsequenten, nach Einheit strebenden Denkens und Aristoteles ist in seinem rechte,wenn er gerade seine Folgerichtigkeit und die Einheit seiner Prinzipien rühmt und ihm indieser Beziehung vor der weniger strengen empedokleischen Lehre den Vorzug gibt".

111 Zeller 1844, 213s. Sul passo, infra, cap. III.112 Questa evoluzione si riscontra confrontando l'edizione preliminare del 1844 con le succes-

sive. Così se in Zeller 1844 l'influsso eracliteo è dato per sicuro (216 "Eben dieser Satz(Das Ichts sei nicht mehr als das Nichts) ist es aber nun auch, durch den die Atomistikauf's Bestimmteste auf Heraklit zurückweist [...] Wenn daher die Atomisten dem eleati-schen Sein das Nichtsein eben in der Absicht zur Seite setzen, um dadurch das Werdenund die Bewegung möglich zu machen, so sind wir durch den innern Zusammenhang die-ser Idee mit der Heraklitischen Philosophie genöthigt, auch einen geschichtlichen Einflußdes letzteren auf die Entstehung des atomistischen Systems zu vermuthen"), molto piùcauta è la formulazione nella sesta edizione (1920, 1177 ob bei dem Widerspruch der Ato-miker gegen die Eleaten der Einfluß des heraklitischen Systems mitwirkte, läßt sich nichtsicher bestimmen") dove anche un influsso degli ionici viene messo in discussione (1181,"von einem Einfluß der älteren ionischen Schule zeigen sich in der atomistischen Physikvereinzelte Spuren").

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Mentre Zeller rielaborava le diverse edizioni della sua monumentale opera,le tesi di un atomismo radicato nella filosofia anassagorea venivano ripresedalla critica positivista, da Gomperz nei suoi Griechische Denker, la cuiprima edizione era comparsa nel 1896, e da Brieger113. Gomperz attribuivacongiuntamente a Parmenide e a Leucippo il riconoscimento della"costanza qualitativa" della materia, ma metteva in guardia dal sopravva-lutare i punti di contatto fra gli atomisti e gli Eleati114 in quanto questiultimi avevano risolutamente negato quello che per gli altri era un postu-lato fondamentale e cioè il movimento. Gomperz vedeva piuttosto leradici dell'atomismo nelle dottrine ioniche e in Anassagora. Allo stessomodo Brieger sottolineava in particolare come i presupposti dell'atomismofossero contenuti nelle tesi anassagoree dell'eternità e dell'infinità dei semi(che egli interpretava tuttavia come corpuscoli), della generazione e delladissoluzione per composizione e scomposizione, dell'affermazione impli-cita che nulla nasce dal nulla115.

Il problema delle origini dell'atomismo ha cessato di essere tale nelmomento in cui sono venute meno le ragioni storiche per cui era statoposto e la visione zelleriana è stata accolta quasi come un dogma. Se sieccettua uno studio di Sinnige che ha discusso le testimonianze aristoteli-che alla maniera chernissiana riportando alla Ionia e ad Anassagora leradici dell'atomismo e riferendo eventuali echi eleatici alla mediazione diquest'ultimo116, la rappresentazione eleatizzante trasmessa soprattutto daAristotele o da quello che di Aristotele si è voluto interpretare come tale,si è imposta in maniera indiscussa a cominciare dal Bailey che nel suoGreek Atomists and Epicurus, faceva di Leucippo un allievo degli Eleati.Sempre sulla scia di questa tendenza, ma con una ulteriore spinta versouna ontologizzazione e una rappresentazione matematizzante della dot-trina atomista, si è posto l'Alfieri il quale, fortemente influenzato dal giu-dizio hegeliano, ha sovrapposto un assunto metodologico, di tipo hege-liano appunto, alle testimonianze reali sull'atomismo. Egli dichiaravaapertamente che si devono ricercare, al di là delle testimonianze dossogra-fiche, i presupposti logici della dottrina atomista per non sminuirne ilvalore speculativo117. La preoccupazione, già zelleriana, per eventuali criti-che ad un atomismo empirico determina tutta l'interpretazione alfieriana laquale fa di Leucippo e Democrito dei platonici ante litteram, sostenitori di

113 Brieger 1901, 161-186.114 Gomperz 1922, 288: "Verkehrt aber ist es, aus den sonstigen Berührungen der beiden

Lehren (scil. des Leukipp und des Parmenides) auf die Abhängigkeit der einen von der an-deren zu schliessen".

115 Brieger 1901, 179.116 Sinnige 1968, 138-71.117 Alfieri 1979, 15.

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una dottrina di matrice eleatica matematizzante, radicata negli assunti delpitagorismo (o piuttosto in quelli che Alfieri riteneva tali). A queste radicimatematiche risalirebbero la valutazione positiva del non essere comespazio e della molteplicità. Ancora al pitagorismo sarebbe da ricondurre ilcarattere dell'atomo concepito come unità aritmetica e forma geometricaastratta. In pratica Alfieri trasponeva esplicitamente118 agli atomisti le ori-gini della filosofia platonica: Platone avrebbe solamente sviluppato unmaggior interesse per l'intellegibile, gli atomisti per il sensibile, l'uno e glialtri, però, avrebbero individuato nelle forme matematiche degli enti in-termedi. A prescindere dal carattere teorico astratto della matematica de-mocritea, tutto da dimostrare, l'interpretazione dell'Alfieri è il risultato piùevidente della persistenza nei secoli dei pre-supposti che avevano origi-nato anche una certa rappresentazione aristotelica dell'atomismo, e cioè laproblematica dell'infinita divisibilità e degli indivisibili e i relativi concettielaborati in questo ambito da Platone e dall'Accademia. Rispetto comun-que ad Aristotele, che forniva anche una immagine alternativa e una rap-presentazione fisica dell'atomismo, Alfieri prescindeva metodologica-mente proprio da quelle testimonianze che presentano una dottrina fisicae non matematica come egli la intendeva.

Dipendenza dagli Eleati e anticipazione di dottrine accademiche119 edEpicuree costituiscono in sintesi l'interpretazione dell'atomismo fornita daLur'e le cui tesi sono state comunque ampiamente confutate già da Mau eFurley. Lur'e ha il merito di aver raccolto finora la più grande congerie ditestimonianze sull'atomismo, ma il suo principale difetto metodologicoconsiste nell'utilizzazione acritica delle fonti120.

Se Alfieri e Lur'e costituiscono portano all'estremo la platonizzazionedell'atomismo, altri interpreti come Furley (1967; 1987), pur accettando letesi della derivazione dall'eleatismo, individuano anche i problemi che nescaturiscono, in particolare la difficoltà di definire il tipo di indivisibilitàdell'atomo e la sua specifica relazione con i paradossi zenoniani.

Una linea interpretativa di area anglosassone si è, in questo ultimo de-cennio, affannata a "salvare" la reputazione di Democrito come filosofo121proprio basandosi sulle presunte risposte ai paradossi zenoniani e svilup-pando brillanti ipotesi che tuttavia fanno sparire completamente dall'oriz-

118 Alfieri 1979, 50.119 Fino all'assurdità di anticipare a Democrito la successione punto-linea-superficie-solido,

testimoniata solo per la scuola platonica e di vedere anche una critica all'atomismo anticonel trattato De lineis. Cf. Lur'e 1932, 148ss.; 1970, 333.

120 Lur'e attribuisce ad esempio lo stesso valore ad Aristotele e ai suoi commentatori neoplato-nici. Il suo esempio è stato seguito anche in alcune dissertazioni più recenti sull'atomismo,in particolare Löbl 1976 (cf. anche 1987) e Nikolau 1998.

121 Cf. Makin 1993, supra, n. 100.

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zonte il contesto in cui Democrito ha vissuto e il sostrato della trasmis-sione delle sue dottrine. A monte del rapporto Democrito-Zenone c'ènaturalmente l'ulteriore problema della definizione dei paradossi, dellaloro funzione e della posizione stessa di Zenone nel suo contesto storico-culturale. Negli studi moderni egli viene infatti interpretato secondo l'im-magine canonica tramandata da Platone nel Parmenide, quella di un allievoche ha cercato di dimostrare per altra via l'assunto del suo maestro se-condo cui l'essere è uno. In realtà questa rappresentazione, predominantenella storiografia filosofica antica, ha completamente isolato questa figuradal suo contesto storico-culturale. Sebbene non sia questo il luogo di rive-dere la tradizione su Zenone, è opportuno sottolineare che, quando siparla di una "reazione" democritea ai paradossi, si deve tener presente cheDemocrito, se mai li ha presi in considerazione, potrebbe averne avutoanche una percezione diversa da quella platonica122. I paradossi zenonianirisultano in effetti molto meno matematizzanti e astratti se liberati dalcarico concettuale delle interpretazioni seriori e visti come una strategiapratica tesa a distruggere gli automatismi mentali. In ogni caso sia il veroZenone che il vero Democrito potevano essere anche diversi dalla rappre-sentazione che ne dà la tradizione platonica e rispettivamente aristotelico-teofrastea.

L'inserimento dell'atomismo nell'ambito della problematica degli indi-visibili conduce comunque ad un ulteriore dilemma, sempre dibattuto, mamai risolto completamente e cioè quello della natura dell'atomo. Si tratta,anche in questo caso, di una vecchia questione presente nella tradizioneantica in descrizioni del tutto contrastanti che hanno generato, a secondadel peso maggiore assegnato all'uno o all'altro testo, interpretazioni deltutto divergenti. Una soluzione palesemente anacronistica è quella di Lur'eche ha interpretato l'atomo democriteo come un indivisibile fisico delimi-tato a sua volta da minimi privi di parti come quello epicureo. Lur'e siappoggia in particolare su un passo di Alessandro di Afrodisia123 adattandoaltre testimonianze a questo schema e attribuendo errori di interpretazioneai numerosi testi che contraddicono questa visione.

Per il resto, l'interpretazione dell'atomo degli atomisti antichi è oscil-lante a seconda della valutazione delle fonti. Alcuni interpreti vedonol'atomo come un indivisibile assoluto in quanto solo così potrebbe costi-tuire una soluzione del paradosso zenoniano. A conferma di questa tesicitano il rimprovero di Aristotele agli atomisti di essere andati contro iprincipi della matematica e altri testi tardi che attribuiscono loro specifi-

122 Su una rappresentazione alternativa a quella del Parmenide platonico, attestata già dal IVsec. a.C. e in Platone stesso, che vede Zenone disputare in utramque partem, v. infra, III 2. 1.n. 24.

123 Alex. Metaph. 985b 19, 36,25 (123 L.). Per la discussione del passo, v. infra, VI 3. 1 n. 77.

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camente dei minimi privi di parti124. Indivisibilità fisica, ma non teoreticagli viene attribuita da coloro che ritengono invece il problema dell'indivi-sibilità matematica estraneo alla prospettiva fisica democritea che separanettamente la fisica dalla geometria125. Mau faceva dell'atomo democriteoun minimo-misura variabile a seconda dell'ordine delle grandezze126. Unatendenza impostasi in area anglosassone negli anni novanta punta invece ildito sull'inadeguatezza di queste interpretazioni giudicando il dibattitosull'indivisibilità fisica e teoretica un falso problema. L'indivisibilità sa-rebbe giustificata non in base ad un argomento fisico, ma in base ad unargomento "filosofico" di matrice eleatica quale quello dell'omogeneitàdell'atomo che risponderebbe ai requisiti posti dall'argomento dell'indiffe-renza: non c'è ragione che un atomo sia divisibile più in un punto che inun altro127.

4. Democrito, l'Accademia e le interpretazioni dell'atomo

Come si vede le ipotesi sui fondamenti dell'atomismo antico e sulla naturadell'atomo sono numerose e partono comunque tutte dal pre-suppostoche specifici testi aristotelici o di autori tardi offrano una visione reale eobiettiva dell'atomismo e delle sue radici. In tutti questi studi manca tutta-via una decisa e radicale analisi delle fonti a cominciare dai vari passi ari-stotelici per finire con gli autori neoplatonici. Tali testi vengono usati divolta in volta per dimostrare l'una o l'altra tesi, ma mai sottoposte ad un'a-nalisi critica globale.

Lo scopo primario di questo lavoro consiste invece principalmentenell'esame e nella valutazione contestuale e sistematica delle fonti anticheche permetta di individuare i pre-supposti di una certa interpretazioneunidirezionale delle dottrine di Leucippo e Democrito, limitata esclusiva-mente alla considerazione dei rapporti con altre "filosofie" e all'inseri-mento nella problematica degli indivisibili. Si tratta di un passaggio neces-sario per ampliare la prospettiva sul contesto e la natura dell'atomismo adaltri ambiti fuori di quello specificamente filosofico.

Uno dei lavori più importanti per un nuovo inquadramento della pro-blematica dell'atomismo, non tanto perché tratti il tema specifico, quantoper le indicazioni e gli spunti che offre, e che è incomprensibilmente pas-

124 Furley 1967, cap. VI; 1987, 124-127. Per la discussione dei passi di Arist. De cael. G 4 eSimpl. In Phys. 231a 21, 925,10 (67 A 13 DK; 113 L.) in particolare, v. infra, VI 3. 4.

125 Calogero I, 1967, 432; Baldes 1972, 16, 38, 43ss.; lo stesso Furley 1987, 130 sembra venti-lare un'ipotesi di questo tipo per risolvere i problemi del rapporto con la matematica.

126 Mau 1954, 22ss.127 Cf. Makin 1989; 1993, 54-62; Lewis 1998.

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sato quasi inosservato anche nelle interpretazioni più recenti, è il capitolosu Democrito di Platonismus und hellenistische Philosophie di Hans JoachimKrämer. Krämer individua molto chiaramente nelle polemiche di Aristo-tele contro gli indivisibili accademici uno dei maggiori pre-supposti del-l'inquadramento aristotelico dell'atomismo antico. L'atomismo accade-mico, il cui rappresentante principale per la tradizione antica è Senocrate,è stato in realtà sempre completamente trascurato negli studi sull'atomi-smo antico (se si esclude un breve capitolo eminentemente descrittivo, maisolato, dedicatogli da Furley128). Eppure la tematica della divisibilitàall'infinito delle grandezze e degli indivisibili discussa nell'Accademiafornisce ad Aristotele l'apparato concettuale per interpretare l'atomismo erappresenta il filtro culturale attraverso cui passano le sue letture non solodegli atomisti, ma anche delle presunte teorie corpuscolariste dei preso-cratici. E' infatti principalmente il confronto critico implicito o esplicitocon le dottrine accademiche a costituire il sottofondo di molti passi neiquali Aristotele discute questi temi129, confronto di cui egli spesso si servecome di un'arma contro quelli che erano nel frattempo divenuti i suoi piùdiretti avversari. Indizi presenti in allusioni aristoteliche e in testi più tardi,combinati con aneddoti riguardanti la conoscenza di Democrito da partedi Platone, portano a pensare che le teorie democritee fossero state inter-pretate e discusse non tanto dal maestro quanto soprattutto dai suoi allievipitagorizzanti130. Gli autori antichi riportano inoltre con sicurezza a Seno-crate la discussione e la soluzione dei paradossi zenoniani con la dottrinadelle linee indivisibili. Si tratta proprio dello stesso punto da cui, secondol'interpretazione moderna di un passo di Aristotele (De gen. et corr. A 2),avrebbe preso le mosse anche Democrito. Questa coincidenza e il fattoche il passo aristotelico non attribuisce la dimostrazione della necessitàdegli indivisibili specificamente a Democrito, ma si mantiene su formula-zioni piuttosto vaghe, giustifica il sospetto che il pre-supposto della pro-blematica trattata qui da Aristotele stia proprio nella discussione accade-mica del paradosso cosiddetto "della dicotomia" di Zenone. In questosostrato interpretativo, nel quale anche Aristotele spesso si inserisce e delquale utilizza i concetti, si devono dunque ricercare le radici di quella rap-presentazione delle dottrine fisiche leucippee e democritee in una certaprospettiva teorica (il vuoto come un altro dall'essere, l'atomo come unminimo fisico assolutamente indivisibile) legata alla problematica dell'elea-tismo. In questa ottica va rivista anche la trattazione aristotelica della na-scita dell'atomismo di Leucippo come correzione di teorie eleatiche, ma su

128 Furley 1967, cap. VII.129 Per il presunto corpuscolarismo di Empedocle, cf. Gemelli Marciano 1991a.130 V. infra, I 2. Eraclide Pontico aveva scritto ben due opere su Democrito. Heraclid. Fr. 22

Wehrli (Diog. Laert. 5,86) Pro;" Dhmovkriton. Pro;" to;n Dhmovkriton ejxhghvsei" a v.

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presupposti eleatici e la presentazione della dottrina dell'atomo come ri-sposta alle aporie zenoniane. D'altra parte Aristotele e Teofrasto forni-scono parallelamente anche un quadro dell'atomismo diverso dal prece-dente, legato soprattutto a considerazioni eminentemente fisiche che sem-bra talvolta entrare in collisione con l'altra rappresentazione. Si tratta inrealtà di contesti diversi in cui prevalgono interessi storico-descrittivi suquelli argomentativi maggiormente sottoposti al condizionamento dell'ap-parato concettuale corrente e dei fini stessi della dimostrazione.

L'immagine bifronte dell'atomismo antico si estende comunque attra-verso la mediazione della dossografia e della tradizione di scuola per tuttal'antichità rendendo difficile qualsiasi tentativo di interpretazione. Accantoad un atomo di Leucippo e Democrito solido e compatto come quelloepicureo (la rappresentazione nettamente prevalente), emerge qua e là unminimo fisico indivisibile per la piccolezza e privo di parti contrapposto aquello solido di Epicuro. Come sia stata mediata questa immagine, che neitesti aristotelici si intravvede solo raramente in un sottofondo di allusioni,rimane un problema. Si può stabilire invece, attraverso l'esame delle ca-ratteristiche strutturali dei testi che presentano questa interpretazione del-l'atomo, l'identità dei mediatori di questa visione "diafonica" dell'atomi-smo. Jaap Mansfeld ha mostrato, per quanto riguarda la dossografiasull'anima, che il tratto specifico della diaphonia, presente in alcuni testirimanda all'Accademia scettica131. Lo stesso si può dire per i passi in cuil'atomo indivisibile per la piccolezza e privo di parti di Leucippo (più ra-ramente di Democrito), viene opposto a quello solido epicureo: è l'Acca-demia scettica ad aver discusso e formulato in maniera dialettica la pro-blematica dell'atomismo e ad aver propagato anche l'immagine bifrontedel rapporto fra le dottrine di Epicuro e quelle degli atomisti antichi sot-tolineandone, a seconda del contesto, la sostanziale uguaglianza o l'apertodissenso. Questo procedimento, che ha disorientato gli esegeti moderni,era tuttavia funzionale al metodo dialettico confutativo con cui l'Accade-mia scettica affrontava le dottrine dei cosiddetti dogmatici. Nel momentoin cui si voleva mettere in rilievo la scarsa originalità di Epicuro, se nesottolineava la servile dipendenza da Democrito, quando invece si volevadimostrare che Epicuro aveva fatto peggio dei predecessori o che gli ato-misti si contraddicevano l'un l'altro, si applicava lo schema della diaphonia.Alcuni degli excursus delle fonti antiche impostati soprattutto su una criticaall'atomismo in genere hanno come modelli queste confutazioni. Ciò nonimpedisce ovviamente che, per altri aspetti della dottrina atomista, autoricome Cicerone e Plutarco abbiano potuto servirsi anche di altre fonti. Gliautori cristiani, spesso tralasciati e considerati di scarso rilievo negli studi

131 Mansfeld 1989a, 338-342; cf. anche 1990a, 3056-3229.

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sull'atomismo, si sono abbondantemente serviti, ovviamente attraversomediazioni, della rappresentazione critica elaborata nell'Accademia scet-tica. Per quanto arbitrarie e personali possano sembrare certe loro argo-mentazioni, non si tratta affatto di critiche sviluppate individualmente, madi motivi dialettici risalenti all'uso dell'Accademia scettica di confutare ledottrine dogmatiche mettendone in luce non solo la discordanza con altre,ma anche le contraddizioni interne. Quest'uso si integrava perfettamentecon il fine degli scrittori ecclesiastici: l'annientamento della tradizione cul-turale pagana. Dimostrando come quelli che i "gentili" stimavano filosofifossero una accolita sempre in disaccordo fra di loro e sostenessero delletesi apertamente contradditorie, essi minavano alle basi la credibilità dellacultura e dei valori pagani132. Gli autori cristiani si dimostrano dunqueestremamente utili per chiarire certe oscurità di resoconti dossograficifacenti capo in definitiva alla stessa tradizione.

Una attenzione particolare è stata dedicata nel presente lavoro ancheai commentatori aristotelici la cui utilizzazione ha portato ad interpreta-zioni assolutamente discordanti. Essi sono stati spesso assunti come te-stimonianze valide a tutti gli effetti per ricostruire una dottrina atomistaoriginaria, nonostante sia comunemente ammesso che nessuno di loroaveva accesso diretto alle opere degli atomisti133. Se è vero che Simplicioconosceva di prima mano l'opera di Aristotele su Democrito, di cui riportal'unico frammento esistente, e le doxai di Teofrasto dalle quali verosimil-mente attinge per il resoconto su Leucippo e Democrito, non è comunqueassolutamente scontato che se ne serva ogniqualvolta tratta dell'atomismo.I commentatori, quando devono commentare uno specifico passo aristo-telico, seguono spesso esegeti a loro vicini o si rifanno alla dossografia o atradizioni più antiche, ma non ai testi originali. Lo stesso Simplicio, l'unicoche conosce gran parte degli originali di prima mano, li cita solo in casiparticolari, quando cioè è in disaccordo con qualcuno dei suoi predeces-sori sull'interpretazione di un determinato passo. Per quel che riguarda letestimonianze di questi esegeti sull'atomismo antico, il panorama è com-plesso e sconsolante: a fronte dell'ortodossia peripatetica e aristotelicatalvolta integrata con la tradizione epicurea di Alessandro, sta la volubilità

132 Questo assunto, fondamentale delle opere di Eusebio e Teodoreto, giustifica la dovizia diinformazioni sulle opinioni dei filosofi greci da loro offerta. Cf. Diels 1879, 47. Sull'usodella diaphonia presso gli autori cristiani finalizzato alla confutazione delle dottrine pagane,cf. Riedweg 1994, VI 3 con abbondante esemplificazione.

133 Ancora negli studi più recenti (cf. e.g. Löbl 1976, 1987, Nicolau 1994, Makin 1993, 49-53)si continua sorprendentemente ad utilizzare ad esempio il Filopono nel quale non c'è laminima traccia di contatto diretto coi testi non solo degli atomisti, ma neppure degli altripresocratici più citati come Empedocle. Sullo scarso valore delle testimonianze del Filo-pono in relazione all'indivisibilità dell'atomo, cf. anche Bodnár 1998. Simplicio poi conti-nua a fare testo, cf. Makin 1993, Lewis 1998, Hasper 2002.

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dei commentatori neoplatonici che, senza alcun problema, offrono esegesiopposte in contesti diversi. Questo è tuttavia perfettamente comprensibilealla luce della tradizione dei commenti neoplatonici ad Aristotele: talvoltainfatti i commentatori si rifanno ad Alessandro o a qualche altro peripate-tico, talaltra utilizzano i testi dei loro predecessori neoplatonici quali Porfi-rio e Giamblico creando nei moderni quell'impressione di "schizofreniaesegetica" da cui scaturiscono rappresentazioni totalmente discordantidell'atomismo antico.

Qualcuno potrebbe obiettare che queste considerazioni rischiano dioffuscare l'immagine di Simplicio togliendogli ogni "originalità" e facen-done un semplice compilatore, ma anche la difesa dell'"originalità" degliautori antichi è in gran parte un bisogno derivato dai nostri pre-supposticulturali. Oggi, essere "originali" significa distanziarsi dalla tradizione, direqualcosa che nessuno ha mai detto. Per i commentatori neoplatonici diAristotele, e non solo per loro, invece, la continuità con la tradizione, chesignifica anche ripresa più o meno letterale di brani dei predecessori, èfondamentale. Essi possono "aggiungere" qualcosa a quanto già detto oanche talvolta esprimere posizioni differenti, ma il grosso del loro com-mento è basato sugli insegnamenti dei "maestri"134 e sull'interpretazioneche costoro hanno dato dei singoli passi. Su questo punto è illuminante unarticolo di John Dillon che illustra in modo esemplare il tema dei "debiti"dei commentatori neoplatonici soprattutto nei confronti di Giamblico.Cercando di raccogliere i frammenti del perduto commento alle Categoriearistoteliche di quest'ultimo, Dillon afferma di essere arrivato a questaconclusione

that there is really no pressing need to collect the fragments of Iamblichus' lostcommentary on the Categories because after all it is not really lost; it is virtually allstill there, embedded in the amber of Simplicius135.

Prescindendo dunque da giudizi di valore e tenendo conto di questa pecu-liarità metodologica dei commentatori neoplatonici di Aristotele, si puòaffermare che le loro testimonianze sugli atomisti antichi vanno esaminatealla luce dei singoli contesti. Il risultato, come si vedrà, non è entusia-smante: i testi dei commentatori, fuori dalle citazioni dirette da Aristoteleo Teofrasto, sono inutilizzabili per la ricostruzione delle dottrine atomisti-

134 Cf. e.g. le dichiarazioni Simplicio nel suo commento alle Categorie (Prooem. 3,4 ejgw; ga;rejnevtucon me;n kaiv tisi tw'n eijrhmevnwn suggravmmasin, ejpimelevsteron de; wJ" oi|ov" te h\n toi'"Iamblivcou parakolouqw'n ajpegrayavmhn, kai; aujth'i pollacou' th'i levxei tou' filosovfoucrhsavmeno"), su cui ha attirato l'attenzione Dillon 1998, 175. Simplicio continua affer-mando che il suo scopo è quello di riassumere le opere dei suoi predecessori per comuni-carne il contenuto anche a coloro che non sono in grado di leggerle per esteso. Sul metododi Simplicio, cf. anche Hadot 1987 e 2002.

135 Dillon 1998, 176.

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che originali. La delusione per l'esito è comunque compensata dalla con-statazione che uno dei principali motivi di confusione e di infiniti dibattitiè completamente privo di consistenza.

5. Osservazioni metodologiche

Dato che alcuni problemi e concetti più generali concernenti la trasmis-sione e l'interpretazione delle dottrine degli antichi e altri riguardanti piùspecificamente l'atomismo sono stati e sono tuttora oggetto di discussionee ridefinizione, ritengo opportuno fare alcune precisazioni sull'approccio ela terminologia adottata nel presente studio.

Un punto fondamentale da chiarire poiché spesso, soprattutto in que-sti ultimi anni, ha costituito un nodo cruciale e dibattuto nell'ambito del-l'interpretazione dei presocratici e sul quale a mio parere vige attualmenteuna certa confusione è la legittimità di un certo approccio "filosofico", inparticolare analitico, a questi autori. E' un problema antico che risale so-prattutto ad Aristotele al quale più o meno consciamente si richiamanotutti i difensori della tesi secondo cui i presocratici sono "filosofi" e cometali vanno interpretati. Rimane tuttavia da definire se essi debbano consi-derarsi "filosofi" nel senso moderno, cioè personaggi dediti alla discus-sione speculativa e lontani dalle "cure" pratiche e se debbano quindi rien-trare a questo punto in una storia della filosofia che si ostina a consideraretale solo la discussione di questioni teoriche, o se invece si tratti di sapientiradicati nel loro contesto culturale che li influenza e che essi stessi influen-zano attivamente e dunque siano "filosofi" nel senso etimologico di"amanti della sofiva" con tutte le connotazioni pratiche che questo ter-mine comporta. E' questo infatti il nodo cruciale passato sotto silenzionell'approccio esclusivamente filosofico. Si deve dunque essere ben conscidel fatto che i loro testi sono stati, da Aristotele in poi, estrapolati a pia-cere dal loro contesto culturale e continuamente riusati e manipolati ai finidella discussione dialettica o della dimostrazione di determinate teorie odella ricostruzione di un albero genealogico delle scuole filosofiche senzaalcuna considerazione per la loro diversità intrinseca e per il loro contestospecifico. Essi sono stati per così dire "travolti dalla filosofia" e da testiestremamente diversi fra loro per origine, scopi e destinazione pratica,sono diventati appunto esercizi speculativi di personaggi che, come mo-derni accademici, discutono fra loro più o meno a distanza di questioniteoriche. Se questa immagine può attagliarsi alle scuole filosofiche elleni-stiche (ma anche qui ci sarebbero da fare dei distinguo), è assolutamentepriva di fondamento per i presocratici, ma viene continuamente ripropostanell'approccio filosofico analitico che può così prescindere dall'analisi

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globale delle fonti e della tradizione indiretta, dall'esame di una più vastagamma di testimonianze di diverso genere fuori dell'ambito strettamentefilosofico, dal tentativo di ancorare i frammenti e le testimonianze ad uncontesto storico. La giustificazione generalmente fornita per questo tipo diinterpretazione è che in ogni caso non si può arrivare ad una ricostruzioneesatta del pensiero di questi autori e che dunque è legittimo spiegarli conconcetti a noi familiari per poterli comprendere (la cosiddetta "rationalreconstruction"136), ma su questo punto valgono le osservazioni fatteall'inizio di questo capitolo. Questo tipo di approccio alla cultura antica, senell'immediato sembra produttivo e gratificante, a lungo termine non puòche portare alla cancellazione di ogni traccia delle dottrine originali. L'in-terpretazione moderna di Democrito, condotta su questa linea, ha con-dotto non solo a durissimi giudizi etici e filosofici e a successivi tentativialtrettanto anacronistici di "salvataggio"137, ma anche al rigetto e all'emargi-nazione sistematica di aspetti importanti della sua opera quali quello "tec-nico", un fatto che si è ripercosso anche sull'interpretazione della dottrinadell'atomo. In questo lavoro ho quindi cercato, con tutti i limiti e le possi-bilità di errore connaturati ad una ricerca a vasto raggio su un campo dis-seminato di rovine, di affrontare l'analisi delle fonti antiche sull'indivisibi-lità dell'atomo e di contestualizzarle ogni volta nell'ambito da cui esseprovengono.

Per tutto quanto ho ora esposto e nonostante ormai sia divenuto untopos nella Sekundärliteratur sugli atomisti precisare tutte le possibili sfu-mature del termine indivisibilità, ho deciso deliberatamente di tralasciarequesto tema non solo perché altri lo hanno già fatto138, ma soprattuttoperché, in relazione all'atomismo antico, si tratta, a mio avviso, di distin-zioni prive di qualsiasi fondamento storico139. Rimando per questo allalettura del capitolo conclusivo in cui ho cercato brevemente di contestua-lizzare le dottrine degli atomisti nell'atmosfera culturale del V sec. a.C.sottolineandone in particolare il rapporto con la medicina e rivalutandoanche aspetti stilistici e testimonianze generalmente trascurate. In questocontesto le speculazioni moderne sull'indivisibilità dell'atomo risultano

136 Cf. Makin 1998 e Rorty 1984.137 Makin 1993, 15 giustifica il suo uso di "analytic techniques" lontane dalla realtà storica dei

presocratici con il già citato principio della "charity", ma aggiunge che tuttavia i risultati diquesto procedimento non devono essere necessariamente "ahistorical". Egli però intendeper "storico" una "Entwicklungsgeschichte des Geistes" alla maniera zelleriana e si limita aconsiderare come "evidenza storica" la testimonianza o il frammento in sé e per sé senzaalcuna correlazione con un contesto storico-culturale.

138 Cf. la discussione del termine in Barnes 1982, 50ss.; Lewis 1998, 6ss.; Makin 1979, 1993,cap. III; Taylor 1999, 164-171.

139 Cf. anche Sorabji 1983, 354-357; Held 1998, 27.

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estremamente lontane da una visione del mondo sostanzialmente ancorataalla realtà socio-politica, ai fenomeni, ai corpi.

Un'altra precisazione va fatta riguardo all'impiego dei termini "dosso-grafia" e "dossografico". Diels, che li ha coniati, si riferiva esclusivamentealle raccolte di doxai facenti capo al cosiddetto Aezio e risalenti nel loronucleo originario alle Fusikai; dovxai di Teofrasto. Col tempo questi ter-mini hanno assunto una connotazione più ampia con evidenti degenera-zioni140. Mansfeld141 e Runia mettono in guardia dall'uso improprio di que-sto termine estendendo la restrizione anche a quei testi contenenti sì passi"dossografici", ma tali solo nella forma, non negli scopi. In un discorsosulla trasmissione di dottrine specifiche rimane comunque, al di là delledistinzioni concettuali, il problema di rendere questi passi immediata-mente riconoscibili. Ed è per questo che, in maniera pur imprecisa, ma peruna questione di comodità, ho usato talvolta il termine "dossografico"anche quei resoconti caratterizzati da uno stile dossografico come certibrani di Cicerone, Plutarco e Sesto Empirico142. Un ulteriore problema didenominazione si presenta in relazione ad un altro tipo di testimonianze.Ci sono infatti buone ragioni per credere che, accanto ad una trasmissionecompendiaria (la dossografia cioè in senso stretto), ci fosse, per lo menoin alcune scuole filosofiche, la consuetudine di utilizzare repertori di cita-zioni letterali su temi particolari. Questa tendenza è particolarmente evi-dente nella trasmissione di citazioni sul tema della gnoseologia nella tradi-zione scettica. Le stesse citazioni o gli stessi gruppi di citazioni letteralidagli stessi autori si ripetono regolarmente nelle fonti riconducibili a que-sto filone e riportabili in alcuni casi sicuramente al capostipite dell'Acca-demia scettica, Arcesilao143. Tali "repertori" non appartengono al genere"dossografico" in senso stretto, ma presentano similitudini nella forma (inquanto riportano, sebbene in forma letterale, dovxai su argomenti specifici)e negli obiettivi (in quanto forniscono una panoramica generale delle opi-nioni su determinati problemi). Gli studi moderni hanno inoltre eviden-ziato l'importanza di rudimentali raccolte di opinioni, organizzate intornoa temi-chiave quali il numero dei principi, circolanti in ambito sofistico giàprima di Platone144 e di cui quest'ultimo e Aristotele, si sono servitiampliandoli e adattandoli ai loro scopi145. Mi sembra dunque che l'usoristretto della denominazione "dossografia" e "dossografico", invece di

140 Cf. un excursus sugli usi moderni impropri del termine in Runia 1999, 33s.141 Mansfeld 1999, 19.142 Cui, secondo Mansfeld 1999, 19 e Runia 1999, 52 non si dovrebbe applicare questa "eti-

chetta".143 Nel caso specifico di Democrito, cf. Gemelli Marciano 1998.144 V. infra, III 2. 2. 1.145 Cf. von Kienle 1961, Cambiano 1986, Mansfeld 1986 [1990b, 22-83].

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semplificare, complichi inutilmente il problema terminologico. Se ci puòessere accordo sul fatto che la dossografia come genere specifico è quellateofrasteo-aeziana, è tuttavia anche innegabile che certi brani di stile dos-sografico, con relative interpretazioni, nella letteratura filosofica o scienti-fica fanno parte a pieno titolo di una trasmissione di doxai all'interno diuna tradizione e non sono semplici rimaneggiamenti dell'autore stesso dimateriale direttamente tratto da manuali come quello di Aezio146. Per que-sti motivi ho usato la denominazione resoconto dossografico in manieratalvolta informale e in una accezione più vasta rispetto all'uso originaledielsiano e a quello raccomandato da Mansfeld e Runia. Ho consideratoresoconti dossografici in senso lato anche dei brani di Aristotele, sia isolatisia inseriti in contesti argomentativi, caratterizzati da uno stile "dossogra-fico" vale a dire da una esposizione schematica, basata su concetti-chiave(ad es. numero dei principi, carattere dei principi) nella quale prevalgonointeressi descrittivi. In pratica quegli appunti che Aristotele stendeva peravere davanti a sé un panorama riassuntivo globale delle opinioni dei pre-decessori su un determinato problema e dai quali attingeva di volta involta a seconda delle proprie esigenze147. Che Aristotele disponesse, anchenel caso di Democrito, di appunti di questo genere, lo si può dedurre dalparallelismo di diversi passi descrittivi riguardanti le dottrine atomiste148.

Nella tradizione tarda si fa poi strada anche una maniera diversa diutilizzare i dati dossografici. Spesso infatti le informazioni sono organiz-zate secondo schemi antilogici, vale a dire come doxai contrapposte tese adimostrare l'inconsistenza di tutte le opinioni dogmatiche. Si tratta delmetodo utilizzato nell'Accademia scettica e nel neopirronismo di cui sitrovano esempi numerosi in Cicerone e Sesto Empirico, ma anche negliautori cristiani. In questo caso le doxai vengono usate in un contesto parti-colare, talvolta organizzato in forma di dialogo, che implica, spesso inmaniera non facilmente distinguibile, interventi critici. In questi casi, lesingole opinioni degli antichi trascinano con sé anche il bagaglio critico e iltutto diventa "repertorio" manualistico.

Ho impiegato con parsimonia anche il termine "fonte" nella sua acce-zione tradizionale di testo identificabile con una certa sicurezza e ricopiatoin maniera più o meno fedele da un determinato autore. Ho fatto invece

146 Sulla necessità pratica dell'uso più ampio della denominazione di "dossografia", cf. Van derEijk 1999, 21s.

147 Sulla necessità di redigere tali appunti subordinatamente alla trattazione dei singoli pro-blemi, cf. Top. 105b 12 e Mansfeld 1992b, 332.

148 Cf. in particolare le concordanze fra Arist. Fr. 208 Rose e De gen. et corr. A 8, infra, III 4. 3.

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più spesso riferimento ad una "tradizione"149. Questo perché, nellamaggioranza dei casi, i resoconti postteofrastei, generali o particolari, sulladottrina dell'atomo risalgono a schemi correnti nelle diverse scuole filoso-fiche ellenistiche e tardo-ellenistiche, talché è impresa disperata stabilirecon precisione la "fonte". Si può invece, con un margine inferiore di arbi-trarietà, parlare di "tradizione" intendendo con questo termine le tendenzeinterpretative delle teorie democritee tipiche di singole scuole filosofiche odi una specifica letteratura tecnica. In questo tipo di trasmissione rimaneaperto e fluttuante, spesso entro limiti non ben definibili, il gioco di inter-scambio fra trasmissione orale e fissazione scritta di una determinata in-terpretazione. Questo vale ad esempio per l'immagine di un Democritoscettico cui è collegato un gruppo specifico di sentenze irradiate dallelezioni di Arcesilao150, ma confluite poi nelle trattazioni di scuola da cuiattinge ad esempio Cicerone. Soprattutto risulta difficile stabilire delleprecise distinzioni fra trasmissione orale e scritta nell'ambito, peraltroimportante e indicativo, della critica sviluppata contro una determinatadoxa. Qui repertori argomentativi tramandatisi oralmente nell'esercizioscolastico hanno avuto probabilmente la stessa efficacia e la stessa persi-stenza di critiche fissate per iscritto. In questo caso, più importante delladeterminazione della precisa provenienza della critica e della doxa che l'hagenerata, è l'individuazione della tendenza interpretativa da questa veico-lata e, in termini più generali, la possibilità di risalire per lo meno ad unascuola filosofica o ad una tradizione di altra provenienza. E' soprattuttol'elemento di continuità nell'esegesi dei testi e degli autori antichi all'in-terno delle scuole filosofiche e delle altre tradizioni a costituire il filo con-duttore dell'interpretazione dei dati. Nel caso particolare delle testimo-nianze sui fondamenti dell'atomismo antico, anche le rigide differenzia-zioni fra citazione letterale, parafrasi, reminiscenza perdono facilmente illoro valore funzionale. Si può comunque osservare che testi fondamentalirimangono delle parafrasi quali quelle di Aristotele e di Teofrasto che,nonostante i rimaneggiamenti, attingono direttamente agli originali.Paradossalmente spesso le scarse citazioni letterali, quali quelle di SestoEmpirico, Diogene Laerzio, Galeno ed altri, provengono da excerptaconservatisi in una determinata tradizione di scuola o tramandatisi attra-verso raccolte e, più che chiarificare, creano ulteriori complicazioni e pos-sibilità di fraintendimento. La maggior parte del materiale è però costituitoda resoconti di seconda o di terza mano importanti per determinare il

149 Cf. Mansfeld 1999, 29 il quale utilizza, per l'interpretazione data dai singoli autori all'in-terno di una tradizione, il termine "ricezione". Per la discussione sui termini "fonte" e "tra-dizione" in relazione a Plotino, cf. Harder 1957.

150 Se Arcesilao abbia posto per iscritto delle opere filosofiche, risulta ancora poco chiaro dalletestimonianze, cf. Görler 1994, 786s.

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filone che li ha trasmessi, ma non fondamentali per risalire ad un nucleodottrinario originale.

Il presente lavoro è dedicato, per ragioni di economia e di unitarietà,unicamente all'esame dei fondamenti e dell'origine della dottrina atomistae tralascia volutamente un altro aspetto importante quale il tema dellaconoscenza. Questo non solo investe una problematica che si allarga atutta la cultura del V sec. a.C., ma assume un suo carattere specifico ancheper ciò che concerne l'esame delle fonti e necessiterebbe di una trattazioneparticolare. A questo aspetto ho dedicato comunque un piccolo spazio nelcapitolo conclusivo esaminando il cosiddetto "scetticismo" democriteo daun'altra ottica, quella cioè delle strategie comunicative comuni anche aimedici ippocratici.

Ho tralasciato altresì il problema specifico della matematica democri-tea la cui discussione si basa soprattutto su testi generici o di difficile in-terpretazione151, dai quali poco di sicuro si può ricavare, o sui titoli delleopere che presentano tutti i problemi dovuti alla catalogazione e alla tito-lazione tarda e la cui lezione è talvolta controversa. Il problema rientra, amio avviso, nella questione generale della definizione della matematica delV sec. a.C. il cui carattere di astrattezza e di sistematicità "scientifica" insenso moderno non è assolutamente dimostrato. Del resto, se anche De-mocrito fosse stato un buon matematico, ciò non deve necessariamenteaver influito sulla dottrina fisica; Senocrate, sostenitore delle linee indivisi-bili, pur conoscendo gli assunti della matematica, ha ugualmente formu-lato un'ipotesi considerata contraria a queste leggi. In secondo luogo ilproblema del carattere matematico della dottrina democritea si pone soloper chi parta dal presupposto che egli abbia veramente impostato la suateoria riflettendo sul problema astratto della divisibilità, presupposto benlungi dall'essere sicuro in quanto dipende in gran parte dall'interpretazionedel passo aristotelico di De gen. et corr. A 2 già citato precedentemente.

Questo lavoro affronta anche problematiche relative all'atomismo ac-cademico, ma non può costituire uno studio specifico su di esso. Per que-sta ragione, pur tenendo conto delle diverse tendenze interpretative, le hodiscusse dettagliatamente solo riguardo ai punti più direttamente significa-tivi per le relazioni con l'atomismo antico, per il resto ho rimandato aglistudi specialistici. Per lo stesso motivo, ho lasciato ai margini la vexataquaestio dell'attribuzione della dottrina delle linee indivisibili anche a Pla-tone e in generale il problema della ungeschriebene Lehre e ho preferito se-guire la tendenza esplicita delle fonti antiche che attribuisce sicuramente aSenocrate la discussione delle aporie di Zenone e le linee indivisibili. In

151 Cf. Plut. De comm. not. 1079 E (68 B 155 DK; 126 L.); Archim. Mech. II,428,26 Heiberg (68B 155 DK app.; 125 L.).

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effetti, l'unico brano in cui sia menzionata esplicitamente una posizionecritica dell'Accademia nei confronti degli atomisti152, sembra piuttosto daricondursi a Senocrate che a Platone.

Un particolare ruolo di chiarificazione dei presupposti e delle meto-dologie dell'atomismo acquistano nell'ambito del presente studio i con-fronti con i testi ippocratici. Nonostante la datazione controversa, se-condo le edizioni recenti di alcuni trattati, sembra ormai assodato che i piùantichi si situino fra la seconda metà del V e la prima metà del IV sec. a.C.e sono quindi grosso modo contemporanei a Democrito. Il principio se-condo cui ho utilizzato questi testi è tuttavia in certo modo indipendentedal problema cronologico in senso stretto. Non mi sono infatti, se non inun caso specifico, soffermata su presunti echi più o meno diretti di dot-trine democritee nel corpus secondo una metodologia invalsa fra gli storicidella filosofia, quanto piuttosto sul confronto neutro di tematiche e me-todi, non necessariamente correlati, ma scaturenti da un fondo di cultura edi esperienza comuni.

A differenza di quanto è stato fatto in molti studi sull'atomismo an-tico, ho utilizzato solo marginalmente, e in casi specifici, finalizzati ad unainterpretazione delle fonti antiche, i testi epicurei e lucreziani nei quali èsempre difficile stabilire i confini fra il riproduttivo e l'esegetico. Perquanto riguarda in particolare l'interpretazione di Epicuro dell'atomismoantico, ho cercato soprattutto di individuare una via alternativa: ho infatticollegato la rivalutazione da parte di Epicuro delle dottrine democriteeall'interazione fra le critiche accademiche a quelle teorie da una parte, e lasistematica utilizzazione in funzione antiaccademica da parte di Aristoteledall'altra, e non alle critiche aristoteliche all'atomismo antico come vuole latradizione dall'antichità ad oggi. La trattazione di Epicuro sotto questoaspetto non vuole essere un'analisi esauriente né una presa di posizionedefinitiva, ma uno spunto funzionale alla ricostruzione della trasmissionedell'atomismo antico, e come tale va valutata.

Per quanto riguarda l'ambito della dossografia in senso stretto, ho te-nuto conto dell'interrogativo che oggi, sempre più frequentemente si ponesulla validità oggettiva delle classificazioni dielsiane153. Se nessunomisconosce il grande valore dei Doxographi graeci del Diels, molti sonodell'avviso che comunque vadano rivisti i presupposti che hanno guidatole sue ricostruzioni in particolare quella del cosiddetto Aezio attraverso ilconfronto fra i testi dello Pseudo-Plutarco e di Stobeo. Tali testi spessocoincidono perfettamente, ma talvolta sono anche piuttosto diversi so-

152 Sext. Emp. Adv. Math. 10,248ss., v. infra, II 4.153 Cf. Kingsley 1994, 235 n. 3; Mansfeld-Runia 1997.

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prattutto nell'ordinamento delle voci154 e nell'espressione stessa di determi-nate doxai. Diels ha spesso uniformato intervenendo sull'uno o sull'altrotesto ed eliminando così delle differenze che hanno ragione di esistere nonsolo per la distanza cronologica fra un testo e l'altro, ma anche per la lorodiversità strutturale. Nel presente lavoro ho fatto riferimento separata-mente ai due testi rilevandone l'identità, ma indicandone anche all'occa-sione, le differenze funzionali. Allo stesso modo ho citato separatamente iltesto di Teodoreto che nei Doxographi graeci compare sempre in nota e insubordine ai due autori precedenti. Per lo Pseudo-Plutarco ho riportato levarianti della versione eusebiana solo nel caso in cui questo era necessarioal chiarimento testuale, per il resto ho seguito la lettura fornita da Dielsindicando le eventuali deviazioni. Ho fatto talvolta ricorso, ma solo limi-tatamente, anche alla versione araba dello Pseudo-Plutarco nella tradu-zione tedesca di Daiber 1980. I frammenti e le testimonianze sono staticitati secondo le edizioni di Diels-Kranz 1952 (DK) e Lur'e 1970 (L.).Laddove compaia solo l'indicazione di quest'ultima edizione, significa chela testimonianza manca nell'altra.

154 Nello Stobeo, come lo stesso Diels 1879, 56 osservava, il carattere antologico richiede unastrutturazione completamente diversa. Cf. Mansfeld-Runia 1997, cap. IV.

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Capitolo primo

Platone e Democrito

1. Considerazioni generali

L'interrogativo sulla presenza di Democrito nell'Accademia si pone pressole fonti più antiche nella forma del rapporto Platone/ Democrito. Cono-sceva Platone Democrito e, se sì, perché non lo ha mai nominato? Platoneè, in generale, piuttosto parco di riferimenti diretti ad autori specifici e inquesto segue una prassi già consolidata negli autori del V sec. a.C.1 Inoltre,frequentemente, critica un'idea diffusa sotto la quale raggruppa più autoriperché, in un contesto dialettico, sono più importanti le idee che le per-sone2.

Quello di Democrito (o Leucippo), tuttavia, sarebbe per Platonestesso un caso estremo. Egli infatti nomina Eraclito, Empedocle, Anassa-gora, Parmenide, Zenone, Melisso, i Sofisti, ma non Democrito. Platone,comunque, non menziona mai neppure Diogene di Apollonia che, se-condo gli interpreti moderni, avrebbe goduto di una grande fama adAtene tanto da essere addirittura il bersaglio delle allusioni di Aristofanenelle Nuvole3. Ora, nessuno degli antichi, si è mai chiesto perché Platonenon nomini mai Diogene4. Il fatto quindi che il quesito nelle fonti antichesia stato posto solo in relazione a Democrito, che Aristotele contrapponespesso a Platone e agli Accademici, è un indizio per scoprire l'ambiente in

1 Erodoto, ad esempio, fa riferimento esplicito all'opera di Ecateo solo due volte (2,143;6,137), pur alludendo spesso polemicamente a lui. Diogene di Apollonia menzionava gene-ricamente dei Sophistai. Gli autori ippocratici sono anch'essi estremamente vaghi sull'iden-tità dei loro avversari e solo raramente fanno dei nomi.

2 Cf. Cambiano1986, 69ss. Su questo procedimento dialettico, v. infra, III 2. 2. 1.3 Questa opinione corrente va comunque ridimensionata in quanto le allusioni di Aristofane

potrebbero riguardare un'ampia gamma di personaggi che sostenevano teorie simili a quelledi Diogene, cf. Orelli 1996, 94-109.

4 Fra i moderni solo Steckel 1970, 194s. rileva questo fatto.

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cui esso si è originato. Un interrogativo che suona come una chiara pole-mica nei confronti di Platone si adatta perfettamente all'atmosfera delprimo Peripato e in particolare alla vena antiplatonica che ne attraversa lastoriografia. In questa prospettiva si inquadra il resoconto di DiogeneLaerzio (9,40) risalente nel suo complesso ad Aristosseno: Platone nonnomina l'Abderita, in quanto era cosciente di non poter competere colmigliore dei filosofi5. Sul resoconto di Aristosseno tornerò comunquediffusamente in seguito. Per ora mi limito a segnalare che il problema delsilenzio di Platone era già stato sollevato nell'antichità e che si è di volta involta riproposto fino ai giorni nostri.

Fra i moderni, Gigon (1972) ha avanzato l'ipotesi che Platone nonparli di Democrito in quanto Socrate, il protagonista dei suoi dialoghi, nonlo conosceva. Tuttavia le opere nelle quali si sono ravvisate allusioni allafisica democritea, sono, oltre al Cratilo e al Teeteto, anche il Sofista e il Timeodove il protagonista non è più Socrate. Secondo un articolo della Ham-mer-Jensen divenuto famoso, il Timeo rivelerebbe una recente acquisizioneda parte di Platone di teorie che Aristotele attribuisce anche agli atomisti,ma si distinguerebbe soprattutto per una valutazione diversa delle con-cause rispetto al Fedone. Nel Timeo Platone avrebbe accettato anche unaspiegazione meccanicistica della formazione del mondo legata all'ananke,pur subordinandola alla causa finale; il mondo si svilupperebbe infattiinizialmente in modo del tutto meccanico senza l'intervento del dio6. Aparte le difficoltà di interpretazione della cosmogonia del Timeo (che dagliallievi di Platone in poi è sempre risultata enigmatica), c'è tuttavia da os-servare che la cosiddetta concausa non è rigettata neppure nel Fedone dove(99a), come nel Timeo (46d), si afferma che essa può essere consideratasolo "ciò senza il quale", cioè una condizione necessaria, ma non una veracausa. Sulla scia della Hammer-Jensen molti hanno ipotizzato che nelTimeo Platone non solo abbia preso le mosse dall'atomismo di Democrito,ma vi alluda criticamente7. Secondo Eva Sachs8 la critica alla dottrina deiquattro elementi in Ti. 48b-c sarebbe rivolta espressamente contro Demo-crito. Siccome in realtà la dottrina atomista diverge notevolmente daquella criticata da Platone, la Sachs era necessariamente costretta, per sal-vare l'ipotesi, ad attribuire forzatamente agli atomisti una dottrina deiquattro elementi mutuata da Empedocle e inserita come un corpo estraneoin quella atomista. Tutto questo sarebbe deducibile:

5 Su questo punto, v. infra, § 2.6 Hammer-Jensen 1910, 96-105.7 Cf. e.g. Guthrie II, 1965, 462, 502; Stückelberger 1990, 2562.8 Sachs 1917, 193-221.

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Platone e Democrito44

1. Dalla cosmogonia di Pseudo-Plutarco9 riportata dal Diels come leu-cippea, ma in realtà anonima, dove, secondo la Sachs, gli atomi giochereb-bero un ruolo limitato rispetto agli elementi veri e propri.

2. Dalla cosmogonia-zoogonia riportata da Diodoro10 nella quale gliatomi non compaiono affatto.

Al tempo in cui scriveva la Sachs si era imposta la visionereinhardtiana11, ormai ampiamente ridimensionata12, secondo cui la cosmo-gonia e la zoogonia diodorea risalirebbero, attraverso Ecateo di Abdera, aDemocrito. Ora, la sicura provenienza democritea del resoconto di Dio-doro non è più accettata da nessuno e il passo di Pseudo-Plutarco è didubbia attribuzione13. In ogni caso, gli atomi, in questa cosmogonia com-paiono e, semmai, è la dossografia tarda che ha mediato il resoconto adesprimere i concetti nella propria terminologia. Un altro punto nella qualela Sachs individuava il riferimento agli atomisti, era l'ironica allusioneall'ajpeiriva di chi aveva ipotizzato l'esistenza di a[peiroi kovsmoi (Ti. 55c),ma la dottrina degli infiniti mondi è attribuita dalla dossografia anche adaltri presocratici14. Dunque nessuno degli ipotetici riferimenti a Democritonel Timeo è sicuro15 perché Platone si mantiene comunque sul generico.

9 1,4, 878 C (67 A 24 DK; 297, 372, 383 L.).10 1,7,1 (68 B 5,1 DK; 515, 572a L.).11 Reinhardt 1912, 492-513.12 Cf. in particolare Spoerri 1959. Uno status quaestionis aggiornato in Utzinger 2003, 155-167.13 Il discorso su questo brano è complesso e comunque esula da questo contesto. Accenno

qui solo ad alcuni problemi fondamentali per l'attribuzione di questa cosmogonia: 1. La di-screpanza con quella di Leucippo in Diog. Laert. 9,30 (67 A 1 DK; 382, 389 L.) secondocui gli astri si formano per afflusso nell'aggregato sferico di atomi provenienti dall'esterno enon per espulsione dei corpuscoli più leggeri dalla massa più pesante all'interno dell'agglo-merato stesso. 2. La preponderanza di elementi epicurei che aveva portato l'Usener ad inse-rire il brano fra le testimonianze su Epicuro (Ep. Fr. 308 Us.). Michele Psello (Theol. 23,87,9 Gautier), in un testo che riassume lo Pseudo-Plutarco, afferma che si tratta di una co-smogonia epicurea, ma aggiunge, in una nota erronea dovuta ad un fraintendimento, cheDemocrito ha seguito in questo Epicuro (Epikouvreio" au{th dovxav ejstin, h|" ta;" ajrca;"diadexavmeno" oJ Dhmovkrito" to; kivbdhlon tw'n spermavtwn ejn toi'" fuomevnoi" ajnevdeixen).Forse Psello ha inventato, come fa spesso, forse aveva davanti una versione dello Pseudo-Plutarco che esordiva con una frase del tipo: Epivkouro" kata;; Dhmovkriton filosofhvsa"(cf. Ps.-Plut. 1,3, 877 D) e ha dunque riferito ad ambedue la cosmogonia, ma ordinandoDemocrito dopo Epicuro. Per una attribuzione ad Epicuro anche Epiph. Adv. haer. 1,8,1,186,12 Holl. Solo Herm. Irris. 12 (67 A 17 DK; 306, 373 L.) riporta questa cosmogonia aLeucippo.

14 Cf. la sezione Peri; kovsmou presso Stob. 1,22,3 (Dox. 327; 12 A 17 DK; 352 L.) che enu-mera insieme a Leucippo e Democrito anche Anassimandro, Anassimene, Senofane, Dio-gene di Apollonia e Archelao. Per Diogene di Apollonia, cf. anche [Plut.] Strom. 12 (64 A 6DK); Diog. Laert. 9,54 (64 A 1 DK). Sulla confutazione della Sachs riguardo a questopunto e ad altri menzionati sopra, cf. Sinnige 1968, 184-187.

15 Per altre possibili allusioni, cf. Morel 2003, 138ss. il quale si mostra tuttavia molto cautosulla loro reale portata.

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Capitolo primo 45

Per quanto riguarda altri dialoghi, Haag16 ha, ad esempio, voluto vedere incerte etimologie del Cratilo e in una certa metodologia di scomposizione edi analisi delle parole, l'influsso di una concezione atomista. Platonel'avrebbe solo riecheggiata, ma non affrontata direttamente in quanto eglisi rivolgeva a dei lettori che non conoscevano i testi democritei, ma soloquelli di Anassagora e di quegli "Eraclitei" che ad Atene andavano per lamaggiore. Singoli accenni come l'accusa contro Anassagora di averutilizzato delle teorie astronomiche antiche, la stessa che Apollodoro attri-buiva a Democrito17, o l'etimologia di gunhv come gonhv (Crat. 414a), che èanche democritea18, sono sì interessanti, ma rimandano probabilmente aopinioni diffuse e non attribuibili specificamente ad un solo autore. Haag,seguito poi da altri19, vedeva un'allusione a Democrito anche nella teoriadei komyovteroi del Teeteto (156a), secondo cui le sensazioni non hannouna loro essenza specifica, ma sono il prodotto temporaneo dell'incontrodi due dunavmei" provenienti rispettivamente dall'oggetto sensibile e dalsoggetto senziente. Haag vedeva una conferma nel fatto che ai sostenitoridi queste tesi viene attribuita una concezione corpuscolarista. Tutto:l'uomo, la pietra e ogni essere vivente, sarebbe costituito da aggregati. Aprescindere dal fatto che le teorie esposte nel passo sembrano avvicinarsimaggiormente a quelle dei cirenaici20, si potrebbe obiettare che, se c'è unaallusione a Democrito nel Teeteto, non è da individuarsi nelle tesi dei kom-yovteroi, bensì in quelle di coloro che considerano sostanze solo i corpi eciò che si può afferrare con le mani21. Tali individui vengono infatti desi-gnati con termini che sembrano ricordare le proprietà degli atomi demo-critei: sklhroi; kai; ajntivtupoi. Richiama ancora le cosmogonie atomisteche fanno nascere il mondo ajpo; taujtomavtou l'affermazione ironica diTeodoro secondo cui i cosiddetti Eraclitei non sono allievi di nessuno,"ma spuntano spontaneamente da dove capita" (180c ajll aujtovmatoiajnafuvontai oJpovqen a]n tuvchi). Tuttavia la caratterizzazione di costorocome "ispirati" e critici gli uni nei confronti degli altri fa pensare piuttostoai dibattiti sofistici e all'immagine degli agoni retorici descritti nell'Encomiodi Elena di Gorgia22 che agli atomisti. L'allusione sembra coinvolgere più

16 Haag 1933.17 Apollod. ap. Diog. Laert. 9,34s. (68 B 5 DK; 159 L.).18 68 B 122a DK; 567 L.19 Haag 1933, 60ss. Su questa linea anche Guthrie V, 1978, 78.20 Cf. Natorp 1884, 24s. n. 1. Zeller, scettico su questo punto dalla prima alla quarta edizione

della sua Philosophie der Griechen, nella quinta edizione del 1892 (I. 2, 1098) accetta anch'egliquesta tesi. Per una storia di questa interpretazione e di quella contraria che invece nega ilriferimento ad Aristippo e ai Cirenaici, cf. Giannantoni 1968, 129-45. Cf. anche Friedlän-der, III, 1975, 144.

21 Theaet. 155e. Si tratta di una tesi sostenuta a suo tempo da Duemmler 1882, 58.22 82 B 11 (13) DK.

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personaggi catalogabili tutti sotto la denominazione generale di Eraclitei.Come nella famosa gigantomachia del Sofista (245e) che sarà esaminata piùdettagliatamente in seguito, anche qui Platone non vuole probabilmentealludere a nessuno in particolare, ma piuttosto a tendenze generali23. Ipassi platonici suggeriscono in ogni caso che, nella cerchia dei cosiddettiEraclitei, e in generale nella fisica di fine V sec. a.C., tesi corpuscolaristeerano molto più diffuse di quanto si pensi. Non è da escludere che anchecoloro che si richiamavano a Cratilo sostenessero dottrine di questo ge-nere: nel Fedro, l'etimologia di i{mero", che riecheggia quelle del Cratilo, èbasata proprio sullo scorrere di particelle dall'oggetto all'occhio e sulla loroazione materiale sull'anima24. Un testo molto indicativo in questo senso èanche il gorgiano Encomio di Elena. Gorgia presenta il logos non come qual-cosa di incorporeo e immateriale, ma come un corpuscolo piccolissimo einvisibile che produce azioni divine25 e provoca una alterazione dell'anima,sia nel bene che nel male, agendo su di essa come una medicina agisce sulcorpo. Anche se la data di composizione dell'Encomio è incerta26 e non sipuò escludere a priori che Gorgia sia stato influenzato dall'opera di Leu-cippo27, è più probabile che abbia egli stesso elaborato indipendentementedottrine corpuscolariste come potrebbero aver fatto anche i seguaci diCratilo. Sulle allusioni del Sofista ai materialisti, mi soffermerò in seguito.Per quanto riguarda poi il passo del decimo libro delle Leggi (889a-890a)che, per alcuni28, costituirebbe una sicura allusione a Democrito, valgonole controosservazioni già elaborate dal Sinnige e da altri29: se è vero che laterminologia della prima parte, la menzione di teorie che fanno nascere il

23 Friedländer III, 1975, 144 sostiene una posizione estrema, secondo cui Platone non solonon vorrebbe alludere a nessuna dottrina specifica, ma si costruirebbe un avversario nonfilosofo con cui è impossibile ogni forma di discussione. Se tuttavia le posizioni descritteda Platone si avvicinano in qualche modo alla tendenza eracliteggiante, è piuttosto impro-babile che egli voglia dirigersi semplicemente contro un "non filosofo". Inoltre risultachiaro da Theaet. 152d che Platone cerca di inglobare sotto la denominazione di Eraclitei ilmaggior numero possibile di predecessori: tutti i sapienti, tranne Parmenide, sarebbero in-fatti d'accordo sul fatto che tutto diviene e nulla è mai. In questa schiera vengono annove-rati non solo Protagora ed Eraclito, ma anche Omero ed Epicarmo.

24 Phaedr. 251c ejkei'qen mevrh ejpiovnta kai; rJevont—a} dia; dh; tau'ta i{mero" kalei'tai.25 82 B 11 (8) DK lovgo" dunavsth" mevga" ejstivn, o}" smikrotavtwi swvmati kai; ajfanestavtwi

qeiovtata e[rga ajpotelei'.26 In ogni caso difficilmente cade dopo il 415 a.C. in quanto le Troiane di Euripide, rappresen-

tate in quell'anno, ne presuppongono la conoscenza.27 Cf. Mazzara 1984, 133.28 Per la bibliografia su questo punto, cf. Ferwerda 1972, 359 n. 1 che accetta l'ipotesi di

un'influenza indiretta delle tesi atomiste su Platone.29 Cf. Sinnige 1968, 199, il commento ad loc. di England 1921 e Tate 1936, 48-54. Anche

Furley 1987, 173 sottolinea la difficoltà di individuare gli atomisti come obiettivo dell'at-tacco platonico. Una pluralità di personaggi fra cui, ma con molte riserve, potrebbe esserecompreso anche Democrito, indica Zeppi, 1989, 209-214.

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mondo fuvsei kai; tuvchi ricorda le definizioni della cosmogonia democri-tea presso Aristotele, la seconda parte (in particolare 889e-890a) alludechiaramente a tesi sofistiche. Inoltre, la dottrina dei quattro elementi, at-tribuita a questi nuovi sapienti, porta ad escludere che Platone pensi agliatomisti. Partendo dunque dai dialoghi platonici non si può evincere al-cuna notizia certa di un suo riferimento diretto a questi ultimi30.

2. Democrito e Platone nella tradizione biografica

Forse più indicative, nonostante la loro marcata partigianeria, sono lenotizie biografiche frequentemente liquidate come inattendibili31. Taliindicazioni, per lo più di carattere aneddotico, sono spesso, dal punto divista della verità storica, contraffazioni, ma, nei particolari, riportano al-l'ambiente in cui sono sorte e al fine per cui sono state concepite, dueelementi fondamentali per inquadrare la ricezione di un autore.

Nel caso del rapporto Platone/ Democrito è importante un aneddotoche fa entrare in scena anche Socrate. Diogene Laerzio riporta di seguitotre notizie di diversa provenienza, ma strettamente collegate una all'altrasui rapporti (o non-rapporti) fra Socrate e Democrito:

1. Secondo Demetrio di Magnesia (I sec. a.C.), Democrito sarebbestato ad Atene, ma non si sarebbe preoccupato di farsi conoscere, poichédisprezzava la fama. Egli avrebbe conosciuto Socrate, ma questi loavrebbe ignorato. Demetrio riporta a questo proposito la famosa frase"sono venuto ad Atene e nessuno mi ha riconosciuto"32.

2. Trasillo sostiene invece che sarebbe proprio Democrito il perso-naggio anonimo al quale Socrate, nel dialogo I rivali in amore sulla cui au-tenticità, però, Trasillo stesso nutre dubbi, dice che il filosofo è un pen-tatleta33 in quanto veramente Democrito avrebbe sperimentato tutti icampi della filosofia, della matematica, della ejgkuvklio" paideiva e delletechnai34.

30 Questa è anche la conclusione di Sinnige 1968, 187. Ferwerda 1972, 359 giudica moltoprobabile la conoscenza degli atomisti da parte di Platone nonostante riconosca che neidialoghi platonici non si incontrano sicure allusioni. Cf. ora per una posizione critica e bi-lanciata nei confronti delle presunte allusioni platoniche a dottrine democritee Morel 2003.

31 Un esempio tipico di questo scetticismo che riduce tutta la tradizione aneddotica sui rap-porti Socrate/ Democrito e Platone/ Democrito ad un gioco di deduzioni di DiogeneLaerzio o a semplici topoi biografici è Chitwood 2004, 100-102.

32 Dem. Magn. ap. Diog. Laert. 9,36 (68 B 116 DK; XXIV L.).33 [Pl.] Amat. 136a.34 Thrasyll. ap. Diog. Laert. 9,37 (68 A 1 DK; 493a L.). In realtà Socrate nel dialogo si rivolge

ad un giovane ateniese che si atteggia a filosofo polymathes e mette in discussione proprioattraverso la similitudine col pentatleta la concezione della filosofia come polymathia.

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3. Demetrio Falereo, a sua volta, nell'Apologia di Socrate, affermava cheDemocrito non era mai stato ad Atene35.

Queste tre notizie, riportate da Diogene senza alcun legame apparente,sono tuttavia implicitamente collegate in quanto la seconda e la terza co-stituiscono due risposte alternative alla prima.

La notizia di Demetrio di Magnesia, al di là dell'autenticità letteraledella frase democritea, mette in risalto soprattutto la modestia di Demo-crito, ma getta nel contempo un'ombra sulla figura di Socrate il quale ri-sulta per lo meno sprezzante per non aver neppure preso in considera-zione un così grande personaggio. Il sospetto che questo aneddoto siapiuttosto antico e possa derivare da una fonte peripatetica, quale ad esem-pio Aristosseno, interessata ad una svalutazione di Platone e del suo mae-stro, è per lo meno legittimo: la frase di Democrito sarebbe in perfettasintonia con una dimostrazione dell'arroganza socratica36. Le altre fonti,contemporanee o posteriori a Demetrio, riportano in effetti la stessa noti-zia senza alcun accenno a Socrate37.

La terza informazione confuta l'ipotesi che Democrito sia mai stato adAtene. Il fatto che risalga a Demetrio Falereo (il quale tende sistematica-mente a sminuire l'importanza di Atene a causa delle sue vicende perso-nali) e che comparisse nell'Apologia di Socrate suggerisce che l'autore la ri-portava per rimuovere ogni ombra dalla figura di Socrate: questi nonconosceva Democrito non perché, per arroganza, non lo avesse neppurepreso in considerazione, ma perché quest'ultimo non era mai stato adAtene38.

Trasillo doveva conoscere l'aneddoto riportato da Demetrio diMagnesia e potrebbe averlo addirittura citato nella sua introduzione allalettura di Democrito perché la sua suona come una risposta implicita aquelle affermazioni: Socrate e Platone conoscono Democrito e lo stimano.Tuttavia il fatto che Trasillo, il quale aveva redatto il catalogo delle opere

35 Dem. Phaler. Fr. 93 Wehrli (Diog. Laert. 9,37) (68 A 1 DK; XXV, 493a L.).36 Aristosseno aveva fornito di Socrate un quadro non propriamente edificante descrivendolo

come incontinente, collerico e ignorante, cf. Fr. 52b; 54a-b; 56 Wehrli.37 Cic. Tusc. 5,36,104 (68 B 116 DK; XXIV L.); Val. Max. 7,7 ext. 4 (68 A 11 DK; XXIV L.);

cf. anche l'allusione anonima in Antonin. 7,67 livan ejndevcetai qei'on a[ndra genevsqai kai;uJpo; mhdeno;" gnwrisqh'nai.

38 Gigon 1972, 155 sostiene che Demetrio Falereo o non conosceva la presunta frase diDemocrito, o la emarginava come invenzione. Il fatto che Demetrio negasse la presenza diDemocrito ad Atene proprio nell'Apologia di Socrate rende tuttavia più probabile la secondasoluzione. Non solo egli conosceva la frase, ma sapeva che era finalizzata ad una svaluta-zione della figura di Socrate.

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platoniche, abbia fatto ricorso ad un dialogo della cui autenticità dubitava39

significa che non aveva trovato in nessun altro possibili riferimenti a De-mocrito.

E veniamo ora all'aneddoto principale sui rapporti fra Platone e De-mocrito riportato da Diogene Laerzio

Aristosseno nei Commentari storici, dice che Platone voleva bruciare tutti gli scrittidi Democrito che si potessero raccogliere, ma i Pitagorici Amicla e Clinia glieloimpedirono dicendo che non serviva a nulla: infatti i libri erano già nelle mani dimolti. Ed è chiaro: infatti Platone, che fa menzione di quasi tutti gli antichi, nonnomina da nessuna parte Democrito, ma neppure laddove dovrebbe confutarlo,chiaramente sapendo che dovrebbe misurarsi col migliore dei filosofi40.

Tre sono i problemi principali posti dal testo di Diogene:1. La diversità di stile, indiretto fino a bibliva e poi diretto da kai;

dh'lon de; ha fatto pensare che solo la prima parte del resoconto provengada Aristosseno. Gigon sostiene che sarebbe costruita sul modello del rogodei libri di Protagora da parte degli Ateniesi. Platone, che nel decimo librodelle Leggi si era scagliato contro i filosofi empi, avrebbe voluto punire conl'annientamento dei libri l'empietà di non ben precisate affermazioni de-mocritee. La seconda parte, invece, riguarderebbe il giudizio sul valorefilosofico di Democrito, l'unico a potersi contrapporre a Platone41.

2. Se si ammette, con Wehrli e Bollack42 che si tratti invece di unblocco compatto proveniente da Aristosseno e che faccia parte di ungruppo di storielle sui plagi di Platone, la seconda parte non sarebbe ar-monizzata con la prima. Infatti l'accusa di plagio contrasterebbe con l'as-senza di Democrito nell'opera platonica.

3. Enigmatico è poi il richiamo ai Pitagorici. Wehrli e Bollack hannocercato di integrarlo nel motivo del plagio: i Pitagorici avrebbero impeditola distruzione dei libri, testimonianza del plagio di Platone, memori di

39 Il valore ipotetico di ei[per è stato messo ultimamente in dubbio da Mansfeld 1994, 100 ilquale traduce con "because". Cf. tuttavia le convincenti controargomentazioni di Tarrant1995, 150s.

40 Aristox. Fr. 131 Wehrli (Diog. Laert. 9,40) (68 A 1 DK; LXXX L.) Aristovxeno" dæ ejn toi'"ÔIstorikoi'" uJpomnhvmasiv fhsi Plavtwna qelh'sai sumflevxai ta; Dhmokrivtou suggravmmata,oJpovsa ejdunhvqh sunagagei'n, Amuvklan de; kai; Kleinivan tou;" Puqagorikou;" kwlu'saiaujtovn, wJ" oujde;n o[felo": para; polloi'" ga;r ei\nai h[dh ta; bibliva. kai; dh'lon dev: pavntwn ga;rscedo;n tw'n ajrcaivwn memnhmevno" oJ Plavtwn oujdamou' Dhmokrivtou diamnhmoneuvei, ajllæoujdæ e[nqæ ajnteipei'n ti aujtw'i devoi, dh'lonãovtià eijdw;" wJ" pro;" to;n a[riston aujtw'i tw'n filo-sovfwn ãoJ ajgw;nà e[soito. Accetto il testo canonico, mantenuto anche nell'ultima edizione diDiogene Laerzio del Marcovich, che presenta alcune correzioni, ma necessarie, contro l'in-verosimile mantenimento del testo dei Mss. proposto da Bollack 1967, 243s. (dh'lon eijdw;"wJ" pro;" to;n a[riston ou{tw tw'n filosovfwn e[soito. Sachant de toute évidence que quand il répon-dait au meilleur, il serait de cette manière parmi les philosophes).

41 1972, 153s.42 Wehrli 1967, II, ad loc., 87; Bollack 1967, 243s.

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quello subito dalla loro setta43. Gigon lascia in sospeso la questione dichia-rando enigmatica la loro presenza.

Il problema sintattico e quello della coerenza contenutistica dell'aned-doto possono essere chiariti attraverso il confronto con altri passi di Dio-gene Laerzio. In un passo della vita di Platone ricompare infatti il quesitodel perché il filosofo non abbia menzionato Democrito. Il brano offre unalista di "invenzioni" platoniche: Platone è stato il primo ad aver introdottonella filosofia il metodo dialettico, il primo ad aver usato termini specificicome "elemento", "qualità", "dialettica", il primo ad aver studiato le po-tenzialità della grammatica e, avendo egli per primo parlato contro quasitutti i suoi predecessori, ci si chiede perché non abbia ricordato Demo-crito44. Questa lista risale a Favorino (II sec. d.C.), ma non è certamenteinventata da lui perché una variante della stessa viene riportata anche dal-l'autore dei Prolegomena alla filosofia platonica45 e singole "invenzioni"platoniche sono nominate anche da altri46. Favorino si è rifatto verosimil-mente ai Peripatetici di cui, a detta di Plutarco47, era un fervidoammiratore. L'immagine di Platone come prw'to" euJrethv" e "rinnovatore"della filosofia circolava infatti sicuramente in ambito peripatetico, ma eraseguita talvolta da un giudizio negativo. Mentre infatti Eudemo avevaattribuito a Platone l'introduzione di stoicei'on come termine tecnico per"elemento", la fondazione di una nuova astronomia e, probabilmente,anche di una nuova matematica48, Dicearco lo aveva definito nel con-tempo rinnovatore e distruttore della filosofia in quanto, con il suo stileraffinato, avrebbe creato una "moda" (la forma del dialogo) che allonta-nava dalla vera filosofia (le ricerche specialistiche del Peripato)49. IPeripatetici accettavano evidentemente alcuni assunti sviluppati dagli al-lievi di Platone sulle innovazioni del maestro, ma ne mettevano in luce

43 Wehrli 1967, II, ad loc. 87; Bollack 1967, 242s. Wehrli si limita a formulare l'ipotesi, Bol-lack interpreta invece sunagagei'n come "comprare" forzando il testo. La storia sarebbecollegata con quella del famoso plagio del libro di Filolao, cf. Burkert 1972, 223ss.

44 Diog. Laert. 3,24 (LXXX L.) prw'tov" te ajnteirhkw;" scedo;n a{pasi toi'" pro; aujtou',zhtei'tai dia; tiv mh; ejmnhmovneuse Dhmokrivtou.

45 Anon. Proleg. 5,1-46.46 Cf. Barigazzi 1966, 219-20; Riginos 1976, 188.47 Quaest. conv. 734 F.48 Per il primo punto, cf. Eudem. Fr. 31 Wehrli, Burkert 1958, 174. Per l'astronomia, Eudem.

Fr. 148 Wehrli. Per la matematica, Eudem. Fr. 133 Wehrli. In Index Acad. P. Herc. 1021,col. Y, nel quale Platone viene presentato come l'ispiratore di tutti i progressi compiutidalla matematica nell'Accademia, sono state fatte ipotesi diverse sulle fonti, ma il paralleli-smo con la funzione attribuita a Platone da Eudemo nello sviluppo dell'astronomia ha fattopropendere Gaiser 1988, 347 per Eudemo mediato da Dicearco. Cf. anche Dorandi 1991,207s.

49 Ap. Philod., Index Acad. P. Herc. 1021, col. I. Che il testo riporti le parole di Dicearco hasostenuto Gaiser 1988, 314; cf. anche le considerazioni di Burkert 1993, 25s.

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polemicamente anche i lati negativi. Nella vita di Platone di Diogene Laer-zio si avverte un'eco di quella tradizione, epurata dalle polemiche perchémediata da Favorino, un Accademico. Il quesito della non menzione diDemocrito da parte di Platone viene posto in modo neutrale come temadi ricerca (zhtei'tai dia; tiv). Nel brano della vita di Democrito, invece,l'aggressività antiplatonica è ancora tutta presente e ben evidenziata e nonpuò risalire né a Diogene stesso, che non mostra mai particolare avver-sione nei confronti di Platone, né tantomeno al pitagorico platonizzanteTrasillo. Neppure l'aristotelismo tardo raggiunge punte polemiche cosìaspre nei confronti di Platone. Dunque anche la seconda parte del brano,che spiega il perché Platone non abbia mai menzionato Democrito, deverisalire ad Aristosseno.

L'improvvisa variazione di stile da diretto a indiretto senza soluzionedi continuità non è d'altra parte un problema in Diogene: la si ritrova in-fatti anche nell'aneddoto immediatamente precedente, derivato da Anti-stene di Rodi50. E' probabile che anche il brano di Aristosseno sia statomediato da Trasillo. La sua identificazione del personaggio anonimo deiRivali in amore con Democrito è infatti anche una risposta indiretta a chiattaccava Platone e Socrate facendo perno sulla mancanza di accenni aDemocrito nelle opere platoniche.

Per quanto riguarda invece l'argomento di Gigon, che ipotizza unaprovenienza diversa delle due parti del brano di Diogene Laerzio vedendonella prima una condanna morale di Democrito da parte di Platone, nellaseconda un giudizio filosofico, si può osservare quanto segue: l'aneddotosul rogo dei libri democritei difficilmente è stato costruito sulla tipologiadel rogo di quelli di Protagora per due motivi. Quest'ultimo risulta infattiuna misura pubblica con valenza politica (sarebbe stato infatti decretatodagli Ateniesi) ed è difficilmente trasferibile ad una vicenda privata (nonesistono nell'aneddotica antica altri esempi di simili proiezioni). Inoltresarebbe stato anacronistico rappresentare un Platone che vuole distrug-gere per la sua empietà unicamente i libri di Democrito, quando avrebbeavuto davanti altri esempi di presunti atei quali Protagora, Crizia o Pro-dico citati spesso come tali nella tradizione successiva51. Dunque non cisono motivi per separare il brano di Diogene Laerzio in due parti e ci

50 Diog. Laert. 9,39 (FGrHist 508 F 14) ejlqovnta dhv fhsin (scil. oJ Antisqevnh") aujto;n ejk th'"ajpodhmiva" tapeinovtata diavgein, a{te pa'san th;n oujsivan katanalwkovta: trevfesqaiv te dia;th;n ajporivan ajpo; tajdelfou' Damavsou. wJ" de; proeipwvn tina tw'n mellovntwn eujdokivmhse,loipo;n ejnqevou dovxh" para; toi'" pleivstoi" hjxiwvqh.

51 Per Protagora, cf. Sext. Emp. Adv. Math. 9,56 (80 A 12 DK). Per Crizia, cf. Sext. Emp.Adv. Math. 9,54 con la citazione dei versi del Sisifo (88 B 25 DK). Per Prodico Sext. Emp.Adv. Math. 9,51; cf. anche 9,18 (84 B 5 DK). Queste accuse di empietà sono comunquenella maggioranza dei casi un topos letterario.

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sono invece buone ragioni per riportarlo nella sua globalità ad Aristos-seno.

Se tutto il resoconto risale a lui, il fatto che Democrito sia assente dal-l'opera platonica, porta ad escludere il motivo del plagio52 come moventedel desiderio di Platone di bruciarne i libri. Il tono antiplatonico del branoe la ricezione aristotelica di Democrito in funzione antiplatonica e antiac-cademica suggeriscono invece un'altro motivo: Platone vuole toglierli dallacircolazione perché li avverte come un pericolo per il suo prestigio anchee soprattutto all'interno della sua scuola.

Un punto fondamentale per la comprensione e la contestualizzazionedel racconto è costituito dall'enigmatica figura dei due "Pitagorici" i cuinomi non sono fatti a caso. Clinia è un personaggio citato anche altroveda Aristosseno come modello di vita pitagorica53 e Amicla, soprattutto,non è un pitagorico qualsiasi, ma uno dei fedelissimi discepoli di Platone.Amicla di Eraclea nel Ponto era annoverato da Eudemo54, fra quei plato-nici che avevano portato la geometria ad una maggiore perfezione. Unavariante del nome, “Amuklo", dovuta probabilmente ad una corruttela deltesto, ma con la stessa indicazione toponomastica, ÔHraklewvth", si trovanel catalogo dei discepoli di Platone in Diogene Laerzio (3,46). Amiclacompare inoltre come fedele discepolo del vecchio Platone, accanto aSpeusippo e Senocrate, in un aneddoto di parte accademica nel qualeviene sottolineata l'arroganza di Aristotele e i suoi tentativi di mettere indifficoltà il vecchio maestro, rintuzzati poi da Senocrate. Aristotele nonera amato da Platone per il suo comportamento e la sua eleganza tropporaffinata e disdicevole per un filosofo. Il maestro quindi gli preferivaSpeusippo, Senocrate e Amicla. Durante un'assenza di Senocrate ed es-sendo Speusippo malato e impossibilitato ad accompagnarlo, Platone uscìnel peripato esterno della scuola senza i discepoli più fedeli. Aveva giàottant'anni e una memoria ormai piuttosto labile. Aristotele gli si feceincontro e, postoglisi dinanzi, cominciò a tendergli dei trabocchetti e aporgli delle domande con un ben determinato intento confutatorio. Pla-tone, comprendendone lo scopo, si ritirò all'interno. Quando Senocrateritornò, non lo trovò più ad insegnare nel peripato dove l'aveva lasciato; alsuo posto c'erano Aristotele e i suoi seguaci. Senocrate notò che quest'ul-

52 Accuse così velate non sono, del resto, nello stile di Aristosseno, il quale rinfacciava aperta-mente a Platone di aver copiato di sana pianta la Repubblica dagli Antilogici di Protagora (Fr.67 Wehrli).

53 Aristox. Fr. 30 Wehrli, da Spintaro che aveva conosciuto direttamente anche Socrate (Fr.54a Wehrli). Clinia è menzionato anche da un altro peripatetico, Chamaileon (Fr. 4 Wehrli).

54 Eudem. Fr. 133 Wehrli che lo designa specificamente come ei|" tw'n Plavtwno" eJtaivrwndistinguendolo ad esempio da Menecmo, allievo di Eudosso, che aveva solo "frequentato"Platone (Plavtwni suggegonwv").

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timo, terminato il suo insegnamento, non rientrava presso il maestro, mase ne andava a casa propria, in città. Chiese dunque notizie di Platone eapprese che questi, costretto da Aristotele a ritirarsi, teneva ora scuola nelsuo giardino. Senocrate andò a salutarlo e lo trovò che dialogava con isuoi numerosi discepoli. Quando il raduno si sciolse, rimproverò Speu-sippo per aver lasciato cacciare il maestro e poi affrontò Aristotele inmodo così deciso che riuscì ad estrometterlo e a restituire a Platone la suasede usuale55. Questo aneddoto presenta due gruppi contrapposti: da unaparte Platone e i suoi fedeli discepoli che, in assenza di Senocrate, nonriescono ad opporsi con sufficiente energia all'arroganza di Aristotele;dall'altra lo Stagirita con una buona schiera di seguaci che assume un at-teggiamento di sfida nei confronti del vecchio maestro. Se si inseriscel'aneddoto di Aristosseno su Platone e Democrito nell'atmosfera dell'Ac-cademia negli ultimi anni di Platone, come indica la presenza di Amicla,correlato con questo periodo della sua vita, e lo si inquadra nel clima dicrescente rivalità fra Platone e i suoi fedelissimi e Aristotele e il suogruppo56, i particolari del racconto acquistano un loro valore funzionale. Ilibri di Democrito, da un punto di vista peripatetico, costituiscono unoggetto destabilizzante per il prestigio platonico: Aristotele li usa ripetu-tamente nella sua opera in funzione antiplatonica. Aristosseno attribuiscedunque a Platone il desiderio di bruciarli come un ultimo tentativo di sal-vare il suo prestigio compromesso insinuando nel contempo maligna-mente che Platone non ha mai fatto cenno a Democrito, anche quandoavrebbe dovuto contrapporglisi, per mancanza di validi argomenti. L'a-neddoto riportato da Eliano presenta lo stesso atteggiamento rinunciatariodi Platone di fronte alla pressione della dialettica aristotelica. Davanti adAristotele e, metaforicamente, davanti a Democrito, il vecchio Platone siritira.

La presenza di Amicla e Clinia, soprattutto in un autore come Aristos-seno che ha dedicato a Pitagora e ai Pitagorici diverse opere, e ne ha co-nosciuti alcuni di persona, non deve stupire. Il loro atteggiamento è quellodi chi conosce i libri di Democrito e il loro impatto, ma anche di chi cercadi preservare un autore a loro vicino. La tradizione che collega Democritoai Pitagorici è infatti molto antica e contemporanea al filosofo stesso: se-condo Glauco di Reggio era infatti discepolo di un non ben precisato

55 Ael. Var. hist. 3,19 (Xenocr. Fr. 11 IP; Arist. T 36 Düring). Sulla correlazione di questopasso con quella serie di rappresentazioni dell'Accademia negli ultimi anni della vita diPlatone che compaiono nell'Index Academicorum e che risalgono alla generazione degli im-mediati allievi di Platone o di Aristotele, cf. Burkert 1993, 18ss.

56 Per ulteriori aneddoti biografici sui rapporti fra Platone e Aristotele, cf. Düring 1957;Swift-Riginos 1976.

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pitagorico57. Ecfanto, un Pitagorico contemporaneo di Platone, avevasostenuto tesi chiaramente atomiste58. E' probabile che anche alcune inter-pretazioni pitagorizzanti di Democrito che emergono di tanto in tanto inAristotele siano influenzate da questa ricezione "pitagorica".

Dal resoconto di Aristosseno si possono trarre dunque alcune indica-zioni:

1. egli non intravvedeva evidentemente nei dialoghi platonici alcunaesplicita presenza di Democrito né attribuiva a Platone una diretta utiliz-zazione delle dottrine atomiste ai fini dell'elaborazione del Timeo. Se infattiavesse individuato nel dialogo delle affinità con l'atomismo, non avrebbecertamente risparmiato a Platone delle accuse esplicite di plagio.

2. L'atmosfera e i personaggi dell'aneddoto rimandano agli ultimi annidella vita di Platone. La ricezione di Democrito coinvolge soprattutto isuoi allievi. Sono infatti principalmente loro, sia quelli favorevoli, comeClinia e Amicla, che quelli ostili al maestro, come Aristotele, a prendereposizione sull'opera democritea.

Queste considerazioni trovano conferma anche nell'opera aristotelicadove Platone e Democrito vengono spesso confrontati, ma mai posti inun rapporto di dipendenza diretta. Mentre Aristotele dice chiaramente chePlatone ha ripreso la dottrina pitagorica sostituendo unicamente il terminemimesi con metessi59, pone la relazione fra Platone e Democrito (o Leu-cippo) sempre e solo a livello tipologico, mai genetico.

Particolarmente significativo a questo proposito risulta il confronto didue brani della Metafisica: A 6, 987a 29ss. e M 4, 1078b 12ss. Se è vero chei problemi posti dalla cronologia delle opere aristoteliche sono insolubili eche è difficile datare i libri dei vari trattati, nessuno mette tuttavia in dub-bio che il secondo passo sia una rielaborazione del primo60. In Metaph. A 6,987a 29ss. Aristotele traccia le linee della nascita della dottrina platonicadell'uno e della diade: essa risulterebbe dalla confluenza di tre tradizioni,quella eraclitea, quella socratica e quella pitagorica. Dagli Eraclitei Platoneavrebbe mutuato la concezione del continuo scorrere del sensibile e dellaconseguente impossibilità di conoscere qualcosa su di essi, da Socrate,interessato unicamente all'etica, la ricerca dell'universale e della defini-zione, vale a dire la dottrina delle idee, dai Pitagorici, invece, il concetto di

57 Diog. Laert. 9,38 (68 A 1 DK; XVII, 154 L.). La notizia di Duride di Samo (FGrHist 76 F23; 154 L.), secondo cui Democrito era allievo di Arimnesto figlio di Pitagora è da spiegarsiprobabilmente come un tentativo di individuazione di questo generico pitagorico cui alludeGlauco.

58 51 1 DK (Hippol. Ref. 1,15); 51 2 DK (Aet. 1,3,19 [Stob. 1,10,16a]); 51 4 DK (Aet. 2,3,3 [Stob.1,21, 6a]).

59 Metaph. A 6, 987b 10ss.60 Cf. Annas 1976, 154 con riferimenti bibliografici.

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partecipazione dei sensibili alle idee e l'idea del numero come principio. Inquesto contesto non compare nessuna menzione di Democrito o di Leu-cippo, anzi, poco prima, Aristotele sottolinea come solo i Pitagorici, fra ipresocratici, abbiano "cominciato a parlare di essenza e a definirla" anchese lo hanno fatto in maniera troppo semplicistica61. Egli utilizza qui,soprattutto per sottolineare la dipendenza di Platone dai Pitagorici, unoschema canonico, probabilmente già accademico, concepito per presen-tare la dottrina platonica come compendio e culmine di tutte le ricercheprecedenti62. Il fatto che Democrito non compaia affatto, significa cheAristotele non vedeva fra la dottrina democritea e quella platonica alcunrapporto genetico né tantomeno un influsso diretto dell'una sull'altra,influsso che invece egli espressamente ribadiva nel caso dei Pitagorici.

In Metaph. M 4, 1078b 12ss. Aristotele ripropone lo stesso schema pergiustificare la nascita della dottrina delle idee. Questa ha le sue radici nellafusione della dottrina eraclitea del continuo scorrere del sensibile e del-l'impossibilità di averne conoscenza con quella socratica della definizionedell'universale ricercata attraverso la dialettica. Fra i fisici Democrito (conil tentativo di definizione del caldo e del freddo) e, prima di lui, i Pitagorici(definendo alcuni concetti per mezzo di numeri) avrebbero solo sfioratoin qualche modo il problema della definizione dell'essenza63. Si tratta diuna seconda fase di sviluppo dello schema, come si può dedurre dal ri-chiamo alla precedenza dei Pitagorici su Democrito nella definizione del-l'essenza. Quest'ultimo viene dunque inserito in uno schema già preesi-stente, ma in una prospettiva ben lontana da una parentela genetica.

La stessa tipologia del confronto a posteriori, con gradazioni chevanno dal parallelismo neutrale all'utilizzazione polemica della dottrinaatomista contro quella platonica, si incontra costantemente nell'operaaristotelica. Mi limiterò a far riferimento ai brani senza affrontare la spi-nosa questione della differenza fra Leucippo e Democrito che porterebbetroppo lontano dal tema centrale. Si può qui solamente osservare che, ineffetti, il nome di Leucippo compare senza quello di Democrito per lomeno in un testo considerato molto antico come il libro L della Metafisica.Il confronto è neutrale, Leucippo e Platone si trovano appaiati e posti

61 Metaph. A 5, 987a 20-21 peri; tou' tiv ejstin h[rxanto me;n levgein kai; oJrivzesqai, livan daJplw'" ejpragmateuvqhsan.

62 Lo schema presenta infatti la dialettica platonica come sintesi e superamento delle ricercheprecedenti distinte in fisica ed etica, uno schema che persiste nella tradizione platonica eche ritroviamo nella vita di Platone di Diogene Laerzio (3,56) ou{tw" kai; th'" filosofiva" oJlovgo" provteron me;n h\n monoeidh;" wJ" oJ fusikov", deuvteron de; Swkravth" prosevqhke to;nhjqikovn, trivton de; Plavtwn to;n dialektiko;n kai; ejtelesiouvrghse th;n filosofivan.

63 Metaph. M 4, 1078b 19 tw'n mevn ga;r fusikw'n ejpi; mikro;n Dhmovkrito" h{yato movnon kai;wJrivsatov pw" to; qermo;n kai; to; yucrovn: oiJ de; Puqagovreioi provteron periv tinwn ojlivgwn,w|n tou;" lovgou" eij" tou;" ajriqmou;" ajnh'pton, oi|on tiv ejsti kairo;" h] to; divkaion h] gavmo".

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Platone e Democrito56

sullo stesso piano per aver assunto l'eternità del movimento64 (Aristotele siriferisce qui al movimento disordinato della Chora nel Timeo65). Il solo Leu-cippo come rappresentante dell'atomismo compare un'altra volta nell'o-pera aristotelica e precisamente in De generatione et corruptione A 866, cheverrà esaminato dettagliatamente nel terzo capitolo. In questo testo, che siinserisce nella trattazione dell'agire e del patire, Aristotele sottolinea, senzacommenti particolarmente polemici, le similarità e le differenze fra la dot-trina dei triangoli e quella dei corpi indivisibili. Platone si differenzia daLeucippo per il fatto che pone come indivisibili delle superfici invece chedei solidi, e perché assume forme prime limitate invece che infinite e am-mette inoltre che la generazione e la separazione avvengano solo attra-verso il contatto mentre Leucippo le fa avvenire attraverso il contatto e ilvuoto (325b 25-33)67. Per il resto ambedue pongono dei principi indivisi-bili e definiti dalla forma.

Più apertamente polemici sono invece altri confronti riguardanti iprincipi del mondo sensibile come in De gen. et corr. A 2. Qui infatti Ari-stotele prende posizione, pur rilevandone l'incongruenza, a favore delletesi degli atomisti contro Platone. La divisione fino alle superfici è assurda,quella fino ai corpi, pur essendo anch'essa poco conforme a ragione, hacomunque il merito di giustificare la genesi e il cambiamento ipotizzandodelle differenze di figura di posizione e di ordine dei corpuscoli. Invecequelli che mettono insieme dei triangoli possono ottenere solo dei solidi,ma non dei corpi in quanto questi enti matematici non possono generarealcuna affezione tipica del corpo. Rispetto all'altro passo, compare quianche Democrito che viene nominato addirittura prima di Leucippo. Al dilà delle differenze di tono, è comunque comune ad ambedue i brani ilconfronto tipologico e non genetico delle tesi atomiste con quelle delTimeo. Il tono di crescente polemica in questi brani del De generatione etcorruptione denota un dibattito sempre più acceso e ruotante intorno alledottrine del Timeo, o meglio, intorno all'interpretazione che di questo dia-logo davano gli allievi di Platone. Quest'ultimo, infatti, non ha mai parlatodi triangoli indivisibili come invece costantemente si afferma nel De genera-tione et corruptione e come interpretavano anche gli altri allievi di Platone. Seinoltre Aristotele sottolinea con insistenza la superiorità delle dottrine

64 Metaph. L 6, 1071b 31-37 (67 A 18 DK; 17 L.).65 Cf. anche De cael. G 2, 300b 9-19.66 L'ipotesi di De Ley 1968, 629ss. secondo cui tali brani sarebbero residui di appunti redatti

nel periodo di permanenza nell'Accademia non è da sottovalutare.67 Contrariamente a quanto sostiene Silvestre 1985, 38 n. 17, non c'è in questo brano alcuna

conferma del fatto che Platone abbia utilizzato le dottrine atomistiche per la stesura delTimeo. Aristotele instaura infatti unicamente un confronto tipologico, non genetico, fra ledue dottrine.

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Capitolo primo 57

degli atomisti su quelle platoniche, è altrettanto verosimile che dall'altraparte, nell'Accademia, queste stesse dottrine fossero invece considerateinferiori a quelle del maestro. Dunque l'opera aristotelica, in particolare ilDe generatione et corruptione, riflette in certo modo l'atmosfera che troviamonell'aneddoto di Aristosseno e cioè una polemica sempre più aspra neiconfronti di Platone per condurre la quale viene utilizzato Democrito: lesue teorie, secondo la rappresentazione aristotelica, sono in ogni casosuperiori a quelle platoniche. Questo confronto, dal quale Democrito escevincitore, sta probabilmente alla radice del maligno quesito, perché Pla-tone non abbia mai fatto menzione di Democrito anche laddove (nel Ti-meo?) avrebbe dovuto criticarlo.

Nell'opera aristotelica tuttavia, se pure in rari accenni, si può cogliereanche una rappresentazione pitagorizzante di Democrito che giustifica lapresenza nell'aneddoto di Aristosseno del pitagorico e dell'allievo pitago-rizzante come consiglieri di Platone e, nel contempo, come tutori dei libridi Democrito.

In particolare sono significativi due brani in cui a Democrito e ai Pita-gorici vengono attribuite dottrine simili. In De cael. G 4, 303a 9-11 gli atomivengono esplicitamente equiparati ai numeri dei Pitagorici

in un certo modo anche costoro fanno di tutte le cose esistenti dei numeri e lecompongono da numeri; e se anche non lo manifestano chiaramente, tuttavia vo-gliono dire proprio questo68.

Si tratta di una strana assimilazione che non compare altrove in Aristotele.La ragione va forse cercata nella stretta relazione che quest'ultimo instaurafra la concezione dell'anima degli atomisti e dei Pitagorici in De an. A 2,404a 1-21: ambedue la porrebbero nel pulviscolo atmosferico69. Nellostesso capitolo Aristotele allude alla eguaglianza fra le sferette democriteee la monade, l'anima numero che muove se stesso, di Senocrate, a suavolta "pitagorizzante". Se si pensa che la prima menzione di Democrito inautori a lui posteriori compare nei due titoli di Eraclide Pontico70, notoria-mente pitagorizzante, su di lui, risulta chiaro che le opere democritee nonerano conosciute solo da Aristotele, ma anche dagli allievi pitagorizzanti diPlatone.

68 Arist. De cael. G 4, 303a 9-11 (67 A 15 DK; 109, 174 L.) trovpon gavr tina kai; ou|toi pavntata; o[nta poiou'sin ajriqmou;" kai; ejx ajriqmw'n: kai; ga;r eij mh; safw'" dhlou'sin, o{mw" tou'tobouvlontai levgein.

69 Su questo brano, v. infra, VII 5.70 68 A 34 DK; CXIX L.

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Platone e Democrito58

3. Sintesi

L'aneddoto di Aristosseno e i brani aristotelici ora esaminati forniscono inqualche modo degli indizi per porre l'entrata dell'atomismo nell'Accademiadurante gli ultimi anni della vita di Platone. Leucippo e Democrito sonostati recepiti e discussi dai suoi allievi "pitagorizzanti" e da Aristotele.Quest'ultimo in particolare se ne è servito per polemizzare contro il mae-stro. Da questa atmosfera scaturisce l'aneddoto di Aristosseno sul deside-rio di Platone di bruciare quei libri la cui diffusione avrebbe potuto infe-rire un duro colpo al suo prestigio. Posto che comunque per lo meno gliallievi pitagorizzanti di Platone devono aver conosciuto le dottrine atomi-ste, come i criptici accenni aristotelici e l'aneddoto del salvataggio dei libridi Democrito da parte dei "Pitagorici" sembra indicare, il problema èquello di stabilire se, nell'ambito della ricezione dell'atomismo antico, daAristotele in poi, si possa ritrovare qualche traccia di una "lettura" acca-demica degli atomisti. Questo è possibile per lo meno riguardo alla querellesui principi corporei o incorporei, impostata nel Sofista platonico, e pre-sentata da Aristotele come dibattito fra Accademici e materialisti fra i qualisono talvolta compresi anche gli atomisti. Lo stesso confronto riemerge inSesto Empirico, in un passo che riporta sicuramente anche dottrine acca-demiche71, nella forma di una diaphonia fra gli "eredi dei Pitagorici", vale adire gli Accademici, e i sostenitori di dottrine corpuscolari, in particolare,gli atomisti. Dalla critica alle dottrine che pongono come principi deicorpi, ancorché invisibili, gli Accademici partono per ribadire la superio-rità dei principi incorporei. Questo aspetto della ricezione di Democritoverrà trattato nel capitolo successivo.

71 Adv. Math. 10,248ss., v. infra, II 4.

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Capitolo secondo

Principi corporei/ incorporei.Atomisti antichi, Platone, Accademici da Aristotele a Simplicio

1. Il compito del vero fisico

La contrapposizione che Aristotele instaura fra atomismo antico e principiaccademici si inquadra nel più ampio dibattito che egli conduce con lascuola platonica sulla concezione della scienza. Per Aristotele esistono piùscienze ognuna delle quali abbraccia un ambito limitato ed ha principipropri1. Quelli del mondo fisico devono avere tutte le caratteristiche deicorpi per poter generare i fenomeni. La ricerca fisica deve dunque tenerconto di questo limite. I principi dell'essere costituiscono invece il campodi indagine di un'altra scienza, la scienza prima2, che studia l'essere inquanto tale. Per Platone e per i suoi allievi, invece, la scienza è sostanzial-mente una, quella dell'essere, e ha una struttura piramidale al cui apicestanno i principi ultimi; la matematica, l'astronomia, la fisica, sono sologradi nell'ascesa verso questi principi.

Aristotele imposta spesso sullo sfondo del problema generale deiprincipi propri alla fisica il confronto fra atomisti e Platone/ Accademici,confronto dal quale i primi risultano sempre vincitori proprio perchéhanno posto a fondamento della realtà naturale dei corpi. Il motivo con-duttore della critica agli Accademici è invece quello di aver assunto comeprincipi del mondo fisico degli enti matematici che si situano ad un livellocompletamente differente e non possono generare alcun fenomeno fisico.Nel primo libro della Metafisica, pur considerandosi ancora, all'atto dellastesura di queste considerazioni, un membro dell'Accademia (come indica

1 Sulla stretta correlazione fra l'ambito di ricerca e i suoi principi e sulla conseguente diffe-renziazione negli obiettivi e nei metodi, cf. Wieland 1970, 52-58.

2 Cf. e.g. Phys. A 2, 184b 25s.

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Principi corporei/ incorporei60

l'uso della prima persona plurale), Aristotele critica dall'interno questomodo di affrontare la ricerca sulla natura

E, in generale, mentre la "sapienza" ricerca la causa dei fenomeni evidenti, noiabbiamo tralasciato di indagare proprio questo (infatti non diciamo nulla sullacausa da cui trae origine il mutamento) e, credendo di enunciarne la sostanza, af-fermiamo che vi sono altre sostanze, ma, per dimostrare che queste ultime sonosostanze di quelle, parliamo a vuoto; infatti la partecipazione, come abbiamo dettoanche prima, non è nulla. [...] ma la filosofia, per quelli dei nostri giorni, è dive-nuta matematica anche se loro affermano che si deve studiare la matematica invista di altri fini3.

Poco più oltre, Aristotele critica la concezione di un'unica scienza i cuiprincipi sarebbero il fondamento anche del mondo sensibile sottolineandoche una scienza operante fuori dalle sensazioni non potrà mai averne co-noscenza4. Quelli che sostengono la dottrina delle idee, come egli affermanel secondo libro della Fisica5, fanno come il matematico che studia sì glistessi oggetti del fisico, ma astrae col pensiero dalla loro fisicità e li consi-dera come se fossero privi di movimento. Una costante della critica ari-stotelica a Platone e agli Accademici è proprio la debolezza dei loro fon-damenti epistemologici e del loro metodo: essi riducono tutto a unnumero limitato di ipotesi teoriche che ritengono assolutamente veresenza occuparsi di ciò che ne consegue per la realtà fenomenica. Il finedella fisica è però proprio quello di trovare una spiegazione in consonanzacoi fenomeni6.

Per gli Accademici, invece, il fenomeno non è qualcosa di evidente daaccettare come tale, ma un punto di partenza per un cammino a ritrosoverso i veri fondamenti dell'essere, i primi principi, che si situano fuori delmondo fisico e che sono individuabili solo attraverso la dialettica. I fon-damenti di questa concezione, come è risaputo, sono già enunciati daPlatone soprattutto nel Timeo, nella Repubblica e nel Filebo. La realtà fisica,in quanto in continuo fluire, non offre alcuna possibilità di una scienzasicura; la scienza vera è solo quella dell'invisibile e dell'intellegibile sempreuguale a se stesso ed eterno7. E' necessario dunque superare il comune

3 Metaph. A 9, 992a 24-29 o{lw" de; zhtouvsh" th'" sofiva" peri; tw'n fanerw'n to; ai[tion, tou'tome;n eijavkamen (oujqe;n ga;r levgomen peri; th'" aijtiva" o{qen hJ ajrch; th'" metabolh'"), th;n doujsivan oijovmenoi levgein aujtw'n eJtevra" me;n oujsiva" ei\naiv famen, o{pw" d ejkei'nai touvtwnoujsivai, dia; kenh'" levgomen: to; ga;r metevcein, w{sper kai; provteron ei[pomen, oujqevn ejstin.ª...º ajlla; gevgone ta; maqhvmata toi'" nu'n hJ filosofiva, faskovntwn a[llwn cavrin aujta; dei'npragmateuvesqai.

4 Metaph. A 9, 992b 18-993a 10.5 Phys. B 2, 193b 22-37.6 De cael. G 7, 306a 5-26.7 Ti. 51e-52a touvtwn de; ou{tw" ejcovntwn oJmologhtevon e}n me;n ei\nai to; kata; taujta; ei\do"

e[con, ajgevnnhton kai; ajnwvleqron, ou[te eij" eJauto; eijsdecovmenon a[llo a[lloqen ou[te aujto;

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Capitolo secondo 61

metodo di ricerca dei fisici che si arresta ai principi corporei per rivolgersiinvece a quelle che sono le vere cause prime del reale, incorporee e intel-legibili8. I fisici si arrestano al mondo del divenire, ma non raggiungono laconoscenza vera che si può acquisire solo studiando le cose eterne eprime in se stesse9. Questo ha come conseguenza anche la totale svaluta-zione dell'aspetto empirico delle scienze in quanto l'empiria opera su sin-goli oggetti corporei, in sé non conoscibili con sicurezza, senza astrarne leforme eterne. Il vero geometra non studierebbe mai seriamente per sco-prirvi i concetti geometrici disegni anche bellissimi fatti da un pittoreespertissimo così come il vero astronomo non studia i movimenti degliastri reali nella loro corporeità, ma coglie teoricamente i rapporti numericifra questi astri e i fra i loro movimenti. Per Platone, dunque, bisogna pro-cedere non con l'osservazione, ma formulando dei problemi e lasciar per-dere sia le figure geometriche reali, che i corpi celesti reali se vogliamo farfunzionare davvero l'elemento intelligente dell'anima10.

In questa tensione fra il superamento della fisica da parte di Platone edegli Accademici e il ritorno alla fisica su altre basi rispetto a quelle deifilosofi della natura da parte di Aristotele si colloca il dibattito sugli atomi-sti antichi.

2. La gigantomachia del Sofista e lo schemaprincipi corporei/ incorporei in Aristotele

Come già osservato nel primo capitolo, difficilmente Platone faceva pre-cisi riferimenti agli atomisti. Tuttavia spesso ci si appoggia su un passospecifico per dimostrare il contrario: la "gigantomachia" del Sofista. Qui lostraniero di Elea accenna a due schiere contrapposte: coloro che conside-rano come oujsiva solo quello che si può toccare, cioè il corpo, e i sosteni-tori delle forme intellegibili e incorporee

Str. E dunque sembra che fra di loro si combatta come una gigantomachia acausa del dibattito sull'essenza. […] Gli uni trascinano tutto dal cielo e dall'invisi-bile sulla terra, afferrando semplicemente con le mani rocce e querce. Infatti toc-cando tutte queste cose assicurano che esiste solo quanto offre qualche possibi-lità di essere toccato e palpato, definendo l'essenza e il corpo la stessa cosa e

eij" a[llo poi ijovn, ajovraton de; kai; a[llw" ajnaivsqhton, tou'to o} dh; novhsi" ei[lhcen ejpisko-pei'n: to; de; oJmwvnumon o{moiovn te ejkeivnwi deuvteron, aijsqhtovn, gennhtovn, peforhmevnon ajei;,gignovmenovn te e[n tini tovpwi kai; pavlin ejkei'qen ajpolluvmenon, dovxhi met ai[sqhvsew" pe-rilhptovn. Cf. anche Resp. 524c-d.

8 Ti. 46d; 48a-b; 68e.9 Phil. 58c-59b.10 Resp. 529d-530c.

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Principi corporei/ incorporei62

guardando dall'alto in basso chi affermasse che qualcos'altro che non ha corpo è,senza voler ascoltare null'altro — Teet. Parli sicuramente di uomini tremendi; in-fatti anch'io ho già avuto occasione di incontrarne numerosi— Str. Per questo iloro oppositori nel dibattito si difendono assai prudentemente dall'alto, da unacerta zona dell'invisibile, incalzandoli col dire che la vera essenza sono certeforme intellegibili e incorporee e, facendo a pezzettini nelle loro argomentazioni icorpi di quegli altri e quella che loro chiamano verità, li definiscono un divenireincessante invece che un'essenza. Riguardo a queste cose c'è sempre stata fra gliuni e gli altri, o Teeteto, un'accanita battaglia11.

Chi si debba identificare nei due gruppi è stato oggetto di infinite conget-ture12. In ogni caso l'opposizione fra coloro che ammettono solo essenzecorporee e coloro che, al contrario, assumono come essenze forme incor-poree è una novità introdotta da Platone accanto a schemi oppositivipreesistenti e da lui stesso utilizzati13 e si inserisce nel quadro più generaledella ricerca dei principi ultimi del reale. In questo contesto tutti i fisicisono coinvolti nella denominazione di materialisti in quanto il campocomune della loro scienza è quello della natura e del sensibile e quindi deicorpi, un modello superato solo da Platone e dai suoi allievi. Che la tipo-logia dei materialisti fosse una struttura generica e aperta, passibile di rice-vere qualsiasi contenuto a seconda della discussione e del contesto è di-mostrato dal fatto che in Aristotele l'identità dei sostenitori di principicorporei varia da testo a testo proprio perché tutti i cosiddetti "filosofidella natura" vengono considerati "materialisti"14. La tipologia dei sosteni-

11 Soph. 246a XE. kai; mh;n e[oikev ge ejn aujtoi'" gigantomaciva ti" ei\nai dia; th;n ajmfisbhvthsinperi; th'" oujsiva" pro;" ajllhvlou". ª...º oiJ me;n eij" gh'n ejx oujranou' kai; tou' ajoravtou pavntae{lkousi, tai'" cersi;n ajtecnw'" pevtra" kai; dru'" perilambavnonte". tw'n ga;r toiouvtwnejfaptovmenoi pavntwn diiscurivzontai tou'to ei\nai movnon o} parevcei prosbolh;n kai; ejpafhvntina, taujto;n sw'ma kai; oujsivan oJrizovmenoi, tw'n de; a[llwn ei[ tiv" ãtià fhvsei mh; sw'ma e[conei\nai, katafronou'nte" to; paravpan kai; oujde;n ejqevlonte" a[llo ajkouvein. QEAI. h\ deinou;"ei[rhka" a[ndra": h[dh ga;r kai; ejgw; touvtwn sucnoi'" prosevtucon. XE. toigarou'n oiJ pro;"aujtou;" ajmfisbhtou'nte" mavla eujlabw'" a[nwqen ejx ajoravtou poqe;n ajmuvnontai, nohta; a{ttakai; ajswvmata ei[dh biazovmenoi th;n ajlhqinh;n oujsivan ei\nai: ta; de; ejkeivnwn swvmata kai; th;nlegomevnhn uJp aujtw'n ajlhvqeian kata; smikra; diaqrauvonte" ejn toi'" lovgoi" gevnesin ajntoujsiva" feromevnhn tina; prosagoreuvousin. ejn mevswi de; peri; tau'ta a[pleto" ajmfotevrwnmavch ti", w\ Qeaivthte, ajei; sunevsthken. Per la definizione dei materialisti come "non ini-ziati, uomini rozzi, duri e resistenti" i quali danno il nome di ousia solo a ciò che è corpo,cf. anche Theaet. 155e.

12 Cf. in particolare la lista fornita da Diès 1925, 291-293; Friedländer III, 1975, 476 n. 44.Ambedue sono però convinti dell'impossibilità di individuare l'identità di questo gruppo esottolineano il carattere generalizzante della descrizione platonica. Questa ipotesi è con-fermata a mio parere dall'affermazione di Teeteto di avere incontrato spesso individuicome i materialisti descritti dallo straniero.

13 Sui modelli "dossografici" preplatonici utilizzati poi anche da Aristotele, cf. von Kienle1961, 38-57; Mansfeld 1986 [1990b, 22-83].

14 In Metaph. A 5, 987a 3-5 i sostenitori di principi corporei sono in generale "i primi filosofi",in G 5, 1010a 1-3 tutti i presocratici fino ad Omero. In De cael. G 1, 298b 15-26 rientrano in

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Capitolo secondo 63

tori delle forme incorporee del Sofista rimanda invece inequivocabilmentea Platone e ai suoi allievi15.

In alcuni passi Aristotele riprende per intero lo schema del Sofista ri-producendo le argomentazioni degli Accademici contro la concezione delcorpo come sostanza. Sebbene egli non offra chiare indicazioni sull'iden-tità delle dottrine materialiste prese di mira dai sostenitori dei principiincorporei, ci sono tuttavia indizi che rimandano alle tesi atomiste. InMetaph. B 5, sottoponendo a verifica l'affermazione che le sostanze veresono gli enti matematici, Aristotele riproduce le argomentazioni con lequali gli Accademici hanno superato la concezione del corpo come so-stanza.

In quanto a ciò che sembrerebbe indicare in maggior grado la sostanza, cioè l'ac-qua, la terra, il fuoco e l'aria, di cui sono costituiti i corpi composti, le loro affe-zioni, il caldo, il freddo e le altre di tal genere non sono sostanze; come ente e so-stanza permane invece solo il corpo che subisce queste affezioni. Ma il corpo èmeno sostanza della superficie, questa della linea e questa della monade e delpunto; il corpo è infatti delimitato da queste e sembra che queste possano sussi-stere senza il corpo, il corpo invece non possa senza quelle. Perciò i molti e gliantichi erano del parere che il corpo fosse l'ente e la sostanza, le altre cose sue af-fezioni, talché anche i principi dei corpi sarebbero i principi delle cose esistenti; imoderni, invece, che sembrano più sapienti di quelli, hanno posto come principidelle cose esistenti i numeri16.

Le dottrine degli "antichi", che ipotizzano come ousia solo il corpo inquanto tale e che i sostenitori degli enti matematici e dei numeri ritengonodi superare, hanno le caratteristiche tipiche dell'atomismo. E' infatti soloDemocrito fra i predecessori di Platone a porre alla base del mondo sen-sibile semplici corpi privi di affezioni17. Aristotele, con un'ironia di stampo

questa categoria anche Parmenide e Melisso pur avendo essi attribuito ai sensibili caratteri-stiche tipiche degli enti eterni. In Phys. D 6, 213a 19ss. sono gli "uomini comuni" a soste-nere che gli enti veri sono solo corpi.

15 Sulle varie identificazioni degli amici delle forme, cf. Diès 1925, 292 n. 1 e Friedländer III,1975, 476 n. 44.

16 Metaph. B 5, 1001b 32-1002a 12 a} de; mavlist a]n dovxeie shmaivnein oujsivan, u{dwr kai; gh'kai; pu'r kai; ajhvr, ejx w|n ta; suvnqeta swvmata sunevsthke, touvtwn qermovthte" me;n kai; yu-crovthte" kai; ta; toiau'ta pavqh, oujk oujsivai, to; de; sw'ma to; tau'ta peponqo;" movnon uJpo-mevnei wJ" o[n ti kai; oujsiva ti" ou\sa. ajlla; mh;n tov ge sw'ma h|tton oujsiva th'" ejpifaneiva", kai;au{th th'" grammh'", kai; au{th th'" monavdo" kai; th'" stigmh'": touvtoi" ga;r w{ristai to; sw'ma,kai; ta; me;n a[neu swvmato" ejndevcesqai dokei' ei\nai to; de; sw'ma a[neu touvtwn ajduvnaton.diovper oiJ me;n polloi; kai; oiJ provteron th;n oujsivan kai; to; o]n w[ionto to; sw'ma ei\nai ta; de;a[lla touvtou pavqh, w{ste kai; ta;" ajrca;" ta;" tw'n swmavtwn tw'n o[ntwn ei\nai ajrcav": oiJ du{steroi kai; sofwvteroi touvtwn ei\nai dovxante" ajriqmouv".

17 Sulla definizione democritea della "sostanza", cf. Arist. Metaph. M 4, 1078b 19-21 (68 A 36DK; 99, 171 L.), supra, I 2 n. 63; Theophr. ap. Simpl. In de cael. 299a 2, 564,24 (68 A 120DK; 171 L.), infra, 6. 3 n. 137.

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Principi corporei/ incorporei64

platonico18, liquida la presunta superiorità degli Accademici ristabilendo leproporzioni. In un diverso contesto, nel quarto libro del De caelo, il con-fronto fra gli antichi e i moderni, che si conclude con una notazione si-mile, ha come protagonisti atomisti e Accademici: Platone e i suoi allievihanno spiegato la leggerezza e la pesantezza dei corpi composti col fattoche essi sono formati da una quantità più piccola o più grande di triangoli:

Gli uni [Platone e i suoi allievi] hanno dunque definito in questo modo il leggeroe il pesante; ad altri [gli atomisti]19, invece, una definizione di questo genere nonsembrò sufficiente, ma, pur appartenendo ad un'epoca più antica, elaboraronoconcezioni più nuove su quanto ora esposto20.

Anche qui Aristotele sottolinea, sebbene in maniera meno ironica e pun-gente, che le teorie degli atomisti, pur essendo più antiche, sono superioria quelle più recenti degli Accademici. In ambedue i brani, della Metafisica edel De caelo, si ritrova comunque lo spirito dell'aneddoto di Aristosseno:come là il prestigio di Platone, così qui quello dell'Accademia in generalesubisce un duro colpo nel confronto con le dottrine atomiste.

Uno schema ancora più vicino nell'espressione linguistica a quello delSofista si ritrova in Metaph. Z 2. Qui Aristotele nomina espressamente co-loro che ritengono i corpi meno sostanze degli incorporei, e i limiti deicorpi e i numeri come le vere ousiai

Sembra ad alcuni che i limiti del corpo, cioè la superficie, la linea, il punto e lamonade, siano sostanze e ancor più del corpo e del solido. Inoltre gli uni pen-sano che oltre ai sensibili non ci sia nulla di tal genere, gli altri invece ritengonoche ce ne siano di più e che siano più eterni, come Platone, il quale considera chele idee e gli enti matematici siano due sostanze e che la terza sia quella dei corpisensibili. Speusippo, invece, pone un numero ancora maggiore di sostanze, co-minciando dall'uno, e principi per ciascuna sostanza: uno per i numeri, uno per legrandezze e poi per l'anima e, in questo modo, allarga il numero delle sostanze.Alcuni, invece, affermano che le idee e i numeri hanno la stessa natura e che lealtre cose, le linee e le superfici fino alla sostanza dell'universo e agli oggetti sen-sibili, dipendono da queste21.

18 Cf. Pl. Theaet. 180d.19 Che siano gli atomisti risulta chiaro dal seguito, 309a 2ss.20 De cael. D 2, 308b 29 oiJ me;n ou\n tou'ton to;n trovpon peri; kouvfou kai; barevo" diwvrisan: toi'"

d oujc iJkano;n e[doxen ou{tw dielei'n, ajlla; kaivper o[nte" ajrcaiovteroi tai'" hJlikivai" kaino-tevrw" ejnovhsan peri; tw'n nu'n lecqevntwn.

21 Metaph. Z 2, 1028b 16 dokei' dev tisi ta; tou' swvmato" pevrata, oi|on ejpifavneia kai; grammh;kai; stigmh; kai; monav", ei\nai oujsivai, kai; ma'llon h] to; sw'ma kai; to; stereovn. e[ti para; ta;aijsqhta; oiJ me;n oujk oi[ontai ei\nai oujde;n toiou'ton, oiJ de; pleivw kai; ma'llon o[nta ajivdia,w{sper Plavtwn tav te ei[dh kai; ta; maqhmatika; duvo oujsiva", trivthn de; th;n tw'n aijsqhtw'nswmavtwn oujsivan, Speuvsippo" de; kai; pleivou" oujsiva" ajpo; tou' eJno;" ajrxavmeno", kai; ajrca;"eJkavsth" oujsiva", a[llhn me;n ajriqmw'n a[llhn de; megeqw'n, e[peita yuch'": kai; tou'ton dh; to;ntrovpon ejpekteivnei ta;" oujsiva". e[nioi de; ta; me;n ei[dh kai; tou;" ajriqmou;" th;n aujth;n e[cein

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Capitolo secondo 65

Anche qui Platone, Speusippo e Senocrate (il sostenitore delle idee-nu-mero) partono dal confronto con coloro che pongono le sostanze neisensibili per sviluppare poi una gerarchia degli incorporei fino ai principi.Rispetto al brano precedente della Metafisica qui i Platonici sottolineanoche le loro sostanze sono "più eterne" dei corpi. Questo stesso dibattitosulle sostanze eterne si avverte in sottofondo nel resoconto aristotelico suDemocrito riportato da Simplicio. Aristotele esordisce infatti spiegandoche Democrito avrebbe individuato "la natura delle cose eterne" in "pic-cole sostanze"22. I principi atomistici vengono qui inquadrati in un dibat-tito più ampio sulla natura delle sostanze eterne (corpi privi di affezioni oincorporei?) già inscenato nella gigantomachia del Sofista e rappresentatocon attori più definiti nei passi della Metafisica analizzati sopra. Se Aristo-tele, riprende la diaphonia del Sofista, facendo intravvedere una contrappo-sizione degli Accademici agli atomisti, è possibile che la critica degli "amicidelle forme incorporee" cui Platone allude, si sia concentrata ad un certopunto, negli ultimi anni di vita del maestro, specificamente contro questiultimi. Nel clima di rivalità fra l'Accademia e il Peripato non stupisce cheproprio quelle tesi che gli allievi di Platone ritenevano superate dalla dot-trina dei principi incorporei, fossero invece da Aristotele considerate net-tamente superiori e utilizzate per minare il prestigio dei Platonici. Neibrani della Metafisica aristotelica si lasciano comunque intravvedere gliindizi di una critica agli atomisti che Sesto Empirico, nel decimo libroContro i Matematici, attribuisce ai "figli dei Pitagorici" (gli Accademici ap-punto) e che verrà esaminata più oltre.

3. Platone e Democrito in Teofrasto

Teofrasto nel De sensibus riprende dei concetti aristotelici, ma mantiene ilparallelo Platone/ Democrito su un piano di neutralità. Essi sarebbero gliunici ad aver affrontato il problema della definizione della natura dei sen-sibili nel modo più ampio e ad averli trattati individualmente. Platone perònon avrebbe negato loro una physis, mentre Democrito ne avrebbe fattodelle semplici affezioni della sensazione23. Ambedue avrebbero comunquedisatteso le loro premesse elaborando in pratica delle tesi opposte ai loro

fasi; fuvsin, ta; de; a[lla ejcovmena, gramma;" kai; ejpivpeda, mevcri pro;" th;n tou' oujranou'oujsivan kai; ta; aijsqhtav.

22 Fr. 208 Rose (Simpl. In De cael. 279 b 12, 295,1-2) (68 A 37 DK; 172 L.) Dhmovkrito"hJgei'tai th;n tw'n ajidivwn fuvsin ei\nai mikra;" oujsiva" plhvqo" ajpeivrou".

23 De sens. 60 (68 A 135 DK; 71 L.) Dhmovkrito" kai; Plavtwn ejpi; plei'stovn eijsin hJmmevnoi,kaq e{kaston ga;r ajforivzousi: plh;n oJ me;n oujk ajposterw'n tw'n aijsqhtw'n th;n fuvsin,Dhmovkrito" de; pavnta pavqh th'" aijsqhvsew" poiw'n.

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Principi corporei/ incorporei66

scopi. In questa maniera Teofrasto pone sullo stesso piano le loro dottrinee le accomuna nella critica. Altrove egli accennava, sulla scia di Aristotele,a coloro che, considerando semplici affezioni le quattro qualità fonda-mentali, proseguivano la ricerca al di là di queste fino alle cause prime24.Platone è il primo referente, ma Democrito, che aveva cercato di definire"la sostanza del caldo e del freddo"25, veniva in una certa misura inglobatonello schema. Teofrasto riteneva tuttavia superfluo ricercare la causa diquesti fenomeni fisici e, altrove, criticava proprio per questo Platone so-stenendo che è ridicolo domandarsi perché il fuoco brucia e la neve raf-fredda26. Lo schema teofrasteo nel quale Platone e Democrito vengonoposti in maniera neutrale sullo stesso piano e criticati conseguentementeper aver ricercato ulteriori cause delle qualità fondamentali determina poigran parte della tradizione posteriore.

Il quadro finora delineato, soprattutto attraverso Aristotele, con ri-scontri nei testi platonici e con uno sguardo alla posizione di Teofrasto cioffre dunque sostanzialmente tre modelli di confronto fra Platone/ Acca-demici e gli atomisti.

1. Lo schema apertamente polemico di Aristotele che vede in Platonee negli Accademici coloro che trattano la fisica coi logoi e assumono quindiprincipi inadeguati per quest'ambito. Egli utilizza all'occasione le dottrineatomiste in funzione antiplatonica e antiaccademica sottolineandone lasuperiorità nel campo della ricerca fisica. Il confronto verte comunqueprincipalmente sulle dottrine del Timeo reinterpretate dagli allievi e, inmisura minore, su quella delle idee-numero. L'utilizzazione polemica delleteorie atomiste contro Platone e gli Accademici da parte di Aristotele vainquadrata nel contesto più vasto della concorrenza fra le due scuole:dall'altra parte probabilmente, come si può dedurre dagli accenni aristote-lici stessi, gli Accademici cercavano di dimostrare la superiorità delle lorotesi su tutte quelle che ponevano principi corporei, in particolare l'atomi-smo.

2. Il secondo modello di confronto consiste nell'opposizione criticadegli Accademici a tutte le dottrine materialiste, già adombrata nella gi-gantomachia del Sofista. L'atomismo, in particolare, che poneva il corpo in

24 Theophr. De igne 7-8 ajlla; ga;r tau'ta e[oiken eij" meivzw tina; skevyin ejkfevrein hJma'" tw'nuJpokeimevnwn, h} zhtei' ta;" prwvta" aijtiva". faivnetai ga;r ou{tw lambavnousi to; qermo;n kai;to; yucro;n w{sper pavqh tinw'n ei\nai kai; oujk ajrcai; kai; dunavmei".

25 Arist. Metaph. M 4, 1078b 19-21 (68 A 36 DK; 99, 171 L.), supra, I 2 n. 63; per l'opinione diTeofrasto, cf. Simpl. In De cael. 299a 2, 564,24, infra, n. 137.

26 Theophr. Fr. 159 FHS&G (Procl. In Tim. II,120,18-22) toiau'ta me;n oJ Qeovfrasto" ejpiti-ma'i tw'i Plavtwni peri; th'sde th'" yucogoniva", oujde; ejpi; tw'n fusikw'n pavntwn levgwn dei'nhJma'" ejpizhtei'n to; dia; tiv: geloi'on gavr fhsin ajporei'n, dia; tiv kaivei to; pu'r kai; dia; tiv yuvceihJ ciwvn.

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sé privo di qualità a fondamento del mondo fisico, doveva essere ad uncerto punto diventato l'obiettivo principale per chi, invece, non si fer-mava, ma procedeva nella ricerca fino alle sostanze incorporee, ai numerie ai principi ultimi, uno e diade indefinita. In questo contesto, il termine diconfronto non era solo il Timeo, ovviamente reinterpretato, ma anche esoprattutto la dottrina dei primi principi. Questo schema oppositivo, cheriproduce quello del Sofista platonico, è presupposto in alcuni passi dellaMetafisica aristotelica.

3. Un paragone sostanzialmente neutro, quello di Teofrasto, che si ri-chiama in parte ad Aristotele, ma senza le sue punte polemiche, e cerca diconfrontare a livello tipologico gli atomisti e Platone in particolare sulproblema dei fondamenti delle qualità elementari prendendo in considera-zione soprattutto la dottrina del Timeo.

Il modello di confronto polemico aristotelico, fuori dall'ambito dellediscussioni a lui contemporanee e soprattutto a causa dell'enorme influssodel platonismo non poteva ovviamente essere assunto nella tradizioneposteriore. Esso poteva semmai valere limitatamente a singole osserva-zioni critiche e sembra essere stato utilizzato in questo modo da Epicuro edalla sua scuola27. Nella tradizione tarda che riporta notizie sui principi diDemocrito e di Platone ha prevalso, per ovvi motivi, il modello neutroteofrasteo anche perché Teofrasto costituiva il principale punto di riferi-mento per la dossografia antica.

La polemica di segno opposto a quella aristotelica, quella cioè degliAccademici contro gli atomisti, emerge invece in un brano del decimolibro Contro i Matematici di Sesto Empirico. Esso si discosta, non solo per ilsuo carattere dialettico, ma anche per il contenuto (confronto fra atomi-smo e dottrina dei principi), dagli altri resoconti tardi facenti capo allatipologia teofrastea di parallelismo neutro fra l'atomismo e la geometriadel Timeo e restituisce probabilmente quel nucleo di discussione sull'ato-mismo antico nell'Accademia di cui sono rimaste solo labili tracce nell'o-pera aristotelica.

Qui di seguito il brano di Sesto verrà trattato dettagliatamente e con-frontato con il resto della tradizione tarda facente capo al modello teofra-steo e ai suoi intermediari. Si potrà quindi cominciare a precisare entroquali binari si muove la tradizione sull'atomismo antico fuori dai testifondamentali di Aristotele e Teofrasto, un lavoro necessario anche peroperare un distinguo fra notizie di autori tardi di varia provenienza e valoreche non hanno certamente attinto agli originali.

27 Cf. su questo punto, infra, VI 3. 1.

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4. La tradizione "diafonica". Accademici contro atomisti inSesto Empirico Adv. Math. 10,248-262 (121 L.)

Adv. Math. 10,248-262 costituisce un testo fondamentale per ricostruireun'eventuale discussione dell'atomismo nell'Accademia. Si tratta di unpasso molto discusso, non solo per il suo valore di testimonianza sulladottrina accademica, ma anche per i vari problemi che esso pone. Il primoè un problema di attribuzione: il brano si riferisce alle lezioni platonicheSul bene o piuttosto alle interpretazioni che ne davano gli allievi? Il se-condo, quello che in questo contesto interessa più da vicino, riguardal'autenticità della polemica dei cosiddetti Pitagorici contro gli atomisti: sitratta solo di una ricostruzione a posteriori o ha un valore anche storico?Il terzo punto, il più controverso, riguarda la fonte del brano di Sesto.

Prima di affrontare l'analisi del brano è opportuno premettere undettaglio importante spesso trascurato e cioè che Sesto ne fornisce unaredazione parallela e riassuntiva negli Schizzi Pirroniani (3,151ss.). In questaversione, di stile tipicamente dossografico, mancano sia l'esposizione det-tagliata delle varie teorie che i riferimenti a polemiche dirette. Attraverso ilconfronto dei due passi è possibile perciò stabilire quali sono i punti dellaredazione originale della fonte che Sesto ha mantenuto nel resocontoprincipale, ma che ha giudicato poi non essenziali nella redazione riassun-tiva.

Il resoconto di Sesto si presenta piuttosto articolato. Molto probabil-mente la sua fonte aveva attinto a sua volta a più fonti, come indica lostacco fra i paragrafi 262 e 26328. Nei paragrafi che seguono, vengonoinfatti esposte altre versioni di dottrine accademiche: quella delle catego-rie, quale si ritrova anche in Ermodoro, diretto allievo di Platone29, e laversione manualistica, canonica negli autori tardi e di probabile prove-nienza posidoniana30, della derivazione del tutto dai numeri. Per il temaqui trattato sono però rilevanti i paragrafi 248-262 in quanto sono gli unicia riportare una diaphonia dei Pitagorici (Accademici) con gli atomisti nellaricerca dei principi. L'excursus sui numeri in cui questa compare viene in-

28 Sext. Emp. Adv. Math. 10,262s. kai; o{ti tai'" ajlhqeivai" au|taiv eijsin tw'n o{lwn ajrcaiv,poikivlw" oiJ Puqagorikoi; didavskousin.

29 Cf. Hermod. Fr. 7 IP. Per i rapporti fra i due testi, cf. Heinze 1892, 38ss.; Wilpert 1941,230; De Vogel 1949, 205ss.; Theiler 1964, 92; Krämer 1959, 284; Isnardi Parente 1979,108s.; 1982 440s.

30 Cf. Burkert 1972, 54ss. La teoria della rJuvsi" del punto riportata nei § 281-283 era statacomunque per lo meno sicuramente trattata e difesa anche da Eratostene (Sext. Emp. Adv.Math. 3,28). Cf. Isnardi Parente 1992, 159-163.

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trodotto nella discussione sul tema del tempo trattato poco prima perché,come osserva Sesto, è con i numeri che si misura il tempo31.

Egli passa poi ad una considerazione generale sull'importanza dei nu-meri nella fisica dei "Pitagorici"

Dopo aver portato a termine l'esame di quel tema [il tempo], riteniamo oppor-tuno fare un resoconto anche su questo [il numero], soprattutto perché i più sa-pienti fra i fisici hanno attribuito ai numeri una tale importanza da farne i principie gli elementi di tutte le cose. Costoro sono i seguaci di Pitagora di Samo. Quelliche filosofano veramente —essi dicono— sono simili a quelli che studiano il di-scorso. Come infatti questi ultimi esaminano prima le parole (infatti il discorso ècomposto da parole) e, poiché le parole sono composte da sillabe, esaminanoprima ancora le sillabe, siccome però le sillabe si risolvono nelle lettere della lin-gua scritta, studiano ancor prima queste ultime, così —dicono i Pitagorici— iveri fisici, quando ricercano i principi del tutto, devono in primo luogo esaminarein quali elementi il tutto si scompone32.

Carattere distintivo di questa introduzione è la definizione dei Pitagoricicome "i più sapienti fra i fisici" che non si ritrova in nessun altro dei passiparalleli di Sesto, né in Pyrrh. hyp. 3,151, né in Adv. Math. 7,93ss., né inAdv. Math. 4,2ss. né è corrente nella tradizione tarda anche di ascendenzaneopitagorica. Questo giudizio, che riecheggia in certo modo quello delFilebo (16c-e) sui saggi antichi che hanno elaborato la dottrina dei numericome intermedi fra l'uno e l'infinito, risale dunque ad un ambito platonicoche si poneva come alternativo alla concezione aristotelica del fisico: imigliori fisici non sono quelli che si occupano dei fenomeni, ma quelli chehanno scomposto il tutto fino ai suoi principi ultimi, i numeri. Di ascen-denza platonica, sebbene mediata, è anche l'analisi grammaticale comemodello della scomposizione del mondo fino agli elementi primi33.

Di ben altro tenore è l'introduzione parallela di Pyrrh. hyp. 3,151. Quisi passa ex abrupto dalla dichiarazione che l'estremismo dei dogmatici suinumeri ha sollevato le critiche degli scettici, al semplice accenno al fatto

31 Adv. Math. 10,248.32 Adv. Math. 10,248 kalw'" e[cein hJgouvmeqa meta; th;n proanusqei'san hJmi'n peri; ejkeivnou

zhvthsin kai; to;n peri; touvtou diaqevsqai lovgon, kai; mavlisq o{ti oiJ ejpisthmonevstatoi tw'nfusikw'n ou{tw megavlhn duvnamin toi'" ajriqmoi'" ajpevneiman, w{ste ajrca;" kai; stoicei'a tw'no{lwn touvtou" nomivzein. ou|toi dev eijsin oiJ peri; to;n Savmion Puqagovran. ejoikevnai ga;rlevgousi tou;" filosofou'nta" gnhsivw" toi'" peri; lovgon ponoumevnoi". wJ" ga;r ou|toi prw'tonta;" levxei" ejxetavzousin (ejk levxewn ga;r oJ lovgo"), kai; ejpei; ejk sullabw'n aiJ levxei",prw'ton skevptontai ta;" sullabav", kai; ejpei; ejk sullabw'n ta; stoicei'a th'" ejggrammavtoufwnh'" ajnaluomevnwn, peri; ejkeivnwn prw'ton ejreunw'sin, ou{tw dei'n fasin oiJ peri; Puqa-govran tou;" o[ntw" fusikouv", ta; peri; tou' panto;" ejreunw'nta", ejn prwvtoi" ejxetavzein eij"tivna to; pa'n lambavnei th;n ajnavlusin. Cf. anche Moderat. ap. Porph. V. P. 48s.

33 Cf. e.g. Pl. Pol. 278d; Theaet. 201ess.; Ti. 48b e Wilpert 1949, 129ss.

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che i Pitagorici hanno considerato elementi i numeri34. Manca sia l'enco-mio di questi ultimi, sia la parte giustificativa del loro metodo, e cioè ilparallelismo con l'analisi del discorso.

In Adv. Math. 10,250 Sesto espone poi l'argomentazione dei Pitagoricia favore della loro tesi

E' dunque in certo modo contrario alla fisica sostenere che il principio di tutte lecose è visibile: infatti ogni cosa visibile deve essere composta da invisibili, ma ciòche è composto da qualcosa non è principio, lo è invece ciò da cui quello è com-posto. Per questo non bisogna affermare che ciò che appare è principio di tutte lecose, ma che lo sono le componenti di ciò che appare, le quali, però, non sonopiù visibili. Perciò [i Pitagorici] hanno posto come principi delle cose esistenti deiprincipi non evidenti e invisibili e in maniera differenziata35.

Qui si intravvede l'intervento dello scettico (Sesto o la sua fonte) inquanto manca sostanzialmente una dimostrazione del fatto che i fenomenisono composti. Il tutto viene presentato tendenziosamente come unaipotesi. Nei tropi scettici la considerazione delle dottrine dogmatichecome semplici ipotesi riveste una funzione fondamentale36. Proprio questaargomentazione è l'unica dell'introduzione ad essere riportata nella ver-sione parallela di Pyrrh. hyp. 3,152 dove invece è caduto tutto il resto37.

Nel brano di Adversus Mathematicos segue poi il passo che interessa piùda vicino e cioè la diffusa critica alle dottrine atomiste e corpuscolariste lequali hanno posto come principi sì degli invisibili, ma pur sempre deicorpi

Infatti quelli che hanno affermato che gli atomi o le omeomerie o le "masse" o,in generale, i corpi intellegibili sono i principi di tutte le cose esistenti, per unverso hanno visto giusto, per l'altro invece hanno sbagliato. Infatti, in quanto ri-tengono che i principi siano invisibili, procedono come si conviene, in quantoperò li pongono come corporei, sbagliano. Come infatti i corpi intellegibili e invi-sibili precedono i corpi sensibili, così anche gli incorporei devono essere principidei corpi intellegibili. E questo è logico: come infatti gli elementi della parola non

34 Sext. Emp. Pyrrh. hyp. 3,151 ejpei; oJ crovno" dokei' mh; a[neu ajriqmou' qewrei'sqai, oujk a]n ei[ha[topon kai; peri; ajriqmou' braceva diexelqei'n. o{son me;n ga;r ejpi; th'i sunhqeivai kai; ajdo-xavstw" ajriqmei'n tiv famen kai; ajriqmo;n ei\naiv ti ajkouvomen: hJ de; tw'n dogmatikw'n perier-giva kai; to;n kata; touvtou kekivnhke lovgon. aujtivka gou'n oiJ ajpo; tou' Puqagovrou kai; stoi-cei'a tou' kovsmou tou;" ajriqmou;" ei\nai levgousin.

35 Adv. Math. 10,250s. to; me;n ou\n fainomevnhn ei\nai levgein th;n tw'n o{lwn ajrch;n ajfusikovnpw" ejstivn: pa'n ga;r to; fainovmenon ejx ajfanw'n ojfeivlei sunivstasqai, to; d e[k tinwn su-nestw;" oujk e[stin ajrchv, ajlla; to; ejkeivnou aujtou' sustatikovn. o{qen kai; ta; fainovmena oujrJhtevon ajrca;" ei\nai tw'n o{lwn, ajlla; ta; sustatika; tw'n fainomevnwn, a{per oujkevti h\n fai-novmena. toivnun ajdhvlou" kai; ajfanei'" uJpevqento ta;" tw'n o[ntwn ajrcav" kai; ouj koinw'".

36 L'assegnazione ai dogmatici di un passaggio non motivato dai fenomeni alle loro causenascoste è un procedimento tipico anche dei medici empirici, cf. Gal. De exper. med. 24,3,133s.; 25,2, 136 Walzer.

37 Pyrrh. hyp. 3,152 fasi; gou'n, o{ti ta; fainovmena e[k tino" sunevsthken, aJpla' de; ei\nai dei' ta;stoicei'a: a[dhla a[ra ejsti; ta; stoicei'a.

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Capitolo secondo 71

sono parole, così anche gli elementi del corpo non sono corpi; ma devono essereo corpi o incorporei, perciò certamente sono incorporei. E non è ammissibiledire che gli atomi si trovano ad essere eterni e che, per questo, essi possono es-sere principi di tutto pur essendo corporei. In primo luogo, infatti, anche coloroche assumono come elementi le omeomerie e le "masse" e i minimi privi di partiassegnano loro una esistenza eterna, talché gli atomi non sono più elementi diquesti. Secondariamente, si ammetta pure che gli atomi siano veramente eterni;tuttavia, come coloro che ammettono che il cosmo sia ingenerato ed eterno, nondi meno ricercano con la mente i primi principi che lo compongono, così anchenoi, dicono i fisici Pitagorici, cerchiamo con la mente da quali principi sonocomposti questi corpi eterni e visibili con la ragione. Dunque le loro componentisaranno o corpi o incorporei. Ma non potremmo dire che sono corpi, poiché bi-sognerebbe porre come componenti di quelli dei corpi e così, procedendo lamente all'infinito, il tutto sarebbe privo di principio38.

Questo brano, al di là dei rimaneggiamenti, contiene le linee generali diquella che doveva essere una argomentazione originaria dei "Pitagorici".Essi partivano dalla critica a coloro che ponevano principi corporei (esat-tamente come gli Accademici di Aristotele), fossero essi pure invisibili,sottolineando come l'eternità da loro attribuita a tali corpi fosse solo appa-rente (in Aristotele Platone e i suoi allievi sottolineano che i loro principisono "più eterni" dei corpi39). La vera eternità e i veri principi si trovanoinfatti negli incorporei cui si arriva attraverso un procedimento mentale(kat ejpivnoian). Se inizialmente l'argomentazione sembra rivolta controtutte le dottrine atomiste e corpuscolariste, nella seconda parte è peròinequivocabilmente diretta contro gli atomisti che hanno posto gli atomicorporei come sostanze eterne. I Pitagorici-Accademici prendono le di-stanze da questi ultimi utilizzando un tipico argomento dialettico basato

38 Adv. Math. 10,252-256 oiJ ga;r ajtovmou" eijpovnte" h] oJmoiomereiva" h] o[gkou" h] koinw'" nohta;swvmata pavntwn tw'n o[ntwn a[rcein ph'i me;n katwvrqwsan, ph'i de; dievpeson. h|i me;n ga;rajdhvlou" ei\nai nomivzousin ta;" ajrcav", deovntw" ajnastrevfontai, h|i de; swmatika;" uJpo-tivqentai tauvta", diapivptousin. wJ" ga;r tw'n aijsqhtw'n swmavtwn prohgei'tai ta; nohta; kai;a[dhla swvmata, ou{tw kai; tw'n nohtw'n swmavtwn a[rcein dei' ta; ajswvmata. kai; kata; lovgon:wJ" ga;r ta; th'" levxew" stoicei'a oujk eijsi; levxei", ou{tw kai; ta; tw'n swmavtwn stoicei'a oujke[sti swvmata: h[toi de; swvmata ojfeivlei tugcavnein h] ajswvmata: dio; pavntw" ejsti;n ajswvmata.kai; mh;n oujde; e[nesti favnai, o{ti aijwnivou" sumbevbhken ei\nai ta;" ajtovmou", kai; dia; tou'toduvnasqai swmatika;" ou[sa" tw'n o{lwn a[rcein. prw'ton me;n ga;r kai; oiJ ta;" oJmoiomereiva"kai; oiJ tou;" o[gkou" kai; oiJ ta; ejlavcista kai; ajmerh' levgonte" ei\nai stoicei'a aijwvnion ajpo-leivpousi touvtwn th;n uJpovstasin, w{ste mh; ma'llon ta;" ajtovmou" h] tau't ei\nai stoicei'a.ei\ta kai; dedovsqw tai'" ajlhqeivai" aijwnivou" ei\nai ta;" ajtovmou": ajll o}n trovpon oiJajgevnhton kai; aijwvnion ajpoleivponte" to;n kovsmon oujde;n h|tton pro;" ejpivnoian zhtou'si ta;"prw'ton susthsamevna" aujto;n ajrcav", ou{tw kai; hJmei'", fasi;n oiJ Puqagorikoi; tw'n fusikw'nfilosovfwn, kat ejpivnoian skeptovmeqa to; ejk tivnwn ta; aijwvnia tau'ta kai; lovgwi qewrhta;sunevsthke swvmata. h[toi ou\n swvmatav ejsti ta; sustatika; aujtw'n h] ajswvmata. kai; swvmatame;n oujk a]n ei[paimen, ejpei; dehvsei kajkeivnwn swvmata levgein ei\nai sustatika; kai; ou{tw"eij" a[peiron probainouvsh" th'" ejpinoiva" a[narcon givnesqai to; pa'n.

39 Metaph. Z 2, 1028b 16ss., v. supra, n. 21.

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Principi corporei/ incorporei72

sulla scomposizione mentale dei composti nelle loro costituenti più sem-plici. Come i sostenitori delle idee nel Sofista, essi "fanno in briciole neilogoi" i corpi dei loro avversari e dimostrano che questi non sono veresostanze eterne, in quanto mentalmente possono sempre essere scompostiin altri corpi in una infinita progressione che priva il tutto di un principioe di un ordine (a[narcon givnesqai to; pa'n). E' un'immagine parallela a quelladella molteplicità senza l'uno fatta balenare da Platone nel Parmenide eriemergente anche nelle presunte critiche degli Eleati ai pluralisti in Degeneratione et corruptione A 8 di cui si parlerà nel terzo capitolo40.

Nel resoconto parallelo di Sesto in Pyrrh. hyp. 3,152 manca sia la criticaagli atomisti sia la conseguente spiegazione della sottrazione kat ejpivnoianfino ai principi e rimane solo l'opposizione rigidamente binaria fra corpo-reo e incorporeo nella forma tipica anche di altri passi dossografici diSesto e in generale di una certa tradizione sui principi: degli invisibili al-cuni sono corporei (atomi, o[gkoi), altri incorporei (figure, idee, numeri).

Il brano di Sesto non riproduce comunque alla lettera il discorso deiPitagorici-Accademici come è evidente sia dallo stile che dagli incisi sparsiqua e là. Uno di questi è il richiamo ad Epicuro al paragrafo 257. I "Pita-gorici" concludono infatti la loro argomentazione contro i principi corpo-rei ribadendo che l'unica possibile soluzione rimane quella di cercare deiprincipi incorporei. A questo punto viene introdotta la seguente osserva-zione completamente anacronistica in un discorso fatto da Pitagorici-Ac-cademici:

Cosa che anche Epicuro ha ammesso, dicendo che il corpo è concepito per ag-gregazione di figura, grandezza, solidità e peso41.

La proposizione relativa e per di più espressa all'aoristo segnala comunqueche si tratta di un inciso42. Il discorso dei Pitagorici-Accademici è infatticondotto tutto al presente.

Che dunque i principi dei corpi visibili solo col pensiero debbanoessere degli incorporei è evidente, continua il testo, ma il solo fatto diessere incorporei non li qualifica automaticamente come principi. Infattianche Platone ha riconosciuto che le idee, pur essendo incorporee epreesistenti ai corpi, che si generano secondo il loro modello, non sonoprincipi in quanto ciascuna idea presa in sé è uno, ma in combinazione

40 V. infra, III 2. 2. 2 e n. 56 per il testo di Parm. 165a-b.41 Adv. Math. 10,257 o{per kai; Epivkouro" wJmolovghse, fhvsa" kata; ajqroismo;n schvmatov" te

kai; megevqou" kai; ajntitupiva" kai; bavrou" to; sw'ma nenoh'sqai.42 Si tratta di una definizione di corpo variamente utilizzata da Sesto: in Adv. Math. 10,240

viene riportata ancora come epicurea e confutata, in Pyrrh. hyp. 3,152 viene invece intro-dotta come definizione generale di corpo come ajqroismov" di accidenti incorporei, in Adv.Math. 9,367 ricompare come tesi dei "Matematici".

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Capitolo secondo 73

con altre è due, tre o quattro; dunque esse sono governate dal numero43.Nel resoconto parallelo degli Schizzi pirroniani mancano completamente leosservazioni su Platone, le quali quindi risalgono con molta probabilità altesto originario dei cosiddetti Pitagorici. Se Alessandro sosteneva cheAristotele, nel Peri; tajgaqou', attribuiva a Platone il superamento delladottrina delle idee verso i principi, uno e diade, Simplicio faceva risalirequesta notizia non solo al libello aristotelico, ma anche alle altre redazionidella lezione platonica sia di Speusippo che di Senocrate e di altri allievi44.Dunque questo passaggio dalle idee al numero si integra perfettamentecon l'ipotesi dell'utilizzazione di uno scritto degli allievi di Platone da partedella tradizione cui la fonte di Sesto si richiama45.

Dopo l'accenno alla teoria platonica delle idee, i Pitagorici-Accademiciprocedono ad esporre il passaggio dai corpi agli elementi incorporei finoai principi primi, l'uno e la diade indefinita:

e le figure solide, che hanno una natura incorporea, vengono pensate prima deicorpi, ma ancora non sono i principi di tutte le cose; infatti nella rappresenta-zione mentale vengono prima le superfici poiché i solidi sono formati da queste.Ma neppure le superfici possono essere poste come principi di tutte le cose; in-fatti ciascuna di esse a sua volta è composta da elementi che la precedono, le li-nee, e le linee hanno come presupposti i numeri in quanto la figura composta ditre linee si chiama triangolo e quella composta di quattro quadrangolo. E poichéla semplice linea non viene pensata senza il numero, ma, condotta da un puntoall'altro, segue il due e tutti i numeri cadono anch'essi sotto l'uno (infatti la diadeè una diade e anche la triade è un uno e la decade è una somma di numeri). Pren-dendo le mosse da queste considerazioni, Pitagora ha posto come principio dellecose esistenti la monade per partecipazione alla quale ciascuna delle cose esistentisi dice uno. E questa, pensata secondo l'identità con se stessa, viene pensatacome monade, aggiunta a se stessa secondo la diversità, costituisce la cosiddettadiade indefinita in quanto non è nessuna delle diadi numerabili e definite, matutte vengono pensate come tali per partecipazione a questa. Dunque due sono iprincipi degli esseri: la prima monade, per partecipazione alla quale tutte le mo-

43 Adv. Math. 10,258 h[dh de; oujk ei[ tina proufevsthke tw'n swmavtwn ajswvmata, tau't ejxajnavgkh" stoicei'av ejsti tw'n o[ntwn kai; prw'taiv tine" ajrcaiv. ijdou; ga;r kai; aiJ ijdevai ajswvma-toi ou\sai kata; to;n Plavtwna proufesta'si tw'n swmavtwn, kai; e{kaston tw'n ginomevnwnpro;" aujta;" givnetai: ajll ou[k eijsi tw'n o[ntwn ajrcaiv, ejpeivper eJkavsth ijdeva kat ijdivan me;nlambanomevnh e}n ei\nai levgetai, kata; suvllhyin de; eJtevra" h] a[llwn duvo kai; trei'" kai;tevssare", w{ste ei\naiv ti ejpanabebhko;" aujtw'n th'" uJpostavsew", to;n ajriqmovn, ou| kata; me-toch;n to; e}n h] ta; duvo h] ta; triva h] ta; touvtwn e[ti pleivona ejpikathgorei'tai aujtw'n.

44 Xenocr. Fr. 98 IP (Simpl. In Phys. 187a 12, 151,6-11).45 Gaiser 1968b, 66 emargina la notizia su Platone come aggiunta ellenistica. Se fosse tale,

non si capisce perché non dovrebbe comparire, per lo meno in accenno, anche nella ver-sione degli Schizzi pirroniani.

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nadi numerabili sono pensate come monadi, e la diade indefinita, per partecipa-zione alla quale le diadi definite sono diadi46.

Il resoconto è qui in alcuni punti sicuramente distorto in quanto la tetradenella dottrina delle idee-numero non ha come corrispettivo geometrico ilquadrangolo, ma la piramide e c'è una confusione fra la diade come primodei numeri e la diade-principio (v. infra), ma il procedimento di sottrazionedal corpo alla linea riproduce quello che si trova anche in altre testimo-nianze sulla dottrina delle idee-numero. Nel resoconto degli Schizzi ven-gono assunti come principi incorporei, in sequenza, le figure, le idee e inumeri47 senza alcun accenno al metodo di sottrazione, come se si trat-tasse di entità a sé stanti.

4. 1. Autenticità della polemica antiatomista nell'excursus di Sesto

Tra gli anni quaranta e cinquanta Paul Wilpert, nella sua opera di raccoltadi testimonianze sulla dottrina non scritta di Platone, aveva creduto diindividuare in questo brano di Sesto Empirico un frammento delle lezioniSul bene di Platone e ipotizzato conseguentemente una opposizione diquest'ultimo a Democrito48. In seguito, tuttavia, anche chi ha riconosciuto

46 Adv. Math. 10,259-262 kai; ta; sterea; schvmata proepinoei'tai tw'n swmavtwn, ajswvmatone[conta th;n fuvsin: ajll ajnavpalin oujk a[rcei tw'n pavntwn: proavgei ga;r kai; touvtwn kata;th;n ejpivnoian ta; ejpivpeda schvmata dia; to; ejx ejkeivnwn ta; sterea; sunivstasqai. ajlla; me;noujde; ta; ejpivpeda schvmata qeivh ti" a]n tw'n o[ntwn stoicei'a: e{kaston ga;r aujtw'n pavlin ejkproagovntwn suntivqetai tw'n grammw'n, kai; aiJ grammai; proepinooumevnou" e[cousi tou;"ajriqmouv", parovson to; me;n ejk tw'n triw'n grammw'n trivgwnon kalei'tai kai; to; ejk tessavrwntetravgwnon. kai; ejpei; hJ aJplh' grammh; ouj cwri;" ajriqmou' nenovhtai, ajll ajpo; shmeivou ejpi;shmei'on ajgomevnh e[cetai tw'n duei'n, oi{ te ajriqmoi; pavnte" kai; aujtoi; uJpo; to; e}n peptwvkasin(kai; ga;r hJ dua;" miva ti" ejsti; duav", kai; hJ tria;" e{n ti ejstiv, triav", kai; hJ deka;" e}n ajriqmou'kefavlaion), e[nqen kinhqei;" oJ Puqagovra" ajrch;n e[fhsen ei\nai tw'n o[ntwn th;n monavda, h|"kata; metoch;n e{kaston tw'n o[ntwn e}n levgetai: kai; tauvthn kat aujtovthta me;n eJauth'" no-oumevnhn monavda noei'sqai, ejpisunteqei'san d eJauth'i kaq eJterovthta ajpotelei'n th;n ka-loumevnhn ajovriston duavda dia; to; mhdemivan tw'n ajriqmhtw'n kai; wJrismevnwn duavdwn ei\naiªth;n secl. Heintzº aujthvn, pavsa" de; kata; metoch;n aujth'" duavda" nenoh'sqai, kaqw;" kai; ejpi;th'" monavdo" ejlevgcousin: duvo ou\n tw'n o[ntwn ajrcaiv, h{ te prwvth monav", h|" kata; metoch;npa'sai aiJ ajriqmhtai; monavde" noou'ntai monavde", kai; hJ ajovristo" duav", h|" kata; metoch;n aiJwJrismevnai duavde" eijsi; duavde".

47 Pyrrh. hyp. 3,152 tw'n de; ajdhvlwn ta; mevn ejsti swvmata, wJ" aiJ a[tomoi kai; oiJ o[gkoi, ta; de;ajswvmata, wJ" schvmata kai; ijdevai kai; ajriqmoiv. w|n ta; me;n swvmatav ejsti suvnqeta, sunestw'tae[k te mhvkou" kai; plavtou" kai; bavqou" kai; ajntitupiva" h] kai; bavrou". ouj movnon a[ra a[dhlaajlla; kai; ajswvvmatav ejsti ta; stoicei'a. ajlla; kai; tw'n ajswmavtwn e{kaston ejpiqewrouvmenone[cei to;n ajriqmovn: h] ga;r e{n ejstin h] duvo h] pleivw. di w|n sunavgetai o{ti ta; stoicei'a tw'no[ntwn eijsi;n oiJ a[dhloi kai; ajswvmatoi kai; pa'sin ejpiqewrouvmenoi ajriqmoiv. kai; oujc aJplw'",ajll h{ te mona;" kai; hJ kata; ejpisuvnqesin th'" monavdo" ginomevnh ajovristo" duav", h|" kata;metousivan aiJ kata; mevro" givgnontai duavde" duavde".

48 Wilpert 1941, 229-248; 1949, 128ss.; 1950, 49-66.

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nel brano la presenza di un nucleo di dottrina platonica, ha avanzatodubbi sulla sua originalità globale. Già Jaeger, recensendo il lavoro di Wil-pert, aveva richiamato l'attenzione sulla terminologia ellenistica di varipunti del brano e sugli evidenti interventi della fonte o delle fonti inter-medie. Tra questi Jaeger annoverava anche la diaphonia fra "Pitagorici" eatomisti considerandola una ricostruzione a posteriori49. Gaiser, che nelvolume Platons ungeschriebene Lehre la accettava come parte del resocontooriginale concordando con Wilpert sull'ipotesi di una diretta critica plato-nica all'atomismo50, diviene poi più cauto nello studio particolare dedicatoa questo brano. Come altri dopo Jäger, anch'egli inclina a considerare ilnucleo che illustra la diaphonia un inserimento in quanto presenta il reper-torio dossografico ellenistico sui principi presente anche altrove in Sesto ein altri autori51. A favore di questa tesi sembrerebbe giocare anche unpasso di Sesto in cui viene esposto il decimo tropo scettico della sospen-sione del giudizio, quello della relatività delle concezioni dogmatiche, nelquale compare anche la lista tipica della vulgata dossografica sui principi ela dichiarazione che le varie ipotesi dogmatiche vengono dagli scetticicontrapposte, ora a loro stesse (l'accento è sulle loro contraddizione in-terne), ora a ciascuna delle altre52. La diaphonia fra i Pitagorici e gli atomistipotrebbe dunque essere una costruzione seriore.

Per stabilire se e in che misura il brano presenti una contrapposizioneoriginale degli Accademici agli atomisti bisogna tuttavia osservare il reso-conto di Sesto da un'ottica diversa rispetto a quella di chi ne rifiuta inblocco l'originalità. In questo brano, come è stato più volte rilevato, cisono sì dei rimaneggiamenti (evidenti ad esempio nella terminologia dimatrice stoica, corrente negli autori di età imperiale) e degli inserimentiche risalgono ad una tradizione posteriore, ma questi in generale risaltano

49 Jaeger 1951, 250s. [1960, 424s.].50 Gaiser 1968a, 28s.; 82-85; 354 n. 60; cf. anche 229, 298, 465. Della stessa opinione anche

Krämer 1971, 294 n. 227.51 Cf. in Gaiser 1968b, 64; 74 n. 103 con l'elenco degli autori in cui compare la sequenza

atomisti, corpuscolaristi, sostenitori di principi incorporei. Un elenco più esauriente inTheiler 1964, 90 dove però non viene fatta alcuna differenziazione fra i vari tipi di reso-conto dossografico. Manca in ambedue le liste un passo di Alessandro di Afrodisia, Demixt. 213,18-214,6 dove i limiti dei corpi sono identificati con i triangoli platonici, v. infra,n. 77. In ogni caso questi resoconti trattano i limiti dei corpi come dottrina a sé stante cosìcome Sext. Emp. Pyrrh. hyp. 3,152ss. La problematizzazione di questo passo manca sor-prendentemente in Thiel 2006, 343s. e 349s. che dà per scontata l'autenticità della polemicaantiatomista.

52 Sext. Emp. Pyrrh. hyp. 1,145ss. devkatov" ejsti trovpo" ª...º oJ para; ta;" dogmatika;" uJpolhvyei"ª...º dogmatikh; dev ejstin uJpovlhyi" paradoch; pravgmato" di ajnalogismou' h[ tino" ajpo-deivxew" kratuvnesqai dokou'sa, oi|on o{ti a[toma e[sti tw'n o[ntwn stoicei'a h] oJmoiomerh' ãh]Ãejlavcista h[ tina a[lla. ajntitivqemen de; touvtwn e{kaston oJte; me;n eJautw'i oJte; de; tw'n a[llwneJkavstwi.

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proprio per il loro anacronismo come l'accenno ad Epicuro menzionatoprecedentemente. Il fatto che Sesto riporti lo schema dossografico am-pliato sui principi corporei di età ellenistica (atomi, omeomeri, "masse",minimi privi di parti) non è in sé probante in quanto non esclude a prioriche il nucleo originale (Accademici contro atomisti) sia stato "aggiornato"con tutta la lista tipica della dossografia tarda53. In generale, comunque,Sesto presenta come storicamente vere, riproducendone abbastanza fe-delmente la sostanza, solo le polemiche effettivamente condotte da autorispecifici contro altri54. Non presenta invece come un dato storico, macome una semplice divergenza di opinioni fra i dogmatici deducibile dalleloro rispettive dottrine una diaphonia ricostruita a posteriori.

Nel brano di Sesto si avverte comunque quell'atmosfera di contrappo-sizione dialettica degli Accademici ai sostenitori dei principi corporei deli-neata nel Sofista ed evocata più volte nell'opera aristotelica che ho cercatodi delineare nella prima parte di questo capitolo. Qui si possono aggiun-gere ulteriori considerazioni a conferma di questo fatto:

1. L'affermazione di principio secondo cui i fenomeni devono neces-sariamente essere composti di elementi invisibili sembra proprio ripro-durre nella terminologia stessa quella tendenza degli Accademici controcui Aristotele si scaglia nel primo libro della Metafisica e nel secondo librodella Fisica accusandoli di far derivare le cose evidenti da ciò che non sivede55.

2. I Pitagorici di Sesto mettono sullo stesso piano teorie corpuscolarie atomiste: ambedue presupporrebbero corpuscoli eterni, ma non tali inrealtà in quanto sia gli uni che gli altri sono ulteriormente divisibili con lamente. Questa assimilazione fra dottrine atomiste e corpuscolariste ritornasia nei resoconti aristotelici che trattano gli indivisibili sia, in particolare, inun brano del terzo libro del De caelo, il cui tema è proprio l'alternativa fraeternità o corruttibilità dei corpi elementari: i corpi elementari eterni aiquali si arresterebbe la divisione sono o atomi, o ancora divisibili, ma maidivisi. Questa seconda teoria corpuscolare viene attribuita molto strana-mente ad Empedocle: egli avrebbe ammesso un corpuscolo "divisibile,

53 Su questa linea si pone la risposta data da Krämer 1964, 156ss. alle critiche rivoltegli daVlastos 1963, 644-648 il quale, adducendo l'argomento della rielaborazione tarda, negava lapossibilità di una eventuale presenza di materiale originale accademico nel brano. Ciò cheinvece risulta più problematico della tesi di Krämer, come vedremo, è che il brano di Sestoriporti effettiva dottrina platonica non filtrata dall'interpretazione degli allievi. Sull'amplifi-cazione da parte della dossografia di problematiche e discussioni originarie, cf. Mansfeld1992b e 2002 che tratta in particolare il materiale peripatetico.

54 Cf. e.g. quella fra Alessino il megarico e il suo contemporaneo Zenone stoico e degli stoicisuccessivi contro Alessino (Adv. Math. 9,108-110); fra Diogene di Babilonia e gli oppositoridi Zenone (9,133s.).

55 Metaph. A 9, 992a 24-29, v. supra, n. 3; cf. anche Phys. B 1, 193a 5ss.

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senza che possa mai venire dissolto"56. Tale esegesi dei principi empedo-clei è tuttavia, molto probabilmente, già accademica e deriva da una rein-terpretazione della dottrina empedoclea alla luce della teoria corpuscolaredi Eraclide Pontico. Egli aveva infatti assunto come componenti ultimedei corpi piccole masse prive di connessioni al loro interno (a[narmoio[gkoi), e quindi ulteriormente scomponibili, separate da pori57. In Sesto i"Pitagorici" fanno presente che l'assumere come principi dei corpi intelle-gibili, siano essi atomi o corpuscoli ulteriormente divisibili come gli o[gkoi,equivale ad una progressione all'infinito: in quanto corpi essi si possonosempre immaginare composti di altri corpi senza poter arrivare ad unprincipio ordinatore del tutto.

3. Il brano di Sesto si stacca da tutto il resto della tradizione dossogra-fica tarda di marca teofrastea in quanto è l'unico non solo a presentareuna contrapposizione fra atomismo e dottrine "pitagoriche" dei principi,superando lo schema della concordanza di fondo58, ma anche a confron-tare gli atomi non con i triangoli del Timeo, bensì con la dottrina dell'uno edella diade.

4. Sesto menziona fra coloro che hanno assunto come principi deicorpi solo intellegibili gli atomisti, coloro che hanno posto le omeomerie,o gli onkoi, o i minimi privi di parti secondo il normale schema presenteanche in altri autori tardi (v. infra). L'allusione ai sostenitori degli ejlavcistakai; ajmerh' è, nel migliore dei casi, un anacronismo, in quanto questi prin-cipi sono attribuiti nella lista dossografica corrente a Diodoro Crono po-steriore a Senocrate59. Tuttavia, nel seguito del passo, la critica dei cosid-detti Pitagorici è rivolta espressamente contro gli atomisti e non controtutte le tesi menzionate. Anzi, come risposta all'eternità dei loro atomi, siobietta che, in fondo, anche i corpuscolaristi hanno considerato i lorocorpuscoli eterni; dunque gli atomi non sono "più elementi" dei corpu-

56 De cael. G 6, 305a 1-6 eij de; sthvsetaiv pou hJ diavlusi", h[toi a[tomon e[stai to; sw'ma ejn w|ii{statai, h] diaireto;n me;n ouj mevntoi diaireqhsovmenon oujdevpote, kaqavper e[oikenEmpedoklh'" bouvlesqai levgein. a[tomon me;n oujk e[stai dia; tou;" provteron eijrhmevnou"lovgou": ajlla; mh;n oujde; diaireto;n me;n oujdevpote de; dialuqhsovmenon.

57 Heraclid. Fr. 118-123 Werhli. Sull'interpretazione degli a[narmoi o[gkoi di Eraclide, cf.Stückelberger 1984, 17-19 con bibliografia. Sull'interpretazione corpuscolare di Empedoclee sulle sue ascendenze accademiche, cf. Gemelli Marciano 1991a.

58 Anche Aristotele applica del resto lo schema "sinfonico" Pitagorici-atomisti nel breveaccenno congiunto a Democrito e ai Pitagorici di Metafisica M 4. Le differenze di questoaccostamento con lo schema diafonico del brano di Sesto sono evidenti. Innanzitutto i Pi-tagorici di Aristotele vengono prima di Democrito e non possono essersi posti in posi-zione critica nei suoi confronti. Inoltre sostengono anch'essi dei principi corporei inquanto i loro numeri non sono separati dai sensibili. Aristotele li situa poi sullo stessopiano di Democrito in quanto anch'essi hanno cercato in qualche modo di definire l'es-senza.

59 V. infra, V 1 n. 12.

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scoli. Atomisti e corpuscolaristi vengono posti sullo stesso piano. La ne-gazione di una eternità vera e propria all'ambito del corporeo è in perfettaconsonanza con la tradizione platonica che, da Platone in poi, esclude dalmondo sensibile tutti i concetti assoluti60. L'intervento di cosmesi dellafonte di Sesto non è dunque da individuarsi nell'argomentazione princi-pale, bensì unicamente nell'ampliamento della lista dei sostenitori deiprincipi corporei.

5. Nel suo nucleo, inoltre, questa parte introduttiva del brano in cui siparte dalla critica agli atomisti per il successivo superamento del corporeoattraverso le figure fino al numero, presenta delle strette analogie coi braniaristotelici nei quali, nella prima parte di questo capitolo, si sono ravvisatetracce di una possibile critica degli Accademici agli atomisti.

Wilpert faceva inoltre rilevare in particolare due punti che riguardanosia l'aspetto più generale dell'excursus dossografico, sia l'opposizione speci-fica Pitagorici/ atomisti61:

1. La necessità di porre elementi non ulteriormente scomponibili,neppure con la mente, scaturisce dalla problematica della divisibilità all'in-finito così come era stata impostata nell'Accademia62.

2. Alla base dell'opposizione dei "Pitagorici" alle dottrine atomiste ealla loro ricerca dei principi sta una marcata equivalenza fra ciò che puòvenir pensato e ciò che è nella realtà63 quale si ritrova anche nella descri-zione dei molti senza l'uno del Parmenide platonico (165b) e quale vienecontinuamente rimproverata da Aristotele agli Accademici in generale64.Per loro ciò che si può scomporre con la mente è in realtà scomponibile edunque non può essere principio. Le critiche rivolte alle dottrine atomistee corpuscolariste dai "Pitagorici" di Sesto sono perfettamente coerenti conle concezioni e il metodo degli Accademici e richiamano l'immagine degliamici delle idee del Sofista platonico che fanno a pezzi nei logoi i corpi deiloro avversari.

Nel brano di Sesto è dunque possibile individuare, al di là delle riela-borazioni tarde, una terminologia e una impostazione della discussioneche rimanda ad una opposizione degli Accademici agli atomisti su puntifondamentali quali l'essenza e l'eternità dei principi.

60 Una conferma indiretta dell'autenticità della polemica antiatomista degli Accademici vienepoi dalla formulazione della dottrina dei minimi dell'atomo da parte di Epicuro che tieneconto sia delle critiche accademiche che delle risposte aristoteliche agli Accademici stessi,v. infra, VI 3. 1.

61 Wilpert 1949, 128ss.; 1950, 55.62 Wilpert 1950, 56ss.63 Wilpert 1949, 242-244; 1950, 62-65.64 Il termine "tecnico" usato da Aristotele per questo modo di procedere è logikw'" skopei'n,

cf. De gen. et corr. A 2, 316a 5; Phys. G 8, 208a 14, v. infra, IV 2.

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Verificata l'autenticità della polemica antiatomista del brano di Sestorimangono da definire ancora due punti qualificanti per la ricezione del-l'atomismo nell'Accademia e per la trasmissione di questa visione dell'a-tomo alla tradizione tarda:

1. In primo luogo l'identità dei Pitagorici in questione. Wilpert e Gai-ser attribuivano la dottrina direttamente a Platone, la Isnardi Parente èincline a considerarla più propriamente senocratea. Nel primo caso sa-rebbe l'unico indizio reale di una trattazione da parte di Platone dell'ato-mismo antico, nel secondo verrebbe invece rafforzata l'ipotesi secondocui erano piuttosto gli allievi ad aver preso posizione nei confronti degliatomisti.

2. In secondo luogo chi sia la fonte di Sesto e da dove essa stessa pre-sumibilmente attinga.

4. 2. Senocrate "figlio dei Pitagorici" e la polemica antiatomista

Se Wilpert, Gaiser e Krämer vedevano nel resoconto di Sesto la dottrinanon scritta di Platone, c'è invece una corrente che riporta il passo all'Ac-cademia, ma non a Platone stesso65. Alcuni elementi nella prima parte delresoconto, già accennati dalla Isnardi Parente, fanno propendere per unaderivazione da Senocrate. In particolare la concezione dell'idea come unarealtà composita, molteplice al suo interno (kata; suvllhyin). Si tratterebbedi un ulteriore sviluppo della dottrina del Sofista dove Platone parla disumplokh; tw'n eijdw'n, ma non di suvllhyi", un concetto a lui estraneo, mentreSenocrate viene indicato da Temistio come il sostenitore di una conce-zione dell'idea-numero come molteplicità (sugkeivmeno" ejx eijdw'n)66. Ai finidell'attribuzione a Senocrate sono però ancora più rilevanti altri due fatti ecioè:

1. La considerazione del solido come un incorporeo con una conse-guente nettissima separazione, senza possibilità di mediazione se nonattraverso il concetto di partecipazione, fra sensibile e intellegibile.

65 Merlan 1960, 203s. accettava la tesi che il contenuto del brano di Sesto fosse basato su unnucleo derivato dall'Accademia, ma non da Platone facendo notare, fra l'altro, che nel re-soconto viene citato il nome di Platone stesso. Krämer 1964, 158 n. 56 e Gaiser 1968b,passim, interpretano il riferimento come una aggiunta della fonte di Sesto, ma in realtà essorientra in un discorso originario e coerente che accoglie la dottrina delle idee, indicando nelcontempo anche le linee del suo superamento. Isnardi Parente 1982a lo ha riportatoespressamente a Senocrate inserendolo nella sua edizione. Cf. ultimamente anche Thiel2006, III 6.

66 Isnardi Parente 1981, 41s.; 1982, 348-50.

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Principi corporei/ incorporei80

2. L'allusione alla generazione del cosmo kat ejpivnoian che, al di là dellaterminologia di matrice stoica67, richiama l'interpretazione didaskaliva"

cavrin data dagli allievi di Platone della generazione del cosmo nel Timeo68.Il chorismos dei corporei dagli incorporei e la complessità delle idee,

sono i temi dominanti di un resoconto sulla dottrina di Senocrate nellaparafrasi al De anima di Temistio che si richiama, anche se forse attraversomediazioni69, al Peri physeos di Senocrate stesso. In questo brano, come nelresoconto di Sesto, il solido è appunto considerato un incorporeo mentrein Platone è il corpo stesso e nelle testimonianze sul Peri; tajgaqou' e nellatradizione platonica tarda il primo incorporeo è la superficie70.

La natura incorporea, spiega Temistio esponendo l'opinione di Seno-crate, essendo priva della massa corporea, non appartiene alla sfera delcontinuo, ma deve possedere i caratteri del discontinuo. La molteplicitàpresente in questo ambito è fatta di monadi vere e non di unità apparentiquali quelle del mondo fisico. L'incorporeo è dunque costituito di numeriideali che, in quanto numeri, esprimono una molteplicità, in quanto unitàideali, sono realmente delle unità. Elementi del numero ideale sono l'ideadell'uno e quella della prima diade, della prima triade e della prima tetrade.Siccome, però, nel mondo intellegibile devono comparire anche i fonda-menti matematici del sensibile e questo è composto da lunghezza, lar-ghezza e profondità, la lunghezza prima (la linea), la superficie prima (iltriangolo), il solido primo (la piramide) costituiscono i corrispettivi geo-metrici della diade, della triade e della tetrade71. Al di là della terminologia

67 L'espressione non è attestata né in Platone né in Aristotele, ma risale all'opposizione stoicakat ejpivnoian (o ejpinoivai)/ kaq uJpovstasin (Posidon. F 16; 92 E.-K.) e diventa un ter-mine corrente negli autori di età imperiale, cf. e.g. Gal. De diff. puls. 2,7 (VIII,609 K.); PHP8,3,7 (II,496,14 De Lacy = V,668 K.), infra, 5. 2 n. 108.

68 Cf. Arist. De cael. A 10, 279b 32.69 Isnardi Parente 1982a, 429-431; 1992, 147 n. 38.70 Cf. Pl. Ti. 53c; Leg. 894a; Arist. Fr. 28 Rose (Alex. In Metaph. 987b 33, 55,20) ajrca;" me;n

tw'n o[ntwn tou;" ajriqmou;" Plavtwn te kai; oiJ Puqagovreioi uJpetivqento, o{ti ejdovkei aujtoi'"to; prw'ton ajrch; ei\nai kai; to; ajsuvnqeton, tw'n de; swmavtwn prw'ta ta; ejpivpeda ei\nai—ta;ga;r aJplouvsterav te kai; mh; sunanairouvmena prw'ta th'i fuvsei. Philo Op. 50; Macr. Somn.Scip. 1,5,13 Ipsam vero superficiem cum lineis suis primam post corpora diximus incorpoream esse natu-ram nec tamen sequestrandam propter perpetuam cum corporibus societatem; cf. anche Chalc. In Tim.101,19ss. Theiler 1964, 101 riteneva questi ultimi brani paralleli a quello di Sesto, ma essidifferiscono proprio in questo punto fondamentale.

71 Xenocr. Fr. 260 IP (Themist. In De an. 404b 20, 11,20) th;n ga;r ajswvmaton fuvsin tou' me;nsunecou'" posou' povrrwqen ei\nai pantavpasin uJpelavmbanon oiJ a[ndre" ejkei'noi, a{te ejno[gkwi mh; uJfestw'san, tou' diwrismevnou de; oijkeivan ei\nai: plh'qo" ga;r kai; ejkeivnh" ei\naith'" fuvsew" ejx eJnavdwn ajlhqinw'n sunteqeimevnon uJpenovoun, oujc oi{ai" hJmei'" crwvmeqa ejpi;tw'n swmavtwn monavsin, w|n oujdevn ejsti e}n ajkribw'", ajlla; pleivw, ma'llon de; a[peira: dio; kai;eijjdhtiko;n ejkavloun tou'ton to;n ajriqmo;n a{te sugkeivmenon ejx eijdw'n, kai; tou;" ajriqmou;"ejkeivnou" ei[dh tw'n o[ntwn ejtivqento: 'ajriqmw'i dev te pant ejpevoike'. tou' me;n ou\n aujtozwviou,toutevsti tou' kovsmou tou' nohtou', stoicei'a ta; prw'ta ejpoivoun tw'n eijdhtikw'n ajriqmw'n th;n

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Capitolo secondo 81

tarda nella quale Temistio espone72, le concezioni di fondo del brano com-baciano comunque con la dottrina dei Pitagorici di Sesto se si esclude ilfatto che quest'ultimo o la sua fonte distorcono il concetto di triade etetrade applicandolo erroneamente a triangolo e quadrangolo e non atriangolo e piramide. Ambedue i brani sottolineano comunque il chorismosdel mondo sensibile dalle entità geometriche che ne costituiscono il fon-damento, un tratto tipico della dottrina di Senocrate73. La concezione delsolido come incorporeo non è dunque platonica né deriva da una even-tuale contaminazione della fonte tarda in quanto, più oltre, nello stessoresoconto il solido viene chiaramente definito come to; stereo;n sch'ma kai;to; sw'ma74, ma risale a Senocrate.

Un altro punto che porta ad escludere la provenienza del brano di Se-sto dalle dottrine non scritte di Platone e a riportarlo invece a Senocrate èl'allusione ad una interpretazione non letterale, ma kat ejpivnoian della na-scita del cosmo e degli enti di per sé eterni. Essa infatti non può essere diPlatone per ovvie ragioni e difficilmente è inserzione della fonte interme-dia. Se infatti l'interpretazione allegorica della nascita del cosmo è comunenel medio- e neoplatonismo75, non è invece documentata in relazione allagenesi dei solidi e dei numeri. Ambedue le interpretazioni, compresa lagenerazione dei numeri qewrh'sai e{neka, sono invece attribuite nei testiaristotelici espressamente ai sostenitori delle idee-numero, cioè a Seno-crate76. Dunque l'accenno alla genesi del cosmo, ma anche al carattere

tou' eJno;" ijdevan kai; th;n th'" prwvth" duavdo" kai; th;n th'" prwvth" triavdo" kai; th;n th'" prwvth"tetravdo": ejpeidh; ga;r ejn tw'i nohtw'i kovsmwi dei' pavntw" ta;" ajrca;" paremfaivnesqai tou'aijsqhtou', oJ de; aijsqhto;" ejk mhvkou" h[dh kai; plavtou" kai; bavqou", tou' me;n mhvkou" ijdevanei\nai th;n prwvthn ajpefhvnanto duavda: ajpo; ga;r eJno;" ejf e}n to; mh'ko", toutevstin ajpo;shmeivou ejpi; shmei'on: tou' de; mhvkou" a{ma kai; plavtou" th;n prwvthn triavda: prw'ton ga;rtw'n ejpipevdwn schmavtwn ejsti; to; trivgwnon: tou' de; mhvkou" kai; plavtou" kai; bavqou" th;nprwvthn tetravda: prw'ton ga;r tw'n sterew'n ejsti;n hJ puramiv". tau'ta de; a{panta labei'ne[stin ejk tw'n Peri; fuvsew" Xenokravtou".

72 Il brano di Temistio, che Saffrey 1955, 37-43 aveva considerato di scarsa affidabilità, èstato riabilitato da Cherniss 1977, 427-429 nella recensione a Saffrey e accettato a pienotitolo come testimonianza su Senocrate da Pines 1961, 15ss. e da Isnardi Parente 1982a,429-431; 1992, 145 n. 36.

73 Cf. anche la netta separazione fra sostanza sensibile e intellegibile in Xenocr. Fr. 83 IP(Sext. Emp. Adv. Math. 7,147-149). Cf. su questo punto anche la critica aristotelica alledottrine senocratee Metaph. N 3, 1090b 21-29.

74 Adv. Math. 10,280; cf. anche i passi paralleli Adv. Math. 7,100 e 4,5. Per altre testimonianzeche utilizzano la vulgata tarda e identificano il solido col corpo, cf. Philo Op. 49-51; Plut. DeE 390 D; Hippol. Ref. 6,23,3; Anatol. ap. Iambl. Theolog. arithm. 23, 29,10-12 De Falco.

75 Per un elenco esauriente degli autori che hanno affrontato questa problematica, cf. Cher-niss 1976, 170 n. a.

76 Per la genesi del cosmo Arist. De cael. A 10, 279b 32 e il commento corrispondente inSimpl. In De cael. 279b 32, 303,33 (Xenocr. Fr. 154 IP). Per la genesi dei numeri qewrh'saie{nekaMetaph. N 4, 1091a 23-29 e il commento di Burkert 1972, 79s.

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Principi corporei/ incorporei82

composto degli enti ideali kat ejpivnoian, porta ad identificare i cosiddettiPitagorici con quest'ultimo. E' perciò assai probabile che Senocrate, ilquale è l'unico nell'Accademia ad aver elaborato una dottrina degli indivi-sibili, abbia preso posizione nei confronti dell'atomismo (che Aristoteleinvece esaltava) contrapponendogli non semplicemente le tesi del Timeo,ma la dottrina dei principi incorporei. L'interpretazione di coloro chevedono nella prima parte del resoconto di Sesto una ricostruzione a po-steriori di una polemica non è dunque corretta. La sua fonte ha solo am-pliato, secondo uno schema corrente, la lista delle teorie corpuscolariste,ma ha ripreso sicuramente un confronto dialettico originale come fa inmolti punti del suo resoconto sui numeri. Questo risulta anche dall'esamedegli altri brani dossografici sui principi (che definirò "la vulgata"), alcunidei quali di Sesto stesso, portati generalmente come prova della deriva-zione tarda della polemica77. Nonostante siano sempre stati consideratiperfettamente paralleli a questo, essi presentano in realtà differenze di

77 Sext. Emp. Adv. Math. 9,363 (124, 169 L.) Dhmovkrito" de; kai; Epivkouro" ajtovmou", eij mhv tiajrcaiotevran tauvthn qetevon th;n dovxan, kai; wJ" e[legen oJ Stwiko;" Poseidwvnio", ajpo;Movcou tino;" ajndro;" Foivniko" katagomevnhn, Anaxagovra" de; oJ Klazomevnio" oJmoiome-reiva", Diovdwro" de; oJ ejpiklhqei;" Krovno" ejlavcista kai; ajmerh' swvmata, Asklhpiavdh" de;oJ Biquno;" ajnavrmou" o[gkou", oiJ me;n peri; Puqagovran tou;" ajriqmouv" e[lexan pavntwna[rcein, oiJ de; maqhmatikoi; ta; pevrata tw'n swmavtwn, oiJ de; peri; to;n Plavtwna ta;" ijdeva".Cf. Pyrrh. hyp. 3,32; Adv. Math. 10,318. [Gal.] Hist. phil. 18 (124 L.) Dhmovkrito" de; kai;Epivkouro" ta;" ajtovmou" ajrca;" pavntwn nomivzousin, ÔHrakleivdh" de; oJ Pontiko;" kai;Asklhpiavdh" oJ Biquno;" ajnavrmou" o[gkou" ta;" ajrca;" uJpotivqentai tw'n o{lwn, Anaxagovra"de; oJ Klazomevnio" ta;" oJmoiomereiva" Diovdwro" de; oJ Krovno" ejpikeklhmevno" ajmerh' kai;ejlavcista swvmata, Puqagovra" de; tou;" ajriqmouv", oiJ maqhmatikoi; ta; pevrata tw'nswmavtwn, Stravtwn de; oJ fusiko;" proswnomasmevno" ta;" poiovthta". Alex. De mixt. 213,18(124 L.) w|n oiJ me;n a[toma swvmata a[peira tw'i plhvqei, kata; sch'ma kai; mevgeqo" movnon th;npro;" a[llhla diafora;n e[conta, ta;" ajrca;" kai; ta; stoicei'av fasin ei\nai, kai; th'i touvtwnsunqevsei te kai; poia'i periplokh'i e[ti te tavxei kai; qevsei ta\lla givnesqai: ejf h|" dovxh"prw'toi me;n Leuvkippov" te kai; Dhmovkrito" genevsqai dokou'sin, u{steroi de; Epivkourov" tekai; oiJ th;n aujth;n touvtwi trapevnte": oiJ de; aujtw'n, oujk ajtovmou", oJmoiomerh' dev tinav fasina[peira ei\nai swvmata, ejx w|n hJ tw'n aijsqhtw'n gevnesi" swmavtwn ginomevnh kata; suvgkrisinkai; suvnqesin, ãejf à h|" dovxh" Anaxagovra" te kai; Arcevlao" dokou'si gegonevnai: h[dh devtine" kai; ajmerh' tina swvmata ta;" ajrca;" kai; stoicei'a tw'n pavntwn prohvcqhsan eijpei'n:e[sti dev ti" dovxa kai; ejx ejpipevdwn th;n gevnesin poiou'sa tw'n swmavtwn kai; ejx ajriqmw'n ti"a[llh. Cf. la versione riguardante i principi corporei di Calc. In Tim. 283,17-284,8 WaszinkRestat nunc, ut eorum quoque qui generatam esse corpoream silvam negant sententias exequamur; quorum

aeque diversae opiniones omnino sunt. Sunt enim qui textum eius et quasi continuationem quandam cor-pusculis, quae intellegantur potius quam sentiantur, conexis sibi invicem assignent in aliquo modo positis et

aliquatenus figuratis, ut Democrito et Epicuro placet. Addunt alii qualitatem, ut Anaxagoras, sed hicomnium materiarum naturam proprietatemque in singulis materiis congestam esse censet; alii propter exi-

guitatem individuorum corporum, quorum numerus in nullo fine sit, subtilitatem silvae contexi putant, ut

Diodorus et non nulli Stoicorum, quorum sit fortuitus tam coetus quam segregatio. Il resoconto di Cal-cidio presenta le tipiche assimilazioni della trasmissione dossografica (ad alcuni stoici vieneaddirittura attribuita una forma di atomismo e una formazione casuale dei corpi, ciò cheessi sempre criticano). Su questi schemi Mansfeld 1990a, 3070 n. 38 e 3158s.

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Capitolo secondo 83

rilievo. In questi brani, infatti, le dottrine che pongono come principi leidee, le superfici (o i limiti dei corpi) e i numeri vengono considerate cometesi separate, senza alcun collegamento fra loro e attribuite a personaggidiversi: i sostenitori dei "limiti dei corpi" (le superfici) come principi sonoad esempio i "Matematici", identificati con sicurezza come matematici eastronomi di età ellenistica78, quello dei numeri è Pitagora, delle idee, Pla-tone. Una breve notazione del Filopono, unica nel panorama dossograficoantico, solo apparentemente simile alla vulgata, riporta invece una lista convarianti significative che richiamno il resoconto di Sesto. Se infatti fra i"materialisti" vengono annoverati Talete, Democrito, Anassimene Anas-simandro ed Eraclito, che compaiono anche nella vulgata79, i sostenitori deiprincipi incorporei sono unicamente i Pitagorici e Senocrate che hannoposto come come principi i numeri. L'aggiunta a quest'ultimo gruppo diPlatone con formula dubitativa rimanda evidentemente all'interpretazionedella sua dottrina da parte della fonte del Filopono80. Nella vulgata Seno-crate non compare mai come sostenitore del numero (che è invece Pita-gora) e Platone è sempre decisamente il rappresentante della dottrina delleidee. Inoltre il Filopono fa seguire anche un elenco di coloro che avreb-bero sostenuto una posizione intermedia ammettendo sia principi corpo-rei che incorporei, come Anassagora (omeomerie e Nous), Empedocle(quattro elementi e Neikos e Philia) e lo stesso Democrito (atomi e vuoto).Il Filopono attinge dunque ad un'altra versione dell'opposizione corporei/incorporei che ha ben presenti le tesi di Senocrate e che mostra delleanalogie con l'excursus di Sesto sulla diaphonia fra "Pitagorici" e atomisti.Ambedue si distanziano dalla vulgata sui principi corporei e incorporei eattribuiscono gli incorporei unicamente ai Pitagorici e, il Filopono, anchea Senocrate, la fonte ultima del brano di Sesto. La prima parte di questopasso, dunque, lungi dal riprodurre semplicemente la vulgata di età elleni-stica, riporta, pur con qualche integrazione, una originale critica di Seno-crate agli atomisti. La parte critica si incentrava sull'assimilazione delleloro dottrine alle presunte tesi corpuscolariste e sul concetto di eternitàdei principi. La considerazione che i principi corporei, per definizione,non possono essere eterni in quanto mentalmente sempre scomponibili,serviva poi come punto di partenza per l'ajnavlusi" eij" ta; prw'ta, l'uno e ladiade secondo quel procedimento rispecchiato nei testi aristotelici esami-nati nella prima parte di questo capitolo. Il carattere teoretico dell'opera-

78 Burkert 1972, 42s., n. 76; Isnardi Parente 1992, 159ss.79 Sext. Emp. Adv. Math. 9,360-364 e 10,310-318.80 Philop. In De an. 404b 30, 82,17 (Xenocr. Fr. 119 IP) swmatika;" me;n ou\n ta;" ajrca;"

ejtivqento oiJ fusikoiv, Qalh'", Dhmovkrito", Anaximevnh" Anaxivmandro", ÔHravkleito",ajswmavtou" de; oiJ ajriqmou;" levgonte" wJ" oiJ Puqagovreioi kai; Xenokravth", dokei' de; kai; oJPlavtwn.

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Principi corporei/ incorporei84

zione di sottrazione dal corporeo alle figure geometriche, ai numeri e aiprincipi stessi veniva espressamente sottolineato col risultato di separarenettamente l'ambito degli incorporei da quello del corpo: quest'ultimoinfatti anche se, di fatto, fosse eterno, non potrebbe comunque esserlo inrealtà, poiché i veri enti eterni sono solo gli intellegibili. Gli oggetti mate-matici perdevano così quel carattere di mediazione che avevano rivestitoper Platone per rientrare nel dominio degli intellegibili puri.

4. 3. Una fonte scettica per Sesto

La fonte del brano di Sesto è difficile da determinare e la discussione ètuttora aperta, ma, anche solo dall'analisi della prima parte del brano, chetermina con 10,263, si possono ricavare elementi utili per individuarla.Universalmente riconosciuto è il fatto che si tratta di una fonte tardo-elle-nistica in quanto presenta in alcuni punti quella volgarizzazione delle teo-rie del numero che si ritrova in autori tardi81. Il problema si pone quandosi tratta di stabilire con precisione a quale ambito appartenga. Come si ègià osservato, la questione è complicata dal fatto che la fonte di Sesto ha asua volta utilizzato più fonti per questo excursus sui numeri. Sono stateavanzate varie ipotesi di cui vale la pena fornire un breve sunto validoanche come punto di partenza per ulteriori riflessioni.

1. Posidonio. La tesi di Posidonio ha avuto un grande seguito soprat-tutto per le analogie di Adv. Math. 10,277-284 con 7,92-100 dove il filo-sofo viene espressamente nominato. Ed effettivamente questi paragrafimostrano una utilizzazione di Posidonio o, per lo meno, di una versionetarda, da lui derivata, sui numeri pitagorici, versione che, del resto, ricom-pare tale e quale anche in Adv. math. 4,2-982. Essa è basata sostanzialmentesu una interpretazione del Timeo alla luce delle dottrine dell'uno e delladiade e della massima pitagorica della tetraktys, fonte della natura eterna.La tetrade costituisce il fondamento sia della struttura corporea che dell'a-nima del mondo. Genera il corpo attraverso la progressione, o lo scivola-mento del punto alla linea, di questa alla superficie, e di questa al solidocorporeo, e l'armonia del cosmo sulla base degli accordi contenuti neinumeri dall'uno al quattro: l'accordo di quarta (4:3) di quinta (3: 2) e l'ot-tava (2:1)83. Né in questi resoconti, né nella vulgata tarda che ritorna in altri

81 Cf. Burkert 1972, 54s.82 Cf. Burkert 1972, 53ss.83 Adv. Math. 10,282s. La derivazione posidoniana della teoria dell'anima del mondo è confer-

mata dal passo corrispondente in Adv. Math. 4,8 (kata; th;n ajrchvqen uJpovqesin tessavrwno[ntwn ajriqmw'n, tou' te eJno;" kai; duvo kai; triva kai; tevssara, ejn oi|" ejlevgomen kai; th;n th'"yuch'" ijdevan perievcesqai kata; to;n ejnarmovnion lovgon...) nel quale viene riecheggiata la

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Capitolo secondo 85

autori compaiono, però, il motivo della diaphonia dei Pitagorici con gliatomisti e la caratterizzazione del solido come incorporeo.

2. Eudoro o un neopitagorico. E' la tesi più affermata da quando il Theilerl'ha proposta leggendo in 10,260s. una reinterpretazione monistica delladottrina dei principi tipica di Eudoro84. In realtà, nel brano di Sesto, comeè stato osservato, non c'è un monismo del tipo eudoreo che pone l'unocome principio supremo, identificabile con il dio, al di là della dualità deiprincipi uno e diade85, ma una predominanza dell'uno rispetto al secondoprincipio che Aristotele stesso nella Metafisica attribuisce ad alcuni Pitago-rici e agli Accademici86. Venuta meno dunque la motivazione principaleper far risalire ad Eudoro il resoconto di Sesto, non ci sono altri partico-lari possano confermare questa tesi. La coloritura stoica del linguaggio èinfatti una caratteristica comune degli autori tardo-ellenistici87. Non c'è,d'altra parte, neppure nessuna ragione per attribuire ad un non ben identi-ficato neopitagorico un resoconto sui numeri solo perché vi si parla diPitagorici e viene riferita anche la vulgata pitagorizzante relativa alla te-trade. Sesto, infatti, non si limita ad attingere alla sua fonte per il sempliceresoconto, ma, come vedremo in seguito, assume in blocco anche la partecritica della dottrina dei cosiddetti Pitagorici. Soprattutto la prima partedel brano, quella già commentata (248-262) e questa parte critica sonoimportanti per individuare questa fonte che ha composto un resocontosui numeri pitagorici servendosi di materiali disparati: della vulgata tardo-ellenistica, ma anche di altre fonti più antiche.

Alcuni indizi rimandano ad una fonte scettica, nella fattispecie Enesi-demo88:

1. Enesidemo aveva preso in considerazione i numeri probabilmentetrattando il tema del tempo in quanto li annoverava nelle stesse categorie:per lui sia la monade sia l'istante erano sostanze, gli altri numeri e il giorno

definizione di Posidonio (F 141a; T 45 E.-K.) (Plut. De an. procr. 1023 B ijdevan ei\nai tou'pavnthi diastatou' kat ajriqmo;n sunestw'san aJrmonivan perievconta). Sulla provenienza po-sidoniana della vulgata relativa alla tetrade pitagorica come espressione della formula delcorpo e dell'anima, cf. Merlan 1960, 51-53.

84 Theiler 1965, 208.85 Cf. Burkert 1972, 54 n. 7; Isnardi Parente 1992, 150 n. 41.86 Metaph. M 6, 1080b 6 scedo;n de; kai; oiJ levgonte" to; e}n ajrch;n ei\nai kai; oujsivan kai; stoi-

cei'on pavntwn, kai; ejk touvtou kai; a[llou tino;" ei\nai to;n ajriqmovn, e{kasto" touvtwn tina;tw'n trovpwn ei[rhke. Ibid. 30-32 monadikou;" de; tou;" ajriqmou;" ei\nai pavnte" tiqevasi, plh;ntw'n Puqagoreivwn, o{soi to; e}n stoicei'on kai; ajrchvn fasin ei\nai tw'n o[ntwn.

87 In particolare Theiler 1964, 90 si riferisce alla terminologia stoica della seconda parte delbrano di Sesto, quella riguardante la sistemazione categoriale. Egli stesso, però (p. 89), citaun passo (Adv. Math. 8,161) che indica chiaramente come la terminologia stoica fosse im-piegata anche dagli scettici.

88 A quanto mi risulta, finora solo il Krämer 1967, 29 n. 30; 1964, 157 n. 55 ha ventilatoquesta ipotesi senza tuttavia soffermarvisi.

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Principi corporei/ incorporei86

il mese e l'anno solo dei multipli, cioè una quantità. L'introduzione delbrano sui numeri come attinenti alla definizione di tempo, ricorda inoltrequella data da Enesidemo89.

2. In Adv. Math. 10,251-52, in un inciso non ben integrato con il di-scorso dei Pitagorici, si sottolinea come coloro che hanno assunto ele-menti invisibili lo abbiano fatto ouj koinw'"90. Questa espressione riecheggiala formula del quinto tropo di Enesidemo contro le opinioni dogmatichesecondo cui tutti coloro che assumono delle cause lo fanno ciascuno se-condo proprie ipotesi sugli elementi, ma non secondo un metodo comunee concordato91.

3. Ad Enesidemo rimanda anche la confutazione che Sesto fa seguireall'excursus sui Pitagorici dove vengono utilizzati argomenti dei dialoghiplatonici in particolare del Fedone e del Parmenide92. Sesto confuta, utiliz-zando un Platone "scettico"93, il dogmatismo dei Pitagorici. Particolar-mente indicativo è l'uso dell'aporia del Fedone (96e-97b) per la critica alconcetto di diade. Nel dialogo platonico era impiegata per mostrare l'im-possibilità della generazione meccanica da composizione o divisione dientità preesistenti: come è possibile infatti che il due possa derivare da due

89 Sext. Emp. Adv. Math. 10,248 ejpei; e[ti tw'n suzugouvntwn tw'i crovnwi pragmavtwn ejsti; kai;oJ ajriqmo;" dia; to; mh; cwri;" ejxariqmhvsew" th;n tou' crovnou givnesqai katamevtrhsin, ka-qavper wJrw'n kai; hJmerw'n kai; mhnw'n, e[ti de; ejniautw'n. Cf. Enesidemo in Adv. Math.10,216s. th;n me;n crovno" proshgorivan kai; th;n mona;" ejpi; th'" oujsiva" tetavcqai fhsivn, h{ti"ejsti; swmatikhv, ta; de; megevqh tw'n crovnwn kai; ta; kefavlaia tw'n ajriqmw'n ejpi; poluplasia-smou' mavlista ejkfevresqai. to; me;n ga;r nu'n, o} dh; crovnou mhvnumav ejstin, e[ti de; th;n monavdaoujk a[llo ti ei\nai h] th;n oujsivan, th;n de; hJmevran kai; to;n mh'na kai; to;n ejniauto;n polupla-siasmo;n uJpavrcein tou' nu'n, fhmi; de; tou' crovnou, ta; de; duvo kai; triva kai; devka kai; eJkato;npoluplasiasmo;n ei\nai th'" monavdo".

90 La frase toivnun ajdhvlou" kai; ajfanei'" uJpevqento ta;" tw'n o[ntwn ajrcav" kai; ouj koinw'" è unariflessione della fonte sulla diaphonia fra dogmatici che sta per esporre. Segue infatti la cri-tica dei Pitagorici alle tesi che sostengono principi invisibili corporei in generale e agli ato-misti in particolare.

91 Sext. Emp. Pyrrh. hyp. 1,183 pevmpton kaq o}n pavnte" wJ" e[po" eijpei'n kata; ta;" ijdiva" tw'nstoiceivwn uJpoqevsei" ajll ouj katav tina" koina;" kai; oJmologoumevna" ejfovdou" aijtiolo-gou'sin. Sulla eventuale trattazione diafonica dei "fisici" da parte di Enesidemo e sulle sueascendenze nell'Accademia scettica, cf. Mansfeld 1988, 250 [1990b, 211] e n. 47; 251[1990b, 212] e n. 48-50.

92 In particolare l'aporia del Parmenide (131a-c) secondo cui i molti non possono parteciparedell'idea né come tutto né come parte. Cf. Adv. Math. 10,293-298. Nel passo corrispon-dente degli Schizzi pirroniani (3,159), per dimostrare che il concetto di partecipazione di-strugge l'unità dell'idea, viene riportata una variante dell'esempio del velo del Parmenide(uJpoteqevntwn gumnw'n ajnqrwvpwn, eJno;" de; o[nto" iJmativou kai; tou'to eJno;" ajmfiasamevnou,gumnoi; menou'sin oiJ loipoi; kai; cwri;" iJmativou. eij de; mevrou" aujth'" metevcei e{kaston,prw'ton me;n e{xei ti mevro" hJ monav", kai; a[peirav ge e{xei mevrh, eij" a} diairei'tai).

93 Sull'immagine e l'evoluzione dell'interpretazione scettica di Platone, cf. l'esauriente reso-conto in Tarrant 1985, 71-88. Cf. anche Bonazzi 2003. Il Fedone e il Parmenide sembrano es-sere stati utilizzati per tale rappresentazione.

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Capitolo secondo 87

unità distinte, di cui ciascuna era uno prima di aggiungersi all'altra, se esserimangono tali e quali erano precedentemente, o che lo stesso due si ge-neri semplicemente se una unità viene tagliata a metà? Si tratta di unpreambolo introduttivo alla critica alla spiegazione meccanicistica deifenomeni da parte di Anassagora e dei fisici come lui. Nel brano di Sestogli argomenti vengono ripresi, anche con una lunga citazione letterale(Phaed. 97a), e ampliati94. Il Platone scettico che emerge da questo branonon è quello di Sesto stesso, che lo considerava un dogmatico come glialtri e lo criticava come tale95, ma risale a quell'esegesi scettica cui egliallude nel primo libro degli Schizzi pirroniani e che è sempre stata oggettodi controversa attribuzione. Secondo Sesto, alcuni interpretavano nonsolo il Platone dei dialoghi aporetici, ma anche quello dei dialoghi dogma-tici, come un puro scettico. Dato che i manoscritti esibiscono in questopunto una irreparabile crux, si è posto il quesito se questa visione fossequella di Enesidemo o se costui, come Sesto, vi si opponesse96. L'espres-

94 Adv. Math. 10,302-307 eij de; mnhvmhi kat ejpisuvnqesivn tinwn e[gnwstai (scil. oJ ajriqmov"),ajporhvsei ti" tw'n aijsqhtw'n ajpostav", kaqw;" kai; oJ Plavtwn hjpovrei ejn tw'i Peri; yuch'" pw'"ta; duvo kat ijdivan me;n o[nta ouj noei'tai duvo, sunelqovnta de; eij" taujto; givnetai duvo ktl.).Isnardi Parente 1992, 163ss. ipotizza per questo passo una polemica diretta di Sesto controPlatone. Che questo sia impossibile risulta in primo luogo dal fatto che il passo viene ri-portato come un sostegno alla confutazione dei Pitagorici come indicano le espressioni in-troduttive dei singoli punti dell'aporia (cf. 10,302 e 305 oJ de; Plavtwn kai; a[llw" ejpiceirei'nbouvletai... 308 toiou'to" me;n kai; oJ Plavtwn: e[nesti kai; w|de sunerwta'n), in secondoluogo dal confronto con un passo parallelo (Adv. Math. 4,11ss.) dove effettivamente Sestopolemizza contro Platone attribuendo a lui la dottrina dei numeri e sostenendo che pitago-rizza (puqagorikwvteron oJ Plavtwn fhsivn...). Cf. in particolare Adv. Math. 4,21 (contro ladiade assunta da Platone come principio) a[poro" gavr pw" kai; au{th (scil. hJ duav") sunivsta-tai kata; th;n tw'n monavdwn suvnodon, w{sper kai; Plavtwn dia; tou' Peri; yuch'" provteronhjpovrhken). Il Fedone viene in questo secondo caso utilizzato espressamente per dimostrarecome Platone sia in contraddizione con se stesso.

95 Cf. la feroce critica contro la composizione e il carattere matematico dell'anima nel Timeoin Pyrrh. hyp. 3,189. Una stessa differenza di giudizio su Platone in passi paralleli, da cui ri-sulta chiaro che Sesto offre un'immagine scettica di Platone solo quando segue letteral-mente la sua fonte, in Pyrrh. hyp. 1,28 e Adv. Math. 7,281. La stessa definizione di uomotratta dalle definizioni pseudo-platoniche viene interpretata nel primo passo alla luce del-l'affermazione che nessuno dei sensibili esiste veramente: Platone fornisce la definizione diuomo, non come un dato sicuro, ma solo, come è solito fare, secondo la verosimiglianza(kata; to; piqanovn). Nel secondo caso (Adv. Math. 7,281), invece, Sesto critica la definizioneplatonica come la peggiore di tutte in quanto non definisce affatto l'uomo, ma elenca solouna serie di attributi positivi e negativi. Nel brano degli Schizzi pirroniani abbiamo proprioun saggio interpretativo di quella corrente da cui Sesto prende le distanze, ma di cui nelcontempo si serve come fonte. Cf. su questo punto Tarrant 1985, 75-77; Decleva Caizzi1980, 408s.; 1986, 175.

96 Pyrrh. hyp. 1,221s. to;n Plavtwna ou\n oiJ me;n dogmatiko;n e[fasan ei\nai oiJ de; ajporhtikovn, oiJde; kata; mevn ti ajporhtiko;n kata; dev ti dogmatikovn ª...º. peri; me;n ou\n tw'n dogmatiko;naujto;n ei\nai legovntwn, h] kata; mevn ti dogmatiko;n, kata; dev ti ajporhtikovn, perisso;n a]n ei[hlevgein nu'n: aujtoi; ga;r oJmologou'si th;n pro;" hJma'" diaforavn: peri; de; tou' eij e[stin eijli-

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Principi corporei/ incorporei88

sione che segue direttamente la menzione di Enesidemo nel tormentatopasso: ou|toi ga;r mavlista tauvth" proevsthsan th'" stavsew", denota tuttavia unapresa di distanza da quella tendenza, della quale evidentemente Enesi-demo era uno dei rappresentanti principali97. Proprio il fatto che Sesto usilo stesso passo platonico del Fedone in Adv. Math. 10,302ss. nell'argomen-tazione contro i "Pitagorici", seguendo l'interpretazione scettica di Pla-tone, e in Adv. Math. 4,21, invece, per confutare un Platone pitagorico edogmatico, fa pensare che l'interpretazione data da Enesidemo fossequella di un Platone scettico sul modello del Platone aporetico dell'Acca-demia di mezzo98. Enesidemo aveva, del resto, tradotto in termini scetticil'aporia del Fedone argomentando contro il concetto di generazione99.

krinw'" skeptiko;" platuvteron me;n ejn toi'" uJpomnhvmasi dialambavnomen, nu'n de; wJ" ejn uJpo-tupwvsei levgomen †katapermhdoton† kai; Aijnhsivdhmon (ou|toi ga;r mavlista tauvth" pro-evsthsan th'" stavsew") o{ti o{tan oJ Plavtwn ajpofaivnhtai peri; ijdew'n h] peri; tou' provnoianei\nai h] peri; tou' to;n ejnavreton bivon aiJretwvteron ei\nai tou' meta; kakiw'n, ei[te wJ"uJpavrcousi touvtoi" sugkatativqetai, dogmativzei, ei[te wJ" piqanwtevroi" prostivqetai, ejpei;prokrivnei ti kata; pivstin h] ajpistivan, ejkpevfeuge to;n skeptiko;n carakth'ra. Se il nome diEnesidemo è chiaro, così non è né per il contesto, né per il nome di Menodoto, che sisono voluti ricostruire dall'incomprensibile katapermhdoton dal Fabricius in poi. Nono-stante tutti i tentativi di ripristinare il testo (kata; ãtw'nà peri; Mhnovdoton Heintz, Mau: kata;ãtou;"à peri; Mhnovdoton Natorp, Mutschmann: kaqavper oiJ peri; Mhnovdoton Spinelli 2000),la crux rimane, cf. Perilli 2004, 105-109; 2005.

97 Sesto usa anche altrove una espressione simile per definire una tendenza rappresentata daEnesidemo e da altri da cui egli si dissocia. Cf. Adv. Math. 7,350 (identità fra anima e sen-sazioni) h|" stavsew" h\rxe Stravtwn oJ fusiko;" kai; Aijnhsivdhmo". Inoltre con il terminestavsi" Sesto indica sempre una posizione filosofica diversa dalla sua (cf. TLG da cuitraggo solo alcuni esempi Pyrrh. hyp. 3,131 Stoici; Adv. Math. 7,190; 202; 300 Cirenaici;7,399 Seniade; 8,62 Democrito e Platone), cf. anche Heintz 1922, 30ss. Görler 1994, 840osserva che un attacco ad Enesidemo da parte di Sesto non è fuori luogo in quanto pocoprima (Pyrrh. hyp. 1,210-212) egli polemizza contro Enesidemo e contro la sua interpreta-zione di Eraclito in chiave scettica. C'è dunque una tendenza del fondatore del neopirroni-smo ad attribuire posizioni scettiche ai predecessori. L'eventuale opposizione di Sesto adEnesidemo è stata rigettata sostanzialmente con l'argomentazione che quest'ultimo, ri-chiamandosi a Pirrone e a Timone, difficilmente avrebbe potuto considerare Platone unpuro scettico (Decleva Caizzi 1992, 186s.; Isnardi Parente 1992, 122s. n. 3; Bonazzi 2003,150ss.). Tuttavia coloro che sostengono questa tesi omettono, nella discussione del passo,proprio l'analisi della frase che segue la menzione di Enesidemo tauvth" proevsthsan th'"stavsew". Per quanto riguarda l'attribuzione ad Enesidemo dell'interpretazione di Platonescettico, cf. Ioppolo 1992, 186ss. e Tarrant 1985, 74-77.

98 Cf. Cic. De or. 3,18,67 Arcesilas primum, qui Polemonem a udierat, ex variis Platonis libris

sermonibusque socraticis hoc maxime arripuit, nihil esse certi quod aut sensibus aut animo percipi possit.Cf. Glucker 1978, 36ss.; Ioppolo 1984, 342. Sulla interpretazione aporetica di Platone nel-l'Accademia di mezzo, cf. inoltre Annas 1992, 43ss.

99 Un corpo non può generarne un altro rimanendo in sé (dalla divisione di una unità nonpossono risultarne due), né, congiungendosi con un altro, generarne un terzo diverso daambedue (da due unità non può generarsene un'altra diversa da ambedue). Infatti l'unonon può generare il due se già prima non lo conteneva nella sua natura, né il due il tre. Mase così fosse ogni unità conterrebbe in sé numeri infiniti, cf. Sext. Emp. Adv. math. 9,220s.

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Capitolo secondo 89

Enesidemo probabilmente raccoglieva, da fonti disparate, una serie ditestimonianze sulle dottrine di quelli che al suo tempo erano designaticome "Pitagorici". L'utilizzazione di una pluralità di fonti su una stessadottrina "dogmatica" è del resto tipica delle tradizioni scettiche, sia acca-demica che neopirroniana, ed è funzionale alla confutazione: la credibilitàdei dogmatici è seriamente messa in discussione se essi sono colti in con-traddizione con se stessi o con quelli che sostengono le loro stesse dot-trine. Fonti diverse forniscono informazioni e prospettive diverse e sonoestremamente utili a questo scopo. Per quanto riguarda la parte che quiinteressa, cioè i paragrafi 248-261, se non si può escludere a priori, sembratuttavia improbabile che Enesidemo attingesse direttamente a Senocrate.Per gli altri due resoconti sui "Pitagorici" successivi a questo, quello sulladottrina delle categorie e la vulgata sulla derivazione dai numeri, egli hainfatti certamente utilizzato fonti intermedie100. E' dunque assai verosimileche anche i paragrafi 248-261 siano stati mediati da una fonte la cui iden-tità rimane, però, campo di congettura101. Si può solo osservare che nonriproduce la tradizione interpretativa teofrastea della somiglianza fra ifondamenti della dottrina platonica e atomista comune nei testi tardi e dimatrice posidoniana (v. infra, § 5-6), bensì il modello polemico sostenitoridegli incorporei contro materialisti sviluppato nell'Accademia antica.

Rispetto ai resoconti tardi sui principi in cui compare Democrito ilbrano di Sesto si caratterizza comunque per un elemento fondamentale. Ilconfronto, infatti, non riguarda Platone e Democrito, ma gli atomisti e icosiddetti Pitagorici, cioè gli Accademici. Nei resoconti successivi, chefanno capo alla tradizione teofrastea, gli attori del rapporto rimangono inprimo luogo Platone e Democrito e, solo in seguito, per influsso del neo-pitagorismo, vengono aggiunti anche i Pitagorici. Questo termine fa però

Il Fedone costituiva un testo fondamentale per l'interpretazione scettica di Platone, cf. Anon.Proleg. 10,1ss. in cui vengono citati a questo proposito Phaed. 65b, 66b, 79c.

100 La terminologia dell'esposizione sulle categorie (263-276) rispecchia sicuramente unarilettura posteriore pur basandosi sostanzialmente sulle teorie dell'allievo di Platone, Er-modoro (Gaiser 1968b, 63ss., Isnardi Parente 1982a, 443; 1992, 152-157). Nel resocontosulla genesi delle figure dal punto (277-282) sono descritte due teorie distinte, una statica euna dinamica, che compaiono anche in altri passi di Sesto e in autori tardi (Adv. Math.7,99-100; 3,20-21; Philo, Op. 49; Theo Smyrn. Exp. rer. math. 93,21 Hiller): 1. quella di deri-vazione speusippea, che si basa sulle analogie punto-monade, linea-diade, superficie-triade,solido-corpo-tetrade (Speus. Fr. 84-85 IP), 2. quella della rJuvsi" del punto che origina di-namicamente le varie dimensioni, risalente probabilmente al pitagorismo antico, ma ripresaanche da Eratostene come si può ricavare da Sesto stesso (Adv. Math. 3,28).

101 Burkert 1972, 94 ipotizza che l'attribuzione della dottrina dell'uno e della diade a Pitagora ela denominazione degli allievi di Platone come "pitagorici" risalga all'Accademica scetticache voleva tenerli distinti da un Platone genuinamente "scettico" e rileva come questa tra-dizione potrebbe aver influenzato anche il resoconto di Sesto Empirico.

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Principi corporei/ incorporei90

riferimento non agli Accademici, ma agli scritti pseudo-pitagorici qualiquello di Timeo di Locri o comunque a teorie neopitagoriche.

5. La tradizione "sinfonica" sui principi di Platone eDemocrito

I testi tardi che nominano congiuntamente Platone e Democrito presen-tano dei caratteri piuttosto diversi da quelli del brano di Sesto. Le teorieplatoniche e atomiste sui principi vengono infatti poste sullo stesso pianoin quanto ambedue avrebbero superato l'ambito del sensibile per ricercareprincipi che diano una ragione delle qualità come il caldo e il freddo. Inquesti contesti i corpuscoli di Democrito vengono avvicinati sempre piùagli intellegibili platonici e vengono definiti nohta; swvmata. Si tratta di unaterminologia distinta da quella della dossografia aeziana dove gli atomidemocritei vengono per lo più designati come lovgwi qewrhta; swvmata102.Questo confronto, basato sostanzialmente su una rielaborazione del mo-dello teofrasteo, domina tutta la tradizione tarda sui principi di Democritoe Platone. Di quest'ultimo vengono prese in considerazione unicamente ledottrine del Timeo, che si spingono fino ai limiti dei corpi (cioè alle super-fici), non la cosiddetta dottrina non scritta. I triangoli platonici vengonoinvece subordinati ai principi ultimi, forma e materia, secondo i canoni delplatonismo aristotelizzante di matrice tardo ellenistica. Il parallelismoPlatone-Democrito è stato dunque ripreso in margine all'interpretazionedel Timeo secondo il modello aristotelico-teofrasteo. Sia Aristotele cheTeofrasto, infatti, l'uno a fini polemici e affermandone la superiorità, l'al-tro in maniera neutrale, confrontavano l'atomismo con le teorie del Timeo.La tradizione tarda subordina Democrito a Platone valutandolo positiva-mente solo in quanto avrebbe, come quest'ultimo, superato il sensibilenella ricerca dei principi e inserendolo comunque sempre in uno schemafisso privo di qualsiasi ulteriore valore informativo. L'evoluzione del mo-dello di un Democrito superiore ad un Democrito subordinato e funzio-nale a Platone, che passa attraverso il confronto neutro di Teofrasto,porta il marchio dei tempi. Se al tempo di Aristotele e di Teofrasto ladiscussione sulle teorie democritee e platoniche era un elemento vitalenon solo a livello di teorie filosofiche, ma anche di prestigio di scuola, conl'affermazione indiscussa del platonismo e la sovrapposizione a quelloantico del più recente atomismo epicureo, l'interesse filosofico in positivoo in negativo per Democrito sfuma a poco a poco. Per la maggioranza dei

102 Nel brano di Sesto (Adv. Math. 10,253-257) compaiono ambedue le denominazioni.

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Capitolo secondo 91

filosofi di età imperiale egli è poco più che un nome. Se mai viene letto,l'ottica interpretativa è comunque quella della filosofia dominante legata alfantasma di Platone. In questo clima si afferma un cliché che si riprodurràinvariato per secoli, pur in contesti esegetici diversi, fino ai commentatoridi Aristotele.

5. 1. Plutarco De prim. frig. 948 A-C (506 L.)

In un brano singolare dal De primo frigido, Plutarco devia brevemente daldiscorso esclusivamente fisico sul caldo e sul freddo correlati agli elementiper porre la questione sul piano dei principi "veri" di queste qualità. Egliosserva che, coloro che hanno posto la causa del freddo nella ruvidezza dicerte forme triangolari (l'allusione ai triangoli del Timeo è chiara), se anchesbagliano in qualcosa, per lo meno, partono da una metodologia corretta.Infatti chi si limita alle cause più prossime al fenomeno, si comporta comeun medico o un contadino o un costruttore di flauti i quali, ovviamente, siaccontentano di risalire a quelle cause che sono immediatamente utili perla loro arte, ma non vanno oltre.

Per il fisico, invece, che cerca la verità in vista della conoscenza teorica, la cono-scenza delle cause più prossime [al fenomeno] non è il fine, ma il principio dell'a-scesa verso le cause prime e più alte. Per questo giustamente Platone e Demo-crito, cercando la causa del caldo e del peso, non hanno arrestato il lororagionamento alla terra e al fuoco, ma, riportando i fenomeni sensibili alle causeintellegibili, sono arrivati come a dei semi minimi103.

Il brano rimane un fatto episodico nel De primo frigido perché subito dopoPlutarco ritorna ai principi sensibili dei quattro elementi, le qualità, men-zionando Empedocle, Stratone e gli Stoici. Il tono difensivo del branopresuppone, però, una "risposta" ad una critica a Platone soprattutto, maanche a Democrito, per aver posto dei principi non sensibili per il mondosensibile. Aristotele rivolge normalmente questa accusa contro Platone egli Accademici contrapponendo loro, però, proprio Democrito. Teofra-sto, invece, nel De sensibus, critica congiuntamente ambedue, Platone eDemocrito, per aver posto delle figure alla base delle affezioni sensibili. Ilfantasma di Teofrasto aleggia su tutto il brano di Plutarco. La ricerca dei

103 Plut. De prim. frig. 948 C (506 L.) tw'i de; fusikw'i qewriva" e{neka metiovnti tajlhqe;" hJ tw'nejscavtwn gnw'si" ouj tevlo" ejsti;n ajll ajrch; th'" ejpi; ta; prw'ta kai; ajnwtavtw poreiva". dio; kai;Plavtwn ojrqw'" kai; Dhmovkrito" aijtivan qermovthto" kai; baruvthto" zhtou'nte" ouj katevpau-san ejn gh'i kai; puri; to;n lovgon ajll ejpi; ta;" nohta;" ajnafevronte" ajrca;" ta; aijsqhta; mevcritw'n ejlacivstwn w{sper spermavtwn proh'lqon. Il termine spevrma richiama chiaramente Ti.56b e[stw dh; kata; to;n ojrqo;n lovgon kai; kata; to;n ejoikovta to; me;n th'" puramivdo" stereo;ngegono;" ei\do" puro;" stoicei'on kai; spevrma.

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Principi corporei/ incorporei92

principi del caldo e del peso richiama proprio il De sensibus che fa seguireal confronto fra i due autori la trattazione del peso in Democrito. La di-fesa di Plutarco presuppone poi la critica di Teofrasto a coloro che sonoandati a ricercare le cause del caldo e del freddo oltre il sensibile104. Plu-tarco confuta queste obiezioni ricordando che per il filosofo, il quale sitrova all'apice della piramide della conoscenza, i principi fisici sono soloun punto di partenza verso la ricerca di cause più alte. Si tratta della con-cezione della filosofia tipica di Posidonio che classifica le varie scienzesecondo un criterio gerarchico: la filosofia, la sola scienza in grado dispiegare le cause e la physis di tutto sta al primo posto105, le altre, come lageometria e la matematica, sono scienze ausiliarie che non si occupanodella ricerca delle cause ultime, ma si basano sugli elementi di cui la filoso-fia ha fornito la dimostrazione. Il brano di Plutarco si colloca dunque inquella tradizione, che si irradia da Teofrasto e passa attraverso Posidonio,che vede Democrito e Platone come sostenitori di principi "intellegibili".

5. 2. Galeno e i principi di Platone: PHP 8,3,1(II,494,26 De Lacy = V,667 K.)

Una trattazione sui principi perfettamente parallela a quella plutarchea, maconcernente solo le dottrine platoniche, compare anche in Galeno, sicu-ramente da una fonte di ambito stoico, in quanto viene menzionato Cri-sippo. Il resoconto di Galeno è ovviamente indipendente da Plutarco inquanto è molto più dettagliato e non nomina Democrito. Nell'ottavo librodel De Placitis Hippocratis et Platonis, Galeno, confrontando i principi deidue autori, osserva che il primo non ha ritenuto opportuno procedereoltre i quattro corpi elementari nella ricerca dei principi perché si occupadi una scienza pratica quale la medicina. Platone, invece, mettendo alprimo posto la filosofia teoretica, non si è fermato alle proprietà apparenti

104 V. supra, n. 26.105 Posidon. F 90 E.-K. (Sen. Ep. 88,24-26) Quemadmodum, inquit, est aliqua pars philosophiae

naturalis, est aliqua moralis, est aliqua rationalis, sic et haec quoque liberalium artium turba locum sibi

in philosophia vindicat. cum ventum est ad naturales quaestiones, geometriae testimonio statur: ergo eius,quam adiuvat, pars est [...] 26 Sapiens enim causas naturalium et quaerit et novit, quorum numeros men-surasque geometres persequitur et supputat. Qua ratione constent caelestia, quae illis sit vis quaeve naturasapiens scit: cursus et recursus et quasdam obversationes, per quas descendunt et adlevantur ac speciem in-

terdum stantium praebent, cum caelestibus stare non liceat, colligit mathematicus. Questa divisionedelle scienze è testimoniata anche per l'allievo di Posidonio, Gemino (Posidon. T 73 E.-K.), ed è diffusissima nella filosofia tarda dove è evidentemente entrata a far parte delle de-finizioni scolastiche. Si ritrova infatti in Filone Alessandrino (De congr. erudit. grat. 144-147)e viene riportata, negli stessi termini, come una delle definizioni di filosofia nel commentodi Ammonio all'Isagoge di Porfirio (Prooem. 7,13ss.). Sulla relazione del brano di Plutarcocon la concezione della scienza di matrice posidoniana, cf. anche Theiler 1982, II, 178.

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Capitolo secondo 93

degli elementi, ma ha cercato anche le cause della loro generazione, ricercache per un medico è inutile. Chiedersi infatti perché l'acqua bagna e per-ché il fuoco brucia o perché l'acqua scorre e il fuoco va verso l'alto, operché la terra è la più stabile e la più pesante non serve per guarire lemalattie. Il ricercare le cause per cui il fuoco taglia e divide, siano esse lasua forma piramidale o qualche altro motivo, è invece compito della filo-sofia teoretica cui Platone ha posto mano106. La corrispondenza di questaprima parte del brano di Galeno con quello plutarcheo è pressoché per-fetta: la distinzione fra una scienza pratica, quale quella del medico, che silimita alle cause più prossime, e quella teoretica del filosofo, che risale aiprimi principi, porta a giustificare la ricerca platonica delle cause nelleforme geometriche. Anche qui è implicita la risposta alle critiche teofra-stee: se lo scoprire perché il fuoco brucia non è compito delle scienzepratiche, lo è invece del filosofo il quale deve risalire alle cause prime.L'impronta posidoniana di questa concezione risulta chiara dal confrontocon i testi che riflettono le concezioni di Posidonio107.

Galeno passa poi a descrivere la composizione degli elementi in unamaniera che rivela ancora l'impronta di Posidonio: Platone avrebbe diviso"concettualmente" gli elementi in materia e figura e, essendo la figurasolida limitata da superfici, sarebbe risalito ai triangoli rettangoli che com-pongono il triangolo equilatero di aria, acqua e fuoco e il quadrato dellaterra. Dal momento che non avrebbe potuto andare oltre, si sarebbe fer-mato a questi triangoli come a minimi chiamandoli elementi108. Qui ab-

106 Gal. PHP 8,3,1 (II,494,26 De Lacy = V,667 K.) dovxei d ejn tw'i mh; kalei'n aujta; (scil. pu'r,ajhvr, u{dwr, gh') stoicei'a diafevresqai pro;" ÔIppokravthn: kaivtoi ge oujd ejkei'no" wjnovmasenaujta; stoicei'a, movnon d o{ti touvtwn suniovntwn kai; kerannumevnwn ta; fusika; givgnetaiswvmata. kai; touvtwn proswtevrw cwrei'n oJ me;n ÔIppokravth" oujdemivan ajnavgkhn ei\naiv fhsi,praktikh;n ouj qewrhtikh;n metercovmeno" tevcnhn: oJ de; Plavtwn wJ" a]n th;n qewrhtikh;n fi-losofivan hJgouvmeno" ei\nai timiwtavthn oujk hjrkevsqh movnai" tai'" fainomevnai" ejn toi'"stoiceivoi" dunavmesin ajlla; kai; th;n aijtivan ejpizhtei' th'" genevsew" aujtw'n, a[crhston ija-trw'i skevmma. dia; tiv ga;r uJgraivnei me;n to; u{dwr, kaivei de; to; pu'r h] dia; tiv rJei' me;n to; u{dwr,a[nw de; fevretai to; pu'r, eJdraiotavth de; kai; barutavth tw'n stoiceivwn ejsti;n hJ gh', pro;" ta;"tw'n novswn ijavsei" oujde;n suntelei' ª...º to; d ejkzhtei'n ei[t ejk puramoeidw'n tw'i schvmatimorivwn suvgkeitai to; pu'r ei[t a[llh tiv" ejstin aijtiva di h}n tevmnei te kai; diairei' ta;plhsiavzonta swvmata, th'" qewrhtikh'" filosofiva" e[rgon ejstivn, h}n metaceirizovmeno" oJPlavtwn ta; me;n tou' puro;" movria puramoeidh' fhsin ei\nai, ta; de; th'" gh'" kuboeidh', to; de;kalouvmenon ojktavedron sch'ma tou' ajevro" i[dion ei\nai nomivzei kaqavper kai; to; eijkosave-dron u{dato".

107 V. supra, n. 105.108 Gal. PHP 8,3,7 (II,496,14 De Lacy = V,668 K.) diairei' de; tw'i lovgwi pavlin aujta; tau'ta

kat ejpivnoian ei[" te th;n u{lhn kai; to; sch'ma: kajpeidh; to; sch'ma suvnqetovn ejsti, to; me;n th'"puramivdo" ejk tettavrwn ijsopleuvrwn trigwvnwn, to; de; ejxavedron tou' kuvbou tetragwvnwne{x,ª...º pavlin ejpiskopei'tai tw'n ta; sterea; schvmata periorizovntwn ejpipevdwn th;n tavxinkaiv fhsi to; me;n ijsovpleuron trivgwnon ejk trigwvnwn ojrqogwnivwn duoi'n genevsqai, to; de; te-travgwnon ejk tettavrwn. ejpei; de; mhkevti ajnwtevrw proelqei'n ei\cen, wJ" ejn ejlacivstoi"

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Principi corporei/ incorporei94

biamo una versione più diffusa di quello che Plutarco liquida con un ac-cenno (Platone e Democrito sarebbero giustamente risaliti per i sensibili aminimi intellegibili). Indicativo è il rilievo che Platone non ha di che an-dare oltre le superfici nella ricerca dei principi. Si tratta di una interpreta-zione scolastica stoicizzante della dottrina platonica basata esclusivamentesul Timeo, che esclude ogni allusione agli a[grafa dovgmata. In questa ottica,che concilia platonismo e aristotelismo, il corpo, nella sua unità di forma emateria, viene assunto come fondamento della realtà. Le forme geometri-che platoniche vengono invece relegate nell'ambito della pensabilità, fun-zionale alla ricerca delle cause: la forma, infatti, è mentalmente analizzabilenelle sue componenti geometriche pur non esistendo in sé, al di fuori diun corpo. Tale esegesi, che risale a Posidonio, non ammetteva, però, chesi superasse nella ricerca dei principi del corpo l'ambito della geometria109fondandosi su Ti. 53d: gli ulteriori principi, al di là dei triangoli, li conoscesolo il dio o chi fra gli uomini gli è caro110. Questa interpretazione èpresupposta in Antioco di Ascalona, per quanto si può giudicare dal Varrociceroniano111 ed è corrente nel platonismo successivo; i commentatorineoplatonici di Aristotele la utilizzano in particolare in difesa di Platonedalle accuse aristoteliche di aver generato i corpi da elementi incorporei.Così, nel commento al De caelo, Temistio giustifica la teoria della composi-zione dei corpi da triangoli come una operazione mentale tesa alla ricercadelle cause, che comunque non infirma la realtà del sinolo di forma emateria112.

i{statai touvtoi", kai; dia; tou't aujto; prosagoreuvei stoicei'a, to; me;n e{teron ijsopleuvroutrigwvnou, to; d e{teron tetragwvnou.

109 Nella versione stoicizzante della dottrina del Timeo che si trova in Diogene Laerzio (3,67)vengono distinti due ambiti, quello dell'anima, che avrebbe un principio di carattere mate-matico, e quello dei corpi, invece, basato su principi geometrici. Cf. 3,70 per la descrizionedella composizione degli elementi da triangoli.

110 Questo presupposto viene esplicitato in Anon. Proleg. 11,27 tw'i d ajnalutikw'i (scil. trovpwi)ejn Timaivwi kevcrhtai ajnaluvwn ta; fusika; pavnta eij" dexamenh;n kai; ei\do" (dexamenh;nkalw'n th;n u{lhn), to; de; ei\do" pavlin eij" schvmata, ta; de; schvmata eij" trivgwna, ta; de;ejpevkeina touvtwn movnon qeo;n levgwn eijdevnai kai; to;n touvtwi fivlon. Cf. anche [Justin.] Co-hort. ad Graec. 26,1.

111 Cic. Ac. 1,2,6 Nostra tu physica nosti, quae cum contineantur ex effectione et ex materia ea, quam fingitet format effectio, adhibenda etiam geometria est.

112 Themist. In De cael. 299b 31, 158,23-159,2 Atque in universum modo aliquo absurdum non est, ut,cum de prima forma, quae est in materia, quaesierit aliquis—et est id, quod tribus dimensionibus praedi-tum est— quam reliquae naturae, nempe caliditas, frigiditas, siccitas, humiditas et qualitates, quae ex eis

constant, consequuntur —et ideo tantum invenitur forma per se, cum quaesierit primam formam, quae est

in materia, et formas dissolverit— <dico, absurdum non est> ut primo superficies sint et istae ante rectan-gulos (ad eas namque sermo terminatur), quoniam ipsae longe plurimum praecedunt, in quantum etiam in-

veniuntur reliquas qualitates corpori impartiri, sed ea ratione, qua forma, non praecedunt, siquidem corpuseis prius extitit.

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Capitolo secondo 95

Interessante è anche la seconda parte del testo di Galeno che prosegueesemplificando il concetto di "elemento" come lo intende Platone: eglichiamerebbe infatti elementi sia i triangoli che le figure solide113. A riprovadi ciò viene citato Ti. 56b: "sia dunque secondo la giusta definizione esecondo quella verosimile la forma della piramide che si è generataelemento e seme del fuoco". Il fuoco è un ammasso di corpuscoli di fi-gura piramidale così come in un mucchio di grano ciascun granello è ele-mento del mucchio. Questa concezione viene corroborata attraverso ilconfronto con la dottrina crisippea del linguaggio: allo stesso modo ancheCrisippo chiama "elementi" sia le sillabe, in quanto esse generano i nomi, iverbi e le altre parti del discorso, sia le lettere che compongono le sil-labe114. Il nome di Crisippo e l'esemplificazione, tipicamente stoica, delmucchio115, riporta chiaramente il resoconto di Galeno nell'ambito dellostoicismo. La similitudine dei granelli di un mucchio di grano con le pira-midi del fuoco (favorita dal testo platonico stesso) getta inoltre luce sul-l'affermazione di Plutarco secondo cui Platone e Democrito sono arrivatifino ai "semi" minimi. Plutarco si è dunque rifatto ad un'interpretazionecorrente del Timeo risalente a Posidonio, nella quale Democrito venivacitato, secondo il modello teofrasteo, accanto a Platone per essere risalitoai principi "intellegibili" del corporeo.

6. Simplicio sui principi di Democrito e Platone

La dossografia derivata da Posidonio marca comunque tutta l'imposta-zione successiva del confronto fra Platone e Democrito che si trova sin-tetizzata e stratificata principalmente in Simplicio. Simplicio stesso sceglieconsapevolmente la tradizione sinfonica opponendola a quella diafonica,un metodo, come egli dice, applicato da alcuni (l'allusione è agli autoricristiani che sfruttano ampiamente la tradizione scettica) a tutta l'inter-

113 Cf. anche Diog. Laert. 3,70.114 Gal. PHP 8,3,11 (II,496,31 De Lacy = V,670 K.) nu'n me;n ou\n ta; sustatika; trivgwna tw'n

oJrizovntwn ejpipevdwn ta; sterea; schvmata kevklhtai stoicei'a: pro[s]elqw;n de; kai; aujta; ta;periorizovmena swvmata pro;" tw'n eijrhmevnwn ejpipevdwn ojnomavzei stoicei'a gravfwn ou{tw":"e[stw dh; kata; to;n ojrqo;n lovgon kai; kata; to;n ejoikovta to; me;n th'" puramivdo" gegono;" ste-reo;n ei\do" puro;" stoicei'ovn te kai; spevrma". to; aijsqhto;n touti; pu'r ajqrovon a[qroisma no-mivzei[n] mikrw'n ei\nai swmavtwn to; sch'ma pavntwn ejcovntwn puramivdo". ejkeivnwn ou\ne{kaston stoicei'on ei\naiv fhsi tou' purov", wJ" eij kai; tou' tw'n purw'n swrou' stoicei'one[legen ei\naiv ti" e{kaston tw'n purw'n, kata; de; to;n aujto;n lovgon kai; ta; me;n th'" fwnh'"stoicei'a genna'n prwvta" me;n ta;" sullabav", ei\t ejx aujtw'n genna'sqai tov t o[noma kai; to;rJh'ma kai; th;n provqesin a[rqron te kai; suvndesmon a} pavlin oJ Cruvsippo" ojnomavzei tou'lovgou stoicei'a.

115 Cf. SVF II 471, 153,2-6; 472, 153,29-31; 473, 154,14s.

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Principi corporei/ incorporei96

pretazione della filosofia. Egli cerca invece costantemente di conciliare letesi presocratiche fra loro e con la dottrina neoplatonica trasponendo atutte le teorie dei fisici quel carattere enigmatico che gli altri commentatoriattribuiscono alle dottrine pitagoriche116. Si giustifica così la scelta da partedi Simplicio di fonti che sottolineino piuttosto la concordanza fra Platonee Democrito che una eventuale discordanza.

Esiste tuttavia nelle testimonianze di Simplicio una varietà di contestiche rivelano la sedimentazione nel tempo di diverse problematiche fraloro collegate su di un unico troncone dossografico di matrice teofrasteo-posidoniana riguardo ai principi di Platone e Democrito. Ogni interpreteha assunto una tesi precedente ampliandola secondo i propri scopi. Inquesto ambito compaiono sempre accenni a Democrito praticamenteprivi, però, di un vero valore informativo in quanto ormai cristallizzatinello schema di assimilazione a Platone. Quello che presenterò qui diseguito fa parte di una tradizionale Quellenforschung che va ben oltre il ri-stretto ambito dell'atomismo penetrando nella selva della tradizione deicommenti neoplatonici ad Aristotele. Questa ricerca rivela però i suoi latipositivi e, talvolta, la sua imprescindibile utilità perché dimostra in viadefinitiva come tali testi siano del tutto inutilizzabili ai fini dell'interpreta-zione della dottrina democritea.

Le notizie dossografiche sui principi di Platone e Democrito in Sim-plicio si inquadrano principalmente nel contesto generale dell'interpreta-zione del Timeo (identificato nelle fonti più tarde con Timeo di Locri econsiderato cronologicamente anteriore a Platone). Nei testi simpliciani,che ammettono una continuità fra Pitagorici, Platone e Aristotele e unacomunanza di metodo fra atomisti e Platone nella ricerca dei principi,compaiono anche chiari indizi del dibattito sull'ordinamento delle catego-rie sviluppatosi dopo la pubblicazione del testo aristotelico da parte diAndronico (I sec. a.C.) e protrattosi fino all'inizio del II sec. d.C. Era in-fatti sorta una disputa fra coloro che ordinavano la quantità dopo la so-stanza117, seguendo Aristotele, e coloro che invece davano la precedenzaalla qualità. Sappiamo, dai commenti alle Categorie, che al primo gruppo

116 Simpl. In Phys. 184b 15, 36,15-32 ou{tw" ou\n oiJ me;n eij" nohtovn, oiJ de; eij" aijsqhto;n diavko-smon ajforw'nte", kai; oiJ me;n ta; prosech' stoicei'a tw'n swmavtwn, oiJ de; ta; ajrcoeidevsterazhtou'nte" ª...º kai; oiJ me;n stoicei'a movnon, oiJ de; pavnta ta; ai[tia kai; sunaivtia zhtou'nte"diavfora me;n levgousi fusiologou'nte", ouj me;n ejnantiva tw'i krivnein ojrqw'" dunamevnwi ª...ºajlla; tau'ta me;n dia; tou;" eujkovlw" diafwnivan ejgkalou'nta" toi'" palaioi'" ejpi; plevonhjnagkavsqhmen mhku'nai. ejpeidh; de; kai; Aristotevlou" ejlevgconto" ajkousovmeqa ta;" tw'nprotevrwn filosovfwn dovxa" kai; pro; tou' Aristotevlou" oJ Plavtwn tou'to faivnetai poiw'nkai; pro; ajmfoi'n o{ te Parmenivdh" kai; Xenofavnh", ijstevon o{ti tw'n ejpipolaiovteronajkrowmevnwn ou|toi khdovmenoi to; fainovmenon a[topon ejn toi'" lovgoi" aujtw'n dielevgcousin,aijnigmatwdw'" eijwqovtwn tw'n palaiw'n ta;" eJautw'n ajpofaivnesqai gnwvma".

117 Cf. Olymp. In Cat. 4b 20, 81,21.

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Capitolo secondo 97

apparteneva probabilmente Andronico stesso (al quale infatti i commen-tatori non attribuiscono cambiamenti di sorta nell'ordine delle categorie) eLucio118, al secondo Eudoro e lo Pseudo-Archita119. L'accanimento con cuile due tesi opposte venivano difese si spiega col fatto che, per questi au-tori, l'ordinamento delle categorie non aveva una funzione esclusivamentelogica, ma si dilatava nel campo dell'ontologia. Dunque era importantestabilire se l'essere si fondasse su una concezione qualitativa o quantita-tiva. Le teorie platoniche non solo venivano utilizzate per difendere l'unao l'altra teoria, ma venivano a loro volta difese contro i sostenitori dellatesi opposta. Automaticamente, per effetto della trasmissione scolasticamarcata dal modello teofrasteo-posidoniano, la menzione dei triangoliplatonici veicolava anche quella degli atomi di Democrito.

Due brani del commento alla Fisica riportano una versione dei principidi Platone e Democrito proveniente da un ambito che difendeva lapriorità della quantità sulla qualità: ambedue i filosofi avrebbero infatticercato ulteriori elementi degli elementi e sarebbero risaliti dalle qualitàalle figure. Si tratta di due brani complementari che si integrano e siilluminano a vicenda e che permettono di individuare con una certatrasparenza la stratificazione delle fonti. Lo schema teofrasteo-posidoniano viene mantenuto praticamente intatto soprattutto in uno deidue resoconti. Verrà trattato in primo luogo il brano che, pur venendodopo nell'ordine del libro simpliciano, evidenzia maggiormente il contestodella discussione sull'ordinamento delle categorie.

6. 1. Simpl. In Phys. 188a 17, 179,12

Nel commento a Phys. 188a 17 Simplicio fornisce un elenco di coloro chehanno posto principi "più principianti": Anassagora avrebbe assunto deglielementi più principianti di Empedocle introducendo come principi lequalità, ma avrebbe fallito perché queste per lui sono composte, nonsemplici. Avrebbero invece condotto una ricerca più perfetta Aristotele,Platone e, "prima di lui", i Pitagorici risalendo a forma e materia. Fra que-ste ultime dottrine, tuttavia, le più complete sono quelle che hanno posto

118 Simpl. In Cat. 6a 36, 156,20 a[llw" tev, fasivn (scil. oiJ peri; to;n Louvkion) eij" duvo diairou-mevnwn tw'n legomevnwn, ei[" te to; kaq auJto; kai; eij" to; pro;" e{teron, ajrxavmenon peri; tw'nkaq auJto; levgein, ejn oi|" hJ oujsiva kai; to; posovn, e[dei kai; to; poio;n prosqevnta ou{tw" ejpi; ta;prov" ti metabh'nai. Cf. Moraux 1983, 547 n. 89; Gioè 2002, 151.

119 Per Eudoro, cf. Simpl. In Cat. 8b 25, 206,10. Per altri passi, risalenti probabilmente adEudoro, in cui compare questo ordinamento, cf. Mansfeld 1992a, 68 n. 26. Per Pseudo-Archita, cf. Ps.-Arch. Peri; tou' kaqovlou lovgou, 34,13ss. Szlezák (22,13ss. Thesleff); T 3Szlezák (Dexipp. In Cat. 4b 20, 65,8-15); Simpl. In Cat. 4b 20, 121,14-18. Cf. anche Moraux1983, 522; Dillon 1981, 24-27.

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la forma (la piramide o altre figure) alla base delle differenze qualitativedegli elementi, ritenendo la differenza di forma del corpo privo di qualitàpiù consona alla materia. Anche Democrito sembra aver visto giusto, ma,rispetto agli altri, non ha proceduto alla scomposizione dei corpi sempliciin forma e materia120.

L'interpretazione della materia sensibile primariamente come"quanto" e non come "quale", si allinea sulle posizioni di coloro che ordi-navano la quantità (come dimensionalità) prima della qualità consideran-dola più adeguata al concetto di sostanza corporea. Quest'ultima, infatti,non viene eliminata come tale se le si sottraggono tutte le qualità e le silasciano solo le dimensioni, mentre non esiste più se viene privata delladimensionalità121. Questa tendenza era seguita sicuramente da Porfirio122 ilquale si rifaceva comunque ad autori precedenti123. Quando Simplicio, nelbrano del commento alla Fisica, dice che le figure (espressione della di-mensionalità e quindi della quantità) "sono maggiormente adeguate allamateria", segue dunque probabilmente una interpretazione porfiriana cheutilizzava il solito schema dossografico di derivazione teofrasteo/ posido-niana per confermare l'esattezza dell'ordinamento aristotelico delle catego-rie: la posizione della quantità prima della qualità si giustificava in quantola materia corporea, per sua stessa definizione, è inconcepibile senza ladimensionalità. Non a caso nel brano di Simplicio non si fa cenno allascomposizione dei solidi in triangoli che non presentano la terza dimen-sione.

120 Simpl. In Phys. 188a 17, 178,33-179,19 eij mh; a[ra kai; Anaxagovra" ta;" aJpla'" kai; ajrcoei-dei'" poiovthta" uJpevqeto stoicei'a, ajlla; ta; suvnqeta (cit. 59 B 12 e B 15 DK) ª...º. ou{tw"me;n ou\n ejpi; ta; aJpla' ei[dh ajnadramw;n Anaxagovra" ajrcoeidevsteron dovxei tou'Empedoklevou" ta; peri; tw'n stoiceivwn filosofei'n. teleiovteron de; i[sw" Aristotevlh" kai;Plavtwn kai; pro; ajmfoi'n oiJ Puqagovreioi stoiceiwvdei" ajrca;" th;n u{lhn kai; to; ei\do"uJpevqento, kai; e[ti teleiovteron, o{soi th;n kata; ta; schvmata diafora;n tou' ajpoivou swvmato"prosecestevran th'i u{lhi nomivsante" uJpevqhkan tai'" kata; ta;" poiovthta" tw'n stoiceivwndiaforai'", puramivda me;n tw'i puriv, a[llo de; a[llwi tw'n schmavtwn: o{per kai; Dhmovkrito"e[oike teqea'sqai kalw'", ejlleivpei de; to; mhkevti eij" ei\do" kai; u{lhn ajnalu'sai ta; aJpla'swvmata.

121 Simpl. In Cat. 4b 20, 120,29-121,3 levgousin ou\n o{ti sunufivstatai tw'i o[nti to; posovn ª...ºo{ti prohgei'tai to; a[poion diastato;n th'" ejn aujtw'i ejgginomevnh" poiovthto", kai; o{ti tw'n me;na[llwn ajnaireqevntwn oujk ajnairei'tai hJ oujsiva, eij to; diastato;n kataleivpoito, touvtou de;ajnaireqevnto" sunanhvirhtai hJ swmatikh; oujsiva. Cf. Ibid. 8b 25, 207,19.

122 Porph. Isag. 4b 20, 100,13-16 to; sw'ma, i{na me;n sw'ma h\i, trich'i diastato;n ei\nai ojfeivlei,i{na de; poio;n sw'ma h\i, tovte leuko;n h] mevlan ei\nai ojfeivlei. prohgei'tai de; to; sw'ma ei\naitou' poio;n ei\nai sw'ma. Cf. anche Ammon. In Cat. 4b 20, 54,4-9; 5a 3, 58,10-11.

123 Cf. la concezione della materia sensibile come "quanto" che accoglie ed è determinato daestensione e molteplicità di Moderato che Porfirio stesso cita altrove (Porph. ap. Simpl. InPhys. 191a 7, 231,6ss.).

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Capitolo secondo 99

6. 2. Simpl. In Phys. 184b 15, 35,22ss. (67 A 14 DK; 111, 247, 273 L.)

C'è però nella Fisica un altro passo molto più dettagliato di questo nelquale compaiono tre ulteriori elementi:

1. la menzione di Timeo di Locri, autore dello pseudoepigrafo Sullanatura del cosmo, come pitagorico e ispiratore di Platone,

2. l'interpretazione dei triangoli platonici come figure fisiche, aventicioè anche la terza dimensione,

3. l'attribuzione a Leucippo e Democrito di forme particolari delfreddo contrarie a quelle del caldo.

Il modello interpretativo di Simplicio per questo passo è diverso dalprecedente. L'autenticità dello scritto di Timeo, già sostenuta da autorimedioplatonici124, ricorre in seguito, in particolare, in Giamblico125 il qualeè anche il primo a interpretare i triangoli platonici come tridimensionaliper difendere Platone dagli attacchi aristotelici alla generazione del sensi-bile da corpi matematici126.

Leucippo, Democrito e il pitagorico Timeo, dice Simplicio, nonnegano che i quattro elementi siano principi dei corpi composti. Anchecostoro, come i Pitagorici, Platone e Aristotele, vedendo che il fuoco,l'aria e l'acqua e forse anche la terra si cambiano l'uno nell'altro, cercavanodelle cause più principianti e più semplici che potessero giustificare anchele differenze qualitative degli elementi. Dunque Timeo e Platone, che nesegue la dottrina, hanno posto dei triangoli di figura differente e fornitianche di profondità come "elementi degli elementi" ritenendo la naturacorporea con le figure corporee più principio e causa delle differenze qua-litative127.

Leucippo e Democrito, invece, che chiamano i corpi primi minimi, atomi, [af-fermano] che dalla differenza delle loro figure, posizione e ordine derivano icorpi caldi e infuocati, quelli che sono composti da corpi primi più acuti e sottilie disposti in maniera omogenea, e i corpi freddi e acquosi, quelli che sono com-

124 Nicom. Encheir. Harm. 11,6; Taur. ap. Philop. De aet. mundi 6,8, 223,12. Cf. Baltes 1972, 20.125 In Nicom. Intr. arithm. 105,11; 118,26.126 V. infra, n. 129.127 Simpl. In Phys. 184b 15, 35,22-36,7 (273 L.) oiJ de; peri; to;n Leuvkippon te kai; Dhmovkriton

kai; to;n Puqagoriko;n Tivmaion oujk ejnantiou'ntai me;n pro;" ta; tevttara stoicei'a tw'nsunqevtwn ei\nai swmavtwn ajrcav". kai; ou|toi dev, w{sper oiJ Puqagovreioi kai; Plavtwn kai;Aristotevlh", oJrw'nte" eij" a[llhla metabavllonta to; pu'r kai; to;n ajevra kai; to; u{dwr, i[sw"de; kai; th;n gh'n, ajrcoeidevsterav tina touvtwn kai; aJplouvstera ejzhvtoun ai[tia, di w|n kai; th;nkata; ta;" poiovthta" tw'n stoiceivwn touvtwn diafora;n ajpologhvsontai. kai; ou{tw" oJ me;nTivmaio" kai; oJ touvtwi katakolouqw'n Plavtwn ta; ejpivpeda bavqo" ti e[conta kai; schmavtwndiafora;" stoicei'a prw'ta tw'n tettavrwn touvtwn e[qeto stoiceivwn th;n swmatikh;n fuvsinmeta; tw'n swmatikw'n schmavtwn ajrcoeidestevran kai; aijtivan th'" tw'n poiothvtwn diafora;"nomivzwn.

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Principi corporei/ incorporei100

posti da forme contrarie, e gli uni sono luminosi e splendenti, gli altri foschi ebui128.

La sequenza soggiacente è quella già incontrata precedentemente per ilmondo sensibile: corpo (fornito di dimensioni)-figura-qualità. Tuttavia laterminologia indica una fonte che riprende meno sobriamente di Porfirio idati della dossografia. Questa fonte immediata di Simplicio è sicuramenteGiamblico, come si può dedurre da un passo parallelo del commentosimpliciano alle Categorie nel quale egli viene citato espressamente e nelquale ricompare l'interpretazione dei triangoli platonici "materiali".

E infatti [Giamblico] obietta che Platone spiega che le figure, precedenti allaformazione dei corpi, sono cause dell'essere dei corpi e che le differenze di qua-lità derivano dalle differenze di figura, dicendo che è caldo ciò che è composto dafigure con angoli acuti, quali le piramidi, e freddo ciò che è composto da figureche ne hanno di meno, quali l'icosaedro, e ciò vale anche per le altre qualità, manon intende le figure matematiche; quelle infatti non sono né materiali, né fisi-che, né sono osservabili in movimento come invece le superfici platoniche; Pla-tone infatti pone queste ultime come materiali e fisiche129.

Dato che questo passo viene citato a proposito del quarto genere dellaqualità, la figura, si può dedurre che Giamblico accettava sì la teoria se-condo cui le figure venivano prima delle qualità dei corpi elementari, maconsiderava anch'esse come qualità riallacciandosi ad Aristotele130. Su que-ste basi poteva anteporre le figure alle qualità fisiche degli elementi e so-stenere nel contempo la precedenza della qualità sulla quantità nell'ordi-namento delle categorie: le figure venivano prima "delle altre qualità".Quando dunque in Simplicio si incontra la formula secondo cui le figuresono "più principianti delle altre qualità", c'è, mediata o diretta, la mano di

128 Simpl. In Phys. 184b 15, 36,1-7 (67 A 14 DK; 111, 247 L.) oiJ de; peri; Leuvkippon kai;Dhmovkriton ta; ejlavcista prw'ta swvmata a[toma kalou'nte" kata; th;n tw'n schmavtwn aujtw'nkai; th'" qevsew" kai; th'" tavxew" diafora;n ta; me;n qerma; givnesqai kai; puvria tw'n swmavtwn,o{sa ejx ojxutevrwn kai; leptomerestevrwn kai; kata; oJmoivan qevsin keimevnwn suvgkeitai tw'nprwvtwn swmavtwn, ta; de; yucra; kai; uJdatwvdh, o{sa ejk tw'n ejnantivwn, kai; ta; me;n lampra;kai; fwteinav, ta; de; ajmudra; kai; skoteinav.

129 Iambl. Fr. 78 Larsen (Simpl. In Cat. 10a 11, 271,8-16) kai; ga;r ejfistavnei (scil. oJ Iavmbliko")o{ti Plavtwn me;n ta; schvmata prohgouvmena th'" sustavsew" tw'n swmavtwn wJ" ai[tia toi'"swvmasi tou' ei\nai kai; tw'n poiothvtwn ta;" diafora;" ajpo; th'" tw'n schmavtwn diafora'" ajpo-logivzetai, qermo;n levgwn ei\nai to; ajpo; tw'n ojxugwnivwn schmavtwn sugkeivmenon, oi|aiv eijsinaiJ puramivde", kai; yucro;n to; ajpo; tw'n h|tton toiouvtwn, oi|on to; eijkosavedron, kai; ejpi; tw'na[llwn wJsauvtw", ouj ta; maqhmatika; schvmata paralambavnwn: ejkei'na ga;r ou[te e[nulavejstin ou[te fusika; ou[te ejn kinhvsei qewrouvmena, w{sper ta; Plavtwno" ejpivpeda: tau'ta ga;rkai; e[nula kai; fusika; tivqhsin oJ Plavtwn. Cf anche Procl. In Tim. II,36,24, infra, n. 138.Proclo stesso, cui Simplicio attinge nel commento al De caelo sostiene la tesi dei triangoli"materiali" cioè forniti anche di profondità in quanto la materia prima è sì priva di qualità,ma corporea e come tale tridimensionale. Simpl. In De cael. 306a 23, 648,19 pro;" tou'tolevgei oJ Provklo", o{ti ta; fusika; ejpivpeda oujk e[stin ajbaqh .

130 Cat. 10a 11ss.

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Capitolo secondo 101

Giamblico. Così, in un passo di commento alle Categorie, in base a questaformula, le figure atomiche di Democrito e di Epicuro divengono imper-cettibilmente dei qualia:

Anche Democrito e, in seguito, Epicuro, ipotizzando gli atomi impassibili e prividi tutte le altre qualità tranne la figura e la loro composizione qualitativa, affermano che lealtre qualità, quelle semplici, come il calore e la levigatezza, e quelle relative ai co-lori e ai succhi vengono dopo131.

Se si confronta questo passo con la versione dossografica canonica degliatomi privi di qualità che si trova in Plutarco, in Sesto e in altri autori, sinota subito la precisazione significativa e tipica di Giamblico che le figuresono "prive delle altre qualità tranne le figure"132.

Tornando al brano del commento alla Fisica, Simplicio/ Giamblico,nel descrivere gli atomi di Leucippo e Democrito, si riferisce agli atomidell'anima come risulta da un passo parallelo del De anima di Giamblicostesso non incluso né da Diels né da Lur'e nella raccolta delle testimo-nianze su Democrito nel quale gli atomi vengono definiti "più elementaridegli altri elementi"133. L'affermazione che i corpi freddi e acquosi hannoforme contrarie a quelli caldi e infuocati è ovviamente una deduzione sullabase del confronto con i solidi platonici. Questo passo di Simplicio nonpuò dunque essere citato come testimonianza del fatto che Democrito

131 Simpl. In Cat. 15a 13, 431,24 kai; oiJ peri; Dhmovkriton de; kai; u{steron oiJ peri; Epivkouronta;" ajtovmou" ajpaqei'" kai; ajpoivou" uJpotiqevmenoi tw'n a[llwn poiothvtwn para; ta; schvmatakai; th;n poia;n aujtw'n suvnqesin ejpigivnesqai levgousi ta;" a[lla" poiovthta", tav" te aJpla'"oi|on qermovthta" kai; leiovthta", kai; ta;" kata; ta; crwvmata kai; tou;" cumouv". O'Meara2000, 246 suppone che in questo passo Simplicio utilizzi Giamblico. La formulazione usatadal commentatore costituisce a mio avviso, una prova sicura. La stessa formula ricompareancora nel commento a De cael. 299b 23, 576,5ss. dove ad Aristotele viene attribuita unateoria della precedenza della figura sulle "altre qualità" (o{ti de; ajrcoeidevsteraiv eijsin aiJkata; ta; schvmata aijtivai tw'n kata; ta;" poiovthta", dh'lon, ei[per kai; aujto;" oJ Aristotevlh"pro; tw'n a[llwn poiothvtwn ejggivnesqai ta; schvmata th'i u{lhi nomivzei).

132 Plut. Adv. Colot. 1110 F (68 A 57 DK; 179 L.) ti; ga;r levgei Dhmovkrito"… oujsiva" ajpeivrou"to; plh'qo" ajtovmou" te kai; ajdiafqovrou", e[ti de; ajpoivou" kai; ajpaqei'", ejn tw'i kenw'i fevre-sqai diesparmevna". Gal. De elem. sec. Hipp. 2,16 (60,19 De Lacy = I,418 K.) (68 A 49 DK;112 L.) aiJJ me;n ou\n a[tomoi suvmpasai swvmata ou\sai smikra; cwri;" poiothvtwn eijsiv. Sext.Emp. Pyrrh. hyp. 3,33 ouj ga;r dhvpou dunhsovmeqa kai; toi'" peri; Asklhpiavdhnsugkatativqesqai, qrausta; ei\nai ta; stoicei'a levgousi kai; poiav, kai; toi'" peri; Dhmovkri-ton, a[toma tau'ta ei\nai favskousi kai; a[poia.

133 Iambl. De an. 26,13-18 Finamore-Dillon (Stob. 1,49, 363,11-18 Wachsmuth) tine;" eij" ta;"tw'n tessavrwn stoiceivwn ajrca;" th;n oujsivan th'" yuch'" ajnafevrousin. ei\nai me;n ga;r ta;prw'ta swvmata a[toma, pro; tw'n tessavrwn stoiceivwn stoiceiwdevstera: eijlikrinh' d o[ntakai; peplhrwmevna pavnthi kaqara'" prwvth" oujsiva" mh; devcesqai mhd oJpwstiou'n eij" aujta;diaivresin. tau'ta toivnun a[peira e[cein schvmata, e}n de; autw'n ei\nai to; sfairoeidev", ajpo;de; tw'n sfairoeidw'n ajtovmwn ei\nai th;n yuchvn. Il riferimento all'infinità delle forme atomi-che e alla forma sferica degli atomi dell'anima mostra chiaramente che il resoconto ri-guarda solo gli atomisti antichi e non anche Epicuro. Giamblico segue qui Aristotele, cf.Finamore-Dillon 2002, 78.

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Principi corporei/ incorporei102

dava una forma agli atomi del freddo134 perché è solo l'epigono di unoschema dossografico ripetutamente rielaborato.

6. 3. Simpl. In De cael. 299a 2, 564,10-566,16 (68 A 120 DK; 171 L.)

Simplicio riporta ancora in due brani paralleli del commento al De caelo(299a 2, 564,10ss. e 306a 1, 641,1ss.) una interpretazione della genesi daitriangoli del Timeo nella quale è compreso l'accenno a Democrito: prima diPlatone anche Democrito sarebbe risalito nella ricerca delle cause oltre iquattro elementi fino agli atomi, come Platone fino ai triangoli. Lo scopodi Simplicio, in ambedue i casi, è la difesa di Platone dagli attacchi aristo-telici.

Nel commento a De Cael. 299a 2 Simplicio affronta uno dei temi piùspinosi e ricorrenti nella critica di Aristotele a Platone e ai suoi allievi,quello di aver voluto comporre il mondo sensibile da oggetti matematiciche, non avendo nessuna delle caratteristiche di un corpo fisico, non sonoin grado di generare corpi. Simplicio, come è solito fare, rimprovera adAristotele di fermarsi alle apparenze e di non approfondire la sostanza.Infatti i triangoli del Timeo non sono triangoli matematici, ma fisici, hannocioè una profondità in quanto Platone avrebbe posto a fondamento delmondo fisico innanzitutto il sinolo di materia e forma. I triangoli cheformano i quattro elementi non sono semplici "forme" disgiunte dallamateria corporea tridimensionale, ma sono forme "materiali". Simpliciocita a questo proposito il "pitagorico" Timeo di Locri e distingue poi duetipi di interpretazioni platoniche: da una parte quella "simbolica", cioè nonletterale, di alcuni esegeti di Platone, e di Giamblico e, dall'altra quella dei"platonici recenti" che interpretano invece il Timeo in senso letterale135. Chisiano questi ultimi è difficile determinare, ma si tratta probabilmente diProclo che Simplicio utilizza ampiamente nel commento al De caelo. Laprima parte (quella che esemplifica l'interpretazione dei "platonici re-centi") contiene infatti lo schema teofrasteo di critica alla ricerca dellecause fisiche al di là dei sensibili cui Proclo, come si è visto, si riferisce.

Queste sono le linee del resoconto della prima parte, quella nella qualeè nominato anche Democrito: siccome i quattro elementi sono compostidi forma e materia e in un discorso sui principi non possono essere consi-derati primi, alcuni, come Aristotele, fanno generare per primi nella mate-

134 Come ad es. Curd 2004, 185.135 Simpl. In De cael. 299a 2, 564,10 tauvthn de; th;n dia; tw'n schmavtwn fusiologivan tine;" me;n

tou' Plavtwno" ejxhghtw'n, w|n kai; oJ qei'o" Iavmblicov" ejsti, sumbolikw'" eijrh'sqainomivzousi, kai; ou{tw" aujto;" ejxhgei'tai to;n Platwniko;n Tivmaion, oiJ de; newvteroi tw'n Pla-twnikw'n filosovfwn wJ" ou{tw" kata; to; legovmenon e[cousan peirw'ntai deiknuvnai.

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Capitolo secondo 103

ria le qualità cosiddette passive (caldo, secco e i loro contrari) e i quattroelementi col corpo privo di qualità. Alla domanda perché il fuoco riscaldi,rispondono unicamente: perché è caldo (564, 14-24)136.

Democrito, invece, come riferisce Teofrasto nella Fisica, fra coloro che hannocercato in modo imperfetto una giustificazione del caldo e del freddo e hannoaddotto tali cause, è risalito agli atomi; allo stesso modo i Pitagorici ai triangoliritenendo le figure e le grandezze cause del caldo e del freddo. Infatti le figureche distinguono e dividono producono la sensazione di caldo, quelle che uni-scono e astringono quella di freddo; e infatti ogni corpo, per la sua stessa so-stanza, subito diventa un quanto, la figura, se anche è una qualità, ma è stata tratta dalgenere dei quanti, perciò ciascun corpo è un quanto fornito di figura. La materia insé infatti è incorporea, il secondo sostrato è un corpo privo in sé di qualità, mainformato da varie figure e differisce dal corpo matematico perché è materiale etangibile, in quanto il tatto lo percepisce come massa e non come caldo o freddo.Questo secondo sostrato decorato con diverse figure, costituisce—dicono—glielementi più principianti dei quattro elementi.137.

A questa differenza di figure conseguono tutte le altre proprietà e i cam-biamenti reciproci. Dunque i Pitagorici e Platone non hanno ragionato inmodo sbagliato (mh; ajlovgw") quando hanno riportato tutto alle figure. Quivengono in sostanza riprodotte le argomentazioni dei sostenitori dellaprecedenza della quantità sulla qualità riassunte nel commento al primolibro della Fisica e viene ribadito (implicitamente contro l'interpretazionedi Giamblico) che, pur essendo la figura una qualità, essa appartiene algenere dei "quanti". L'argomentazione viene arricchita con la caratterizza-zione delle figure come e[nula ei[dh, forme "materiali" impresse in un corpotridimensionale preesistente caratteristica di Giamblico, ma anche di Pro-clo138. E' verosimilmente quest'ultimo il modello interpretativo di Simpli-

136 La linea è quella dell'esposizione delle teorie teofrastee fornita da Proclo (In Tim. II,120,18-22 = Theophr. Fr. 159 FHS&G). Per quest'ultimo testo, v. supra, n. 26.

137 Simpl. In De cael. 299a 2, 564,24 (68 A 120 DK; 171 L.) Dhmovkrito" de;, wJ" Qeovfrasto" ejntoi'" Fusikoi'" iJstorei', wJ" ijdiwtikw'" ajpodidovntwn tw'n kata; to; qermo;n kai; to; yucro;n kai;ta; toiau'ta aijtiologouvntwn ejpi; ta;" ajtovmou" ajnevbh, oJmoivw" de; kai; oiJ Puqagovreioi ejpi; ta;ejpivpeda nomivzonte" ta; schvmata ai[tia kai; ta; megevqh th'" qermovthto" ei\nai kai; th'"yuvxew": ta; me;n ga;r diakritika; kai; diairetika; qermovthto" sunaivsqhsin parevcesqai, ta;de; sugkritika; kai; pilhtika; yuvxew": kai; ga;r pa'n sw'ma kat oujsivan eujqu;" pepovswtai, to;de; sch'ma, eij kai; poiovth" ejstivn, ajll ejk tou' gevnou" ei[lhptai tw'n posw'n, dio; tw'n swmavtwne{kaston posovn ejstin ejschmatismevnon: hJ me;n ga;r u{lh kaq auJth;n ajswvmatov" ejsti, to; de;deuvteron uJpokeivmenon sw'ma me;n a[poion kaq auJtov, schvmasi de; poikivloi" memorfwmevnonkai; tou' maqhmatikou' swvmato" diafevron tw'i e[nulon kai aJpto;n ei\nai th'" aJfh'" kata; to;no[gkon ajntilambanomevnh" aujtou' kai; ouj kata; qermovthta h] yucrovthta. tou'to ou\n to;deuvteron uJpokeivmenon diafovroi" schvmasi diazwgrafouvmenon ta; tw'n tessavrwn stoi-ceivwn fasi;n uJfistavnein ajrcoeidevstera stoicei'a.

138 Cf. Procl. In Tim. II,36,24 oJ me;n qei'o" Iavmblico" ou|to" ga;r oJ ajnh;r diaferovntw"ajntelavbeto th'" toiauvth" qewriva", tw'n a[llwn w{sper kaqeudovntwn kai; peri; to; maqhma-tiko;n kalindoumevnwn movnon, diakrivnein moi dokei' ta; aJpla' tw'n sunqevtwn kai; ta; mevrhtw'n o{lwn kai; aJplw'" eijpei'n ta;" ejnuvlou" dunavmei" kai; ta; ei[dh ta; e[nula tw'n sumplhrou-

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Principi corporei/ incorporei104

cio in questo passo del De caelo. Da qui anche la differenza nel taglio ese-getico.

In ogni caso lo schema di fondo di questi resoconti di Simplicio, purattraverso i vari rimaneggiamenti e adattamenti, permane quello di matriceposidoniana che si ritrova anche nel De primo frigido Plutarco e nel De placi-tis di Galeno. Elementi comuni a questi resoconti sono:

1. La individuazione dei principi ultimi di Platone in materia e forma(u{lh e sch'ma in Galeno, u{lh e ei\do" in Simplicio).

2. L'accenno al fatto che i peripatetici si fermavano alle qualità ele-mentari ritenendo inutile farsi domande sull'origine del caldo e del freddo.

3. La ricerca delle cause protratta invece da Democrito fino agli atomie dai Pitagorici, nella fattispecie Timeo di Locri, e da Platone fino ai trian-goli elementari (in Plutarco compaiono Democrito e Platone, in Galenosolo Platone).

Si può dunque a questo punto ricostruire l'iter di un brano dossogra-fico sui principi di Platone e di Democrito da Teofrasto fino a Simplicio:

1. Brano della Fisica di Teofrasto nel quale Platone e Democrito ven-gono presi come esempio di un procedimento contrario ai principi dellafisica in quanto hanno superato i limiti propri di questa scienza cercandoelementi di elementi.

2. Utilizzazione critica del testo teofrasteo da parte di Posidonio in uncontesto sulle finalità della filosofia come scienza universale delle cause:Platone e Democrito hanno fatto quello che il vero fisico e il vero filosofodevono fare, sono cioè risaliti alle cause ultime dei corpi. Per Platone tut-tavia si tratterebbe sostanzialmente di una scomposizione mentale a finieziologici che non comporterebbe necessariamente l'esistenza della formaseparata dalla materia. Plutarco riporta, di questo testo, solo un breveexcursus nel quale compaiono sia Democrito che Platone. Galeno, dato ilcarattere specifico della sua trattazione, si limita ovviamente alla dottrinaplatonica, ma riproduce una versione più ampia del testo di matrice posi-doniana.

3. Utilizzazione dello stesso testo nell'ambito del dibattito sull'ordi-namento delle Categorie aristoteliche: la precedenza della quantità sullaqualità viene dimostrata attraverso l'esempio delle figure di Democrito ePlatone. Questa potrebbe essere forse già la posizione di Andronico se-guito da altri commentatori del secondo secolo e infine da Porfirio, unadelle fonti di Simplicio nel commento alla Fisica. Giamblico, dal canto suo,riprende lo stesso modello spiegando, però, che la figura è una qualità e

mevnwn ajpæ aujtw'n oujsiw'n, kai; ta; me;n ejpivpeda kalei'n, ta; de; stereav: kaqavper ga;r to;ejpivpedon e[scato" o{ro" ejsti; tou' maqhmatikou' swvmato", ou{tw dh; kai; to; e[nulon ei\do" kai;hJ duvnami" hJ tw'n swmavtwn morfh; kai; pevra" ejsti; tw'n uJpokeimevnwn.

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Capitolo secondo 105

non una quantità e che quindi Platone e Democrito hanno posto le figureprima delle "altre qualità". Anche questa interpretazione riemerge nelcommento alla Fisica di Simplicio. Proclo, a sua volta, si riallaccia a Giam-blico, ma ribadisce che le figure di Democrito e Platone sono una quan-tità, non una qualità, una esegesi che Simplicio riprende nel commento alDe caelo.

E' superfluo sottolineare come in tutti questi contesti la funzione deiprincipi democritei sia totalmente subordinata rispetto ai triangoli plato-nici, tanto che, fuori dal nucleo teofrasteo vero e proprio, non vengononeanche più presi in considerazione.

Se si confrontano i brani di Simplicio con la tradizione "diafonica"presente in Sesto Empirico si può constatare dunque una diversità di im-postazione nel rapporto Platone (Pitagorici)-Democrito. Da una parte, inSesto, abbiamo una opposizione di fondo basata su due concezioni di-verse della realtà: una sostanzialmente materialista, quella atomista, una ditipo matematico, quella dei cosiddetti Pitagorici i quali presenterebbero leloro dottrine proprio come un superamento decisivo della mentalità sog-giacente alla concezione atomistica antica. Solo nell'ambito dei principiincorporei intellegibili si possono trovare i fondamenti di tutta la realtà,anche di quella del mondo sensibile. E questo non è un assunto tardoellenistico, ma una problematica viva nell'Accademia platonica le cuitracce sono ben individuabili sia nelle allusioni platoniche che negli excur-sus aristotelici riguardanti le dottrine dell'Accademia. L'autore tardo elleni-stico che ha rielaborato il resoconto originale ha aggiunto alla diaphoniasolo i caratteri superficiali tipici dell'ellenismo, ma ha riportato una pro-blematica che non era tipica del suo tempo. Questo risulta dal confrontocon il filone rappresentato da Plutarco nel De primo frigido, da Galeno nelDe Placitis e dai brani dei commentari aristotelici di Simplicio. L'assuntofondamentale di tutto questo filone è una sostanziale identità fra le conce-zioni atomiste e quelle platoniche e pitagoriche. Il pitagorismo che com-pare qui è però ben diverso da quello che si incontra in Sesto ed è in par-ticolare legato al nome di Timeo di Locri, rappresentante di unplatonismo aristotelizzante. La somiglianza configurata in questi testi tardifra Platone, i Pitagorici e Democrito dipende da una visione condizionatadall'immagine aristotelizzante e stoicizzante di Platone e basata principal-mente sull'interpretazione del Timeo. Nell'ottica di una interpretazione cheattribuiva a Platone materia e forma come ultimi principi (u{lh a[poio" chericeve le forme geometriche) e che arrestava la ricerca dei principi deicorpi ai triangoli del Timeo, anche le distanze dei triangoli dai corpuscoli diDemocrito si accorciavano. L'unica effettiva mancanza di Democrito eraquella di non aver enunciato materia e forma come principi ultimi, ma insostanza la sua dottrina non si discostava molto da quella platonica. È un

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Principi corporei/ incorporei106

punto che Alessandro stesso rilevava139. Questa simbiosi fra l'atomismodemocriteo e il Timeo platonico si concreta in due tendenze presenti neicommentatori neoplatonici:

1. Le forme degli atomi del freddo o di certi colori, che Democritonon ha specificato o ha definitio diversamente, possono anche esseredescritte come i solidi del Timeo. Si tratta di un procedimento utilizzatosoprattutto dal Filopono, sia nel commento alla Fisica, sia in quello al Degeneratione et corruptione140.

2. Per contro, i triangoli platonici si trasformano in figure corporee,fornite cioè di una terza dimensione come in Giamblico e possono esseredifese dagli attacchi aristotelici. La distanza che li separa dagli atomi de-mocritei, che Aristotele aveva considerato nettamente superiori, non è piùcosì grande e, in ogni caso, il confronto non va a svantaggio di Platone.

Se il processo di avvicinamento fra l'atomismo di Democrito e i trian-goli di Platone è già particolarmente evidente nella vulgata di matrice posi-doniana quale quella di Plutarco, è ulteriormente accelerato dagli autoriche si servono dei principi platonici e democritei, fuori da un contesto cheriguarda direttamente le loro dottrine, in vista di uno scopo ben preciso,vale a dire per dimostrare la correttezza o la debolezza dell'ordinamentoaristotelico delle categorie, un dibattito vivo soprattutto fra il I sec. a.C. ela prima metà del II sec. d.C., e ripreso dai neoplatonici. In questo conte-sto non contavano tanto le differenze fra Democrito e Platone, quantopiuttosto i loro caratteri comuni, il fatto cioè che essi avessero posto afondamento del sensibile delle figure, vale a dire la quantità. Se dunque ilrapporto Democrito-Platone-Pitagorici veniva trattato su questa linea di

139 Alex. ap. Simpl. In De cael. 299b 23, 576,5 (122 L.) ajlla; tiv, fhsivn (oJ Alevxandro"), dioivseith'" Dhmokrivtou dovxh" hJ ejk tw'n ejpipevdwn levgousa, ei[per kai; aujth; kata; ta; schvmataeijdopoiei'sqai ta; fusika; swvmatav fhsi…

140 Philop. In Phys. 184b 20, 25,19 (101 L.) ei[dou" ga;r lovgon ejn tai'" ajtovmoi" to; sch'ma e[ceine[legen oJ Dhmovkrito". h] kai; ejnantiva": h[toi tou'tov fhsin o{ti Dhmovkrito" e}n to; gevno" uJpe-tivqeto tw'n ajtovmwn, diafevrein de; aujta;" kata; ta; schvmata, ouj movnon de; diafevrein, ajlla;kai; ejnantiva" ei\nai (ejpeidh; ga;r qermovthta kai; yuvxin kai; leukovthta kai; melanivan oujke[legen ei\nai ejn tai'" ajtovmoi" oJ Dhmovkrito", ajll ejk tw'n schmavtwn ajpegevnna ta; pavqh kai;th'" pro;" hJma'" tw'n ajtovmwn scevsew": ta;" me;n sfairikav", wJ" eujkinhvtou", qermovthto" kai;tou' puro;" ei\nai aijtiva": wJ" ga;r eujkivnhtoi, diairou'si qa'tton kai; dieisduvnousi, tou'to de;i[dion puro;" to; tmhtiko;n kai; eujkivnhton: ta;" ga;r kubika;" de; fevre eijpei'n, wJ" wjqouvsa"ma'llon kai; pilouvsa", yuvxin ejrgavzesqai: pilhtiko;n ga;r to; yucrovn. oJmoivw" kai; ejpi; tw'ncrwmavtwn givnesqai e[legen. o{tan me;n tw'n puramivdwn fevre eijpei'n aiJ korufai;prosbavllwsi th'i o[yei, toiavnde poiei'n crwvmato" fantasivan, oi|on leukou': diakritiko;nga;r th'" o[yew" to; leuko;n, diairetiko;n de; kai; to; ojxuv, oi{a ejsti; kai; hJ korufh; th'" pura-mivdo": o{tan de; aiJ bavsei", mevlano": sugkritiko;n ga;r to; mevlan, toiou'ton de; to; ajmbluv: pi-lei' ga;r kai; eij" taujto;n th'i pilhvsei sunwqei' ta; diestw'ta. ejpei; ou\n toi'" diafovroi"schvmasi tw'n ejnantivwn paqw'n poihtikaiv eijsin aiJ a[tomoi, ouj movnon diafevrein aujta;" toi'"schvmasin ei\pen, ajlla; kai; ejnantiva" ei\nai)... Cf. anche Ibid. 188a 19, 116,28-117,10; 194a20, 228,28-229,2; In De gen. et corr. 314b 15, 17,29-33.

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Capitolo secondo 107

sostanziale omogeneità, è improbabile che Eudoro, cui da alcuni vieneattribuito il resoconto di Sesto, seguisse la via opposta. Eudoro infatti erastato uno dei primi ad avviare il dibattito sull'ordinamento delle Categorie.In ogni caso tutti questi autori utilizzano schemi manualistici in diatribenelle quali anche lo scopo puramente informativo della notizia dossogra-fica viene a cadere. In questo contesto soprattutto vanno valutate le testi-monianze sui principi di Democrito e di Platone presso i commentatori diAristotele ora esaminate.

7. Sintesi

Se le ipotesi sviluppate in questo capitolo sono esatte, ci si trova di fronte,per quanto riguarda il confronto fra i principi di Democrito e Platone(Pitagorici), ad una doppia tradizione.

1. Quella dominante di matrice teofrastea che si fonda sulla ricercadelle somiglianze fra l'atomismo di Democrito e la dottrina del Timeo.Teofrasto criticava ambedue per aver ricercato "elementi di elementi"violando quindi una concezione della fisica che Aristotele aveva elaborato,secondo cui la ricerca fisica doveva arrestarsi ai quattro elementi. Aristo-tele aveva finalizzato il confronto Democrito/ Platone alla sua polemicacontro i principi accademici preferendo ogni volta l'atomismo fisico delprimo rispetto a quello matematizzante del secondo. Teofrasto ha inveceposto Platone e Democrito sullo stesso piano criticandoli poi ambedue,ma astenendosi dal prendere posizione a favore di uno o dell'altro. DaTeofrasto si è sviluppata una linea conciliatoria che, attraverso Posidonio,è passata in quasi tutta la tradizione successiva. La versione prettamentemanualistica di questo confronto è stata poi accolta e variamente utilizzatanel dibattito sull'ordinamento delle categorie aristoteliche ed è arrivatafino a Simplicio. Quest'ultimo, per questo confronto, non attinge diretta-mente a Teofrasto, anche se lo conosceva di prima mano, ma ad altricommentatori quali Porfirio, Giamblico e Proclo.

2. Se la tradizione ora esaminata propone una sostanziale similarità frai triangoli del Timeo e gli atomi di Leucippo e Democrito, nel decimo libroContro i Matematici di Sesto Empirico emerge invece la prospettiva "diafo-nica". I Pitagorici, cioè gli allievi di Platone, avrebbero criticato e superatole dottrine atomiste postulando, invece che dei corpi di per sé semprescomponibili e quindi non eterni per natura, delle sostanze incorporee edeterne in assoluto, gli oggetti matematici, e i numeri i cui principi ultimisono l'uno e la diade indefinita. Si tratta di uno schema di opposizionecorporeo/ incorporeo che riprende quello del Sofista platonico, arricchen-dolo di nuovi contenuti e che emerge in Aristotele in brani che espon-

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Principi corporei/ incorporei108

gono appunto la dottrina accademica nella prospettiva del superamentodei principi corporei. Il confronto non è legato alle teorie del Timeo, maalla dottrina delle idee-numero di Senocrate. L'atteggiamento critico degliallievi di Platone verso gli atomisti è presupposto anche dalle prese diposizione talvolta estreme a favore di Democrito e dell'atomismo anticonell'ambito dell'assunzione dei principi in diversi passi dell'opera aristote-lica, in particolare del De generatione et corruptione e del De caelo. La veemenzadi tali attacchi ai principi accademici e l'utilizzazione di Democrito in fun-zione antiaccademica, si spiegano meglio se, dall'altra parte, nell'Accade-mia, Senocrate predicava, in direzione opposta, il superamento dei prin-cipi degli atomisti. La sopravvivenza in Sesto di questo filone, devianterispetto a quello dominante di matrice teofrastea, si spiega proprio perl'utilizzazione da parte dello scetticismo tardo non solo di una varietà difonti, ma anche di tradizioni diverse rispetto a quelle correnti. Sesto, in-fatti, fa capo ad una fonte interna allo scetticismo stesso, ovverosia Enesi-demo, il fondatore del neoscetticismo.

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Capitolo terzo

Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)

1. Considerazioni generali

Sullo sfondo del confronto con le dottrine accademiche dei principi e conle specifiche problematiche ad esse legate, anche i resoconti aristotelici cheindividuano l'origine delle dottrine atomiste nella soluzione delle aporie"eleatiche" sulla molteplicità e il movimento vanno viste in una diversaprospettiva. L'immagine di un Leucippo che, in un confronto dialettico,"concede" agli Eleati alcune premesse (non c'è movimento senza il vuoto),ma nel contempo vuole accordare le sue dottrine con i fenomeni (il vuotoesiste in quanto non essere e l'essere non è uno, ma molti simili all'unoeleatico), presentata in un famoso passo del De generatione et corruptione (A8), ha infatti segnato tutta la storia dell'interpretazione dell'atomismo an-tico fino ai giorni nostri. La rappresentazione degli atomisti come Eleatideviati è stata inoltre corroborata nei primi anni del novecento dall'indivi-duazione, in un altro passo dello stesso trattato (A 2), di una presuntaargomentazione di Democrito a favore degli indivisibili come soluzionedei paradossi zenoniani della divisione all'infinito1. La versione aristotelicadella nascita dell'atomismo è stata considerata dall'ottocento ad oggi quasiun dogma. In realtà, come notava Solmsen2, e come si cercherà di mo-strare con l'analisi dei due brani in questo capitolo e nel successivo, i dueresoconti sollevano più dubbi di quanti ne risolvano. Le aporie che essipresentano necessitano però più che di una soluzione di un inquadra-mento nel contesto nel quale Aristotele pensava, sviluppava le sue idee einterpretava i predecessori. Tale contesto è costituito dalle discussionisulle presunte tesi eleatiche nell'Accademia platonica, che hanno portatoalla definizione del non essere come "altro dall'essere", alla distinzione fra

1 Cf. Hammer-Jensen 1910.2 1988, 60ss. Solmsen, per istituire un legame fra gli atomisti antichi e gli Eleati, si basava

però su un passo ancora più dubbio di quelli succitati e cioè Phys. A 3, 187a 1ss. (su questobrano, v. infra, 3. 2) e su altri di Lucrezio che, sebbene interessanti, non permettono di infe-rire nulla sulle origini dell'atomismo antico.

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Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)110

essere e uno e all'assunzione di indivisibili, e dalla contestazione da partedi Aristotele di tali soluzioni. La trattazione delle tesi di Leucippo e De-mocrito sullo sfondo di queste problematiche più ampie non poteva e nondoveva essere un esatto resoconto. A questo proprosito assume unagrande rilevanza il carattere dialettico dei contesti aristotelici3. Aristotele fainfatti dialogare di volta in volta i suoi protagonisti secondo schemi impie-gati nelle discussioni accademiche e da lui codificati nei Topici per poi di-mostrare l'inadeguatezza della loro impostazione e affrontare i problemida premesse diverse.

E' necessario dunque esaminare le testimonianze aristoteliche sulla de-rivazione dell'atomismo dall'eleatismo in un'ottica differente da quellanella quale generalmente vengono lette, concentrando l'attenzione so-prattutto sugli schemi dialettici in base ai quali viene impostata la discus-sione.

2. Leucippo e gli "Eleati"

De gen. et corr. A 8, 324b 35 - 325a 2-30 ha costituito uno dei cardini dellatesi secondo cui l'atomismo antico è il risultato di una correzione delledottrine eleatiche sull'unità dell'essere, con l'accettazione però di determi-nate premesse. Leucippo avrebbe formulato la sua concezione del mondocomposto di atomi e di vuoto a seguito di una "discussione" con non benprecisati "Eleati", accettandone alcune affermazioni, ma cercando nelcontempo anche un "accordo" con la realtà dei fenomeni. L'artificialità diquesto schema è già di per sé palese non solo perché non trova alcun ri-scontro nella realtà storica (di Leucippo non è neppure sicuro il luogo diprovenienza), ma soprattutto perché questo tipo di "cavalleresco" con-fronto dialettico è del tutto anacronistico nel V sec. a.C. Lo schema ari-stotelico rimanda piuttosto a quell'atmosfera rarefatta e "cortese" dellaconversazione fra Zenone, Parmenide e Socrate nel Parmenide e più speci-ficamente agli esercizi dialettici della scuola platonica i cui fondamentisono delineati nei Topici aristotelici4.

3 L'influsso della discussione dialettica sull'impostazione delle aporie in altri scritti aristoteliciè già stato più volte esaminato. Cf. le considerazioni generali in Krämer 1971, 27-32 e leanalisi particolari in Beriger 1989 e Föllinger 1993.

4 I dibattiti pubblici hanno nel V sec. a.C. una marcata forma agonale che non permette di"concedere" nulla agli avversari. Cf. ad es. le violente polemiche nei trattati ippocratici e inparticolare gli agoni nella tragedia euripidea e nelle Nuvole di Aristofane che riproducono, sepure in rielaborazioni letterarie, lo spirito di questi dibattiti. Aristotele stesso distingue net-tamente nei Topici (Q 5,159a 26ss.) la discussione dialettica di scuola, che ha come scopol'apprendimento e che viene condotta cavallerescamente, rispettando regole ben precise, daquella agonale che mira invece alla vittoria con qualsiasi mezzo.

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Capitolo terzo 111

Se i pre-supposti aristotelici sono, come si vedrà, da ricercarsi negli schemidialettici accademici, quelli degli interpreti moderni hanno le loro radicinell'indiscussa autorità di Aristotele e dei grandi storici della filosofia del-l'ottocento, in particolare Hegel e Zeller, come si è già detto nell'introdu-zione. Se il tentativo di questi ultimi di rivalutare l'atomismo radicandolonella filosofia (per quei tempi) positiva e "metafisica" dell'eleatismo ha unasua giustificazione storica, oggi, cadute le ragioni che stavano alla basedelle tesi zelleriane, le relazioni degli atomisti con gli Eleati vanno nuova-mente verificate.

Il modello interpretativo dominante dal Bailey5 ad oggi si basa sul pre-supposto evoluzionistico secondo cui l'atomismo costituirebbe il naturalesviluppo delle teorie eleatiche dell'essere-uno. Gli atomisti sarebbero dun-que necessariamente partiti da un esame dialettico delle proposizioni elea-tiche per formulare la loro ipotesi. Siccome questa tesi si basa principal-mente sulle testimonianze aristoteliche del De generatione et corruptione, èindispensabile far riemergere i pre-supposti di queste ultime, cioè l'impo-stazione storico-dialettica dei passi per ricostruire il quadro culturale in cuil'interpretazione aristotelica degli atomisti si è sviluppata.

2. 1. Il logos eleatico in Aristotele (De gen. et corr. A 8, 325a 2-23):considerazioni generali

Il resoconto del De generatione et corruptione sulle origini dell'atomismo co-stituisce solo una parte di un discorso più ampio nel quale Aristotele negavalidità a tutte le dottrine che spiegano i fenomeni fisici attraverso lasuvgkrisi" e la diavkrisi" di particelle o di grandezze atomiche per intro-durre la sua tesi della generazione e della corruzione come cambiamentiqualitativi di un sostrato. E' importante dunque esaminare nel dettaglioanche la prima parte del brano, quella che costituisce, secondo Aristotele,la fonte dei tentativi successivi di soluzione del problema uno-molteplice,stasi-movimento alla base dei concetti di generazione, corruzione e cam-biamento, cioè le aporie "eleatiche" che negano tutti questi fenomeni eaffermano che l'essere è uno e immobile. Aristotele, che aveva trattato inA 2 il problema degli indivisibili come soluzione del paradosso della divi-sibilità all'infinito, presenta in A 8 l'atomismo di Leucippo come rispostaalla negazione dell'esistenza del non essere, della molteplicità e del movi-mento. A Leucippo viene poi aggregato un Empedocle presunto atomistae Platone per la sua presunta assunzione di superfici indivisibili. Il presup-posto aristotelico nella trattazione di queste dottrine sta nel fatto che co-

5 Bailey 1928, 70ss.

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Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)112

loro che hanno ammesso in qualche maniera degli indivisibili sono co-munque partiti dalle tesi eleatiche accettandone certe premesse e cadendoquindi in una aporia. E' l'accettazione non ponderata di alcune premessedell'avversario spesso a determinare il fallimento di una confutazione.

In un brano della Metafisica di cui si parlerà ancora in seguito6, Aristo-tele traccia una netta linea di demarcazione fra il vecchio e il nuovo modo,il suo, di affrontare le aporie riguardanti l'essere e l'uno. Platone e i suoiallievi non sono arrivati ad una soluzione soddisfacente perché non hannodefinito prima correttamente i vari significati dell'oggetto di ricerca ehanno quindi assunto, come gli Eleati, per l'essere e per l'uno un signifi-cato univoco (per Aristotele essi si predicano in più modi). Così facendohanno dovuto dar ragione a questi ultimi su assunti fondamentali e am-mettere l'esistenza del non essere assoluto per spiegare la molteplicitàrimanendo imprigionati nelle stesse aporie che intendevano risolvere.L'ajporh'sai ajrcaikw'" è per Aristotele l'elemento che unifica tutte le solu-zioni del problema dell'essere, della molteplicità e del divenire antecedentialla sua, in particolare quelle che presentano la maggiore affinità fra lorocome i due tipi di atomismo leucippeo-democriteo e accademico.

A questo si deve aggiungere una ulteriore considerazione sui metodiespositivi aristotelici delle aporie stesse. Le formulazioni di base dei logoieleatici e quelle dei loro avversari che troviamo in Aristotele risalgono indefinitiva alla prassi dialettica platonica di unificare il più possibile sottouna sola voce diverse teorie e di contrapporre fra loro quelle i cui fonda-menti, in questo modo sintetizzati, sembrino opposti7. Lo scopo principaledi queste sintesi non è quello di dare un resoconto obiettivo dei testi presiin considerazione, ma, al contrario, di coglierne il significato profondo, ladiavnoia, che gli autori non hanno potuto o non sono stati in grado diesprimere esplicitamente8. Si tratta quindi in sostanza di adattare i testi divolta in volta al tema in discussione trovandovi elementi comuni o oppo-sizioni di fondo, la prassi dialettica usuale nei dialoghi platonici9 enell'Accademia codificata poi da Aristotele nei Topici10. Questa prassi di co-

6 Metaph. N 2, 1088b 35ss., v. infra, 3. 2 n. 83.7 Per l'utilizzazione di schemi polari da parte di Platone e Aristotele, cf. anche Giannantoni

1986, 273.8 Cf. ad es. Metaph. A 4, 985a 3ss. in relazione ad Empedocle e le numerose affermazioni di

Aristotele sulle "dottrine" presocratiche che rimandano, nell'uso di e[oike, dokei' e di altreespressioni simili, ad una interpretazione non letterale delle stesse. In particolare, perEsiodo, Metaph. A 4, 984b 23-31; per Empedocle, De cael. G 6, 305a 3-4; Phys. D 1, 208b 29-209a 1; per Anassagora, Metaph. A 8, 989a 30-b 21.

9 Cf. a questo proposito, Cambiano 1986, 68ss.10 Cf. in particolare le osservazioni sulla formulazione della proposizione, del problema e

della tesi nel primo libro dei Topici (A 10, 104a 3-11; 11, 105a 1-9; 14, 105a 34-105b 25).Sulla presenza in sottofondo nei Topici di una prassi scolastica accademica, cf. Düring 1976,

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Capitolo terzo 113

struzione di logoi dialettici, che ha le sue radici nella sofistica11, sta alla basedel brano del De generatione et corruptione che espone la tesi eleatica e la ri-sposta di Leucippo12. Il logos eleatico riportato da Aristotele costituisce uncaso di quella che in Top. A 11, 104b 19-22 viene definita una "tesi", vale adire un tipo particolare di teorema dialettico13:

Tesi è un'ipotesi contraria all'opinione generale di qualche personaggio famosonel campo della filosofia come [...] il fatto che tutto si muove, secondo Eraclito, oche l'essere è uno, come dice Melisso14.

E ancora:

discende necessariamente da quanto si è detto che o la grande maggioranza dellepersone sia in disaccordo con i sapienti riguardo alla tesi o che all'interno di unoqualsiasi di questi due gruppi (i molti e i sapienti) ci sia disaccordo giacché la tesiè una ipotesi fuori del senso comune15.

Ciò significa che si potevano assumere come tesi quella eleatica e comeantitesi le opinioni di coloro che sostenevano il movimento incessante ditutte le cose, oppure, all'inverso, porre queste ultime come tesi e attribuireagli Eleati il ruolo di critici. In ogni caso i disputanti si mettevano neipanni dell'uno o dell'altro autore le cui opinioni venivano poste come tesie, rispettivamente, come antitesi e si immedesimavano col suo presunto

85ss., Krämer 1971, 17ss. n. 68 con una ricca bibliografia; Flashar 1994, 326s. Sull'impor-tanza dei passi dei Topici riguardanti la "tesi" per la definizione del carattere e della strutturadella dossografia peripatetica, cf. Mansfeld 1992b, 332ss. Sul problema della presenza inAristotele di interpretazioni dei cosiddetti presocratici correnti nell'Accademia, cf. ancheGemelli Marciano 1991a, passim; 1991b, passim.

11 Cf. Arist. Soph. El. 34,183b 36ss. Cf. a questo proposito von Kienle 1961, 38-57; il volumedi Cambiano 1986 in generale e, in particolare, l'esauriente resoconto di Mansfeld 1986[1990b].

12 Come si vedrà anche in seguito, coloro che hanno assunto il logos eleatico e la successivarisposta di Leucippo se non come autentiche e dirette citazioni, per lo meno come una pa-rafrasi diretta di testi di Eleati e di Leucippo (cf. e.g. Bollack 1969; Löbl 1976, 145-150),hanno proprio tralasciato di considerare questo carattere schematico e topico dell'opposi-zione e dei termini dell'opposizione stessa. Cf. anche la critica di De Ley 1972.

13 Il termine tecnico è già accademico: Senocrate aveva scritto venti libri di qevsei" oltre chequattordici sulla dialettica (Xenocr. Fr. 2 IP) qevsewn bibliva k', th'" peri; to; dialevgesqaipragmateiva" bibliva id'.

14 Top. A 11, 104b 19-22 qevsi" dev ejstin uJpovlhyi" paravdoxo" tw'n gnwrivmwn tino;" kata;filosofivan, oi|on ª...º o{ti pavnta kinei'tai, kaq ÔHravkleiton, h] o{ti e}n to; o[n, kaqavperMevlissov" fhsin. Le due tesi vengono confrontate e poste sullo stesso piano da Aristotelenel primo libro della Fisica (A 2). Sull'importanza di Top. A 11 nella impostazione della di-scussione dei problemi fisici in Aristotele stesso e nella dossografia in generale, cf.Mansfeld 1992b, 332ss. Per considerazioni generali, cf. anche Beriger 1989, 40ss.

15 Top. A 11, 104b 32-34 ajnavgkh ga;r ejk tw'n eijrhmevnwn h] tou;" pollou;" toi'" sofoi'" peri; th;nqevsin ajmfisbhtei'n h] oJpoterousou'n eJautoi'", ejpeidh; uJpovlhyiv" ti" paravdoxo" hJ qevsi"ejstivn.

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Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)114

modo di pensare scambiandosi all'occasione anche i ruoli16. In questoschema i sostenitori delle varie tesi e antitesi variavano a seconda del con-testo. Le tesi e le antitesi inoltre non solo erano interscambiabili, ma pote-vano anche essere attribuite ad autori diversi. Su questo sfondo si delineala struttura dialettica di De generatione et corruptione A 8 composto di dueparti: la tesi presupposta (e non enunciata) nella prima parte è quella dicoloro che sostengono la molteplicità, il movimento e l'esistenza delvuoto, l'antitesi è il logos eleatico che confuta tutto questo sostenendol'unicità dell'essere. Questo logos viene però presentato a sua volta cometesi cui si contrappone, come antitesi, la dottrina di Leucippo17. In altripassi aristotelici gli oppositori degli Eleati non sono gli atomisti, ma gliAccademici18.

Ryle, riferendosi espressamente alla prassi descritta nei Topici, eviden-zia tre tratti fondamentali delle argomentazioni dialettiche: il loro carattere"pubblico" (tutti conoscevano gli argomenti principali a favore dell'una odell'altra tesi19), la loro conseguente, progressiva cristallizzazione in "bloc-chi" e la loro riutilizzazione da parte di interlocutori diversi con sviluppo oesclusione di determinati punti20. Aristotele non ha dunque "costruito" exnovo delle contrapposizioni dialettiche fra i suoi predecessori, ma ha sicu-ramente attinto ad un patrimonio di logoi dell'Accademia platonica la cuipaternità si perde nell'esercizio dialettico ripetuto e costante21. Un modellodi questi logoi è il Parmenide. Secondo le dichiarazioni del protagonista

16 Cf. Top. Q 5, 159b 27 a]n dæ eJtevrou dovxan diafulavtthi oJ ajpokrinovmeno", dh'lon o{ti pro;"th;n ejkeivnou diavnoian ajpoblevponta qetevon e{kasta kai; ajrnhtevon ª...º poiou'si de; tou'tokai; oiJ paræ ajllhvlwn decovmenoi ta;" qevsei": stocavzontai ga;r wJ" a]n ei[peien oJ qevmeno".

17 A questo carattere di logos dialettico-tipo fa probabilmente riferimento anche l'enigmaticoaccenno ai logoi di Leucippo nel trattatello De Melisso Xenophane et Gorgia (980a 3-9) inter-pretato spesso come allusione proprio al passo di De gen. et corr. A 8. Cf. Newiger 1973,120-22, con rassegna critica di altre interpretazioni. Il carattere particolare dell'espressioneera già stato rilevato da Diels che tuttavia lo considerava un possibile termine leucippeo(lettera a Zeller del 26 Aprile 1880, Ehlers II, 1992, 38 "aber da der betr. Ausdruck lovgou"bei Aristoteles, soviel ich weiß, allerdings auffallend und vielleicht aus Leucipp selbst ge-nommen ist…").

18 Cf. Phys. A 9, 191b 35ss. e Metaph. N 2, 1088b 35-1089a 6, infra, 3. 2 n. 83.19 Cf. Arist. Top. Q 14, 163b 17 prov" te ta; pleistavki" ejmpivptonta tw'n problhmavtwn

ejxepivstasqai dei' lovgou", kai; mavlista peri; tw'n prwvtwn qevsewn. Poco prima (163b 4-9)Aristotele raccomanda di scegliere e confrontare argomenti correlati ad una stessa tesi per-ché questo fornisce una gran quantità di materiale per poter poi condurre più facilmente laconfutazione. Cf. su questo passo Balthussen 2000, 38.

20 Ryle 1968, 75s.21 Cf. Ryle 1968, 76 (in relazione ad una tesi di tipo etico) "To ask whether the finally

crystallized refutation of the thesis that pleasure is not a good is the handiwork of Aristotle orof someone else is to ask an unanswerable question. It has passed between all the mill-sto-nes. Dialectic is a co-operative and progressive polemic—a polemic not between persons,but between theses and counter-theses".

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Capitolo terzo 115

stesso del dialogo, il vecchio Parmenide, si tratta di un lovgo" gumnastikov"nel quale si dimostrano tutte le conseguenze di una tesi paradossale quale"se l'uno è uno" (e in questo caso si arriva alla conclusione che esso deveessere tale da non esistere) e di quella, altrettanto paradossale, "se l'unonon è" (e anche in questo caso si arriva al paradosso della non esistenzadel tutto), ma anche le difficoltà della tesi intermedia e cioè "se l'uno è", laquale implica o la contemporanea presenza di unità e molteplicità o la nonesistenza dell'uno sia nell'uno che nell'altro dall'uno. Il Parmenide è un logoscostruito sulle aporie di Zenone che ha influenzato tutta la tradizione sul-l'Eleate, talché a tutt'oggi si discute se i suoi paradossi fossero una difesadella dottrina dell'uno di Parmenide o se invece fossero diretti sia control'assunzione dell'essere come uno sia contro la sua qualificazione comemolti22. Probabilmente non sono né l'uno né l'altro23, ma si inquadrano inun metodo tendente a demolire le opinioni umane e a confondere lamente per prepararla alla ricezione di un altro messaggio, quello parmeni-deo appunto24. Non è questo il luogo di trattare in modo approfondito iparadossi di Zenone. Quello che interessa è invece il fatto che nel Parme-nide platonico si ritrovano alcuni tratti tipici della costruzione di logoi qualiquelli descritti nei Topici aristotelici. Tre sono in particolare interessanti peril contesto del De generatione et corruptione in questione:

22 La versione secondo cui Zenone vuole ajnairei'n to; e{n è quella che troviamo in Alessandroil quale a sua volta la fa risalire ad Eudemo di Rodi (ap. Simpl. In Phys. 185b 25, 99,13 = 29A 21 DK). Un'interpretazione di Zenone scettico negatore dell'uno, derivata da una dos-sografia di matrice accademico-scettica, si ritrova anche in Sen. Ep. 88,44 (29 A 21 DK).Simplicio rigetta questa esegesi perché segue l'interpretazione canonica platonizzante chevede in Zenone il difensore delle dottrine parmenidee. Altre fonti (e.g. Philop. In Phys.185b 5, 42,9 = 29 A 21 DK) riferiscono la confutazione all'uno della molteplicità: questa èinfatti composta di unità. La tradizione riguardante Zenone è stata più volte esaminatasotto tutti questi aspetti. La tendenza prevalente è quella di dar credito alla versione delParmenide platonico e all'interpretazione ortodossa di Simplicio (così Fränkel 1975, 102-142;Furley 1967, 63ss.). Un'analisi della tradizione zenoniana condotta "in utramque partem" daSolmsen 1971, 116-141, si conclude con una sospensione del giudizio e allo stesso modo sipronuncia anche Barnes 1986, 234s.

23 Il Parmenide monista è in realtà il risultato di tutta una tradizione interpretativa dovuta adun approccio esclusivamente filosofico e ha poco a che fare con lo stile del poema stessoche si basa principalmente su "immagini" ed ha una marcata funzione evocativa: l'attributoe{n fa parte di una sequenza di "immagini" di completezza dell'essere che vuole trasmettereuna esperienza e non una "dottrina" filosofica in senso platonico-aristotelico. Per un ap-proccio a Parmenide che tiene conto della funzione e del contesto del poema, cf. Kingsley2003.

24 Cf. Kingsley 2003, 295-302 e 585. Platone stesso, nel Fedro (261d = 29 A 13 DK), riferisceche Zenone dava l'impressione ai suoi ascoltatori di affermare che le stesse cose sono unoe molti. Una interpretazione simile si trova anche in Isocrate, Hel. 3 (pw'" ga;r a]n ti" uJper-bavloito ª...º Zhvnwna to;n taujta; dunata; kai; pavlin ajduvnata peirwvmenon ajpofaivnein…) ed èadombrata nell'epiteto ajmfoterovglwsso" affibiatogli da Timone (Fr. 45 Di Marco). Evi-dentemente Zenone era famoso proprio per questa sua capacità di confondere.

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Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)116

1. Il tentativo di inglobare le dottrine di Zenone in quelle di Parme-nide per farle confluire in un solo logos. A Zenone viene attribuita solo unavariazione di forma che avrebbe ingannato i profani. Per sua espressaammissione, egli sarebbe stato lontano da qualsiasi pretesa di originalitàrispetto al pensiero del maestro25.

2. Come conseguenza di questo primo passo, la successiva discussionedelle aporie sull'uno da parte dello stesso Parmenide e non dell'allievoZenone. In sostanza questo significava trattare un logos eleatico come unblocco compatto in cui le differenze potevano essere trascurate.

3. Il fatto che Parmenide rivesta il ruolo di oppositore a tesi cronolo-gicamente a lui posteriori. Egli infatti imposta il suo discorso partendodalla critica alle idee socratiche. In questo caso la tesi è rappresentata daSocrate, l'antitesi da Parmenide.

Il logos aristotelico di De generatione et corruptione A 8 riproduce tratti eschemi delle discussioni dialettiche descritte nei Topici e ha qualcosa incomune con quelli del Parmenide descritti sopra. Si tratta infatti di un logoscomposto di argomentazioni tratte in parte dagli Eleati, ma sicuramentefiltrate e rielaborate in quanto mancano riferimenti precisi sia a singolipersonaggi, sia alle dottrine contro cui si rivolgevano. Normalmente, Ari-stotele, quando riporta dottrine eleatiche, è sempre abbastanza precisonell'indicarne l'appartenenza26. Sono state tentate varie ipotesi sugli autoricui egli allude27 e tutte risultano plausibili e implausibili allo stesso modoproprio perché probabilmente egli si serve di una forma generica di logosche riassume le presunte argomentazioni a favore dell'unicità e dell'immo-bilità dell'essere e contro la molteplicità e il movimento. Inoltre, le aporieche il logos mette in evidenza potrebbero essere dirette anche contro un'i-potesi atomista28 oltre che contro tesi corpuscolariste29. Infatti, non solo si

25 Parm. 128a-e.26 Cf. ad es. le discussioni delle teorie eleatiche in Phys. A 2-3; De cael. G 1, 298b 15ss.27 Per un elenco dei vari autori che sono stati di volta in volta identificati nelle teorie esposte

da Aristotele, cf. Löbl 1976, 138ss. con relativa bibliografia.28 Che il logos eleatico di Aristotele contenga argomentazioni contro l'atomismo è già stato

notato da Newiger 1973, 117-119 il quale vi vede una critica diretta di Melisso a Leucippo.29 Il carattere dialettico degli argomenti esposti nel logos eleatico era stato notato da Joachim

1922, 159. L'argomentazione eleatica era diretta secondo lui contro i pluralisti le cui pre-messe non potevano dar ragione della pluralità e del movimento. Due sono le tesi dei plu-ralisti in questione: A. Che i molti sono separati dal vuoto. B. Che i molti sono unità di-screte in contatto non separate dal vuoto. La prima sarebbe dei Pitagorici, l'altra diEmpedocle. L'Empedocle corpuscolarista (e atomista) che emerge talvolta in Aristotele èun'interpretazione probabilmente già accademica (cf. Gemelli Marciano 1991a). La conce-zione del vuoto che separa è sì di matrice pitagorica, ma si inserisce in un contesto di rein-terpretazioni come si vedrà più oltre. L'unico motivo per cui Joachim negava categorica-mente che nella critica eleatica fossero compresi gli atomisti era la successiva attribuzione aLeucippo di una risposta agli Eleati. E' importante citare alla lettera il suo commento in

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Capitolo terzo 117

nega il vuoto come condizione del movimento e come elemento di divi-sione, ma viene rigettata come una ipotesi artificiosa anche l'assunzione diuna pienezza di parti del tutto contrapposta ad una non pienezza, la tesifondamentale del successivo logos di Leucippo. C'è infatti da tener presenteche il discorso sull'omogeneità dell'essere degli Eleati riguarda il tutto enon le sue singole parti.

Sullo sfondo del carattere dialettico del brano aristotelico si delineaanche il significato tecnico del termine logoi riferito alle dottrine di Leu-cippo riportate come "antitesi" al logos eleatico (Leuvkippo" d e[cein wjihvqhlovgou"). I logoi di Leucippo non sono infatti necessariamente la trasposi-zione fedele di opinioni espresse dall'autore stesso, ma piuttosto una lororielaborazione nell'ottica di una discussione dialettica. Ciò risulta princi-palmente da due fatti:

1. I due logoi, quello degli Eleati e quello di Leucippo, hanno in sé unastruttura chiusa ed estrapolabile dal contesto: non riguardano infattiespressamente l'agire e il patire, il tema principale del capitolo aristotelico(che nel logos eleatico non viene neppure nominato), ma la problematicadell'uno e del molteplice, del movimento e della stasi, problemi generali dicui l'agire e il patire costituiscono solo un aspetto specifico e contingente.Aristotele ricollega il problema dei principi col suo tema solo in 325a 32-325a 32-325b 5 ritrascrivendo in termini di poiei'n e pavscein il meccani-smo che per Leucippo spiegava la generazione, la corruzione e il cambia-mento cioè l'intrecciarsi e il separarsi degli atomi nel vuoto30.

2. C'è una scarsa coerenza fra il logos eleatico che confuta implicita-mente delle tesi come quelle di Leucippo e l'affermazione di Aristotelesecondo cui quest'ultimo risponderebbe agli Eleati accettandone certipostulati.

Questi problemi sono dovuti ad una sovrapposizione, non immedia-tamente percepibile, su di un originario schema piuttosto semplice e diprobabile matrice sofistica, di tematiche sviluppate nell'Accademia e ri-prese e discusse da Aristotele. Qui di seguito cercherò di individuare gli

quanto è un esempio di ragionamento seguito dalla gran parte degli interpreti moderni,159s.: "The opponents in question cannot be the atomists: for atomism (cf. 25a 33ss.) wasdeveloped under the influence of, and subsequently to, the Eleatic criticism of this parti-cular theory of a many and void".

30 De gen. et corr. A 8, 325a 32-325b 5 poiei'n de; kai; pavscein h|i tugcavnousin aJptovmena ª...ºkai; suntiqevmena de; kai; periplekovmena genna'n ª...º ou{tw pa'san ajlloivwsin kai; pa'n to;pavscein tou'ton givnesqai to;n trovpon, dia; tou' kenou' ginomevnh" th'" dialuvsew" kai; th'"fqora'", oJmoivw" de; kai; th'" aujxhvsew", uJpeisduomevnwn sterew'n. Hussey 2004, 244 parla aproposito di questo brano di una posizione a "sandwich" (The two parts of the discussionof Empedocles begin and end the chapter, like the outside of a sandwich. Inside the san-dwich is a long discussion (324b 35-326b 6) of atomism as a physical theory, which goeswell beyond the topic of 'action-passion').

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Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)118

strati del brano aristotelico e di inquadrarlo nel contesto più ampio deldibattito con l'Accademia sulla questione dei principi.

2. 2. Gli strati del logos eleatico

2. 2. 1. Lo schema sofistico

Il logos eleatico è formulato come segue:

Con metodo soprattutto e con un discorso globale che abbraccia tutto Leucippoe Democrito hanno dato le loro spiegazioni assumendo un principio conformealla natura, così come essa è. Alcuni infatti degli antichi erano dell'opinione chel'essere fosse necessariamente uno e immobile; [dicevano] infatti che il vuoto è unnon-essere, ma che non ci può essere movimento se non c'è un vuoto separato. Eneppure ci sono i molti, se non c'è ciò che separa; d'altra parte non c'è nessunadifferenza fra il credere che il tutto non sia continuo, ma [fatto di parti che] sitoccano rimanendo separate, e l'affermare che esistono i molti, che non c'è un"uno" e che c'è il vuoto. Se infatti [il tutto] è divisibile in ogni parte, non c'è un"uno", cosicché non ci sono neppure i molti, ma il tutto è vuoto. Ammettered'altra parte che è divisibile in un punto e non in un altro è simile ad una spiega-zione inventata ad arte; infatti fino a che punto e perché una parte del tutto sitrova in questa condizione ed è piena, un'altra parte invece è divisa? Allo stessomodo è necessario [secondo loro] affermare che non c'è il movimento. Da questiargomenti desumono, senza curarsi e senza tenere alcun conto della sensazionecome se ci si dovesse lasciar guidare soltanto da un ragionamento dialettico, che iltutto è uno, immobile e alcuni anche infinito; il limite infatti, [dicono], confine-rebbe col vuoto. Gli uni dunque si sono espressi in questo modo e per questimotivi "sulla verità". Inoltre a parole sembra che questo avvenga, nella realtà deifatti, invece, pensare in questo modo sembra avvicinarsi alla follia, giacché nessunpazzo sembra essere andato a tal punto fuori di sé da credere che il fuoco e ilghiaccio siano una sola cosa, ma ad alcuni a causa della loro follia sembra soloche le cose belle e quelle che appaiono tali solo per consuetudine non differi-scano in nulla31.

31 Arist. De gen. et corr. A 8, 324b 35 (67 A 7 DK; 146 L.) oJdw'i de; mavlista kai; peri; pavntwneJni; lovgwi diwrivkasi Leuvkippo" kai; Dhmovkrito", ajrch;n poihsavmenoi kata; fuvsin h{perejstivn. ejnivoi" ga;r tw'n ajrcaivwn e[doxe to; o]n ejx ajnavgkh" e}n ei\nai kai; ajkivnhton: to; me;n ga;rkeno;n oujk o[n, kinhqh'nai dæ oujk a]n duvnasqai mh; o[nto" kenou' kecwrismevnou. oujdæ au\polla; ei\nai mh; o[nto" tou' dieivrgonto": tou'to de; mhde;n diafevrein, ei[ ti" oi[etai mh; su-nece;" ei\nai to; pa'n ajllæ a{ptesqai dihirhmevnon, tou' favnai polla; kai; mh; e}n ei\nai kai; ke-novn. eij me;n ga;r pavnthi diairetovn, oujde;n ei\nai e{n, w{ste oujde; pollav, ajlla; keno;n to; o{lon:eij de; th'i me;n th'i de; mhv, peplasmevnwi tini; tou'tæ ejoikevnai: mevcri povsou ga;r kai; dia; tiv to;me;n ou{tw" e[cei tou' o{lou kai; plh'rev" ejsti, to; de; dihirhmevnon… e[ti oJmoivw" favnaiajnagkai'on mh; ei\nai kivnhsin. ejk me;n ou\n touvtwn tw'n lovgwn, uJperbavnte" th;n ai[sqhsin kai;paridovnte" aujth;n wJ" tw'i lovgwi devon ajkolouqei'n, e}n kai; ajkivnhton to; pa'n ei\naiv fasi kai;a[peiron e[nioi: to; ga;r pevra" peraivnein a]n pro;" to; kenovn. oiJ me;n ou\n ou{tw" kai; dia; tauvta"ta;" aijtiva" ajpefhvnanto peri; th'" ajlhqeiva". e[ti de; ejpi; me;n tw'n lovgwn dokei' tau'ta sum-

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Capitolo terzo 119

Il logos è formulato già come un'antitesi a tesi che pongono il movimento ela molteplicità. Lo schema sostenitori del movimento e della molteplicità/sostenitori della stasi e dell'uno è corrente in testi risalenti ai primi decennidel IV sec. a.C. In un passo polemico dell'Elena, Isocrate, scagliandosicontro i suoi contemporanei che, secondo lui, vogliono fare sfoggio dellaloro abilità retorica sostenendo tesi paradossali e di nessuna utilità per lavita, fa notare come questa pratica non sia affatto nuova, ma risalga aisapienti del secolo precedente. Egli cita come esempio Gorgia, che haaffermato che nulla esiste, Zenone, che avrebbe presentato successiva-mente la stessa tesi come possibile e impossibile e Melisso il quale avrebbecercato di dimostrare che tutto è uno nonostante per natura esista unainfinita pluralità di cose32. Nell'Antidosis l'oratore mette in guardia i giovanidal lasciarsi inaridire la mente perdendosi nei logoi degli antichi sapientiognuno dei quali sostiene una tesi diversa dall'altro sul numero delle coseesistenti. La gamma dei sapienti si estende qui dai sostenitori dell'infinitamolteplicità, di cui non vien fatto alcun nome, a quelli di una molteplicitàfinita (Empedocle, Ione e Alcmeone), a quelli di un solo ente (Parmenidee Melisso), per concludere con Gorgia che afferma che nulla esiste33.

baivnein, ejpi; de; tw'n pragmavtwn manivai paraplhvsion ei\nai to; doxavzein ou{tw": oujdevna ga;rtw'n mainomevnwn ejxestavnai tosou'ton w{ste to; pu'r e}n ei\nai dokei'n kai; to;n kruvstallon,ajlla; movnon ta; kala; kai; ta; fainovmena dia; sunhvqeian, tau't ejnivoi" dia; th;n manivan oujqe;ndokei' diafevrein. Per i problemi testuali e sintattici della seconda parte del brano (oiJ me;nou\n ª...º diafevrein), cf. Joachim, ad loc., 161s. Egli vede una lacuna dopo ajlhqeiva" e ipo-tizza che uno o più argomenti contro l'eleatismo siano caduti. La lezione ejpei; per e[ti, sa-rebbe un tentativo di ripristinare la logica del passo; cf. anche Löbl 1976, 146s. In realtà, sesi considera il fenomeno dello iotacismo, la lezione ejpei; potrebbe essere stata favorita dalsuccessivo ejpi; e il problema sintattico è solo apparente. Aristotele riprende e adatta infattiun logos preesistente intercalandolo con osservazioni proprie e procedendo per accumula-zione, non sempre ordinata, di argomenti. Egli sembra aver concluso il tema (oiJ me;n ª...ºajlhqeiva") dopo un giudizio critico sulle argomentazioni eleatiche (ejk me;n ou\n ª...º e[nioi) el'aggiunta di una ulteriore teoria fuori degli schemi uno/ molti e immobile/ in movimento,quella cioè che pone l'uno come infinito (a[peiron... kenovn). In realtà egli riprende poi an-cora la critica precedentemente espressa con la formula cumulativa tipica nei suoi scritti(e[ti dev). Si tratta di un procedimento dialogico-discorsivo tipico delle discussioni dialetti-che e funzionale al discorso orale. Su questo "residuo" di oralità nelle pragmateiai aristoteli-che, cf. Föllinger 1993, 268. Non c'è dunque alcuna necessità di supporre una lacuna comeJoachim e Löbl, né di accettare la lezione ejpei; di altri manoscritti come Rashed 2005, 38 e138s. n. 6.

32 Isocr. Hel. 3 pw'" ga;r a[n ti" uJperbavloito Gorgivan to;n tolmhvsanta levgein wJ" oujde;n tw'no[ntwn e[stin h] Zhvnwna to;n taujta; dunata; kai; pavlin ajduvnata peirwvmenon ajpofaivnein h]Mevlisson o}" ajpeivrwn to; plh'qo" pefukovtwn tw'n pragmavtwn wJ" eJno;" o[nto" tou' panto;"ejpeceivrhsen ajpodeivxei" euJrivskein;

33 Isocr. Antid. 268 (82 B 1 DK) ª...º tou;" lovgou" tw'n palaiw'n sofistw'n, w|n oJ me;n a[peironto; plh'qo" e[fhsen ei\nai tw'n o[ntwn ª...º Parmenivdh" de; kai; Mevlisso" e{n, Gorgiva" de; pan-telw'" oujdevn. Platone, nel Sofista (242c), fa ricorso ad una lista simile, ma senza contem-plare i sostenitori dell'infinita pluralità e del numero zero.

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Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)120

Senofonte riproduce, da parte sua, nei Memorabili, varianti di questoschema in una forma ancora più decisamente antitetica. Il suo Socrateparagona infatti coloro che si occupano della ricerca sulla natura a dueschiere di pazzi che sostengono tesi contrarie: gli uni sono dell'opinioneche l'essere sia uno solo, gli altri invece che gli enti siano infiniti di nu-mero, gli uni pensano che tutto si muova, gli altri che nulla si muova, gliuni che tutto si generi e si distrugga, gli altri che nulla mai si generi e sidistrugga34. Il panorama descritto da Senofonte rimanda in effetti ai dibat-titi pubblici fra "filosofi" cui allude anche Gorgia nell'Encomio di Elena (82B 11 (13) DK). Gorgia stesso sta probabilmente all'origine di questischemi di diaphonia: nel suo scritto Sul non essere aveva infatti delineato leposizioni antitetiche dei suoi predecessori prima di passare alla dimostra-zione che nulla esiste35.

E' possibile dunque che le origini remote del logos eleatico nel De gene-ratione et corruptione siano da ricondursi ad una sintesi di ambiente sofisticodi dottrine contrapposte: da una parte i sostenitori della molteplicità e delmovimento, dall'altra quelli dell'unità e immutabilità dell'essere. Ad unaoriginaria matrice sofistica dello schema fa pensare anche la critica chesegue immediatamente (325a 17-23): se a parole queste dottrine sembranoverosimili, nei fatti nessun pazzo andrebbe così fuor di senno da dire cheil ghiaccio e il fuoco sono la stessa cosa. Il tono fortemente ironico dellapolemica e l'insistenza sulla maniva è estraneo alla tipologia delle critichearistoteliche sempre piuttosto misurate, anche quando sono più decise36.Tale accusa, rivolta sia agli Eleati che ai loro antagonisti, era però un toposnel periodo della sofistica come si può vedere nel passo di Senofonte ci-tato sopra37. Critiche di questo tipo erano certamente conosciute anchenella cerchia platonica se, nel Parmenide, Zenone afferma espressamente di

34 Xen. Memor. 1,1,13 ejpei; kai; tou;" mevgiston fronou'nta" ejpi; tw'i peri; touvtwn levgein oujtaujta; doxavzein ajllhvloi", ajlla; toi'" mainomevnoi" oJmoivw" diakei'sqai pro;" ajllhvlou" […]tw'n te peri; th'" tw'n pavntwn fuvsew" merimnwvntwn toi'" me;n dokei'n e}n movnon to; o]n ei\nai,toi'" d a[peira to; plh'qo": kai; toi'" me;n ajei; pavnta kinei'sqai, toi'" d oujde;n a[n potekinhqh'nai: kai; toi'" me;n pavnta givgnesqai te kai; ajpovllusqai, toi'" de; ou[t a]n genevsqaipote; oujde;n ou[te ajpolevsqai.

35 MXG 979a 13-18 kai; o{ti me;n oujk e[sti, sunqei;" (scil. Gorgiva") ta; eJtevroi" eijrhmevna, o{soiperi; tw'n o[ntwn levgonte" tajnantiva, wJ" dokou'sin, ajpofaivnontai auJtoi'", oiJ me;n o{ti e}n kai;ouj pollav, oiJ de; au\ o{ti polla; kai; oujc e{n. Cf. Mansfeld 1986, 32ss. [1990b, 55ss.]

36 Cf. ad es. le obiezioni rivolte a Parmenide e Melisso in Phys. A 2-3. Aristotele rivolge unaaccusa simile, ma più attenuata (debolezza mentale) ai sostenitori della stasi continua inPhys. Q 3, 253a 32 to; me;n ou\n pant hjremei'n kai; touvtou zhtei'n lovgon ajfevnta" th;nai[sqhsin, ajrrwstiva tiv" ejsti dianoiva". La stranezza dell'accusa di follia nel brano del Degeneratione et corruptione viene notata anche da Hussey 2004, 250.

37 Cf. Xen. Memor. 1,1,13 supra, n. 34. Cf. ancora l'accusa del Socrate di Senofonte ad Anassa-gora in Mem. 4,7,6. L'accusa di maniva viene utilizzata come strumento confutativo anchenel trattato ippocratico De arte 8,2 (232,17 Jouanna = VI,12 Littré).

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Capitolo terzo 121

aver voluto difendere il suo maestro da coloro "che volevano ridicoliz-zarlo" e di aver a sua volta dimostrato che, assumendo le tesi degli anta-gonisti, sarebbero risultate delle conseguenze ancora più risibili38.L'originario schema sofistico consisteva probabilmente in unacontrapposizione dei sostenitori della stasi e dell'unicità dell'essere (Me-lisso?) alle tesi del movimento e della infinita molteplicità degli enti conuna successiva ridicolizzazione, però, dei primi. I passi di Isocrate e diSenofonte suggeriscono inoltre alcune ulteriori considerazioni:

1. Il fatto che Isocrate (e in subordine anche Senofonte il quale però,in generale, non fa nomi) in nessuno dei due passi menzioni i sostenitoridella pluralità infinita e che questa voce non compaia neppure nel passoparallelo sul numero degli enti del Sofista platonico (242d) fa pensare chetale posizione non venisse attribuita a nessuno in particolare, ma fosseconsiderata una opinione corrente e condivisa che Platone, proprio inquanto tale, non prende in considerazione. Si tratta dunque di una casella"vuota" nello schema passibile di essere "riempita" con nomi diversi39.

2. Dagli schemi isocratei si ricava l'impressione che le tesi dei sosteni-tori dell'uno siano principalmente ricalcate sui logoi di Melisso che avevaespressamente polemizzato contro coloro che ammettevano il movimentoe la molteplicità senza fare però precisi riferimenti40. Era infatti principal-

38 Parm. 128c e[sti de; tov ge ajlhqe;" bohvqeiav ti" tau'ta ta; gravmmata tw'i Parmenivdou lovgwipro;" tou;" ejpiceirou'nta" aujto;n kwmwidei'n wJ" eij e{n ejsti, polla; kai; geloi'a sumbaivneipavscein tw'i lovgwi kai; ejnantiva aujtw'i. Quella di portare alle sue conseguenze paradossaliuna tesi era una pratica sofistica (Arist. Soph. elench. 12, 172b 10s.) ampiamente utilizzatanella dialettica accademica. Nelle Confutazioni sofistiche (12, 173a 6), Aristotele esemplifical'eij" paravdoxon a[gein con un esempio tratto dal Gorgia platonico. Cf. su questi punti Krä-mer 1971, 45.

39 Aristotele, nel primo libro della Metafisica, cita come rappresentante di questa tesi Anassa-gora (A 3, 984a 11-13), mentre ordina gli atomisti fra i dualisti, nel primo della Fisica, in-vece, i sostenitori dell'infinita pluralità sono Democrito e probabilmente Anassagora (A 2,184b 20) e all'inizio del De generatione et corruptione (A 1, 314a 17s.), in ordine: Anassagora,Leucippo, Democrito.

40 Melisso parte dalla considerazione che tutto ciò che vediamo è molteplice e cambia. Setuttavia si ammette che ciò corrisponda alla verità, ma che, d'altra parte, esista una molte-plicità di enti eterni che rimangono, si va incontro a due difficoltà principali: A. Che questova contro la verità dei fenomeni da cui si parte per affermare che c'è la molteplicità (com'èpossibile infatti dire che ci sono i molti perché noi vediamo che tutto cambia e poi affer-mare nello stesso tempo che non è vero ciò che noi vediamo e che ci sono dei molti chenon cambiano?). B. Che questi enti eterni o hanno una massa, e quindi hanno parti e sonouna molteplicità soggetta alla dissoluzione come tutto il resto o, se non hanno parti, nonsono nulla perché sono incorporei (30 B 8 e B 9 DK). La priorità di Melisso o Leucippo èancora argomento di discussione, ma, se Melisso è il generale che ha combattuto controPericle, Leucippo, contemporaneo di Anassagora, dovrebbe essere più vecchio di una ven-tina d'anni. Questo non esclude naturalmente che egli potesse criticare un suo contempo-raneo più giovane, ma il fatto che il nome di Melisso come rappresentante dell'uno e dellastasi emerga soprattutto negli autori di fine V-inizio IV sec. a.C. oltre che presso il Socrate

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Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)122

mente Melisso per gli autori di inizio IV sec. a.C. il sostenitore-tipo dell'u-nicità dell'essere, come si può vedere dal passo dell'Elena e dallo scrittoippocratico De natura hominis risalente a questo periodo41. In Isocrate gliEleati negano la realtà della molteplicità infinita posta da altri secondo unoschema usato anche da Platone e Aristotele nell'ambito della problematicadella stasi e del movimento. Nel Teeteto "i Melissi e i Parmenidi" si oppor-rebbero42 ai sostenitori del moto continuo ("Eraclitei" e loro predecessori)e nel quarto libro della Fisica Melisso risponde a coloro che ammettono ilvuoto (fra i quali sono compresi anche gli atomisti) che quest'ultimo è unnon-essere43. In una problematica del movimento e della stasi o dell'uno edel molteplice, il logos eleatico poteva comparire dunque tanto come tesi,quanto come antitesi.

2. 2. 2. Le problematiche accademiche del logos: vuoto, contatto e divisione

Lo schema sofistico si presenta tuttavia estremamente rielaborato nel re-soconto aristotelico. La terminologia rimanda a definizioni del vuoto e adiscussioni sulla divisibilità all'infinito riecheggiate anche in altre operearistoteliche, che hanno però le loro radici nelle discussioni accademichesui primi principi: l'uno e la diade indefinita. In particolare le definizionidel vuoto alla base del logos eleatico sono estremamente importanti perindividuare i pre-supposti del passo. Fra gli "Eleati" l'unico ad aver parlatoespressamente di vuoto è Melisso44. Tutte le interpretazioni moderne chehanno attribuito allusioni al vuoto a Parmenide si basano su pure specula-zioni e su una esegesi decontestualizzata del poema, non hanno quindialcuna reale consistenza. Melisso aveva negato l'esistenza del vuoto, inquanto "non essere", e con questo anche quella del movimento e del

platonico, suggerisce in ogni caso che le sue dottrine hanno avuto una larga diffusione soloin un periodo in cui Leucippo era presumibilmente già morto.

41 Nat. hom. 1 (166,9-11 Jouanna = VI,34 Littré), cf. Mansfeld 1986, 34 [1990b, 56s.]. Platonestesso (cf. Theaet. 180e, nota seguente) menziona Melisso prima di Parmenide e Aristotele,nel primo libro dei Topici (A 11, 104b 22), indica come sostenitore della tesi paradossale chel'essere è uno Melisso e non Parmenide.

42 Plat. Theaet. 180e to; de; dh; provblhma a[llo ti pareilhvfamen para; me;n tw'n ajrcaivwn meta;poihvsew" ejpikruptomevnwn tou;" pollouv", wJ" hJ gevnesi" tw'n a[llwn pavntwn Wkeanov" tekai; Thqu;" rJeuvmata ão[ntaà tugcavnei kai; oujde;n e[sthke ª...º ojlivgou de; ejpelaqovmhn, w\Qeovdwre, o{ti a[lloi au\ tajnantiva touvtoi" ajpefhvnanto (cit. errata di 28 B 8,38 DK) kai;a[lla o{sa Mevlissoiv te kai; Parmenivdai ejnantiouvmenoi pa'si touvtoi" diiscurivzontai, wJ"e{n te pavnta ejsti; kai; e{sthken aujto; ejn auJtw'i oujk e[con cwvran ejn h|i kinei'tai. In questopasso Platone traduce significativamente nel concetto più astratto di chora il vuoto di Me-lisso (30 B 7 DK kenou' de; mh; ejovnto" oujk e[cei o{khi uJpocwrhvsei).

43 Phys. D 6, 213b 4-14, v. infra, 4. 1. 1 n. 104.44 Cf. anche Barnes 1986, 217s.; Curd 2004, 182 n. 7.

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denso e del rado, in quanto quest'ultimo è più vuoto del denso (30 B 7,6-9DK). Nell'argomento riportato da Aristotele emergono tuttavia una impo-stazione del problema e una terminologia che vanno ben oltre il fram-mento di Melisso. Il vuoto è definito come "ciò che separa" (definizioneche non compare in Melisso), quindi, in seguito, equiparato alla divisione econcepito come un sostrato della realtà: se il tutto fosse diviso in ogniparte, esso si ridurrebbe a un tutto vuoto.

Per comprendere meglio i concetti soggiacenti a questa rielaborazionedi tesi eleatiche offerta nel logos aristotelico, è opportuno andare alla di-scussione sul vuoto e sul luogo del quarto libro della Fisica. Aristotelepresenta qui due concezioni del vuoto: quella di Platone e dei Platonici equella attribuita a "Democrito, Leucippo e a molti dei fisici". I primi po-stulerebbero un vuoto-spazio concepibile mentalmente come sostrato"separato" di corpi e grandezze, ma nella realtà sempre pieno (la Chora delTimeo e il vuoto come ipostasi fisica della diade indefinita dei Platonici45).Per gli altri, invece, il vuoto esiste "in atto" e "divide l'intera massa corpo-rea del tutto in modo che sia discontinua" o "si trova fuori della massacorporea del tutto"46. Le definizioni del vuoto che Aristotele attribuisceagli atomisti e ad altri fisici sono in realtà modellate su quelle pitagoriche,come si può constatare dal seguito dell'esposizione. Egli riferisce infattipoco dopo che nelle cosmogonie pitagoriche, l'universo respira dall'infi-

45 Phys. D 2, 209b 6-12, per il testo, v. infra, n. 59. Phys. D 7, 214a 13 diov fasivn tine" ei\nai to;keno;n th;n tou' swvmato" u{lhn (oi{per kai; to;n tovpon to; aujto; tou'to), levgonte" ouj kalw'": hJme;n ga;r u{lh ouj cwristh; tw'n pragmavtwn, to; de; keno;n zhtou'sin wJ" cwristovn. Che questasia la concezione dei Platonici, derivata dall'interpretazione della Chora del Timeo alla lucedel secondo principio, la diade indefinita, è confermato dal commento di Simplicio In Phys.cor. de loc., 618,16 (267 L.) pavlin de; au\ tw'n to; keno;n aujto; tiqemevnwn oiJ me;n a[peironei\naiv fasi kai; uJperbavllon ajpeirivai ta; swvmata kai; dia; tou'to a[llo ejn a[lloi" eJautou'mevresi katadecovmenon, wJ" a]n e[tucen, ei[per mevrh levgein ejpi; tou' ajpeivrou kenou' dunatovn.toiauvthn de; peri; aujtou' dovxan ejschkevnai dokou'sin oiJ peri; Dhmovkriton ajrcai'oi fusio-lovgoi. oiJ de; ijsovmetron aujto; tw'i kosmikw'i swvmati poiou'si, kai; dia; tou'to th'i me;n eJautou'fuvsei keno;n ei\nai levgousi, peplhrw'sqai de; aujto; swmavtwn ajeiv, kai; movnhi ge th'i ejpi-noivai qewrei'sqai wJ" kaq auJto; uJfestwv", oi|oiv tine" oiJ polloi; tw'n Platonikw'n filosovfwngegovnasi. Cf. anche 601,17 (266 L.). Per "Platonici" sono intesi qui gli allievi diretti diPlatone, cf. la stessa denominazione in In De cael. 279b 32, 303,33 dokei' me;n pro;" Xeno-kravthn mavlista kai; tou;" Platwnikou;" oJ lovgo" teivnein. Per la concezione accademica delvuoto come ipostasi della diade indefinita nel mondo fisico, cf. Theophr. Metaph. 6a 25(Xenocr. Fr. 100 IP; Speus. Fr. 87 IP) tou;" ga;r ajriqmou;" gennhvsante" kai; ta; ejpivpeda kai;ta; swvmata scedo;n ta\lla paraleivpousin plh;n o{son ejfaptovmenoi kai; tosou'ton movnondhlou'nte", o{ti ta; me;n ajpo; th'" ajorivstou duavdo", oi|on tovpo" kai; keno;n kai; a[peiron, ta; dajpo; tw'n ajriqmw'n kai; tou' eJno;", oi|on yuch; kai; a[ll a{tta. Cf. anche Happ 1971, 111s.

46 Phys. D 6, 213a 31 ou[koun tou'to dei' deiknuvnai, o{ti ejstiv ti oJ ajhvr, ajllæ o{ti oujk e[stidiavsthma e{teron tw'n swmavtwn, ou[te cwristo;n ou[te ejnergeivai o[n, o} dialambavnei to; pa'nsw'ma w{ste ei\nai mh; sunecev", kaqavper levgousin Dhmovkrito" kai; Leuvkippo" kai; e{teroipolloi; tw'n fusiolovgwn, h] kai; ei[ ti e[xw tou' panto;" swvmatov" ejstin o[nto" sunecou'". Per latraduzione, cf. Ross 1960, 582 ad loc.

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Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)124

nito il vuoto che entra e lo divide poiché "il vuoto è una separazione e unadelimitazione di parti contigue"47. La definizione del vuoto attribuita quiagli atomisti non dà ragione della complessità della loro concezione, comesi vedrà in seguito48, ma, soprattutto, si basa sull'idea che esista una massaomogenea primordiale dalla quale il cosmo si genera per divisione, tipicadei Pitagorici. Gli atomisti in realtà partono dal principio opposto, dacorpuscoli che si muovono nel vuoto e generano per aggregazione. Ladefinizione "pitagorica" del vuoto come "ciò che separa" e che permette lamolteplicità sta alla base del discorso degli "Eleati" in De generatione et cor-ruptione A 8. Secondo la prospettiva assimilante del quarto libro della Fisica,la critica eleatica potrebbe, però, senza problemi essere rivolta anche con-tro gli atomisti.

La seconda parte del logos eleatico è invece diretta contro presunte tesicorpuscolariste, che, pur senza ammettere il vuoto, comporrebbero il tuttoda particelle separate, ma in contatto. La confutazione di queste tesi èbasata ancora sulla equivalenza vuoto-divisione, ma con l'aggiunta signifi-cativa della concezione del vuoto come sostrato pensabile tipica degliAccademici.

D'altra parte non c'è nessuna differenza fra il credere che il tutto non sia conti-nuo, ma [fatto di parti che] si toccano rimanendo separate, e l'affermare che esi-stono i molti, che non c'è un "uno" e che c'è il vuoto. Se infatti [il tutto] è divisi-bile in ogni parte, non c'è un "uno", cosicché non ci sono neppure i molti, ma iltutto è vuoto. Ammettere d'altra parte che è divisibile in un punto e non in unaltro è simile ad una spiegazione inventata ad arte; infatti fino a che punto e per-ché una parte del tutto si trova in questa condizione ed è piena, un'altra parte in-vece è divisa? Allo stesso modo è necessario affermare che non esiste il movi-mento49.

L'equivalenza di vuoto e divisione, oltre che essere un concetto mutuatodal pitagorismo, è in perfetta consonanza con la proiezione a livello fisicodel secondo principio accademico, la diade indefinita, quella che generadivisione e molteplicità: il vuoto, sostrato pensabile del mondo sensibile,ne è una manifestazione50 e l'infinita divisione lo farebbe emergere nellasua attualità. L'equivalenza divisione-vuoto permette inoltre di porre sullo

47 Arist. Phys. D 6, 213b 22-27 (58 B 30 DK) ei\nai d e[fasan kai; oiJ Puqagovreioi kenovn, kai;ejpeisievnai aujtw'i tw'i oujranw'i ejk tou' ajpeivrou †pneuvmato"† wJ" ajnapnevonti kai; to; kenovn,o} diorivzei ta;" fuvsei", wJ" o[nto" tou' kenou' cwrismou' tino" tw'n ejfexh'" kai; [th'"] dio-rivsew". Sul problema testuale e i vari emendamenti, cf. Burkert 1972, 35 n. 35. Cf. inoltreArist. Phys. G 4, 203a 10ss.; Fr. 201 Rose.

48 V. infra, 4. 2. 2 e VII 2.49 Per il testo greco, v. supra, n. 31.50 V. supra, n. 45.

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Capitolo terzo 125

stesso piano presunte dottrine corpuscolari e atomiste51. Se infatti non c'èpiù nessuna distinzione fra i due concetti, ambedue le teorie sono attacca-bili secondo i presunti postulati eleatici in quanto ambedue non solo in-troducono il non essere, ma, o riducono il tutto a nulla, o pongono artifi-cialmente un arresto della divisione ipotizzando che una parte sia piena el'altra no senza ulteriori giustificazioni. La stessa critica viene rivolta ad uninusitato Empedocle atomista nel seguito del brano aristotelico52. Di unariduzione a un tutto vuoto attraverso la divisione non parlano né Zenone53

né Melisso il quale si limita ad equiparare la divisione al movimento54 se-guito in questo da Gorgia che, secondo l'autore del trattatello De MelissoXenophane et Gorgia, parlava di divisione invece che di vuoto55.

Parte delle argomentazioni riportate da Aristotele, sviluppano sulpiano fisico gli assunti del Parmenide platonico. Il vecchio Parmenide,esaminando alcune conseguenze dell'ipotesi "se l'uno non è" (una riletturadell'aporia del Fr. 29 B 1 DK di Zenone), presentava lo scenario ango-sciante di una processione continua alla ricerca di quell'uno che manca eche sempre sfugge56. Egli concludeva che, se l'uno non è, anche "l'altrodall'uno", vale a dire la molteplicità, non può esistere in quanto, essendoquesta composta di unità, il tutto si riduce a nulla: eij ga;r mhde;n aujtw'n

51 Una unificazione fra atomismo e presunto corpuscolarismo in senso inverso, dove il vuotodegli atomisti viene equiparato ad una divisione e quindi, di fatto, privato della sua fisicità sitrova ancora in un brano della Fisica sulla definizione di infinito: per Democrito e Anassa-gora sarebbe "continuo per contatto", Phys. G 4, 203a 16 (68 A 41 DK; 145, 220, 237 L.)o{soi dæ a[peira poiou'si ta; stoicei'a, kaqavper Anaxagovra" kai; Dhmovkrito", oJ me;n ejk tw'noJmoiomerw'n, oJ dæ ejk th'" panspermiva" tw'n schmavtwn, th'i aJfh'i sunece;" to; a[peiron ei\naifasivn. Schofield 1980, 47 ha notato questa strana assimilazione senza tuttavia fermarsi ul-teriormente sul problema.

52 Sulle ascendenze accademiche di una tale interpretazione che emerge anche in altri scrittiaristotelici, cf. Gemelli Marciano 1991a. Cf. in particolare l'assimilazione dell'atomismo adun presunto corpuscolarismo empedocleo che postula corpuscoli indivisi anche se ulte-riormente divisibili in De cael. G 6, 305a 1-6, supra, II 4. 1 n. 56.

53 Furley 1967, 80, che fa risalire a Zenone l'argomento dell'infinita divisione, trova infattistrana l'equivalenza, non zenoniana, di "tutto diviso" e "tutto vuoto". Questo punto è in-vece trascurato da Makin 1993, 27s. e Lewis 1998, 15ss. che, come Furley, attribuisconol'argomentazione a Zenone.

54 Mel. 30 B 10 DK. eij ga;r dihvirhtai, fhsiv, to; ejovn, kinei'tai: kinouvmenon de; oujk a]n ei[h.55 MXG 980a 3-9 w{ste eij pavnthi kinei'tai, pavnthi dihvirhtai. eij dæ ou{tw", pavnta oujk e[stin.

ejklipe;" ga;r tauvthi, fhsivn, h|i dihvirhtai, tou' o[nto", ajnti; tou' kenou' to; dihirh'sqai levgwn,kaqavper ejn toi'" Leukivppou kaloumevnoi" lovgoi" gevgraptai. Questo significa che Gorgiaevidentemente non impiegava il termine "vuoto" e che l'autore del trattatello si basa per lasua deduzione su una equivalenza fra vuoto e divione presente in un "discorso-tipo" messoin bocca a Leucippo (nei cosiddetti logoi di Leucippo). V. supra, 2. 1, n. 17.

56 Parm. 165a-b prov te th'" ajrch'" a[llh ajei; faivnetai ajrchv, metav te th;n teleuth;n eJtevrauJpoleipomevnh teleuthv, e[n te tw'i mevswi a[lla mesaivtera tou' mevsou, smikrovtera dev, dia;to; mh; duvnasqai eJno;" aujtw'n eJkavstou lambavnesqai, a{te oujk o[nto" tou' eJnov".

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ejsti;n e{n, a{panta oujdevn ejstin, w{ste oujd a]n polla; ei[h57. Nel branoaristotelico quest'ultimo assunto è riprodotto quasi letteralmente: eij me;nga;r pavnthi diairetovn, oujde;n ei\nai e{n, w{ste oujde; pollav, ajlla; keno;n to;o{lon. L'oujdevn platonico è sostituito dal vuoto, ipostasi fisica della diadeindefinita. Il tutto vuoto è infatti concepibile se si considera il vuoto unsostrato spaziale pensabile delle grandezze, nella realtà sempre occupato.Come già accennato, Aristotele esemplifica questo assunto nel quarto librodella Fisica proprio parlando della concezione accademica del "luogo" cheequivarrebbe, secondo lui, al "vuoto"

In quanto sembra essere l'intervallo della grandezza, il luogo è materia/ sostrato58:questo è infatti altro dalla grandezza, cioè è lo spazio occupato e delimitato dallaforma, ad esempio da una superficie e da un limite. E questo è la materia/ il so-strato e l'indefinito. Se si sottraggono la superficie delimitante e le proprietà dellasfera, non rimane nulla al di là della materia/ del sostrato. Perciò Platone nel Ti-meo dice che la materia e lo spazio sono la stessa cosa…59

L'equivalenza fra tutto-diviso e tutto-vuoto di cui gli "Eleati" di Aristotelesi servono per criticare dottrine che ammettono una infinita serie di partiche si toccano ha dunque le sue radici nelle concezioni accademiche delvuoto come manifestazione fisica della diade indefinita.

Si può dunque concludere che il logos eleatico riportato da Aristotelepresenta tracce della rielaborazione accademica di uno schema sofistico diopposizione degli Eleati (in particolare di Melisso) ai pluralisti. Il logosprendeva di mira sia atomisti che presunti corpuscolaristi accusandoli diintrodurre il non essere, ridurre tutto a vuoto o postulare un arbitrarioarresto della divisione in un tutto omogeneo e dimostrava che costoro,avendo ricercato dei principi corporei, erano criticabili dal punto di vistaeleatico, in quanto, in mancanza di ulteriori fondamenti logici e ontologici,non spiegavano perché un essere omogeneo (corporeo) potesse essere dauna parte diviso e dall'altra no. Solo attraverso la ricerca di principi incor-porei e la definizione di categorie logiche universali, anche la molteplicitàdel mondo fisico poteva essere spiegata in modo soddisfacente.

57 Parm. 165e.58 Lascio qui espressa la doppia valenza del termine perché la sola accezione "materia" po-

trebbe dare adito a fraintendimenti. Sul significato di "materia" in questo passo cf. Happ1971, 129; Algra 1995, 114s.

59 Cf. Phys. D 2, 209b 6-12 h|i de; dokei' oJ tovpo" ei\nai to; diavsthma tou' megeqou", hJ u{lh: tou'toga;r e{teron tou' megevqou", tou'to dæ ejsti; to; periecovmenon uJpo; tou' ei[dou" kai; wJrismevnon,oi|on uJpo; ejpipevdou kai; pevrato", e[sti de; toiou'ton hJ u{lh kai; to; ajovriston: o{tan ga;r ajfai-reqh'i to; pevra" kai; ta; pavqh th'" sfaivra", leivpetai oujde;n para; th;n u{lhn. dio; kai; Plavtwnth;n u{lhn kai; th;n cwvran taujtov fhsin ei\nai ejn tw'i Timaivwi.

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Capitolo terzo 127

3. Logoi eleatici nell'Accademia?

3. 1. Il logos eleatico di Porfirio 135 F Smith(Simpl. In Phys. 187a 1, 139,24)

I commentatori di Aristotele attribuiscono costantemente la soluzionedelle aporie eleatiche dell'uno e del molteplice non agli atomisti, ma aSenocrate. Egli sembra aver postulato indivisibili come "misure" e ipostasidell'uno ad ogni livello dell'essere, dai corpi alle grandezze matematiche60

distinguendo i concetti di uno (come parte, indivisibile) e di essere (cometutto, divisibile e derivante dalla combinazione dell'uno con il secondoprincipio, la diade indefinita). Il limite ultimo assoluto della realtà fisicasarebbe però la linea indivisibile che Senocrate avrebbe postulato partendodall'aporia "zenoniana" della divisione all'infinito, il cosiddetto "logos delladicotomia" la cui formulazione esatta peraltro non è mai stata individuatacon sicurezza61. Presso le fonti antiche, al di fuori dei testi aristotelici, lasoluzione di questo paradosso con la dottrina degli indivisibili viene co-stantemente riportata a Senocrate, non a Leucippo o a Democrito62. Fraquesti testi uno, quello di Porfirio, è particolarmente interessante inquanto, contrariamente a tutti gli altri, attribuisce il logos della dicotomia,cui Senocrate avrebbe risposto, non a Zenone, ma a Parmenide riportan-dolo per esteso come citazione letterale (fhsiv). Tale logos presenta delleanalogie con quello eleatico di De gen. et corr. A 8 e con la dimostrazionedella necessità degli indivisibili di A 2 che verrà trattata più oltre, ma non

60 Riguardo all'interpretazione degli indivisibili senocratei esiste una certa confusione nellefonti antiche. Se la tendenza dei neoplatonici è quella di trasporre l'indivisibilità della lineanell'ambito delle forme intellegibili, il trattato pseudo-aristotelico De lineis insecabilibus pre-senta invece un allargamento degli indivisibili anche a tutte le grandezze matematiche e aicorpi postulando degli indivisibili ad ogni livello dell'essere come "misure" e ipostasi del-l'uno. Cf. Krämer 1971, 356-362; 1983, 55; Heinze 1892, 62s.; Isnardi Parente 1974, 966ss.con una esauriente bibliografia sull'argomento.

61 Di un logos sulla dicotomia parlano sia Aristotele (Phys. A 3, 187a 1-3, v. infra, 3. 2) che icommentatori, ma Aristotele non sembra riferirsi a nessuno dei logoi di Zenone fra quelliriportati da Simplicio. In Phys. Z 9, 239b 11-14 (29 A 25 DK) sembra identificarlo con ilprimo argomento contro il movimento secondo cui un mobile che si muove lungo una li-nea, prima di arrivare ad un dato punto, deve sempre percorrere la metà del segmento dicui quel punto è l'estremo. Simplicio (In Phys. 187a 1, 140,27-141,8) invece, parlando del-l'argomento della dicotomia, riferisce i frammenti 59 B 1 e B 3 DK che illustrano il pro-cesso all'infinito nell'individuazione delle parti del tutto. A questo argomento si riferisconoper lo più gli interpreti moderni, cfr. Ross 1936, 479s.; Furley 1967, 63-69; Baldes 1972,30).

62 Aristotele stesso, quando nel terzo libro della Fisica ribadisce l'infinita divisibilità dellegrandezze, cita come esempio-tipo di soluzione atomista, le linee indivisibili e non gli atomidi Democrito Phys. G 6, 206a 16-18 to; de; mevgeqo" o{ti me;n kat ejnevrgeian oujk e[stina[peiron, ei[rhtai, diairevsei d ejstivn: ouj ga;r calepo;n ajnelei'n ta;" ajtovmou" grammav".

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Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)128

deriva da Aristotele. In primo luogo perché la risposta al logos eleatico èattribuita a Senocrate e non a Leucippo, secondariamente perché le pre-sunte argomentazioni di Parmenide sono dirette esplicitamente sia controdottrine corpuscolari che atomiste, cosa che nel logos aristotelico vienesottaciuta.

Secondo Porfirio, Parmenide avrebbe utilizzato il "logos della dicoto-mia" per dimostrare che l'essere è uno e, come tale, indivisibile e privo diparti.

Porfirio, comunque, dice che anche il logos della dicotomia è di Parmenide il qualecercava di dimostrare, partendo dalla dicotomia, che l'essere è uno. Egli scrivequanto segue: "Parmenide aveva un altro logos, quello che si riteneva dimostrasseattraverso la dicotomia che l'essere è uno solo e che questo uno è privo di parti eindivisibile. Se infatti l'essere fosse divisibile, dice, lo si divida in due parti, e poiancora ciascuna delle due parti in due. Se si continua con quest'operazione, èchiaro —dice— che, o rimarranno alcune grandezze ultime minime e insecabili, infi-nite di numero, e il tutto sarà composto di minimi infiniti per numero, o sparirà e sidissolverà nel nulla e sarà composto dal nulla. Queste ipotesi sono assurde, dun-que non si dividerà, ma rimarrà uno. E infatti, dal momento che l'essere è omo-geneo in ogni parte, se è divisibile, lo sarà dappertutto allo stesso modo, ma nonin una parte sì e nell'altra no. Lo si divida dunque in ogni parte; è chiaro perciònuovamente che non rimarrà nulla e sparirà e, se si ricomporrà, si ricomporrà dalnulla. Se infatti rimarrà qualcosa, non sarà ancora diviso in ogni parte. Da questoè chiaro —dice— che l'essere è indivisibile e privo di parti e uno"63.

Il logos di Parmenide riferito da Porfirio presenta delle analogie con quelloeleatico del De generatione et corruptione A 8 in quanto assimila le due solu-zioni atomista e corpuscolarista e afferma che, ammettendo la divisione, iltutto si riduce a nulla. Il logos di Porfirio, però, dice espressamente che nonsi può arbitrariamente fermare la divisione a corpuscoli minimi e indivisi-bili perché l'essere è omogeneo, cosa che nel logos aristotelico viene pre-supposta, ma non esplicitata. Inoltre accenna a due presunti paradossi ri-sultanti dalla prospettiva della ricomposizione del tutto (che riemergono inDe generatione et corruptione A 2 e presuppongono una equivalenza fra ciò

63 Porph. 135 F Smith (Simpl. In Phys. 187a 1, 139,24) (Xenocr. Fr. 139 IP) oJ mevntoi Por-fuvrio" kai; to;n ejk th'" dicotomiva" lovgon Parmenivdou fhsi;n ei\nai e}n to; o]n ejk tauvth"peirwmevnou deiknuvnai. gravfei de; ou{tw": Æe{tero" de; h\n lovgo" tw'i Parmenivdhi oJ dia; th'"dicotomiva" oijovmeno" deiknuvnai to; o]n e}n ei\nai movnon kai; tou'to ajmere;" kai; ajdiaivreton. eijga;r ei[h, fhsiv, diairetovn, tetmhvsqw divca, ka[peita tw'n merw'n eJkavteron divca, kai; touvtouajei; genomevnou dh'lovn fhsin, wJ" h[toi uJpomenei' tina; e[scata megevqh ejlavcista kai; a[toma,plhvqei de; a[peira, kai; to; o{lon ejx ejlacivstwn, plhvqei de; ajpeivrwn susthvsetai: h] frou'done[stai kai; eij" oujqe;n e[ti dialuqhvsetai, kai; ejk tou' mhdeno;" susthvsetai: a{per a[topa. oujka[ra diaireqhvsetai, ajlla; menei' e{n. kai; ga;r dh; ejpei; pavnthi o{moiovn ejstin, ei[per diaireto;nuJpavrcei, pavnthi oJmoivw" e[stai diairetovn, ajll ouj th'i me;n th'i de; ou[. dihirhvsqw dh; pavnthi:dh'lon ou\n pavlin wJ" oujde;n uJpomenei', ajll e[stai frou'don, kai; ei[per susthvsetai, pavlin ejktou' mhdeno;" susthvsetai. eij ga;r uJpomenei' ti, oujdev pw genhvsetai pavnthi dihirhmevnon.w{ste kai; ejk touvtwn fanerovn fhsin, wJ" ajdiaivretovn te kai; ajmere;" kai; e}n e[stai to; o[n.

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Capitolo terzo 129

che può essere pensato e la realtà infra, IV 4. 1): la ricostituzione da mi-nimi indivisibili darebbe come risultato una estensione infinita. Nel casodella divisione all'infinito invece, l'essere dovrebbe ricomporsi dal nulla ecioè dal non essere. Rispetto al logos aristotelico manca in quello di Porfiriola menzione esplicita del vuoto e l'equiparazione vuoto-divisione. Questodipende dalla diversa focalizzazione delle aporie: il logos di Porfirio, comeanche quello di De generatione et corruptione A 2, è incentrato principalmentesull'aporia della divisibilità all'infinito, quello di De generatione et corruptione A8 su quella dell'esistenza del non essere.

Porfirio continua riportando la risposta di Senocrate al logos parmeni-deo:

Senocrate ha ammesso che sussista la prima conseguenza, cioè che, se l'essere èuno, è anche indivisibile, ma l'essere non è indivisibile. Perciò ancora l'essere nonè uno, ma molti. Pertanto esso non è divisibile all'infinito, ma la divisione ha finein certi indivisibili. Questi, però, non sono indivisibili in quanto minimi privi diparti, ma, in relazione alla quantità e alla materia sono divisibili e hanno parti, inrelazione invece alla forma, sono indivisibili e primi, assumendo che ci siano al-cune linee indivisibili prime e che ci siano superfici prime da queste formate e so-lidi primi. Dunque Senocrate crede di risolvere l'aporia derivante dalla dicotomiae semplicemente dalla sezione e dalla divisione all'infinito, introducendo le lineeindivisibili e in generale assumendo grandezze indivisibili, evitando di dissolvere edi eliminare l'essere nel non essere dal momento che le linee indivisibili da cui gliesseri sono composti, rimangono insecabili e indivisibili64.

Il lungo brano di Porfirio propone uno schema di aporia e soluzione nellaquale si possono distinguere due momenti:

1. la "tesi" dell'unità dell'essere di Parmenide diretta nel contempocontro soluzioni atomiste e corpuscolariste.

2. l'"antitesi" di Senocrate il quale fa a Parmenide alcune concessioni(indivisibilità è uguale ad unità), correggendone però il presupposto fon-damentale, dando cioè una diversa definizione dei concetti universali diessere (divisibile e molteplice) e di uno (indivisibile). Le grandezze indivi-sibili proposte da Senocrate sarebbero comunque diverse dai minimi criti-

64 Porph. 135 F Smith (Simpl. In Phys. 187a 1, 140,5) (Xenocr. Fr. 139 IP) oiJ de; peri; to;nXenokravthn th;n me;n prwvthn ajkolouqivan uJpei'nai sunecwvroun, toutevstin o{ti eij e{n ejsti to;o]n kai; ajdiaivreton e[stai, ouj mh;n ajdiaivreton ei\nai to; o[n. dio; pavlin mhde; e}n movnonuJpavrcein to; o[n, ajlla; pleivw. diaireto;n mevntoi mh; ejp a[peiron ei\nai, ajll eij" a[tomav tinakatalhvgein. tau'ta mevntoi mh; a[toma ei\nai wJ" ajmerh' kai; ejlavcista, ajlla; kata; me;n to;poso;n kai; th;n u{lhn tmhta; kai; mevrh e[conta, tw'i de; ei[dei a[toma kai; prw'ta, prwvta" tina;"uJpoqevmeno" ei\nai gramma;" ajtovmou" kai; ta; ejk touvtwn ejpivpeda kai; sterea; prw'ta. th;n ou\nejk th'" dicotomiva" kai; aJplw'" th'" ejp a[peiron tomh'" kai; diairevsew" uJpantw'san ajporivan oJXenokravth" oi[etai dialuvesqai ta;" ajtovmou" eijsagagw;n gramma;" kai; aJplw'" a[toma poi-hvsa" megevqh, feuvgwn to; ãto;Ã o]n ei[per ejsti; diaireto;n eij" to; mh; o]n dialuqh'nai kai;ajnalwqh'nai tw'n ajtovmwn grammw'n ejx w|n uJfivstatai ta; o[nta menousw'n ajtmhvtwn kai; ajdiai-revtwnÆ.

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Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)130

cati da Parmenide in quanto sarebbero indivisibili solo "secondo laforma", ma non "secondo la quantità e la materia" cioè non dal punto divista matematico. Porfirio rielabora senz'altro la dottrina di Senocrate allaluce dei concetti aristotelici di materia e forma per difenderlo dagli attacchiche gli erano stati rivolti da Aristotele stesso di essere andato contro lamatematica assumendo degli indivisibili.

I presupposti teorici della soluzione senocratea dell'aporia sono espo-sti tuttavia più chiaramente da Alessandro secondo cui, però, Senocraterisponderebbe a Zenone. L'Accademico avrebbe basato la sua soluzionesulla differenza fra tutto (l'essere, divisibile e molteplice) e parte (l'uno,indivisibile). Egli avrebbe dunque concesso che tutto ciò che è divisibile èmolteplice e che non è possibile che la stessa cosa sia uno e molti, maavrebbe affermato che non tutte le grandezze sono divisibili e hanno parti(perché altrimenti non esisterebbe un uno) e posto come unità le lineeindivisibili65. Nonostante le diversità, Alessandro concorda con Porfirionei concetti di fondo che hanno caratterizzato la teoria senocratea e checorrispondono grosso modo a quelli riferiti nel trattato sulle linee indivisi-bili: Senocrate traccia una distinzione logica universale fra essere cometutto (molteplicità definita e divisibile), e uno come parte indivisibile chene costituisce il limite ultimo e la misura66. In questo modo elimina l'aporiadell'omogeneità dell'essere e della presenza contemporanea nello stessooggetto di unità e molteplicità e definisce dei limiti ultimi delle grandezze(le linee indivisibili) che corrispondono all'unità. Porfirio, rispetto ad Ales-sandro, cerca di mascherare la parte dell'indivisibile dimensionale per nonesporre Senocrate alle critiche di essere andato contro i principi della ma-tematica.

Per quanto riguarda il discorso di Parmenide, Porfirio non l'ha certa-mente inventato perché la frequente ripetizione di fhsiv indica che egli hadavanti un testo di cui ritiene di riferire la lettera. Non riproduce d'altraparte il logos di De generatione et corruptione A 8 perché parla apertamente diuna critica di Parmenide a tesi atomiste e di un superamento di tali dot-trine da parte di Senocrate. Per inciso, il Filopono, commentando il branoaristotelico, riproduce il modello esegetico porfiriano attribuendo a Par-

65 Alex. ap. Simpl. In Phys. 187a 1, 138,10 (Xenocr. Fr. 138 IP) touvtwi de; tw'i lovgwi, fhsiv, tw'iperi; th'" dicotomiva" ejndou'nai Xenokravth to;n Kalchdovnion dexavmenon me;n to; pa'n to;diaireto;n polla; ei\nai (to; ga;r mevro" e{teron ei\nai tou' o{lou) kai; to; mh; duvnasqai taujto;ne{n te a{ma kai; polla; ei\nai dia; to; mh; sunalhqeuvesqai th;n ajntivfasin, mhkevti de;sugcwrei'n pa'n mevgeqo" diaireto;n ei\nai kai; mevro" e[cein: ei\nai gavr tina" ajtovmou" gram-mav", ejf w|n oujkevti ajlhqeuvesqai to; polla;" tauvta" ei\nai. ou{tw" ga;r w[ieto th;n tou' eJno;"euJrivskein fuvsin kai; feuvgein th;n ajntivfasin dia; tou' mhvte to; diaireto;n e}n ei\nai ajlla; pol-lav, mhvte ta;" ajtovmou" gramma;" polla; ajll e}n movnon.

66 Il valore fondamentale per il pensiero senocrateo della distinzione logica fra tutto e parte,estesa a diversi ambiti, è stato messo in luce da Pines 1961, 5ss.

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Capitolo terzo 131

menide il logos eleatico e interpretandolo come una critica congiunta all'a-tomismo e al corpuscolarismo incurante del fatto che lo scopo di Aristo-tele è quello di dimostrare come gli atomisti abbiano risposto agli Eleati enon come Parmenide abbia confutato le dottrine atomiste67.

Porfirio si riallaccia ad un filone di tradizione platonica in quanto lasua esposizione presenta diverse tracce che portano fino a Platone. Anchequest'ultimo attribuiva infatti a Parmenide dei logoi in prosa a quanto ri-sulta dal breve accenno del Sofista68. Simplicio, a dieci secoli di distanza, sitrovava davanti un testo di Parmenide nel quale, fra i versi, comparivanoalcune frasi in prosa69. C'era dunque, da Platone in poi, una tradizione cheattribuiva a Parmenide dei discorsi in prosa. Inoltre, come nel Parmenideplatonico l'Eleate confutava la dottrina delle idee di Socrate notevolmentepiù giovane di lui, anche nel logos di Porfirio, Parmenide rigetta delle teoriea lui cronologicamente posteriori quali quelle atomiste e corpuscolariste.Ciò è indizio di una impostazione soprattutto dialettica e non cronologicadei rapporti fra i vari autori. Inoltre la trasposizione a Parmenide di logoizenoniani ha il suo capostipite nel Parmenide platonico stesso dove le apo-rie di Zenone sono proposte da Parmenide e non è isolata nella tradizionetarda. Favorino, a detta di Diogene Laerzio, trasferiva a Parmenide la pa-ternità del famoso paradosso di Achille e della tartaruga70. Porfirio, d'altraparte, era entrato in contatto non solo mediato71, ma anche diretto conopere degli allievi di Platone. Simplicio riferisce come, in un commento alFilebo, egli affermasse di aver corretto l'esposizione oscura e enigmaticadelle trascrizioni degli allievi di Platone del Peri; tajgaqou' del maestro72.

67 Philop. In De gen. et corr. 325a 6, 157,12ss. oJ de; ajlhqh;" lovgo" e[cei o{ti kai; kenou' mh; o[nto"oujde;n kwluvei kai; diaivresin ei\nai kai; kivnhsin, tw'n pragmavtwn dihirhmevnwn me;n aJpto-mevnwn de; ajllhvlwn kai; kenw'i mh; dieirgomevnwn, tou'to ajnairw'n oJ Parmenivdh" fhsi;n o{ti to;ou{tw" uJpotivqesqai oujde;n diafevrei tou' a[toma kai; keno;n eijsfevrein. povteron gavr, fhsiv, to;o]n pavnthi ejsti; diaireto;n h] ou[… eij me;n ga;r pavnthi ejsti; diairetovn, ouj movnon polla; oujke[stai ta; pravgmata, ajll oujde; e{n (diaireqe;n ga;r pavnthi oujde;n e[stai loipovn, ajlla; movnonkenovn), eij de; mh; pavnthi diairetovn, peplasmevnwi to; toiou'ton e[oiken: dia; tiv ga;r ph'i mevnejsti diaireto;n ph'i d ou[… ou{tw de; kai; hJ tw'n ajtovmwn eijskwmavsei dovxa, h|itini e{petai kai;to; keno;n ei\nai.

68 Soph. 237a pezh'i te w|de eJkavstote levgwn kai; meta; mevtrwn.69 Simpl. In Phys. 184b 15, 31,3 kai; dh; kai; katalogavdhn metaxu; tw'n ejpw'n ejmfevretaiv ti

rJhseivdion wJ" aujtou' Parmenivdou e[con ou{tw"...70 Diog. Laert. 9,23 (30 A 1 DK) kai; prw'ton (scil. to;n Parmenivdhn) ejrwth'sai to;n Acilleva

lovgon, wJ" Fabwri'no" ejn Pantodaph'i iJstorivai. Cf. anche Diog. Laert. 9,29 (29 A 1 DK).71 Egli aveva attinto ad opere di medioplatonici quali Dercillide che avevano letto diretta-

mente scritti degli allievi di Platone quali Ermodoro. Cf. Porph. 146 F Smith (Simpl. InPhys. 192a 3, 247,30ss.; Hermod. Fr. 7 IP).

72 Simpl. In Phys., 202b 36, 453,27-454,14 (Porph. 174 F Smith) kai; to; mevga de; kai; to; mikro;ntiqei;" a[peiron ei\nai e[legen ejn toi'" Peri; tajgaqou' lovgoi", oi|" Aristotevlh" kai; ÔHra-kleivdh" kai; ÔEstiai'o" kai; a[lloi tou' Plavtwno" eJtai'roi paragenovmenoi ajnegravyanto ta;rJhqevnta aijnigmatwdw'", wJ" ejrrhvqh, Porfuvrio" de; diarqrou'n aujta; ejpaggellovmeno" tavde

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C'è inoltre un passo specifico delle Confutazioni sofistiche di Aristotele,l'unico in cui Parmenide e Zenone siano accomunati come sostenitoridell'uno non solo nel corpus aristotelico, ma anche negli autori del IV sec.a.C. al di là di Platone73, che rimanda a discussioni in corso sulla defini-zione di essere e uno proprio come risposta congiunta ai due Eleati. Sitratta di discussioni che non possono essere nate altro che nell'Accademiaai cui modelli dialettici Aristotele si richiama nei Topici e nelle Confutazioni.Parlando dei paralogismi legati all'omonimia Aristotele afferma:

altri sembrano sfuggire anche ai dialettici più sperimentati (un segno di questofatto è che spesso dibattono sui nomi, come ad esempio sul fatto se l'essere el'uno abbiano in tutti i casi lo stesso significato o un significato diverso; infatti agliuni sembra che l'essere e l'uno significhino la stessa cosa, gli altri risolvono il logosdi Zenone e di Parmenide affermando che l'essere e l'uno si dicono in moltimodi)74.

La menzione congiunta di Parmenide e Zenone come monisti, estranea adAristotele e inusitata fuori dai testi platonici, non può che derivare dai logoidialettici cui egli si riferisce, cioè quelli accademici e spiega anche perchéPorfirio, se aveva davanti un logos di Senocrate, abbia potuto trovarvi ilnome di Parmenide e non quello di Zenone. L'Accademico, come il suomaestro, metteva in bocca a Parmenide aporie rielaborate su quelle zeno-niane.

E' ovviamente impossibile dimostrare con certezza che il logos parme-nideo di Porfirio è antico quanto quello eleatico di Aristotele, anche se cisono buone ragioni per ritenerlo tale, come si è visto, ma il dato di fattopiù importante è che comunque Senocrate è partito da un logos di questotipo che, nella sostanza, era conosciuto a tutti i commentatori antichi75.Infatti Alessandro e altri gli attribuiscono concordemente, in termini similia quelli porfiriani, la soluzione delle aporie eleatiche sulla divisibilità del-

peri; aujtou' gevgrafen ejn tw'i Filhvbwi: ª...º tau'ta oJ Porfuvrio" ei\pen aujth'i scedo;n th'ilevxei, diarqrou'n ejpaggeilavmeno" ta; ejn th'i Peri; tajgaqou' sunousivai aijnigmatwdw'"rJhqevnta.

73 Cf. anche Fedele 1999, 11s.74 Arist. Soph. El. 33, 182b 22 ta; de; kai; tou;" ejmpeirotavtou" faivnetai lanqavnein (shmei'on de;

tou'tou o{ti mavcontai pollavki" peri; tw'n ojnomavtwn, oi|on povteron taujto; shmaivnei kata;pavntwn to; o]n kai; to; e{n, h] e{teron: toi'" me;n ga;r dokei' taujto; shmaivnein to; o]n kai; to; e{n, oiJde; to;n Zhvnwno" lovgon kai; Parmenivdou luvousi dia; to; pollacw'" favnai to; e}n levgesqai kai;to; o[n). Sull'ambiente accademico in cui queste distinzioni vengono fatte Krämer 1971, 18n. 69; Ryle 1968, 74.

75 Makin 1993, 24ss. attribuisce il logos tout-court a Zenone senza prendere in considerazionené il contesto (che rimanda alla soluzione di Senocrate e comporta quindi la possibilità cheil logos sia stato rimaneggiato), né il fatto che la prima parte di questo passo contiene unacritica all'atomismo. Senocrate aveva del resto scritto un'opera Sulle dottrine di Parmenide (Fr.1 IP Peri; tw'n Parmenivdou aæ). Sull'origine accademica del logos della dicotomia in generalee sulle sue varie interpretazioni fino a Simplicio, cf. Fedele 1999.

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Capitolo terzo 133

l'essere attraverso l'introduzione delle linee indivisibili. La differenza stanel fatto che essi accennano solamente ad un logos della dicotomia di Ze-none ed espongono invece più diffusamente la soluzione di Senocrate.

Le similitudini fra il logos eleatico di Porfirio, da cui Senocrate sarebbepartito per definire l'essere e l'uno e assumere degli indivisibili, e quelloaristotelico rendono verosimile l'ipotesi che Aristotele si sia ispirato ad unlogos eleatico corrente nell'Accademia che costituiva il punto di partenzaper definire i concetti di essere e di uno e impostare il discorso sugli indi-visibili. Aristotele stesso indica del resto costantemente le aporie eleatichecome base per le soluzioni accademiche del problema dell'essere e del-l'uno.

3. 2. "Concedere ai logoi". Aporie eleatiche e loro soluzione(Arist. Phys. A 3, 187a 1)

In un famoso passo della Fisica Aristotele allude ad "alcuni" che avrebberofatto concessioni (un termine tecnico nella discussione dialettica) ai logoi degliEleati proprio in relazione alla problematica dell'essere e dell'uno

Alcuni hanno fatto concessioni ad ambedue i logoi: a quello secondo cui tutto èuno, se essere significa uno, affermando che c'è il non essere, a quello della dico-tomia, ponendo grandezze indivisibili76.

I commentatori moderni hanno spesso letto in questo passo un riferi-mento agli atomisti in base al confronto con la presunta risposta di Leu-cippo agli Eleati in De generatione et corruptione A 8. In realtà, se si considerache a monte della presentazione aristotelica dell'atomismo sta tutta la di-scussione ora esaminata sulle aporie eleatiche nell'Accademia, la prospet-tiva va rovesciata. Il brano della Fisica è piuttosto una chiave per com-prendere lo schema dialettico e la "soluzione" dell'aporia eleatica da partedi Leucippo e non viceversa.

I commentatori antichi sono concordi nell'affermare che Aristotelevuole alludere a Platone, principalmente al Sofista77, e a Senocrate78 i quali

76 Phys. A 3,187a 1 e[nioi d ejnevdosan toi'" lovgoi" ajmfotevroi", tw'i me;n o{ti pavnta e{n, eij to; o]ne}n shmaivnei, o{ti e[sti to; mh; o[n, tw'i d ejk th'" dicotomiva", a[toma poihvsante" megevqh.

77 Alessandro (ap. Simpl. In Phys. ad loc., 134,21ss.) lo presuppone implicitamente; il Filo-pono, richiamandosi ad Alessandro stesso e a Temistio, vi accenna esplicitamente (In Phys.ad loc., 81,25-29 tau'ta dev fasin aujto;n aijnivttesqai eij" Plavtwna kai; oJ Alevxandro" kai; oJQemivstio": uJpotiqevmeno" ga;r oJ Plavtwn, fasivn, ejn tw'i Sofisth'i ei\nai to; kaqovlou mh; o[n,o{per th;n tou' o[nto" fuvsin ejkpevfeugen, ajnhvirei to; ta; pavnta e}n ei\nai levgwn ou{tw": æeij to;o]n pa'n e{n ejstin, oujk e[stai to; mh; o[n: ajlla; mh;n e[sti to; mh; o[n: oujk a[ra to; o]n pa'n e{n ejstiæ.Cf. Themist. In Phys. ad loc., 12,6-17; Simpl. In Phys. ad loc., 134,14ss. Solo Porfirio, che ri-ferisce la dottrina platonica in termini aristotelici di forma e materia, si distanzia da quelladegli altri commentatori basandosi, invece che sul Sofista, sul Timeo e identifica il non essere

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avrebbero risposto rispettivamente a Parmenide e a Zenone. E' pur veroche anche questo schema esegetico (l'opposizione di maestro a maestro edi allievo ad allievo) ha sapore di manualistica scolastica e che il passo delSofista non rientra in una problematica fisica, ma in un contesto logico-dialettico. Nel Sofista Platone dirige la dimostrazione dell'esistenza del nonessere come altro dall'essere esplicitamente contro la proposizione parme-nidea Æouj ga;r mhvpote tou't oujdamh'i ei\nai mh; ejovnta79 dimostrando comeogni cosa partecipi sia dell'essere, in quanto esiste, che del non essere, noncome negazione dell'essere, ma in quanto "altro" rispetto a tutto il resto.Infine dichiara di aver dimostrato, contro Parmenide, non solo che ciò chenon è è, ma anche di aver individuato il genere del non essere nella naturadell'"altro" di cui tutte le cose partecipano80. Lo schema del Sofista costi-tuiva tuttavia un modello di soluzione di aporia trasferibile dall'ambitodella logica a quello dei principi. Tale modello riemerge infatti molto chia-ramente in un brano della Metafisica aristotelica nella critica ai principi ac-cademici e in particolare alla diade indefinita.

Molte sono dunque le ragioni dell'essersi rivolti in maniera fuorviante81 versoqueste cause (scil. l'uno e la diade indefinita), ma il motivo principale è costituitodal fatto che essi hanno posto i problemi in modo antiquato82. Infatti sembrò

di Platone con la materia prima a[morfon kai; ajneivdeon, secondo principio metafisico (134F Smith) (Simpl. In Phys. ad loc., 135,1-5 fhsi; de; oJ Porfuvrio" to;n Plavtwna kai; to; mh; o]nlevgein ei\nai, ou{tw" mevntoi ei\nai wJ" mh; o[n. to; me;n ga;r o[ntw" o]n ajpefhvnato ei\nai th;nijdevan kai; tauvthn o[ntw" ei\nai oujsivan, th;n de; ajnwtavtw prwvthn a[morfon kai; ajneivdeonu{lhn ejx h|" ta; pavnta ejsti;n ei\nai mevn, mhde;n de; ei\nai tw'n o[ntwn. aujth; ga;r ejf eJauth'" ejpi-nooumevnh dunavmei me;n pavnta ejstivn, ejnergeivai de; oujde;n. Per l'allusione al Timeo, cf. Ibid.135,9).

78 Alex. ap. Simpl. In Phys. ad loc., 138,10 (Xenocr. Fr. 138 IP). Per il testo, v. supra, n. 65. Cf.Porph. 135 F Smith (Simpl. In Phys. ad loc., 140,6-18) (Xenocr. Fr. 139 IP); Themist. InPhys. ad loc., 12,6-17 (Xenocr. Fr. 140 IP); Philop. In Phys. ad loc., 83,19-22 (Xenocr. Fr.141 IP); Schol. In Arist. Phys. 334a 36ss. Brandis (Xenocr. Fr. 144 IP); Simpl. In Phys. ad loc.142,16-27 (Xenocr. Fr. 145 IP).

79 Parm. 28 B 7,1-2 DK. Per il problema testuale costituito dalla lettura non metrica v. infra,n. 84.

80 Soph. 258d hJmei'" dev ge ouj movnon ta; mh; o[nta wJ" e[stin ajpedeivxamen, ajlla; kai; to; ei\do" o}tugcavnei o]n tou' mh; o[nto" ajpefhnavmeqa: th;n ga;r qatevrou fuvsin ajpodeivxante" ou\savn tekai; katakekermatismevnhn ejpi; pavnta ta; o[nta pro;" a[llhla, to; pro;" to; o]n e{kaston movrionaujth'" ajntitiqevmenon ejtolmhvsamen eijpei'n wJ" aujto; tou'tov ejstin o[ntw" to; mh; o]n.

81 Cf. Phys. A 8,191a 24-32 e b 31-33 dove il verbo ejktrevpein viene impiegato per indicare lamaniera fuorviante degli "antichi" di porre il problema dell'esistenza del non essere unica-mente in antitesi all'essere. Si tratta di una obiezione che Aristotele mantiene, nella so-stanza, anche contro gli Accademici.

82 La ragione dell'accusa di Aristotele di usare un sistema antiquato di porre i problemi, staanche nello schema topico dell'argomentazione dell'esistenza del non essere in quanto nonessere, tipico di una certa dialettica sofistica. Altrove Aristotele lo ritiene infatti un proce-dimento eristico generatore di un sillogismo apparente (Rhet. B 24, 1402a 3-6 e[ti w{sper ejntoi'" ejristikoi'" para; to; aJplw'" kai; mh; aJplw'", ajlla; tiv, givgnetai fainovmeno" sullogismov",oi|on ejn me;n toi'" dialektikoi'" o{ti ejsti; to; mh; o]n o[n, e[sti ga;r to; mh; o]n mh; o[n...).

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loro che tutte le cose esistenti fossero uno, l'uno in sé, se non si fosse risolto econfutato il logos di Parmenide "che infatti mai in nessun modo si verifichi questo,che le cose che non sono siano", ma sembrò necessario dimostrare che il non es-sere è; così infatti, dall'essere e da un "qualcos'altro" deriverebbero le cose esi-stenti se sono molte"83.

Il passo di Parmenide proposto come aporia da risolvere è esattamentequello citato da Platone nel Sofista, di cui mantiene persino la lettura nonmetrica84. Evidentemente costituiva, dopo Platone, un modello-tipo diaporia eleatica sul non essere proposto alla discussione nell'Accademia.Non si tratta tuttavia di una semplice riproduzione dell'argomentazionelogico-dialettica del Sofista, ma della sua trasposizione al piano dei principi,uno e diade indefinita. Un passo della Fisica insiste sullo stesso tema: gliAccademici avrebbero concordato con Parmenide che la genesi deve deri-vare dal non essere. Per risolvere il paradosso, avrebbero però attribuito aquesta natura, grande e piccolo o diade indefinita che dir si voglia, uncarattere di esistenza in assoluto senza distinguere i significati di non es-sere assoluto e relativo come invece ha fatto Aristotele85. L'aspetto piùinteressante del passo della Fisica per il tema qui trattato è la formulazionedella presunta risposta accademica al problema posto dagli Eleati: essi"concordano" con Parmenide che, per giustificare la generazione, è neces-sario ammettere l'esistenza del non essere. Si tratta dello stesso modoarcaico di porre i problemi (ajporh'sai ajrcaiücw'") che Aristotele rimpro-vera anche altrove in modo più o meno esplicito agli Accademici86.

83 Metaph. N 2, 1088b 35-1089a 6 polla; me;n ou\n ta; ai[tia th'" ejpi; tauvta" ta;" aijtiva" ejktro-ph'", mavlista de; to; ajporh'sai ajrcaiükw'". e[doxe ga;r aujtoi'" pavnt e[sesqai e}n ta; o[nta, aujto;to; o[n, eij mhv ti" luvsei kai; oJmovse badiei'tai tw'i Parmenivdou lovgwi Æouj ga;r mhvpote tou'toujdamh'i, ei\nai mh; ejovntaÆ, ajll ajnavgkh ei\nai to; mh; o]n dei'xai o{ti e[stin: ou{tw gavr, ejk tou'o[nto" kai; a[llou tinov", ta; o[nta e[sesqai, eij pollav ejstin.

84 La lezione tou'to damh' di E e J, accettata sia in Diels-Kranz 1952 per il Fr. 28 B 7,1 DK diParmenide, sia nell'edizione della Metafisica dello Jaeger, costituisce solo una correzionetarda dell'evidente errore metrico tou't oujdamh'i riportato invece tale e quale in Ab (un co-dice che risale ad una edizione papiracea per lo meno del I sec. d.C., cf. Jaeger 1957, IX-X).Fra i codici di Simplicio, che cita tre volte il frammento nel commento alla Fisica (187a 1,135,21; 143,31; 191b 35, 244,1), solo quello più dotto, E, riporta tou'to damh'i costante-mente, una evidente correzione a posteriori di una metrica zoppicante da parte di un copi-sta colto. Il codice D, inferiore ad E, ma ancora relativamente buono, oscilla: in 135,21 e244,1 porta tou'to mhdamh'i, in 143,31 concorda con E. Il codice F, invece, il meno dotto,presenta una lacuna in 135,21, tou'tou oujdamh; in 143,31 e tou't oujdamh'i in 244,1. Eviden-temente non vede il problema metrico e riproduce fedelmente il testo che ha davanti. Ross1924, ad loc., accetta la lezione tou'to damh'i dell'edizione dielsiana di Simplicio senza farparola di questa oscillazione nei codici.

85 A 9, 191b 36 prw'ton me;n ga;r oJmologou'sin aJplw'" givnesqai ejk mh; o[nto", h|i Parmenivdh"ojrqw'" levgein. Aristotele rimprovera agli Accademici di non aver distinto non essere peraccidente (materia) e non essere assoluto (privazione).

86 Sull'ajporh'sai ajrcaikw'", cf. Merlan 1967, 120 il quale, però, non menziona questo passodella Fisica.

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La problematica di fondo cui rimanda l'allusione aristotelica in Phys. A 3 acoloro che "hanno concesso" ai logoi eleatici l'esistenza del non essere eche hanno risposto con le grandezze indivisibili all'argomento della dico-tomia, è dunque quella della definizione di essere, non essere e uno e del-l'assunzione di grandezze indivisibili nell'Accademia87. Questo è tanto piùvero se si considera che, per la tradizione neoplatonica, che interpretal'allusione aristotelica come diretta contro gli accademici, sarebbe statomolto più comodo in questo caso spiegarla come un attacco contro gliatomisti per evitare di dover poi difendere Platone e Senocrate. E' evi-dente che questo passo della Fisica in tutta la tradizione antica era semprestato interpretato come una allusione a questi ultimi. Dato però che, fra imoderni, proprio in base alla presunta risposta di Leucippo in De genera-tione et corruptione A 888, la "concessione" ai logoi degli Eleati è sempre stataattribuita agli atomisti, si è interpretato in questo senso anche l'allusionenel passo di Phys. A 389 e perciò si è dovuto necessariamente sostenere che

87 Sedley, che ringrazio per avermi gentilmente messo a disposizione un suo articolo in corsodi stampa (Atomism's Eleatic Roots, in Curd-Graham), è anch'egli incline, per motivi di-versi da quelli ora esposti, a vedere nel passo aristotelico una allusione agli Accademici e inparticolare a Senocrate.

88 Sintomatico a questo proposito è il commento al passo di Ross, 1936, 480s., che rispecchiaperfettamente questo tipo di ragionamento fondato essenzialmente su una valutazione uni-direzionale delle testimonianze aristoteliche. Dopo aver affermato che tutto sembrerebbealludere a Platone e alla sua scuola sulla base del confronto con Metaph. N 2, 1089a 1ss. e icommenti dei commentatori antichi che riferiscono l'allusione aristotelica a Platone e Se-nocrate, Ross nota che Simplicio avanza delle riserve per quanto riguarda il riferimento aPlatone in quanto quest'ultimo non avrebbe assunto un semplice non essere, ma un nonessere qualcosa (In Phys. ad loc., 137,7-20). Da questa obiezione, che egli considera valida,Ross parte per cercare un'alternativa e la trova nell'allusione agli atomisti fondandosi su Degen. et corr. A 2. Ora, la critica di Simplicio (anche se centra il punto debole dell'interpreta-zione aristotelica di Platone) è, come sempre, tesa alla difesa di Platone stesso e dunquenon può costituire l'unico elemento per rigettare delle testimonianze evidenti. In secondoluogo, se così fosse, non si spiega come mai, lo stesso Ross non citi anche 191b 35ss. dovecompare la stessa formulazione del problema e che, secondo il suo stesso commento (adloc., 497), è un chiaro riferimento a Platone e all'Accademia, riferimento che Simpliciougualmente rigetta, contro tutti gli altri esegeti, sulla base delle stesse argomentazioni ad-dotte per il brano precedente (Simpl. In Phys. 191b 35, 242,22ss.). Il ragionamento di Ross èseguito evidentemente anche da Barnes 1986, 354 e 619 n. 26, il quale afferma che solo gliatomisti avrebbero sostenuto ambedue le tesi cui Aristotele si riferisce. Tuttavia, quandoAristotele allude alle dottrine accademiche, spesso considera in blocco determinate pro-blematiche senza differenziare un autore dall'altro. Inoltre, come si è visto nei brani dellaMetafisica e della Fisica esaminati sopra, attribuisce la ammissione del non essere (la diadeindefinita) a seguito dell'aporia eleatica principalmente agli Accademici.

89 Per l'attribuzione agli atomisti Burnet 1930, 173; Ross 1936, ad loc. 479-81; Cherniss 1962,75 n. 303; Hirsch 1953, 66; Furley 1967, 81; Kirk-Raven-Schofield 1983, 409; Baldes 1972,45 non si pone neppure il problema di una diversa esegesi; Barnes 1982, 354; secondoKrämer 1971, 260 con bibliografia in n. 103, sarebbero sottintese ambedue le scuole. Perl'attribuzione a Platone e ai Platonici, Nicol 1936, 120s.; Isnardi Parente 1982, 356.

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tutti i commentatori si sono sbagliati90. Questa interpretazione è dovutaperò ad un rovesciamento della prospettiva che fa perdere di vista la pro-blematica più generale sottesa agli schemi dialettici di De generatione et cor-ruptione A 8, quella radicata nelle discussioni accademiche delle aporie ele-atiche.

4. I logoi di Leucippo: De gen. et corr. A 8, 325a 23-b 11(67 A 7 DK; 146 L.)

Aristotele è partito da un logos eleatico, le cui tracce portano all'Accademiae che già conteneva una confutazione dell'atomismo e delle dottrine cor-puscolari, per riformularne un altro. Agli argomenti degli Eleati egli con-trappone infatti, come antitesi, quelli di Leucippo secondo uno schemadialettico di cui generalmente si serve per esporre le soluzioni accademi-che delle aporie eleatiche. Egli si basa ovviamente anche su effettive af-fermazioni dell'autore come risulta dai tratti più marcatamente espositiviche emergono nella seconda parte del resoconto e corrispondono ad altribrani di questo tipo presenti nella sua opera, ma nello schema dialetticodella risoluzione del problema eleatico dell'uno e del molteplice attraversoil non essere e una molteplicità di "unità" simili all'essere eleatico, Leu-cippo sta sulla stessa linea di Platone e degli Accademici91.

90 L'argomentazione dell'errore dei commentatori è il modo più sbrigativo per eliminare unaimportante controprova. A Ross aveva già risposto Nicol 1936, 121 n. 1, facendo notareche Aristotele, nel passo di Metaph. N 2 citato più sopra, si riferisce a Platone e non agliatomisti. Furley 1967, 81s., che riprende il tema dell'errore dei commentatori, accenna aquesto passo come possibile supporto per la loro tesi, ma afferma comunque, senza ulte-riori argomentazioni, che è più probabile che Aristotele pensi agli atomisti portando comeunica prova il brano del De generatione et corruptione A 2.

91 Aristotele impiega anche altrove questo procedimento di assimilazione di dottrinepresocratiche ed accademiche allo scopo di dimostrare che Platone e i suoi allievi hannoriprodotto un modo di pensare antiquato, con l'aggravante di non accordare i loro principicoi fenomeni. Un passo significativo a questo proposito è quello del primo libro della Me-tafisica, in cui espone (considerandosi ancora un accademico e usando la prima persona plu-rale "noi") l'interpretazione accademica di Anassagora. Anassagora, pur non avendoloespresso chiaramente, avrebbe assunto due principi, l'uno (il nous), e l'"altro" (l'infinito).Egli avrebbe dunque detto le stesse cose degli Accademici, ma col vantaggio di accordaremaggiormente coi fenomeni le sue teorie, Metaph. A 8, 989a 30-b 21 (59 A 61 DK)Anaxagovran d ei[ ti" uJpolavboi duvo levgein stoicei'a, mavlist a]n uJpolavboi kata; lovgon, o}nejkei'no" aujto;" me;n ouj dihvrqrwsen, hjkolouvqhse ment a]n ejx ajnavgkh" toi'" ejpavgousinaujtovn ª...º ejk dh; touvtwn sumbaivnei levgein aujtw'i ta;" ajrca;" tov te e}n (tou'to ga;r aJplou'nkai; ajmige;") kai; qavteron, oi|on tivqemen to; ajovriston pri;n oJrisqh'nai kai; metascei'n ei[dou"tinov", w{ste levgei me;n ou[t ojrqw'" ou[te safw'", bouvletai mevntoi ti paraplhvsion toi'" teu{steron levgousi kai; toi'" [nu'n] fainomevnoi" ma'llon ãajkolouqei'Ã). Platone aveva criticatoAnassagora per essere partito da principi giusti, ma per non averli poi in pratica applicati

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Qui di seguito, dunque, esaminerò i modelli dialettici ed esegetici piùgenerali sottesi al logos di Leucippo e li confronterò con le altre testimo-nianze aristoteliche e quelle posteriori ad Aristotele sugli atomisti cheoffrono prospettive esegetiche alternative.

Aristotele, dopo aver esposto il logos eleatico, propone in questi ter-mini la risoluzione di Leucippo:

Leucippo, invece, credette di avere dei logoi che, procedendo in accordo con lasensazione, non confutassero né la generazione né la corruzione e neppure lamolteplicità delle cose esistenti. Avendo da una parte concesso questo ai feno-meni, dall'altra, a quelli che sostengono la tesi dell'uno, che non ci sarebbe movi-mento senza il vuoto, dice che il vuoto è non essere e che nulla di ciò che è è nonessere. Infatti l'essere nel senso proprio è il tutto-pieno92, ma non è uno solo, ma

(Phaed. 97c). Aristotele riprende una interpretazione accademica, per dimostrare invece im-plicitamente che gli Accademici hanno riprodotto lo stesso modo di affrontare i problemicon lo svantaggio di non accordare le loro teorie coi fenomeni.

92 Seguo qui il testo tradizionale e la punteggiatura del passo di Joachim e Diels (oJmologhvsa"de; tau'ta me;n toi'" fainomevnoi", toi'" de; to; e}n kataskeuavzousin wJ" oujk a]n kivnhsin ou\sana[neu kenou', tov te keno;n mh; o]n kai; tou' o[nto" oujqe;n mh; o[n fhsin ei\nai: to; ga;r kurivw" o]npamplh're" o[n ajllæ ei\nai to; toiou'ton oujc e{n, ajllæ a[peira to; plh'qo" v. nota seguente) per-fettamente giustificabile alla luce della terminologia e del carattere dialettico del logos. Laproposta di una nuova lettura da parte di Rashed 2001, 323-25 (cf. anche 2005, 39 e 139 n.ad loc.), seguito da Hussey 2004, 263s. non tiene conto né del senso generale del brano, nédello stile aristotelico. Le ricerche di Rashed sulla tradizione testuale del De generatione et cor-ruptione, per quanto estremamente documentate e importanti per il testo in generale, nonaggiungono in realtà su questo punto nulla di sorprendentemente nuovo. L'esistenza diqueste varianti era già ben documentata nell'apparato critico di Joachim e non è in sé parti-colarmente rilevante. La tradizione manoscritta da sola non giustifica la scelta dell'una odell'altra, tanto è vero che Rashed stesso si basa abbondantemente su presupposti e inter-pretazioni personali (cf. 2001, 324). Il testo offerto da Rashed è il seguente oJmologhvsa" ª...ºtoi'" de; to; e}n kataskeuavzousin wJ" ou[t a]n kivnhsin ou\san a[neu kenou', tov te keno;n mh; o]nkai; tou' o[nto" oujqe;n mh; o[n, fhsin ei\nai to; kurivw" e}n pamplh're" o[n (2001, 324 pam-plh're"): ajll ei\nai to[ toiou'ton oujk e{n ... Hussey dà un testo che si discosta in parte daquesto (oJmologhvsa" ª...º toi'" de; to; e}n kataskeuavzousin wJ" oujk a]n kivnhsin ou\san a[neukenou', tov te keno;n mh; o]n kai; tou' o[nto" oujqe;n mh; o[n, fhsin ei\nai to; kurivw" o]n pamplh're"o]n: ajll ei\nai to; toiou'ton oujk e{n. Un ou[te, da lui citato al posto di oujk, nella sua spiega-zione del testo, non compare invece all'interno di quest'ultimo). La versione di Rashed èestremamente problematica per il senso e per lo stile. A differenza di quanto affermaRashed, che fa dipendere, senza ulteriori argomentazioni, tutte le proposizioni da wJ" aoujqe;n mh; o[n da oJmolovghsa", la costruzione tov te keno;n mh; o]n kai; tou' o[nto" oujqe;n mh; o[n èsintatticamente perfetta (te ... kai; retto da fhsin ei\nai) e coerente, anche dal punto di vistadello schema dialettico, con una presunta risposta di Leucippo agli Eleati. Il fatto che ilvuoto sia non essere (e come tale esista) e che l'essere sia il tutto pieno e molteplice è, se-condo le regole della discussione dialettica, la nuova riformulazione del problema da partedi Leucippo che dopo aver concordato con una premessa degli Eleati (che non c'è movi-mento senza il vuoto), ridefinisce le altre premesse (la concezione di essere e di non essere)facendo le necessarie distinzioni. In questo contesto oujk, riportato da E e M, è perfetta-mente corretto e notevolmente superiore a ou[te accolto da Rashed. Al sintagma fhsinei\nai egli attribuisce poi una posizione inusitata in Aristotele. Il sintagma (con l'altra va-riante ei\naiv fhsin) è infatti frequentissimo nelle opere aristoteliche (come del resto in tutti

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infiniti per numero e invisibili per la piccolezza delle loro masse. Questi si muo-vono nel vuoto —infatti il vuoto c'è— e producono, combinandosi, la genera-zione, separandosi, la disgregazione. Essi agiscono e subiscono nella misura in cuivengono fortuitamente a contatto; in questo modo infatti non formano una unità.E, componendosi e intrecciandosi, generano. Ma da ciò che è veramente uno nonpuò generarsi una molteplicità né da quelli che veramente sono molti l'uno, maciò è impossibile. Ma come Empedocle e alcuni altri dicono che le affezioni siproducono attraverso i pori, così [anche Leucippo sostiene che] ogni alterazionee ogni affezione si produce in questo modo, dal momento che la dissoluzione e ladisgregazione si producono attraverso il vuoto, e allo stesso modo anche l'accre-scimento, a causa della penetrazione delle particelle solide [negli spazi vuoti]. An-che Empedocle deve però quasi necessariamente sostenere le stesse tesi di Leu-cippo. Infatti ci devono essere certi corpi solidi, e per giunta indivisibili, se non cisono dovunque pori che si susseguono l'un l'altro. Questo è tuttavia impossibile:infatti oltre ai pori non ci sarebbe qualcosa di solido, ma tutto sarebbe vuoto.Dunque è necessario che le particelle a contatto siano indivisibili e che gli inter-stizi fra l'una e l'altra, che egli chiama pori, siano vuoti. Così parla anche Leucipporiguardo all'agire e al subire93.

gli autori greci), ma compare sempre (e non solo in Aristotele) o immediatamente dopo ilsoggetto (espresso, e non sottinteso come qui), ma con fhsin in posizione enclitica (co-struzione peraltro molto rara, cf. Hist. anim. Z 5, 563a 6 kai; dia; tou'to kai; ÔHrovdwro" oJBruvswno" tou' sofistou' pathvr fhsin ei\nai tou;" gu'pa" ajfæ eJtevra" gh'"), o, molto più fre-quentemente, dopo il soggetto di ei\nai (Phys. A 5, 188a 22 kai; Dhmovkrito" to; plh're" kai;kenovn, w|n to; me;n wJ" o]n to; de; wJ" oujk o]n ei\naiv fhsin. Cf. anche A 2, 185a 33 Mevlisso" de;to; o]n a[peiron ei\naiv fhsin. D 2, 209b 11 Plavtwn th;n u{lhn kai; th;n cwvran taujtov fhsinei\nai ejn tw'i Timaivwi. De gen. et corr. A 5, 320b 33Dio; kai; croia;n ou[ fhsin ei\nai. A 8, 325b32Plavtwni de; kata; th;n aJfh;n movnon: keno;n ga;r oujk ei\naiv fhsin. Cf. anche Metaph. A 3,983b 21 e passim), o comunque dopo il nome del predicato (Metaph. A 8, 989a 21Empedoklh'" tevttarav fhsin ei\nai swvmata th;n u{lhn. De gen. et corr. A 8, 326a 9 kaivtoibaruvterovn ge kata; th;n uJperochvn fhsin ei\nai Dhmovkrito" e{kaston tw'n ajdiairevtwn). Laposizione del sintagma proposta da Rashed e Hussey è dunque contraria all'uso aristotelico.Per quanto riguarda la scelta di e{n per o[n è importante sottolineare che la tesi eleatica quidiscussa non è la natura dell'uno, ma quella dell'essere, se esso è uno o molti, immobile o inmovimento (ejnivoi" ga;r tw'n ajrcaivwn e[doxe to; o]n ejx ajnavgkh" e}n ei\nai kai; ajkivnhton).L'inquadramento del brano nell'ambito della distinzione di essere e uno come risposta alleaporie eleatiche giustifica, anche al di là delle considerazioni stilistiche, la letturatradizionale.

93 Arist. De gen. et corr. A 8, 325a 23-b 11 (67 A 7 DK; 146 L.) Leuvkippo" dæ e[cein wjihvqhlovgou", oi{tine" pro;" th;n ai[sqhsin oJmologouvmena levgonte" oujk ajnairhvsousin ou[te gevne-sin ou[te fqora;n ou[te kivnhsin kai; to; plh'qo" tw'n o[ntwn. oJmologhvsa" de; tau'ta me;n toi'"fainomevnoi", toi'" de; to; e}n kataskeuavzousin wJ" oujk a]n kivnhsin ou\san a[neu kenou', tov tekeno;n mh; o]n kai; tou' o[nto" oujqe;n mh; o[n fhsin ei\nai: to; ga;r kurivw" o]n pamplh're" o[n, ajllæei\nai to; toiou'ton oujc e{n, ajllæ a[peira to; plh'qo" kai; ajovrata dia; smikrovthta tw'n o[gkwn.tau'ta dæ ejn tw'i kenw'i fevresqai (keno;n ga;r ei\nai), kai; sunistavmena me;n gevnesin poiei'n,dialuovmena de; fqoravn. poiei'n de; kai; pavscein h|i tugcavnousin aJptovmena: tauvthi ga;r oujce}n ei\nai. kai; suntiqevmena de; kai; periplekovmena genna'n: ejk de; tou' katæ ajlhvqeian eJno;"oujk a]n genevsqai plh'qo" oujdæ ejk tw'n ajlhqw'" pollw'n e{n, ajllæ ei\nai tou'tæ ajduvnaton: ajllæ,w{sper Empedoklh'" kai; tw'n a[llwn tinev" fasi pavscein dia; povrwn, ou{tw pa'san ajlloivwsinkai; pa'n to; pavscein tou'ton givnesqai to;n trovpon, dia; tou' kenou' ginomevnh" th'" dialuvsew"kai; th'" fqora'", oJmoivw" de; kai; th'" aujxhvsew", uJpeisduomevnwn sterew'n scedo;n de; kai;

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L'esposizione aristotelica è caratterizzata da tre parti:1. Una di tipo argomentativo che mira a inquadrare le teorie di Leu-

cippo nella discussione dialettica di tesi generali sulla definizione di essere,sul movimento e sul numero dei principi secondo lo schema dei Topici.

2. Una di carattere descrittivo che espone più dettagliatamente la dot-trina per confermare l'inquadramento fornito nella prima parte e correlarlocol tema dell'agire e del patire trattato nel capitolo94. Le notizie di questaseconda parte corrispondono pressoché esattamente a quelle dell'excursusdi Aristotele su Democrito presso Simplicio95 e concordano grosso modoanche con le notizie sulla cosmogonia di Leucippo riportate da DiogeneLaerzio96 e Ippolito97 di derivazione teofrastea.

3. Una che, riprendendo e specificando il logos eleatico, cerca di dimo-strare la sostanziale equivalenza fra le teorie di Empedocle e quelle di Leu-cippo.

4. 1. La prima parte del logos di Leucippo (De gen. et corr. A 8, 325a 23-30)

La prima parte del logos, che, in sostanza, inquadra in uno schema dialet-tico incentrato sulla formulazione di un'antitesi quanto esposto nella se-conda parte, risente ovviamente di una più profonda rielaborazione. Laterza parte riprende un assunto del logos eleatico (equiparazione di un pre-sunto corpuscolarismo empedocleo all'atomismo) e fornisce una inter-pretazione di Empedocle pressoché inusitata per lo stesso Aristotele.

La formulazione dell'antitesi alle tesi eleatiche della prima parte dei lo-goi di Leucippo è fortemente marcata dalla terminologia tecnica della di-scussione dialettica. Così l'espressione "avere dei logoi" indica, nei Topici, ilpossesso di argomentazioni generali da usare in una disputa dialettica98. Ilogoi di Leucippo non "confutano" (oujk ajnairhvsousin) la generazione, lacorruzione, il movimento e la molteplicità: ajnairei'n è un termine tipico

Empedoklei' ajnagkai'on levgein w{sper kai; Leuvkippov" fhsin. ei\nai ga;r a[tta stereav,ajdiaivreta dev, eij mh; pavnthi povroi sunecei'" eijsin. tou'to dæ ajduvnaton: oujqe;n ga;r e[staie{teron stereo;n para; tou;" povrou", ajlla; pa'n kenovn. ajnavgkh a[ra ta; me;n aJptovmena ei\naiajdiaivreta, ta; de; metaxu; aujtw'n kenav, ou}" ejkei'no" levgei povrou". ou{tw" de; kai; Leuvkippo"levgei peri; tou' poiei'n kai; pavscein.

94 Ad esempio ajll ei\nai to; toiou'ton (scil. to; o]n) oujc e}n, ajll a[peira to; plh'qo" è unaespressione tipica degli schemi prearistotelici che oppongono monisti a pluralisti (cf. Xen.Mem. 1,1,13, supra, n. 34). Cf. a questo proposito Mansfeld 1986, 32-41 [1990b 55-63].

95 Arist. Fr. 208 Rose (Simpl. In De cael. 279b 12, 295,5-20) (68 A 37 DK; 293 L.).96 Diog. Laert. 9,30ss. (67 A 1 DK; 289, 382 L.).97 Hippol. Ref. 1,12 (67 A 10 DK; 16, 23, 291, 318 L.) Per quanto riguarda invece la testimo-

nianza su Leucippo attribuita a Teofrasto, v. infra, 5. 1.98 Top. Q 14, 164b 16 dei' de; kai; pepoihmevnou" e[cein lovgou" pro;" ta; toiau'ta tw'n pro-

blhmavtwn ejn oi|" ejlacivstwn eujporhvsante" pro;" plei'sta crhsivmou" e{xomen.

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per indicare la confutazione come kataskeuavzein per indicare la difesa diuna tesi99. Con gli Eleati che difendono la tesi (kataskeuavzonte") monistaLeucippo concorda (oJmologhvsa", un altro termine tecnico della discussionedialettica100) che non c'è movimento senza il vuoto, ma, secondo le regoledei Topici, "definisce" con più esattezza gli oggetti in discussione: l'esserepropriamente inteso101 è il "tutto pieno" che va distinto dal vuoto-nonessere, un essere improprio. Una volta introdotta la definizione precisa diessere (corrispondente a quella dell'essere-uno eleatico), nulla si opponealla tesi della molteplicità degli enti come tante unità, che, per Leucippo,però, sono infinite di numero102.

Già dalla terminologia del passo risulta dunque che i logoi di Leucipponon sono una riproduzione fedele, ma un rimaneggiamento dell'originalein base ad uno schema dialettico-tipo di soluzione delle aporie eleatiche.La stessa impressione si ricava dall'analisi dei presupposti della concessione edella risposta agli Eleati103. Infatti nella formulazione degli argomenti vieneimplicitamente presupposto:

1. Che Leucippo si sia posto un "problema del movimento" cercan-done nel vuoto la causa o, per lo meno, la condizione necessaria.

2. Che abbia definito l'essere come una molteplicità di unità simili al-l'essere-uno eleatico e attribuito al non essere un grado inferiore di esi-stenza (un essere non propriamente inteso, dunque un "altro dall'essere").

4. 1. 1. Vuoto e movimento

Come si è visto, Aristotele, nei Topici, porta come esempio di "tesi" e "an-titesi" in una disputa dialettica le trattazioni del movimento: da una partela negazione assoluta dello stesso (Melisso), dall'altra la tesi del movimentocontinuo (Eraclito). Nel primo brano del De generatione et corruptione gliEleati rispondono ai sostenitori del movimento, così come Melisso nel

99 I due termini compaiono appaiati in Top. B 3, 110b 9, 11; 7, 112b 29; 8, 113b 16; G 6, 119a34 e passim.

100 Top. G 6, 120a 4; Z 13, 150b 31; H 3, 153b 29; Q 7, 160a 20.101 Sulla necessità di "definire" i significati delle espressioni di una tesi per eliminarne le ambi-

guità e renderne più facile la confutazione, cf. Top. Q 3, 158b 8 tw'n de; o{rwn dusepi-ceirhtovtatoi pavntwn eijsi;n o{soi kevcrhntai toiouvtoi" ojnovmasin a} prw'ton me;n a[dhlav ejstinei[te aJplw'" ei[te pollacw'" levgetai, pro;" de; touvtoi" mhde; gnwvrima povteron kurivw" h] kata;metafora;n uJpo; tou' oJrisamevnou levgetai…

102 Nel logos eleatico di Porfirio l'assunzione di grandezze atomiche infinite viene però rigettatain quanto assurda, v. supra, n. 64.

103 Cf. anche Gomperz I, 1922, 279; Lewis 1990, 241-245.

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Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)142

quarto libro della Fisica104, nei logoi di Leucippo è invece quest'ultimo asostenere l'antitesi. La sua presenza in uno schema dialettico non implicadunque necessariamente una sua reale presa di posizione nei termini de-scritti da Aristotele. Da altre testimonianze aristoteliche e di derivazioneteofrastea sugli atomisti, infatti, non risulta che essi si siano posti il pro-blema di giustificare il movimento o di cercarne una causa rispondendo adeventuali oppositori. Il movimento degli atomi ha un valore di postulato, èqualcosa che esiste da sempre ed è connaturato all'atomo stesso. Non c'èdunque bisogno di cercarne una causa esterna105. Aristotele stesso, nellaMetafisica, critica Leucippo, insieme a Platone, proprio perché avrebbeposto un movimento eterno senza cercarne la causa106 e nei brani più pret-tamente espositivi non fa alcun cenno alla ricerca di cause del movimentoesterne agli atomi, ma riferisce semplicemente che essi lottano e si muo-vono nel vuoto perché sono diversi di forma e di grandezza107. Teofrasto,da parte sua, pur riprendendo lo schema dialettico aristotelico, tratta co-munque le dottrine di Leucippo come affermazioni dogmatiche diame-tralmente opposte a quelle degli Eleati: questi ultimi hanno posto un tuttouno immobile e ingenerato, Leucippo elementi infiniti e sempre in movi-mento108. Il carattere assiomatico del movimento eterno connaturato agliatomi è confermato anche da altri resoconti risalenti alla tradizione teofra-stea dove gli atomi sono descritti come a[peira kai; ajei; kinouvmena109 esoprattutto dal fatto che anche le loro proprietà (figura, modo di "voltarsi"e di intrecciarsi reciprocamente) non sono concepibili a prescindere dalmovimento110. Per questa natura stessa di particelle dinamiche gli atominon sono comunque comparabili all'essere eleatico immobile.

104 Phys. D 6, 213b 4-14 levgousi d e}n me;n o{ti kivnhsi" hJ kata; tovpon oujk a]n ei[h (au{th d ejsti;fora; kai; au[xhsi"): ouj ga;r a]n dokei'n ei\nai kivnhsin, eij mh; ei[h kenovn: to; ga;r plh're"ajduvnaton ei\nai devxasqaiv ti. eij de; devxetai kai; e[stai duvo ejn taujtw'i, ejndevcoit a]n kai;oJposaou'n ei\nai a{ma swvmata ª...º Mevlisso" me;n ou\n kai; deivknusin o{ti to; pa'n ajkivnhton ejktouvtwn: eij ga;r kinhvsetai, ajnavgkh ei\naiv fhsi kenovn, to; de; keno;n ouj tw'n o[ntwn. Aristoteleriproduce lo schema platonico di Theaet. 180d-e dove vengono contrapposti i sostenitoridell'eterno movimento a Parmenide e Melisso, v. supra, n. 42.

105 Cf. già Gomperz I, 1922, 281-283. Cf. anche Morel 1996, 65 e Perilli 1996, 94-97.106 Metaph. L 6, 1071b 31 (67 A 18 DK; 17 L.) dio; e[nioi poiou'sin ajei; ejnevrgeian, oi|on

Leuvkippo" kai; Plavtwn: ajei; ga;r ei\naiv fasi kivnhsin. ajlla; dia; tiv kai; tivna ouj levgousin.107 Arist. Fr. 208 Rose (Simpl. In De cael. 279b 12, 295,9-11) (68 A 37 DK; 293 L.) stasiavzein

de; kai; fevresqai ejn tw'i kenw'i diav te th;n anomoiovthta kai; ta;" a[lla" eijrhmevna" diaforav".108 Theophr. Fr. 229 FHS&G (Simpl. In Phys. 184b 15, 28,7) (67 A 8 DK; 147 L.) ejkeivnwn ga;r

e}n kai; ajkivnhton kai; ajgevnhton kai; peperasmevnon poiouvntwn to; pa'n, ª...º ou|to" a[peirakai; ajei; kinouvmena uJpevqeto stoicei'a ta;" ajtovmou". Su questo brano, v. infra, 5. 1 n. 164.

109 Hippol. Ref. 1,12 (67 A 10 DK; 151 L.) Leuvkippo" de; Zhvnwno" eJtai'ro" ouj th;n aujth;ndovxan diethvrhsen, ajllav fhsin a[peira kai; ajei; kinouvmena kai; gevnesin kai; metabolh;n su-necw'" ou\san.

110 V. infra, 4. 2. 2 e cap. VII.

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Capitolo terzo 143

4. 1. 2. Vuoto e non essere

Secondo Aristotele, Leucippo avrebbe "concesso" agli Eleati che nonesiste il movimento senza il vuoto, ma affermato che il vuoto è non esseredistinguendo un significato proprio, "forte", di essere (il tutto pieno), dauno più "debole" (il vuoto). In questa argomentazione il vuoto si confi-gura dunque come un tiv, un qualcosa "altro dall'essere" proprio, che esi-ste, ma non alla stessa stregua ed è necessario per poter spiegare il movi-mento e la molteplicità. Lo schema soggiacente alla prima parte del logos diLeucippo è dunque quello della soluzione dell'aporia eleatica attraversol'ammissione dell'esistenza del non essere come un "altro dall'essere" cheesiste, ma in un grado inferiore, e che Aristotele stesso attribuisce agliAccademici111. In questo modello, applicato al mondo fisico, luogo e vuotoequiparati corrispondono alla Chora platonica e all'ipostasi fisica delladiade indefinita112. Aristotele lo impiega anche per l'interpretazione di unautore al di sopra di ogni sospetto di "filosofia" come Esiodo proprioseguendo un modello esegetico accademico113. Nella discussione delledottrine che ammettono l'esistenza del luogo come "un qualcosa" di indi-pendente e "altro" dal corpo, egli spiega, infatti, sulla falsariga della Choraplatonica, il Chaos esiodeo come spazio preesistente e indistruttibile, con-dizione necessaria delle cose esistenti114.

111 Cf. Metaph. N 2, 1088b 35-1089a 6, supra, n. 83. La distizione fra un essere a pieno titolo(o[ntw" o[n) e un essere di grado inferiore è comunque di ascendenza platonica (cf. e.g. la de-scrizione della Chora in Ti. 52a-d). Cf. anche Owen 1960, 183s.

112 Phys. D 2, 209b 6-12 e supra, n. 59.113 Sull'interpretazione del Chaos esiodeo in Aristotele e negli autori tardi, cf. Gemelli Marciano

1991b.114 Arist. Phys. D 1, 208b 25-209a 1 e[ti oiJ to; keno;n favskonte" ei\nai tovpon levgousin: to; ga;r

keno;n tovpo" a]n ei[h ejsterhmevno" swvmato". o{ti me;n ou\n e[sti ti oJ tovpo" para; ta; swvmatakai; pa'n sw'ma aijsqhto;n ejn tovpwi, dia; tou'twn a]n ti" uJpolavboi: dovxeie dæ a]n kai; ÔHsivodo"ojrqw'" levgein poihvsa" prw'ton to; cavo". levgei gou'n Æpavntwn me;n prwvtista cavo" gevnetæ,aujta;r e[peita gai'æ eujruvsterno",Æ wJ" devon prw'ton uJpavrxai cwvran toi'" ou\si, dia; to; no-mivzein, w{sper oiJ polloiv, pavnta ei\naiv pou kai; ejn tovpwi. eij dæ ejsti; toiou'to, qaumasthv ti"a]n ei[h hJ tou' tovpou duvnami" kai; protevra pavntwn: ou| ga;r a[neu tw'n a[llwn oujde;n e[stin,ejkei'no dæ a[neu tw'n a[llwn, ajnavgkh prw'ton ei\nai: ouj ga;r ajpovllutai oJ tovpo" tw'n ejn aujtw'ifqeiromevnwn. Il linguaggio ispirato alla descrizione della Chora del Timeo (52b) è palese. Cf.anche Simpl. In Phys. 209a 18, 533,35 mavlista de; teivnei pro;" to; mh; ei\nai ajrch;n aujtovn,o{per ejdovkoun levgein oiJ to; ÔHsiovdou cavo" kai; to; keno;n Dhmokrivtou profevronte" kai; th;nfusikh;n tw'n swmavtwn kivnhsin wJ" ajp aijtiva" tou' tovpou ginomevnhn. L'autore del trattatellopseudo-aristotelico De Melisso, Xenophane et Gorgia pone sia il vuoto che il Chaos esiodeocome antitesi alle tesi di Melisso (non c'è il movimento perché non c'è il vuoto), interpre-tandoli, sulla scia di Aristotele, come "un qualcosa", un non-corpo e uno spazio (MXG976b 12-18 ajkivnhton d ei\naiv fhsin, eij keno;n mh; e[stin: a{panta ga;r kinei'sqai tw'iajllavttein tovpon. prw'ton me;n ou\n tou'to polloi'" ouj sundokei', ajll ei\naiv ti kenovn, oujmevntoi tou'tov gev ti sw'ma ei\nai, ajll oi|on kai; oJ ÔHsivodo" ejn th'i genevsei prw'ton to; Cavo"

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Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)144

La presunta "risposta" di Leucippo agli Eleati che assegna al vuoto-nonessere una certa esistenza, ma di grado diverso rispetto all'essere vero eproprio e ne fa una condizione necessaria del movimento si iscrive dun-que in questi schemi di soluzione delle presunte aporie eleatiche che in-troducevano un "non essere" come altro dall'essere per spiegare la molte-plicità e il movimento e che Aristotele stesso attribuiva agli Accademici.

4. 1. 3. Atomi e uno

Anche la dottrina degli atomi come tante unità aventi tutte le caratteristi-che dell'essere eleatico che segue subito dopo, rientra in uno schema pree-sistente di definizione dell'essere e dell'uno:

dell'essere niente è non essere perché l'essere propriamente detto è il tutto-pieno,ma questo non è uno, ma infiniti per numero.

In termini dialettici si tratta infatti di una "ridefinizione" delle premesseche porta ad una riformulazione della tesi eleatica. L'essere-uno eleatico èsolo quello propriamente detto, il pieno, e non è uno solo, ma una molte-plicità. Il presupposto non espresso consiste nel fatto che questa moltepli-cità è resa possibile dall'esistenza di un "altro dall'essere" (il vuoto). Ma c'èdi più. I singoli atomi possono essere paragonati all'essere-uno eleaticosolo eliminandone, come Aristotele fa ripetutamente e insistentemente, lacaratteristica naturale, il movimento, e facendone delle unità astratte. Eglili interpreta infatti sullo sfondo della problematica più generale della defi-nizione di essere e uno, uno dei punti-chiave delle discussioni accademi-che che egli stesso riesamina più volte criticamente. Nella Metafisica Ari-stotele distingue due impostazioni del problema: quella di Platone e deiPitagorici, che avrebbero posto l'uno e l'essere come sostanze in se stessedistinte una dall'altra, e quella dei fisici che avrebbero considerato con-giuntamente come essere e uno uno o più sostrati materiali senza fare al-cuna distinzione fra i due concetti. Fra questi ultimi, dice Aristotele, co-loro che hanno posto una pluralità di elementi devono necessariamentesostenere che l'essere e l'uno sono tutti quegli elementi che essi hannoposto come principi115. Il presupposto della definizione degli atomi di

fhsi; genevsqai, wJ" devon cwvran prw'ton uJpavrcein toi'" ou\si toiou'ton dev ti kai; to; kenovn,oi|on ajggei'ovn ti ajna; mevson ei\nai zhtou'men).

115 Metaph. B 4, 1001a 9-19 Plavtwn me;n ga;r kai; oiJ Puqagovreioi oujc e{terovn ti to; o]n oujde; to;e}n ajlla; tou'to aujtw'n th;n fuvsin ei\nai, wJ" ou[sh" th'" oujsiva" aujtou' tou' eJni; ei\nai kai; o[nti:oiJ de; peri; fuvsew", oi|on Empedoklh'" wJ" eij" gnwrimwvteron ajnavgwn levgei o{ ti to; e{n ejstin:dovxeie ga;r a]n levgein ti toiou'to th;n filivan ei\nai (aijtiva gou'n ejsti;n au{th tou' e}n ei\naipa'sin), e{teroi de; pu'r, oiJ d ajevra fasi;n ei\nai to; e}n tou'to kai; to; o[n, ejx ou| ta; o[nta ei\naiv tekai; gegonevnai. w{" d au[tw" kai; oiJ pleivw ta; stoicei'a tiqevmenoi: ajnavgkh ga;r kai; touvtoi"tosau'ta levgein to; e}n kai; to; o]n o{sa" per ajrca;" ei\naiv fasin.

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Capitolo terzo 145

Leucippo, in De generatione et corruptione A 8, sta dunque nella problematicadella definizione di essere e uno non leucippea, ma aristotelica e accade-mica.

La definizione di essere e uno come concetti universali e distinticostituisce uno dei motivi portanti della soluzione delle aporie eleaticheche i commentatori attribuiscono a Senocrate. E' la distinzione logica fraparte (uno indivisibile) e tutto (essere divisibile) a fondare la dottrina degliindivisibili senocratei. Senocrate risponde agli Eleati che l'essere, in quantotutto, è divisibile e dunque non è uno, ma molteplice. L'uno, nelle gran-dezze, è la parte indivisibile116. In queste pur sintetiche notazioni, sonoindividuabili i punti fondamentali delle tesi di Senocrate: definizione degliuniversali, essere e uno, rispettivamente come tutto (risultante dalla com-presenza dei principi, uno e diade indefinita) e come parte (governata dalprimo principio, l'uno) e loro applicazione all'ambito delle grandezze.

4. 2. Altre prospettive sul vuoto atomistico

Esaminati i pre-supposti teorici dei logoi di Leucippo, è opportuno oraverificare, comunque, in che misura la formulazione aristotelica corri-sponda ad una dottrina originale. Si potrebbe infatti obiettare che, al di làdei presupposti aristotelici, nulla impedisce che anche Leucippo si siaespresso in questi termini. Il discorso sul contesto culturale delle dottrineatomistiche, che naturalmente ha una grande rilevanza anche per l'inter-pretazione delle radici dell'atomismo, verrà affrontato più diffusamentenel capitolo conclusivo. Qui di seguito verranno invece esaminate altretestimonianze che permettono di riconsiderare i punti già trattati da unadiversa angolazione. L'analisi della seconda parte dei logoi di Leucippo,quella più propriamente descrittiva, chiuderà il cerchio permettendo distabilire da quali punti della dottrina originale Aristotele è partito per lasua rielaborazione. Infine verranno prese in esame e interpretate alla lucedella tradizione aristotelico-teofrastea le testimonianze tarde che istitui-scono una relazione fra gli atomisti e gli Eleati.

116 Alex. ap. Simpl. In Phys. 187a 1, 138,10 (Xenocr. Fr. 138 IP). Cf. testo, supra, n. 65. Porph.135 F Smith (Simpl. In Phys. 187a 1, 140,6) (Xenocr. Fr. 139 IP) oiJ de; peri; to;n Xenokravthnth;n me;n prwvthn ajkolouqivan uJpei'nai sunecwvroun, toutevstin o{ti eij e{n ejsti to; o]n kai;ajdiaivreton e[stai, ouj me;n ajdiaivreton ei\nai to; o]n. dio; pavlin mhde; e}n movnon uJpavrcein to;o[n, ajlla; pleivw. La formulazione della soluzione riecheggia da vicino quella attribuita daAristotele a Leucippo nel brano in questione.

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Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)146

4. 2. 1. Vuoto e non essere: mh; ma'llon to; de;n h] to; mhdevn(68 B 156 DK; 7, 78 L.)

Gli interpreti moderni hanno visto una conferma dello schema aristotelicodi soluzione delle aporie eleatiche attraverso l'introduzione del non essereda parte di Leucippo in una famosa massima: mh; ma'llon to; de;n h] to;mhdevn che compare decontestualizzata, parafrasata o solo accennata nelletestimonianze. In questa forma è riportata solo da Plutarco e attribuitaspecificamente a Democrito e non a Leucippo117, ma essa viene riecheg-giata soprattutto da Aristotele e Teofrasto e nella tradizione successiva chea loro si richiama. I termini isolati devn e mhdevn compaiono come denomi-nazione degli atomi e del vuoto nel frammento dell'opera su Democrito diAristotele118. Quest'ultimo fornisce tuttavia, nel resoconto su Leucippo eDemocrito del primo libro della Metafisica, una parafrasi del contesto in cuipresumibilmente la massima compariva. Qui, però, come anche altrovenella Metafisica119 e nella Fisica120, egli considera gli Abderiti da un'altra otticae cioè come dualisti che avrebbero posto principi contrari, e assegna con-seguentemente agli atomi e al vuoto lo stesso grado di esistenza comesostrato materiale

Leucippo e il suo discepolo Democrito dicono che sono elementi il pieno e ilvuoto, chiamando l'uno essere, l'altro non essere; di questi il pieno e solido è l'es-sere, il vuoto e rado il non essere (perciò dicono anche che l'essere non è più del

117 Plut. Adv. Colot. 1109 A (68 B 156 DK; 7, 78 L.) oi|" oujdæ o[nar ejntucw;n oJ Kwlwvth" ejsfavlhperi; levxin tou' ajndrov", ejn h|/ diorivzetai mh; ma'llon tov Æde;nÆ h] tov Æmhde;nÆ ei\nai, Æde;nÆ me;nojnomavzwn to; sw'ma Æmhde;nÆ de; to; kenovn, wJ" kai; touvtou fuvsin tina; kai; uJpovstasin ijdivane[conto". Le altre occorrenze del termine devn, se si eccettua un passo del Filopono (v. notaseguente), sono dovute a congetture, in alcuni casi giustificate, in altri no. Nel testo di Ga-leno De elem. sec. Hipp. 2,16 (60,17-19 De Lacy = I,418 K.) (68 A 49 DK; 90, 185, 197 L.)kata; de; th;n ajlhvqeian e}n kai; mhdevn ejsti ta; pavnta. kai; ga;r au\ kai; tou'tæ ei[rhken aujtov", e}nme;n ta;" ajtovmou" ojnomavzwn, mhdevn de; to; kenovn, i Mss. riportano concordemente e{n, cheMullach, seguito poi da Diels, ha corretto in devn. Dato che Galeno concepisce sempre gliatomi come unità che hanno tutte la stessa sostanza, ha sicuramente "normalizzato" lostrano termine democriteo. La lezione dei manoscritti va quindi mantenuta (cf. De Lacy1996, 167 ad loc.).

118 Arist. Fr. 208 Rose (Simpl. In De cael. 279b 12, 295,3) (68 A 37 DK; 172, 197 L.) prosago-reuvei de; to;n me;n tovpon toi'sde toi'" ojnovmasi tw'i te kenw'i kai; tw'i oujdeniv ª...º, tw'n de;oujsiw'n eJkavsthn tw'i te devn. Lo Heiberg ha emendato la lezione corrotta (tw'ite de; A) o al-trimenti lacunosa (tw'i te seq. lac. 7 litt. D: lac. 8 litt. E) di questo passo in Simplicio,rifacendosi ad un brano del Filopono che sicuramente lo riecheggia, In Phys. 188a 19,110,10 (188, 197, 328 L.) to; de; plh're" kai; to; keno;n ejnantiva, a{tina o]n kai; oujk o]n ejkavlei,kai; de;n kai; oujdevn, de;n me;n to; plh're" to; de; keno;n oujdevn. Anche qui tuttavia compaiononei codici le lezioni de;n (K) e e}n (LMt).

119 Metaph. G 5, 1009a 22 (8, 143 L.).120 Phys. A 5, 188a 19 (68 A 45 DK; 238 L.).

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Capitolo terzo 147

non essere, perché neppure il vuoto è più del corpo), questi sono causa delle coseesistenti come materia121.

Questo testo ha sempre costituito un problema perché presenta una ver-sione inusuale dell'atomismo. Accanto a pieno e vuoto, compaiono infattirispettivamente come essere e non essere, anche il solido, il corpo in gene-rale, e il rado. Queste "devianze", sono state imputate per lo più alla tradi-zione manoscritta, ma, molto più verosimilmente, derivano da una diffi-coltà oggettiva di Aristotele di adattare a categorie fisse e ben delimitatedelle formulazioni probabilmente vaghe e di più ampio respiro del testooriginale. Due sono le principali difficoltà testuali del brano:

1. Il fatto che vengano indicati come essere e non essere prima ilpieno e il vuoto, poi, immediatamente dopo, il pieno e solido e il vuoto erado. In seguito a questa anomalia, che distingue questa dalle altre testi-monianze su Democrito di tradizione aristotelica e teofrastea, dove solo ilpieno e il vuoto vengono definiti essere e non essere, la maggior partedegli editori ha espunto te kai; manovn.

2. Il fatto che l'affermazione che l'essere non è più del non essere siagiustificata da un apparente paradosso: perché neppure il vuoto è più delcorpo. Qui l'esistenza del pieno sarebbe misurata anche su quella delvuoto e non solo viceversa. Anche in questo caso, già nell'antichità, il testoè stato reinterpretato e normalizzato. Simplicio, che si richiama a Teofra-sto, riferisce nel suo resoconto la frase con l'integrazione e[latton122, Ales-sandro, invece, nel suo commento al passo, aveva operato tacitamente unametatesi dei casi123. Gli editori moderni hanno adottato ora l'una, ora l'altra

121 Arist. Metaph. A 4, 985b 4 (67 A 6 DK; 173 L.) Leuvkippo" de; kai; oJ eJtai'ro" aujtou'Dhmovkrito" stoicei'a me;n to; plh're" kai; to; keno;n ei\naiv fasi, levgonte" to; me;n o]n to; de; mh;o[n, touvtwn de; to; me;n plh're" kai; stereovn, to; o[n, to; de; kenovn te kai; manovn, to; mh; o[n (dio;kai; oujqe;n ma'llon to; o]n tou' mh; o[nto" ei\naiv fasin, o{ti oujde; to; keno;n tou' swvmato"), ai[tiade; tw'n o[ntwn tau'ta wJ" u{lhn.

122 Theophr. Fr. 229 FHS&G (Simpl. In Phys. 184b 15, 28,11) (67 A 8 DK; 147 L.) e[ti de;oujde;n ma'llon to; o]n h] to; mh; o]n uJpavrcein, kai; ai[tia oJmoivw" ei\nai toi'" ginomevnoi" a[mfw.th;n ga;r tw'n ajtovmwn oujsivan nasth;n kai; plhvrh uJpotiqevmeno" o]n e[legen ei\nai kai; ejn tw'ikenw'i fevresqai, o{per mh; o]n ejkavlei kai; oujk e[latton tou' o[nto" ei\naiv fhsi. A questa rein-terpretazione risale l'integrazione più in voga presso gli editori moderni del testo aristote-lico oujde; to; keno;n ãe[lattonà tou' swmato" (cf. Zeller-Nestle 1920, I, 2, 2, 1056 n. 2; Dielsad loc.; Taylor 1999, 72). Sulla paternità teofrastea (e non simpliciana, pace Schofield 2002)del passo, v. infra, n. 168.

123 Alex. In Metaph. 985a 21, 35,24 (214 L.) eJxh'" de; th;n Leukivppou te kai; Dhmokrivtou peri;stoiceivwn dovxan iJstorei', kai; safw'" ejktivqetai thvn te dovxan aujtw'n kai; th;n pro;" tou;"a[llou" diaforavn te kai; koinwnivan th;n kata; th;n dovxan. plh're" de; e[legon to; sw'ma to; tw'najtovmwn dia; nastovthtav te kai; ajmixivan tou' kenou'. ojnomavzonte" de; to; me;n plh're" o]n to; de;keno;n mh; o[n, ejpei; oJmoivw" aujtoi'" h\n ejn uJpavrxei tov te plh're" kai; to; kenovn, oujde;n ma'llone[legon ei\nai to; plh're" tou' kenou'. Fra i moderni hanno proposto questa soluzione Ross1924, ad loc.; Lur'e 1970, ad loc.; Mansfeld II, 1986, 286; Curd 2004, 181 n. 4, 189. Ascle-pio pur accogliendo quest'ultima interpretazione, la vede come l'affermazione di una ugua-

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soluzione per restituire lo stesso significato ad ambedue le frasi col risul-tato di produrre una tautologia. Lo Pseudo-Filopono, tradotto dal Pa-trizi124, metteva invece in rilievo la paradossalità della seconda fraseinterpretandola come una osservazione ironica di Aristotele nei confrontidegli atomisti125.

In realtà questo apparente paradosso non ha bisogno di correzioni oaggiustamenti in quanto è perfettamente comprensibile alla luce dell'usoleucippeo e democriteo del mh; ma'llon. La massima compare infatti piùvolte nella tradizione sugli atomisti come enunciazione di una assolutaequivalenza126. Piuttosto i punti oscuri del brano rispecchiano la difficoltàdi Aristotele di adattare al suo schema sui principi un testo originale cheprobabilmente si riferiva non solo agli atomi e al vuoto, ma anche, più ingenerale, ai corpi solidi e a quelli radi. Se si prescinde per un momentodagli atomi e dal vuoto e si osserva la struttura del parallelismo aristotelicotouvtwn de; to; me;n plh're" kai; stereovn, to; o[n, to; de; kenovn te kai; manovn,to; mh; o[n, risulta subito evidente che te kai; manovn non può essere espuntosenza comprometterne irrimediabilmente la simmetria127. D'altra parteanche plh're" e stereovn non sono del tutto equivalenti, come invece so-stiene Jäger128, in quanto l'uno denota la pienezza, l'altro la solidità che noncompete solo all'atomo, ma, in misura diversa, anche ai corpi visibili e

glianza quantitativa fra atomi e vuoto, cf. Ascl. In Metaph. 985b 4, 33,9 (177 L.) kai; e[legono{ti oujk e[stin ejpi; plevon to; o]n tou' mh; o[nto", ejpeidh; ou[te to; sw'ma, toutevstin aiJ a[tomoi,pleivone" uJpavrcousi tou' kenou': pantacou' ga;r kai; keno;n kai; a[tomoi uJpavrcousin). Egli sibasa evidentemente su Metaph. G 5, 1009a 22. Sulla stessa lunghezza d'onda la correzionedel testo aristotelico (to; sw'ma tou' kenou') di Casaubon.

124 Un testo composto tra il XII e il XIV sec. Cf. l'introduzione di Ch. Lohr alla ristampadell'edizione del Patrizi del 1583, XII.

125 Cf. Ps.-Philop., In Metaph. vers. lat. Patritii, f. 3 Iam dicit et de Leucippo et Democrito qui dicebant,plenum vel ens; et vacuum vel non ens, elementa. Ideo non plus tribuerunt enti, quam non enti. Quando

etiam ambo, elementa dixerunt. Quod vero neque vacuum corporis? irrisio est philosophi in illos.126 Secondo Simplicio/ Teofrasto, Leucippo e Democrito avrebbero giustificato l'infinita

varietà delle forme atomiche col fatto che una cosa non è più di tal forma che di talaltra,Theophr. 229 FHS&G (Simpl. In Phys. 184b 15, 28,9-10; 28,25-26) (67 A 8 DK; 2, 147 L.)kai; tw'n ejn tai'" ajtovmoi" schmavtwn a[peiron to; plh'qov" fasi dia; to; mhde;n ma'llon toiou'tonh] toiou'ton ei\nai. Per l'uso della massima in vari contesti, cf. in particolare De Lacy 1964,Graeser 1970, che però si attiene all'esegesi tradizionale del passo della Metafisica con rela-tive correzioni del testo, e Burkert 1997, 30s. che interpreta la frase come espressione posi-tiva di equivalenza e argomenta a favore del mantenimento del testo tràdito.

127 Cf. anche Sedley 1982, 191s.; Waschkies 1997, 162. Ambedue sottolineano la vaghezzadella concezione di "vuoto" esteso anche al rado. Essi non mettono però in discussione lavalenza dell'interpretazione aristotelica perché tralasciano l'altro problema testuale e il fattoche plh're" e stereovn indicano sia gli atomi che i corpi composti.

128 1957 app. ad loc.; 1917, 484. Jaeger non offre peraltro alcun argomento a sostegno dellasua tesi.

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Capitolo terzo 149

tangibili129. I due concetti sono speculari a vuoto e rado nella secondaparte. Vuoto e rado compaiono appaiati come concetti simili anche in untesto ippocratico contemporaneo a Democrito. Descrivendo le parti po-rose del corpo quali il polmone o le mammelle, l'autore del trattato Devetere medicina afferma che esse sono le più adatte ad assorbire liquido inquanto non sono in grado di evacuarlo ogni giorno come le parti cave

ma quando una di queste parti assorba e riceva in sé il liquido, si riempiono leparti vuote e rade anche quelle piccole in ogni parte e, invece che molle e rada, laparte diventa dura e compatta e non opera né cottura né evacuazione130.

Si tratta qui ovviamente di un contesto fisiologico, che tuttavia dimostracome vuoto e rado potessero essere posti sullo stesso piano. Del restoanche l'opinione comune identificava, secondo Aristotele, l'essere colcorpo tangibile, il non essere sia col vuoto che con l'aria (il rado), ambedueinvisibili e impercettibili131. Sembra dunque che la massima parafrasata daAristotele definisca come essere e non essere non solo atomi e vuoto, maanche corpi solidi e radi. Plutarco stesso, citando la massima, identificamhdevn col vuoto, ma devn col corpo (sw'ma). Se è vero che egli usa il ter-mine "corpi" al plurale anche per gli atomi seguendo l'uso epicureo132, quisi riferisce evidentemente non all'"atomo" singolo, ma al concetto piùgenerale di "corpo". Solo Galeno, che sostituisce in base ad una sua inter-pretazione e{n a devn e comunque utilizza un resoconto di seconda mano,identifica ovviamente l'unità con l'atomo.

Melisso, equiparando espressamente il vuoto al mhdevn, lo distingueimplicitamente dal rado: ambedue non esistono, come non esiste il denso,ma definisce solo il vuoto un non essere, non anche il rado133. Anche se la

129 L'immagine che si forma dalla compressione dell'aria all'atto della vista è "solida", Theophr.De sens. 50 (68 A 135 DK; 478 L.). Per la durezza dei corpi composti, cf. Ibid. 62 (68 A 135DK; 369 L.) sklhro;n me;n ga;r ei\nai to; puknovn, malako;n de; to; manovn ª...º sklhrovteronme;n ei\nai sivdhron. Compattezza e durezza sono caratteristiche dei corpi anche nella testi-monianza di Sen. Nat. quaest. 4,9,1 His, inquit (scil. Democritus), corporibus quae duriora et pres-siora sunt necesse est minora foramina esse.

130 [Hippocr.] VM 22,6 (151,2 Jouanna = I,630 Littré) ajll o{tan pivhi kai; devxhtai aujto;" ej"eJwuto;n to; uJgrovn, ta; kena; kai; ajraia; ejplhrwvqh kai; ta; smikra; pavnth, kai; ajnti; malqakou'te kai; ajraiou' sklhrov" te kai; pukno;" ejgevneto, kai; ou[t ejkpevssei ou[t ajfivhsi.

131 Phys. D 6, 213a 27-31 (67 A 19 DK; 255 L.) oiJ d a[nqrwpoi bouvlontai keno;n ei\naidiavsthma ejn w|i mhdevn ejsti sw'ma aijsqhtovn: oijovmenoi de; to; o]n a{pan ei\nai sw'ma fasivn, ejnw|i o{lw" mhdevn ejsti, tou't ei\nai kenovn, dio; to; plh're" ajevro" keno;n ei\nai. I Pitagorici iden-tificavano del resto il vuoto con il pneuma Phys. D 6, 213b 22-24. Cf. anche De gen. et corr. A3, 318b 19 dokei' de; ma'llon toi'" polloi'" tw'i aijsqhtw'i kai; mh; aijsqhtw'i diafevrein: ª...º to;ga;r o]n kai; to; mh; o]n tw'i aijsqavnesqai kai; tw'i mh; aijsqavnesqai diorivzousin.

132 Cf. Plut. Quaest. conv. 653 F; cf. anche. De fort. Rom. 317 A.133 30 B 7 DK, 7-8 oujde; keneovn ejstin oujdevn: to; ga;r keneo;n oujdevn ejstin: oujk a]n ou\n ei[h tov

ge mhdevn ª...º pukno;n de; kai; ajraio;n oujk a]n ei[h: to; ga;r ajraio;n oujk ajnusto;n plevwn ei\naioJmoivw" tw'i puknw'i, ajllæ h[dh to; ajraiovn ge kenewvteron givnetai tou' puknou'.

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Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)150

massima del mh; ma'llon fosse rivolta contro questa tesi di Melisso, la de-notazione di "non essere" presso gli atomisti sarebbe comunque più ampiae si estenderebbe al di là dell'ambito dei principi cui Aristotele vorrebberidurla. Essa costituirebbe inoltre una asserzione dogmatica dell'esistenzadel non essere decisamente opposta a quella di Melisso così come lo sa-rebbe anche se si supponesse, come spesso viene fatto, che la massimafosse diretta contro un Parmenide reinterpretato. Dunque gli atomisti nonavrebbero concesso nulla agli Eleati e non avrebbero nulla in comune conloro, ma andrebbero esattamente nella direzione opposta.

Alcuni interpreti, nel tentativo di "salvare" il prestigio "filosofico" diLeucippo e Democrito e di farne in qualche modo gli eredi degli Eleati,ipotizzano però che la massima fosse solo la conclusione di una argo-mentazione più ampia che è andata perduta134, altri suppongono che gliatomisti distinguessero due significati di ei\nai: uno più debole, "esserci"(del vuoto e degli atomi) e uno più forte, "essere reale", (solo degli atomiin quanto riempiono lo spazio). Il vuoto esisterebbe in un senso più de-bole, in quanto spazio vuoto, ma non sarebbe "reale"135. Tutto questoriecheggia, in forme moderne, il tentativo di distinzione fra un significatoproprio e improprio di essere già aristotelico, ma non trova alcun riscon-tro nelle testimonianze sugli atomisti. Il pre-supposto di queste ipotesi stanel rifiuto di collocare gli atomisti nel loro contesto storico. Se si esami-nano i testi concernenti la natura dell'universo e dell'uomo più o menocontemporanei a Leucippo o a Democrito come i frammenti di Anassa-gora, di Ione di Chio, di Filolao e i trattati ippocratici, risulta subito chiaroche affermazioni dogmatiche e lapidarie non vengono a conclusione diun'argomentazione, ma introducono il discorso e non sono precedute dadefinizioni e distinzioni (un tratto tipicamente platonico e aristotelico).Talvolta sono seguite da qualche "prova" empirica (tekmhvrion, shmei'on,martuvrion) o argomenti che, dal punto di vista degli interpreti moderni,sono spesso del tutto insufficienti e nebulosi come le massime stesse136.Questo è dovuto al fatto che lo scopo dello scritto non è quello di pre-sentare un trattato teorico redatto secondo i canoni della logica aristote-lica, ma quello di influenzare e persuadere un pubblico che condivide gli stessipre-supposti culturali compresa la concezione di "argomento persuasivo".

134 Mc Gibbon 1964, 254s.; Curd 2004, 191.135 Bailey 1928, 75; Barnes 1982, 403-405. Per una critica a questa tesi, cf. Curd 2004, 191s.136 Cf. e.g. l'incipit del libro di Filolao (44 B 1 DK) "la natura nel cosmo è stata composta di

cose illimitate e di cose limitanti, e il cosmo nella sua interezza e tutto quanto si trova inesso". I frammenti B 2-6 DK, che dovrebbe fornire una argomentazione a favore di questatesi, sono formulati in maniera altrettanto vaga e sibillina quanto l'incipit e proprio per que-sto sono indice di autenticità. Cf. Burkert 1972, 252ss., Huffman 1993, Part II. 1, cf. anche93ss.

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Capitolo terzo 151

Lo stile dell'enunciazione è dunque parte fondamentale del discorso. Inquesto contesto l'affermazione dogmatica, soprattutto se foneticamenteben costruita, aveva un impatto e un effetto sul destinatario altrettantoforte di quanto poteva averlo una argomentazione logica formalmenteperfetta sugli allievi del Peripato. Essa denota infatti sicurezza e autorità,infonde fiducia e soddisfa esteticamente l'uditore ed ha perciò ha tutti irequisiti per essere accettata. La stessa massima anassagorea oJmou'crhvmata pavnta h\n (59 B 1 DK), con la sua meravigliosa eufonia137, è unbuon esempio di questo tipo di enunciazione e non viene esplicitamentegiustificata o spiegata prima, ma costituisce semmai il fondamento deldiscorso successivo. Allo stesso modo i Triagmoi di Ione di Chio e il trat-tato ippocratico De genitura si aprono con una frase ad effetto138. La mas-sima atomista era dunque quella che è, una affermazione lapidaria ed effi-cace, seguita probabilmente da considerazioni quali quelle che si trovanonella parafrasi aristotelica: il corpo non è più del vuoto perché quest'ul-timo non è più del corpo.

Quello dell'esistenza del non essere, del vuoto, del rado era un pro-blema dibattuto nell'ultimo terzo del V sec. a.C. Sul non essere si eraespresso ad esempio Seniade di Corinto, un contemporaneo cui Demo-crito stesso aveva fatto riferimento, il quale sosteneva che tutte le cosenascono dal, e periscono nel non essere139. Gorgia, dal canto suo, avevacercato di dimostrare l'opposto di Democrito e cioè che non esistono nél'essere né il non essere. L'affermazione dell'esistenza del non essere, la suaequiparazione al rado erano dunque temi correnti nell'ultimo terzo del Vsec. a.C. e su questo sfondo di concezioni comuni e discorsi sofistici vainterpretata la massima democritea. Il vuoto e il rado sono "enti" a pienotitolo in quanto esistono alla stessa stregua, ma in ogni caso non più, deicorpi. All'enunciazione della formula poteva seguire qualche prova, se-condo la procedura corrente nei testi presocratici, ippocratici e in generalenegli autori della seconda metà del V sec. a.C. Aristotele allude, senza

137 La sua sequenza vocalica centrale (e-a-a-a-a) è degna della poesia (riecheggia infatti laformula epica h{mata pavnta Hom. Il. 8,539 al.; Od. 4,209 al.; Hes. Th. 305 al.) e natural-mente va persa nella versione che si ritrova più spesso nella tradizione antica oJmou' pavntacrhvmata (e sostituita da Diels nel testo di Simpl. In Phys. 155,27 alla versione corretta ri-portata dai codici in questo passo, cf. Rösler 1971 e Sider 2005, 69s.) che non tiene alcunconto del suono e del ritmo.

138 Ion 36 B 1 DK (Harpocr. s.v. “Iwn) ajrch; dev moi tou' lovgou: pavnta triva kai; oujden plevon h]e[lasson touvtwn tw'n triw'n. eJno;" eJkavstou ajreth; triav": suvnesi" kai; kravto" kai; tuvch.[Hippocr.] Genit. 1,1 (44,1 Joly = VII,470 Littré) novmo" me;n pavnta kratuvnei: hJ de; gonh; tou'ajndro;" e[rcetai ajpo; panto;" tou' uJgrou' tou' ejn tw'i swvmati ejovnto", to; ijscurovtatonajpokriqevn. In questo trattato segue la "prova" (tou'tou de; iJstovrion tovde, o{ti ajpokrivnetaito; ijscurovtaton): dopo il coito, pur eiaculando una piccola quantità di liquido, ci si sentedeboli.

139 Sext. Emp. Adv. Math. 7,53 (68 B 163 DK; 75 L.).

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tuttavia riportare nomi, ad alcuni martuvria sull'esistenza del vuoto: l'e-sempio del vaso pieno di cenere che contiene tanta acqua quanto necontiene quando è vuoto, rivela che la cenere ha una struttura estre-mamente rada e contiene moltissimi vuoti140; l'esempio della crescita deicorpi, che avviene per assunzione di cibo, rivela che il corpo ha unastruttura porosa che ne permette la penetrazione141.

Lo scenario che la massima mh; ma'llon to; de;n h] to mhdevn con i suoicorollari presenta è dunque diverso da quello descritto in De generatione etcorruptione A 8: non solo non si vede nessuna differenza fra un essere pro-priamente detto e un non essere che ha un grado di esistenza inferiore, mac'è un'estensione della denotazione di questi termini ad un ambito piùvasto di quello degli atomi e del vuoto. Inoltre, se la massima ha una qual-che relazione con gli Eleati, questa è di pura opposizione di una dottrinaformulata indipendentemente e non di derivazione o di "concessione".

4. 2. 2. Vuoto e vuoti. Modalità e funzioni

Al di là della massima del mh; ma'llon, l'attenzione degli atomisti si con-centra comunque non tanto sull'esistenza del vuoto in generale, quantopiuttosto su quella dei "vuoti" e sulle funzioni specifiche della loro formae posizione nella generazione e nel funzionamento del mondo e dei corpi.Questo non equivale affatto ad una concezione astratta del vuoto comecondizione necessaria o addirittura causa del movimento quale sembrariflessa in certi passi aristotelici. Riguardo agli atomisti si tratta di un pro-blema mal posto in quanto essi cercano non la ragione teorica del movi-mento in generale, ma la causa fisica dell'origine del cosmo e l'eziologia difenomeni concreti. Il vuoto, fuori da questo contesto, non è causa di nulla,come non lo sono gli atomi presi in se stessi come unità astratte ordinateuna dopo l'altra in un generico vuoto. Ciò che fa la differenza sono leforme diverse e irregolari dei corpuscoli ognuna delle quali conferisce lorouna spinta specifica creando disordine e scompiglio, le loro giravolte e illoro reciproco impigliarsi, ma anche la forma, la grandezza e la posizionedei "vuoti" nel contesto cosmogonico e fenomenico. Il mondo degli ato-misti è un mondo "poroso" e permeabile, dove i pori-vuoti, anch'essi "ir-regolari", hanno la funzione di accogliere e di lasciar passare effluvi dal-l'interno all'esterno e viceversa e di permettere continui riassetti all'internodei corpi e del cosmo stesso, piuttosto che di "dividere". Le formulazioni

140 Phys. D 6, 213b 21-22 martuvrion de; kai; to; peri; th'" tevfra" poiou'ntai, h} devcetai i[sonu{dwr o{son to; ajggei'on to; kenovn. Cf. [Arist.] Probl. 938b 24-27.

141 Phys. D 6, 213b 18-20 e[ti de; kai; hJ au[xhsi" dokei' pa'si givgnesqai dia; kenou': th;n me;n ga;rtrofh;n sw'ma ei\nai, duvo de; swvmata ajduvnaton a{ma ei\nai.

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Capitolo terzo 153

aristoteliche in De generatione et corruptione A 8 e in tutti i passi in cui il vuotoe gli atomi vengono trattati in termini generali e astratti fanno perdere divista proprio il fatto che gli atomisti parlano soprattutto di forme atomi-che particolari e di vuoti specifici concepiti in un contesto dinamico e nonstatico. E' il grande vuoto, il mevga kenovn, e non il vuoto in quanto tale, a "fa-gocitare" la massa disordinata di atomi in lotta fra loro e ad innescare ilprocesso cosmogonico142. Nei corpi i vuoti più grandi o più piccoli favori-scono in misura maggiore o minore il passaggio di succhi, di nutrimento edi aria. Quelli più grandi e più diritti, come i pori di certe piante, offronoovviamente un transito più agevole al nutrimento accogliendone una mag-giore quantità e permettendo una maggiore crescita143. Fenomeni analoghisi verificano all'interno dei corpi viventi: nella zona dello stomaco e delventre, che contiene un grande vuoto, confluisce una grande quantità difigure dei vari succhi144. Il suono, pur spandendosi in tutto il corpo, vienepercepito solo con le orecchie perché al loro interno c'è un vuoto piùgrande, secco e facilmente penetrabile145. Pori troppo stretti, invece, comequelli dell'osso frontale dei buoi senza corna, non possono accogliere ilnutrimento proveniente dal ventre e impediscono la crescita delle corna146.Una determinata collocazione dei vuoti e dei pieni all'interno dei corpi, nedetermina la maggiore o minore durezza o le variazioni di peso: il ferro,che ha una struttura non omogenea con molti vuoti, ma disposti a grandiintervalli è più duro, ma, nel contempo, più leggero del piombo il qualecontiene meno vuoti, ma ha una struttura regolare e omogenea147. Il colore

142 Sul contesto e la funzione di questa immagine, v. infra, VII 2. Orelli 1996, Parte II, assegnaa tutti i vuoti un effetto di "trazione", lo stesso esercitato dalle koilivai ippocratiche. Ber-ryman 2002, 188-90, individua questo ruolo del vuoto nel movimento di corpi macrosco-pici senza però prestare attenzione alla funzione specifica delle forme e delle dimensionidei vuoti.

143 Theophr. De caus. plant. 1,8,2 (68 A 162 DK; 557 L.) o{sa de; kata; ta;" ijdiva" fuvsei", wJ" a]ngevno" pro;" gevno" ªoJº sugkrivnwn lavboi ti", povtera kata; ta;" eujquvthta" tw'n povrwnlhptevon, w{sper Dhmovkrito"… eu[rou" ga;r hJ fora; kai; ajnempovdisto" w{" fhsin.

144 Theophr. De sens. 65 (68 A 135 DK; 496 L.) uJgrainovmena de; kai; ejk th'" tavxew" kinouvmenasurrei'n eij" th;n koilivan: tauvthn ga;r eujporwvtaton ei\nai dia; to; tauvthi plei'ston ei\nai ke-novn. Teofrasto nel De sensu non parla mai di atomi, ma di figure (schvmata).

145 Theophr. De sens. 56 (68 A 135 DK; 488 L.) eij" ga;r to; keno;n ejmpivptonta to;n ajevrakivnhsin ejmpoiei'n, plh;n o{ti kata; pa'n me;n oJmoivw" to; sw'ma eijsievnai, mavlista de; kai;plei'ston dia; tw'n w[twn, o{ti dia; pleivstou te kenou' dievrcetai kai; h{kista diamivmnei. ª...ºajqrovon ga;r a]n ou{tw" eijsievnai th;n fwnh;n a{te dia; pollou' kenou' kai; ajnivkmou kai;eujtrhvtou eijsiou'san.

146 Aelian. Hist. nat. 12,20 (68 A 155 DK; 542 L.) oiJ de; a[kerwi tau'roi to; tenqrhniw'de" (ou{twde; ojnomavzei Dhmovkrito") ejpi; tou' brevgmato" oujk e[conte" (ei[h dæ a]n to; shraggw'de" levgwn)ajntituvpou tou' panto;" o[nto" ojstevou kai; ta;" surroiva" tw'n cumw'n ouj decomevnou gumnoiv tekai; a[moiroi givnontai tw'n ajmunthrivwn.

147 Theophr. De sens. 62 (68 A 135 DK; 369 L.) diafevrein dev ti th;n qevsin kai; th;n ejnapovlhyintw'n kenw'n tou' sklhrou' kai; malakou' kai; barevo" kai; kouvfou. dio; sklhrovteron me;n ei\nai

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Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)154

nero ha pori non diritti e quindi difficilmente permeabili alla luce148, ilverde è anch'esso costituito di grosse "figure" e di grossi vuoti e le suevarietà dipendono dall'ordine e dalla reciproca disposizione degli uni edegli altri149. I fulmini e i turbini sono dovuti alla formazione, in nuvoleche si scontrano, di interstizi con molti vuoti attraverso cui (dia; tw'n po-lukevnwn ajraiwmavtwn) gli atomi generatori del fuoco vengono filtrati.Quando aggregati di fuoco con molti vuoti al loro interno e circondati damembrane sono inglobati in spazi contenenti a loro volta molto vuoto(polukenwvtera sugkrivmata puro;" ejn polukevnoi" katasceqevntacwvrai") e si slanciano verso il basso, si forma il turbine infuocato, ilprhsthvr150. Come si può vedere da tutti questi esempi, non è il vuoto,principio fisico astratto, che contribuisce a produrre i fenomeni, ma lagrandezza, la forma e la distribuzione dei vuoti concreti nell'universo e neicorpi.

Quello che si trova nella prima parte del resoconto aristotelico di Degeneratione et corruptione A 8 è dunque una rielaborazione di testi atomisti inbase ad una impostazione di problemi quali quello del movimento e delladefinizione di essere e uno tipici del contesto culturale in cui Aristotele siera formato.

sivdhron, baruvteron de; movlubdon: to;n me;n ga;r sivdhron ajnwmavlw" sugkei'sqai kai; to;keno;n e[cein pollach'i kai; kata; megavla, pepuknw'sqai de; kata; e[nia, aJplw'" de; plevone[cein kenovn. to;n de; movlubdon e[latton e[conta keno;n oJmalw'" sugkei'sqai kata; pa'noJmoivw": dio; baruvteron mevn, malakwvteron dæ ei\nai tou' sidhvrou.

148 Theophr. De sens. 74 (68 A 135 DK; 484 L.).149 Theophr. De sens. 75 (68 A 135 DK; 484 L.) to; de; clwro;n ejk tou' stereou' kai; tou' kenou'

sunestavnai megavlwn ejx ajmfoi'n, th'i qevsei de; kai; tavxei aujtw'n th;n crovan. Diels, eviden-temente ritenendo improbabile che Democrito tenesse conto anche della dimensione e di-sposizione dei vuoti per la determinazione del colore e delle sue sfumature, ha cambiato eintegrato la lezione dei manoscritti in questo passo (to; de; clwro;n ejk tou' stereou' kai; tou'kenou' sunestavnai mikto;n ejx ajmfoi'n, th'i qevsei de; kai; tavxei ãdiallavtteinà aujtw'n th;ncrovan). La correzione mikto;n non ha senso perché è chiaro che non solo il verde, ma ognicolore come ogni altro oggetto o proprietà è fatto di atomi e vuoto, la seconda è superfluaperché Teofrasto non si riferisce al cambio di colore, ma alle sue varie sfumature: come cisono diversi bianchi e rossi (cf. 73; 75) così anche diversi verdi. Sassi 1978, 142 n. 111cambia, evidentemente in base allo stesso presupposto, megavlwn in me;n gavr. Il passo cosìcome è tramandato dai manoscritti ha invece un senso perfetto se si tiene conto che laforma e la disposizione dei vuoti hanno, insieme a quella degli atomi, una funzione fonda-mentale.

150 68 A 93 DK; 415 L.

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4. 3. La seconda parte del resoconto aristotelico(De gen. et corr. A 8, 325a 30-b 11)

Aristotele non costruisce naturalmente sul nulla. Esistevano indubbia-mente, come si ricava dalla parte più propriamente espositiva del reso-conto su Leucippo, ma anche dagli altri resoconti di questo tipo sparsi quae là nell'opera aristotelica, delle affermazioni che, se astratte dal loro con-testo immediato e rielaborate in uno schema dialettico, potevano far rien-trare questo autore nel gruppo di coloro che hanno accettato in parte delletesi eleatiche pur criticandole. Il fatto che avesse posto come base delmondo fisico corpuscoli pieni, solidi e indistruttibili, rendeva facile la loroassimilazione all'uno, assimilazione che Aristotele stesso fa esplicitamentein Metaph. B 4 (v. supra, 4. 1. 3 n. 115) e che diverrà poi un caposaldo del-l'interpretazione hegeliana dell'atomismo. La massima del mh; ma'llon e ladesignazione di vuoto e rado come "non essere" favoriva, se lievementemodificata, l'inserimento di Leucippo nello schema di soluzione dell'aporia"eleatica" attraverso la distinzione di un essere propriamente detto e di unnon essere come "altro dall'essere".

Il passaggio dalla rielaborazione dialettica alla parte descrittiva di dot-trine atomistiche in De generatione et corruptione A 8, che riproduce in so-stanza una "scheda" aristotelica, è piuttosto brusco e sconnesso: non èchiaro infatti come la tesi di un infinito numero di corpuscoli invisibili si cor-reli con la presunta risposta agli Eleati. L'invisibilità e l'infinità sono deltutto ridondanti nel contesto della presunta disputa151. La ragione di questopassaggio estemporaneo sta nel fatto che Aristotele collega qui lo schemadialettico con un suo resoconto-tipo sull'atomismo che impiega anchealtrove e da cui ha preso le mosse per costruire lo schema. Secondo questadescrizione infiniti corpuscoli invisibili si muovono nel vuoto e, urtandosie intrecciandosi, producono una genesi, separandosi, una dissoluzione.Agiscono e subiscono nei loro contatti fortuiti e generano componendosie intrecciandosi: dal vero uno non si genera il molteplice, né dalla veramolteplicità l'uno. L'immagine dell'atomismo che viene offerta in questaparte del resoconto è diversa da quella dello schema precedente di con-fronto dialettico con gli Eleati. Qui viene semplicemente ribadito che ilvuoto esiste e gli atomi non vengono presentati come unità astratte (iltutto-pieno) separate fra loro dal vuoto, ma come forme in movimentoche "agiscono e subiscono", vengono a contatto e si intrecciano senzaformare mai un corpo unico. Vale la pena soffermarsi su quest'ultimacaratteristica in quanto ritorna frequentemente nei resoconti aristotelici

151 Cf. anche Hussey 2004, 252 n. 18 "why the particles of 'what is' were supposed collectivelyinfinite in number and individually invisible because of their smallness il left unexplained".

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Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)156

sull'atomismo152 e viene spesso interpretata come prova del fatto chemanca un vero contatto fra gli atomi, perché essi sono sempre tenuti sepa-rati da una patina di vuoto153. Gli interpreti moderni hanno seguito suquesto punto il commento del Filopono154 il quale, però, è frutto di puraspeculazione155. L'idea che due atomi della stessa materia debbano necessa-riamente divenire uno, se non c'è nulla che li tiene divisi, deriva dal pre-supposto aristotelico che le singole parti di un sostrato materiale dellastessa natura debbano necessariamente fondersi se vengono a contattosenza che ci sia qualcosa che li separa156. Contatto e vuoto hanno tuttaviaciascuno la loro funzione per gli atomisti, come dichiara esplicitamenteAristotele stesso nel seguito del resoconto: per Leucippo la generazione ela dissoluzione avverrebbero attraverso il contatto e attraverso il vuoto. Ilcontatto fra gli atomi è dunque un contatto vero e proprio, come mostra iltermine specifico per il contatto reciproco diaqighv e il richiamo agli in-trecci (periplevkesqai), agli incroci (ejpallaghv) e al reciproco sostegno(ajntivlhyi")157. La prospettiva teorica della divisione attraverso il vuoto inun sostrato unico continuo fa completamente dimenticare le caratteristi-che fisiche reali degli atomi: essi non si fondono mai in un unico corponon perché sono separati dal vuoto, ma perché sono assolutamente duri e

152 Arist. De cael. G 4, 303a 6 (67 A 15 DK; 47, 292 L.) ou[t ejx eJno;" polla; givgnesqai ou[te ejkpollw'n e{n. Arist. Fr. 208 Rose (Simpl. In De cael. 279b 12, 295,12-14) (68 A 37 DK; 293 L.)fuvsin mevntoi mivan ejx ejkeivnwn kat ajlhvqeian oujd hJntinaou'n genna'i: komidh'i ga;r eu[hqe"ei\nai to; duvo h] ta; pleivona genevsqai a[n pote e{n. Cf. Metaph. Z 13,1039a 7-14 (68 A 42 DK;46, 211 L.). Come si vede la formulazione dell'enunciato varia a seconda del contesto.Nella Metafisica, dove compare non più la molteplicità, ma il due, ha sicuramente influito ilconfronto con le teorie senocratee delle idee numero che, secondo Aristotele, ponevanocontemporaneamente come unità sia l'idea-numero (la diade), sia le sue singole componenti(su questo, v. infra, V 2 n. 27).

153 Cf. e.g. Bailey 1928, 87; Löbl 1976 Barnes 1982, 349; Curd 2004, 184 n. 12.154 Philop. In De gen. et corr. 325a 32, 158,27-159,3.155 Cf. l'analisi critica dettagliata della testimonianza del Filopono e dell'interpretazione mo-

derna in Bodnár 1998, 136-140; cf. anche Mansfeld 2007.156 Cf. De gen. et corr. A 8, 326a 31-33 (critica agli atomisti) eij me;n ga;r miva fuvsi" aJpavntwn, tiv to;

cwrivsan… h] dia; tiv ouj givnetai aJyavmena e{n, w{sper u{dwr u{dato" o{tan qivghi… cf. Metaph. H 2,1042b 11-15; Phys. G 4, 203a 33-203b 1; De cael. A 7, 275b 30ss. L'interpretazione aristote-lica ha condizionato non solo la concezione epicurea, ma tutta l'interpretazione dell'atomi-smo antico fino ad oggi. Epicuro, quando accenna al vuoto che tiene divisi gli atomi (Ep.1,44), presuppone la definizione aristotelica (usa lo stesso termine diorivzein). La conce-zione degli atomi come "materia" e sostrato unico che deve essere tenuto diviso dal vuotoè anche il pre-supposto più o meno esplicito delle interpretazioni moderne che accettanocome autenticamente democritea la testimonianza aristotelica sugli atomisti antichi di Degen. et corr. A 8. Cf. e.g. Furley 1987, 118; Makin 1993, 13, 52s.; Algra 1995, 45; Pyle 1997,46; Curd 2004, 187s. V. anche infra, VII 2.

157 Arist. Fr 208 Rose (Simpl. In De cael. 279b 12, 295,11-18) (68 A 37 DK; 293 L.). Suajntivlhyi" come "sostegno", cf. Xen. Eq. 5,7; [Hippocr.] Off. 9 (II,36,10 Kühlewein =III,302 Littré).

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Capitolo terzo 157

compatti e dunque non possono né interpenetrarsi né fondersi. Le stessecaratteristiche spiegano anche la sterilità dell'atomo. Nella Fisica, doveconfronta le due teorie di Anassagora e Democrito attribuendo ad ambe-due la concezione di un "infinito per contatto", Aristotele spiega che,mentre l'uno attribuisce agli omeomeri una infinita capacità generativa

Democrito dice che fra i corpi primi nessuno si genera dall'altro158.

Questa formulazione potrebbe avvicinarsi maggiormente all'originale dellaformula tipica uno-molti, che Aristotele impiega in De gen. et corr. A 8 e inaltri passi in cui parla di queste caratteristiche dell'atomo. Egli tende infattia sostituire la formula-tipo ad espressioni come ajpo; (o ejk) tou' aujtou'eJteroiou'sqai159.

Gli atomisti distinguono così, diversamente da Anassagora, i corpi fe-nomenici, sottoposti a continua genesi e cambiamento e, come tali espostia squilibri e dissoluzione, dai corpuscoli che ne costituiscono i fondamentieterni che, per essere tali, devono essere sterili, immutabili e inattaccabili edunque privi di "vie" che permettano l'entrata, l'uscita e lo spostamento dimateria. Non bisogna dimenticare che Democrito equiparava l'atto dellagenerazione, in cui "un uomo balza fuori da un uomo", ad una piccolaapoplessia e osservava che i corpi fenomenici sono esposti all'azione an-che di minuscole particelle che vi si insinuano dall'esterno o che cambianoposizione al loro interno160. Generazione e cambiamento sono dunque perDemocrito potenziali cause di squilibrio e dissoluzione. Questa conce-zione del cambiamento è fondamentale nella medicina del quinto secolo161

e ha come complemento la convinzione che corpi più duri e più compatti,come quelli maschili, siano più resistenti e più immuni da malattie di quelli

158 Phys. G 4, 203a 33 (68 A 41 DK; 220 L.) Dhmovkrito" d oujde;n e{teron ejx eJtevrou givgnesqaitw'n prwvtwn fhsivn.

159 Cf. ad esempio la "traduzione" aristotelica di Diogene di Apollonia, in De gen. et corr. A 6,322b 13 (64 A 7 DK) kai; tou't ojrqw'" levgei Diogevnh", o{ti eij mh; h\n ejx eJno;" a{panta, oujk a]nh\n to; poiei'n kai; to; pavscein uJp ajllhvlwn. Cf. anche Theophr. De sens. 39 (64 A 19 DK). Iltesto di Diogene è invece il seguente (64 B 2 DK) pavnta ta; o[nta ajpo; tou' aujtou' eJte-roiou'sqai kai; to; aujto; ei\nai ª...º ajlla; pavnta tau'ta ejk tou' aujtou' eJteroiouvmena a[lloteajlloi'a givnetai kai; eij" to; aujto; ajnacwrei'.

160 Per la concezione dell'atto sessuale, cf. 68 B 32 DK (527; 804a L.), supra, Introduzione n.14. Per l'estrema influenzabilità e mutevolezza dei corpi, cf. Arist. De gen. et corr. A 2, 315b13-15 (67 A 9 DK; 70 L.); Theophr. 229 FHS&G (Simpl. In Phys. 184b 15, 28,11) (68 A 8DK; 147 L.).

161 La medicina si sofferma soprattutto sul carattere negativo del cambiamento prodotto inuno stato di equilibrio per l'introduzione di qualcosa dall'esterno o per il prevalere di unelemento all'interno del corpo, processi alla radice della malattia, cf. e.g. Alcmaeon 24 B 4DK; [Hippocr.] Morb. sacr. 18,1 (31,16 Jouanna = VI,394 Littré); VM 14,4 (136,8 Jouanna= I,602 Littré). Per il coito come forte alterazione dell'equilibrio corporeo, cf. Genit. 1,2-3(44,10-45,8 Joly = VII,470-472 Littré). Cf. anche Schubert 1993, 158ss.

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Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)158

molli e porosi come quelli femminili162 che possono accogliere e tratteneresostanze estranee dall'interno e dall'esterno.

Se è valido tutto quanto si è osservato finora sul rapporto fra vuoti eatomi e sulla concezione dei corpi presso gli atomisti, bisogna riconoscereche la tesi di una nascita dell'atomismo sull'accettazione-correzione diconcetti eleatici nei termini esposti da Aristotele è dettata da una visioneestremamente teorica e astratta che prescinde dai testi reali, dalla loroterminologia specifica e dalle immagini che rimandano al contesto del lorotempo come si vedrà più diffusamente nel capitolo settimo. Aristotele nonè in malafede, ma interpreta questi testi alla luce della problematica del suotempo, quella cioè finalizzata alla soluzione delle aporie eleatiche impo-state nell'Accademia.

5. Atomisti ed Eleati in Teofrasto e nelle testimonianze tarde

5. 1. Theophr. Fr. 229 FHS&G (Simpl. In Phys. 184b 15, 28,4-15)(67 A 8 DK; 147 L.)

Le testimonianze tarde riguardo al tema delle presunte relazioni fra atomi-sti ed Eleati sono in diversa misura influenzate dai resoconti aristotelici esoprattutto teofrastei. E' dunque importante prendere in considerazioneanche la testimonianza di Simplicio la quale risale, probabilmente in modomediato, a Teofrasto163.

Leucippo l'Eleate o il Milesio (infatti gli vengono attribuite ambedue le prove-nienze), pur partecipando della filosofia di Parmenide, non ha seguito la stessa viadi Parmenide e Senofane nella determinazione delle cose esistenti, ma piuttosto,come sembra, quella contraria. Mentre infatti quelli ponevano il tutto come uno,immobile, ingenerato e limitato e non ammettevano neppure che si cercasse ilnon essere, egli ha posto elementi infiniti e sempre in movimento, gli atomi, e hasupposto che la quantità delle forme in essi presenti sia infinita perché nulla è piùdi tal forma che di talaltra e perché osservava nelle cose esistenti una genesi e uncambiamento incessanti. Inoltre diceva che l'essere non esiste più del non essere eche ambedue sono cause delle cose esistenti allo stesso modo. Infatti, ponendo lasostanza degli atomi come compatta e piena, disse che era l'essere e che si muovenel vuoto, che chiamava non essere, e dice essere non meno del non essere164.

162 Su queste concezioni mediche, v. infra, V 4 n. 99-100 e VII 1.163 Per una utilizzazione mediata di Teofrasto da parte di Simplicio, per lo meno in alcuni

punti dell'excursus sui presocratici, von Kienle 1961, 58ss.164 Theophr. Fr. 229 FHS&G (Simpl. In Phys. 184b 15, 28,4-15) (67 A 8 DK; 147 L.) Leuvkip-

po" de; oJ Eleavth" h] Milhvsio" (ajmfotevrw" ga;r levgetai peri; aujtou') koinwnhvsa" Parme-nivdhi th'" filosofiva", ouj th;n aujth;n ejbavdise Parmenivdhi kai; Xenofavnei peri; tw'n o[ntwn

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Capitolo terzo 159

In questo resoconto l'appartenenza eleatica di Leucippo non è ritenuta undato incontrovertibile, ma solo una delle ipotesi che circolano su di lui,l'altra lo farebbe, invece, originario di Mileto165. Teofrasto inoltre non usaper designare il rapporto Leucippo-Parmenide i termini tecnici del disce-polato, eJtai'ro" o ajkousthv", bensì un più generico koinwnhvsa" Parme-nivdhi th'" filosofiva"166 che fa pensare piuttosto ad una ricostruzione aposteriori sulla scia di De generatione et corruptione A 8. Infine, nel resocontoteofrasteo risulta abbastanza trasparente un intreccio di schemi oppositividi matrice sofistica con interpretazioni aristoteliche. Lo schema di fondoè, infatti, quello canonico dell'opposizione netta monisti/ pluralisti, soste-nitori del movimento continuo/ sostenitori della stasi, sostenitori/ nega-tori della generazione e della dissoluzione di matrice sofistica che si in-

oJdovn, ajll wJ" dokei' th;n ejnantivan. ejkeivnwn ga;r e}n kai; ajkivnhton kai; ajgevnhton kai; pepe-rasmevnon poiouvntwn to; pa'n, kai; to; mh; o]n mhde; zhtei'n sugcwrouvntwn, ou|to" a[peira kai;ajei; kinouvmena uJpevqeto stoicei'a ta;" ajtovmou" kai; tw'n ejn aujtoi'" schmavtwn a[peiron to;plh'qo" dia; to; mhde;n ma'llon toiou'ton h] toiou'ton ei\nai ªtauvthn ga;rº kai; gevnesin kai; me-tabolh;n ajdiavleipton ejn toi'" ou\si qewrw'n. e[ti de; oujde;n ma'llon to; o]n h] to; mh; o]nuJpavrcein, kai; ai[tia oJmoivw" ei\nai toi'" ginomevnoi" a[mfw. th;n ga;r tw'n ajtovmwn oujsivannasth;n kai; plhvrh uJpotiqevmeno" o]n e[legen ei\nai kai; ejn tw'i kenw'i fevresqai, o{per mh; o]nejkavlei kai; oujk e[latton tou' o[nto" ei\naiv fhsi.

165 Io non credo che Teofrasto su questo punto si limiti a "tradurre" dei dati semplicementericavabili da diverse trattazioni di Leucippo nell'opera aristotelica come pensava McDiarmid 1970, 229. Secondo Mc Diarmid il resoconto teofrasteo sarebbe ricavato dallaconflazione di Metaph. A 4, dove Leucippo e Democrito sarebbero posti fra gli ionici, e Degen. et corr. A 8 nel quale appunto Leucippo è rappresentato come seguace degli Eleati. Teo-frasto rielabora indubbiamente interpretazioni aristoteliche, ma si basa anche su schemiprovenienti da altre tradizioni quali quella sofistica e platonica. La classificazione che com-pare in Metaph. A 4 è ben lungi, del resto, dal presentare una generazione "ionica" di filo-sofi (Leucippo e Democrito compaiono fra Empedocle e i Pitagorici), anzi, Aristotele hadifficoltà ad inserire gli atomisti. Inoltre, se l'origine milesia di Leucippo fosse dedotta uni-camente dalle classificazioni aristoteliche, anche Democrito, che nella Metafisica viene no-minato insieme a Leucippo, dovrebbe essere definito milesio oltre che Abderita, cosa chenon avviene. Dunque Teofrasto ha evidentemente accesso anche a delle notizie biografi-che, per quanto inesatte possano essere, indipendenti dalle successioni dedotte da Aristo-tele. Cf. anche Diels 1881, 98 [=1969, 187]. Le stesse ipotesi con l'aggiunta di Abdera comeluogo di provenienza sono presenti nel resoconto di matrice teofrastea in Diog. Laert. 9,30(67 A 1 DK; 152 L.) Leuvkippo" Eleavth", wJ" dev tine", Abdhrivth", kat ejnivou" de;Milhvsio".

166 L'espressione è stata considerata da Kranz 1912, 19 n. 3 un indizio del fatto che Leucipponon è stato allievo diretto di Parmenide. Così anche Alfieri 1936, 16 n. 61. Teofrasto defi-nisce fra l'altro con la stessa espressione il rapporto fra Anassagora e Anassimene (Simpl. InPhys. 184b 15, 27,2 = 59 A 41 DK) che, chiaramente, non è di discepolo ad allievo. La lievedifferenza nell'espressione (koinwnhvsa" Parmenivdhi th'" filosofiva" per Leucippo, col da-tivo della persona che sarebbe indice di un rapporto personale, koinwnhvsa" th'"Anaximevnou" filosofiva" nel caso di Anassagora con il genitivo subordinato a filosofiva"che sottolineerebbe solo il rapporto con l'oggetto) per la quale Burnet 1930, 392 n. 2, giu-stificava il rapporto di discepolato di Leucippo con Parmenide, non è un motivo sufficientein quanto, come giustamente osservava Kranz, Teofrasto non si sarebbe certo servito, perindicare il rapporto discepolo-maestro, di un'espressione così artificiosa.

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contra nel brano dei Memorabili di Senofonte già citato (1,1,13)167. Questo èdunque lo scheletro originario del resoconto basato su una diaphonia, manon su una accettazione da parte di Leucippo di concetti eleatici, né tan-tomeno su una dipendenza scuola. I modelli aristotelici di De generatione etcorruptione A 8 e del primo libro della Metafisica, del quale vengono mante-nute in parte anche le formulazioni168, agiscono comunque in sottofondo.E' la tensione fra i due modelli, quello aristotelico e quello sofistico, acreare l'impressione di una certa incongruenza fra la tesi iniziale di un Leu-cippo seguace di Parmenide e l'esposizione successiva che ne fa pratica-mente un avversario169.

167 V. supra, 2. 2. 1 n. 34. l'opposizione Parmenide/ Leucippo si articola esattamente sui puntiindicati nel brano di Senofonte: Parmenide (e Senofane) sostengono che il tutto è uno,immobile, ingenerato, finito, Leucippo che è infiniti, sempre in movimento e che nelle coseesistenti c'è una continua genesi e cambiamento.

168 Schofield 2002 ha recentemente sostenuto la tesi che in questo brano Simplicio stessoabbia operato un ampliamento del resoconto teofrasteo su Leucippo prendendo la mas-sima del mh; ma'llon dal resoconto su Democrito che segue immediatamente (la spia sa-rebbe il tauvthn ga;r già posto tra parentesi da Diels 1879, 484 come svista, però, di un co-pista), e integrandolo con materiale aristotelico (Metaph. A 4, supra, n. 121) per sottolinearemaggiormente l'opposizione di Leucippo agli Eleati. Questa tesi mi sembra debole per duemotivi: perché Teofrasto stesso poteva aver assimilato nel suo resoconto le tesi di Leu-cippo e Democrito pur mantenendo una lieve distinzione fra i due (anche Aristotele, delresto, pur distinguendo in De gen. et corr. A 8 la posizione di Leucippo, aveva unificato nellaMetafisica le tesi di ambedue). Questo si ricava chiaramente dal resoconto parallelo di Ippo-lito (citato anche da Schofield levgei de; oJmoivw" Leukivppwi peri; stoiceivwn) e non c'è nes-suna ragione di escludere che Teofrasto stesso avesse attribuito la stessa massima a Leu-cippo e a Democrito e di ipotizzare una macchinosa combinazione di Aristotele eTeofrasto da parte di Simplicio. Il fatto che Eusebio e Ippolito non riportino per Leucippola massima del mh; ma'llon non è di per sé indicativo. Ippolito taglia inesorabilmente inmolti punti tanto da risultare quasi incomprensibile se non vi fosse il resoconto parallelo diDiogene Laerzio. Non solo, ma sia lui che quest'ultimo sono concentrati soprattutto sullacosmogonia di Leucippo e quindi tendono ad eliminare tutto quanto non sia strettamenteconnesso con questo tema. E' Teofrasto, su un modello sofistico di opposizione fra Eleatie sostenitori del moto e non Simplicio su un modello aristotelico (che sarebbe piuttosto diconciliazione come si è visto) a sottolineare la divergenza fra Leucippo e Parmenide. Que-sto è confermato anche dall'origine "alternativa" proposta per Leucippo, Mileto.

169 Su questa incongruenza, cf. Mc Diarmid 1970, 228.

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Capitolo terzo 161

5. 2. Le testimonianze tarde sui rapporti degli atomisti con gli Eleati

Nelle testimonianze tarde abbiamo due tipi di collegamento degli atomistiagli Eleati. Uno che si basa sullo schema delle successioni e costituisce unaricostruzione a posteriori su una tradizione peripatetica170, uno che ac-cenna ad una eventuale menzione di Parmenide e Zenone da parte diDemocrito.

Nella tradizione posteriore, Leucippo viene indicato come allievo diZenone contrariamente alla testimonianza teofrastea che invece si limitaad affermare che avrebbe avuto una concezione filosofica comune a Par-menide e Senofane. Da Clemente, Ippolito, Diogene Laerzio e altri, sideduce che Zenone è stato collocato nella successione eleatica fra Parme-nide e Leucippo e ha potuto così diventare maestro di quest'ultimo171.

Una testimonianza di Trasillo sembra accennare ad una menzione de-gli Eleati da parte, non di Leucippo, ma di Democrito. Trasillo forniscealcuni dati per avvallare la sua datazione di Democrito nel 470 a.C. Eglisarebbe infatti più vecchio di Socrate di un anno e sarebbe stato contem-poraneo di Archelao (che fra parentesi era maestro di Socrate e dunquedoveva essere ben più vecchio di Democrito) e di Enopide di Chio

e infatti menziona anche quest'ultimo. Menziona anche la dottrina dell'uno diParmenide e Zenone, poiché ai suoi tempi erano assai famosi e Protagora di Ab-dera, che, concordemente viene indicato come contemporaneo di Socrate.

Il brano, in verità, presenta problemi di critica testuale e, conseguente-mente, anche di interpretazione172. Un punto particolarmente controversoè proprio quello che indicherebbe la menzione di Parmenide e Zenone. Icodici BPF riportano infatti concordemente la lezione mevmnhtai de; kai;peri; th'" tou' eJno;" dovxh" tw'n peri; Parmenivdhn kai; Zhvnwna, mentre D(uno dei manoscritti della vulgata) e le versioni latine, in base alle quali ilCasaubon ha corretto il testo, seguito per lo più dagli editori moderni, neforniscono un'altra: mevmnhtai de; kai; th'" peri; tou' eJno;" dovxh" tw'n peri;

170 Sul carattere di ricostruzione a posteriori delle diadochai, a cominciare da Teofrasto, cf. inparticolare von Kienle 1961, passim.

171 Clem. Strom. 1,14,64,2 (67 A 4 DK; VIII, 152 L.) th'" de; Eleatikh'" ajgwgh'" Xenofavnh" oJKolofwvnio" katavrcei, ª...º Parmenivdh" toivnun Xenofavnou" ajkousth;" givnetai, touvtou de;Zhvnwn, ei\ta Leuvkippo", ei\ta Dhmovkrito". Cf. anche Diog. Laert. Prooem. 15 (152 L.);9,30 (67 A 1 DK; 152 L.); Hippol. Ref. 1,12,1 (67 A 10 DK; 151 L.); Eus. Praep. Ev.10,14,15s. (VIII L.).

172 Thrasyll. ap. Diog. Laert. 9,41 (68 A 1, B 5 DK; I L.) ei[h a]n ou\n katæ Arcevlaon to;nAnaxagovrou maqhth;n kai; tou;" peri; Oijnopivdhn: kai; ga;r touvtou mevmnhtai. mevmnhtai de;kai; th'" peri; tou' eJno;" dovxh" tw'n peri; Parmenivdhn kai; Zhvnwna wJ" katæ aujto;n mavlistadiabebohmevnwn, kai; Prwtagovrou tou' Abdhrivtou, o}" oJmologei'tai kata; Swkravthn gego-nevnai.

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Parmenivdhn kai; Zhvnwna173. Nel primo caso la traduzione dovrebbe esserela seguente: "menziona anche, riguardo alla dottrina dell'uno, Parmenide eZenone...". Ora, Diogene Laerzio usa la forma mevmnhtai o ejmevmnhto colgenitivo della persona (solo in due casi, 1,76; 9,111, col genitivo della cosa)senza interposizioni di sorta. Anche se la costruzione risalisse a Trasillo,sarebbe comunque strana in quanto gli altri nomi ricordati da Democritovengono citati senza alcuna ulteriore osservazione. Dunque la lezione piùcorretta deve essere la seconda. Tuttavia, anche in questo caso, l'espres-sione è sibillina. Perché Trasillo attribuisce a Democrito la menzione"della dottrina dell'uno di Parmenide e Zenone" e non la semplice cita-zione dei nomi dei due filosofi? Un ulteriore problema è costituito dallamenzione di Zenone in relazione alla dottrina dell'uno. L'immagine del-l'Eleate corrente ai tempi di Democrito non era affatto quella del Parmenideplatonico, ma quella di chi argomenta in utramque partem. Lo stesso Platonelo definisce nel Fedro "il Palamede eleatico che fa sembrare agli ascoltatorile stesse cose uguali e disuguali, uno e molti, immobili e in movimento" eIsocrate lo considera uno che fa apparire le stesse cose possibili ed impos-sibili, un'immagine che persiste ancora in epoca tarda nel giudizio di Ales-sandro di Afrodisia174. Se dunque a Parmenide teoricamente si potevaattribuire la dottrina dell'uno anche ai tempi di Democrito, sebbene inrealtà egli parlasse dell'essere e "uno" fosse solo un segno di completezza,è piuttosto difficile che la si riferisse anche a Zenone. In realtà questainterpretazione è quella della tradizione platonica che prende le mosse dalParmenide ed è, sulla scia di questo dialogo, che Trasillo attribuisce a De-mocrito la menzione della dottrina dell'uno di Parmenide e Zenone. Datoche egli vuole avvalorare la tesi della contemporaneità di Democrito eSocrate, non c'è dialogo più adatto di questo per inquadrarla storicamente:i due Eleati compaiono come ospiti di riguardo intorno ai quali si raccol-gono gli intellettuali ateniesi fra cui il giovane Socrate. L'osservazione"poiché ai suoi tempi erano i più famosi" rimanda direttamente all'aura dirispetto e di ammirazione che circonda Parmenide e Zenone nel dialogoplatonico. La presunta menzione di Trasillo è dunque altamente sospetta.

In conclusione si può affermare che, al di là del resoconto aristotelicodel De generatione et corruptione e di quelli influenzati da questo modello, nonci sono altre testimonianze su un eventuale influsso degli Eleati sulla na-scita della dottrina atomista.

173 Per le lezioni dei codici, cf. Marcovich 1999, 659 in app. Per le versioni latine, cf. l'apparatodi Huebner 1831, 368 (De uno Ambrosius: deque Parmenidis ac Zenonis de uno sententia Aldo-brandinus).

174 Per questi passi, v. supra, n. 22 e 24.

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Capitolo terzo 163

6. Sintesi

La tesi della nascita dell'atomismo da una ripresa e correzione delle dot-trine eleatiche dell'essere-uno dominante nell'interpretazione modernadell'atomismo antico si basa sostanzialmente sul resoconto aristotelico diDe generatione et corruptione A 8. Tale resoconto mostra però, sia nella pre-sentazione delle dottrine eleatiche che in quella dei logoi di Leucippo, unastruttura marcatamente dialettica che ha le sue radici negli schemi opposi-tivi sofistici rielaborati per le discussioni nell'Accademia e ampliati e codi-ficati da Aristotele stesso nei Topici. A formulazioni di tesi e antitesi dimatrice accademica rimandano certi tratti del logos eleatico (cui risponde-rebbe Leucippo), in particolare l'equivalenza vuoto-divisione di ascen-denza pitagorica, ma influenzata dalla rappresentazione delle ipostasi fisi-che della diade indefinita della scuola platonica. Questa assimilazionepermette di riunire sotto una sola voce tesi corpuscolariste e atomiste econfutarle ambedue. Secondo la rappresentazione corrente nei commen-tatori di Aristotele la confutazione delle tesi eleatiche e il superamentodelle posizioni atomiste e corpuscolariste in base a nuovi presupposti lo-gico-ontologici (definizione di essere e di uno) costituisce il punto di par-tenza per l'argomentazione di Senocrate a favore delle linee indivisibili.

Come il logos eleatico, anche la presunta risposta di Leucippo nel branoaristotelico, è influenzata dagli schemi dialettici correnti (soluzione delleaporie eleatiche) e dall'impiego di concetti di cui Aristotele stesso si servealtrove per esporre le soluzioni accademiche delle aporie eleatiche: intro-duzione del non essere (il vuoto), come un essere di grado inferiore, un"altro" dall'essere vero e proprio, definizione di essere propriamente dettocome pieno (e uno come l'essere eleatico), molteplicità di queste "unità".

L'esame della parte espositiva del logos e di altri brani aristotelici e teo-frastei sugli atomisti mostra che il resoconto sull'origine dell'atomismo dauna concessione/ correzione delle dottrine eleatiche sull'essere, la molte-plicità e il movimento è piuttosto una costruzione dialettica che un dato difatto. Gli atomisti non si sono posti il problema del movimento e delle suecause perché il movimento è da sempre e non ha bisogno di giustifica-zioni, né hanno attribuito al vuoto-non essere un'esistenza di grado infe-riore rispetto al pieno, perché nella loro spiegazione dei fenomeni i vuoti,con le loro forme e grandezze, hanno una funzione altrettanto importantedei "solidi". Inoltre, con la loro massima "il devn non è più del mhdevn"hanno inteso non solo l'atomo e il vuoto, ma anche il corpo in generale eil rado rivolgendosi in primo luogo contro concezioni comuni che nega-vano esistenza a tutto ciò che non era visibile o tangibile. Se essi hannopolemizzato anche contro gli Eleati, lo hanno comunque fatto da posi-

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Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)164

zioni dogmatiche già acquisite e non "riflettendo" sui problemi posti dalleaporie eleatiche, un atteggiamento, questo, tipico della scuola platonica.

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Capitolo quarto

La dimostrazione della necessità degli indivisibili(De gen. et corr. A 2)

1. Considerazioni generali

Come si è visto nel capitolo precedente, secondo tutti i commentatoriantichi l'aporia zenoniana cosiddetta "della dicotomia" aveva costituito ilpunto di partenza per la teoria degli indivisibili di Senocrate. Una versionedi questa aporia, attribuita a Parmenide da Porfirio, da cui l'accademicoavrebbe preso le mosse, presenta strette affinità col logos eleatico di Degeneratione et corruptione A 8. Questo contesto di soluzione di aporie eleati-che nell'Accademia va tenuto presente anche quando si analizza la dimo-strazione-tipo della necessità degli indivisibili di De gen. et corr. A 2. Ilpunto di partenza è infatti un logos che ricorda sia quello eleatico di A 8,sia quello riportato da Porfirio.

Questo brano sulla necessità degli indivisibili ha goduto sempre di unagrande fortuna presso gli interpreti e non c'è studio sugli atomisti che nonvi abbia dedicato almeno un piccolo spazio. La problematica che il reso-conto aristotelico propone è quindi così nota che basterà riassumerla solobrevemente. Aristotele pone il problema se, per spiegare la generazione, lacorruzione e l'alterazione, si debba ammettere l'esistenza di grandezzeindivisibili e presenta innanzitutto le tesi di coloro che hanno sostenutoquesta necessità. Egli distingue in questo ambito i due atomismi: quellofisico di Democrito e Leucippo, che avrebbero assunto corpi indivisibili, equello matematico di Platone, che nel Timeo avrebbe posto triangoli indi-visibili. Ambedue le teorie sono problematiche, ma per lo meno quella deicorpi indivisibili è in grado di spiegare la generazione e l'alterazione deicorpi fisici, l'altra no perché non ha una base fisica, ma dialettica.

La ragione per cui costoro hanno una minore capacità di vedere nel suo com-plesso quanto concorda [coi fenomeni] è la mancanza di esperienza. Perciò co-loro che hanno maggiore dimestichezza con la fisica sono maggiormente ingrado di postulare principi tali che possano abbracciare un maggior numero di

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La dimostrazione della necessità degli indivisibili (De gen. et corr. A 2)166

fenomeni; quelli, invece, che a causa del loro perdersi in molte discussioni nonvedono i fatti concreti, sono più portati a fare affermazioni sulla base di un nu-mero limitato di fatti. Si può vedere anche da questo in che cosa differiscanoquelli che fanno una ricerca su basi fisiche da quelli che invece la perseguono at-traverso ragionamenti dialettici; infatti riguardo all'esistenza di grandezze indivi-sibili gli uni dicono che il triangolo in sé sarebbe una molteplicità, Democrito, in-vece, sembrerebbe essere stato persuaso da argomenti più appropriati e dicarattere fisico. Quello che andiamo dicendo risulterà chiaro nel seguito del di-scorso1.

Nel seguito in realtà viene offerto innanzitutto un logos sulla necessità diporre un limite, mentale prima che fisico, alla divisione all'infinito di corpie grandezze, dove non solo il nome degli atomisti, ma anche i tratti tipicidelle loro dottrine (come il vuoto, la differenza di forme, il movimento)sembrano sparire nel nulla, mentre stile e argomenti sono quelli di unadimostrazione dialettica-tipo. Nella seconda parte viene poi fornita unadimostrazione "fisica" della necessità degli indivisibili nella quale fra l'altroemergono anche i tipici concetti aristotelici di potenza e atto come si ve-drà. Dunque nulla risulta chiaro proprio perché questo logos sembra inveceun modello generale di discorso sulla necessità degli indivisibili.

L'ipotesi che Aristotele si basi su materiale democriteo, ma da luireinterpretato è quella generalmente più accreditata presso i commentatorimoderni dalla Hammer-Jensen in poi2. Alcuni dei sostenitori questa tesiintravvedono un ulteriore punto di appoggio nel commento al passo delFilopono il quale attribuisce espressamente a Democrito la dimostrazionedella necessità degli indivisibili qui riportata3. Ora, il Filopono non solonon aveva a disposizione alcun testo di Democrito (tutto ciò che egliriferisce sugli atomisti o è frutto di proprie speculazioni o risale alla tradi-zione dei commentari ad Aristotele o a resoconti di diversa provenienza),ma aveva dietro di sé tutta la tradizione neoplatonica che identificaval'atomismo principalmente con quello di Democrito e di Epicuro. I Neo-

1 Arist. De gen. et corr. A 2, 316a 5 ai[tion de; tou' ejpæ e[latton duvnasqai ta; oJmologouvmenasunora'n hJ ajpeiriva: dio; o{soi ejnwikhvkasi ma'llon ejn toi'" fusikoi'" ma'llon duvnantai uJpo-tivqesqai toiauvta" ajrca;" ai} ejpi; polu; duvnantai suneivrein: oiJ dæ ejk tw'n pollw'n lovgwnajqewvrhtoi tw'n uJparcovntwn o[nte", pro;" ojlivga blevyante", ajpofaivnontai rJa'ion. i[doi dæ a[nti" kai; ejk touvtwn o{son diafevrousin oiJ fusikw'" kai; logikw'" skopou'nte": peri; ga;r tou'a[toma ei\nai megevqh oiJ mevn fasin o{ti to; aujtotrivgwnon polla; e[stai, Dhmovkrito" dæ a]n fa-neivh oijkeivoi" kai; fusikoi'" lovgoi" pepei'sqai. dh'lon d e[stai o} levgomen proiou'sin.

2 Hammer-Jensen 1910, 103-105; 211-214; Joachim 1922, 76 ad loc.; Frank 1923, 52; Lur'e1932, 129-138; 1970, 441-445; Alfieri 1936, 81s. n. 160; 1979, 63; Cherniss 1962, 113; Gu-thrie II, 1965, 503s.; Stokes 1971, cap. 8; Baldes 1972, 64ss.; Löbl 1976, 150-156; 1987, 75-81; Makin 1993, cap. 3; Curd 2004, 185s.; Sedley 2004; Zeller-Nestle I, 2, 2, 1920, 1058 n.2.

3 Hammer-Jensen 1910, 103; Lur'e 1932, 130; 1970, 441-445; Furley 1967, 83; Löbl 1976,151; 1987, 78.

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Capitolo quarto 167

platonici, come si può agevolmente constatare da altri testi del Filoponostesso, di Porfirio, Siriano e Simplicio, avevano fatto quadrato intorno aPlatone e Senocrate per preservarli dalle accuse di Aristotele di andarecontro i principi della matematica assumendo grandezze indivisibili etendevano quindi a scaricare sugli atomisti il peso delle critiche aristoteli-che4. Non a caso il Filopono, immediatamente prima dell'attribuzione dellogos sugli indivisibili a Democrito, commentando l'accenno al triangolo insé come indivisibile, si produce in una accanita difesa di Platone secondole linee tipiche dei commentatori Neoplatonici5. Questa testimonianzanon ha dunque alcun valore come aveva già del resto visto Zeller e hannoribadito altri dopo di lui6.

Non esiste dunque, al di là delle interpretazioni soggettive del testoaristotelico, alcun indizio sostanziale del fatto che la dimostrazione dellanecessità degli indivisibili risalga specificamente a Democrito7 anche per-ché nessuno è in grado di spiegare esattamente quale sia il nucleo originaledemocriteo del logos. D'altra parte, lo stesso problema si presenta per l'in-dividuazione esatta nei testi di Zenone del cosiddetto argomento della"dicotomia" che, secondo i commentatori moderni, costituirebbe il puntodi partenza della presunta dimostrazione democritea della necessità degliindivisibili. Le versioni del logos fornite da Aristotele e da Porfirio noncorrispondono a nessun frammento superstite dell'Eleate. La communisopinio è che l'originale sia andato perduto. In realtà Aristotele non dice

4 V. infra, VI 3. 4.5 Cf. Philop. In De gen. et corr. 316a 12, 27,8ss. La sostanza dell'argomentazione è la seguente:

Platone non ha mai sostenuto l'esistenza di grandezze indivisibili. Tale tesi gli è stata attri-buita da Aristotele nei resoconti sulle lezioni non scritte o, secondo l'opinione di alcuni, ri-sale invece ai Platonici. Una giustificazione di questa presunta indivisibilità del triangoloconsiste nell'affermare che è la figura geometrica ultima non scomponibile in altre figure,ma solo in un ordine di grandezze ad esso immediatamente successivo, cioè in linee. Il Fi-lopono, però, la esclude e separa, seguendo una linea esegetica tipicamente neoplatonica,l'idea del triangolo dalla figura geometrica: il triangolo in sé, in quanto logos del triangolo, sitrova fuori dell'ordine delle grandezze ed è quindi indivisibile. La stessa linea è tenuta daPorfirio nei confronti delle linee indivisibili di Senocrate come si è visto nel capitolo pre-cedente.

6 Zeller-Nestle I, 2, 2, 1920, 1058 n. 2; Mau 1952-53,12; 1954, 26; cf. anche Maccioni 1983,44-53.

7 Sedley 2004 divide, come Lur'e 1932-1933, il resoconto aristotelico in due parti: una"storica" (316a 15-b 19), dove non ci sarebbero "presupposti" aristotelici (con questo in-tende evidentemente unicamente la dottrina della potenza e dell'atto), e una ricostruita daAristotele stesso (316b 20-34) nella quale egli consciamente fa sollevare a Democrito obie-zioni contro la sua stessa teoria della potenza e dell'atto. Tuttavia nel contempo ammette disospendere il giudizio sul nodo cruciale del problema e cioè se la prima parte sia un reso-conto diretto da Democrito o solo una ricostruzione aristotelica (68 n. 6). Ma se questa se-conda ipotesi fosse vera, cadrebbe anche la divisione fra resoconto "storico" e resoconto"ricostruito". Ambedue sarebbero in ogni caso ricostruzioni.

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La dimostrazione della necessità degli indivisibili (De gen. et corr. A 2)168

affatto che il logos da cui avrebbe preso le mosse il discorso sugli indivisi-bili sia di Zenone e Porfirio non lo attribuisce a Zenone, ma a Parmenide,e ne fa, come si è visto, il punto di partenza della dimostrazione dellanecessità degli indivisibili di Senocrate. Alessandro e Simplicio sostengonoche il logos della dicotomia è di Zenone, ma Simplicio, per confermarequesta tesi, non riesce a far di meglio che riportare i frammenti 29 B 2, 3,1 DK in sequenza, nessuno dei quali coincide col logos riportato da Porfi-rio e tantomeno con quello aristotelico. Nei frammenti di Zenone ripor-tati da Simplicio non si parla affatto di "divisibilità", ma di un processoprogressivo di individuazione di parti intermedie in un "ente" che porta adilatarne all'infinito la dimensione (in quanto non si arriva mai alla fine delprocesso), ma anche, nel contempo, siccome l'individuazione comportaanche un movimento retrogrado, a dissolverlo in qualcosa nel quale nonsono più individuabili parti perché non ha più né estensione né spessorealcuno. Questo qualcosa, come dimostra Zenone nel frammento B 2, nonè nulla perché, aggiunto ad una grandezza non la rende più grande, sot-tratto, non la rende più piccola. Se si abbandona per un attimo il condi-zionamento esercitato da tutte le trattazioni successive di questi fram-menti alla luce del problema matematico dell'infinita divisibilità dellegrandezze e si guarda Zenone da un'altra angolazione, vediamo qui per-fettamente rappresentato il percorso della mente che, concentrata sullaconcezione tradizionale di ciò che è, come corpo fornito di grandezza espessore, è costretta ad immaginarlo8 nello stesso tempo come infinita-mente grande e come nulla. In definitiva, Zenone riproduce perfettamentel'immagine dei dikranoi con una mente "vagante" incapaci di decidere fral'essere e il non essere, così efficacemente descritta nel Fr. 28 B 6 DK diParmenide, e demolisce le concezioni tradizionali di "essere". Simplicioriporta questi frammenti perché evidentemente non aveva davanti a sénessun testo che corrispondesse al "logos della dicotomia", ma altri checontenevano solo in parte argomenti assimilabili a quello che veniva desi-gnato in questi termini. Nasce quindi il sospetto che il famoso argomentodella dicotomia e i logoi ad esso collegati siano una riformulazione dialet-tica di testi zenoniani alla luce del problema della divisibilità all'infinito edella definizione dell'uno e del molteplice discussi nella scuola platonica.

8 Lo spirito, se non la lettera, dei frammenti zenoniani è mantenuto da Platone nel Parmenide(164c) nella descrizione del "sogno" della mente vagante in una molteplicità senza l'uno:"ma ciascuna massa di questi (scil. dei molti senza l'uno), come sembra, è infinita per nu-mero di parti, e se anche uno colga ciò che sembra la parte più piccola, come nel sonno unsogno, compaiono improvvisamente, invece di ciò che sembrava uno, molti, e invece dellaparte più piccola una massa enorme rispetto alle particelle che risultano dalla sua fram-mentazione".

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Capitolo quarto 169

2. Democrito e gli Accademici sugli indivisibili: il preamboloaristotelico (De gen. et corr. A 2, 315b 28-316a 14)

Aristotele parla esplicitamente, nel preambolo, di triangoli indivisibili delTimeo9, una tesi naturalmente mai espressa nel dialogo. Egli lo conoscevaovviamente molto bene, ma la sua esegesi era marcata dalle interpretazioniche dei triangoli platonici davano gli allievi come dimostra la sua breve esibillina notazione secondo cui coloro che argomentano dialetticamente(cioè i Platonici) assumono che, se non ci fossero grandezze indivisibili, iltriangolo in sé sarebbe una molteplicità10. Questa palese deviazione daltesto platonico così come il sottofondo di interpretazioni accademicheche l'ha generata dovrebbe in ogni caso rendere cauti sul grado di ade-renza di Aristotele ai testi originali in un resoconto così fortemente mar-cato dai concetti e dalle problematiche correnti nella scuola platonica.

Un altro problema del preambolo, già da tempo rilevato da Mau, mapoi generalmente sottaciuto o sbrigativamente messo da parte dagli inter-preti successivi, riguarda l'accenno alla supposta argomentazione di De-mocrito; la formulazione aristotelica a questo riguardo è ambigua e impre-cisa e suggerisce che Aristotele non ha in mente un preciso testodemocriteo11. Mentre infatti attribuisce con certezza agli Accademici (oiJmevn fasin) la teoria secondo cui il triangolo in sé sarebbe molti se nonfosse indivisibile, si esprime, nel caso di Democrito, con la formula dubi-tativa: Democrito sembrerebbe essere stato persuaso da argomenti "fisici" ap-propriati al soggetto (Dhmovkrito" d a]n faneivh oijkeivoi" kai; fusikoi'"lovgoi" pepei'sqai). Questa formulazione rimanda a tesi non di Democritostesso (in tal caso infatti ci si aspetterebbe un kecrh'sqai12), ma ad argo-

9 De gen. et corr. A 2, 315b 28 kai; pavlin eij megevqh (scil. ajdiaivreta), povteron, wJ" Dhmovkrito"kai; Leuvkippo" swvmata tau't ejstivn, h] w{sper ejn tw'i Timaivwi ejpivpeda.

10 De gen. et corr. A 2, 316a 11-12 peri; ga;r tou' a[toma ei\nai megevqh oiJ mevn fasin o{ti to;aujtotrivgwnon polla; e[stai. Questo breve accenno è stato interpretato in due maniere:come una trasposizione dell'indivisibilità del triangolo in sé alla molteplicità dei triangoli fi-sici (che sarebbero indivisibili in quanto sue ipostasi fisiche), cf. Heinze 1892, 58s.; Cher-niss 1962, 127s.; Mugler 1966, ad loc., 7 e 80 n. 1; Hirsch 1953, 55s. Maccioni 1983, 32 e n.21. Come riferimento all'indivisibilità del triangolo in sé (che altrimenti avrebbe parti e sa-rebbe quindi una molteplicità), cf. Joachim 1922, 76; Barnes 1982, 354. Quest'ultima inter-pretazione non solo è la più aderente alla sintassi del brano (l'apodosi del periodo ipoteticodella irrealtà al futuro è comunissima in Aristotele e la protasi è qui sottintesa: se non fosseindivisibile il triangolo in sé sarebbe una molteplicità), ma trova corrispondenza negli ar-gomenti che nel trattato pseudo-aristotelico De lineis insecabilibus vengono riferiti ai soste-nitori delle linee indivisibili. Queste sono tali in quanto parti rispetto ad un tutto. Se infatticosì non fosse ed esse avessero parti, ci sarebbero altre grandezze prime rispetto a queste,vale a dire esse risulterebbero una molteplicità (968a 9-14 = Xenocr. Fr. 127 IP).

11 Mau 1954, 26.12 Cf. Metaph. G 4, 1006a 2 crw'ntai de; tw'i lovgwi touvtwi polloi; kai; tw'n peri; fuvsew".

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La dimostrazione della necessità degli indivisibili (De gen. et corr. A 2)170

menti che gli si potrebbero attribuire interpretando le sue dottrine da unacerta ottica13. Aristotele contrappone inoltre nel preambolo un modo diargomentare "logico" (quello degli Accademici) e un modo di argomen-tare "fisico" (quello di Democrito) e annuncia che nel seguito del discorsorisulterà chiaro quanto va dicendo. Quest'ultima affermazione è statageneralmente interpretata come un riferimento al solo argomentare fisicodi Democrito e conseguentemente come una implicita ammissione chetutto ciò che viene dopo è da considerarsi argomento "democriteo"14. Inrealtà il problema del riferimento è più complesso. Nulla esclude infattiche Aristotele si riferisca ad ambedue i modi di argomentare citati prima eche offra nel seguito, come fa in altri punti della sua opera, semplicementeun esempio di ambedue i modelli di argomentazione, dialettica e fisica. Sesi guarda in particolare ai passi in cui la contrapposizione è implicita oesplicita, si può osservare che, per Aristotele, la differenza fra i due modidi argomentare logikw'" e fusikw'" non concerne tanto l'aspetto formale,gli oggetti e i singoli argomenti, quanto i limiti e gli scopi dell'argomenta-zione. L'esame "dialettico" di un problema fisico non fa distinzioni fra ciòche può essere pensato e ciò che esiste o può verificarsi veramente nelmondo fisico perché il suo scopo è quello di arrivare ai principi generalinon a quelli specifici di quest'ultimo15. Simplicio, commentando la defini-

13 In Metaph. A 8, 989a 30ss. Aristotele "conduce" Anassagora a riconoscere che il suo oJmou'pavnta e il suo nou'" corrispondono in realtà all'"altro" e all'"uno" dei Platonici(Anaxagovran d ei[ ti" uJpolaboi duvo levgein stoicei'a, mavlist a]n uJpolavboi kata; lovgon, o}ejkei'no" aujto;" me;n ouj dihvrqrwsen, hjkolouvqhse mevnt a]n ejx ajnavgkh" toi'" ejpavgousinaujtovn).

14 Un esempio di questo procedimento e della maniera sbrigativa di trattare in generale ilpreambolo si trova in Furley 1967, 83s. Dopo aver accennato alla formulazione dubitativadi Aristotele riguardo a Democrito e al fatto che comunque il logos che segue contiene con-cetti aristotelici così come era stato rilevato da Mau egli osserva: "All this is true: Aristotlehas certainly expressed the arguments in his own terms. But I still think it probable thatthe logic of the argument belongs to Democritus. I cannot see why else Aristotle shouldbegin as he does", e cita 316a 11-14. Nessun altro argomento viene portato a sostanziare latesi che l'argomentazione sia di Democrito. Cf. anche Makin 1993, 49-55; Curd 2004, 186.Sedley 2004 ritiene che la prima parte sia un resoconto storico democriteo senza presup-posti aristotelici, ma è chiaro che non c'è nessuna testimonianza indipendente che per-metta di attribuire a Democrito ad esempio l'argomentazione della dissoluzione del corpofino ai punti. V. infra, 4. 3.

15 Cf. Phys. G 5, 204b 4ss. dove si incontra la stessa contrapposizione in relazione all'infinitoper grandezza (l'altro corno del dilemma dell'infinità). L'argomentazione dialettica si basasulla definizione di corpo come "ciò che è delimitato da una superficie". In base a quest'ul-tima non c'è dunque un corpo infinito né sensibile né intellegibile, ma neppure un numeroinfinito esiste separatamente perché il numero in quanto numerabile può essere numeratoe non è possibile percorrere, cioè numerare, in un tempo finito un infinito. L'argomenta-zione fisica si basa sul fatto che l'infinito non può essere né composto (due corpi infiniti silimiterebbero a vicenda) né semplice (un corpo sensibile infinito dovrebbe essere diversodagli elementi, ma tale corpo non esiste nella realtà, e, d'altra parte, visto che i fenomeni si

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Capitolo quarto 171

zione di ajporiva logikhv, fornisce due spiegazioni del termine che corri-spondono perfettamente al concetto di argomentare "logico" sopra espo-sto

la chiama logica […], o perché trae unicamente dal ragionamento la sua verosi-miglianza e non trova sostegno nei fatti concreti (così infatti vengono definiti i lo-goi di Zenone i quali confutano in modo verosimile il movimento), oppure defini-sce logica una aporia più generale non aderente a, né specifica dell'oggetto indiscussione né tale da prendere le mosse dai principi che sono propri di quest'ul-timo16.

Tutti gli interpreti moderni hanno riconosciuto che il resoconto sulladimostrazione della necessità degli indivisibili che segue la succitata affer-mazione in De gen. et corr. A 2 è nettamente diviso in due parti chiaramentedelimitate da Aristotele stesso. Quello che invece è stato inspiegabilmentetrascurato è che le due parti nei loro oggetti e nei loro scopi corrispon-dono perfettamente ai due tipi di argomentazione, logica e fisica, annun-ciati nel preambolo. Questa specificità delle due parti è dunque estrema-mente rilevante non solo per definire la reale importanza del passoaristotelico ai fini della "ricostruzione" della nascita dell'atomismo dall'ele-atismo, ma per ricollocare nel suo contesto reale il problema degli "indivi-sibili".

Qui di seguito esaminerò dunque dapprima in maniera generale le ca-ratteristiche delle due parti alla luce della distinzione fra argomentazionelogica e argomentazione fisica. In seguito prenderò in esame i punti so-prattutto della prima parte che, in base a questa classificazione sono piut-tosto attribuibili agli Accademici che a Democrito. Infine cercherò didefinire l'importanza del brano per l'inquadramento generale della dottrinademocritea nel contesto della discussione sugli indivisibili fra Aristotele el'Accademia.

generano sempre dai contrari, è impossibile che questo infinito sia uno solo degli ele-menti). Mentre l'argomentazione "logica" si basa esclusivamente su ciò che si può pensare,quella "fisica" considera (almeno nelle intenzioni) anche ciò che esiste in realtà. Sulla di-stinzione fra argomentazione dialettica e fisica, cf. la dettagliata analisi di Algra 1995, 164ss.dei contesti in cui l'opposizione ritorna. Egli sintetizza il problema come segue "A surveyof the way in which Aristotle contrasts physical and logical or general (katholou) problemsand arguments shows indeed that to his mind the distinction did not boil down to thecontrast between 'special empirical' arguments on the one and more general or theoreticalarguments on the other hand, but rather to a contrast between arguments (either directlyempirical or of a more theoretical character) which are, so to speak, embedded in a theoryabout the physical world, and, on the other hand, those which are of a purely abstract cha-racter, taking no recourse to the world as it actually appears to us or even flatly contra-dicting common appearances. Among the latter kind he ranked tha arguments of the phi-losophers of the Eleatic tradition".

16 Simpl. In Phys. 202a 21, 440,21. Il brano è segnalato e riportato in questo contesto in Algra1995, 164 n. 106.

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La dimostrazione della necessità degli indivisibili (De gen. et corr. A 2)172

3. Le due parti del logos sugli indivisibili

Come già aveva visto Lur'e e ha ribadito recentemente Sedley17 il brano èarticolato in due parti: nella prima (316a 15-b17), nella quale si sono tradi-zionalmente intravvisti argomenti democritei, l'aporia dell'indivisibilitàpresenta tutti i tratti dell'argomentazione "logica" quali si trovano anche inaltri passi aristotelici di cui ho parlato precedentemente. Essa infatti pro-spetta una situazione "verosimile solo sul piano mentale" come la defini-rebbe Simplicio, ma non sul piano fisico18. La divisione mentale all'infinitodi un corpo fisico sta in effetti alla base della dimostrazione della necessitàdegli indivisibili in questa prima parte.

La seconda parte (316b 29-34) è una riformulazione del logos da partedi Aristotele stesso sulla base di una argomentazione "fisica", sulla basecioè di quanto accade effettivamente quando si divide un corpo. Se lo sidivide progressivamente non si potrà materialmente portare a termine unainfinita frammentazione, d'altra parte, non è possibile dividere realmente ilcorpo contemporaneamente in ogni punto, ma solo in una certa misura.

Se la distinzione fra dimostrazione dialettica e fisica postulata da Ari-stotele nel preambolo come linea di demarcazione fra la dimostrazionedella necessità degli indivisibili nell'Accademia e quella di Democrito èrispecchiata nelle due parti succitate, si deve dedurre che la prima parte,che offre una argomentazione dialettica, non può essere comunque attri-buita a Democrito. In questo caso però cadono tutti i problemi sull'indivi-sibilità fisica o teoretica dell'atomo democriteo intravvisti dai commenta-tori moderni. La dimostrazione "fisica", d'altra parte, ci pone chiaramentedi fronte una grandezza indivisibile perché colui che divide non può pro-cedere materialmente nella divisione oltre un certo limite. Questa dimo-strazione non va al di là del senso comune e significativamente Aristotelenon si produce in ulteriori spiegazioni delle cause di questa impossibilità(per mancanza di tempo? per l'impossibilità di operare una divisione oltreuna certa soglia quando si arriva ad una grandezza minima? perché nonc'è uno strumento adeguato nel caso in cui la divisione sia progressiva?per l'impossibilità materiale di dividere in ogni punto in simultanea, nel

17 Sedley 2004; cf. anche Atomism's Eleatic Roots (in corso di stampa).18 Barnes 1982, 358s. tende a sottovalutare proprio il carattere mentale dell'operazione di

divisione sottolineato da formulazioni che insistono sulla possibilità di immaginarla anchese non verrà mai eseguita nella realtà, cf. 316a 17-19 eij ga;r pavnthi diairetovn, kai; tou'todunatovn, ka]n a{ma ei[h tou'to dihirhmevnon, kai; eij mh; a{ma dihviretai. 316a 22s. ejpei; oujd a]neij" muriva muriavki" dihirhmevna h\i, oude;n ajduvnaton: kaivtoi i[sw" oudei;" a]n dievloi. Cf. ilpasso della Fisica nella nota seguente che prospetta un'infinità per accrescimento th'inohvsei ed è diretto contro gli Accademici.

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caso della divisione contemporanea in tutti i punti?) perché a lui interessal'evidenza dell'impossibilità di una divisione reale all'infinito.

Il richiamo al senso comune, alla realizzazione pratica e all'esistenzareale di un certo fatto, fa parte di un tipico modo di argomentare "fisico"aristotelico. Questo risulta chiaro se si confronta il passo con la criticaall'infinito per accrescimento postulato dai Platonici nel terzo libro dellaFisica:

è assurdo basarsi [per affermare che l'infinito esiste in atto] su una rappresenta-zione mentale; infatti l'eccesso e il difetto non si producono [in questo caso] inun oggetto reale, ma nella rappresentazione mentale. Infatti ci si potrebbe rap-presentare ciascuno di noi crescere in progressione all'infinito, ma uno non è piùgrande della città o della dimensione che egli possiede perché qualcuno lo pensacosì, ma perché è così19.

come uno non è più grande della dimensione che possiede anche se sipotrebbe immaginare tale, così una divisione di una grandezza all'infinitoe in tutti i punti contemporaneamente o progressivamente quale vienepostulata nel primo logos sugli indivisibili non si verificherà mai nella realtà.

Questo è quanto in modo riassuntivo si può dire dei due logoi. E' op-portuno ora passare ad una loro trattazione più specifica per confermarequanto detto in sintesi. Nell'esame della prima parte verrà dunque messoin rilievo il carattere "dialettico" dell'argomentazione e gli elementi chefanno pensare alla rielaborazione di un logos accademico. Nell'esame dellaseconda parte, invece, si cercherà di stabilire se sia ancora possibile defi-nire l'argomento "fisico" come un argomento "democriteo".

4. Il logos sugli indivisibili. Prima parte.Motivi accademici e rielaborazioni aristoteliche

4. 1. Divisione mentale e divisione reale (De gen. et corr. A 2, 316a 15-29)

Punto di partenza del logos sugli indivisibili, è una "tesi" (ei[ ti" qeivh), nelsenso tecnico dei Topici20, una formulazione paradossale, che contiene unaajporiva (e[cei ajporivan). La tesi pone l'esistenza di un corpo e di unagrandezza divisibili per natura in ogni parte e la possibilità di compiere

19 Arist. Phys. G 8, 208a 14 to; de; th'i nohvsei pisteuvein a[topon: ouj ga;r ejpi; tou' pravgmato" hJuJperoch; kai; hJ e[lleiyi", ajll ejpi; th'" nohvsew". e{kaston ga;r hJmw'n nohvseien a[n ti" pol-laplavsion eJautou' au[xwn eij" a[peiron: ajll ouj dia; tou'to e[xw tou' a[steov" tiv" ejstin h] tou'thlikou'de megevqou" o} e[comen, o{ti noei' ti", ajll o{ti e[stin .

20 Top. A 11, 104b 19-22, v. supra, III 2. 1 n. 14.

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La dimostrazione della necessità degli indivisibili (De gen. et corr. A 2)174

questa divisione. Se questo è possibile, però, si potranno anche dividere odovunque e simultaneamente (ka]n a{ma ei[h tou'to pavnthi dihirhmevnon), oper bisezione continua (oujkou'n kai; kata; to; mevson wJsauvtw"). Nulla in-fatti è impossibile, neppure se le si dividesse in innumerevoli parti innu-merevoli volte anche se forse nessuno potrebbe dividerle nella realtà21. Ilrisultato sarà che non rimarrà né un corpo né una grandezza, ma solo ladivisione e il corpo si dissolverà nel nulla e sarà composto dal nulla. Inquesto caso il tutto non sarà altro che un'apparenza (316a 29 to; pa'n dh;oujde;n ajll h] fainovmenon). Abbiamo qui dunque due modi di dividere lagrandezza, i quali portano ambedue alla sua dissoluzione: la divisionecontemporanea in tutte le parti e la bisezione progressiva.

La formulazione della tesi richiama, anche nella terminologia, l'imma-gine della molteplicità senza l'uno del Parmenide platonico. Platone espo-neva il problema nei termini più generali di uno e altro dall'uno, ma lasostanza del discorso, e talvolta anche la lettera, sono identici: l'altro dal-l'uno, senza quest'ultimo, si presenta sempre come una molteplicità infi-nitamente frammentabile col pensiero. Ogni massa si sbriciola in pezziladdove la si concepisca senza l'uno22. Platone sottolinea proprio il carat-tere mentale (th'i dianoivai) di questo procedimento secondo il quale dellamolteplicità pensata senza l'uno (una molteplicità concepita in terminifisici se l'espressione specifica per designarne le parti è o[gko" e quella perindicarne lo sbriciolamento è qruvptesqai23) non rimangono nient'altroche delle unità apparenti, ma non reali (Parm. 164d oujkou'n polloi; o[gkoie[sontai, ei|" e{kasto" fainovmeno", w]n de; ou[, ei[per e}n mh; e[stai;). In Degeneratione et corruptione A 2 abbiamo lo stesso schema: la divisione mentaleall'infinito porta all'annullamento della realtà nell'apparenza. Rispetto peròall'immagine platonica, ai frammenti stessi di Zenone, che presentano unaindividuazione progressiva di parti, al logos di Porfirio e anche al logos elea-

21 De gen. et corr. A 2, 316a 14-23 (68 A 48b DK; 105 L.) e[cei ga;r ajporivan, ei[ ti" qeivh sw'mavti ei\nai kai; mevgeqo" pavnthi diaireto;n kai; tou'to dunatovn. tiv ga;r e[stai o{per th;n diaivre-sin diafeuvgei… eij ga;r pavnthi diaireto;n kai; tou'to dunatovn, ka]n a{ma ei[h tou'to pavnthidihirhmevnon, kai; eij mh; a{ma dihvirhtai. ka]n eij tou'to gevnoito, oujde;n a]n ei[h ajduvnaton.oujkou'n kai; kata; to; mevson wJsauvtw". kai; o{lw" dev, eij pavnthi pevfuke diairetovn, a]ndiaireqh'i, oujde;n e[stai ajduvnaton gegonov", ejpei; oujd a]n eij" muriva muriavki" dihirhmevnah\i, oujde;n ajduvnaton: kaivtoi i[sw" oujdei;" a]n dievloi.

22 Parm. 165b qruvptesqai dh; oi\mai kermatizovmenon ajnavgkh pa'n to; o[n, o} a[n ti" lavbhi th'idianoivai: o[gko" gavr pou a[neu eJno;" ajei; lambavnoit a[n. Cf. anche 158c.

23 Il passo è interessante in quanto Barnes 1982, 358s. e Sedley 2004, 69 concludono, in baseal fatto che in 316a 34ss. si immagina come risultato della divisione del corpo una specie disegatura (e[kprisma), che nella prima parte del logos aristotelico non venga presa in esameuna divisione mentale, ma reale e se ne servono come argomento per attribuire a Demo-crito il logos. Come dimostra l'esempio del Parmenide, tuttavia, l'uso di una terminologia fi-sica non significa nulla. Platone usa infatti immagini estremamente concrete per indicare laframmentazione mentale dei molti senza l'uno.

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tico di A 8 che si situa sulla stessa linea, nell'argomento di A 2 compareanche la divisione simultanea in ogni parte. Questo è un tratto aristotelicodovuto alla tipica distinzione di significati sempre operata da Aristotelequando affronta un'aporia: pavnthi diairetovn può essere infatti inteso siacome divisibile in ogni parte nello stesso momento che in momenti suc-cessivi. In ogni caso la concezione di una divisione mentale all'infinitocome reale è tipicamente platonico-accademica. Si potrebbe obiettare cheanche l'aporia di Zenone non distingue fra processi mentali e reali, ma illogos che Aristotele presenta, come si è visto, è vicino a Platone, non aZenone e, in ogni caso, il tema della divisibilità all'infinito delle grandezzenei termini espressi nel logos aristotelico è un punto focale nella trattazioneplatonico-accademica del secondo principio (il grande e il piccolo o ladiade indefinita) come si può evincere da numerose testimonianze di Ari-stotele stesso e dei commentatori24. Aristotele critica in altri punti della suaopera e in relazione al concetto di infinito per divisione proprio i Platonici(e non Zenone) per aver attribuito ai procedimenti mentali un carattere direaltà. Nel terzo libro della Fisica, affermando la possibilità della divisioneall'infinito delle grandezze, specifica, in esplicita polemica contro la dot-trina delle linee indivisibili, come si deve intendere l'infinito per divisione.Si tratta di un infinito in potenza, non nel senso che può essere traspostoin qualche momento in atto, ma nel senso che la divisione può essereeffettuata in un punto qualsiasi in momenti diversi.

Ma che la grandezza non sia in atto infinita, è stato detto; lo è, però, per divi-sione, infatti non è difficile confutare l'ipotesi delle linee indivisibili. Rimane dunque lapossibilità che l'infinito sia in potenza. Non si deve, però, prendere il significato'infinito in potenza' nello stesso modo in cui si dice 'se è possibile che questo di-venga una statua, sarà in effetti una statua', così ci sia anche un infinito che saràtale in atto, ma, poiché l'essere si predica in molti modi, come l'essere del giornoe della gara per essere sempre un altro ed un altro ancora, così anche l'infinito25.

24 Per quanto riguarda i commentatori, oltre al già citato logos di Porfirio che avrebbe costi-tuito il punto di partenza dell'assunzione di linee indivisibili da parte di Senocrate, è inte-ressante ad esempio un altro passo di Porfirio che riferisce della cosiddetta "divisione delcubito" risalente alle lezioni non scritte di Platone (Porph. 174 F Smith = Simpl. In Phys.202b 36, 453,30-454,14). Qui viene riproposto il tema della divisione progressiva dellegrandezze all'infinito con il suo corrispettivo, l'infinito per accrescimento: si assuma unagrandezza finita, come un cubito, la si divida in due parti lasciandone poi una intatta; se sidivide l'altra metà continuamente e si aggiungono le parti a questa sottratte alla metà rima-sta intatta, si otterranno due parti, una che procede verso l'infinitamente piccolo e l'altrache tende all'infinitamente grande. Platone avrebbe dimostrato con questo esempio la pre-senza, anche nelle grandezze finite, di una tendenza verso l'infinitamente grande e l'infini-tamente piccolo, effetto del secondo principio, la diade indefinita.

25 Phys. G 6, 206a 16-23 to; de; mevgeqo" o{ti me;n kat ejnevrgeian oujk e[stin a[peiron, ei[rhtai,diairevsei d ejstivn: ouj ga;r calepo;n ajnelei'n ta;" ajtovmou" grammav": leivpetai ou\n dunavmeiei\nai to; a[peiron. ouj dei' de; to; dunavmei o]n lambavnein, w{sper eij dunato;n tou't ajndriavnta

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La dimostrazione della necessità degli indivisibili (De gen. et corr. A 2)176

L'accenno alle linee indivisibili e l'alternativa che Aristotele propone co-stituiscono un corrispettivo della più diffusa critica al logos sugli indivisibilidi De gen. et corr. A 2. Qui egli spiega che, in quel tipo di dimostrazione sinasconde un paralogismo che consiste nella mancata distinzione di signifi-cati fra "divisibile in ogni parte" e "diviso in ogni parte". Divisibile in ogniparte all'infinito non significa che la divisione debba avvenire in realtà nésimultaneamente, né progressivamente "in tutti i punti" in quanto questocomporterebbe l'esistenza contemporanea di punti contigui uno all'altro.Questo non è possibile perché i punti sono limiti e non grandezze, e dun-que esistono solo nel momento in cui vengono posti. Una grandezza èdivisibile in ogni parte nel senso che lo è in un dato momento in unpunto, in un altro, in un altro: ogni volta, però, non ci sono nella gran-dezza infiniti punti, ma uno solo26.

La tesi nella prima parte del logos sugli indivisibili di De gen. et corr A 2 èbasata dunque su argomenti tipicamente accademici rielaborati da Aristo-tele. Il riportare a Democrito una rielaborazione dell'aporia zenoniana inquesti termini non ha alcun fondamento perché non trova nessuna ulte-riore conferma nelle testimonianze antiche.

4. 2. Corpi e grandezze indivisibili

Aristotele nel brano suddetto parla costantemente di "corpi e grandezzeindivisibili". Ora, le due espressioni non sono equivalenti come taluniinclinano a credere27, ma designano i due livelli del problema degli indivisi-bili, quello propriamente fisico, i corpi, e quello delle grandezze matemati-che, in questo contesto le superfici indivisibili. Se è vero che, nel branoche precede immediatamente l'excursus sugli indivisibili, Aristotele utilizzail termine "grandezze indivisibili" in una accezione più generale, egli di-stingue però al loro interno i corpi indivisibili (di Democrito e Leucippo)e le superfici indivisibili (del Timeo). Che egli abbia in mente una distin-zione precisa quando parla di corpi e grandezze, è confermato del resto da

ei\nai, wJ" kai; e[stai tou't ajndriav", ou{tw kai; a[peirovn ti, o} e[stai ejnergeivai: ajll ejpei;pollacw'" to; ei\nai, w{sper hJ hJmevra ejsti; kai; oJ ajgw;n tw'i ajei; a[llo kai; a[llo givnesqai,ou{tw kai; to; a[peiron. Sulle teorie accademiche come obiettivo di Aristotele nei passi suc-citati, cf. Krämer 1971, 296-297.

26 De gen. et corr. A 2, 317a 2-12.27 Questo è stato notato da più parti. Baldes 1972, 44s., partendo dal presupposto che Aristo-

tele si riferisca a materiale democriteo, ipotizza, in modo piuttosto nebuloso, che si tratti digrandezze matematiche concepite come immanenti ai corpi fisici indivisibili e, in quantotali, accidentalmente indivisibili. Lewis 1998, 19 n. 34 fa notare che kai; megevqh è estraneoalla discussione seguente che riguarda solo la divisione dei corpi e ritiene l'espressione unasemplice aggiunta aristotelica in quanto per lui ogni corpo è anche una grandezza.

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un altro brano del capitolo nono dello stesso libro dove riassume il ragio-namento che ha portato agli indivisibili28. Qui Aristotele sostituisce alsintagma sw'mata ajdiaivreta kai; megevqh, sw'ma ajdiaivreton h] plavto" incui il riferimento ai triangoli platonici è palese. Il logos era evidentementeun discorso generale sugli indivisibili che comprendeva sia la trattazionedei corpi che quella dei triangoli. Come si vedrà nel cap. V, l'indivisibilità(relativa) dei corpi e delle grandezze fino all'indivisibile assoluto, la linea, èun assunto di Senocrate. Per ora comunque ci si può limitare a constatareche nel logos aristotelico corpi e grandezze hanno due referenti diversi.

4. 3. Punti, segatura e affezioni (De gen. et corr. A 2, 316a 30-b 16)

Vale la pena riesaminare ora singolarmente gli argomenti della prima partea favore di corpi e grandezze indivisibili in quanto questi sono un tipicoesempio di rielaborazione aristotelica di temi trattati nell'Accademia e piùvolte ripresi da Aristotele in altre parti della sua opera. Da questo esame sipotrà constatare che, in tutto questo, di Democrito non c'è traccia.

L'argomento fondamentale della prima parte del logos è diretto controla divisione dei corpi e delle grandezze fino ai punti. Ammettere che que-sto sia il risultato della divisione equivale a dissolvere i corpi e le gran-dezze nel nulla e a volerli ricomporre dal nulla.

Poiché dunque il corpo è divisibile in ogni parte, lo si divida. Che cosa rimarràdunque? una grandezza? non è possibile perché altrimenti ci sarebbe qualcosa dinon diviso, ma era divisibile completamente. Se tuttavia non sarà né un corpo néuna grandezza, ma ci sarà la divisione, consisterà di punti, e ciò di cui è compostosaranno non grandezze, o nulla del tutto, talché sarà generato da nulla e compo-sto da nulla e il tutto non sarà altro che apparenza. Allo stesso modo, se saràcomposto da punti, non avrà una estensione misurabile. Infatti quando i punti sitoccavano e la grandezza era un tutto unico e i punti erano insieme, non rende-vano più grande il tutto. Infatti quando il tutto è stato diviso in due o in più parti,non lo rendevano né più piccolo, né più grande di prima, talché, se tutti venisseromessi insieme, non produrrebbero una grandezza29.

28 De gen. et corr. A 9, 327a 6 eij me;n ga;r mh; pavnthi diaireto;n to; mevgeqo", ajll e[sti sw''maajdiaivreton h] plavto" oujk a]n ei[h pavnthi paqhtikovn, ajll oude; sunece;" oujdevn.

29 De gen. et corr. A 2, 316a 23-34 ejpei; toivnun pavnthi toiou'tovn ejsti to; sw'ma, dihirhvsqw. tivou\n e[stai loipovn… mevgeqo"… ouj ga;r oi|ovn te: e[stai gavr ti ouj dihirhmevnon, h\n de; pavnthidiairetovn. ajlla; mh;n eij mhde;n e[stai sw'ma mhde; mevgeqo", diaivresi" dæ e[stai, h] ejk stigmw'ne[stai, kai; ajmegevqh ejx w|n suvgkeitai, h] oujde;n pantavpasin, w{ste ka]n givnoito ejk mhdeno;"ka]n ei[h sugkeivmenon, kai; to; pa'n dh; oujde;n ajllæ h] fainovmenon. oJmoivw" de; ka]n h\i ejk stig-mw'n, oujk e[stai posovn. oJpovte ga;r h{ptonto kai; e}n h\n mevgeqo" kai; a{ma h\san, oujde;nejpoivoun mei'zon to; pa'n: diaireqevnto" ga;r eij" duvo kai; pleivw, oujde;n e[latton oujde; mei'zonto; pa'n tou' provteron, w{ste ka]n pa'sai sunteqw'sin, oujde;n poihvsousi mevgeqo".

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La dimostrazione della necessità degli indivisibili (De gen. et corr. A 2)178

In questo argomento viene scartata una prima soluzione, cioè che da unadivisione completa possa risultare una grandezza. "Grandezza" in questocontesto viene generalmente interpretato come sinonimo di corpo, ma ciòè inverosimile almeno per due ragioni: in primo luogo perché Aristotelesubito dopo distingue fra corpo e grandezza come possibile risultato delladivisione (se non ci sarà né un corpo né una grandezza), in secondo luogoperché il caso della divisione fino ad una minuscola particella corporeacome segatura viene prospettato dopo, come alternativa distinta (316b 1).Siamo dunque qui confrontati con due possibilità: quella della divisionefino a corpuscoli e quella della divisione fino a grandezze geometriche.Aristotele non spiega qui come si possa arrivare nella divisione ad unagrandezza, ma lo fa più volte altrove riferendo il metodo di sottrazione deiPlatonici: il corpo è divisibile in superfici, queste in linee e queste inpunti30. Quest'ultimo passaggio, la divisione in punti, tuttavia, non eraammesso da chi sosteneva la dottrina delle linee indivisibili come limiteultimo della realtà fisica. A detta di Aristotele lo stesso Platone avrebbepolemizzato contro le tesi che ponevano il punto come principio dellalinea e avrebbe posto l'arresto della divisione a linee indivisibili31. La-sciando da parte la dibattuta questione se questa sia tesi platonica o derivida una interpretazione di Senocrate, che non è rilevante ai fini del pre-sente argomento, rimane comunque il fatto che la divisione fino al puntoera stata criticata nell'Accademia nel contesto dell'assunzione di indivisi-bili: la divisione doveva arrestarsi prima, pena la dissoluzione in una non-grandezza.

L'identificazione del punto con la non-grandezza ritorna in Aristoteleanche in relazione a Zenone. In Metaph. B 4, in un contesto critico contro

30 Si tratta in particolare della tesi di Speusippo che genera dal punto la linea, da questa lasuperficie e infine il solido, cf. Arist. Metaph. N 3, 1090b 5-7 (Speus. Fr. 81 IP); M 9, 1085a31-34 (Speus. Fr. 84 IP); Iambl. De comm. math. sc. 4, 16,15ss. Festa (Speus. Fr. 88 IP). Unpasso aristotelico particolarmente indicativo perché ripropone la dissoluzione del corpo inpunti (in una critica ai triangoli e alle linee indivisibili) è De cael. G 1, 300a 7-12 o{lw" de;sumbaivnei h] mhdevn pot ei\nai mevgeqo", h] duvnasqaiv ge ajnaireqh'nai, ei[per oJmoivw" e[ceistigmh; me;n pro;" grammhvn, grammh; de; pro;" ejpivpedon, tou'to de; pro;" sw'ma: pavnta ga;r eij"a[llhla ajnaluovmena eij" ta; prw'ta ajnaluqhvsetai: w{st ejndevcoit a]n stigma;" movnon ei\nai,sw'ma de; mhqevn. Per critiche simili, cf. anche De cael. G 1, 299a 6-9; Metaph. K 2, 1060b 12;Metaph. B 5, 1002a 4-6.

31 Metaph. A 9, 992a 19-24 e[ti aiJ stigmai; ejk tivno" ejnupavrxousin… touvtwi me;n ou\n tw'i gevneikai; diemavceto Plavtwn wJ" o[nti gewmetrikw'i dovgmati, ajll ejkavlei ajrch;n grammh'"—tou'tode; pollavki" ejtivqei—ta;" ajtovmou" grammav". kaivtoi ajnavgkh touvtwn ei\naiv ti pevra": w{st ejxou| lovgou grammhv ejsti, kai; stigmhv ejstin. Questo passo è stato molto discusso in quantocontraddice le testimonianze tarde sul Peri; tajgaqou', in particolare quella di Alessandro,dove il punto viene equiparato all'uno e definito "monade avente una posizione" (InMetaph. 987b 33, 55,20-26; ap. Simpl. In Phys. 202b 36, 454,23-29). In generale, però, sisuppone che la testimonianza di Alessandro sia imprecisa e viziata da interpretazioni sue odelle sue fonti, cf. De Vogel 1949, 306-311 e Burkert 1972, 18 n. 17.

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il concetto accademico di uno in sé come sostanza universale separata eindivisibile, egli riporta un'interpretazione matematizzante del frammento29 B 2 DK. Zenone sosteneva che ciò che non ha grandezza è nulla per-ché aggiunto o sottratto ad un ente non lo rende più grande o più pic-colo32. Aristotele identifica questo nulla col punto privo di dimensioni

Ancora, se l'uno in sé è indivisibile, secondo l'assunto di Zenone, non è nulla; in-fatti egli nega che ciò che aggiunto o tolto non rende più grande o più piccolo, siauno degli enti, poiché chiaramente l'ente è una grandezza e, se è una grandezza, ècorporea; questo infatti è un essere nella sua completezza, le altre, come la super-ficie e la linea, quando vengono aggiunte, in un certo modo rendono più grande,in un certo modo no, il punto e la monade in nessun modo33.

Aristotele ritorce più volte l'argomento dell'equivalenza del punto colnulla contro le dottrine dei triangoli e delle linee indivisibili: il punto (che isostenitori di queste tesi rigettano come principio in quanto non-gran-dezza) non è diverso dalle linee e dai triangoli dai quali essi fanno derivarei corpi in quanto tutti sono limiti e, come tali, non-grandezze.

E' dunque necessario assumere che nella dissoluzione del corpo ingrandezze prospettata in questa prima parte del logos sugli indivisibili siapresupposta una dissoluzione del solido in superfici, di queste in linee einfine in punti che, in quanto non-grandezze, non sono nulla e non pos-sono ricomporre né una grandezza né un corpo. Tale procedimento èperò tipico di Senocrate e di Platone, non di Democrito. Significativa-mente, coloro che attribuiscono l'argomento a quest'ultimo, non spieganocome avvenga il passaggio dal corpo ai punti, ma, quando devono portarel'esempio concreto di una divisione in punti, scivolano impercettibilmentedal corpo alla linea34. Non c'è dunque nulla che possa far pensare a Demo-

32 29 B 2 DK eij de; ajpoginomevnou to; e{teron mhde;n e[latton e[stai mhde; au\ prosginomevnouaujxhvsetai, dh'lon o{ti to; prosgenovmenon oujde;n h\n oujde; to; ajpogenovmenon.

33 B 4, 1001b 7 e[ti eij ajdiaivreton aujto; to; e{n, kata; me;n to; Zhvnwno" ajxivwma oujqe;n a]n ei[h: o}gavr mhvte prostiqevmenon mhvte ajfairouvmenon poiei' mei'zon mhde; e[latton, ou[ fhsin ei\naitou'to tw'n o[ntwn, wJ" dhlonovti o[nto" megevqou" tou' o[nto": kai; eij mevgeqo" swmatikovn:tou'to ga;r pavnthi o[n: ta; de; a[lla pw;" me;n prostiqevmena poihvsei mei'zon, pw;" d oujqevn,oi|on ejpivpedon kai; grammhv, stigmh; de; kai; mona;" oujdamw'". Su questo passo e sul suo con-testo accademico, cf. Burkert 1972, 286. La decontestualizzazione del passo e l'errata attri-buzione della definizione del punto come monade avente una posizione ai Pitagorici e nonagli Accademici è all'origine della tesi, sostenuta in primo luogo da Tannéry 1930, 258ss. eBurnet 1930, 314-17 (cf. anche Alfieri 1979, 41ss.) secondo cui i paradossi di Zenone sa-rebbero diretti contro una ipotetica matematica pitagorica. Lur'e 1932-1933, 108ss., nondevia sostanzialmente da questa linea in quanto mantiene l'ipotesi di una argomentazionezenoniana contro il punto, cambiandone solo i presunti obiettivi polemici: invece che i Pi-tagorici, la matematica del tempo. Cf. anche Mau 1954, 12ss. Per la critica dettagliata aqueste interpretazioni, cf. Burkert 1972, 285-289.

34 Cf. e.g. Furley 1967, 85; Sedley 2004, 70.

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crito di cui non vengono mai menzionate opinioni sul punto o su unaeventuale dissoluzione delle grandezze in punti.

La seconda ipotesi del logos della divisione all'infinito sembrerebbe piùvicina ad una possibile argomentazione democritea: la divisione all'infinitonon produce questa volta punti o nulla, ma un corpuscolo minuscolo,simile ad una particella di segatura

Anche se comunque dalla divisione del corpo risulta qualcosa, una sorta di sega-tura, e così dalla grandezza si stacca un corpo, vale per questo lo stesso argo-mento, come è divisibile?35

Poiché tuttavia si era ammesso che un corpo, per quanto piccolo, potevaessere per definizione diviso, sorge la domanda di come questo corpu-scolo possa essere ancora diviso e si ricade nell'aporia precedente (divi-sione fino ai punti e al nulla). La terminologia fisica, come si è visto, non ènecessariamente indice di una divisione reale. Una teoria corpuscolare cheammetteva dei corpuscoli ulteriormente divisibili con la mente, ma maidivisi era sostenuta nell'Accademia da Eraclide Pontico e, probabilmentesulla sua scia, veniva attribuita anche ad Anassagora e ad Empedocle36.Questa tesi, però, supponeva che un corpo in quanto tale fosse divisibileall'infinito, dunque il corpuscolo non diviso deve essere ulteriormentedivisibile, per lo meno con la mente. Questo tema ritorna in forme diversenel logos eleatico di De generatione et corruptione A 2 e in quello di Porfirio. Inambedue si afferma che l'essere non può essere diviso in una parte sì e inun'altra no e Porfirio ne spiega anche la ragione col fatto che l'essere èomogeneo. Uno dei capisaldi della critica all'atomismo e al corpuscolari-smo dei Pitagorici-Accademici in Sesto Empirico era basato sulla tesi che icorpi sono ulteriormente divisibili con la mente e quindi non possonoessere eterni37. In base a tutto questo, l'arresto della divisione in un corpu-scolo minuscolo come segatura sarebbe non "reale", ma solo fisico inquanto la mente può procedere oltre. Si può ricordare a questo puntoanche la frase di Platone riguardo agli "amici delle idee" nella gigantoma-chia del Sofista: questi ultimi, secondo lo straniero di Elea, "fanno a pez-zettini nei loro logoi i corpi di quegli altri" definendo un divenire incessantequella che costoro chiamano essenza38. La prima parte del logos riportatoda Aristotele, che fa proprio questo, potrebbe ben figurare come punto di

35 De gen. et corr. A 2, 316a 34-b 2 ajlla; mh;n kai; ei[ ti diairoumevnou oi|on e[kprisma givnetaitou' swvmato", kai; ou{tw" ejk tou' megevqou" sw'mav ti ajpevrcetai, oJ aujto;" lovgo", ejkei'no pw'"diairetovn.

36 V. supra, II 4. 1 n. 56-57.37 V. supra, II 4 n. 38.38 Soph. 246b ta; de; ejkeivnwn swvmata kai; th;n legomevnhn uJp aujtw'n ajlhvqeian kata; smikra;

diaqrauvonte" ejn toi'" lovgoi" gevnesin ajnt oujsiva" feromevnhn tina; prosagoreuvousin. V.supra, II 2 n. 11.

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Capitolo quarto 181

partenza per un discorso sugli indivisibili dietro al quale sta, però, quellosui principi: i corpi e le grandezze, in quanto formati anche dalla diadeindefinita, tendono all'infinità nei due sensi, per divisione e per aggiunta39,essi vengono però limitati dall'uno, che si configura come misura indivisi-bile. La necessità del triangolo indivisibile è data dal fatto che questo, inquanto misura ultima della realtà fisica (nel Timeo la divisione viene pro-tratta solo fino ai triangoli elementari), deve essere tale, altrimenti sarebbeanch'esso una molteplicità.

Aristotele aggiunge poi un ulteriore argomento che allude a teoriespecifiche da lui criticate altrove: la divisione all'infinito di un corpo pro-duce un ei\do" o un pavqo" separato che agisce su punti e contatti. In que-sto caso si ricade nella prima ipotesi in quanto si deve presupporre unadivisione del corpo in punti (da cui si separerebbero poi forme e affezioni)e quindi la dissoluzione nel nulla40. Egli attribuisce altrove una dottrinadella "mescolanza" di forme (nel senso platonico di idee) e affezioni sepa-rate dalla materia ad Anassagora e a Eudosso. Quest'ultimo avrebbe so-stenuto la tesi secondo cui le idee sarebbero immanenti nei sensibili inquanto "mescolate" ad essi come il bianco al bianco ponendosi, secondoAristotele, sulla scia di Anassagora41. I dettagli di questa mescolanza, nonrisultano affatto chiari né da qui né dalla lunga serie di critiche che Ari-stotele esponeva nel Peri; ijdew'n42. Egli vi vedeva, però, la possibilità che,in quanto "mescolate", le idee potessero anche essere separate dalla mate-ria così come, secondo lui, si potevano separare le affezioni dal tutto intutto di Anassagora43. Nello stesso primo libro del De generatione et corrup-tione Aristotele, più oltre, discutendo il concetto di mescolanza, si esprimein modo altrettanto critico nei confronti di questa presunta teoria: le affe-zioni non possono essere mescolate perché ciò che si mescola, si puòanche separare e nessuna di esse è separata dai sensibili44. Si spiega perciò

39 Cf. il già citato esempio della "divisione del cubito" attribuito a Platone da Porfirio ederivante dal Peri; tajgaqou', supra, n. 24.

40 De gen. et corr. A 2, 316b 2-5 eij de; mh; sw'ma ajll ei\dov" ti cwristo;n h] pavqo" o} ajph'lqen, kai;e[sti to; mevgeqo" stigmai; h] aJfai; todi; paqou'sai, a[topon ejk mh; megeqw'n mevgeqo" ei\nai.

41 Metaph. A 9, 991a 14 (Eudox. Fr. D 1 Lasserre) ou{tw me;n ga;r a]n i[sw" ai[tia dovxeien (scil.ta; ei[dh) ei\nai wJ" to; leuko;n memigmevnon tw' leukw'i, ajll ou|to" me;n oJ lovgo" livaneujkivnhto", o}n Anaxagovra" me;n prw'to" Eu[doxo" d u{steron kai; a[lloi tine;" e[legon(rJavdion ga;r sunagagei'n polla; kai; ajduvnata pro;" th;n toiauvthn dovxan). Cf. anche 998a 35.

42 Arist. De ideis Fr. 5 Ross (Alex. In Metaph. 991a 14, 97,27-98, 24). Sui problemi di inter-pretazione di tale dottrina attribuita da Aristotele ad Eudosso, cf. Krämer 1983, 74-77.

43 Metaph. A 8, 989a 30-b 4 (59 A 61 DK) ajtovpou ga;r o[nto" kai; a[llw" tou' favskein me-mi'cqai th;n ajrch;n pavnta, kai; dia; to; sumbaivnein a[mikta dei'n proupavrcein kai; dia; to; mh;pefukevnai tw'i tucovnti mivgnusqai to; tucovn, pro;" de; touvtoi" o{ti ta; pavqh kai; ta; sumbe-bhkovta cwrivzoit a]n tw'n oujsiw'n (tw'n ga;r aujtw'n mi'xiv" ejsti kai; cwrismov").

44 De gen. et corr. A 10, 327b 13-22 to;n aujto;n de; trovpon ou[te tw'i swvmati th;n trofh;n ou[te to;sch'ma tw'i khrw'i mignuvmenon schmativzein to;n o[gkon: oujde; to; sw'ma kai; to; leuko;n oujd

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La dimostrazione della necessità degli indivisibili (De gen. et corr. A 2)182

perché Aristotele prospetti, al di là della divisione dei corpi, anche l'ipotesidi una ulteriore divisione in un ei\do" o in un pavqo", perché egli pensa allepresunte tesi di Eudosso e di Anassagora45 e le aggiunge come ulteriorecaso di risultato di una divisione all'infinito. Siccome tuttavia le idee o leaffezioni dovrebbero agire su punti e contatti, si ricade nell'aporia prece-dente: come si può ricostituire un corpo da questi ultimi? Tutte le do-mande e gli esempi che Aristotele fa seguire immediatamente e che hannodisorientato gli interpreti fanno parte di una strategia di dilazione cheAristotele stesso raccomanda nei Topici. Esse infatti introducono argo-menti che, o ripetono quanto già si è detto, o sembrano non essere perti-nenti al tema. Ma questa è una tecnica che, in una disputa dialettica, per-mette di confondere l'avversario46. Con questo espediente si può spiegaread esempio la strana domanda sulla posizione dei punti e sul loro even-tuale movimento che non ha nulla a che fare col problema della divisibilità(qui non si parla affatto di corpi in moto, ma di corpi e grandezze inquanto tali) e la ripresa e l'ampliamento di argomenti già trattati il cuiunico scopo è di rafforzare ulteriormente l'aporia: se divido un pezzo dilegno e poi lo ricompongo, rimane uguale (vale a dire nulla si aggiunge enulla si toglie) e lo stesso succede se lo divido in qualsiasi punto. Se possodividerlo dovunque, però, significa che in potenza è diviso in ogni parte47

e, inoltre, se la ricomposizione non ha aumentato la dimensione del legno,il risultato della divisione dovranno essere necessariamente dei punti prividi dimensioni48. La conclusione, secondo questo logos, è che vi debbanoessere dei corpi e delle grandezze indivisibili.

Come si vede, l'argomentazione "dialettica" che pone come tesi unainfinita divisibilità mentale dei corpi e delle grandezze è un "modello" didimostrazione sviluppata su un nucleo di matrice accademica, ma conaggiunte e rielaborazioni da parte di Aristotele. Non c'è alcun indizio, al di

o{lw" ta; pavqh kai; ta;" e{xei" oi|ovn te mivgnusqai toi'" pravgmasin: swzovmena ga;r oJra'tai.ajlla; mh;n oujde; to; leukovn ge kai; th;n ejpisthvmhn ejndevcetai micqh'nai, oujd a[llo tw'n mh;cwristw'n oujdevn. ajlla; tou'to levgousin ouj kalw'" oiJ pavnta pote; oJmou' favskonte" ei\nai kai;memivcqai: ouj ga;r a{pan a{panti miktovn, ajll uJpavrcein dei' cwristo;n eJkavteron tw'n mic-qevntwn: tw'n de; paqw'n oujqe;n cwristovn.

45 Sedley 2004, 71, riportando questo argomento a Democrito, ipotizzando che qui si vogliaparlare di "massa" o "solidità" o di qualche altra proprietà dei corpi, tralascia proprio diconsiderare il carattere specificamente aristotelico dell'allusione all'ei\do" e al pavqo".

46 Top. Q 1, 157a 1 e[ti to; mhkuvnein kai; parembavllein ta; mhde;n crhvsima pro;" to;n lovgon,kaqavper oiJ yeudografou'nte": pollw'n ga;r o[ntwn a[dhlon ejn oJpoivwi to; yeu'do".

47 Il perfetto (pavnthi a[ra dihvirhtai dunavmei), che ha un valore risultativo, si spiega col fattoche la divisione in potenza che si immagina avverrà di fatto è equivalente ad una divisionegià operata.

48 Questo argomento, che Sedley 2004, 72s. e 75s. vuole trasporre prima di 316b 28 sullabase del fatto che non sarebbe "democriteo" e dunque non potrebbe stare nel contestoprecedente, è invece in perfetta consonanza con la strategia aristotelica delineata nel testo.

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Capitolo quarto 183

là di ragioni puramente ipotetiche, che possa far pensare alla riutilizza-zione di un testo democriteo.

5. La seconda parte del logos. La dimostrazione "fisica" dellanecessità degli indivisibili (De gen. et corr. A 2, 316b 18-35)

La dimostrazione "fisica", nella quale il Lur'e intravvedeva la parte piùpropriamente democritea del logos sugli indivisibili e che invece da altri èstata considerata un argomento aristotelico, è in realtà una riformulazionedell'aporia "logica" in termini più propriamente "fisici". Il problema, comeosservano molti interpreti, è che essa contiene i concetti tipicamente ari-stotelici di atto e potenza49. La tesi originaria supponeva che, se si assumeun corpo divisibile in ogni parte, bisogna necessariamente ammetterneanche la divisione totale, anche se questa in concreto non verrà mai realiz-zata. Il presupposto di questa tesi è che ciò che si può dividere con lamente è reale.

Aristotele riformula la tesi partendo dalla sua dottrina dell'atto e dellapotenza, le muove una possibile obiezione, ma riporta poi la discussionenell'ambito "fisico". Una cosa è ciò che si immagina, un'altra ciò che in-vece avviene nel mondo reale:

Orbene: che ogni corpo sensibile sia divisibile in qualsivoglia punto e indivisibilenon è nulla di assurdo; infatti sarà divisibile in potenza, ma indivisibile in atto.Sembrerebbe invece che l'essere divisibile in potenza simultaneamente nella suatotalità fosse impossibile. Se infatti ciò fosse possibile, la divisione potrebbe es-sere realmente eseguita cosicché il corpo non sarebbe simultaneamente ambeduele cose, indivisibile e diviso in atto, ma diviso in ogni punto. Dunque nulla reste-rebbe e il corpo si dissolverebbe nell'incorporeo e si genererebbe nuovamente oda punti o assolutamente dal nulla e questo come è possibile? Ma è chiaro, co-munque, che si divide in grandezze separabili, sempre più piccole, distanziate edistinte una dall'altra. Né se si divide il corpo parte per parte la frammentazionesarà infinita, né sarà possibile dividere simultaneamente in ogni punto, non è in-fatti possibile, ma solo fino ad un certo punto. E' necessario dunque che essocontenga grandezze insecabili invisibili, soprattutto se la generazione e la corru-zione avvengono l'una per associazione, l'altra per dissociazione50.

49 Mau 1952-53, 12 aveva appunto rigettato per questo la paternità democritea di tutto ilpasso di De generatione et corruptione A 2; cf. anche Sinnige 1968, 147. Coloro che, invece, ve-dono nella prima parte del passo un resoconto "storico" delle tesi di Democrito spieganoquesto argomento come un rimaneggiamento aristotelico di tesi democritee (Furley 1967,90s.; Baldes 1972, 38; Sedley 2004). Joachim 1922, 84 ipotizzava addirittura che si trattassein origine di una nota marginale di Aristotele stesso.

50 Arist. De gen. et corr. A 2, 316b 21-27 to; me;n ou\n a{pan sw'ma ai[sqhto;n ei\nai diaireto;n kaqoJtiou'n shmei'on kai; ajdiaivreton oujde;n a[topon: to; me;n ga;r dunavmei, to; d ejnteleceivai

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L'obiezione che Aristotele muove alla sua soluzione dell'aporia (la possi-bilità di distinguere fra divisione in atto e in potenza), si basa sui presup-posti dell'argomentazione "dialettica", cioè sull'ipotesi che una divisioneattuabile col pensiero equivalga ad una divisione reale; in questo caso ladistinzione fra potenza e atto è nulla e si deve ammettere l'esistenza degliindivisibili. Anche questa di muovere obiezioni alla propria tesi è un tipicoespediente dialettico, codificato nei Topici, il cui scopo è quello di renderel'avversario meno diffidente51. Aristotele ribatte però a questa obiezioneritornando all'ambito concreto della fisica. In ossequio al principiosecondo cui, trattando di fenomeni fisici, ci si deve attenere a quanto èrealizzabile veramente e non a quanto si immagina, prospetta un altroscenario. Come riguardo all'infinito per accrescimento osservava che unonon è più grande di una città perché si immagina tale, così per quantoriguarda la divisione si richiama a quanto accade in realtà: e di fatto si os-serva che, quando si divide, si ottengono delle grandezze sempre più pic-cole, ben distinte e separate (e non delle grandezze in cui non si arriva maia isolare veramente una parte come veniva ipotizzato nell'argomentazione"logica" da Platone nel Parmenide e nel paradosso stesso di Zenone), nonsolo, ma, anche che, dividendo progressivamente parte per parte, non sipuò portare la frammentazione all'infinito né è possibile materialmentedividere la grandezza simultaneamente in ogni punto. Ed è questo argo-mento dell'impossibilità materiale che, nell'argomentazione fisica, porta apostulare delle grandezze indivisibili nei corpi. Aristotele prosegue poi aconfutare sia l'argomento dialettico, sia quello fisico dimostrando che inambedue si nasconde un paralogismo. Ambedue partono infatti dallapremessa che una grandezza sia costituita in ogni momento da un infinitonumero di punti contigui, ma questo è falso perché il punto non è unasostanza, ma un limite e quindi non ha un'esistenza in atto. Non è possi-bile dunque dividere in due o più punti simultaneamente (ad esempio nelpunto centrale della grandezza e in quello immediatamente successivo), oanche successivamente, ma solo in uno. La grandezza è infinitamentedivisibile in quanto è divisibile in tutti i punti, ma ogni volta c'è su di essa

uJpavrxei. to; d ei\nai a{ma pavnthi diaireto;n dunavmei ajduvnaton dovxeien a]n ei\nai. eij ga;r du-nato;n, ka]n gevnoito, oujc w{ste ei\nai a{ma a[mfw ejnteleceivai ajdiaivreton kai; dihirhmevnon,ajlla; dihirhmevnon kaq oJtiou'n shmei'on: oujde;n a[ra e[stai loipovn, kai; eij" ajswvmataejfqarmevnon to; sw'ma, kai; givnoito d a]n pavlin h[toi ejk stigmw'n h] oJlw" ejx oujdenov". kai;tou'to pw'" dunatovn… ajlla; mh;n o{ti ge diairei'tai eij" cwrista; kai; ajei; eij" ejlavttw megevqhkai; eij" ajpevconta kai; kecwrismevna fanerovn. ou[te dh; kata; mevro" diairou'nti ei[h a]na[peiro" hJ qruvyi", ou[te a{ma oi|ovn te diaireqh'nai kata; pa'n shmei'on, ouj ga;r dunatovn,ajlla; mevcri tou: ajnavgkh a[ra ejnupavrcein a[toma megevqh ajovrata, a[llw" te kai; ei[pere[stai gevnesi" kai; fqora; hJ me;n diakrivsei hJ de; sugkrivsei.

51 Top. Q 1, 156b 18 dei' de; kai; aujtovn pote eJautw'i e[nstasin fevrein: ajnupovptw" ga;r e[cousinoiJ ajpokrinovmenoi pro;" tou;" dokou'nta" dikaivw" ejpiceirei'n.

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Capitolo quarto 185

un solo punto, non infiniti. Dunque non c'è bisogno di porre alla basedella realtà delle grandezze indivisibili, anche perché la generazione e ladissoluzione non avvengono per composizione e scomposizione.

Ritorniamo ora all'argomento "fisico". Se fosse democriteo, risulte-rebbe che gli atomi sono tali solo perché sono le parti più piccole a cuipossa materialmente arrivare una divisione fisica, sono dunque degliejlavcista52 del tutto simili ai corpuscoli delle teorie corpuscolari, cioè aquella segatura rigettata nell'argomento precedente. In Sesto gli Accade-mici-Pitagorici rimproverano agli atomisti e ai corpuscolaristi di essersifermati nella scomposizione a corpuscoli indivisibili riconoscendo lorouna prerogativa, l'eternità, che in realtà, in quanto corpi, essi non hanno.Infatti, anche se materialmente non si possono dividere, col pensiero sonoulteriormente scomponibili fino ai limiti ultimi.

Aristotele rovescia invece la gerarchia dei "modelli" preferendo co-munque quello "fisico", che bada alla realtà dei fatti, a quello "dialettico"che sposta l'argomentazione fuori della realtà fisica perché ha come scopola ricerca dei principi universali. Ambedue sono però argomenti-tipo usaticon varianti nelle dispute dialettiche. Democrito "sembrerebbe esserestato persuaso" dall'argomento fisico che in realtà non è suo, ma puòessere dedotto leggendo i suoi testi nell'ottica degli indivisibili. La partefinale dell'argomentazione rivela infatti in certe piccole incongruenze cheAristotele ha sì in mente la formulazione generale della dottrina democri-tea, quella che egli espone nelle sue "schede" in altri punti della sua opera,ma che l'ha "adattata" alla problematica degli indivisibili. In particolaresaltano agli occhi la menzione di grandezze "invisibili", che non ha nulla ache fare col problema della divisibilità, e l'affermazione che la generazionee la corruzione si verificano per composizione e, rispettivamente, perseparazione. La stessa ridondanza è presente nella presunta risposta diLeucippo agli Eleati in A 8 dove, alla dichiarazione che l'essere propria-mente detto non è uno, ma infiniti, segue inopinatamente (325a 30) kai;ajovrata dia; smikrovthta tw'n o[gkwn, che nulla a a che fare con l'argo-mento. Questa è però ogni volta la "spia" dell'adattamento della solita"scheda" generale aristotelica sull'atomismo al problema in discussione,così come lo è l'allusione alla generazione e alla corruzione per composi-zione e disgregazione di particelle che si ritrova puntualmente anche nel-l'altro brano del De generatione et corruptione così come in tutti i brani in cuiviene dato un sunto delle dottrine atomistiche53. Si tratta di quelle schede

52 Aristotele stesso critica più sotto nello stesso capitolo (326a 24-29) la tesi che l'indivisibilitàsia da attribuire solo ai corpuscoli piccoli e non a quelli grandi.

53 Arist. Fr. 208 Rose (Simpl. In De cael. 279 b 12, 295,8-20) (68 A 37 DK; 293 L.) ejk touvtwn(scil. mikrw'n oujsiw'n) ou\n h[dh (D E, Diels: h[/dei A Heiberg) kaqavper ejk stoiceivwn genna'ikai; sugkrivnei (Diels: genna'n kai; sugkrivnein codd.) tou;" ojfqalmofanei'" kai; tou;"

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che Aristotele nei Topici raccomanda di redigere per poter poi utilizzare albisogno54.

L'affermazione che la generazione e la dissoluzione avvengono per as-sociazione e dissociazione era una enunciazione dogmatica che non avevabisogno di dimostrazione perché era largamente condivisa. Né Empedo-cle né Anassagora hanno dato alcuna giustificazione di questo loro as-sunto. L'assunzione di minuscoli corpuscoli invisibili diversi dai corpivisibili (i quali sono esposti a cambiamento, malattia e dissoluzione) edunque resistenti, compatti e non tagliati55 era perfettamente adatta a giu-stificare la persistenza dell'universo. Non c'era bisogno di una trattazionedialettica generale del problema dell'indivisibilità per questo. Aristotele hacostruito su questa semplice base di dottrina atomistica una argomenta-zione fisica da cui Democrito avrebbe potuto essere persuaso se avesseformulato la sua tesi partendo dalla problematica degli indivisibili viva fragli Accademici e tesa alla soluzione delle presunte aporie eleatiche sulladivisibilità all'infinito.

Se questo è vero, la dimostrazione dell'indivisibilità delle grandezzecome è delineata in De generatione et corruptione A 2 scaturisce da una pro-blematica accademica e aristotelica, non democritea. Dunque questobrano non ci dice nulla né su una ipotetica soluzione democritea dei para-dossi zenoniani, né sul tipo di indivisibilità che Democrito attribuiva al-l'atomo, ma ci informa unicamente sui presupposti interpretativi di Ari-stotele e sul contesto in cui egli colloca e discute l'atomismo.

6. Sintesi

Il logos sulla necessità degli indivisibili di De generatione et corruptione A 2 èstato considerato, come quello di A 8, una ulteriore prova del fatto che gliatomisti sarebbero partiti dall'aporia zenoniana della divisibilità all'infinitoper formulare la loro dottrina degli indivisibili. In realtà Aristotele ripro-duce nel suo resoconto sulla necessità degli indivisibili due tipi di argo-

aijsqhtou;" o[gkou" ª...º ejpi; tosou'ton ou\n crovnon sfw'n aujtw'n ajntevcesqai nomivzei kai;summevnein, e{w" ijscurotevra ti" ejk tou' perievconto" ajnavgkh paragenomevnh diaseivshi kai;cwri;" aujta;" diaspeivrhi. La dichiarazione che generazione e corruzione non sono altroche composizione e scomposizione di elementi già preesistenti è anche in Anassagora unaenunciazione dogmatica, cf. Anaxag. 59 B 17 DK to; de; givnesqai kai; ajpovllusqai oujkojrqw'" nomivzousin oiJ ”Ellhne": oujde;n ga;r crh'ma givnetai oujde; ajpovllutai, ajllæ ajpo;ejovntwn crhmavtwn summivsgetaiv te kai; diakrivnetai. kai; ou{tw" a]n ojrqw'" kaloi'en tov tegivnesqai summivsgesqai kai; to; ajpovllusqai diakrivnesqai.

54 Top. A 14, 105b 16-18.55 Sul significato dell'aggettivo a[tomo" al tempo di Democrito e sulle denominazioni originali

del corpuscolo democriteo, v. infra, V 3.

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Capitolo quarto 187

mentazione: una dialettica, che presuppone un'equivalenza fra pensabile ereale che egli, qui e altrove, designa come caratteristica peculiare degliAccademici, e una fisica, che "presta" a Democrito nella seconda parte dellogos.

Secondo l'argomentazione dialettica, la necessità di corpi e grandezzeindivisibili è la conseguenza del fatto che, se non si arresta la divisione adun certo punto, si rischia di dissolvere la realtà in punti e quindi nel nullarendendone impossibile la ricomposizione. L'argomento della dissolu-zione in punti presuppone il metodo di sottrazione accademico dal corpo,alla superficie, alla linea, al punto e l'equivalenza del punto al nulla soste-nuta da Platone e Senocrate. Anche l'altro argomento alla base del logossulla necessità degli indivisibili, quello della ulteriore divisibilità col pen-siero di corpuscoli minuscoli non divisi nella realtà, ha le sue radici nel-l'Accademia come si può dedurre dalle argomentazioni dei Pitagorici-Ac-cademici nel decimo libro Contro i Matematici di Sesto Empirico esaminatinel secondo capitolo. Queste argomentazioni costituivano la base di par-tenza per formulare la dottrina dei principi, uno e diade indefinita, e perordinare il reale: l'indivisibile nei corpi e nelle grandezze è il riflesso del-l'uno che impone un ordine all'infinita molteplicità generata dalla diade.

L'argomentazione "fisica" si basa invece, come altre argomentazioniaristoteliche dello stesso tipo, non su ciò che si può pensare avvenga, masu ciò che si verifica effettivamente: non si può infatti dividere material-mente un corpo, né simultaneamente, né in successione, in tutti i punti,ma ci si deve arrestare necessariamente a corpuscoli indivisibili. Aristotele"presta" a Democrito quest'ultimo argomento traendo le sue conclusionidalla solita "scheda" sull'atomismo che egli utilizza anche altrove. La spiadi questo passaggio da quanto gli atomisti effettivamente dicono a quantoAristotele deduce è la menzione di grandezze "invisibili" che, qui comealtrove, non è funzionale all'argomento dell'indivisibilità.

Il logos sugli indivisibili di De generatione et corruptione A 2 è dunque unaricostruzione aristotelica di due modelli di argomentazione, dialettica efisica, che si basa principalmente su problematiche accademiche, nondemocritee e non è utilizzabile per spiegare la genesi dell'atomismo anticoe la concezione dell'atomo.

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Capitolo quinto

Atomi e minimi. Concetti accademici e terminologiademocritea in Aristotele

1. Minimo privo di parti come misura nell'Accademia

Nei capitoli precedenti si è delineato lo sfondo generale su cui Aristoteleinterpreta l'atomismo e cioè le discussioni accademiche delle aporie eleati-che che sfociano nella dottrina degli indivisibili e dei due principi, l'uno ela diade indefinita. Aristotele rielabora schemi dialettici e logoi correnti einserisce in questi contesti la dottrina atomistica. L'interpretazione dell'a-tomo cui ci troviamo di fronte, soprattutto nei brani in cui viene discussala problematica specifica degli indivisibili, è in generale influenzata dalleconcezioni accademiche delle grandezze indivisibili e dei minimi (ejlavci-sta). E' quindi necessario tentare di inquadrare questa concezione percapire meglio le oscillazioni dei testi aristotelici nella rappresentazione deicorpuscoli leucippei e democritei che vengono ora definiti nei terminidella problematica degli indivisibili, ora colti nella loro fisicità e sullosfondo specifico della nascita, della disgregazione e del cambiamento delcosmo sensibile.

Una teorizzazione dei minimi fisici come solidi geometrici primi ge-rarchicamente ordinati, costituiva il naturale sviluppo degli assunti delTimeo1. Platone, infatti, accenna ad una gerarchia delle figure che compon-gono i vari elementi: primo per genesi è il fuoco, seconda l'aria, terza l'ac-qua2 e inoltre, ad esclusione della terra che ha una posizione particolare, le

1 Così Krämer 1971, 354ss.; Furley 1967, 106.2 Ti. 56b-c e[stw dh; kata; to;n ojrqo;n lovgon kai; kata; to;n eijkovta to; me;n th'" puramivdo" ste-

reo;n gegono;" ei\do" puro;" stoicei'on kai; spevrma. to; de; deuvteron kata; gevnesin ei[pwmenajevro", to; de; trivton u{dato". pavnta ou\n dh; tau'ta dei' dianoei'sqai smikra; ou{tw", wJ" kaqe}n e{kaston me;n tou' gevnou" eJkavstou dia; smikrovthta oujde;n oJrwvmenon uJf hJmw'n, suna-qroisqevntwn de; pollw'n tou;" o[gkou" aujtw'n oJra'sqai.

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Capitolo quinto 189

figure dell'ottaedro dell'aria e dell'icosaedro dell'acqua costituiscono deimultipli del tetraedro ovverosia della piramide del fuoco3.

Aristotele, nel terzo libro del De caelo raggruppa sotto una stessa vocedue dottrine anonime che assumerebbero come elemento primo delmondo fisico il fuoco.

Alcuni di loro, infatti, attribuiscono al fuoco una figura, come quelli che pongonola piramide, e, fra costoro, gli uni dicono più grossolanamente che la piramide èla più tagliente fra le figure geometriche, il fuoco è il più tagliente dei corpi, altriinvece adducono in maniera più raffinata a sostegno della loro tesi l'argomenta-zione che tutti i corpi sono composti da quello più sottile, le figure solide dallapiramide. Cosicché, siccome fra i corpi il fuoco è il più sottile, mentre fra le fi-gure solide la piramide è quella composta di parti più piccole e la figura prima èquella del corpo primo, il fuoco sarebbe una piramide4.

Le due dottrine sono chiaramente accademiche. In particolare quella deipiù raffinati risale probabilmente a Senocrate. E' lui infatti a separarel'ambito del corpo da quello del solido e a sostenere, come si vedrà piùoltre che il minimo è l'elemento primo e la misura delle grandezze appar-tenenti allo stesso livello dell'essere. A Senocrate Stobeo attribuisce perben due volte una concezione corpuscolare, generalmente contestata inquanto considerata risultato di confusioni. Nella sezione Sulla mescolanzaegli riferisce che

Empedocle e Senocrate componevano gli elementi da masse più piccole chesono minimi e come elementi di elementi5.

Pseudo-Plutarco riporta nel passo parallelo solo il nome di Empedocle,ma questo è semmai il risultato di una epitome6, non di una maggioreaccuratezza. E non c'è neppure ragione di postulare una confusione deldossografo con Eraclide7, visto che Senocrate compare come sostenitoredi minimi fisici anche nella sezione Sui minimi (v. infra). La testimonianzadi Stobeo, per lo meno nelle sue linee generali, esprime invece concezioni

3 Cf. anche Krämer 1971, 358 n. 437.4 De cael. G 5, 304a 9-18 oiJ me;n ga;r aujtw'n sch'ma periavptousi tw'i puriv, kaqavper oiJ th;n

puramivda poiou'nte", kai; touvtwn oiJ me;n aJploustevrw" levgonte" o{ti tw'n me;n schmavtwntmhtikwvtaton hJ puramiv", tw'n de; swmavtwn to; pu'r, oiJ de; komyotevrw" tw'i lovgwi prosavgon-te" o{ti ta; me;n swvmata pavnta suvgkeitai ejk tou' leptomerestavtou, ta; de; schvmata ta; ste-rea; ejk tw'n puramivdwn, w{st ejpei; tw'n me;n swmavtwn to; pu'r leptovtaton, tw'n de; schmavtwnhJ purami;" mikromerevstaton kai; prw'ton, to; de; prw'ton sch'ma tou' prwvtou swvmato", pu-rami;" a]n ei[h to; pu'r.

5 Stob. 1,17,1 (Xenocr. Fr. 151 IP) Empedoklh'" kai; Xenokravth" ejk mikrotevrwn o[gkwn ta;stoicei'a sugkrivnei, a{per ejsti;n ejlavcista kai; oiJonei; stoicei'a stoiceivwn.

6 Anche per quanto riguarda la prima dovxa di questa sezione, Stobeo ha "Talete e i suoisuccessori" mentre Pseudo-Plutarco abbrevia in "gli antichi". Inoltre, anche nella sezione"Sui minimi" (1,13, 883 B), quest'ultimo omette sia Senocrate e Diodoro che Eraclide checompaiono invece in Stobeo 1,14,1k.

7 Cf. Isnardi-Parente 1982, 374s.

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Atomi e minimi190

simili a quelle del passo del De caelo: il fuoco, l'acqua, l'aria e la terra, pos-sono scomporsi a loro volta in particelle "elementi di elementi". Quest'ul-tima definizione è profondamente influenzata dal Timeo platonico. Platonerimprovera ai suoi predecessori proprio di non essersi occupati della ge-nesi dei quattro elementi e di averli posti come tali quando non sono daparagonarsi neppure a sillabe8. Nel De generatione et corruptione Aristoteleriferisce, con una terminologia apertamente platonica, che, in quanto adEmpedocle

non risulta con chiarezza come si generi e si distrugga la loro (scil. degli elementi)grandezza ammassata, né gli è possibile dare spiegazioni in merito dal momentoche egli non dice che c'è un elemento del fuoco e ugualmente di tutti gli altri come hascritto Platone nel Timeo9.

Si tratta di un'interpretazione di Empedocle diametralmente opposta aquella corpuscolare riferita da Stobeo e da Aristotele stesso poco prima ein altri passi10, ma che utilizza gli stessi concetti di base del Timeo per riba-dire la necessità di porre "elementi di elementi". L'assunzione di minimifisici come "elementi di elementi" è dunque perfettamente coerente conl'insegnamento platonico. Nel brano di Sesto Empirico esaminato nelsecondo capitolo, gli Accademici-Pitagorici accettano che la scomposi-zione effettiva del mondo fisico possa fermarsi ai corpuscoli, ma prose-guono poi a scomporre "mentalmente" fino ai fondamenti di tali corpu-scoli, gli elementi degli elementi appunto11. Se dunque il corpuscolo primodel mondo fisico è il fuoco, il suo corrispettivo a livello matematico,quello che "ordina" la massa corporea, sarà la piramide, la prima dellefigure solide e "elemento dell'elemento fuoco".

Nella sezione Sui minimi, dopo Empedocle ed Eraclito, e prima diEraclide e ben distinto da lui, Stobeo cita ancora Senocrate come soste-nitore di una dottrina corpuscolare che pone dei minimi fisici privi diparti.

Senocrate e Diodoro definivano privi di parti i minimi12.

8 Pl. Ti. 48b.9 Arist. De gen. et corr. A 8, 325b 22-25 aujtw'n de; touvtwn pw'" givnetai kai; fqeivretai to;

swreuovmenon mevgeqo", ou[te dh'lon ou[te ejndevcetai levgein aujtw'i mh; levgonti kai; tou'puro;" ei\nai stoicei'on, oJmoivw" de; kai; tw'n a[llwn aJpavntwn, w{sper ejn tw'i Timaivwi gevgra-fe Plavtwn.

10 De gen. et corr. A 8, 325b 5-11 (supra, III 4 n. 93) dove ad Empedocle vengono affiancati"alcuni altri che sostengono che le affezioni si producono attraverso i pori", probabilmenteEraclide Pontico; cf. anche De cael. G 6, 305a 1-6, (supra, II 4. 2 n. 56) e Gemelli Marciano1991a.

11 Sext. Emp. Adv. Math. 10,252-256 (v. supra, II 4 n. 38).12 Stob. 1,14,1k (Xenocr. Fr. 148 IP) Xenokravth" kai; Diovdwro" ajmerh' ta; ejlavcista wJrivzon-

to. Secondo Krämer 1971, 313s. n. 290, Senocrate sarebbe menzionato prima di Diodoroin quanto cronologicamente precedente. Il termine ajmerev" sottintende infatti la problema-

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Capitolo quinto 191

Che cosa si intenda per privi di parti, verrà specificato in seguito. Per ora èimportante rilevare che, siccome il paragrafo riguarda esclusivamenteautori cui viene attribuita l'assunzione di minimi fisici, si deve dedurre chetali siano anche quelli di Senocrate. Ora, queste testimonianze dossografi-che corrispondono ad alcuni tratti della dottrina di Senocrate descritti neltrattato peripatetico Sulle linee indivisibili, a tutt'oggi una delle testimonianzeprincipali sull'Accademico. Nel trattato, al di là dei possibili fraintendi-menti da parte dell'autore dell'opera, viene attribuito a Senocrate un pre-ciso apparato teorico che subordina la fisica alla logica e giustifica l'assun-zione di grandezze minime ad ogni livello dell'essere (corpi, solidi, super-fici, linee) ciascuna come riflesso dell'uno e misura del suo ambito e, inquanto tale, priva di parti. In pratica, secondo questa concezione, la pira-mide prima, il solido più piccolo, in quanto "misura" degli altri solidi, nonpotrebbe essere scomponibile in altre parti tridimensionali più piccolealtrimenti non sarebbe più misura (lo è invece nelle componenti che ap-partengono al livello successivo dell'essere, quello delle superfici13).

Nel De lineis il concetto di ejlavciston viene definito in linea generalein base all'opposizione molto-grande/ poco-piccolo (quantità e grandezzesono poste sullo stesso piano in quanto anche queste ultime sono caratte-rizzate da un certo numero di divisioni e sono quindi quantificabili) cheviene a sua volta configurata come opposizione infinito/ finito: se ciò cheha divisioni quasi infinite è molto, il piccolo e il poco avranno divisionilimitate. Per ogni "poco" (ojlivgon) viene quindi ipotizzato un minimo(ejlavciston) che, in quanto unità di misura, per definizione, deve essereprivo di parti: se in tutto c'è il poco e il piccolo, ci sarà anche una gran-dezza minima priva di parti14. In questo contesto tuttavia ogni ajmerev" nonè indivisibile in assoluto, ma solo in quanto misura, riflesso dell'uno che"ordina" lo spazio e la materia sensibile. L'unico indivisibile vero è la linea,l'elemento ultimo dell'ordinamento spaziale. Questa teoria costituisce un

tica parte-tutto tipica della dottrina senocratea. Se fosse stato Diodoro a coniare il termineper il corpo minimo, come sostiene Dionisio (ap. Eus. Praep. ev. 14,23), Aristotele avrebbedovuto dipendere da lui nella trattazione del moto, e non viceversa. Sulla dipendenza diDiodoro da Aristotele, cf. Giannantoni 1980, 131s. La datazione di Diodoro è assai con-troversa (cf. Sedley 1977, 78-81; Furley 1967, 131ss.; Giannantoni 1990, III, 69ss.), ma sia isostenitori di una cronologia più alta che quelli di una più bassa lo collocano dopo Seno-crate.

13 Cf. Krämer 1971, 345-47.14 De lin. insec. 968a 2-9 (Xenocr. Fr. 127 IP) eij ga;r oJmoivw" uJpavrcei tov te polu; kai; to; mevga

kai; ta; ajntikeivmena touvtoi", tov te ojlivgon kai; to; mikrovn, to; dæ ajpeivrou" scedo;n diai-revsei" e[con oujk e[stin ojlivgon ajlla; poluv, fanero;n o{ti peperasmevna" e{xei ta;" diairevsei"to; ojlivgon kai; to; mikrovn: eij de; peperasmevnai aiJ diairevsei", ajnavgkh ti ei\nai ajmere;"mevgeqo", w{ste ejn a{pasin ejnupavrxei ti ajmerev", ejpeivper kai; to; ojlivgon kai; to; mikrovn. Perla discussione sui problemi posti dal passo, cf. Hirsch 1953, 68-71; Krämer 1971, 338 n.362 e 338-40 per l'origine accademica dei concetti impiegati e i rimandi a passi paralleli.

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naturale sviluppo degli assunti del Parmenide: infatti nella molteplicità senzal'uno che vi è rappresentata la distinzione delle parti di una massa corpo-rea non finisce mai proprio perché manca l'"unità" che la ordina. Al di làdei dubbi sollevati sull'obiettività dell'esposizione generale del peripate-tico, tutti sono concordi sul fatto che i punti succitati riflettono una dot-trina senocratea. Si possono quindi ricavare da questo due considerazioni:

1. Senocrate dava una definizione generale del concetto di minimocome elemento ultimo di una divisione finita ad ogni livello dell'essere.

2. Questo minimo, nel suo carattere di misura, era necessariamente unajmerev" (se avesse avuto parti non avrebbe più potuto essere misura). Ciòvaleva anche nell'ambito del corporeo come informa il terzo argomentodel De lineis: si tratta infatti non di un corpo considerato in se stesso, manel suo carattere di unità di misura prima che "ordina" gli altri corpi15.

La definizione di minimo privo di parti è dunque la risultante di unragionamento logico-dialettico che tende a stabilire dei limiti all'infinitoordinando la realtà sul modello numerico16 e non ha molto in comune conla definizione adottata generalmente dagli interpreti moderni che inten-dono privo di parti in senso assoluto. Priva di parti in questo senso è solola linea, misura ultima della spazialità. Gli altri minimi, il triangolo, iltetraedro e il corpuscolo fisico, sono relativamente privi di parti in quantounità di misura del corrispettivo livello dell'essere17. L'attendibilità dell'au-tore del De lineis su questo punto è stata variamente valutata18, ma il fonda-

15 De lin. insec. 968a 16-18 (Xenocr. Fr. 127 IP) e[ti eij swvmatov" ejsti stoicei'a, tw'n de; stoi-ceivwn mhde;n provteron, ta; de; mevrh tou' o{lou provtera, ajdiaivreton a]n ei[h to; pu'r kai; o{lw"tw'n tou' swvmato" stoiceivwn e{kaston, w{st ouj movnon ejn toi'" nohtoi'", ajlla; kai; ejn toi'"aijsqhtoi'" ejstiv ti ajmerev".

16 Cf. in particolare Krämer 1971, 360s.; Isnardi-Parente 1982, 158s.17 Questa distinzione fra un un ajmerev" relativo, il corpo, e un ajmerev" assoluto che può

esistere solo nell'incorporeo, si ritrova costantemente nella tradizione tarda, cf. Plut. Quaest.plat. 1002 C kai; mh;n ajmerev" ge levgetai kai; ajmevriston to; me;n sw'ma mikrovthti, to; dæajswvmaton kai; nohto;n wJ" aJplou'n kai; eijlikrine;" kai; kaqaro;n aJpavsh" eJterovthto" kai;diafora'". De an. procr. 1022 E hJ me;n ou\n ajmevristo" oujsiva kai; ajei; kata; taujta; kai;wJsauvtw" e[cousa mh; mikrovthti, kaqavper ta; ejlavcista tw'n swmavtwn, noeivsqw feuvgousato;n merismovn.

18 Hirsch 1953, 75-77, mette in rilievo come la dottrina della priorità della parte rispetto altutto esposta nel secondo argomento, stia alla base anche del terzo e come esso rispecchieffettivamente una concezione senocratea. Furley 1967, 106, sottolinea come non ci siacontraddizione nell'assunzione di diversi indivisibili nei diversi gradi delle grandezze se li siconsidera ognuno come "misura" del proprio ambito; Krämer 1971, 346s., ritiene essen-zialmente valida l'attribuzione del peripatetico in quanto si basa su concetti tipicamente se-nocratei come la priorità della parte rispetto al tutto e, come Furley, sottolinea il loro ca-rattere di misura, riflesso dell'uno (cf. anche 360ss.). Isnardi-Parente 1982, 362 non accettal'esattezza della applicazione dell'indivisibilità ai corpi fisici in quanto, in base alla dottrinadel Timeo, su cui Senocrate si appoggiava, i corpi elementari si dissolvono nei corpi geo-metrici. Il peripatetico avrebbe interpretato l'assunzione di minuscoli corpuscoli geometriciprimi come una teoria fisica corpuscolare. Tuttavia nel resoconto di Sesto Empirico (Adv.

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mento logico-dialettico su cui è basata l'assunzione di indivisibili nei variambiti (priorità della parte rispetto al tutto19 e modello numerico che in-forma la realtà) è una concezione originale senocratea. Il minimo fisico èquindi quel corpuscolo elementare cui si riferisce l'autore del De lineis, checompare anche in De cael. G 5, 304a 9-18 (v. supra, n. 4) e che viene espres-samente citato dalla notizia dossografica di Stobeo. Esso è privo di partiin quanto considerato nel suo aspetto di parte/ misura prima rispetto adun tutto, vale a dire nel suo carattere di riflesso dell'uno principiante.L'autore del De lineis separa inoltre l'ambito del nohtovn, da quello del-l'aijsqhtovn, nel quale rientra appunto la menzione dei corpuscoli elemen-tari. La dottrina riportata come senocratea nel commento al De anima diTemistio, insiste proprio sul carattere aleatorio delle unità del mondo sen-sibile contro la vera unità presente solo nell'incorporeo20. La definizione diminimo fisico come privo di parti relativo contrapposta ad un ajmerev"assoluto presente solo negli incorporei, rientrava probabilmente nell'am-bito delle distinzioni tese a porre una barriera fra incorporei intellegibili ecorpi sensibili.

Sulla falsariga della concezione del minimo fisico come privo di partirelativo, ma non tale per natura venivano evidentemente interpretate eanche criticate le dottrine presocratiche che ponevano come principi deicorpi; oltre quelle di Empedocle, probabilmente anche Anassagora, Leu-cippo, Democrito, quegli autori cui allude il brano Sesto esaminato nelsecondo capitolo. Tutti, secondo l'interpretatio academica, avevano postocome sostanze eterne dei corpuscoli minimi che invece, per natura, non loerano. Nelle loro teorie mancava infatti quell'apparato concettuale (lasottrazione fino ai principi primi e la distinzione fra parte e tutto) cheinvece caratterizza la definizione dei minimi accademici21.

Math. 10,255ss.), i cosiddetti Pitagorici, cioè Senocrate, separano il solido dal corpo ponen-doli su due livelli diversi, intellegibile e sensibile, e sembrano accettare, insieme con gliatomisti e i corpuscolaristi, che i corpuscoli fisici possano essere eterni (supra, II 4; 4. 1 e 2).Questo non impedisce loro di proporre una ulteriore scomposizione mentale dei corpi fi-sici negli enti matematici. Dunque non c'è contraddizione fra una eventuale indivisibilitàdei corpuscoli elementari e una loro scomposizione kat ejpivnoian negli elementi incorpo-rei che ne costituiscono il fondamento.

19 La priorità della parte rispetto al tutto è uno dei tratti caratteristici della dottrina di Seno-crate, cf. Pines 1961, 1-34; Krämer 1971, 342-344; Isnardi-Parente 1982, 350-53.

20 Themist. De an. 404 b 20, 11,20 (Xenocr. Fr. 260 IP), supra, II 4. 2 n. 71.21 Sext. Emp. Adv. Math. 10,252-256, supra, II 4 n. 38 e 4. 1.

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2. Atomi e minimi. L'interpretazione matematizzantedell'atomo in Aristotele

Aristotele non riferisce mai esplicitamente il termine ejlavciston, nella suaaccezione di elemento minimo risultante da una divisione finita, all'atomodi Leucippo e Democrito. Il termine compare invece per lo più in contestigenerici, senza precise attribuzioni e soprattutto come definizione cor-rente. Aristotele lo utilizza generalmente nell'ambito della critica a quelleteorie che ammettono una composizione e scomposizione di particellenella costituzione e nella mescolanza dei corpi. In alcune di esse è com-preso anche l'atomo, ma Aristotele, quando prende in considerazioneseparatamente la dottrina gli atomisti, non lo designa mai specificamentecome tale.

Egli parla di ejlavcista sia nel De generatione et corruptione che nel Desensu criticando il concetto di mescolanza come giustapposizione di parti-celle: dal momento che i corpi sono divisibili all'infinito, la mescolanzanon è una composizione di ejlavcista posti l'uno accanto all'altro e imper-cettibili22. Non vengono fatti nomi specifici, ma sembra siano attaccaticongiuntamente l'atomismo e il presunto corpuscolarismo di Empedoclee di Anassagora23. Da un brano del primo libro del De caelo in cui, come haabbondantemente documentato Krämer, gli obiettivi della critica sonoprincipalmente gli Accademici, in particolare Senocrate24, si può tuttavia

22 De gen. et corr. A 10, 327b 33ss. o{tan ga;r ou{tw" eij" mikra; diaireqh'i ta; mignuvmena kai;teqh'i par a[llhla tou'ton to;n trovpon w{ste mh; dh'lon e{kaston ei\nai th'i aijsqhvsei, tovtemevmiktai h] ou[, ajll e[stin w{ste oJtiou'n par oJtiou'n ei\nai movrion tw'n micqevntwn… ª...º ejpei;d oujk e[stin eij" tajlavcista diaireqh'nai, ãoujde;Ã suvnqesi" taujto; kai; mivxi" ajll e{teron,dh'lon wJ" ou[te kata; mikra; swzovmena dei' ta; mignuvmena favnai memivcqai. De sens. 3, 440a31-440b 4 eij d ejsti; mivxi" tw'n swmavtwn mh; movnon to;n trovpon tou'ton o{nper oi[ontaiv tine",par a[llhla tw'n ejlacivstwn tiqemevnwn, ajdhvlwn d hJmi'n dia; th;n ai[sqhsin, ajll o{lw"pavnthi pavntw" w{sper ejn toi'" peri; mivxew" ei[rhtai kaqovlou peri; pavntwn...

23 Per possibili allusioni all'atomismo, v. infra nel testo e n. 34. Per quanto riguarda la critica ateorie corpuscolari, cf. De gen. et corr. B 7, 334a 26-30 ejkeivnoi" te ga;r toi'" levgousin wJ"Empedoklh'" tiv" e[stai trovpo"… ajnavgkh ga;r suvnqesin ei\nai kaqavper ejx plivnqwn kai;livqwn toi'co": kai; to; mi'gma de; tou'to ejk swzomevnwn me;n e[stai tw'n stoiceivwn, kata; mikra;de; par a[llhla sugkeimevnwn. Phys. A 4, 187a 36-187b 2 (riferito ad Anassagora) to; loipo;nh[dh sumbaivnein ejx ajnavgkh" ejnovmisan ejx o[ntwn me;n kai; ejnuparcovntwn givnesqai, dia; mi-krovthta de; tw'n o[gkwn ejx ajnaisqhvtwn hJmi'n. diov fasi pa'n ejn panti; memi'cqai diovti pa'n ejkpanto;" eJwvrwn gignovmenon.

24 Krämer 1971, 266 n. 123 fa notare come in De Cael. G 1, 299a 2ss. la stessa accusa discuotere i principi della matematica sia rivolta contro gli Accademici e in Metaph. N 3,1090b 28 contro i sostenitori delle idee-numero. Se è vero che in un altro passo del De caelo(G 4, 303a 20-23, v. infra, n. 31) anche gli atomisti antichi vengono accusati di aver scon-volto i principi della matematica, osserva ancora Krämer, lo sono in quanto assimilati agliAccademici come assertori di grandezze indivisibili. Questo loro coinvolgimento in unapiù generale confutazione degli indivisibili diretta soprattutto contro le dottrine accademi-

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dedurre che Aristotele vede nell'ejlavciston soprattutto un concetto acca-demico, la grandezza minima indivisibile che scuote i principi della mate-matica25. Proprio nell'ambito degli attacchi a Senocrate sono più frequentianche le allusioni al corpuscolo democriteo interpretato come ejlavciston.Quest'ultimo costituisce per Aristotele il corrispettivo della monade/parte/ misura di Senocrate. In Metaph. M 8, 1084b 27ss., egli instaura unaesplicita relazione fra coloro che costruiscono la realtà dal "minimo" e gliAccademici. Questi ultimi avrebbero posto la monade come 'materia' delnumero, quelli il minimo come elemento costitutivo degli esseri. Il difettodegli Accademici è però quello di aver assunto contemporaneamente duetipi di unità, ambedue in qualche modo prime: la monade costitutiva delnumero ideale e il numero ideale stesso (la diade, la triade, la tetrade). Inrealtà Senocrate distingue fra questi due tipi di unità (l'una è la parte, l'altraè il tutto) e le pone a due differenti livelli: le unità che costituiscono iltriangolo in sé, indivisibile, non sono a loro volta triangoli, ma linee, che,avendo una sola dimensione, non appartengono più allo stesso ambito,cioè alle superfici. Il triangolo in sé è dunque nel contempo indivisibile, inquanto unità di misura delle superfici, e scomponibile, ma in unità cheappartengono ad un altro livello (la linea). Lo stesso vale per i numeriideali: la triade è una unità in quanto elemento ultimo del suo ambito,molteplicità in quanto può essere scomposta in monadi appartenenti peròad un livello superiore. Aristotele tuttavia non fa cenno a questa distin-zione e rimprovera ai sostenitori delle idee-numero di aver sbagliato ri-spetto a coloro che avrebbero posto dei minimi poiché questi ultimi nonconsiderano il corpo composto di corpuscoli una vera unità, gli Accade-mici ritengono invece anche il composto una unità a tutti gli effetti. Ari-stotele non fa alcun riferimento specifico, ma instaura un'analogia fra lemonadi componenti dell'idea-numero e i minimi posti da "alcuni" a fon-damento della realtà. I commentatori antichi vedono in questo branoun'allusione a Democrito e Leucippo26. L'attribuzione può essere il riflessodi una tradizione che dirotta sugli atomisti antichi ogni accenno all'ejlavci-ston, ma potrebbe anche corrispondere in questo caso all'intenzione diAristotele. Egli potrebbe infatti essersi servito a fini critici di una inter-

che è sottolineato dal rinvio ai libri della Fisica, Sul tempo e sul movimento. Il fatto che Simpl.In De cael. ad loc. 202,27-31 individui in Democrito o chiunque altro sostenga grandezzeminime l'obiettivo dell'attacco è semplicemente il riflesso di quella tradizione neoplatonicadi difesa degli Accademici che dirotta il più possibile su Democrito le critiche aristotelichecontro le grandezze indivisibili. Su questo, v. infra, VI 3. 4.

25 De cael. A 5, 271b 9-11 oi|on ei[ ti" ejlavciston ei\naiv ti faivh mevgeqo": ou|to" ga;r toujlavci-ston eijsagagw;n ta; mevgist a]n kinhvseie tw'n maqhmatikw'n.

26 [Alex.] In Metaph. 1084 b 23, 775,28; Syrian. In Metaph. 1084b 23, 152,20; Simpl. In De cael.271b 2, 202,27. Themist. In De cael. 271b 4-19, 22,16-19 mantiene invece la genericità delriferimento aristotelico (Si quis minimam aliquam esse dicat magnitudinem indivisibilem...).

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pretazione degli atomisti come sostenitori di minimi fisici proprio permostrare agli avversari che le loro teorie non erano migliori di quelle cheessi criticavano. Un parallelo si ritrova infatti in Metaph. Z 13 dove i soste-nitori dell'idea-numero risultano perdenti nel confronto con Democrito:

Perciò, se la sostanza è una, non sarà composta da sostanze che in essa si trovanoed è giusto il modo in cui si esprime Democrito: infatti dice che è impossibile chedal due derivi l'uno o dall'uno il due; egli, infatti, pone come sostanze le gran-dezze indivisibili. E' chiaro perciò che allo stesso modo staranno le cose in rela-zione al numero, se il numero, come dicono alcuni, è una composizione di mo-nadi; infatti o la diade non è un uno o non c'è alcuna monade in atto al suo in-terno27.

Il confronto con la diade accademica e l'ironica allusione all'aporia delFedone sulla causa della genesi del due (96e-97b), condizionano anche laformulazione della dottrina di Democrito in questo passo: la molteplicitàda cui non può derivare una unità citata altrove, diventa qui unicamente ildue28. L'obiettivo di Aristotele è infatti quello di dimostrare che gliAccademici non solo utilizzano gli stessi concetti di coloro che essi criti-cano, ma cadono in contraddizioni che quelli hanno evitato.

Alla stessa matrice critica nei confronti dell'atomismo senocrateo è dariportarsi la strana assimilazione di atomi democritei (non denominatiespressamente ejlavcista, ma considerati in ogni caso come oggetti mate-matici) e monadi di Senocrate che emerge in un passo del De anima sullateoria dell'anima come numero che muove se stesso. Le sferette dell'animadi Democrito sono considerate equivalenti a monadi in quanto, in rela-zione a questa tesi, non sarebbero rilevanti le loro diverse dimensioni, mail fatto che siano una quantità29. Le due dottrine così assimilate soggiac-ciono alle stesse obiezioni. L'obiettivo polemico principale è tuttavia pro-prio Senocrate e non Democrito30 in quanto Aristotele discute in partico-lare la definizione senocratea dell'anima come numero che muove sestesso (cf. A 4, 408b 32).

27 Metaph. Z 13, 1039a 7-14 (68 A 42 DK; 46, 211 L.) w{st eij hJ oujsiva e{n, oujk e[stai ejxoujsiw'n ejnuparcousw'n kai; kata; tou'ton to;n trovpon, o}n levgei Dhmovkrito" ojrqw'": ajduvna-ton ga;r ei\naiv fhsin ejk duvo e}n h] ejx eJno;" duvo genevsqai: ta; ga;r megevqh ta; a[toma ta;"oujsiva" poiei'. oJmoivw" toivnun dh'lon o{ti kai; ejp ajriqmou' e{xei, ei[per ejsti;n oJ ajriqmo;"suvnqesi" monavdwn, w{sper levgetai uJpov tinwn: h] ga;r oujc e}n hJ dua;" h] oujk e[sti mona;" ejnaujth'i ejnteleceivai.

28 Su questi passi, v. supra, III 4. 3 e n. 152.29 De an. A 4, 409a 10-15 (117 L.) dovxeie d a]n oujqe;n diafevrein monavda" levgein h] swmavtia

mikrav: kai; ga;r ejk tw'n Dhmokrivtou sfairivwn eja;n gevnwntai stigmaiv, movnon de; mevnhi to;posovn, e[stai ti ejn aujtw'i to; me;n kinou'n to; de; kinouvmenon, wJsper ejn tw'i sunecei': ouj ga;rdia; to; megevqei diafevrein h] mikrovthti sumbaivnei to; lecqevn, ajll o{ti posovn.

30 Come invece sostiene Silvestre 1985, 77.

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Nei contesti in cui riporta il termine o il concetto di ejlavciston, Aristotelesi riferisce dunque o ad una definizione generale di minimo applicataall'interpretazione di più dottrine presocratiche o, se allude specificamentea Democrito, lo fa nell'ambito di una polemica con Senocrate e conl'Accademia per dimostrare agli avversari che quei corpuscoli sono deltutto simili, se non superiori sul piano teorico, alle loro monadi. In que-st'ultimo caso è Aristotele stesso a spingere nella direzione matematiz-zante la concezione dell'atomo per farla aderire il più possibile alla mo-nade accademica.

C'è poi un altro tipo di contesto, complementare a questo, nel quale,per ragioni di economia, Aristotele sembra avvallare una interpretazionedell'atomo come minimo matematizzante. In questi casi egli si serve del-l'assimilazione dell'atomo all'ejlavciston kai; ajmerev", minimo indivisibile emisura, per la ragione opposta, per poter sollevare cioè contro Democritole stesse obiezioni da lui rivolte ai minimi di Senocrate e per non doversiquindi produrre in una critica specifica dell'atomismo antico. In questi casiegli rimanda puntualmente ai libri della Fisica, Sul tempo e sul movimento. Inquesto contesto rientra il rimprovero agli atomisti nel terzo libro del Decaelo di andare contro i principi della matematica e di confutare molteopinioni comuni e molti fenomeni ponendo corpi indivisibili31. Aristoteleutilizza qui strumentalmente un'interpretazione matematizzante dell'a-tomo democriteo che gli permette di cumulare un ulteriore motivo criticosenza doverlo poi sviluppare specificamente. Il fatto che rimandi ai libriSul tempo e sul movimento (rispettivamente il cap. 1 e 2 del sesto libro dellaFisica) diretti in generale contro gli indivisibili, ma principalmente controquelli accademici32, conferma che Aristotele economizza sulla discussionedel problema più specifico unificando sotto un'unica voce teorie demo-critee e indivisibili accademici. Ancora in De sens. 6, dove non menzionaespressamente alcun nome, allude agli indivisibili conoscibili solo col pen-siero e privi di qualità sensibili che risulterebbero dalla divisione dei corpicome a dei corpi "matematici":

talché necessariamente la sensazione deve essere divisibile all'infinito e ogni partedeve essere una grandezza sensibile; poiché è impossibile vedere il bianco senzavedere una quantità di colore bianco. Se infatti così non fosse, sarebbe possibilel'esistenza di un corpo privo di colore, di peso e di qualsiasi affezione del genere;talché un tal corpo non sarebbe per nulla sensibile, dal momento che i sensibilipossiedono queste affezioni. Dunque il sensibile sarebbe composto di enti non

31 De cael. G 4, 303a 20-23 (67 A 15 DK; 109 L.) pro;" de; touvtoi" ajnavgkh mavcesqai tai'"maqhmatikai'" ejpisthvmai" a[toma swvmata levgonta", kai; polla; tw'n ejndovxwn kai; tw'n fai-nomevnwn kata; th;n ai[sqhsin ajnairei'n, peri; w|n ei[rhtai provteron ejn toi'" peri; crovnou kai;kinhvsew".

32 Cf. Krämer 1971, 265s.

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sensibili. E' necessario invece che lo sia poiché non può essere certamente com-posto di enti matematici33.

Aristotele rimanda per la critica ancora agli stessi passi del sesto libro dellaFisica dove vengono trattati specificamente gli indivisibili, ma non è chiarose qui, nel De sensu, egli alluda solo all'atomismo accademico o anche al-l'atomismo democriteo interpretato in questa ottica34.

Il tratto caratterizzante dei passi aristotelici in cui il corpuscolo demo-criteo viene considerato un ejlavciston indivisibile contrario ai principidella matematica è dunque il confronto con concetti e teorie accademiche.Questo rafforza il dubbio che nella dottrina originale l'atomo non compa-risse in una problematica marcata da una visione matematizzante dellarealtà e dalla ricerca dei principi universali e che non fosse affatto unareazione al paradosso della divisibilità all'infinito. Giudicato però da que-st'angolazione, il corpuscolo solido e compatto degli atomisti antichi erainterpretabile come la particella ultima indivisibile risultato di una divi-sione finita e misura della realtà fisica, corrispondente in qualche modo alconcetto accademico di ejlavciston kai; ajmerev". L'astrattezza di tipo ma-tematico che caratterizza questa concezione urta però contro i tratti pecu-liari dei cosiddetti atomi di Leucippo e Democrito che non hanno unnumero definito di forme tali da poter "misurare" e ordinare il sensibile enon possono a loro volta essere "misurati" da un'unica unità di misura35.Gli ejlavcista kai; ajmerh' prospettati nel De lineis sono infatti misure primedelle lunghezze, delle superfici, dei solidi e dei corpi elementari, e corri-spondono ciascuno ad una unità nel loro ambito. L'interpretazione degliatomi di Leucippo e di Democrito sullo sfondo di problematiche e con-cetti ad essi estranei favoriva ovviamente le critiche, in particolare quellaall'infinità e all'irregolarità delle forme che emerge occasionalmente inAristotele e si intravvede dietro una osservazione marginale della Metafisicateofrastea, passi che verranno commentati qui di seguito.

33 De sens. 6, 445b 8-15 (110, 429 L.) w{st ajnavgkh thvn te ai[sqhsin eij" a[peira diairei'sqaikai; pa'n ei\nai mevgeqo" aijsqhtovn: ajduvnaton ga;r leuko;n me;n oJra'n, mh; poso;n dev. eij ga;r mh;ou{tw", ejndevcoit a]n ei\naiv ti sw'ma mhde;n e[con crw'ma mhde; bavro" mhd a[llo ti toiou'tonpavqo": w{st oujd aijsqhto;n o{lw", tau'ta ga;r ta; aijsqhtav. to; a[r aijsqhto;n e[stai sugkeivme-non oujk ejx aijsqhtw'n. ajll ajnagkai'on: ouj ga;r dh; e[k ge tw'n maqhmatikw'n.

34 De sens. 6, 445b 15-21 (110, 429 L.) e[ti tivni krinou'men tau'ta h] gnwsovmeqa… h] tw'i nw'i… ajllouj nohtav, oujde; noei' oJ nou'" ta; ejkto;" mh; met aijsqhvsew" o[nta, a{ma d eij tau't e[cei ou{tw",e[oike marturei'n toi'" ta; a[toma poiou'si megevqh: ou{tw ga;r a]n luvoito oJ lovgo". ajll ajduvna-ta: ei[rhtai de; peri; aujtw'n ejn toi'" lovgoi" toi'" peri; kinhvsew".

35 Il problema è stato rilevato da Sinnige 1968, 152s. che proprio su queste basi rifiuta lacaratterizzazione matematica che in più punti Aristotele attribuisce all'atomo degli atomistiantichi presentandolo come risultato della divisibilità all'infinito. Su questo problema si èappuntata in particolare anche l'attenzione della critica anglosassone, cf. Baldes 1972, 1;Konstan 1987, 6 n. 7; Furley 1987, 127ss.; Lewis 1990, 249ss.

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L'ultima parte di De caelo G 4, è, come giustamente osserva Krämer36,fondamentale per individuare dei residui di interpretazioni accademichedegli atomisti in Aristotele in quanto ripropone in sequenza tutti i puntiqualificanti di quella esegesi dell'atomo ora delineata. Il passo si apre in-fatti con un breve resoconto sull'atomismo che si conclude inopinata-mente con l'osservazione:

in un certo modo anche costoro riducono tutte le cose esistenti a numeri e lefanno composte di numeri; e infatti, anche se non lo dichiarano apertamente,tuttavia vogliono dire proprio questo37.

Ora, questo contrasta con tutti gli altri giudizi aristotelici che voglionol'atomismo antico distinto da quello platonico proprio per il fatto chepone a fondamento del reale dei corpi e non degli enti matematici, maconcorda con una visione matematizzante degli atomi considerati comeunità tutte uguali alla stregua di quelle numeriche e, come tali, misureultime della realtà38. Da questa interpretazione scaturisce la successivacritica alle forme infinite degli atomi:

Ancora neppure secondo la loro teoria sembrerebbe che gli elementi fossero in-finiti se i corpi differiscono per la figura e tutte le figure sono composte da pira-midi, quelle rette da piramidi rette, la sfera da otto parti. Infatti necessariamenteci sono dei principi delle figure. Cosicché, sia che questi principi siano uno, siache siano due o più, anche i corpi semplici saranno altrettanti per numero39.

Queste teorie della composizione degli elementi da piramidi sono stateattribuite a diversi allievi di Platone40, ma la matrice accademica della cri-tica non è mai stata messa in discussione. Le forme degli atomisti, che nonhanno nulla a che fare con le figure matematiche, vengono interpretate ecriticate alla luce della concezione accademica esposta da Aristotele stesso

36 Krämer 1971, 265.37 Arist. De cael. G 4, 303a 8-10 (67 A 15 DK; 109 L.) trovpon gavr tina kai; ou|toi pavnta ta;

o[nta poiou'sin ajriqmou;" kai; ejx ajriqmw'n: kai; ga;r eij mh; safw'" dhlou'sin, o{mw" tou'tobouvlontai levgein.

38 Questa è anche l'interpretazione fornita dai commentatori, cf. Themist. ad loc. 178,8-22;Simpl. ad loc. 610,3-7.

39 Arist. De cael. G 4, 303a 29-303b 3 e[ti oujde; kata; th;n touvtwn uJpovlhyin dovxeien a]n a[peiragivgnesqai ta; stoicei'a, ei[per ta; me;n swvmata diafevrei schvmasi, ta; de; schvmata pavntasuvgkeitai ejk puramivdwn, ta; me;n eujquvgramma ejx eujqugravmmwn, hJ de; sfai'ra ejx ojktw;morivwn. ajnavgkh ga;r ei\naiv tina" ajrca;" tw'n schmavtwn. w{ste ei[te miva ei[te duvo ei[tepleivou", kai; ta; aJpla' swvmata tosau'ta e[stai to; plh'qo".

40 Heinze 1892, 70 n. 1 e Cherniss 1962, 143 le hanno attribuite a Senocrate, Isnardi Parente1982, 357s. a Speusippo, Furley 1967, 98 e Krämer 1971, 265 le hanno riportate ad unesempio di scuola corrente nell'Accademia. Assolutamente infondata è invece la tesi di Lu-r'e 1970 che, in accordo con la sua concezione di un Democrito matematico, le riferisce aquest'ultimo (Test. 130), pur ammettendone la "somiglianza" con quelle accademiche (450ad loc.). La sua interpretazione è stata tuttavia ripresa anche da Baldes 1972, 2 e 10 n. 5.

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poco dopo41 secondo cui gli elementi sono costituiti ciascuno da una fi-gura solida la prima delle quali è la piramide42. In questo capitolo Aristo-tele si serve dunque sia di argomenti accademici contro gli atomisti43, siadel modello di assimilazione di atomismo antico e accademico per criti-care ambedue.

Del resto anche in Teofrasto, che ci restituisce la versione più marca-tamente fisica delle dottrine democritee e leucippee, sono individuabili, inun accenno dell'ultimo capitolo della Metafisica (11b 17-22), residui di unacritica alle forme atomiche espressa dall'ottica matematizzante secondocui gli indivisibili sono le unità di misura dei vari gradi dell'essere. Teofra-sto, conclude il suo trattato dicendo che negli enti non esiste un ordineassoluto, né un finalismo assoluto, ma solo fino ad un certo punto. Suqueste basi classifica una serie di enti in relazione al grado di ordine cheessi possiedono:

sembrerebbe che, fra i sensibili, possedessero il massimo ordine i corpi celesti, fragli altri, se non sono addirittura precedenti a questi ultimi, gli oggetti matematici.Se anche infatti non tutto in questi è ordinato, almeno lo è la maggior parte diloro, a meno che non si prendano in considerazione forme quali quelle che De-mocrito attribuisce agli atomi44.

La sequenza teofrastea è ordinata in maniera dicotomica: da una parte gliaijsqhtav (nel cui ambito il massimo ordine è rapppresentato dai corpicelesti), dall'altra i maqhmatikav che fanno parte dei nohtav. Subordinata-mente a quest'ultima voce Teofrasto cita specificamente le forme democri-tee. Qui non solo è presupposta la distinzione fra aijsqhtav e nohtav pre-sente anche nelle argomentazioni dei "Pitagorici" di Sesto, ma anche ilmodello esegetico di De caelo G 4 che considera gli atomi alla stessa streguadegli oggetti matematici. L'accenno alle forme non va interpretato tantocome la possibilità dell'introduzione di un disordine reale in questi ultimi,quanto piuttosto come un caveat nei confronti di dottrine come quella di

41 G 4, 304a 14ss., v. supra, n. 4.42 Temistio, nel commento al passo, mette proprio in rilievo questa incongruenza di giudicare

le figure atomiche e di criticarle come se fossero delle figure matematiche, In De cael.181,29-34 Perspicuum est autem et manifestum figuras regulatas esse finitas, quemadmodum sunt omnesfigurae, quae equilaterae sunt ac aequis angulis constant, figurae autem irregulatae termino ac fine vacant.

Itaque si isti dixerint individua ita se habere, quemadmodum etiam dicere solent, consentaneum non est, ut

per hunc sermonem eis opponatur.43 Non si tratta quindi semplicemente di un uso arbitrario da parte di Aristotele della dottrina

del Timeo per confutare Democrito (Cherniss 1935, 6s.), ma della ripresa di una critica cor-rente nell'Accademia basata sulla considerazione delle figure atomiche come solidi regolari.Il contesto stesso giustifica quest'uso.

44 Theophr. Metaph. 11b 17-22 (175 L.) mavlista d a]n dovxeien e[cein thvn ge tavxin tw'n me;naijsqhtw'n ta; oujravnia, tw'n d a[llwn, eij mh; a[ra kai; provtera touvtwn, ta; maqhmatikav: eijga;r kai; mh; pa'n ajll ejn touvtoi" plevon to; tetagmevnon. plh;n ei[ ti" toiauvta" lambavnoi ta;"morfa;" oi{a" Dhmovkrito" uJpotivqetai tw'n ajtovmwn.

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Capitolo quinto 201

Democrito: le forme atomiche si situano sì al di fuori del sensibile, manon possono essere paragonate agli oggetti matematici proprio per le loroforme irregolari. La distanza da questi ultimi è sottolineata dall'uso daparte di Teofrasto del termine morfaiv che designa l'aspetto, la foggia ingenerale, ma non le forme geometriche (schvmata). Questa equiparazionecon, e nel contempo distinzione dagli oggetti matematici costituisce uncaso singolare nell'esegesi teofrastea dell'atomismo antico e si giustifica colfatto che nella Metafisica Teofrasto presta maggiore attenzione alle tesiaccademiche45.

Proprio la trattazione delle forme e delle grandezze fa risaltare la di-versa ottica con cui gli atomisti antichi affrontano il tema della genera-zione e della corruzione rispetto agli Accademici. Se i corpuscoli indi-struttibili degli atomisti presentano variazioni infinite di forma e gran-dezza, significa che essi erano concepiti non come unità minime cui siarriva per divisione di corpi e grandezze omogenee, ma, al contrario,come corpuscoli indistruttibili ed eterni da cui si parte per comporre unavarietà infinita di corpi: l'infinità delle forme è concepita a questo fine46 eforme particolari degli atomi, come quelle uncinate e ad amo hanno sensoin un'ottica costruttivistica47 non in una prospettiva matematizzante chearriva ai minimi per divisione48. Aristotele faceva osservare nel De caelo chela differenza fra la fisica e la matematica sta nel fatto che l'una procede peraddizione l'altra per sottrazione49. Questa definizione si addice anche alladiversità di impostazione e di origine fra l'atomismo antico e quello acca-demico. Interpretare gli atomi come risultanti da una divisione in parti

45 Gli ultimi editori della Metafisica teofrastea hanno visto in questo accenno alle forme demo-critee un problema che è forse risolvibile se correlato con il contesto interpretativo piùampio dell'atomismo in generale. Laks-Most 1993, 88, pur ammettendo che l'irregolaritàdelle forme atomiche spiegherebbe l'allusione ad un disordine negli enti matematici, riten-gono inutile il plh;n eij in quanto gli atomi di Democrito non sono affatto forme geometri-che. L'eccettuativa si giustifica però alla luce della critica di matrice accademica contro l'in-finità e l'irregolarità delle forme che si ritrova anche in De caelo G 4.

46 Cf. Theophr. Fr. 229 FHS&G (Simpl. In Phys. 184b 15, 28,22) (68 A 38 DK; 318 L.) w{steeujlovgw" ajpeivrwn oujsw'n tw'n ajrcw'n pavnta ta; pavqh kai; ta;" oujsiva" ajpodwvseinejphggevllonto, uJf ou| tev ti givnetai kai; pw'".

47 Cf. Arist. Fr. 208 Rose (Simpl. In De cael. 279b 12, 295,14-18) (68 A 37 DK; 227, 293 L.)tou' de; summevnein ta;" oujsiva" met ajllhvlwn mevcri tino;" aijtia'tai ta;" ejpallaga;" kai; ta;"ajntilhvyei" tw'n swmavtwn: ta; me;n ga;r aujtw'n ei\nai skalhnav, ta; de; ajgkistrwvdh, ta; de;koi'la, ta; de; kurtav, ta; de; a[lla" ajnarivqmou" e[conta diaforav". Cf. Stob. 1,22,1 (67 A 23DK; 386 L.) Leuvkippo" kai; Dhmovkrito" citw'na kuvklwi kai; uJmevna periteivnousi tw'ikovsmwi, dia; tw'n ajgkistroeidw'n ajtovmwn sumpeplegmevnon. Cf. anche Diog. Laert. 9,31ss.(67 A 1 DK; 382 L.); Theophr. Fr. 229 FHS&G (Simpl. In Phys. 184b 15, 28,19-22) (68 A38 DK; 318 L.); Id. De sens. 66 (68 A 135 DK; 496 L.).

48 Non a caso le critiche all'indivisibilità dell'atomo nella tradizione tarda (v. infra, VI 3. 2. 1 e3. 2. 2) si appuntano in particolare contro tali forme atomiche.

49 Arist. De cael. G 1, 299a 17s.; cf. anche Metaph. K 3, 1061a 28-1061b 7.

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sempre più piccole di un corpo, significa infatti inserirli in una soluzionematematizzante del problema dell'infinita divisione che subordina ilmondo fisico ai principi incorporei e alla definizione di essere e uno tipicadell'Accademia. Significa inoltre isolare il corpuscolo degli atomisti dallasua caratteristica peculiare, il movimento, e soprattutto sradicarlo dalcontesto socio-politico e culturale del tempo in cui è stato concepito.Un'astrazione in questo senso viene operata in certi contesti da Aristotelestesso. Se si guarda infatti ai tre termini che egli riporta come originalidemocritei e che designano le potenzialità generatrici del corpuscolo diLeucippo e Democrito, rJusmov", trophv, diaqighv, si può percepire chiara-mente la distanza che separa una concezione del mondo di tipo compo-nenziale e dinamico articolata su uno sfondo socio-politico da una di tipoafairetico e statico concepita in termini matematico-dialettici. Gli atomisono rappresentati come esseri viventi che si muovono e si combinano inun contesto di lotte e di cambiamenti, gli ejlavcista kai; ajmerh' che inveceemergono dai resoconti sugli indivisibili accademici hanno tutte le caratte-ristiche astratte delle unità matematiche e derivano da una scomposizioneteorica della realtà fisica subordinata alla definizione di essere e di uno.Aristotele traduce dunque in una terminologia più adeguata ai problemiteorici dell'atomismo del suo tempo i termini originali democritei con ilrisultato di trasformare l'atomo da corpo in movimento ad entità spazialeastratta50, non solo, ma di privarlo di quelle connotazioni che riflettonouna realtà socio-politica dell'ultimo terzo del V sec. a.C. Così la denomi-nazione sch'ma, per rJusmov", trasforma l'atomo in una figura statica eastratta alla stregua delle figure geometriche platoniche. ÔRusmov" veicolatuttavia un'immagine dinamica: il "ritmo" è il passo cadenzato della danzae della marcia51. I poeti arcaici lo usano poi per indicare una "disposi-zione" dell'essere umano in una sequenza mutevole o in una varietà di

50 Sul tratto del movimento indissolubilmente legato alle denominazioni dell'atomo democri-teo e sulla completa scomparsa di tale caratterizzazione nelle traduzioni aristoteliche, cf.von Fritz 1938, 25-29; Silvestre 1981, 40ss. sottolinea ulteriormente questo fatto, ma in-travvede nel termine rJusmov" "la proporzione e il rapporto armonico esistente tra le misurefondamentali dell'atomo (che ha elencato prima in configurazione esteriore, altezza, lar-ghezza, profondità ecc.)" o "il rapporto esistente tra la forma e la grandezza dell'atomo"(42). In questa definizione tuttavia viene tacitamente presupposto che l'atomo sia conce-pito come teoreticamente divisibile e che possieda dei minimi con i quali essere misurato,insomma che coincida con l'atomo epicureo. Se la misura non viene concepita inoltre neitermini di una misura di lunghezze come il minimo dell'atomo di Epicuro, riesce difficileimmaginare come possa essere concretamente pensabile una misura di forme irregolaricome quelle degli atomi democritei. Per una recente e approfondita analisi del termine, cf.ora Morel 1996, 54-59.

51 Ar. Th. 956; Xen. An. 5,4,14; Cyr. 1,3,10; Pl. Leg. 670b.

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stati d'animo52. Anche nell'uso erodoteo, già molto vicino a quellodemocriteo, il termine compare in un contesto di cambiamento. Erodotoriporta l'origine delle lettere greche all'alfabeto fenicio: i Greci ne avreb-bero col tempo cambiato il suono e la "foggia"53. Il titolo di un'operademocritea, che, per lingua e terminologia sembra essere originale, è:"Sulle cose che cambiano foggia" (Peri; ajmeiyirusmiw'n54). In altri testicontemporanei a Democrito rJusmov" significa la "foggia" particolare di unvestito o di qualche altro capo di abbigliamento che lo distingue da altri ene caratterizza la provenienza geografica55. Dunque rJusmov" non è la figurageometrica di un atomo isolato e astratto, bensì l'aspetto caratteristico edistintivo di un corpuscolo in movimento in un contesto vario e mutevoleo comunque di forma irregolare. Trophv rimanda anch'essa ad un cambia-mento, in quanto indica la "giravolta" di un atomo in movimento ed ètratto sicuramente dal lessico militare56: trophv è infatti l'atto di volgersi infuga di fronte al nemico57. Nel frammento aristotelico su Democrito aleg-gia in effetti l'immagine di una stavsi", di una "guerra civile", nella qualegli atomi si scontrano gli uni con gli altri:

Queste essenze sono in lotta l'una contro l'altra e si muovono nel vuoto a causadella loro disuguaglianza e delle altre differenze summenzionate e, muovendosi,si scontrano e si avviluppano…

Alcuni atomi, nello scontro, si "volgono in fuga" di fronte ad altri; eccodunque la trophv. Quello di Aristotele è un contesto cosmogonico, ma la

52 Cf. e.g. Archil. Fr. 128,6s. West ajlla; cartoi'sivn te cai're kai; kakoi'sin ajscavla/ mh; livhn,givnwske dæ oi|o" rJusmo;" ajnqrwvpou" e[cei. Theogn. 1,963s. mhvpotæ ejpainhvshi", pri;n a]neijdh'i" a[ndra safhnw'"/ ojrgh;n kai; rJuqmo;n kai; trovpon o{sti" a]n h\i.

53 Hdt. 5,58,1 meta; de; crovnou probaivnonto" a{ma th'i fwnh'i metevballon kai; to;n rJuqmo;n tw'ngrammavtwn. Come ha già ricordato il von Fritz 1938, 25s. una relazione diretta fra i due usi,erodoteo e democriteo, è comunque inverosimile.

54 Diog. Laert. 9,47 (68 A 33 DK; CXV (V) L.).55 [Hippocr.] Art. 62 (II,214,2 Kühlewein = IV,268 Littré), per la foggia particolare delle

calzature chiote. Cf. anche Eur. Her. 130 per la foggia "greca" del peplo.56 Non bisogna dimenticare che fra i titoli di Democrito compaiono anche un Taktiko;n e un

ÔOplomacikovn. Queste opere sono state talvolta considerate spurie dalla critica modernasolo in seguito al pregiudizio che Democrito, da filosofo qual era, non avesse potuto scri-vere anche opere tecniche di questo genere. In realtà Democrito non è un filosofo, ma untipico polymathes dell'ultimo terzo del V sec. a.C. (come lo era del resto Ippia) il cui trattocaratterizzante è appunto quello di invadere anche il campo delle technai. Il sofista Dioni-sodoro che conosciamo anche da Platone tiene fra l'altro anche corsi di tattica militare(Xen. Mem. 3,1,1). Democrito esortava ad imparare la tevcnh polemikhv poiché era impor-tantissima. Plut. Adv. Colot. 1126 A (68 B 157 DK; 728 L. w|n Dhmovkrito" me;n parainei' thvnte polemikh;n tevcnhn megivsthn ou\san ejkdidavskesqai...). La lezione politikhvn che si trovain Diels (e in Lur'e) è una correzione di Reiske della lezione dei manoscritti, cf. invece DeLacy 1967 ad loc.

57 Hdt. 1,30; Thuc. 2,19; 6,69 al.; Aesch. Ag. 1237; Soph. Aj. 1275; [Eur.] Rhes. 82; Ar. Eq.246.

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Atomi e minimi204

trophv è un fenomeno frequente anche all'interno dei composti nel mondoattuale tenuti insieme da una ajnavgkh più forte delle loro spinte centrifu-ghe: in questo caso la "giravolta" non comporta una "fuga", ma determinasemplicemente un assetto diverso del composto stesso: il corpo cambia,ad esempio, colore. Aristotele traduce il termine con qevsi" eliminandonon solo l'aspetto dinamico e il carattere relazionale di questa "giravolta",ma soprattutto cancellando tutto il complesso di immagini e connotazionisocio-politiche evocate da questo termine e sradicandolo dal contesto incui è stata concepito.

Gli atomi in movimento dunque si scontrano: gli uni si 'volgono', glialtri invece, evidentemente quelli che hanno forme complementari, ri-mangono "impigliati" nella lotta e, volenti o nolenti, imprigionati nell'ab-braccio adattandosi senza arrivare però mai ad una unione completa.Questo processo di reciproco contatto è definito diaqighv. Si tratta di unhapax, ma qiggavnw significa, oltre che "toccare", anche "abbracciare" eavere rapporti sessuali58. Il termine rimanda dunque all'immagine di unalotta che tuttavia, producendo dei "contatti" anche forzati, può trasfor-marsi in una forza generatrice. Anche la diaqighv determina l'apparenzadei composti: il contatto può essere più o meno stretto, riguardare super-fici più o meno ampie e dare origine ad aggregati più o meno omogenei,più friabili o più compatti, come nel caso degli oggetti bianchi descritti daTeofrasto59. Aristotele traduce il termine con tavxi", l'ordine degli atomi inun composto, eliminandone il carattere di reciprocità, il dinamismo esoprattutto le connotazioni che stanno alla radice dell'immagine. I corpu-scoli di Leucippo e Democrito sono concepiti sullo sfondo di una visionesocio-politica della natura, dove singoli individui resistenti e indistruttibili,in continua fibrillazione, forniti di movimenti propri e spiccate tendenzeall'autonomia, rimangono volenti o nolenti impigliati in aggregazioni alea-torie60. Era però inevitabile che, una volta inseriti in una visione mate-matizzante e astratta finalizzata al discorso sugli indivisibili e sui principi,questi corpuscoli assumessero quelle caratteristiche concettuali astratteche si incontrano in molti resoconti aristotelici e venissero interpretaticome ejlavcista, corpuscoli minimi che, in qualità di riflessi dell'uno nelmondo fisico, lo misurano e lo ordinano e che, quanto non rientrava inqueste categorie, fosse o modificato, o criticato, o espunto. Si tratta di unacostante dei processi di assimilazione culturale alla quale la prassi scola-stica imprime talvolta una accelerazione innaturale.

58 "Abbracciare": Eur. Ph. 300. "Avere contatti sessuali": Eur. Hippol. 885, 1044; Soph. OC329. Per altri termini dello stesso campo semantico usati nella dossografia democritea eprobabilmente originali, cf. Decleva Caizzi 1984, 14s.

59 De sens. 73 (68 A 135 DK; 484 L.).60 V. infra, VII. 3.

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Capitolo quinto 205

3. Terminologia accademica nelle denominazioni degli atomiin Aristotele

L'influsso della problematica accademica degli indivisibili è particolar-mente marcato a livello terminologico quando Aristotele menziona i cor-puscoli democritei nell'ambito del tema più generale delle grandezze indi-visibili e prime, o li confronta con i triangoli platonici. Qui di seguitoprenderò in esame i singoli termini tecnici con cui Aristotele designa l'a-tomo sottolineando, all'occasione, la differenza fra il contesto aristotelicoe quello dell'uso del termine nel V sec. a.C., l'età in cui la dottrina atomi-stica è stata formulata.

“Atoma. Il termine a[tomon è considerato generalmente originale de-mocriteo e probabilmente è così. Senza voler negare il valore di tutta unatradizione che assegna a Leucippo e a Democrito come carattere distin-tivo proprio la denominazione "atomo", non ci si può tuttavia nascondereche le testimonianze, in particolare quella aristotelica, lasciano aperte dellequestioni sul suo uso e sul suo reale significato, che devono comunqueessere rilevate.

Una famosa citazione democritea corrente in molti testi tardi recita:per convenzione dolce, per convenzione amaro, per convenzione caldo, per con-venzione freddo, per convenzione colore, in realtà atomi e vuoto61.

Il termine compare qui al neutro e non permette particolari considerazionisul suo significato originario. Della massima in questa forma non sembraessere rimasta traccia in Aristotele. Teofrasto vi allude in un passo del Desensu62 nel quale però parla di schvma e non di a[tomon. Plutarco, nella Con-tro Colote, ne riporta la parafrasi specificando che Democrito chiamava gli

61 Cito la versione più ampia riportata da Sext. Emp. Adv. Math. 7,135 (68 B 9 DK; 55 L.)novmwi glukuv, novmwi pikrovn, novmwi qermovn, novmwi yucrovn, novmwi croihv: ejteh'i de; a[tomakai; kenovn. Cf. anche Diog. Laert. 9,72 (68 B 117 DK; 51 L.). Altre versioni nonmenzionano il caldo e il freddo, cf. Gal. De elem. sec. Hipp. 2,9 (60,8 De Lacy = I,2,417 K.)(68 A 49 DK; 90, 185, 197 L.), cf. De med. empir. 15,7, 114 Walzer (68 B 125 DK; 79-80 L.).Su queste varianti, cf. Gemelli Marciano 1998. La formulazione della seconda parte dellacitazione è invece costante in tutti gli autori. Ho dato qui di proposito una traduzione il piùpossibile neutra che lascia aperta la via per più di una interpretazione. Quella esistenziale("per convenzione [è il] dolce… in realtà [ci sono solo] atomi e vuoto") risale all'Accade-mia scettica e viene ripresa dai neopirroniani, quella relativistica (per convenzione [qual-cosa] è dolce… in realtà [è] atomi e vuoto) è riflessa in Galeno. La prima nega esistenza evalore alle qualità sensibili, l'altra invece ne sottolinea unicamente la relatività. Su questamassima e sulla sua trasmissione e interpretazione, cf. Gemelli Marciano 1998.

62 De sens. 69 (68 A 135 DK; 3, 441 L.) aJplw'" de; to; me;n sch'ma kaqæ auJtov ejsti, to; de; gluku;kai; o{lw" to; aijsqhto;n pro;" a[llo kai; ejn a[lloi", w{" fhsin.

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Atomi e minimi206

atomi ijdevai: "tutto è atomi, da lui chiamati forme, e nient'altro"63. Questipassi fanno balenare la possibilità che a[toma, nella formulazione correntedella massima, sia stato sostituito ad ijdevai certamente meno indicativo,ma ben attestato anche per Democrito64. A favore di a[toma, però, depon-gono il ritmo e l'eufonia.

L'uso e il significato del termine a[tomon (sw'ma?) da parte degli atomi-sti si presentano dunque un poco più problematici di quanto a prima vistanon sembri. Mi limiterò qui ad accennare ad un'ulteriore stranezza. Ari-stotele, nel già citato frammento dell'opera su Democrito65, non riporta frale denominazioni dei corpuscoli democritei il termine a[tomon. Sebbene lecorrispondenze da lui istituite non siano del tutto precise66, rimanecomunque singolare che egli non faccia alcun cenno proprio ad unadenominazione che in altri testi ritiene scontata e fondamentale, tanto piùche riporta quella molto più inusuale di nastovn. I corpuscoli di Democritovengono definiti mikrai; oujsivai, o[nta, nastav, devn, ma non a[toma néajdiaivreta, né compare alcun accenno all'indivisibilità. Il fatto che essivengano a contatto senza fondersi mai in un solo ed unico corpo è spie-gabile, come si è visto, con la compattezza e la durezza e non presupponenecessariamente il discorso teorico sull'indivisibilità67. Se si confronta,però, il passo parallelo di Metaph. Z 13, 1039a 7-14 citato sopra68 doveAristotele oppone esplicitamente Democrito a Senocrate, si osserva comele oujsivai del primo siano senza esitazione qualificate come a[toma megevqh(ta; ga;r megevqh ta; a[toma ta;" oujsiva" poiei'). Lo stesso fenomeno si ri-scontra in altri resoconti aristotelici dove esse vengono designate con lastessa espressione o come a[toma o a[toma swvmata. In generale si tratta di

63 Plut. Adv. Colot. 1111 A (68 A 57 DK; 198 L.) ei\nai de; pavnta ta;" ajtovmou", ijdeva" uJpaujtou' kaloumevna", e{teron de; mhdevn. Non sono assolutamente giustificate quelle inter-pretazioni che considerano a[tomoi attributo di ijdevai (cf. Diels-Kranz, ad loc., II, 99 app.;Alfieri 1936, 100 n. 228; id. 1979, 59s.). Come già faceva notare Westman 1955, 269s., lacostruzione sintattica indica chiaramente che Plutarco attribuisce a Democrito l'esistenzareale solo di quelli che nella tradizione sono chiamati atomi e che l'Abderita, invece, defi-niva ijdevai. L'altra interpretazione richiederebbe una diversa costruzione: ei\nai de; pavntata;" uJp aujtou' kaloumevna" ajtovmou" ijdeva", e{teron de; mhdevn.

64 Cf. Sext. Emp. Adv. Math. 7,137 (68 B 6 DK; CXVI, 48 L.) ejn de; tw'i Peri; ijdew'n. Simpl.In Phys. 195b 31, 327,24s. (68 B 167 DK; 19, 288 L.) dei'non ajpo; tou' panto;" ajpokriqh'naipantoivwn eijdevwn. Simplicio la riporta come citazione letterale attingendo probabilmente adEudemo menzionato immediatamente dopo (327,27). La forma eijdevwn non è in ogni casodemocritea.

65 Fr. 208 Rose (Simpl. In De cael. 279b 12, 295,1ss.) (68 A 37 DK; 172, 197, 293 L.).66 Cf. ad esempio la denominazione a[peiron con la quale, secondo Aristotele, Democrito

avrebbe indicato il vuoto. Nel resoconto di Diogene Laerzio su Leucippo, a[peiron è in-vece il tutto, l'insieme del pieno e del vuoto (Diog. Laert. 9,31 = 67 A 1 DK; 289 L.).Forse Aristotele interpretava una espressione del tipo ejn ajpeivrwi kenw'i.

67 V. supra, III 4. 3 n. 152.68 V. supra, n. 27.

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Capitolo quinto 207

contesti che, o utilizzano schemi di classificazione correnti69, o instauranocomunque delle analogie con forme di atomismo accademico70.

Altre singolarità si riscontrano nei testi teofrastei. Le testimonianzeche risalgono a lui solo in maniera indiretta non fanno testo in quanto iltermine compare nella forma femminile adottata dall'epicureismo e cor-rente negli autori tardi, hJ a[tomo"71. Nei testi originali di Teofrasto ricorreinvece solo due volte, e nella forma neutra, di cui una nel De causis planta-rum, quando nega che le forme di Democrito possano trasformarsi unanell'altra per generare un succo da un altro: "infatti l'atomo è incapace dipatire"72. Quest'ultima osservazione è un inciso di Teofrasto perfettamenteconsonante col giudizio aristotelico di De gen. et corr. A 8, 326a 1 ("è neces-sario definire ajpaqev" ciascuno degli indivisibili"). Nel passo della Metafisicacitato nel paragrafo precedente, il termine è correlato, come detto, con lacaratterizzazione matematica del corpuscolo democriteo. Singolare èinoltre che nel De sensibus, nel lungo resoconto sulla teoria democriteadelle sensazioni (di cui la famosa massima dovrebbe fare parte), non siparli mai di a[toma, ma sempre e solo di schvmata. Se, nonostante tutto, siaccetta il termine a[tomon come originale, si pone comunque il problemasemantico. Non è infatti scontato che Democrito gli attribuisse quel signi-ficato tecnico di "indivisibile" che assume in Platone e nella sua scuola ein Aristotele. Il termine è rarissimo prima di Platone e si incontra solo unavolta nelle Trachinie di Sofocle. Il prato dell'Eeta, consacrato a Zeus, èdefinito a[tomo", non naturalmente nel senso di "indivisibile", ma in quellodi "non tagliato, non falciato, inviolato"73. Più tardi, nel V sec. a.C., vieneutilizzato dal comico Efippo per indicare la barba fluente, "non tagliata"

69 Cf. De an. A 2, 404a 2 (67 A 28 DK; 200 L.) ajpeivrwn ga;r o[ntwn schmavtwn kai; ajtovmwn ta;sfairoeidh' pu'r kai; yuch;n levgei, dove kai; ajtovmwn sembra piuttosto una aggiunta aschmavtwn ripreso subito dopo da sfairoeidh'.

70 Cf. De gen. et corr. A 2, 316a 11ss. dove le dottrine di Democrito e Leucippo vengonotrattate nel problema generale dell'esistenza di a[toma megevqh e confrontate con quelle ac-cademiche. Cf. anche De cael. G 4, 303a 20-23, supra, n. 31, dove a Democrito viene mossal'accusa, coniata specificamente per i Platonici, di andare contro i principi della matematica.

71 Theophr. Fr. 229 FHS&G (Simpl. In Phys. 184b 15, 28,4ss.) (67 A 8 DK; 147 L.; 68 A 38DK; 318 L.); Theophr. Fr. 238 FHS&G (Simpl. In De cael. 299a 2, 564,24-26) (68 A 120DK; 171 L.); Diog. Laert. 9,30ss. (67 A 1 DK; 289, 382 L.).

72 Theophr. De caus. plant. 6,7,2 (68 A 132 DK; 499 L.) Dhmokrivtwi mevn ge pw'" pote ejxajllhvlwn hJ gevnesi" (scil. tw'n cumw'n) ajporhvseien a[n ti". ajnavgkh ga;r, h] ta; schvmata metar-ruqmivzesqai, kai; ejk skalhnw'n kai; ojxugwnivwn periferh' givnesqai ª...º. ejpei; dæ ajduvnatonmetaschmativzesqai, (to; ga;r a[tomon ajpaqev"), loipo;n ta; me;n eijsievnai ta; dæ ejxievnai h] ta;me;n uJpomevnein ta; dæ ejxievnai. Nella composizione del colore verde in De sens. 75 (68 A 135DK; 484 L.), invece, il termine a[tomon non compare to; de; clwro;n ejk tou' stereou' kai; tou'kenou' sunestavnai meikto;n ejx ajmfoi'n.

73 Soph. Tr. 200 w\ Zeu', to;n Oi[th" a[tomon o}" leimw'n e[cei". Questo passo viene segnalato,proprio per questo significato di "non tagliato", anche da Lewis 1998, 2s. n. 1, il quale perònon ne trae alcuna conclusione.

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Atomi e minimi208

dei filosofi74. Il termine, nel suo uso corrente, designa dunque un oggettosu cui non è intervenuto alcun strumento da taglio. Il significato di "indi-visibile" è attestato solo a cominciare da Platone che ne fa un terminetecnico della diaivresi" logica75 così come aveva fatto con stoicei'on nel-l'ambito della fisica per designare gli elementi76. Se Democrito si attenevaal significato corrente ai suoi tempi, gli a[toma swvmata erano non corpi"indivisibili", ma corpi intatti su cui non è intervenuto nessun strumentoda taglio. In questa accezione il termine evoca una bella immagine anassa-gorea

le cose che si trovano in un insieme ordinato77 non stanno separate una dall'altrané è reciso con la scure ciò che è caldo da ciò che è freddo né ciò che è freddo da ciòche è caldo78.

A loro modo anche gli "omeomeri" di Anassagora sono "atomi", inquanto le loro componenti basilari non sono separate una dall'altra né"tagliate con la scure", ma sono sempre lì, tutte insieme. L'azione separa-trice del Nous infatti, non si esercita su di loro, ma sulla mescolanza ingenerale. L'immagine è molto concreta ed evocativa e precorre in un certosenso quella degli "atomi" di Democrito: a[tomon è quel corpo che nes-suna lama ha mai reciso, che è rimasto intatto, non scalfito da nessunaajnavgkh. Non si tratta in questo caso di un significato tecnico derivatodalla problematica della divisione, ma di un termine che evoca un'imma-gine. Una stessa carica evocativa ha anche un altro hapax democriteomolto vicino per formazione a a[tomon cioè ajpavthton, "non calcato dapiede", per designare ciò che ha una struttura irregolare79. Questa termi-nologia, che attinge alla realtà della vita ed è altamente evocativa e pitto-rica è caratteristica di Democrito80. Se dunque anche a[tomon è terminedemocriteo, difficilmente lo è il suo significato tecnico "indivisibile", ti-pico di Platone e della sua scuola. L'estensione delle connotazioni che laparola aveva assunto nella problematica della diaivresi" e degli indivisibilianche all'uso democriteo era però naturale per chi osservava le dottrine diDemocrito dall'ottica astratta del problema della divisibilità.

74 Ephipp. Fr. 14,7 K.-A. a[toma pwvgwno" bavqh.75 Pl. Soph. 229d ajlla; ga;r hJmi'n e[ti kai; tou'ton skeptevon, a\r a[tomon h[dh ejsti; pa'n h[ tina

e[con diaivresin ajxivan ejpwnumiva".76 V. supra, I 2 n. 44, 45 e 48.77 Traduco così eJni; kovsmwi in quanto, se kovsmo" qui indicasse il nostro mondo, non ci si

aspetterebbe il numerale. Anassagora parla qui evidentemente di singoli aggregati.78 59 B 8 DK (Simpl. In Phys. 188a 5, 175,12-14) ouj kecwvristai ajllhvlwn ta; ejn tw'i eJni;

kovsmwi oujde; ajpokevkoptai pelevkei ou[te to; qermo;n ajpo; tou' yucrou' ou[te to; yucro;n ajpo;tou' qermou'.

79 Hesych. s.v. ajpavthton (68 B 131 DK; 828 L.) ajpavthton: to; ajnwmavlw" sugkeivmenon para;Dhmokrivtwi.

80 Per altri esempi, v. infra, VII 6. 2. 1.

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Capitolo quinto 209

Adiaivreta. La definizione ajdiaivreta è chiaramente aristotelica e derivadalla sovrapposizione al corpuscolo democriteo della terminologiacorrente per designare le grandezze ultime derivate da una diaivresi" persottrazione di tipo accademico81. Gli ajdiaivreta per eccellenza sono l'unoe il punto82, ma, in quanto corrispondenti all'uno, anche l'elemento83 o lamisura nell'ambito del sensibile possono essere ajdiaivreta, sebbene insenso relativo84. In particolare in contesti dove designa i corpuscoli diLeucippo e Democrito con le tipiche formule accademiche (prw'taswvmata o prw'ta megevqh)85 e li individua come stoicei'a Aristotele lichiama ajdiaivreta e li definisce "grandezze prime indivisibili"86 e "corpiprimi dai quali sono composti e nei quali si dissolvono" tutti gli altri87,

81 Cf. De gen. et corr. A 2,315b 24 (67 A 7 DK part.; 101 L.) ajrch; de; touvtwn pavntwn, povteronou{tw givnetai kai; ajlloiou'tai kai; aujxavnetai ta; o[nta kai; tajnantiva touvtoi" pavscei, tw'nprwvtwn uJparcovntwn megeqw'n ajdiairevtwn, h[ oujqevn ejsti mevgeqo" ajdiaivreton: diafevreiga;r tou'to plei'ston. kai; pavlin eij megevqh, povteron, wJ" Dhmovkrito" kai; Leuvkippo"swvmata tau't ejstivn, h] w{sper ejn tw'i Timaivwi ejpivpeda. tou'to me;n ou\ aujtov, kaqavper kai; ejna[lloi" eijrhvkamen, a[logon mevcri ejpipevdwn dialu'sai. dio; ma'llon eu[logon swvmata ei\naiajdiaivreta. De gen. et corr. A 8, 325b 25-30 (67 A 7 DK; 118, 222 L.) tosou'ton ga;r diafevreitou' mh; to;n aujto;n trovpon Leukivppwi levgein, o{ti oJ me;n sterea; oJ d (scil. oJ Plavtwn) ejpivpe-da levgei ta; ajdiaivreta, kai; oJ me;n ajpeivroi" wJrivsqai schvmasi tw'n ajdiairevtwn sterew'ne{kaston oJ de; wJrismevnoi", ejpei; ajdiaivretav ge ajmfovteroi levgousi kai; wJrismevna schvmasin.Sull'uso aristotelico di ajdiaivreton per il corpuscolo democriteo come risultato di un'inter-pretazione, cf. Sinnige 1968, 153.

82 Per l'uno, cf. Phys. A 2, 185b 8; G 7, 207b 6; Metaph. B 3, 999a 1; 4, 1001b 7; I 1, 1053a 1(come definizione corrente della monade), a 10; 3, 1054a 21; M 9, 1085b 16. Per il punto,cf. Phys. Z 1, 231a 25; De cael. G 1, 299b 6; Metaph. B 6, 1002b 4; D 3, 1014b 8.

83 Cf. in particolare Metaph. D 3, 1014b 4-6 kai; metafevronte" de; stoicei'on kalou'sinejnteu'qen o} a]n e}n o]n kai; mikro;n ejpi; polla; h\i crhvsimon, dio; kai; to; mikro;n kai; aJplou'nkai; ajdiaivreton stoicei'on levgetai.

84 Cf. in particolare Metaph. I 1, 1052b 31ss.85 Cf. Pl. Ti. 57c o{sa me;n ou\n a[krata kai; prw'ta swvmata dia; toiouvtwn aijtiw'n gevgonen. Cf.

anche Alex. In Metaph. 987b 33, 55,20 (Arist. De Bono, Fr. 2, 113 Ross) ajrca;" me;n tw'no[ntwn tou;" ajriqmou;" Plavtwn te kai; oiJ Puqagovreioi uJpetivqento, o{ti ejdovkei aujtoi'" to;prw'ton ajrch; ei\nai kai; to; ajsuvnqeton, tw'n de; swmavtwn prw'ta ta; ejpivpeda ei\nai—ta; ga;raJplouvsterav te kai; mh; sunanairouvmena prw'ta th'i fuvsei...

86 De gen. et corr. A 2, 315b 24-30 (101 L.) ajrch; de; touvtwn pavntwn, povteron ou{tw givnetai kai;ajlloiou'tai kai; aujxavnetai ta; o[nta kai; tajnantiva touvtoi" pavscei, tw'n prwvtwn uJpar-covntwn megeqw'n ajdiairevtwn, h[ oujqevn ejsti mevgeqo" ajdiaivreton: diafevrei ga;r tou'toplei'ston. kai; pavlin eij megevqh povteron, wJ" Dhmovkrito" kai; Leuvkippo" swvmata tau'tejstivn, h] w{sper ejn tw'i Timaivwi ejpivpeda. De cael. G 4, 303a 5-6 (67 A 15 DK; 109, 292 L.)fasi; ga;r (scil. Leuvkippo" kai; Dhmovkrito") ei\nai ta; prw'ta megevqh plhvqei me;n a[peira, me-gevqei de; ajdiaivreta.

87 De gen. et corr. A 8, 325b 17-19 (337 L.) toi'" me;n gavr ejstin ajdiaivreta ta; prw'ta tw'nswmavtwn, schvmati diafevronta movnon, ejx w|n prwvtwn suvgkeitai kai; eij" a} e[scata dia-luvetai... Cf. la definizione in Metaph. D 3, 1014a 31-34 oJmoivw" de; kai; ta; tw'n swmavtwnstoicei'a levgousin oiJ levgonte" eij" a} diairei''tai ta; swvmata e[scata, ejkei'na de; mhkevt eij"a[lla ei[dei diafevronta. Che l'impiego di stoicei'on per designare gli elementi costitutividella realtà fisica risalga a Platone è testimoniato da Eudemo (Fr. 31 Wehrli) ... o{ ge

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Atomi e minimi210

attribuendo loro le prerogative tipiche delle grandezze indivisibili ele-mentari degli Accademici.

Stereav. Aristotele talvolta, designando i corpuscoli di Leucippo eDemocrito come stereav, li carica di una connotazione matematica tipicadella scuola platonica. Stereav è infatti il termine tecnico con cui Platonedesigna i solidi geometrici (che, per lui, sono anche i corpi)88. Non a casoAristotele usa il termine in questa accezione particolare quando mettesullo stesso piano la dottrina platonica e quella atomista89. Quando invecevuole porre l'accento sulla loro differenza schierandosi a favore dell'ato-mismo fisico, distingue fra i corpi (swvmata) di Leucippo e Democrito e isolidi geometrici (stereav) risultanti dalla combinazione dei triangoli pla-tonici90. Probabilmente Democrito non usava il plurale stereav neppureper i solidi geometrici. Il problema dei titoli delle opere democritee è unaquestione spinosa, ma un titolo dell'elenco riportato da Diogene Laerzio,peri; ajlovgwn grammw'n kai; nastw'n aæ bæ91, dove compare il termine tipicodemocriteo nastav (e dunque sembrerebbe originale) fa pensare che De-mocrito usasse questa denominazione, e non stereav, anche per designarei solidi geometrici. Diverso è invece il discorso per l'aggettivo al singolare(stereov") che Democrito, come del resto i contemporanei autori ippo-cratici, può aver impiegato in senso non tecnico come attributo dei corpiin generale92.

Si possono dunque distinguere, all'interno dei resoconti aristotelicisull'atomismo antico, due tipi di influssi accademici: nell'interpretazione enella critica dell'atomo e nella terminologia.

1. L'atomo viene interpretato sullo sfondo della dottrina senocrateadei "minimi privi di parti" (ejlavcista kai; ajmerh'), elementi ultimi di unadivisione finita e misure dei vari livelli dell'essere in quanto riflesso del-l'uno. Senocrate distingueva comunque una mancanza di parti relativa(quella dei corpi primi e dei minimi nei vari gradi della spazialità fino allalinea) e una assoluta, quella della linea indivisibile, limite ultimo della spa-

Plavtwn... kajn toi'" fusikoi'" kai; genhtoi'" ta;" stoiceiwvdei" ajrca;" tw'n a[llwn dievkrinekai; stoicei'a prw'to" aujto;" wjnovmase ta;" toiauvta" ajrcav", wJ" oJ Eu[dhmo" iJstorei'. Sull'at-tendibilità di questa notizia e per la derivazione platonica di questo uso risalente ad un im-piego particolare in matematica nel significato di "fondamento costitutivo" in un sistemaordinato di teoremi, cf. Burkert 1958, 167-197 dove vengono discusse anche le ipotesi dicoloro che fanno risalire a Democrito l'uso del termine nel significato di elemento fisico.

88 Nel Timeo compare "la figura solida della piramide, elemento e seme del fuoco" (56b).89 De gen. et corr. A 8, 325b 25-30 (67 A 7 DK; 118, 222 L.), v. supra, n. 81; cf. 326a 21; De cael.

D 2, 309a 2ss. (68 A 60 DK; 368 L.).90 Cf. De gen. et corr. A 2, 315b 32-316a 4.91 Diog. Laert. 9,47 (68 A 33 DK; CXV (VIII) L.).92 Cf. Metaph. A 4, 985b 7; cf. Theophr. De sens. 75 (68 A 135 DK; 484 L.), supra, III 4. 2. 2 n.

149.

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Capitolo quinto 211

zialità e non ulteriormente divisibile neppure in elementi di un livello su-periore. Privi dell'apparato teorico su si fondava la concezione accademica(dottrina dei principi, uno e diade indefinita, che fonda le distinzioni fraessere e uno, parte e tutto), gli atomi leucippei e democritei reinterpretaticome minimi indivisibili in assoluto prestavano ovviamente il fianco acritiche. Essi, infatti, equivalevano ai corpuscoli dei corpuscolaristi, maidivisi, ma comunque ulteriormente divisibili con la mente. Questa assimi-lazione di atomi e corpuscoli, caratteristica della posizione degli Accade-mici-Pitagorici in Sesto, emerge più volte anche in Aristotele: nel logoseleatico di De generatione et corruptione A 8, nella classificazione delle dottrineche pongono come limite ultimo del reale dei corpuscoli (indivisibili odivisibili, ma non più divisi) in De cael. G 6 e nella critica agli atomisti peraver posto come indivisibili per natura solo dei corpi piccoli in De genera-tione et corruptione A 9. Gli atomi di Leucippo e Democrito, inoltre, inter-pretati alla luce della dottrina dei minimi come unità di misura, venivanoattaccati anche per la mancanza di un ordine e di un limite nelle forme,critica che Aristotele puntualmente rivolge proprio sulla scorta di unainterpretazione matematizzante delle forme in De cael. G 4 e a cui Teofra-sto accenna nella Metafisica.

2. La discussione sugli indivisibili nell'Accademia costituisce poi il fil-tro concettuale e terminologico attraverso cui Aristotele giudica o deno-mina gli atomi in particolare nelle trattazioni generali sugli indivisibili e nelconfronto fra dottrine platonico-accademiche e democriteo-leucippee. Inquesti casi egli prende come punto di riferimento sia i triangoli, reinter-pretati, del Timeo, sia la teoria delle grandezze indivisibili e prime deglia[grafa dovgmata e di Senocrate.

Questi due tipi di influsso esercitato dall'atomismo accademico sul-l'interpretazione delle dottrine degli atomisti antichi già nell'opera aristote-lica, sono molto importanti per comprendere anche una certa differenzia-zione nei resoconti tardi su Leucippo e Democrito.

E' ora opportuno riprendere, a scopo contrastivo, anche un'altra pre-sentazione dell'atomismo antico nelle opere aristoteliche. Si tratta di passipiù strettamente espositivi caratterizzati da un maggior interesse storico emeno marcati da un'impostazione argomentativa tipica della trattazione diproblemi generali.

4. Terminologia atomista in Aristotele

E' indubbio che, leggendo le opere degli atomisti, Aristotele era necessa-riamente condizionato dalla sua formazione nell'alveo dell'Accademia. E'tuttavia altrettanto vero che, rispetto alle linee interpretative di Platone e

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dei suoi allievi, interessati soprattutto all'estrapolazione dai testi della pro-blematica generale di volta in volta trattata, Aristotele sviluppa anche uninteresse più marcatamente storico per i suoi predecessori. E sono ap-punto i suoi resoconti di carattere più propriamente espositivo, i suoiappunti riassuntivi, le testimonianze più facilmente leggibili. L'interesseeminentemente descrittivo più che argomentativo di tali testi rivela infattipiù facilmente le difficoltà di integrazione delle teorie descritte nel sistemadi riferimento di Aristotele, rende maggiormente distinguibile la termino-logia derivata o sovrapposta da quella originale e permette quindi di indi-viduare più agevolmente un nucleo originale di terminologia e dottrinaleucippea e democritea.

In uno di questi excursus, il frammento dell'opera su Democrito ripor-tato da Simplicio, Aristotele dichiara espressamente di riferire i terminioriginali democritei per le sostanze costitutive del mondo e per il vuoto.Se alcuni di questi fanno nascere il sospetto di qualche lieve rimaneggia-mento93, altri, come devn e nastovn, sono sicuramente autentici perchéestremamente specifici e assolutamente estranei alla terminologia plato-nica e aristotelica. Il frammento aristotelico su Democrito si distingueinoltre anche per ulteriori peculiarità: gli atomi vengono specificamenteclassificati fra gli enti eterni e la loro piccolezza viene considerata unica-mente causa della loro invisibilità, non messa in relazione con l'indivisibi-lità94. Proprio quest'ultima problematica, che tanto spazio occupa nel restodell'opera aristotelica, viene sorprendentemente passata sotto silenzio: ilgrande assente è appunto l'"atomo". Il termine non compare nell'elencodelle denominazioni democritee delle oujsivai eterne e nessun accenno auna problematica degli indivisibili emerge nel resto del resoconto. Come siè già detto, il fatto che da due sostanze non può derivare una unità è per-fettamente giustificabile alla luce della compattezza dei corpuscoli. E'anche piuttosto improbabile che Aristotele trattasse l'indivisibilità in qual-che altra parte del suo scritto su Democrito in quanto proprio questopasso sarebbe stato il punto cruciale per la definizione degli atomi comeindivisibili. Qui di seguito tratterò quindi innanzitutto più diffusamente iltermine specifico nastovn e poi altri attributi dell'atomo che ricorrono inaltri passi aristotelici e che ne mettono in luce la "fisicità" lontana daquella matematizzazzione operata da Aristotele nei passi sugli indivisibili.

Nastovn. Il termine nastovn è rarissimo e soprattutto non è un termine"tecnico" o "filosofico". La sua attestazione più antica si ha nella comme-

93 Per le denominazioni del vuoto, v. supra, n. 66.94 Arist. Fr. 208 Rose (Simpl. In De cael. 279b 12, 295,1-6) (68 A 37 DK; 172, 197 L.)

Dhmovkrito" hJgei'tai th;n tw'n ajidivwn fuvsin ei\nai mikra;" oujsiva" to; plh'qo" ajpeivrou" ª...ºtw'n de; oujsiw'n eJkavsthn (scil. prosagoreuvei) tw'i te de;n kai; tw'i nastw'i kai; tw'i o[nti. no-mivzei de; ei\nai ou{tw mikra;" ta;" oujsiva" w{ste ejkfugei'n ta;" hJmetevra" aijsqhvsei".

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Capitolo quinto 213

dia attica del V sec. a.C. dove designa un dolce sacrificale95. L'EtymologicumMagnum lo descrive come

il pane pressato, compatto, pieno e senza nulla di leggero; così chiamato per es-sere completamente infarcito di condimenti e frutta secca96.

Tali caratteristiche corrispondono perfettamente a quelle dei corpuscolidemocritei ed è del tutto verosimile, visto il suo stile ricco di immagini,che Democrito li abbia definiti proprio in analogia con questo dolce diuso comune che doveva essere estremamente difficile tagliare. Nastovnrimane in tutta la tradizione dossografica indissolubilmente legato all'a-tomo democriteo ed è raramente impiegato in altri ambiti tecnici. Uno diquesti usi è però estremamente importante non solo per quanto riguardala ricezione di Democrito, ma perché contribuisce a fare chiarezza anchesulle connotazioni del termine e sui contesti in cui può essere stato usatodagli atomisti. Nastovn ricorre infatti in un passo del Corpus Hippocraticumproprio nel significato di "compatto, spesso" applicato al corpo maschilein contrasto con la struttura rada del corpo femminile. L'uso del termine ei sinonimi da cui è affiancato nell'opera Sulle ghiandole97 sono importanti inquanto si distanziano dalle "traduzioni" aristoteliche e peripatetiche dellostesso. L'autore ippocratico, amante degli usi ricercati e dei preziosismi, hacertamente Democrito come modello98. Non solo infatti questa è l'unicaattestazione del termine nel Corpus Hippocraticum, ma è assente nel passoparallelo dell'opera ginecologica De muliebribus I, che tratta lo stesso mo-tivo e produce gli stessi esempi analogici in maniera ben più dettagliata99.L'autore del De glandulis, trattando dei seni, spiega le ridotte dimensioni

95 Ar. Av. 567; Pl. 1142; Metag. Fr. 6 K.-A.; Pherecr. Fr. 113 K.-A.96 Etym. magn. s. v. nastov": oJ pepilhmevno" a[rto", oJ mestov", plhvrh", kai; mh; e[con ti; kou'fon:

ajpo; tou' navssesqai ajrtuvmasin h] traghmasiv tisi.97 La datazione del trattato è oggetto di controversie come quella di quasi tutti gli scritti

ippocratici e va dal V sec. a.C. fino al II d.C. , ma Joly 1978, 110 offre buoni argomenti percollocarla fra la fine del V e l'inizio del IV sec. a.C. L'autore sarebbe quindi un contempo-raneo più giovane di Democrito.

98 Stranamente questo passo, che documenta in maniera evidente la conoscenza di Demo-crito da parte di un autore ippocratico, è stato tralasciato da tutti gli interpreti moderni(compresi Stückelberger 1984 e Salem 1996) che hanno analizzato la ricezione democriteanel Corpus Hippocraticum.

99 Mul. I 1,11-19 (88,24-89,17 Grensemann = VIII,12-14 Littré). Anche qui, come nel testodel De glandulis, la struttura del corpo femminile è paragonata alla lana e quella del corpomaschile ad un tessuto compatto. Se si pongono un tessuto di lana e uno compatto su unterreno umido o sulla bocca di un vaso contenente acqua e si lasciano lì per due giorni edue notti, si vedrà che la lana diventa molto più pesante. Questo perché essa ha una strut-tura più rada e accoglie e trattiene quindi molto di più l'umidità. I termini impiegati per lastruttura corporea femminile sono i comuni ajraiov", aJpalovsarko" e per la lana ajraiov" emalqakov". Quelli per il corpo maschile stereovsarko" e, per il tessuto, plh're" e bebu-smevnon.

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delle ghiandole nel corpo maschile rispetto a quello femminile con unadifferenza di struttura:

Nei maschi la strettezza [degli interstizi] e la densità del corpo contribuisce gran-demente alla dimensione ridotta delle ghiandole; il maschio infatti è compatto ecome una stoffa spessa alla vista e al tatto; la femmina invece è rada e porosa ecome lana alla vista e al tatto; cosicché ciò che è rado e molle non lascia uscirel'umidità; il maschio, d'altra parte, non potrebbe accoglierne neppure una piccolaquantità, giacché è denso e inospitale, e la fatica ne indurisce il corpo in modotale che non ha interstizi attraverso cui accogliere qualcosa di superfluo100.

Due fattori in questo contesto mi sembrano particolarmente rilevanti:1. Il parallelismo con la concezione democritea delle parti dure e molli

dei corpi conformate nell'uno o nell'altro modo in base alle loro capacitàdi ricezione ed emissione di umori ed effluvi. In Democrito l'occhio deveavere vuoto e umidità per poter "ricevere" in maggior misura gli effluviche producono la sensazione della vista e trasmetterli al resto del corpo101;gli occhi umidi sono perciò migliori di quelli duri. I buoi senza corna sonotali perché il loro osso frontale, attraversato da vene sottili e deboli, non èspugnoso ed è così "respingente" (ajntivtupo", forse un termine democri-teo) da non poter accogliere umori dall'interno del corpo. Al contrario, ibuoi arabi femmina hanno belle corna perché accolgono molto umore; levene che lo veicolano sono spesse e ne trattengono quanto più ne pos-sono102. Significativamente Democrito definiva le vene dexamenaiv, "ri-cettacoli, cisterne"103. Seneca in un brano delle Naturales quaestiones, riferi-sce che, secondo Democrito, "quei corpi che sono più duri e più compattihanno necessariamente pori più piccoli"104. Le espressioni latine duriora etpressiora sono perfette traduzioni del greco sklhrovtera kai; nastovtera eattestano un uso più generalizzato del termine da parte di Democrito an-che per i corpi composti, proprio come nel trattato ippocratico.

2. Il fatto che il termine nastovn venga caratterizzato soprattutto dalnon accogliere e dal non emettere nulla così come per Democrito le parti

100 Gland. 16,2 (121,20 Joly = VIII,572 Littré) toi'si de; a[rsesi kai; hJ stenocwrivh kai; hJpuknovth" tou' swvmato" mevga sumbavlletai mh; ei\nai megavla" ta;" ajdevna": to; ga;r a[rsennastovn ªedd.: ajston codd.º ejsti kai; oi|on ei|ma pukno;n kai; oJrevonti kai; ejpafwmevnwi: to; de;qh'lu ajraio;n kai; cau'non kai; oi|on ei[rion oJrevonti kai; ejpafwmevnwi: w{ste th;n uJgrasivhn oujmeqivhsi to; ajraio;n kai; malakovn: to; de; a[rsen oujk a[n ti prosdevxaito, puknovn te ejo;n kai;ajstergev", kai; oJ povno" kratuvnei aujtou' to; sw'ma, w{ste oujk e[cei di ou| lhvyetaiv ti tw'n pe-rissw'n.

101 Theophr. De sens. 54 (68 A 135 DK; 478 L.) fhsi; ga;r dia; tou'to kenovthta kai; uJgrovthtae[cein dei'n to;n ojfqalmovn, i{n ejpi; plevon devchtai kai; tw'i a[llwi swvmati paradidw'i. dio; kai;tou;" uJgrou;" tw'n sklhrw'n ojfqalmw'n ajmeivnou" ei\nai pro;" to; oJra'n.

102 Ael. Hist. nat. 12,20 (68 A 155 DK; 542 L.).103 Hesych. s.v. dexamenaiv (68 B 135 DK; 828 L.), v. infra, VII 6. 2 n. 78.104 Sen. Nat. quaest. 4,9,1 His, inquit (scil. Democritus), corporibus quae duriora et pressiora sunt necesse

est minora foramina esse.

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spesse e dure. Democrito imputava la dissoluzione dei corpi proprio all'ir-rompere dall'esterno di una qualche ajnavgkh più forte che scompiglia gliatomi e li disperde105 e le affezioni e i cambiamenti dei corpi alla presenzadi vuoti che permettono la penetrazione e lo spostamento di corpuscoli alloro interno106. La struttura del corpo si modifica anche "se vi si introduceun piccolo corpuscolo"107.

L'uso di nastovn da parte dell'autore ippocratico permette dunque nelcontempo di precisare meglio il significato e l' impiego del termine anchein Democrito. Egli infatti lo ha applicato non solo agli "atomi", come cidice la tradizione aristotelico-teofrastea, ma anche ai corpi composti,come dimostra il passo di Seneca. Il titolo citato sopra dell'opera matema-tica di Democrito Sulle linee e i solidi irrazionali, dove il termine designa isolidi geometrici, conferma questo uso allargato. Negli autori tardi ditrattati tecnici riemerge solo per designare una sfera piena in opposizionealla sfera vuota108, dunque solidi "concreti", corporei, non figure astratte.

Il termine nastovn rimanda dunque in primo luogo alla tematica gene-rale dell'inattaccabilità dei corpi da agenti esterni o da squilibri internitipica della medicina, che costituiva un importante punto di partenza perl'assunzione dei cosiddetti "atomi". L'autore del De glandulis non è influen-zato dalle interpretazioni di Aristotele o di Teofrasto e ha avuto sicura-mente davanti un testo democriteo. Il suo uso di nastovn permette quindidi cogliere il legame profondo fra la concezione dell'atomo democriteo equelle mediche del corpo, che nel telegrafico accenno aristotelico rimanecompletamente in ombra.

Da quanto finora osservato, risulta dunque che il termine nastovn ri-manda alla sfera semantica specifica della cucina e degli oggetti sacrificali.Democrito, trasponendolo ai corpi, non solo ne ha sfruttato la caricaanalogica e pittorica, ma ne ha allargato le connotazioni alla sfera biolo-gico-medica e, per ulteriore estensione, a quella geometrico-tecnica. Untale termine, tipico del linguaggio estremamente ricercato e inusuale di etàsofistica, fuori di quel periodo era destinato alla sparizione. In effetti essoè limitato alla dossografia su Democrito e ad un autore che ricerca i pre-

105 Arist. Fr. 208 Rose (Simpl. In De cael. 279b 12, 295,18-20) (68 A 37 DK; 293 L.) ejpi; to-sou'ton ou\n crovnon sfw'n aujtw'n (tw'n oujsiw'n) ajntevcesqai nomivzei kai; summevnein, e{w"ijscurotevra ti" ejk tou' perievconto" ajnavgkh paragenomevnh diaseivshi kai; cwri;" aujta;"diaspeivrhi.

106 Sext. Emp. Adv. Math. 7,136 (68 B 9 DK; 55 L.); Arist. De gen. et corr. A 8, 325b 3-5 (67 A 7DK; 338 L.); cf. anche Phys. D 6, 213b 18-20.

107 Arist. De gen. et corr. A 2, 315b 11 (67 A 40 DK; 240 L.) kai; metakinei'sqai mikrou'ejmmignumevnou.

108 Cf. Hero Metr. 1, Prooem. 92,17; 19 Schöne; Philo Belop. 1,330; cf. anche Philop. In Phys.Cor. de loc. 562,6; 575,22. Esichio (s. v. nastovn) si riferisce proprio a quest'uso quandoriporta fra le definizioni del termine, oJlosfuvrhto", mh; e[cwn uJpovkoufav tina.

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ziosismi come quello del trattato ippocratico Sulle ghiandole. Riemerge poi,probabilmente perché Democrito stesso l'aveva usato in quell'ambito,presso gli autori di trattati tecnici tardi per indicare una sfera o una figurasolida concreta, piena e compatta. In ogni caso, l'uso di questo vocabolocosì estraneo ad un livello "teorico" denota una prospettiva piuttostolontana dalla problematica dell'indivisibilità così come è configurata inaltri testi aristotelici.

Sklhrovn, plh're". Aristotele impiega il termine sklhrovn in De genera-tione et corruptione A 8 quando afferma che gli atomisti si sono contraddettiponendo degli indivisibili e quindi "impassibili" e nel contempo asse-gnando loro qualche qualità. Essi infatti non avrebbero attribuito agliatomi solo il caldo, ma anche il peso109 e la durezza senza però contem-plare anche il suo opposto, la cedevolezza. Se infatti l'atomo è duro, so-stiene Aristotele, dovrebbe essere anche cedevole (una proprietà richiedenecessariamente anche il suo contrario) e, come tale, essere anche capacedi patire110. Il termine sklhrovn è originale in quanto viene attribuito, come

109 De gen. et corr. A 8, 326a 4ss. Aristotele fa, in relazione al caldo, una deduzione: siccome gliatomi sferici sono atomi dell'anima e questa è calda, gli atomi sferici sono caldi. Per il peso,cf. anche Theophr. De sens. 61 (68 A 135 DK; 369 L.) che assegna peso diverso ad atomigrandi e piccoli.

110 De gen. et corr. A 8, 326a 13-14 ajlla; mh;n eij sklhrovn, kai; malakovn. to; de; malako;n h[dh tw'ipavscein ti levgetai: to; ga;r uJpeiktiko;n malakovn. Cf. anche Philop. ad loc. 167,21-24.Mantengo la punteggiatura e il testo dell'edizione di Joachim 1922. Nella sua recente edi-zione del De generatione et corruptione Rashed 2005, 41 adotta un'altra punteggiatura e un'altralieve variante testuale: ajlla; mh;n eij sklhrovn kai; malakovn, to; de; malako;n tw'i pavscein tilevgetai, e traduce: "Mais s'il y a dur et mou, «mou» est employé parce que la chose subitune affection", considerando de; come l'introduzione di una apodosi con effetto avversa-tivo (143 n. 10). Il risultato di questa interpretazione sarebbe che "Ar. se contente donc detirer la conséquence non pas d'une prémisse atomiste «absolue», mais de l'extension dialec-tique opérée aux ll. 6-8: si on admet le couple dur-mou, on admet par définition l'existence del'affection". Nei casi cui fa riferimento Rashed (K.-G. II 2, 275) il de; ha il valore di "co-munque, in ogni caso" (cf. Il. 1,137 "sia che lo diano…, sia che non lo diano, io comunqueme lo prenderò da me"), una sfumatura che scompare nella sua traduzione così come dalsuo testo scompare h[dh (di FHJ1V, posposto a pavscein in W), riportato da Joachim e daaltri, perché egli segue invece ELM e Hunain. Inoltre traduce sklhrovn e malakovn comeneutri sostantivati equivalenti a to; sklhrovn ktl., ma qui sono nomi del predicato che si ri-feriscono al soggetto e{kaston tw'n ajdiairevtwn (come sopra baruvteron). Rashed si riferiscesì all'argomento dialettico delle linee 6-8, ma non tiene conto delle linee successive chespecificano questo argomento e confermano la traduzione corrente del periodo (per incisoRashed non spiega perché quest'ultima debba essere rifiutata). Aristotele vuole infatti di-mostrare che Democrito non solo ha attribuito agli atomi delle qualità, contraddicendo lepremesse secondo cui un atomo deve essere impassibile, ma ha introdotto una ulteriorecontraddizione, non ammettendo i contrari di queste qualità, pur essendo essi necessaria-mente presupposti. Tutto il resto del passo è incentrato sulla dimostrazione di questo as-sunto. La confusione nasce dal fatto che l'argomento del peso viene impiegato per undoppio fine: 1. per dimostrare che Democrito ha ammesso solo una delle qualità senza ilsuo contrario (in questo caso il pesante, ma non il leggero), 2. per dimostrare che, nono-

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nastovn, anche ai corpi composti nella citazione dal quarto libro delle Na-turales quaestiones di Seneca riportato sopra (n. 104): duriora è la traduzionelatina di sklhrovtera come pressiora lo è di nastovtera. Evidentemente,come esistono diversi gradi di compattezza nei corpi, così anche di du-rezza. I più duri e i più compatti sono gli "atomi".

Anche plh're"111, termine riportato poi generalmente da tutta la dosso-grafia su Democrito a cominciare da Teofrasto, è probabilmente demo-criteo in quanto termine piuttosto comune, anche al di là di Melisso, neitesti contemporanei. È però dal punto di vista sia lessicale che semanticoassai meno specifico e caratterizzante di nastovn e per questo assai piùfruibile e diffuso in tutta la dossografia sull'atomismo. Il resoconto suLeucippo di matrice teofrastea112 riportato da Simplicio riferisce ambedue itermini, nastov" e plhvrh", uno accanto all'altro, ma il secondo suona comeuna specificazione in termini più correnti del primo (th;n ga;r tw'n ajtovmwnoujsivan nasth;n kai; plhvrh uJpotiqevmeno" o]n e[legen ei\nai). Allo stessomodo procedono i commentatori di Aristotele e i dossografi, nella mag-gioranza dei casi, quando si imbattono in nastovn.

Da quanto osservato, dunque, si può dedurre che Aristotele, in certicontesti, più propriamente descrittivi, riporta sicuramente dei terminioriginali quali nastovn, sklhrovn, plh're". Egli tuttavia restringe probabil-mente la loro referenza agli atomi, mentre Democrito li utilizzava anchein qualità di semplici attributi di corpi composti. La terminologia aristote-lica, sia quella che riproduce un originale democriteo, sia quella influen-zata dalla problematica accademica, è comunque il punto di partenza an-che per le testimonianze tarde nelle quali compaiono ora l'uno ora l'altrotermine presente in Aristotele.

stante ciò, egli ha implicitamente ammesso l'esistenza di questo contrario non solo per ilpesante, ma anche per il caldo: se infatti un atomo è più pesante, potrà essere anche piùcaldo e dunque anche più freddo. Dunque se un atomo è caldo e pesante, un altro potràessere freddo e leggero. Stando così le cose, gli atomi non sono impassibili, ma subisconoaffezioni uno dall'altro. Allo stesso modo, dato che Democrito ha ammesso un atomoduro, deve averne contemplato uno molle ricadendo nell'aporia precedente: infatti il mollesi dice tale perché subisce un'affezione. Dunque Democrito ha contraddetto la premessasecondo cui l'atomo, in quanto indivisibile, è impassibile. Nella traduzione di Rashed unodei punti critici di Aristotele, cioè che l'Abderita ha ammesso solo una delle qualità senza ilsuo contrario, presupponendolo però, senza rendersene conto, cade come cadono i paral-lelismi con le linee precedenti nelle quali questa argomentazione viene espressa. L'atomoduro non è dunque una deduzione di Aristotele come non lo è l'atomo pesante, ma rispec-chia una dottrina originale democritea.

111 Metaph. A 4, 985b 4 (67 A 6 DK; 173 L.); G 5, 1009a 28 (143 L.). Pamplh're" De gen. et corr.A 8, 325a 29 (67 A 7 DK; 146 L.). Improbabile, per il contesto eleatizzante in cui Aristo-tele inserisce Leucippo, la lezione pamplhqev".

112 Theophr. Fr. 229 FHS&G (Simpl. In Phys. 184b 15, 28,13) (67 A 8 DK; 147 L.).

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5. Sintesi

Nelle notizie aristoteliche riguardanti i corpuscoli di Democrito e Leu-cippo si possono distinguere due tipi di resoconto cui è collegata ancheuna specifica terminologia: uno di carattere argomentativo, influenzato inqualche modo dalla problematica accademica degli indivisibili, l'altro dicarattere espositivo, avulso dalla discussione di questioni particolari.

Nel primo tipo di testo il corpuscolo indistruttibile di Leucippo eDemocrito viene visto come un ejlavciston, un minimo fisico, "misura"del corporeo e unità ultima indivisibile di una divisione finita in altre unitàdello stesso livello. In questa ottica l'atomo si distingue dai presunti cor-puscoli di Empedocle e di Anassagora che per natura sarebbero ancoramentalmente divisibili in tali unità, sebbene materialmente non divisi.Questa intepretazione matematizzante elimina o critica quei caratteri pro-priamente fisici del corpuscolo democriteo che non sono in consonanzacon il concetto di minimo. In particolare passa sotto silenzio il tratto dellasolidità e della compattezza così come tutte le connotazioni del terminenon tecnico nastovn e traspone in un linguaggio più filosofico altri terminidemocritei caratterizzanti come rJusmov", trophv, diaqighv, i quali evocanoimmagini ben lontane da definizioni di tipo matematizzante. Essa portainoltre alla critica contro l'infinità e la mancanza di un ordine delle forme.Aristotele la utilizza talvolta, in contesti particolari, soprattutto critici neiconfronti dell'atomismo in generale. Non solo, ma si serve di una termi-nologia accademica per descrivere le proprietà dell'atomo quando lo trattanell'ottica del problema degli indivisibili o lo confronta con l'atomismoaccademico.

Aristotele tuttavia nei resoconti di carattere più prettamente esposi-tivo, non correlati specificamente al tema dell'indivisibilità, riflette un'altraimmagine delle dottrine leucippee e democritee derivata dalle sue letturedirette. In questo tipo di testi egli pone l'accento in primo luogo sul ca-rattere fisico del corpuscolo, sulla sua solidità, compattezza e assolutaimpenetrabilità, sul suo carattere dinamico, sul fatto che costituisce unpunto di partenza per la generazione del mondo piuttosto che un punto diarrivo in un processo di divisione. Ne risulta dunque una concezione del-l'indistruttibilità dei corpuscoli di carattere fisico-medico: i corpi si alte-rano o si dissolvono a causa dell'irruzione dall'esterno di qualcosa diestraneo o di mutamenti nel loro equilibrio interno. Questo avvieneperché essi presentano degli interstizi, cioè dei "passaggi" vuoti, che per-mettono tale penetrazione e tale cambiamento interno. Ciò che è eterno eindistruttibile non può avere questa struttura e quindi non deve contenerevuoti che "accolgano" effluvi o che permettano assestamenti. Il terminepiù caratteristico per indicare queste proprietà è nastovn, un vocabolo non

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Capitolo quinto 219

filosofico caratterizzato dall'analogia con gli omonimi dolci pressati einfarciti.

Ambedue le interpretazioni dell'atomo, quella derivante dalla prospet-tiva accademica e quella derivante dai testi democritei, si ritrovano nelletestimonianze tarde, separate in quelle più antiche, fuse in quelle più re-centi e per lo più intrecciate con quelle sull'atomismo epicureo, necessa-riamente il punto di riferimento più vicino e più conosciuto. Individuare ipercorsi di queste tradizioni è un'opera ardua, ma necessaria per ordinarecon una certa plausibilità anche la congerie di testimonianze sull'indivisi-bilità dell'atomo democriteo fonte incessante di dubbi e di discussioni. Edè quanto verrà fatto nel capitolo seguente.

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Capitolo sesto

L'indivisibilità dell'atomo di Leucippo e Democrito nelladossografia tarda

1. Tradizione epicurea e peripatetica:atomo indivisibile per la solidità

Nella dossografia tarda la tradizione che fa capo in qualche modo ad Ari-stotele e Teofrasto restituisce ovviamente solo i tratti superficiali di quelleconcezioni dell'atomo che invece sono ancora leggibili nei testi dei capo-stipiti. Si incontra infatti frequentemente l'attributo più generico plh're",oppure quelli ripresi da Epicuro stereovn e sklhrovn con i rispettivi so-stantivi stereovth" e sklhrovth". Il termine nastovn compare raramenteanche perché Epicuro non lo usa neppure laddove potrebbe farlo; nellacritica alla dottrina dell'infinità delle forme chiaramente diretta control'atomismo antico, preferisce la "traduzione" mestovn1. Evidentemente loconsiderava un termine desueto e forse anche poco preciso.

In una serie di testimonianze tarde gli atomi vengono esplicitamentedefiniti indivisibili per la loro solidità. Qui la tradizione di provenienzateofrastea, che non accentua particolarmente la problematica dell'indivisi-bilità dell'atomo, ma pone soprattutto in rilievo la sua compattezza, vienecorroborata da quella epicurea che definisce esplicitamente l'atomo indivi-sibile per la solidità e per la mancanza di vuoto2. Stereovth", sklhrovth", itermini epicurei, sono quelli di uso più frequente. A questa tradizioneepicurea si riallaccia il breve brano di stile dossografico sulla dottrina de-mocritea di Diogene Laerzio, nel quale gli atomi sono definiti impassibili e

1 Ep. Ep. 1,42 a[toma tw'n swmavtwn kai; mestav. mestov" è una delle definizioni di nastov" dellessico di Esichio (s. v. nastov") e mestav compare proprio dove ci si aspetterebbe nastav inStob. 1,16,1 (68 A 125 DK; 94, 214, 243, 487 L.) Dhmovkrito" fuvsei me;n mhde;n ei\naicrw'ma, ta; me;n ga;r stoicei'a a[poia, tav te mesta; kai; to; kenovn. I manoscritti riportano in-fatti concordemente mestav. La lezione nastav che si trova nei Vorsokratiker e in Diels 1879,314 è una correzione di Diels stesso.

2 Cf. Schol. Dionys. Thrac. 116,11 Hilgard (Ep. Fr. 92 Us.) sw'ma stereo;n ajmevtocon kenou'paremplokh'". Lucr. 1,485s.; 500; 510; 518s.; 548; 574; 609.

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Capitolo sesto 221

inalterabili per la solidità3. Questo brano si differenzia in generale da quellidi provenienza teofrastea per le tematiche e la terminologia che com-paiono implicitamente o esplicitamente anche nelle opere di Epicuro edegli epicurei e non invece nella dossografia su Democrito. Mi limito quiad indicare i punti più significativi a questo riguardo:

1. La massima secondo cui nulla nasce dal nulla né si dissolve nel nullaattribuita da Diogene Laerzio a Democrito, viene enunciata esplicitamenteda Epicuro nella Epistola ad Erodoto4, ma è assente in generale nelladossografia teofrastea sugli atomisti.

2. Anche la formula dell'infinità degli atomi per numero e per gran-dezza è di matrice epicurea e non aristotelica o teofrastea5. Epicuro, sem-pre nell'Epistola ad Erodoto, metteva in guardia contro l'assunzione di unainfinità di dimensioni che porterebbe a postulare anche atomi grandi. Daquesto presupposto si è generata poi la doxa secondo cui Democritoavrebbe ammesso l'esistenza di atomi grandi come un mondo6.

3. La polemica contro coloro che avrebbero interpretato come sem-plice ricerca del piacere la dottrina dell'eujqumiva rientra nel campo dell'e-tica e si situa fuori della dossografia teofrastea (che contemplava solo lafisica)7 e non può che provenire dagli Epicurei8.

4. L'allusione alla massima novmwi glukuv... nei termini riferiti da Dio-gene all'inizio del brano (non alla fine) è anch'essa entrata con Colote nellatradizione epicurea9.

3 Diog. Laert. 9,44 (68 A 1 DK; 215, 382 L.) a{per (scil. ta; a[toma) ei\nai ajpaqh' kai; ajnal-loivwta dia; th;n sterrovthta. Cf. Ep. Ep. 1,44; 54.

4 Diog. Laert. 9,44 (68 A 1 DK; 42, 382 L.) mhdevn te ejk tou' mh; o[nto" givnesqai mhde; eij" to;mh; o]n fqeivresqai. Cf. Ep. Ep. 1,38s.; 54.

5 Diog. Laert. 9,44 (68 A 1 DK; 184, 382 L.) kai; ta;" ajtovmou" de; ajpeivrou" ei\nai kata;mevgeqo" kai; plh'qo". In Arist. De cael. G 4, 303a 4 compare invece la formula plhvqei me;na[peira megevqei de; ajdiaivreta (67 A 15 DK; 109, 292 L.).

6 Ep. Ep. 1,42s. tai'" de; diaforai'" oujc aJplw''" a[peiroi, ajlla; movnon ajperivlhptoi ª...º eijmevllei ti" mh; kai; toi'" megevqesin aJplw'" eij" a[peiron aujta;" ejkbavllein. Sugli atomi grandicome un mondo v. infra, 3. 2. 2.

7 Diels 1879,167.8 Diog. Laert. 9,45 (68 A 1 DK; 735 L.) tevlo" dæ ei\nai th;n eujqumivan, ouj th;n aujth;n ou\san

th'i hJdonh'i, wJ" e[nioi parakouvsante" ejxedevxanto, ajlla; kaqæ h}n galhnw'" kai; eujstaqw'" hJyuch; diavgei, uJpo; mhdeno;" tarattomevnh fovbou h] deisidaimoniva" h] a[llou tino;" pavqou".kalei' dæ aujth;n kai; eujestw; kai; polloi'" a[lloi" ojnovmasi. La descrizione dell'imperturbabi-lità e della libertà dalla paura e dalla superstizione è di chiara matrice epicurea.

9 Diog. Laert. 9,44 (68 A 1 DK; 93, 382 L.) ajrca;" ei\nai tw'n o{lwn ajtovmou" kai; kenovn, ta; dæa[lla pavnta nenomivsqai. Cf. Plut. Adv. Colot. 1110 E (61 L.); Diog. Oenoand. Fr. 7 II 2Smith (61 L.). Per l'interpretazione Gemelli Marciano 1998. Bisogna tuttavia distinguere inquesto caso la parafrasi epicurea che compare all'inizio del breve sunto di Diogene, daquella che invece compare alla fine (9,45 = 68 A 1 DK; 569 L.) poiovthta" de; novmwi (Zeller,edd.: poihta; de; novmima codd.) ei\nai, fuvsei dæ a[toma kai; kenovn. Nietzsche 1870, 19 [219]attribuiva questa aggiunta al fatto che Diogene si sarebbe rifatto ad un Fragmentum kata;

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L'indivisibilità dell'atomo nella dossografia tarda222

Si può dunque affermare che il brano di Diogene è uno dei più chiariesempi di dossografia epicurea sull'atomo democriteo e non contiene nes-sun accenno all'indivisibilità dell'atomo per la piccolezza, ma solo per lasolidità.

Uno strato di tradizione peripatetica più tarda presente nei commen-tatori di Aristotele combina invece la terminologia aristotelico-teofrasteacon quella epicurea sulla falsariga però di definizioni aristoteliche. Inquesto gruppo rientrano passi di Alessandro, del Filopono e di Simplicio.Alessandro, nel commento al famoso passo sull'atomismo del primo librodella Metafisica, sostiene che Leucippo e Democrito hanno definito il"corpo" degli atomi pieno per la sua compattezza e perché non è mesco-lato col vuoto10. La terminologia aristotelico-teofrastea si arricchisce conun ulteriore tratto tipico delle definizioni dell'atomo epicureo, la ajmixivacol vuoto11, che non compare né in Aristotele né nei brani di ascendenzateofrastea. La stessa definizione, lievemente modificata e attribuita con-giuntamente a Leucippo, Democrito ed Epicuro, si incontra in un branodel commento al De caelo di Simplicio: gli atomi sono impassibili per ilfatto che sono compatti e non partecipano (ajmoivrou") di vuoto12. Questaseconda testimonianza mostra un'assimilazione dell'atomismo antico aquello epicureo e deriva probabilmente da Alessandro stesso.

In un altro passo del commento alla Fisica Simplicio enumera i vari si-gnificati di indivisibile:

Se l'essere è uno in quanto indivisibile; poiché l'indivisibile si definisce in moltimodi: o quello che non è ancora stato diviso e che può essere diviso, come cia-scuna delle grandezze continue, o ciò che per natura non è assolutamente divisi-bile in quanto non ha parti in cui essere diviso, come il punto e la monade, o peravere parti e grandezza, ma essere impassibile per la solidità e la compattezzacome ciascuno degli atomi di Democrito13.

mevro". Si tratta invece di una aggiunta di Diogene stesso in base alla formula da lui cono-sciuta attraverso la tradizione scettica. La stessa parafrasi ricompare infatti nel capitolo sugliscettici (9,72).

10 Alex. In Metaph. 985a 21, 35,26s. (214 L.) plh're" de; e[legon (scil. Leuvkippo" kai; Dhmovkri-to") to; sw'ma to; tw'n ajtovmwn dia; nastovthtav te kai; ajmixivan tou' kenou'.

11 Il termine usualmente adottato per l'atomo epicureo è ajmevtoco" kenou', cf. Ps.-Plut. 1,3,877D-F e i passi di derivazione aeziana.

12 Simpl. In De cael. 275b 29, 242,18 (67 A 14 DK; 214 L.) ou|toi ga;r e[legon ajpeivrou" ei\naitw'i plhvqei ta;" ajrcav", a}" kai; ajtovmou" kai; ajdiairevtou" ejnovmizon kai; ajpaqei'" dia; to; na-sta;" ei\nai kai; ajmoivrou" tou' kenou'.

13 Simpl. In Phys. 185b 5, 81,34-82,3 (212 L.) eij de; ou{tw" e}n to; o]n wJ" ajdiaivreton, ejpei; to;ajdiaivreton pollacw'", h] to; mhvpw dihirhmevnon oi|ovn te diaireqh'nai kaqavper e{kaston tw'nsunecw'n, h] to; mhde; o{lw" pefuko;" diairei'sqai tw'i mh; e[cein mevrh eij" a} ãa]nà diaireqh'i,w{sper stigmh; kai; monav", h] tw'i movria e[cein kai; mevgeqo", ajpaqe;" de; ei\nai dia; sterrovthtakai; nastovthta, kaqavper eJkavsth tw'n Dhmokrivtou ajtovmwn. Simplicio, per il commento a

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Capitolo sesto 223

Il modello è quello delle definizioni di uno di Metaph. I 1, 1053a 20-24dove Aristotele distingue un indivisibile in assoluto, quale la monade, daun indivisibile solo in relazione alla sensazione (in quanto ogni grandezzacontinua è divisibile) come la linea di un piede. Rispetto al modello ari-stotelico, Simplicio amplia la gamma degli indivisibili con l'accenno all'a-tomo che viene comunque distinto dalla monade perché ha parti ed èindivisibile solo per la sua solidità.

Nel commento al De anima l'autore (sia egli Simplicio o Prisciano14) di-stingue esplicitamente gli atomi democritei dalle monadi di Senocrateproprio in virtù del fatto che gli uni sono indivisibili per la solidità e lacompattezza, le altre sono prive di parti e indivisibili in assoluto. Egli ag-giunge, parafrasando Aristotele:

infatti, anche se Democrito concepisce il numero [dell'anima] come costituito dacorpuscoli, li pone indivisibili per la compattezza e inoltre indifferenziati per spe-cie e per natura. […] L'anima è dunque secondo ambedue, Democrito e Seno-crate, costituita da indivisibili della stessa natura. Infatti non c'è alcuna differenza,in relazione all'essere numero, se i corpuscoli hanno una massa, che Aristotele hachiamato grandezza, mentre le monadi sono prive di parti, monadi che egli ha de-finito per questo piccole15.

Le monadi sono qui chiaramente concepite come ejlavcista kai; ajmerh'indivisibili in assoluto, gli atomi invece sono indivisibili solo per la lorocompattezza. Una costante dunque di questo filone peripatetico è la nettadistinzione, in base alle definizioni aristoteliche, fra l'indivisibilità dellamonade, priva di parti, e l'atomo indivisibile perché solido, ma fornito diparti e di grandezza. Alcuni commentatori moderni hanno basato su que-ste testimonianze di Simplicio la loro interpretazione dell'atomo democri-teo come teoreticamente divisibile16. Tuttavia questi passi non hannomaggiore validità di altri in cui Simplicio dice che l'atomo è un indivisibile

questo passo della Fisica, attinge abbondantemente a fonti peripatetiche quali Alessandroed Eudemo stesso come risulta dal seguito (83,19ss.; 26ss.).

14 Il dibattito è aperto, cf. Hadot 1987, 23s. e 2002 la quale sostiene che, in ogni caso, non cisono argomenti sufficienti per negare la paternità dello scritto a Simplicio.

15 In De an. 409a 10, 64,2-7 (117 L.) ka]n ga;r ejk swmativwn tinw'n poih'i to;n ajriqmo;n oJDhmovkrito", ajll ejx ajdiairevtwn dia; nastovthta kai; e[ti ajdiafovrwn kat ei\do" kai; th;nuJpokeimevnhn fuvsin. ª...º ajriqmo;" ou\n kat ajmfotevrou" (scil. Dhmovkriton kai; Xenokravthn) hJyuch; ejx ajdiairevtwn kai; ajdiafovrwn. oujde;n ga;r dioivsei pro;" to; ajriqmo;n ei\nai to; ta; me;nswmavtia o[gkon e[cein, o} dh; mevgeqo" e[fh, ta;" de; monavda" ei\nai ajmerei'", a}" mikra;" dia;tou'to ei\pen.

16 Cf. Zeller-Nestle 1920, I, 2, 2, 1065 n. 2; Lur'e 1932-1933, 174 lo cita in appoggio alla tesidella doppia indivisibilità degli atomi e dei minimi dell'atomo in Democrito; cf. anche 1970,465. Contra Furley 1967, 95, il quale però ritiene affidabili le testimonianze che vanno insenso contrario, su questo v. infra, 3. 4. Sul problema costituito in generale dalle testimo-nianze di Simplicio, cf. Guthrie II, 1965, 506s.; Krämer 1971, 270. Baldes 1972, 48s. ac-cenna ad un possibile influsso delle definizioni aristoteliche sul brano di Simplicio senzatuttavia porsi il problema della tradizione esegetica sottesa al passo.

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L'indivisibilità dell'atomo nella dossografia tarda224

per la piccolezza e privo di parti. A livello di testimonianze si tratta diajdiavfora e, come tali, vanno valutate. Ciò non toglie che anche questobrano sia importante, come del resto tutti gli altri dei commentatori ari-stotelici, per ricostruire un brandello di tradizione scolastica che ha veico-lato delle informazioni su Democrito.

Dallo stesso filone peripatetico tardo derivano alcune testimonianzedel Filopono. Sulla falsariga di alcuni brani espositivi aristotelici, il Filo-pono sottolinea come gli atomi degli atomisti (Leucippo, Democrito edEpicuro) siano indivisibili per la durezza, ma invisibili per la piccolezza17,tenendo ben distinte le due caratteristiche. Per dimostrare come la picco-lezza renda gli atomi invisibili, il Filopono cita l'esempio del pulviscoloatmosferico su cui si ritornerà più diffusamente in seguito18.

2. Atomi privi di qualità e indivisibili per la solidità.La tradizione stoicizzante:

Accademia scettica e classificazioni posidoniane

Un gruppo di testi presenta ancora ulteriori peculiarità rispetto ai prece-denti: il nucleo di base è teofrasteo, gli atomi di Democrito ed Epicurovengono assimilati e definiti indivisibili per la solidità, ma il tutto rivela,nella terminologia e nei concetti di fondo, un marcato influsso stoico. Talerappresentazione dell'atomo si fonda infatti sulla concezione stoica dimateria prima priva di qualità (u{lh a[poio"), principio passivo, cui si af-fianca un principio attivo, il dio19. In un buon numero di testi di questogruppo le notizie sull'atomismo sono inglobate in un contesto critico: gliatomi (la materia) sono sì privi di qualità (come la materia stoica), ma sononel contempo anche impassibili (ajpaqei'") e non sottoposti ad alcun prin-cipio attivo e ordinatore, dunque non possono generare nulla. Questo tipodi critica all'atomismo risale molto probabilmente già allo stoicismo an-tico. Nel catalogo delle opere di Cleante compaiono due titoli: Pro;"

17 Philop. In Phys. 184b 15, 25,5 (200 L.) Dhmovkrito" de; kai; Leuvkippo" kai; Epivkouro" ta;"ajtovmou" kai; to; keno;n uJpetivqento ª...º ajtovmou" de; e[lege swvmatav tina dia; smikrovthtaajfanh' kai; ajdiaivreta dia; sklhrovthta, oi|av eijsi dia; tw'n qurivdwn ejn tai'" ajkti'si ko-niortwvdh fainovmena yhvgmata, a{per ajfanh' givnetai mh; ejpilampouvsh" ajkti'no" ouj dia; to; mh;ei\nai, ajlla; dia; th;n smikrovthta. Cf. anche In De gen. et corr. 316b 32, 39,4; In De an. 403b31, 67,21 (200 L.).

18 V. infra, VII 5.19 Cf. per Zenone SVF I 85, 24,6-7; per Cleante, SVF I 493, 110,25-29; per Crisippo, SVF II

300, 111,8-10 e passim.

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Capitolo sesto 225

Dhmovkriton20 e un trattato Peri; tw'n ajtovmwn nel quale il filosofo soste-neva la dottrina dei due principi, passivo (u{lh a[poio" kai; paqhthv) e attivo(qeov")21. Sfero, un allievo di Zenone e di Cleante, aveva anch'egli scrittocontro gli atomi e gli idoli22. Sicuramente, dunque, quelle critiche control'incapacità generativa degli atomi e la mancanza di un principio ordina-tore che emergono spesso negli autori tardi hanno la loro origine nellostoicismo antico. L'Accademia di mezzo, però, che per il suo carattere nondogmatico, si è servita di materiale di provenienza disparata, ha ripreso efatto propri a fini critici questi motivi.

I brani che verranno esaminati qui di seguito hanno in comune la de-finizione degli atomi di Democrito e di Epicuro (il nome di Leucippogeneralmente non compare) come indivisibili per la solidità e la critica adambedue le dottrine così assimilate. Gli atomi vengono definiti ajpaqh' dia;th;n sterrovthta e a[poia. Se ajpaqhv" è un termine tipicamente aristotelico-teofrasteo23, a[poio" caratterizza invece la definizione stoica di materia enon compare come attributo dell'atomo né in Aristotele, né in Teofrasto24e neppure in Epicuro il quale concepiva pur sempre figura, grandezza epeso come caratteristiche qualitative, per natura connesse al concettostesso di corpo25. Questa rappresentazione degli atomi è inserita per lo piùin un contesto critico marcato anch'esso da una concezione stoica dell'u-niverso. In tali contesti si sottolinea che:

1. Gli atomi sono tutti di un'unica natura e privi di qualità (corrispon-dono cioè alla u{lh a[poio" degli Stoici), ma impassibili per la loro solidità(contrariamente alla u{lh stoica per natura solo passiva).

2. Essendo tali e mancando un principio attivo, non possono generarenulla.

20 SVF I 481, 107,1. Secondo von Arnim I, 1901, 138, 8, potrebbe trattarsi di un titolo di-verso dell'opera Sugli atomi.

21 SVF I 493, 110,25-29. Un'eco di questa contrapposizione di Cleante all'atomismo si av-verte nelle Irrisiones di Hermias che, fra le molte confusioni, riporta anche materiale prege-vole come già osservava Diels 1897, 263. Cf. Herm. Irris. 14 (Cleante contro Epicuro) ajlloJ Kleavnqh" ajpo; tou' frevato" ejpavra" th;n kefalh;n katagela'i sou tou' dovgmato" kai; aujto;"ajnima'i ta;" ajlhqei'" ajrca;" qeo;n kai; u{lhn.

22 SVF I 620, 139,25.23 Arist. De gen. et corr. A 8, 326a 1ss.; Theophr. De caus. plant. 6,7,2 (68 A 132 DK; 499 L.).24 Per Aristotele e Teofrasto ajpaqev" designa già la mancanza di qualità (pavqo"), cf. Arist. De

sens. 6, 445b 11-13 (429 L.); Theophr. De sens. 60 (68 A 135 DK; 71 L.); 69 (68 A 135 DK;3, 441 L.).

25 Cf. in particolare Ep. 1,68s. Le attestazioni del termine che si trovano nel Glossarium Epicu-reum dell'Usener (Simpl. In Cat. 15a 13, 431,24; Sext. Emp. Adv. Math. 9,335) sono conte-nute in esposizioni di matrice dossografica che non riportano la terminologia originale epi-curea.

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L'indivisibilità dell'atomo nella dossografia tarda226

3. La teoria atomista non spiega dunque la realtà fenomenica. Comepotrebbero infatti generarsi degli esseri forniti di qualità da atomi solidi,privi di qualità e incapaci di patire?

Le critiche all'atomismo sono state formulate in questi termini vero-similmente dagli Stoici antichi, ma sono attestate per la prima volta inautori legati all'Accademia scettica. In effetti, come si può dedurre da Ci-cerone, anche gli Accademici argomentavano contro gli indivisibili. ACarneade viene specificamente attribuita l'opinione che non esiste alcuncorpo indivisibile e tale da non poter essere frammentato26. Nel primolibro del De natura deorum l'accademico Cotta giudica la concezione di uncosmo continuo e privo di vuoto per lo meno più verosimile di quellaepicurea di un universo discontinuo fatto di indivisibili e di vuoto27. Var-rone, nell'omonimo libro degli Academica, esponendo le tesi di Antioco,ribadisce la teoria della continuità della materia e della sua infinita divisibi-lità "poiché non c'è assolutamente nulla nella natura di così piccolo chenon si possa dividere"28. Le critiche all'atomo indivisibile per la solidità,impassibile e privo di qualità nei termini sopra indicati emergono poi quae là in Cicerone e si incontrano tutte insieme nella Contro Colote di Plu-tarco. Caratteristico di questi testi è il procedimento dialettico, tipicodell'Accademia scettica, che tende ad annientare l'avversario sul suo stessoterreno. Proprio questo carattere specificamente polemico anche nei con-fronti di Democrito e non solo di Epicuro distingue questo filone di tradi-zione sull'atomismo da un altro di tipo descrittivo, che si ritrova nellavulgata tarda e risale verosimilmente a Posidonio. Tuttavia, in ambedue icasi, pur con differenze specifiche, viene fornita una interpretazione del-l'indivisibilità dell'atomo che emargina Leucippo e unifica le tesi di Demo-crito ed Epicuro.

26 Cic. De nat. deor. 3,12,29 (Carnead. F 8a, 93,24ss. Mette) Illa autem quae Carneades adferebat,quem ad modum dissolvitis? Si nullum corpus immortale sit, nullum esse corpus sempiternum; corpusautem immortale nullum esse, ne individuum quidem nec quod dirimi distrahive non pos-sit.

27 Cic. De nat. deor. 1,23,65 Abuteris ad omnia atomorum regno et licentia; hinc quodcumque in solumvenit, ut dicitur, effingis atque efficis. Quae primum nullae sunt. Nihil est enim***quod vacet corpore; cor-poribus autem omnis obsidetur locus; ita nullum inane, nihil esse individuum postest. Haec ego nunc physi-corum oracula fundo, vera an falsa nescio, sed veri tamen similiora quam vestra. Sulle fonti accademi-che della critica ad Epicuro nel primo libro del De natura deorum, rimane ancorafondamentale Hirzel I, 1877, 32-45. Sulla stessa linea anche Lévy 1992, 563ss.

28 Cic. Ac. 1,7,27 Cum sit nihil omnino in rerum natura minimum quod dividi nequeat. La fisica diAntioco è marcata dai concetti stoici di materia priva di forma e passiva e principio attivo edivino, cf. Ibid. 27-29. Sull'influsso della fisica stoica su Antioco, cf. Luck 1953, 46; Lévy1992, 552-554.

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Capitolo sesto 227

2. 1. La critica all'atomo indivisibile e privo di qualità nell'Accademiascettica

L'Accademia scettica, proprio per il suo carattere non dogmatico, simuove liberamente fra le diverse scuole filosofiche, riprendendo spunti emotivi diversi da diverse parti e attingendo a piene mani anche dall'arma-mentario stoico29. In più occasioni lo schema dialettico e i contesti in cuicompare la descrizione dell'atomismo con relativa critica rimandano ap-punto all'Accademia. In questi casi più che parlare di una "fonte" comuneè più corretto parlare di una tradizione tramandata, anche oralmente, al-l'interno della scuola che perciò può presentarsi anche con varianti e ag-giunte a dipendenza dell'uso personale e contingente delle argomentazionida parte dei vari autori30.

2. 1. 1. Cicerone: De natura deorum, Academica

L'uso di tesi stoiche contro l'atomismo da parte degli Accademici scettici èparticolarmente evidente in Cicerone il quale pone le argomentazionienunciate sopra al paragrafo 2 talvolta in bocca ad Accademici talvolta aStoici. Nel primo libro del De natura deorum è l'accademico Cotta a parlarein questo modo contro Velleio, l'epicureo:

In che modo tuttavia nasce tutto questo apparato delle cose esistenti da corpi in-divisibili? i quali, se anche ci fossero, ma in realtà non esistono, potrebbero forsespingersi e urtarsi venendo a contatto uno con l'altro, ma non potrebbero gene-rare forme, vita, colori31.

Nel secondo libro del De natura deorum è lo stoico Balbo a sostenere lestesse tesi32, ma nel Lucullus è Cicerone stesso, in qualità di fautore delletesi di Filone di Larissa, a spiegare con argomentazioni simili il suo rifiutodi aderire, tra le altre dottrine, anche a quella democritea. Se infatti volesse

29 Cf. in particolare la dipendenza delle argomentazioni di Carneade da Crisippo, Cic. Ac.2,27,87 (Carnead. F 5, 85,67ss. Mette). Per la rielaborazione delle argomentazioni sul tevlo"di Crisippo da parte di Carneade, cf. Algra 1997.

30 Sulla prassi della memorizzazione di argomenti, del resto ampiamente in uso nelle scuole diretorica, cf. Mansfeld 1999, 15s.

31 Cic. De nat. deor. 1,39,110 Omnis tamen ista rerum effigies ex individuis quo modo corporibus oritur?quae etiam si essent, quae nulla sunt, pellere se ipsa et agitari inter se concursu fortasse possent, formare fi-gurare colorare animare non possent.

32 De nat. deor. 2,37,93-94 Hic ego non mirer esse quemquam qui sibi persuadeat corpora quaedam solidaatque individua vi et gravitate ferri mundumque effici ornatissimum et pulcherrimum ex eorum corporumconcursione fortuita? [...] Isti autem quem ad modum adseverant ex corpusculis non calore, non qualitatealiqua (quam poiovthta Graeci vocant) non sensu praeditis sed concurrentibus temere atque casu mundumesse perfectum. Sulla stessa linea si situano anche le critiche all'atomismo di De fin. 1,6,18 (68A 56 DK; C, 15, 180, 361 L.).

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L'indivisibilità dell'atomo nella dossografia tarda228

seguire Democrito, che peraltro egli stima, subito sarebbe incalzato da unaschiera di Stoici i quali gli chiederebbero:

Ma tu credi davvero che ci sia un qualche vuoto [...] o che esistano degli atomicompletamente diversi da qualsiasi cosa essi formino?33.

La flessibilità con cui Cicerone affida gli stessi argomenti a Stoici e Acca-demici è in perfetta consonanza con il carattere dialettico degli stessi e colfatto che erano divenuti un patrimonio confutativo comune che potevaessere utilizzato in diverse maniere e in diversi contesti.

2. 1. 2. Plutarco. Contro Colote

Il problema delle fonti della Contro Colote di Plutarco, anche dopo lo studiodi Westman 1955, non può considerarsi risolto. Egli, infatti, tende in ge-nerale ad attribuire a Plutarco stesso delle argomentazioni che fanno in-vece parte di schemi retorici diffusi e a trascurare il ruolo della tradizionedell'Accademia scettica proprio nell'elaborazione e nella trasmissione diqueste argomentazioni. In una dissertazione del 1911, che costituisce ineffetti ancora oggi forse l'unico studio in qualche modo comprensivo dellerelazioni fra Plutarco e l'indirizzo scettico, Schröter aveva rilevato chediversi punti della Contro Colote rimandano ad argomentazioni scettichenella tradizione dei tropi di Enesidemo34. Egli si è tuttavia limitato aconsiderare il rapporto diretto Plutarco-scetticismo senza allargare laricerca ad una consuetudine di trasmissione scolastica tipica anche dell'Ac-cademia scettica, non rifuggendo così da una certa episodicità e anche dauna certa inesattezza. La tesi dell'uso della tradizione accademica scetticada parte di Plutarco, soprattutto in opere polemiche come la Contro Colotee quelle contro gli Stoici, è stata ripresa negli ultimi decenni in un librofondamentale per la ricostruzione dell'immagine dell'Accademia scetticaquale quello di John Glucker35. Sulla sua scia altri studi moderni hannosottolineato inoltre come Colote stesso abbia diretto i suoi strali, fra glialtri, anche contro autori prediletti dall'Accademia di Arcesilao e contro le

33 Cic. Ac. 2,40,125 Sin agis verecundius et me accusas, non quod tuis rationibus non adsentiar, sed quodnullis, vincam animum cuique adsentiar deligam-quem potissimum? Quem? Democritum: semper enim, utscitis, studiosus nobilitatis fui. urguebor iam omnium vestrum convicio: 'tune aut inane quicquam putas esse[...] aut atomos ullas, e quibus quidquid efficiatur, illarum sit dissimillimum'? L'argomento secondocui gli elementi devono essere omogenei rispetto a ciò di cui sono elemento ha le sue radicinella distinzione crisippea fra elemento, che è appunto tale, e principio, che non lo è (SVFII 408, 134,37).

34 Schröter 1911, 11ss. e passim.35 Glucker 1978. Per questa tesi, cf. anche De Lacy 1953-1954; Jones 1916, 18s.; Donini

1986, 205.

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Capitolo sesto 229

interpretazioni che quest'ultima ne aveva dato36. Ovviamente il problemadelle fonti della Contro Colote è complesso ed esula dai limiti di questo stu-dio, ma alcuni passi in cui l'esposizione delle teorie atomiste è inquadratain un giudizio critico globale su di esse riflettono la stessa tradizione che siritrova nei testi di Cicerone.

1. Nella Contro Colote ricompare il leit-motiv ciceroniano del plagioepicureo di Democrito. Quando introduce qualche innovazione, Epicuronon fa che peggiorare la dottrina, per il resto copia37.

2. La critica agli atomi di Democrito e poi, successivamente, anche aquelli di Epicuro, viene impostata negli stessi termini di quella dell'Acca-demico Cotta nel De natura deorum ciceroniano. L'accusa è sempre la stessa:da atomi impassibili, solidi, privi di qualità non possono nascere esseriviventi e forniti di qualità, anzi non possono formarsi neppure degli ag-gregati in quanto tali atomi, incontrandosi, rimbalzano e si allontananoimmediatamente uno dall'altro38.

3. Plutarco accenna, in diretta correlazione con la critica all'atomo im-passibile, ad un motivo che riemerge in modo più esplicito e dettagliatosolo più tardi in un testo di Galeno39, quello dell'impossibilità per i corpi

36 Glucker 1978, 260s. L'immagine di Socrate che riflette la Contro Colote è ad esempioperfettamente congruente con quella circolante nell'Accademia filoniana ancora ai tempi diCicerone (Ac. 1,4,16; 12,44; 2,23,74). Cf. Opsomer 1998, 101-105. L'incapacità di Socratedi definirsi come uomo è un tema che ritorna nell'interpretazione "scettica" del filosofo ri-ferita da Sesto Empirico (Adv. Math. 7,264; Pyrrh. Hyp. 2,22). E' probabile che Colote si siaservito anche di una "vulgata" sui filosofi elaborata nell'Accademia di Arcesilao e assuntaanche dall'epicureismo. Cf. Caizzi 1986, 155; Gemelli Marciano 1998; Brittain-Palmer 2001;Warren 2002. Plutarco gli rimprovera non solo di essersi servito di affermazioni degli au-tori che egli critica estrapolate dal loro contesto (Adv. Colot. 1108 D), ma di non averneneppure letto i libri (come nel caso di Democrito, Adv. Colot. 1109 A). La confutazione diColote (o delle tendenze da lui rappresentate) in quanto avversario diretto dell'Accademiascettica, doveva costituire un esercizio retorico non così inusuale nella tradizione dellascuola.

37 Plut. Adv. Colot. 1111 C-E oujk ou\n ajnagkai'on uJpoqevsqai, ma'llon de; uJfelevsqai Dhmo-krivtou, ajtovmou" ei\nai tw'n o{lwn ajrcav": qemevnwi de; to; dovgma kai; kallwpisamevnwi tai'"prwvtai" piqanovthsin aujtou' prosekpotevon ejsti to; duscerev", h] deiktevon o{pw" a[poiaswvmata pantodapa;" poiovthta" aujtw'i movnwi tw'i sunelqei'n parevscen. Cf. Cic. De fin.1,6,17 (68 A 56 DK; C, 15, 180, 361 L.); 1,6,21 (182, 350, 470 L.); De nat. deor. 1,26,73 (68A 51 DK; XCIX L.); 1,33,93 (CIV L.); 1,43,120 (68 A 74 DK; 472a, 594 L.).

38 Plut. Adv. Colot. 1110 F (68 A 57 DK; 179 L.) tiv ga;r levgei Dhmovkrito"… oujsiva" ajpeivrou"to; plh'qo" ajtovmou" te kai; ajdiafqovrou" (corr. Emperius: diafovrou" EB), e[ti de; ajpoivou"kai; ajpaqei'" ejn tw'i kenw'i fevresqai diesparmevna": o{tan de; pelavswsin ajllhvlai" h] sum-pevswsin h] periplakw'si faivnesqai tw'n ajqroizomevnwn to; me;n u{dwr to; de; pu'r to; de; futo;nto; de; a[nqrwpon, ei\nai de; pavnta ta;" ajtovmou", ijdeva" uJp aujtou' kaloumevna", e{teron de;mhdevn: ejk me;n ga;r tou' mh; o[nto" oujk ei\nai gevnesin, ejk de; tw'n o[ntwn mhde;n a]n genevsqaitw'i mhvte pavscein mhvte metabavllein ta;" ajtovmou" uJpo; sterrovthto": o{qen ou[te crova ejxajcrwvstwn ou[te fuvsin h] yuch;n ejx ajpoivwn kai; ajpaqw'n uJpavrcein. Cf. Cic. De nat. deor.1,39,110, supra, n. 31.

39 Infra, 3. 2. 3.

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L'indivisibilità dell'atomo nella dossografia tarda230

fatti di atomi e di vuoto di essere feriti o ammalarsi. L'obiezione è rivoltaprincipalmente contro le teorie epicuree, ma è valida in blocco anchecontro tutte le dottrine atomiste. A Colote che rimprovera ad Empedocledi aver eliminato la possibilità per gli esseri viventi di ferirsi e ammalarsi,Plutarco risponde che non è Empedocle ad aver fatto questo, ma semmaile dottrine epicuree che hanno composto i corpi da atomi e vuoto, ambe-due insensibili40. Si tratta di una critica diffusissima cui risponde lo stessoLucrezio nel secondo libro del De rerum natura41. Tale argomentazione faparte di una serie di confutazioni dialettiche che mirava a porre le dottrineatomiste in una empasse: o gli atomi, in quanto impassibili, non possonogenerare nulla che sia vivo e con tutte le caratteristiche dell'essere vivente,cioè anche quella di ferirsi o ammalarsi, o, se non sono tali, anch'essi,come tutti gli altri corpi viventi, sono esposti a malattia, dolore e dissolu-zione e non possono essere eterni. L'insistenza sulla malattia e la dissolu-zione come caratteristiche proprie dell'essere vivente è un motivo tipico diCarneade così come il fatto che nessun corpo è immortale, indivisibile etale da non poter essere frammentato42. Filodemo, già nel I sec. a.C.,rispondeva a queste critiche affermando che i corpi sono corruttibili nonin quanto corpi, ma in quanto partecipi del vuoto43.

Il brano di stile dossografico di Plutarco su Democrito con la relativacritica agli atomi ha dunque le sue radici nella tradizione dell'Accademiascettica così come la maggior parte dei riferimenti ciceroniani. La rappre-

40 Adv. Colot. 1113 E tivsin ou\n ajlhqw'" e{petai to; mh; traumativzesqai mhde; nosei'n, w\Kwlw'ta… uJmi'n toi'" ejx ajtovmou kai; kenou' sumpephgovsin, w|n oujdetevrwi mevtestinaijsqhvsew".

41 Lucrezio (cf. in particolare 2,865ss.) confuta a sua volta punto per punto queste obiezionicon l'armamentario scolastico sviluppato nell'epicureismo.

42 Cic. De nat. deor. 3,12,29 (Carnead. F 8a, 93,24 Mette) Illa autem quae Carneades adferebat, quemad modum dissolvitis? Si nullum corpus immortale sit, nullum esse corpus sempiternum; corpus autem im-mortale nullum esse, ne individuum quidem nec quod dirimi distrahive non possit; cumque omne animalpatibilem naturam habeat, nullum est eorum quod effugiat accipiendi aliquid extrinsecus, id est quasi fe-rendi et patiendi necessitatem, et si omne tale est, immortale nullum est [...] 13,32 Omne enim animal sen-sus habet; sentit igitur et calida et frigida et dulcia et amara nec potest ullo sensu iucunda accipere, non ac-cipere contraria; si igitur voluptatis sensum capit, doloris etiam capit; quod autem dolorem accipit, idaccipiat etiam interitum necesse est. omne igitur animal confitendum est esse mortale. Cf. Sext. Emp.Adv. Math. 9,139; 142 (Carnead. F 3, 80,2-3; 81,17-19 Mette); 151 (Carnead. F 3, 81,30Mette).

43 Philod. De signis 25, 53,2 De Lacy eujqevw" ga;r [t]a; par hJmi'n swvmata [o]ujc h|i swvmat ejsti;nfqartav ejstin ajll h|i fuvsew" hjnantiwmevnh" th'i swmatikh'i kai; eijktikh'" meteivlhfen.oJmoivw" de; crwvmat e[cei ta; par hJmi'n swvmata oujc h|i swvmat ejstivn. Il fatto che Filodemousi precedentemente il termine periodeuvein (cercare una sicura prova) tipico della termi-nologia carneadea (Carnead. F 1, 72,26ss. Mette) potrebbe essere, più che un prestito (DeLacy, ad. loc., 109 n. 59), una allusione ad attacchi accademici contro i principi epicurei inquesti termini.

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Capitolo sesto 231

sentazione dell'atomo in questi testi rimane comunque costantementequella di un corpuscolo indivisibile perché solido.

2. 2. La vulgata di matrice posidoniana

Esiste tuttavia anche un'altra tradizione, più recente, interna allo stoici-smo, cui si è già accennato nel secondo capitolo, che è divenuta la "vulgata"negli autori di età imperiale. I suoi tratti distintivi rispetto al filone prece-dente sono: il carattere manualistico, lo stile dossografico e la classifica-zione di Democrito ed Epicuro (Leucippo non compare) fra coloro chehanno posto come principi corpi indivisibili per la solidità, separati espres-samente dai sostenitori di tesi corpuscolari. Questa classificazione risaleprobabilmente a Posidonio che, secondo la versione più completa dellavulgata fornita da Sesto Empirico, riportava le origini della dottrina atomi-stica al saggio fenicio Moco44. I presupposti di questa distinzione fraatomisti e corpuscolaristi sono ben chiariti da Sesto nel primo libro Controi Matematici in un passo nel quale vengono elencate le varie teorie di coloroche ammettono dei corpi solo intellegibili: alcuni li ritengono insecabili,altri li considerano divisibili. Questi ultimi vengono ancora distinti in duesottogruppi: quelli che li pongono divisibili all'infinito, quelli che, pur rite-nendoli divisibili, li fanno terminare in certi minimi privi di parti45. In que-sto schema gli atomi di Epicuro e Democrito (assolutamente indivisibili)vengono costantemente distinti dai minimi privi di parti (ulteriormentedivisibili col pensiero), attribuiti esclusivamente a Diodoro. Se Posidonioseparava espressamente l'atomismo dalle dottrine corpuscolariste, si com-prende perché nella sezione Sui minimi (Peri; ejlacivstwn) del cosiddettoAezio46, che risale in ultima analisi a lui, compaiano Eraclito, Empedocle,Eraclide, Senocrate e Diodoro, ma non gli atomisti: gli ejlavcista infatti,nella definizione risalente all'Accademia platonica e corrente nella filosofia

44 Sext. Emp. Adv. Math. 9,363 (68 A 55 DK; 124, 169 L.) Dhmovkrito" de; kai; Epivkouro"ajtovmou", eij mhv ti ajrcaiotevran tauvthn qetevon th;n dovxan kai;, wJ" e[legen oJ Stwiko;" Posei-dwvnio", ajpo; Mwvcou tino;" ajndro;" Foivniko" katagomevnhn, Anaxagovra" de; oJ Klazomevnio"oJmoiomereiva", Diovdwro" de; oJ ejpiklhqei;" Krovno" ejlavcista kai; ajmerh' swvmata,Asklhpiavdh" oJ Biquno;" ajnavrmou" o[gkou". Per la menzione di Moco, cf. anche Strab.16,2,24; Diog. Laert. Prooem. 1.

45 Sext. Emp. Adv. Math. 1,27 ajll ª...º ou[te nohto;n (scil. to; sw'ma ei\nai duvnatai) dia; to;ajdhlei'sqai kai; aujto; tou'to ajnepikrivtw" diafwnei'sqai para; pa'si toi'" filosovfoi", tw'nme;n a[tomon tou'to legovntwn uJpavrcein tw'n de; tmhto;n, kai; tw'n tmhto;n famevnwn ei\nai ejnivwnme;n eij" a[peiron tevmnesqai tou'to ajxiouvntwn, ejnivwn de; eij" ejlavciston kai; ajmere;" ka-talhvgein. Sull'importanza di questo passo per decifrare un testo corrotto di Pseudo-Plu-tarco e Stobeo, v. infra, 3. 3.

46 Ps.-Plut. 1,13, 883 B; Stob. 1,14,1 (Dox. 312).

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L'indivisibilità dell'atomo nella dossografia tarda232

di età tardo-ellenistica e imperiale, sono corpuscoli minimi ulteriormentedivisibili col pensiero anche se in realtà non divisi. Gli atomi non appar-tengono a quest'ambito.

Questa classificazione delle dottrine atomiste ritorna, con delle va-rianti, in diversi autori di età imperiale. Una di queste versioni, quella delvescovo di Alessandria Dionisio (III sec. d.C.), è particolarmente interes-sante, non solo perché riporta un resoconto più ampio sull'atomismorispetto alle liste usuali, ma anche perché ha scatenato ipotesi e discussionisulla dimensione degli atomi democritei. Dionisio oppone ai monisti(Platone, Pitagora gli Stoici ed Eraclito) gli atomisti come sostenitori diuna infinità di principi e di una sostanza infinita, ingenerata e non regolatada alcuna provvidenza (un altro tratto su cui insistono spesso i resocontitardi di matrice stoica). A Epicuro e a Democrito attribuisce espressa-mente atomi indivisibili per la solidità e intravvede una diaphonia solo nelfatto che Democrito avrebbe assunto addirittura degli atomi grandi comeun mondo, mentre Epicuro li avrebbe concepiti tutti come piccolissimi.Quest'ultimo dettaglio, che si trova anche in Stobeo47, deriva, come hadimostrato O'Brien, da un pre-supposto e cioè dal motivo epicureo dell'e-sistenza di parti dell'atomo cui consegue una correlazione fra varietà diforme e varietà di grandezza: se l'atomo è formato di parti, una variazioneinfinita di forme, produce una variazione infinita anche di volume. Questacorrelazione viene esplicitamente istituita da Lucrezio48 e tacitamente pre-supposta sia dai dossografi antichi che dagli storici della filosofia mo-derni49. Un altro fatto non è però mai stato rilevato e cioè che questa

47 Stob. 1,14,1 (Dox. 311; 68 A 47 DK; 207 L.) dalla stessa fonte, che non è direttamenteepicurea come vuole Diels, Vors. II, 96 n. ad loc., ma si basa semmai su dei presuppostiepicurei secondo cui gli atomi sono infiniti per numero e per grandezza (cf. anche Diog.Laert. 9,44, supra, n. 5).

48 2, 479-499.49 O'Brien 1982, 191ss. I moderni si sono spesso limitati a utilizzare questo passo senza

discuterlo criticamente. Bailey 1928, 126-28 vi vedeva una conferma della differenza da luiipotizzata fra Leucippo e Democrito; invece di un atomo indivisibile per la piccolezza,Democrito avrebbe assunto un atomo indivisibile per la solidità e un'infinità di forme cheavrebbe portato anche alla possibilità di un atomo grande e visibile. L'infinità di forme,tuttavia, è attribuita espressamente da Aristotele (De gen. et corr. A 2, 315b 6ss. = 67 A 6DK; 240 L.) e da Teofrasto (Fr. 229 FHS&G = 67 A 8 DK; 147 L.) sia a Democrito che aLeucippo. Più fantasiosa l'interpretazione data da Mau 1954, 24 il quale, vedendo nell'a-tomo democriteo un minimo matematico e una misura, fa dell'atomo grande come unmondo una misura delle grandezze astronomiche (grandezze che richiedono una unità dimisura molto grande). Mugler 1956, 234 vede nell'atomo grande l'applicazione del princi-pio di isonomia (l'argomento dell'indifferenza) il quale tuttavia non viene mai enunciato ri-spetto alla grandezza, ma alle forme. Altrove (1959, 11) contempla la possibilità che De-mocrito potesse pensare che, in mondi diversi dal nostro, potessero esistere atomi digrandezza maggiore di quelli costituenti mediamente il nostro mondo, ma qui siamo nelcampo della pura speculazione. Makin 1993, 63 riprende l'argomento dell'indifferenza delle

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affermazione così specifica è una presa di distanza da un'altra rappresenta-zione del rapporto Epicuro-atomisti antichi, che ritorna nei padri dellachiesa e verrà esaminata in seguito, secondo la quale il primo avrebbeposto atomi indivisibili per la solidità, gli altri invece atomi indivisibili perla piccolezza. Qui viene ribadito proprio il contrario: Democrito, lungi dalsostenere questa ipotesi, ha invece ammesso atomi grandissimi poiché liriteneva, come Epicuro, indivisibili per la solidità. Nel seguito del reso-conto Dionisio riproduce in maniera confusa lo schema classificatoriodella vulgata, distinguendo gli atomisti da Diodoro, Eraclide ed Asclepiade,ma elimina la differenza sostanziale fra gli uni e gli altri facendone unaquestione di mera denominazione: i corpuscolaristi avrebbero solo "cam-biato nome agli atomi" chiamandoli "minimi privi di parti" o "o[gkoi"50 .La versione fornita da Dionisio risale probabilmente ad una fonte neopi-tagorica che interpretava come principio di Pitagora, e quindi anche diPlatone, l'uno inserendo ambedue fra i monisti. Tale fonte ha rielaboratoun resoconto di matrice stoica così come hanno fatto anche altri autori di

forme e sostiene che, per una forma di "charity", si devono far trarre a Democrito tutte leconseguenze di questo argomento anche per le grandezze. Lur'e 1970, 464 accetta senza di-scussione la testimonianza. Alfieri incline in 1936 ad una valutazione positiva dei testi diDionisio e di Stobeo (13 n. 49; 19 n. 75; 80 n. 151; 94 n. 207), vi vede invece in 1979, 67(cf. anche 1952, 149) una sorta di glossa critica non riferibile alla dottrina democriteastessa, bensì alle conseguenze che se ne potevano trarre. Così anche Guthrie II, 1965, 394s.e Furley 1967, 96.

50 Dionys. ap. Eus. Praep. Ev. 14, 23,1-4 (68 A 43 DK; 219, 265, 299, 310 L.) povteron e{n ejstisunafe;" to; pa'n, wJ" hJmi'n te kai; sofwtavtoi" tw'n ÔEllhvnwn Plavtwni kai; Puqagovrai kai;toi'" ajpo; th'" Stoa'" kai; ÔHrakleivtwi faivnetai ª...º h] kai; polla; kai; a[peira, w{" tisina[lloi" e[doxen, oi} pollai'" th'" dianoiva" paraforai'" kai; poikivlai" proforai'" ojnomavtwnth;n tw'n o{lwn ejpeceivrhsan katakermativzein oujsivan a[peirovn te kai; ajgevnhton kai; ajpro-novhton uJpotivqentai… oiJ me;n ga;r ajtovmou" proseivponte" a[fqartav tina kai; smikrovtataswvmata plh'qo" ajnavriqma kaiv ti cwrivon keno;n mevgeqo" ajperiovriston probalovmenoi,tauvta" dhv fasi ta;" ajtovmou" wJ" e[tucen ejn tw'i kenw'i feromevna" aujtomavtw" te sum-piptouvsa" ajllhvlai" dia; rJuvmhn a[takton kai; sumplekomevna" dia; to; poluschvmona" ou[sa"ajllhvlwn ejpilambavnesqai, kai; ou{tw tovn te kovsmon kai; ta; ejn aujtw'i, ma'llon de; kovsmou"ajpeivrou" ajpotelei'n. tauvth" th'" dovxh" Epivkouro" gegovnasi kai; Dhmovkrito": tosou'ton de;diefwvnhsan o{son oJ me;n ejlacivsta" pavsa" kai; dia; tou'to ajnepaisqhvtou", oJ de; kai; me-givsta" ei\naiv tina" ajtovmou" oJ Dhmovkrito" uJpevlaben. ajtovmou" de; ei\naiv fasin ajmfovteroikai; levgesqai dia; th;n a[luton sterrovthta. oiJ de; ta;" ajtovmou" metonomavsante" ajmerh' fa-sin ei\nai swvmata, tou' panto;" mevrh, ejx w|n ajdiairevtwn o[ntwn suntivqetai ta; pavnta kai; eij"a} dialuvetai. kai; touvtwn fasi; ajmerw'n ojnomatopoio;n Diovdwron gegonevnai: o[noma dev, fa-sivn, aujtoi'" a[llo ÔHrakleivdh" qevmeno" ejkavlesen o[gkou", par ou| kai; Asklhpiavdh" oJ ija-tro;" ejklhronovmhse to; o[noma. Cf. per l'ultima parte [Gal.] Ther. ad Pis. 11 (XIV,250 K.) ejxajtovmou kai; tou' kenou' kata; to;n Epikouvrou te kai; Dhmokrivtou lovgon suneisthvkei ta;pavnta, h] e[k tinwn o[gkwn kai; povrwn kata; to;n ijatro;n Asklhpiavdhn: kai; ga;r ou{tw"ajllavxa" ta; ojnovmata movnon kai; ajnti; me;n tw'n ajtovmwn tou;" o[gkou", ajnti; de; tou' kenou' tou;"povrou" levgwn th;n aujth;n ejkeivnoi" tw'n o[ntwn oujsivan ei\nai boulovmeno".

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L'indivisibilità dell'atomo nella dossografia tarda234

età imperiale51, ma ha dato una diversa versione della diaphonia fra Epicuroe Democrito rispetto a quella che è accennata nella dossografia aeziana e siritrova in altri autori della tarda età imperiale.

3. Atomo indivisibile per la piccolezza e minimo fisiconegli autori tardi

Nel capitolo quinto si è parlato di una interpretazione dell'atomo degliatomisti antichi come "minimo" alla luce di una problematica logico-on-tologica e di una visione matematizzante della realtà sensibile tipica del-l'Accademia antica. In questa ottica l'atomo diviene l'unità ultima che or-dina e misura il sensibile, il minimo privo di parti relativo e, come tale,viene posto sullo stesso piano di un corpuscolo sempre divisibile con lamente, anche se in pratica mai diviso. Tale interpretazione, che influenzala presentazione aristotelica dell'atomismo nei contesti che trattano laproblematica degli indivisibili, si ripresenta anche nella tradizione succes-siva, se pure con una frequenza del tutto inferiore a quella della rappre-sentazione dell'atomo pieno e compatto di matrice aristotelico-teofrastea.Se si può tracciare una storia di questa particolare esegesi dall'Accademiascettica fino a Simplicio, resta tuttavia difficile riempire quel vuoto chesepara gli allievi più prossimi di Platone dall'Accademia di Arcesilao, unadifficoltà connaturata con la profonda trasformazione operatasi nellascuola sotto lo scolarcato di quest'ultimo52. Tale lacuna, nel caso specificocome in tante altre problematiche correlate alla seconda Accademia, può

51 Sesto varia presentando non un elenco, ma una opposizione fra sostenitori dei vari principiprincipi corporei e incorporei, che la versione originale probabilmente non contemplava.Inoltre, rispetto a Dionisio, assegna agli Stoici quattro principi, classifica Pitagora e Platonefra i sostenitori dei principi incorporei e li qualifica non come monisti, ma come pluralistitenendoli ben distinti uno dall'altro (Pitagora ha assunto come principi i numeri, Platone leidee). Ippolito (Ref. 10,6,1-7) fornisce una ulteriore versione ancora più complessa, proba-bilmente di provenienza medioplatonica in quanto a Platone sono attribuiti i classici treprincipi medioplatonici: dio-materia-modello. Gli Stoici vengono inseriti fra i monisti,come in Dionisio, ma la lista dei sostenitori di infiniti principi si presenta ulteriormenterielaborata in base alla distinzione: uguali a ciò che essi generano (Anassagora)/ diversi daciò che essi generano. Sotto quest'ultima voce vengono distinti coloro che pongono prin-cipi diversi e impassibili (Democrito ed Epicuro) da quelli che pongono invece principi di-versi, ma capaci di patire (Eraclide e Asclepiade). Si tratta, come si vede, di schemi flessibilie adattati in base alle esigenze di ciascuna scuola filosofica.

52 Uno stacco dall'Accademia platonica e radici peripatetiche ipotizza Weische 1961. Unacontinuità nella tradizione accademica, soprattutto per quanto riguarda il metodo dialetticoe la base logica della dottrina delle idee e delle categorie, e dunque uno sviluppo della se-conda Accademia sui metodi di fondo dell'Accademia platonica tramandatisi all'internodella scuola, vi vede Krämer 1971, cap. I.

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Capitolo sesto 235

essere colmata solo da ipotesi più o meno plausibili. Sta di fatto che co-munque l'interpretazione del corpuscolo solido come ejlavciston kai; ajme-rev", minimo indivisibile per la piccolezza e privo di parti, riemerge nellatradizione tarda collegata, però, in particolare al nome di Leucippo. Solo diriflesso e per gli accidenti della trasmissione viene talvolta estesa anche agliatomi di Democrito e persino a quelli di Epicuro. Bailey aveva ricostruitouna dottrina atomista di Leucippo diversa da quella di Democrito appog-giandosi soprattutto a questo filone53.

3. 1. Le premesse. Epicuro fra l'Accademia e Aristotele:atomi solidi e minimi dell'atomo

La tradizione tarda che presenta l'atomo degli atomisti antichi comeejlavciston kai; ajmerev" ha come tratto distintivo la diaphonia fra Leucippo(talvolta anche Democrito) ed Epicuro: ad un atomo, minimo indivisibileper la piccolezza e privo di parti degli atomisti antichi, Epicuro avrebbecontrapposto il suo atomo indivisibile per la solidità. Si tratta di una rap-presentazione opposta a quella del filone precedentemente esaminato cheinvece vede una sostanziale concordanza fra Epicuro e Democrito. Perverificare se tale diaphonia rispecchi veramente la posizione di Epicuro osia solo una ricostruzione a posteriori, è opportuno fare una digressionesui fondamenti dell'atomismo epicureo.

La definizione dell'ejlavciston come ajmerev" e misura di ogni singololivello dell'essere e la sua utilizzazione per la soluzione delle aporie zeno-niane, risale, come si è visto, a Senocrate. Aristotele non designa maiesplicitamente gli atomi di Democrito e Leucippo come ajmerh', ma ap-plica questa definizione agli indivisibili matematici, in particolare al punto,estendendone però la denotazione, in contesti diretti contro gli Accade-mici, anche alle grandezze prime di ogni livello54. Nel sesto libro dellaFisica si produce in un minuzioso esame dei problemi che questo concettodi indivisibile privo di parti comporta se applicato all'ambito della fisica,caratterizzato per eccellenza dal movimento. O si nega il movimento inatto (praticamente ricadendo nell'assurdo ancora più grave di ammettereche un oggetto non è mai in movimento, ma si è comunque mosso) o sideve concedere che non esistono indivisibili. Queste critiche non hannocome obiettivo principale Leucippo e Democrito cui Aristotele non attri-buisce mai primariamente degli atomi privi di parti, ma gli Accademici55.

53 Bailey 1928, 78ss.54 In particolare Phys. Z 1-2, cf. Krämer 1971, 265s.55 Cf. Krämer 1971, 288ss.

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L'indivisibilità dell'atomo nella dossografia tarda236

Questa premessa è indispensabile per comprendere le ragioni profondedella doppia caratterizzazione dell'indivisibile in Epicuro che sembra ag-giungere ad un atomismo fisico una appendice matematizzante suggeritada ragioni teoriche, ma priva di una valenza fisica effettiva. Non è il casodi dilungarsi sul ruolo svolto dalle critiche aristoteliche agli indivisibili prividi parti della Fisica nell'elaborazione del concetto di minimo assoluto daparte di Epicuro56 e neppure sull'influsso esercitato dall'Accademia, untema anch'esso già ampiamente trattato57. E' importante invece rivedere lemodalità di ricezione di questi influssi. Epicuro stabilisce chiaramente unadistinzione fra aspetto fisico e aspetto logico del problema degli indivisi-bili: l'atomo è il principio ultimo ipotizzabile nel campo della fisica, il mi-nimo dell'atomo quello ipotizzabile nell'ambito della teoria, ma solo ilprimo costituisce il fondamento della realtà, mentre l'altro esiste solo katejpivnoian e ha quindi una funzione meramente logica. Esso serve a spie-gare certi fenomeni (quali ad esempio il fatto che l'atomo abbia una gran-dezza58, ma non infinite variazioni59), ma non li genera. A mio parere sitratta di un elemento fondamentale, sostanzialmente polemico contro leconcezioni accademiche. Si è visto che nel brano di Sesto Empirico Controi Matematici60 i cosiddetti Pitagorici rimproveravano agli atomisti antichiproprio la mancanza di quella ulteriore scomposizione mentale (katejpivnoian) che, spingendosi al di là dell'apparente eternità del mondo fi-sico, li avrebbe portati a scomporre i corpi, per natura composti, nei piùprincipianti incorporei matematici. Si è visto, d'altra parte, come Aristotelecontrapponesse all'atomismo, secondo lui infecondo e statico, degli Acca-demici proprio quello degli atomisti antichi capace, se non altro, di gene-rare degli oggetti fisici e in movimento e come attribuisse agli oggetti ma-tematici un valore unicamente logico. Soprattutto nel quadro di queste dueposizioni fondamentali del dibattito sull'atomismo fra l'Accademia e ilPeripato, mi sembra si debba inserire la dottrina epicurea. Si tratta infattidi un compromesso fra l'ontologia matematizzante degli Accademici, cherimproveravano agli atomisti di non aver cercato le vere cause intellegibilidel reale, e la fisica atomista ripresa e giustificata sulla base delle critichearistoteliche all'Accademia. In questo senso la dottrina epicurea dei minimidell'atomo costituisce anche una conferma indiretta dell'autenticità dellapolemica di Senocrate e degli Accademici contro gli atomisti. Epicuroaccetta il principio accademico della scomposizione mentale privandolo

56 Cf. su questo soprattutto Mau 1954, 27ss.; Furley 1967, cap. 8.57 L'opera fondamentale su questo aspetto è Krämer 1971, 231ss. Cf. anche Isnardi Parente

1980b, 367-392; 1981, 24s. n. 40.58 Ep. Ep. 1,59.59 Lucr. 2,481-499.60 10,255ss., supra II 4.

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però di una validità ontologica e fondandolo su altre premesse metodolo-giche legate all'empiria e al ragionamento induttivo, non più al metodomatematico di sottrazione. Il minimo dell'atomo viene infatti inferito peranalogia col minimo sensibile e non per scomposizione del corpo nelle suecomponenti matematiche ai vari livelli. Vengono invece accettati i minimiprivi di parti dell'Accademia nel loro carattere di limiti e unità di misurasolo perché servono a spiegare fenomeni visibili, ma non viene loro attri-buita una esistenza autonoma61. A questo proposito è da rilevare l'analogiadei minimi dell'atomo con la concezione delle qualità costitutive delcorpo: figura, grandezza, peso. Anch'esse sono entità noetiche senza lequali un corpo non può essere concepito come tale, ma non hanno un'esi-stenza indipendente. Con questo Epicuro rifiuta implicitamente le ideeincorporee platoniche come entità a sé stanti e si allinea sulle posizionidelle Categorie aristoteliche. Sia nella teoria dei minimi che nella concezionedel corpo egli opera dunque una netta distinzione fra fisica e logica, sullabase delle obiezioni agli Accademici e delle conseguenti teorie elaborate daAristotele. Questo spiega perché, nonostante le critiche aristoteliche dellaFisica agli indivisibili, Epicuro mantenga degli indivisibili ultimi e assumaciò che Aristotele aveva rifiutato come assurdo e cioè che qualcosa si èsempre mosso, ma non è in movimento attuale62. Proprio perché Epicurodistingue nettamente il presupposto logico, utile a spiegare il fenomeno,dalla realtà del fenomeno stesso, egli accetta alcune tesi accademiche e nelcontempo alcune tesi aristoteliche. Siccome per lui l'infinito è qualcosa di

61 Nella particolare argomentazione a favore dell'assunzione di un minimo privo di particome argine alla divisibilità all'infinito di Lucr. 1,615-627, Furley 1967, 36-38, individuagiustamente un riferimento alla tradizione argomentativa accademica. Lucrezio sostieneche, se non si concepissero dei minimi dell'atomo, anche i corpi piccolissimi sarebberocomposti di infinite parti e niente sarebbe finito. Non ci sarebbe dunque nessuna diffe-renza fra la somma delle cose, infinita, e la cosa più piccola, anch'essa infinita. Furley, con-tro tutta la tradizione interpretativa che vi vedeva una polemica antistoica, fa notare comequesto argomento lucreziano rechi i tratti del primo argomento a favore degli indivisibilidel trattato De lineis (968a 2): la distinzione fra molto e poco è appunto là garantita dall'esi-stenza di ajmerh'. Isnardi Parente 1980b, 375, individua anche nella definizione del minimocome misura, che distingue negli atomi il più piccolo e il più grande (Ep. 1,59), un implicitoinflusso delle categorie platonico-accademiche del grande e del piccolo. Il minimo sarebbedunque un elemento che limita e definisce l'oscillazione grande/ piccolo.

62 Sono i due punti con cui alla fine devono confrontarsi tutti coloro che accettano senzariserve la presentazione di Simplicio (v. infra, 3. 4) della teoria epicurea come correzionedell'atomismo antico in seguito alle critiche aristoteliche. Cf. Silvestre 1985, 70ss., che è poicostretta ad attribuire ad Epicuro la svista di aver trasferito in realtà sui minimi le caratteri-stiche degli atomi di Democrito. Furley 1967, 128s. ammette di non aver trovato nessunatestimonianza del perché Epicuro abbia spostato sui minimi dell'atomo l'assoluta indivisi-bilità e non abbia invece assunto un atomo indivisibile in assoluto come quello Democri-teo. Infatti adottando il principio, rifiutato da Aristotele, che l'atomo si è mosso in ognimomento, ma non si muove mai, cioè ammettendo che il tempo è fatto anch'esso di indivi-sibili, non ci sarebbe stato bisogno di modificare la concezione dell'atomismo antico.

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L'indivisibilità dell'atomo nella dossografia tarda238

reale e di esistente in atto accetta, contrariamente ad Aristotele, l'arrestodella divisione e gli indivisibili. Dato che inoltre si devono spiegare alcunifatti connessi con gli indivisibili, quali ad esempio la grandezza e la diver-sità delle forme, accetta anche l'ulteriore divisibilità teoretica dell'atomo,ma solo in funzione della giustificazione di questi fenomeni. I suoi miniminon esistono separati dall'atomo, dunque gli Accademici hanno ragione aipotizzare un limite all'infinita divisione che vada al di là dei corpi, masbagliano quando scompongono il corpo nelle figure matematiche asse-gnando loro una validità reale e ponendole a fondamento del mondo fi-sico.

Un tratto tipicamente epicureo è la critica a Platone e all'Accademiaattraverso la rielaborazione di argomentazioni aristoteliche rivolte controdi loro. La critica alle forme geometriche degli elementi è condotta adesempio con argomenti tratti dal terzo libro del De caelo63. Aristotele, pole-mizzando contro le figure geometriche elementari accademiche, avevaaffermato che, se non si pongono queste figure come indivisibili, unaparte del fuoco non sarà fuoco né una parte di terra, terra, in quanto leparti di una piramide non sono piramidi, né quelle del cubo o della sfera,cubi o sfere. Epicuro "traduce" il concetto generale di indivisibilità, cuiAristotele accennava, nei suoi termini (indivisibile uguale ad assolutamentesolido) e rivolge la critica aristotelica contro le figure elementari accademi-che: queste non sono indivisibili perché non sono solide. Non preesi-stendo questa condizione, si possono immaginare non solo divisibili all'in-finito, ma anche in una grande varietà di forme, diverse dai quattro solidi edai triangoli64. La critica alle forme atomiche di Platone e degli Accademicifornisce un esempio del modo di procedere di Epicuro nella definizionedei fondamenti della dottrina atomistica:

1. Ponendo come causa dell'indivisibilità degli elementi primi la soli-dità, egli nega che le quattro forme elementari possano essere i principi delmondo fisico e rivaluta nel contempo la tesi della varietà delle forme ato-miche contro quella di forme matematiche ben definite.

63 De cael. G 7, 306a 30-35 ajnavgkh ga;r o{soi sch'ma poiou'sin ejkavstou tw'n stoiceivwn kai;tou'twi diorivzousi ta;" oujsiva" aujtw'n, ajdiaivreta poiei'n aujtav: th'" ga;r puramivdo" h] th'"sfaivra" diaireqeivsh" pw" oujk e[stai to; leipovmenon sfai'ra h] puramiv". Cf. anche 305b31-306a 1 e Arrighetti 1973, 606s.

64 Ep. Peri; fuvsew", Fr. [29.23] Arr. pw'" a[n ti" u{dwr h] ajevªrºa dianohqeivhi h] pu'r, ejpei; oujda]n gh'n sterea;n kai; ajdiavluton dianohqeivhi ti", mh; o{ti tau'ta, a[llw" tãeà kai; kªinduneuvwneij"º ªa[ºpeiron e{kasªton aujtw'n tevºmnein w{sper oiJ tau'ªtaº ajpofainovmenoi tevmnousin. eijga;r mh; stereo;n e{kaston touvtwn nohqhvsetªaºi, polla;" kai; pantoi'a" katªa;º ta;" toma;"fantasiva" paraskeua'i schmavtwn kai; oªujº tªrºivgwna ªoºujde; puramivda" oujde; kuvbou" oujda[llo oujqe;n wJªrºismevnon sch'ma. oªujqºe;n gªa;ºr piqano;n e[coien ªa]ºn levgein wJ" ma'llovn tiªta;º oJrwvmena tau'ta ªta;º tªevtºtara ªei[ºdh ejªsºti;ª.

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Capitolo sesto 239

2. A questo scopo utilizza la critica aristotelica alle forme geometrichee ai corpi matematici come elementi del mondo fisico65.

3. Epicuro accetta però anche l'assunto accademico della limitatezzadelle forme e delle grandezze in quanto questo spiega perché nessunatomo sia visibile. Nasce dunque quello strano ibrido secondo cui la va-rietà delle forme non è infinita, ma solo inconcepibile66.

Ci sono dunque buone ragioni per credere che Epicuro abbia operatoallo stesso modo nell'ambito della teoria dell'atomo e dei minimi:

1. Rivalutando la fisica democritea basata su corpuscoli assolutamentesolidi come fondamenti ultimi del mondo fisico e facendo della solidità edella compattezza l'unico vero criterio di indivisibilità.

2. Utilizzando la critica aristotelica contro la scomposizione ulterioredei corpi in elementi matematici degli Accademici.

3. Accettando di questi ultimi la divisione del corpo fino ai suoi limiticoncettuali che permettono di pensarlo come finito, fornito di grandezza edi forme limitate, ma privando di qualsiasi valore reale questa scomposi-zione e facendone solo una necessità logica.

Epicuro definisce infatti l'atomo come "corpo solido privo di vuoto alsuo interno"67, assumendo un criterio di indivisibilità fisico, non matema-tico. Egli inoltre non definisce l'atomo come un minimo privo di partiperché quest'ultimo concetto appartiene al livello non della realtà fisica,ma della logica. Il minimo epicureo è il limite (delle lunghezze)68 e l'unità dimisura prima69 come quello degli Accademici, ma nell'Epistola ad Erodotoviene confinato espressamente con una espressione fortemente allusivaalla "dia; lovgou qewriva ejpi; tw'n ajoravtwn". Questa espressione non indicagenericamente "un metodo di ragionamento che si applica alle cose invisi-bili" (secondo la traduzione di Arrighetti), ma allude molto specificamenteall'"esame dialettico nell'ambito degli invisibili", a quel metodo cioè cheAristotele attribuisce agli Accademici definendoli oiJ logikw'" skopou'nte"e opponendoli a Democrito immediatamente prima del brano sugli indivi-

65 Cf. per la prima parte del frammento precedente le critiche di Arist. De cael. G 7, 306a 30-35. Arrighetti 1973, 605s., ad loc.

66 Ep. Ep. 1,42 per le forme; cf. per le grandezze, 55-56.67 Fr. 92 Us., v. supra, n. 2.68 Ep. Ep. 1,59. Il fatto che questi vengano definiti limiti delle lunghezze non può che far

pensare alle linee indivisibili di Senocrate, cf. Isnardi Parente 1980b, 376; 1981, 25 n. 40.69 Ep. Ep. 1,59 e[ti te ta; ejlavcista kai; ajmerh' pevrata dei' nomivzein tw'n mhkw'n to; kata-

mevtrhma ejx aujtw'n prw'ton toi'" meivzosi kai; ejlavttosi paraskeuavzonta th'i dia; lovgouqewrivai ejpi; tw'n ajoravtwn. Per il testo di questo brano mi attengo all'edizione di Arrighetti1973 che accetta la correzione del von Arnim di ajmigh' dei codici in ajmerh' (cf. von Arnim1907, 398 n. 5; Krämer 1971, 246 n. 53; Isnardi Parente 1980b, 372 n. 10) e la lezioneprw'ton di BFZf contro prwvtwn degli altri codici, di Usener e dello stesso Krämer 1971,247. Cf. anche Isnardi Parente 1980b, 375 n. 17.

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L'indivisibilità dell'atomo nella dossografia tarda240

sibili in De generatione et corruptione A 2. Dato che il campo degli ajovratacomprende anche gli atomi, in questa precisazione di Epicuro si può leg-gere una implicita distinzione fra due ambiti di ricerca sugli elementi invi-sibili: quello fisico, che fonda la realtà, e quello dialettico, funzionale aquesto e valido unicamente per giustificarne certi caratteri, ma non in sé.Nel secondo capitolo si è visto come i cosiddetti Pitagorici di Sesto lodas-sero atomisti e corpuscolaristi per aver posto dei principi invisibili delmondo fenomenico, ma li criticassero poi per aver arrestato arbitraria-mente la divisione e per non aver ricercato principi incorporei veramenteeterni. Epicuro sembra puntualizzare, nell'allusione all'indagine dialetticasugli invisibili, l'ambito in cui questa ulteriore divisione va collocata, chenon è quello dei fondamenti reali del mondo fenomenico, ma quello deiloro presupposti logico-dialettici.

Nelle definizioni di atomo e minimo fisico è dunque leggibile quellaposizione di Epicuro a favore di un atomismo fisico di Democrito con-dotta con l'aiuto di Aristotele e contro le critiche accademiche, ma anchel'accettazione di un certo schema di pensiero accademico sconosciuto aDemocrito e rifiutato da Aristotele.

Tutti quei tratti dei minimi epicurei che rimandano ad una polemicavelata contro le critiche degli Accademici agli atomisti antichi, condottasulla falsariga degli attacchi aristotelici contro le dottrine accademiche,sono messi in rilievo in un testo di Lucrezio sui minimi. La testimonianzaè interessante in quanto riporta una argomentazione non reperibile negliscritti superstiti di Epicuro, ma probabilmente presente nel Peri;fuvsew"70. Lucrezio, trattando dei minimi dell'atomo, ne ribadisce la neces-sità teorica, ma ne sottolinea, più di quanto non faccia Epicuro nella let-tera ad Erodoto, la assoluta irrilevanza fisica: essi infatti non possonoavere esistenza propria e separata71. Questo è già di per sé sintomatico inquanto Aristotele si era proprio accanito contro la valenza fisica attribuita,secondo lui, dagli Accademici a oggetti isolabili solo mentalmente, ma chenon hanno alcuna incidenza sui processi fisici72. Come argomento control'esistenza separata dei minimi dell'atomo Lucrezio adduce il fatto che essinon potrebbero ricostituire nulla dal momento che ciò che non ha partinon possiede le proprietà che caratterizzano una materia generatrice e

70 Per una trattazione dettagliata di questa testimonianza lucreziana Furley 1967, cap. 2;Krämer 1971, 249-254.

71 Lucr. 1,602s. nec fuit unquam/ per se secretum neque posthac esse valebit;/ quae quoniam per se ne-queunt constare, necessest/ haerere unde queant nulla ratione revelli.

72 Cf. e.g. Metaph. B 5, 1002a 18-25. Linea, superficie solido sono presenti nel corpo in quantodivisioni, ma non in quanto sostanze separate. Konstan 1987, 5s. sottolinea come Epicurosi differenzi per questa posizione soprattutto dall'atomismo accademico piuttosto che daquello democriteo.

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stanno alla base dei processi fisici: svariate possibilità di contatto, peso,spinta verso l'alto73, capacità di combinarsi, movimenti vari74. Lucrezio siriferisce principalmente agli oggetti matematici i quali, secondo Aristotele,non possono dare origine a nessun corpo fisico perché privi delle caratte-ristiche di quest'ultimo. Aristotele rivolge costantemente questa critica nonagli atomisti antichi i cui corpuscoli, in quanto tali, avevano il vantaggio dipoter generare dei processi fisici75, bensì a Platone e ai suoi allievi e,occasionalmente, anche ai Pitagorici76. Negli attacchi aristotelici contro gliAccademici si possono ritrovare dunque quei punti qualificanti che Lucre-zio designa come tipici della materies genitalis e che i minimi non hanno. Inparticolare la mancanza di peso degli indivisibili accademici (in Lucreziopondera) è oggetto di una lunga critica in De caelo G 1. Aristotele oppone aquesti ultimi proprio i corpuscoli di Democrito che, in quanto corpi,hanno peso77 e obietta che gli oggetti matematici, in quanto privi di movi-

73 Cf. per la distinzione fra peso, movimento verso il basso, e plhghv, spinta verso l'alto che gliatomi ricevono da altri che stanno al di sotto, Stob. 1,14,1f; Ps.-Plut. 1,12, 883 B (Ep. Fr.280 Us.) Epivkouro" ª...º kinei'sqai de; ta; a[toma tovte me;n kata; stavqmhn tovte de; kata; pa-revgklisin, ta; de; a[nw kinouvmena kata; plhgh;n kai; ajpopalmovn.

74 Lucr. 1,628-634 Denique si minimas in partis cuncta resolvi/ cogere consuesset rerum natura creatrix,/iam nil ex illis eadem reparare valeret/ propterea quia, quae nullis sunt partibus aucta,/ non possunt eaquae debet genitalis habere/ materies, varios conexus pondera plagas/ concursus motus, per quae res quae-que geruntur.

75 De gen. et corr. A 2, 315b 33-34 o{mw" de; touvtoi" (scil. Dhmovkrito" kai; Leuvkippo") ajlloivwsinkai; gevnesin ejndevcetai poiei'n.

76 Cf. Ibid. 316a 2-4 toi'" d eij" ejpivpeda diairou'sin oujkevti: oujde;n ga;r givnetai plh;n sterea;suntiqemevnwn: pavqo" ga;r oujd ejgceirou'si genna'n oujde;n ejx aujtw'n. Sull'incapacità di gene-rare degli oggetti matematici, cf. anche Metaph. B 5, 1002a 32. Contro i numeri pitagorici,cf. De cael. G 1, 300a 16-20 to; d aujto; sumbaivnein kai; toi'" ejx ajriqmw'n suntiqei'si to;noujranovn: e[nioi ga;r th;n fuvsin ejx ajriqmw'n sunista'sin, w{sper tw'n Puqagoreivwn tinev": ta;me;n ga;r fusika; swvmata faivnetai bavro" e[conta kai; koufovthta, ta;" de; monavda" ou[tesw'ma poiei'n oi|ovn te suntiqemevna" ou[te bavro" e[cein. Cf. anche Metaph. M 8, 1083b 11-19.

77 Cf. in particolare G 1, 299a 25-30 eij dh; tw'n ajdunavtwn ejsti;n eJkatevrou mevrou" mhde;ne[conto" bavro" ta; a[mfw e[cein bavro", ta; d aijsqhta; swvmata h] pavnta h] e[nia bavro" e[cei,oi|on hJ gh' kai; to; u{dwr, wJ" ka]n aujtoi; fai'en, eij hJ stigmh; mhde;n e[cei bavro", dh'lon o{ti oujdaiJ grammaiv, eij de; mh; au|tai, oujde; ta; ejpivpeda: w{st oujde; tw'n swmavtwn oujqevn. Cf. anche D2, 308b 36: gli atomisti avrebbero ragione a sostenere che i corpi composti più grandi sonopiù pesanti, ma non quelli che compongono i corpi da triangoli. Per i passi contro i Pitago-rici, v. nota precedente. Cf. anche Metaph. A 8, 990a 12-14. E' curioso come proprio laproiezione delle caratteristiche dell'atomo epicureo sull'atomismo antico conduca all'inter-pretazione di questi passi, espressamente diretti da Aristotele contro gli Accademici, comerivolti invece contro Leucippo e Democrito in Alex. In Metaph. 985b 19, 36,25 (123 L.)oujde; ga;r to; povqen hJ baruvth" ejn tai'" ajtovmoi" levgousi (scil. Dhmovkrito" kai; Leuvkippo"):ta; ga;r ajmerh' ta; ejpinoouvmena tai'" ajtovmoi" kai; mevrh o[nta aujtw'n ajbarh' fasin ei\nai: ejkde; ajbarw'n sugkeimevnwn pw'" a]n bavro" gevnhtai… ei[rhke de; peri; touvtwn ejpi; plevon ejn tw'itrivtwi Peri; oujranou'. Themist. In De cael. 306b 22, 201,24-25 accenna ancora a questa in-terpretazione di Alessandro. E' chiaro che quest'ultimo utilizza, operando una conflazionefra i due atomismi, argomentazioni corrrenti contro le dottrine epicuree. E' trascurando lepossibili assimilazioni fra i due atomismi spesso operate negli autori di età imperiale che

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mento, non possono essere sostanza generatrice di corpi fisici caratteriz-zati proprio dal movimento78.

Epicuro si pone del resto anche nelle definizioni e nelle denomina-zioni dell'atomo, sulla scia di Aristotele e Teofrasto definendolo sw'mastereo;n ajmevtocon kenou' paremplokh'"79 o attribuendogli una natura"piena"80, ma "traduce" nastov" con mestov"81. Lucrezio ripete in diversevarianti la definizione epicurea della solidità dell'atomo82.

Dal passo di Lucrezio e dalle testimonianze di Epicuro stesso riguar-danti le definizioni di atomo e minimo, si può dedurre che l'interpreta-zione dell'atomo come indivisibile per la solidità e l'assunzione dei minimiassoluti privi di parti dell'atomo da parte di Epicuro, più che essere dettatadalle critiche aristoteliche contro gli atomisti antichi, è stata suggerita:

1. Dalla critica accademica agli atomisti antichi per aver arbitraria-mente arrestato la divisione ai corpi facendone i principi ultimi della realtà,una caratteristica che spetta invece agli incorporei.

2. Dalle critiche aristoteliche agli Accademici per aver identificato in-vece questi limiti negli indivisibili matematici assumendoli come sostanzeseparate e per aver quindi trattato i problemi fisici con criteri dialettici(logikw'" skopei'n).

3. Dal giudizio dello stesso Aristotele sull'atomismo di Democritoconsiderato in ogni caso superiore a quello accademico per aver posto peril mondo fisico dei principi fisici.

Epicuro accetta alcuni assunti basilari della teoria accademica, quali lanecessità dell'arresto della divisione kat ejpivnoian per porre un limiteall'infinito e per imporre un ordine nell'ambito stesso degli atomi, masvuota questi minimi privi di parti di qualsiasi valore reale riducendoliunicamente ad un presupposto logico. Integrando l'atomismo fisico con lateoria dei minimi e attribuendo solo a questi ultimi la definizione di ejlavci-sta kai; ajmerh', mostra nel contempo di interpretare il corpuscolo demo-criteo esclusivamente come un oggetto fisico, solido e compatto, come lo

Lur'e 1932-1933, 124ss. ha costruito su questo passo l'ipotesi di un doppio atomismo, ma-tematico e fisico, degli atomisti antichi che precorrerebbe quello epicureo.

78 Su questa linea si svolge anche la critica ai numeri pitagorici che sono pur sempre deinumeri anche se immanenti e quindi sono posti sullo stesso piano delle sostanze accademi-che.

79 V. supra, n 2.80 Ep. 1,41 tau'ta (scil. swvmata) dev ejstin a[toma kai; ajmetavblhta ei\per mh; mevllei pavnta eij"

to; mh; o]n fqarhvsesqai, ajll ijscuvonta uJpomenei'n ejn tai'" dialuvsesi tw'n sugkrivsewnplhvrh th;n fuvsin o[nta kai; oujk e[conta o{phi h] o{pw" dialuqhvsetai.

81 Ep. 1,42 Per le ulteriori occorrenze di questo termine fuori dai testi epicurei come sino-nimo di nastov" v. supra, n. 1.

82 Lucr. 1,510 Sunt igitur solida ac sine inani corpora prima. 1,518 Materies igitur, solido quaecorpore constat,/ esse aeterna potest, cum cetera dissolvantur. Cf. 1,485, 500, 548, 574, 609, 627.

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aveva rappresentato Aristotele nell'opera su Democrito. Egli lo riproponeinoltre, proprio in questa sua caratteristica peculiare come principio spo-stando invece le caratterizzazioni matematiche del minimo fuori dell'am-bito fisico e dunque privandoli di un reale valore ontologico.

Il discorso su una possibile interpretazione dell'atomo democriteo daparte di Epicuro secondo le linee aristoteliche e contro i criteri matematiz-zanti dell'Accademia si è reso necessario in quanto tutto un filone delladossografia antica, accettato anche dai commentatori moderni, interpretal'atomismo di Epicuro come una correzione dell'atomismo antico in ter-mini esattamente opposti a quelli delineati: al minimo privo di parti diLeucippo (e Democrito), Epicuro avrebbe opposto invece un corpuscoloindivisibile per la solidità, ma ulteriormente divisibile teoreticamente perparare le critiche che Aristotele aveva rivolto agli indivisibili. Come si èvisto, il discorso è invece molto più complesso e porta ad una valutazionedel tutto opposta.

3. 2. Epicuro contro atomisti antichi sull'indivisibilità dell'atomonella tradizione dossografica e negli autori di età imperiale

Passiamo ora ad esaminare quella serie di testimonianze nella tradizionedossografica cui si è accennato.

Un'interpretazione dell'atomo, di Leucippo soprattutto, come unejlavciston indivisibile per la piccolezza emerge sporadicamente qua e lànella tradizione tarda accanto a quella dell'atomo indivisibile per la soliditàdi cui è stata già tracciata la storia. Come si è visto, la dossografia che de-riva da Posidonio separa l'atomo indivisibile per la solidità di Democrito edi Epicuro, dai minimi privi di parti che attribuisce a Diodoro e, nellasezione specifica sui minimi, anche a Senocrate. Dunque l'attribuzione diminimi indivisibili per la piccolezza a Leucippo in particolare e talvoltaanche a Democrito non può derivare né da Teofrasto né dalla vulgata dimatrice posidoniana, ma neppure dal libro di Aristotele su Democrito nelquale la piccolezza è menzionata unicamente in relazione all'invisibilità,non all'indivisibilità di cui non si fa parola.

Le versioni che riportano più diffusamente la tesi dell'indivisibilità perla piccolezza sono inglobate in contesti non classificatori e diairetici, madialettici a cominciare dal lungo resoconto Sui principi di Epicuro nei Placitadello Pseudo-Plutarco. Tale rappresentazione dell'atomo come minimoindivisibile per la piccolezza è stata mediata da una tradizione che nonsolo trattava le doxai in un contesto dialettico, ma attingeva liberamente dapiù parti soprattutto per poter avere maggiori possibilità di eventuali con-futazioni. Questo tipo di procedimento non può che risalire all'Accademia

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scettica come si cercherà di dimostrare con riscontri più precisi qui diseguito. Il fatto che l'Accademia scettica avesse accolto anche l'altra inter-pretazione, quella di un atomo indivisibile per la solidità, non costituisceun problema: le due tesi infatti potevano essere utilizzate in contesti con-futativi diversi o per portare alla luce le contraddizioni all'interno dell'ato-mismo stesso.

Prima di passare all'esame dettagliato delle singole testimonianze edelle loro correlazioni, è opportuno ancora sottolineare che, ancor più deiprecedenti, questi testi non possono costituire alcuna prova a sostegno diuna o dell'altra concezione democritea dell'atomo. Essi fanno semplice-mente parte di una tradizione che si è tramandata attraverso argomenta-zioni orali e manuali, ma non è fondata sulla conoscenza delle opere origi-nali.

L'interpretazione dell'atomo come minimo non sembra aver lasciatotracce nei testi superstiti di Cicerone sebbene riemergano, soprattutto nelDe natura deorum e negli Academica, delle tematiche ad essa correlate. C'èperò da tener presente che una parte degli Academica priora (l'Hortensius)nella quale il tema avrebbe potuto essere trattato più diffusamente, è an-data perduta. Le testimonianze più diffuse si incontrano solo in testipiuttosto tardi: nei Placita dello Pseudo Plutarco e in due opere di Lattan-zio83; Galeno vi dedica un fugace accenno, altrove la doxa viene citata ano-nima. Il nome di Leucippo si legge solo in Lattanzio e in Galeno, nelloPseudo-Plutarco compare unicamente quello di Democrito, Teodoretonon riporta alcun nome specifico. Tali testi sono comunque complemen-tari in quanto si comprendono solo se messi in reciproca correlazione,dunque risalgono probabilmente ad un unico nucleo nel quale le dottrineatomistiche di Epicuro e di Leucippo venivano opposte dialetticamente epresentate l'una come una correzione dell'altra. In questo schema giocavaun ruolo importante anche una voce critica che prima formulava obiezionia Leucippo, provocando le "correzioni" di Epicuro, poi confutava anchequeste ultime rigettando definitivamente l'atomismo in generale. Nell'o-pera degli epitomatori sono andati perduti senza dubbio gli stadi intermedie, talvolta, anche i nomi; ne sono risultate una gran confusione nelle attri-buzioni e incongruenze riscontrabili in alcune fonti particolarmente rias-suntive. Dato che la rappresentazione dell'atomismo si basa su un bloccounico di argomentazioni e confutazioni che emerge con sfumature e otti-che diverse in diversi autori non contemporanei né dipendenti uno dall'al-tro, l'esposizione qui di seguito non seguirà un criterio cronologico, ma unordine basato sull'ampiezza delle informazioni dei vari resoconti e sullaconcatenazione delle argomentazioni da loro offerte.

83 Div. Inst. 3,17,21-27 (218, 235, 565 L.); De ira dei 10,1ss. (218, 235, 272, 302, 591 L.).

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3. 2. 1. Lattanzio

I testi di Lattanzio, benché più tardi, meritano un'attenzione che è stataloro generalmente negata secondo un metro che identifica posteriores condeteriores. I resoconti sull'atomismo del De ira dei e delle Institutiones per-mettono invece di individuare il sostrato e di comprendere alcuni puntioscuri della testimonianza di Pseudo-Plutarco. Nell'opera di Lattanziosono distinguibili tre presentazioni dell'atomo corrispondenti a fasi cro-nologiche diverse84: nel suo primo scritto dopo la conversione, il De opificiodei, 303/ 304 d.C.85, l'autore nomina solo la dottrina di Epicuro secondocui atomi indivisibili e solidi formano il mondo attraverso una casualeaggregazione senza l'intervento di alcuna provvidenza86. Si tratta di unavulgata sull'atomismo, soprattutto epicureo, ma, per riflesso, anche demo-criteo, che si trova in Cicerone87, Pseudo-Plutarco88, Dionisio89, Plotino90,Nemesio91 ed è comune alla tradizione cristiana92. Nel terzo libro delleDivinae institutiones, elaborate nel loro insieme dopo il 30593, invece, ven-gono sicuramente utilizzate altre fonti. Compare infatti lo schema di suc-cessione, già ciceroniano, Leucippo-Democrito-Epicuro e i loro atomivengono congiuntamente descritti come indivisibili per la piccolezza,mentre la caratteristica della solidità viene solo accennata, ma non consi-

84 La cronologia delle opere di Lattanzio è piuttosto incerta, tuttavia si è potuto stabilire che ilDe opificio dei è la prima opera da lui scritta dopo la conversione; le Institutiones, l'Epitome e ilDe ira dei presentano numerosi parallelismi che tuttavia non aiutano a fissare una cronolo-gia definitiva. Sembra che il De ira dei sia stato scritto dopo il 311 e forse dopo alcuni libri oparallelamente ad altri delle Institutiones, cf. Heck 1972, 158s.; Ingremeau 1982, 25ss.; Kraft-Wlosok 1983, Xss.

85 Quest'opera viene datata con una certa sicurezza per le criptiche allusioni alle persecuzionidi Diocleziano, cf. Ingremeau 1982, 25; Kraft-Wlosok 1983, XI.

86 Lact. De op. dei 2,10 Unde ego philosophorum qui Epicurum secuntur amentiam soleo mirari, quinaturae operae reprehendunt ut ostendant nulla providentia instructum esse ac regi mundum, sed originemrerum insecabilibus ac solidis corporibus adsignant, quorum fortuitis concursionibus universa nascantur etnata sint .

87 De fin. 1,6,17 (68 A 56 DK; C, 15, 180, 361 L.); Tusc. 1,18,42 (449 L.); De nat. deor. 2,37,93.88 Ps.-Plut. 2,3, 886 D, cf. Stob. 1,21,3c, Theodoret. 4,15 (67 A 22 DK; 23, 589 L.); [Gal.]

Hist. Phil. 46.89 V. supra 2. 2.90 Plot. 3,1,2; cf. anche 3,1,3.91 Nem. De nat. Hom. 43 (592 L.).92 Cyrill. Contra Jul. 2,15; Didym. Caec. Comm. in Eccles. 7-8,8, Cod. p. 209,27; Ambros.

Hexaemer. 1,2,7 (P. L. 14, 125 C).93 Se la data del 305 come termine di inizio dell'opera viene generalmente accettata, anche

perché Lattanzio nel De opificio l'annuncia (20,2), è invece estremamente problematico sta-bilire il periodo in cui fu portata a compimento. Le date più frequentemente proposte sonoil 313 o il 311. Per quest'ultima Heck 1972, 143; Ingremeau 1982, 25; Kraft-Wlosok 1983,XVs.

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derata causa dell'indivisibilità. La descrizione dell'atomismo è fondata supunti già trattati relativamente ai testi di Cicerone e Plutarco, ma con unadiversa rappresentazione dell'indivisibilità dell'atomo, con ampliamentiulteriori e soprattutto in un contesto dialettico di tesi e antitesi. Questi, inbreve, i punti qualificanti del resoconto di Lattanzio94:

Tesi: Ci sono dei "semina" che svolazzano nel vuoto e dalle cui compo-sizioni fortuite tutto nasce.

Domanda: Perché allora non li percepiamo né li vediamo?Risposta: Perché sono privi di ogni qualità sensibile e così piccoli da

non poter essere né tagliati né divisi.Domanda: dove stanno e da dove vengono questi corpuscoli e perché

se li è figurati solo Leucippo95 che ha poi istruito Democrito il quale a suavolta ha lasciato la sua stolta eredità ad Epicuro? In pratica si chiedono,come nel brano del decimo libro Contro i Matematici di Sesto Empirico(255), altri principi per questi corpuscoli (unde). Se sono corpi e sono so-lidi, come dicono, per il concetto stesso di corpo, dovrebbero cadere sottoi sensi. Inoltre, se hanno tutti la stessa natura, in che modo possono for-mare cose diverse?

Risposta: in base ad una varietà nella loro posizione e disposizione enelle loro forme come le lettere. Infatti sono scabri, ad amo, lisci.

Confutazione: se hanno forme ad amo, non sono più indivisibili inquanto hanno parti che sporgono e che quindi si possono tagliare. Questocontraddice la loro definizione secondo cui l'atomo è così piccolo che nonesiste alcuna lama così sottile che possa tagliarlo. Se, d'altra parte, sonosolo lisci, non possono attaccarsi l'uno all'altro. Inoltre, mancando di sen-sibilità e di ragione, non possono costruire nulla di ordinato e razionale.

94 Div. inst. 3,17,21-27 (591 L. partim) Sunt enim semina per inane volitantia, quibus inter se temereconglobatis universa gignuntur atque concrescunt. Cur igitur illa non sentimus aut cernimus? Quia nec colo-rem habent, inquit, nec calorem ullum nec odorem. Saporis quoque et umoris expertia sunt et tam mi-nuta, ut secari ac dividi nequeant. Sic eum, quia in principio falsum susceperat, consequentium rerumnecessitas ad deliramenta perduxit. Ubi enim sunt aut unde ista corpuscula? Cur nemo illa praeter unumLeucippum somniavit, a quo Democritus eruditus hereditatem stultitiae reliquit Epicuro? Quae si suntcorpuscula et quidem solida, ut dicunt, sub oculos certe venire possunt. Si eadem est natura omnium,quo modo res varias efficiunt? Vario inquit ordine ac positione conveniunt sicut litterae: quae cum sint pau-cae, varie tamen collocatae innumerabilia verba conficiunt. At litterae varias formas habent. Ita inquit ethaec ipsa primordia. Nam sunt aspera, sunt hamata, sunt levia. Secari ergo ac dividi possunt, si ali-quid inest illis quod emineat. Si autem levia sunt et hamis indigent, cohaerere non possunt.Hamata igitur esse oportet, ut possint invicem concatenari. cum vero tam minuta esse dicantur, utnulla ferri acie dissici valeant, quomodo hamos aut angulos habent? Quos, quia extant, necesse estposse divelli. Deinde quo foedere inter se, qua mente conveniunt, ut ex iis aliquid conseratur? Si sensu ca-rent nec coire tam disposite possunt quia non potest quicquam rationale perficere nisi ratio.

95 Cf. una obiezione simile rivolta da Plutarco contro gli Stoici (solo loro hanno visto cheognuno di noi è un doppio soggetto: sostanza e qualità?) verosimilmente su un modelloconfutativo dell'Accademia scettica in De comm. not. 1083 C. Cf. Schroeter 1911, 19 n. 2.

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Capitolo sesto 247

Nel De ira dei, composto forse dopo o parallelamente ad alcune sezionidelle Institutiones96, la dottrina degli atomi indivisibili per la piccolezza vieneattribuita negli stessi termini al solo Leucippo e a lui viene anche riportatala denominazione di atomo in quanto appunto indivisibile perché piccolo.Le argomentazioni contro gli atomi indivisibili per la piccolezza sono lestesse che nell'opera precedente, ma arricchiti di altri elementi che fannopensare ad una utilizzazione più ampia della stessa fonte per il De ira e,invece, ad un suo adattamento maggiore nelle Institutiones97. In particolare:

1. Fra coloro che negano la provvidenza, compare, insieme agli atomi-sti, anche Stratone. Egli, a sua volta, si oppone all'atomismo in quantoattribuisce la proprietà di generare alla natura. E' questo l'unico passo inLattanzio in cui si incontri una menzione del peripatetico98.

2. Non viene fatto più alcun accenno alla solidità dell'atomo.

96 Anche per questo trattato si pongono problemi di datazione analoghi a quelli delle Insti-tutiones. Generalmente si concorda sul fatto che è stato composto in un periodo di relativatranquillità per i Cristiani, vale a dire dopo il 311, data della cessazione delle persecuzioni.Manca infatti nel trattato, che però è eminentemente teorico, qualsiasi accenno a queste ul-time. Cf. Ingremeau 1982, 27; Kraft-Wlosok 1983, XVs. Per l'ipotesi della stretta correla-zione con il libro terzo delle Institutiones ha giocato proprio la sorprendente coincidenza deidue passi sull'atomismo, cf. Ingremeau 1982, 31. In ogni caso, il De ira è stato composto si-curamente dopo i libri 1, 2, 4 e 6 delle Institutiones ai quali fa riferimento (in 2,4 al secondolibro delle Institutiones; in 2,6 al quarto; in 11,1 al primo; in 17,12 al sesto).

97 De ira dei 10,1 (591 L. partim) Qui nolunt divina providentia factum esse mundum, aut principiis interse temere coeuntibus dicunt esse concretum aut repente natura extitisse, naturam vero, ut Straton ait, haberein se vim gignendi et minuendi, sed eam nec sensum habere ullum nec figuram, ut intellegamus omnia quasisua sponte esse generata, nullo artifice, nec auctore. Utrumque vanum et impossibile. Sed hoc evenit igno-rantibus veritatem, ut quidvis potius excogitent quam id sentiant quod ratio deposcit. Primum minuta illasemina, quorum concursu fortuito cohaesisse mundum loquuntur, ubi aut unde sint quaero. Quis illa viditumquam? Quis sensit? Quis audivit? An solus Leucippus oculos habuit? Solus mentem? Qui profecto so-lus omnium caecus et excors fuit, qui ea loqueretur quae nec aeger quisquam delirare nec dormiens possetsomniare. Quattuor elementis constare omnia philosophi veteres disserebant. Ille noluit, ne alienis vestigiisvideretur insistere, sed ipsorum elementorum alia voluit esse primordia quae nec videri possent nectangi nec ulla corporis parte sentiri. Tam minuta sunt, inquit, ut nulla sit acies ferri tam subtilisqua secari ac dividi possint. unde illis nomen inposuit atomorum. Sed occurrebat ei quod, si unaesset omnibus eademque natura, non possent res efficere diversas tanta varietate quantam videmus inessemundo. Dixit ergo esse levia et aspera, et rotunda et angulata et hamata. Quanto melius fuerat tacerequam in usus tam miserabiles, tam inanes habere linguam! Equidem vereor ne non minus delirare videaturqui haec putet refellenda; respondeamus tamen velut aliquid dicenti. Si levia sunt et rotunda, utique nonpossunt invicem se adprehendere, ut aliquod corpus efficiant, ut, si quis milium velit in unam coagmentatio-nem constringere, lenitudo ipsa granorum in massam coire non sinat. Sin aspera et angulata sunt et ha-mata, ut possint cohaerescere, dividua ergo et secabilia sunt; hamos enim necesse est et angulos eminere, utpossint amputari. Ita quod amputari ac divelli potest, et videri poterit et teneri [...] 10,23 Sed putemus ar-tus et ossa et nervos et sanguinem de atomis posse concrescere: quid sensus cogitatio mens memoriam inge-nium? Quibus seminibus coagmentari possunt? Minutissimis, inquit. Sunt ergo alia maiora. Quomodoigitur insecabilia? Deinde si ex invisibilibus sunt quae non videntur, consequens est ut ex visibilibus sintquae videntur. Cur igitur nemo videt?

98 Cf. Ingremeau 1982, 268 ad loc. Nella Epitome (62,6) si allude alle sue teorie, ma il nomenon compare.

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3. Si insiste maggiormente sul fatto che Leucippo non ha spiegato l'o-rigine dei corpuscoli99. La stessa critica (unde) è solo accennata nelle Insti-tutiones e si richiama alla concezione che Sesto attribuisce ai cosiddettiPitagorici: un corpo è per natura composto e quindi deve avere altri prin-cipi100.

4. Viene riportato l'esempio del pulviscolo atmosferico per spiegare ilmoto disordinato degli atomi che ricompare poi in Teodoreto nella se-conda parte del resoconto sull'atomismo101.

5. Viene riportata più sotto anche una critica che non si incontra al-trove. Alla spiegazione atomista secondo cui la mente e l'intelligenza sonoformati da atomi più piccoli, si ribatte che, se si ipotizzano anche atomipiù grandi, cade il discorso dell'indivisibilità. E' chiaro da qui che l'atomo èconcepito esclusivamente come un ejlavciston kai; ajmerev", un minimoprivo di parti e misura.

L'eccezionalità della testimonianza di Lattanzio è stata rilevata e ri-portata a fonti quali l'Hortensius di Cicerone o a un'opera perduta di Senecaalle quali egli, per sua bizzarria avrebbe aggiunto l'argomentazione controle forme atomiche come distruttrice del concetto di indivisibilità102. Altri-menti, si è trattato il brano a frasi o a segmenti, cercando di istituire con-fronti con passi sparsi di Lucrezio tuttavia piuttosto lontani dalla globalitàdel contesto103. Ora, senza voler negare la evidente presenza di Lucrezionel De ira e nelle Institutiones, mi sembra tuttavia chiaro che la rappresenta-zione dell'atomo data in questi passi per punti fondamentali quali l'indivi-sibilità e le critiche alle forme atomiche, emargini completamente il trattodella solidità addotto da Lucrezio proprio per giustificare la varietà delle

99 Cf. anche 10,11 Ac primum requiro quae sit istorum seminum vel ratio vel origo. Si enim ex illis suntomnia, ipsa igitur unde esse dicemus?

100 Sext. Emp. Adv. Math. 10,255-256 ou{tw kai; hJmei'", fasi;n oiJ Puqagorikoi; tw'n fusikw'nfilosovfwn, kat ejpivnoian skeptovmeqa to; ejk tivnwn ta; aijwvnia tau'ta kai; lovgwi qewrhta;sunevsthke swvmata. h[toi ou\n swvmatav ejsti ta; sustatika; aujtw'n h] ajswvmata. kai; swvmatame;n oujk a]n ei[paimen, ejpei; dehvsei kajkeivnwn swvmata levgein ei\nai sustatika; kai; ou{tw"eij" a[peiron probainouvsh" th'" ejpinoiva" a[narcon givnesqai to; pa'n.

101 De ira dei 10,9 "Haec, inquit, per inane inrequietis motibus volitant et huc atque illuc feruntur, sicutpulveris minutias videmus in sole, cum per fenestram radios ac lumen inmiserit. Ex his arbores et herbae etfruges omnes oriuntur, ex his animalia et aqua et ignis et universa gignuntur et rursum in eadem resolvun-tur". Ferri hoc potest, quamdiu de rebus parvis agitur. "Ex his etiam mundus ipse concretus est". Il ri-chiamo a Lucrezio (2,114-120) da parte di Ingremeau 1982, 274 ad loc., è senz'altro perti-nente, ma Lucrezio è solo uno dei tanti autori che riportano l'esempio del pulviscolo. Lareminiscenza può aver giocato a livello linguistico, ma, a livello strutturale, il contesto, nellasua globalità, è molto più vicino al brano di Teodoreto (4,8-10), v. infra, 3. 2. 4 n. 154.

102 Così Ogilvie 1978, 86s. Cicerone non avrebbe anticipato l'argomento distruttivo di Lattan-zio, ma l'uso di ergo potrebbe indicare una aggiunta di Lattanzio stesso. Egli propende poiperò, per le Exhortationes di Seneca come fonte, piuttosto che per l'Hortensius ciceronianosenza tuttavia fornire alcun riscontro oggettivo.

103 Questo tipo di commento ai singoli punti del cap. 10 è caratteristico di Ingremeau 1982.

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Capitolo sesto 249

forme104. Il brano sull'atomismo del De ira, è costituito inoltre da un corpocompatto di argomentazioni concatenate che sono state evidentementeassunte in blocco da un resoconto assai dettagliato. Tale resoconto utiliz-zava un repertorio critico consolidato e un modello dossografico benpreciso, quello cioè che faceva capo al nome di Leucippo e alla sua conce-zione di un atomo indivisibile per la piccolezza e che compare già per lomeno più di un secolo prima in un autore come Galeno (v. infra, 3. 2. 3).Dunque Lattanzio per questo non inventa nulla né tuttavia attinge allaversione corrente da lui stesso utilizzata nel De opificio, ma si rifà sicura-mente ad un resoconto esteso sull'atomismo nel quale l'atomo di Leu-cippo era definito indivisibile per la piccolezza e alla solidità non venivaattribuito alcun ruolo in questo senso. Anche la terminologia è quella cor-rente nella dossografia, in particolare l'espressione ipsorum elementorum aliavoluit esse primordia corrisponde alla formula greca stoicei'a stoiceivwn (o aquella più tarda ajrcai; stoiceiwdevsterai), di ascendenza platonica, chenello Pseudo-Plutarco e in Stobeo viene applicata ai corpuscolaristi (Em-pedocle e Senocrate)105, ma negli autori neoplatonici in particolare aDemocrito per il già citato "avvicinamento" degli atomisti antichi a Pla-tone106.

In ogni caso Lattanzio nel De ira si serve di argomenti confutatoririsalenti sicuramente all'Accademia scettica107. La critica alle forme atomi-che, in particolare, è un tema che si incontra solo in parti delle opere filo-

104 Lucrezio (1,609-614) precisa che dagli atomi non si può strappare né togliere nulla inquanto sono di una "solida semplicità". I minimi dell'atomo sono infatti parti solo conce-pibili con la mente, ma non separabili in realtà: Sunt igitur solida primordia simplicitate/ quaeminimis stipata cohaerent partibus arte,/ non ex illorum conventu conciliata,/ sed magis aeterna pollentiasimplicitate,/ unde neque avelli quicquam neque deminui iam/ concedit natura reservans semina rebus.Cf. Ingremeau 1982, 273s.

105 Cf. Ps.-Plut. 1,13, 883 B; Stob. 1,14,1 (Dox. 312); Ps.-Plut. 1,17, 883 E; Stob. 1,17,1 (Dox.315). V. supra, V 1.

106 Plot. 4,7,2,4-3,6 pu'r ga;r kai; ajh;r kai; u{dwr kai; gh' a[yuca par aujtw'n:ª...º a[lla de; para;tau'ta swvmata oujk e[sti. kai; oi|" ge dokei' ei\nai stoicei'a touvtwn e{tera, swvmata, ouj yu-caiv, ejlevcqhsan ei\nai oujde; zwh;n e[conta. Cf. Iambl. De an. 26,13-18 Finamore-Dillonei\nai me;n ga;r ta; prw'ta swvmata a[toma, pro; tw'n tessavrwn stoiceivwn stoiceiwdevstera,supra, II 6. 2 n. 133; Simpl. In Phys. 184b 15, 35,22-36,7 kai; ou|toi dev, ª...º ajrcoeidevsteravtina touvtwn kai; aJplouvstera ejzhvtoun ai[tia, supra, II 6. 2 n. 127.

107 Cf. ad es. in 13,9 la confutazione da parte degli Accademici della dottrina stoica secondocui dio ha creato l'universo in funzione dell'uomo con l'argomento della presenza di ani-mali dannosi all'uomo come i topi, le tarme e i serpenti (Sed Academici contra Stoicos disse-rentes...). La versione è lievemente diversa rispetto a Cic. Ac. 2,38,121. Le stesse obiezioniagli Stoici, in un contesto in cui viene espressamente nominato Carneade come critico diCrisippo, si ritrovano anche in Porph. De abst. 3,20. Cf. Ingremeau 1982, 305 ad loc. Per laposizione nei confronti della dottrina stoica nel De ira dei, Kraft-Wlosok 1983, XV.

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L'indivisibilità dell'atomo nella dossografia tarda250

sofiche di Cicerone dove parla un accademico108. Nel primo libro del Denatura deorum Cotta rimprovera a Velleio di aver creduto fino alla sua etàalle sciocchezze di Democrito e di Leucippo secondo cui ci sarebbero"corpuscoli lisci, scabri, rotondi, con angoli o ami o uncini, dai quali sisarebbe formato il cielo, la terra senza l'impulso di alcuna legge naturale,ma per un casuale incontro"109. Cotta oppone all'aggregazione casuale degliatomi, non solo la dottrina stoica che fa governare il mondo da un princi-pio divino razionale, ma anche quella di Stratone, che assegna questa fun-zione alla natura110. Proprio quest'ultimo viene contrapposto a Leucipponel De ira. La stessa diaphonia Stratone/ atomisti con relativa derisionedelle forme ad amo e ad uncino compare nel Lucullus. Cicerone, per illu-strare il dissenso fra i dogmatici sulle questioni fisiche, oppone alle tesistoiche quelle di Stratone di Lampsaco:

tu dici che senza la divinità non può esistere nulla. Ma eccoti improvvisamenteStratone di Lampsaco che esonera questo dio da un compito ben gravoso; [...]egli dichiara di non servirsi dell'opera degli dèi per costruire il mondo. Qualsiasigenere di cose esistenti, insegna, è stato creato dalla natura, non come colui chedice che queste cose sono state composte da corpi scabri, lisci, ad amo e ad un-cino con il vuoto inframmezzato —questi egli ritiene siano sogni di un Demo-crito visionario, non maestro—; in quanto a lui, esaminando ad una ad una leparti del mondo, insegna che ogni cosa esistente o generata è o è stata generatadai pesi e dai moti naturali111.

Questo brano, pur essendo molto più riassuntivo, costituisce un evidenteparallelo al testo di Lattanzio: all'interno dello stesso gruppo di negatoridella provvidenza Stratone si oppone a Democrito e lo giudica "un visio-nario". Secondo Lattanzio, è Leucippo ad "aver sognato" (somniavit) l'esi-stenza dei suoi corpuscoli112.

108 La tradizione di matrice posidoniana pone piuttosto in rilievo, nell'ambito dei processigenerativi, l'attrazione delle forme simili e non l'aggregazione di forme diverse. Cf. Sext.Emp. Adv. Math. 7,116 (68 B 164 DK; 11, 316 L.); Dionys. ap. Eus. Praep. Ev. 14,25,9.

109 Cic. De nat. deor. 1,24,66 (67 A 11 DK; 165, 226, 590 L.) Ista enim flagitia Democriti sive etiamante Leucippi, esse corpuscula quaedam levia, alia aspera, rotunda alia, partim autem angulata, hamata(edd.: curvata B: firamata A) quaedam et quasi adunca, ex his effectum esse caelum atque terram nullacogente natura sed concursu quodam fortuito- hanc tu opinionem, Gai Vellei, usque ad hanc aetatem per-duxisti.

110 Cic. De nat. deor. 1,24,67 Sed ubi veritas? […] an in individuis corpusculis tam praeclara opera nullamoderante natura, nulla ratione fingentibus?

111 Cic. Ac. 2,38,121 (68 A 80 DK; 26 L.) Negas sine deo posse quicquam: ecce tibi e transversoLampsacenus Strato, qui det isti deo immunitatem magni quidem muneris; [...] negat opera deorum se utiad fabricandum mundum. Quaecumque sint, docet omnia effecta esse natura nec ut ille qui ex asperis et le-vibus et hamatis uncinatisque corporibus concreta haec esse dicat, interiecto inani: somnia censet haec esseDemocriti non docentis, sed optantis; ipse autem singulas mundi partes persequens, quidquid aut sit autfiat naturalibus fieri aut factum esse docet ponderibus et motibus.

112 Div. Inst. 3,17,23, v. supra, n. 94.

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Capitolo sesto 251

Il confronto fra Lattanzio e Cicerone permette di formulare alcuneconsiderazioni:

1. La similarità degli schemi e dei contesti fa presupporre che Lattan-zio abbia potuto rifarsi ad un ulteriore testo ciceroniano perduto comel'Hortensius nel quale l'atomo veniva presentato come un ejlavciston, unminimo fisico privo di parti e indivisibile per la piccolezza. Un accenno aquesta concezione dell'atomo (questa volta epicureo), che violerebbe iprincipi non solo della fisica, ma anche della matematica si trova altrove,nel De finibus113.

2. La critica alle forme atomiche si può far risalire per lo meno fino aStratone. E' impossibile stabilire se egli la approfondisse con argomenta-zioni simili a quelle che si trovano in Lattanzio, ma si può affermare, inbase ai testi di Cicerone, che sicuramente l'Accademia scettica aveva fattoproprie le sue obiezioni e le aveva utilizzate contro l'atomismo in generale.

Ci sono comunque indizi del fatto che, nella scuola epicurea, verso lafine del II sec. a.C., fossero note delle argomentazioni contro le formeatomiche con le quali si cercava di demolire la tesi dell'infrangibilità del-l'atomo. Demetrio Lacone, un Epicureo che si situa fra la metà del II e ilprimo quarto del I sec. a.C.114 aveva cercato di dimostrare, attraverso unainterpretazione filologica dei testi del fondatore, come in realtà Epicuronon avesse detto quanto gli rimproveravano i suoi detrattori115. Fra questitentativi di difesa se ne incontra uno piuttosto interessante per il temaspecifico. Demetrio risponde infatti ad una critica che rimproverava adEpicuro di aver assunto forme infinite spiegando che:

Epicuro definisce infinite le nature prime non per specie, ma per genere, sicchénon tutte quante le forme che si riscontrano nei sensibili sono altrettante formeprime, ma solamente ... quelle compatte116.

Attribuendo agli atomi epicurei solo forme compatte, Demetrio sosteneval'argomento dell'impossibilità di infinite forme atomiche e parava nel

113 De fin. 1,6,20 Deinde eadem illa atomorum in quo etiam Democritus haeret, turbulenta concursio huncmundi ornatum efficere non poterit, ne illud quidem physici credere aliquid esse minimum, quodprofecto numquam putavisset, si a Poliaeno familiari suo geometrica discere maluisset quam illumetiam ipsum dedocere.

114 Per la datazione, cf. la discussione in Puglia 1988, 37ss.115 Sul metodo filologico e sulla sua funzione in Demetrio Lacone e, in generale nella scuola

epicurea, cf. Erler 1993, 289-295.116 Dem. Lac. P. Herc. 1012 col. XV,154 Puglia oJ Epivkouro" ajpeivrou" levgei tºa;" prwvtaª"

fuvsºei" ouj kªat eºi\do" ªajlla; kata;º gevno", w{sªteº mh; pavnta ªta; schvmaq o{sºa peri; ta;aijsªqhtav ejstin a[llºa tosau't ei\naªi schvmata pºrw'ta, movnon ªde; ... ta; sumfºuh': Seguo inlinea di massima la traduzione di Puglia 1988, 189. Non ritengo tuttavia che Epicuro stessoscartasse le forme ad amo e a tridente, come afferma Puglia (208s., ad loc.) basandosi sullatestimonianza di Ps.-Plut. 1,3, 877 D (su questo brano v. infra, 3. 2. 2). Demetrio non ri-produce in questo caso esattamente la dottrina epicurea, ma la interpreta cercando di pa-rare le critiche che le venivano rivolte.

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L'indivisibilità dell'atomo nella dossografia tarda252

contempo le critiche alla friabilità dell'atomo come quelle che compaionoin Lattanzio. Demetrio Lacone era allievo di Zenone Sidonio117, anch'eglifilologo delle opere epicuree e, secondo quanto riferisce Cicerone, uditoredi Carneade118. Egli poteva dunque conoscere le critiche rivolte dall'Ac-cademia di mezzo a determinate forme atomiche. Lucrezio ribadiva, comesi è visto, che l'indivisibilità dell'atomo era dovuta alla sua solidità e am-metteva dunque senza problemi le forme ad amo e ad uncino119.

In ogni caso il testo di Lattanzio, sia esso mediato da Cicerone o daaltra fonte, riporta argomentazioni che risalgono almeno al II sec. a.C. eche contengono una interpretazione dell'atomo leucippeo come un ejlavci-ston kai; ajmerev", un minimo fisico indivisibile per la piccolezza e privo diparti. Leucippo non compare nella sezione Sui minimi di Pseudo-Plutarco eStobeo perché, come si è visto, nella vulgata di matrice posidoniana, nonveniva classificato fra i corpuscolaristi. Qui è sempre Diodoro il sosteni-tore di ejlavcista kai; ajmerh' i quali, tuttavia, sono concepiti come ulte-riormente divisibili con la mente120. Ci sono però dei resoconti chedifferenziano fra l'atomo indivisibile per la piccolezza di Leucippo e quelloindivisibile per la solidità di Epicuro. Tale distinzione è accompagnata dainomi in un brano del De elementis secundum Hippocratem di Galeno (v. infra,3. 2. 3), mentre rimane anonima in Teodoreto e implicita nello Pseudo-Plutarco. Qui di seguito verranno confrontati i tre testi fra di loro e con ilbrano di Lattanzio appena esaminato.

3. 2. 2. Pseudo-Plutarco

Il brano dossografico sulla dottrina di Epicuro e Democrito dello Pseudo-Plutarco nella sezione Sui principi riflette alcune argomentazioni e unastrutturazione dialettica simili a quelle del passo di Lattanzio. Proprio que-st'ultimo contribuisce a chiarire alcune affermazioni del dossografo, altri-menti di difficile comprensione. Pseudo-Plutarco non fa il nome di Leu-cippo, ma espone la differenza fra Democrito ed Epicuro nella forma diuno scambio dialettico. Si tratta di un modello, consolidato nell'Accademiascettica e usuale in Cicerone e in altri autori che inglobano materiale dos-sografico in contesti più o meno letterari e marcatamente retorici, cheprescinde dalle relazioni cronologiche e pone a confronto le tesi di diversiinterlocutori121.

117 Su questo personaggio, cf. Angeli-Colaizzo 1979.118 Cic. Ac. 1,12,46. Cf. Angeli-Colaizzo 1979, 70.119 Lucr. 1,609-614, supra, n. 104.120 Su questo, v. supra,V 1.121 Cf. anche Van der Eijk 1999, 23ss.

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Capitolo sesto 253

Lo Pseudo-Plutarco presenta il resoconto sull'atomismo come dottrinaepicurea che avrebbe preso le mosse da Democrito:

Epicuro, figlio di Neocle, Ateniese, che filosofava secondo Democrito, disse che iprincipi delle cose esistenti sono corpi, concepibili con l'intelletto, privi di vuoto,ingenerati, eterni, indistruttibili che non possono essere né frammentati né ripla-smati da parti, né alterati; essi sono concepibili con l'intelletto; questi dunque simuovono nel vuoto e attraverso il vuoto; il vuoto stesso è infinito e infiniti sono icorpi122.

La versione di Pseudo-Plutarco citata da Eusebio, attribuisce invece ladottrina a Democrito, pur ponendo Epicuro sulla sua scia, lo Pseudo-Giu-stino, negli stessi termini, al solo Epicuro e così anche Stobeo, che riportauna versione estremamente abbreviata123. Questa prima parte, che vedeuna sostanziale equivalenza delle dottrine di Democrito ed Epicuro, èseguita in Pseudo-Plutarco da un'altra sequenza nella quale invece ven-gono messe in particolare rilievo le discordanze. Il verbo fhsiv, che ri-manda ad un presunto discorso di Epicuro, e l'uso del discorso indirettofanno chiaramente capire che il testo di riferimento era strutturato in ma-niera dialettica alla stregua dei dialoghi ciceroniani e del brano di Lattan-zio. Epicuro rispondeva a eventuali critiche formulate contro l'atomismoantico correggendone alcuni assunti.

I corpi hanno questi tre accidenti: figura, grandezza e peso. Democrito ne haipotizzati due, figura e grandezza, Epicuro vi ha aggiunto anche il peso: è neces-

122 Ps.-Plut. 1,3, 877 D Epivkouro" Neoklevou" Aqhnai'o" kata; Dhmovkriton filosofhvsa" e[fhta;" ajrca;" tw'n o[ntwn swvmata, lovgwi qewrhtav, ajmevtoca kenou', ajgevnhta, ajivdia, a[vfqarta,ou[te qrausqh'nai dunavmena, ou[te diaplasmo;n ejk tw'n merw'n labei'n ou[te ajlloiwqh'nai:ei\nai d aujta; lovgwi qewrhtav: tau'ta mevntoi kinei'sqai ejn tw'i kenw'i kai; dia; tou' kenou':ei\nai de; kai; aujto; to; keno;n a[peiron kai; ta; swvmata a[peira. L'espressione che definiscel'atomo non riplasmabile si presenta in varianti diverse ed è stata corretta in ou[te diavpla-sin ejk tw'n merw'n labei'n dal Diels sulla scorta di Ps.-Iustin. Cohort. ad Graec. 4,1. Dia-plasmovn è il termine riportato nei manoscritti dello Pseudo-Plutarco. L'impossibilità dellariplasmazione dell'atomo corrisponde al dettato epicureo secondo cui i minimi non simuovono e sono fissi all'interno dell'atomo. Il dossografo oppone così implicitamente gliatomi di Epicuro agli o[gkoi di Asclepiade che potevano essere frammentati in infinite partie poi ricomposti. Questa è per lo meno l'interpretazione del discusso passo di Celio Aure-liano (Acut. 1,14,106), fornita da Vallance 1990, 20ss. Al contrasto con gli elementi diAsclepiade sembra rimandare anche l'espressione precedente ou[te qrausqh'nai dunavmena.Essi sono infatti più volte definiti, nelle testimonianze, qraustav (cf. Sext. Emp. Pyrrh. Hyp.3,33; Galen. De const. art. med. 7 (I,249 K.); [Galen.] Intr. sive med. 9 (XIV,698 K.).

123 Ps.-Plut. ap. Eus. Praep. Ev. 14,14,5 Dhmovkrito", w|i meta; plei'ston Epivkouro" hjko-louvqhsen, ajrca;" tw'n o[ntwn swvmata a[toma, lovgwi de; qewrhtav, ajmevtoca kenou', ajgevnhta,ajdiavfqarta oujde; qrausqh'nai dunavmena, ou[te diplavsion ejk tw'n merw'n labei'n ou[teajlloiwqh'nai, ei\nai dæ aujta; lovgwi qewrhtav. tau'ta mevntoi kinei'sqai ejn tw'i kenw'i kai; dia;tou' kenou': ei\nai de; kai; aujto; to; keno;n a[peiron kai; ta; swvmata a[peira. Stob. 1,10,14(Dox. 285) Epivkouro" ajrca;" ei\nai tw'n o[ntwn swvmata lovgwi qewrhtav, ajmevtoca kenou',ajgevnhta, ajdiavfqarta, ªtaº ou[te qrausqh'nai dunavmena, ou[te ajlloiwqh'nai.

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L'indivisibilità dell'atomo nella dossografia tarda254

sario infatti, dice, che i corpi si muovano sotto la spinta del peso, altrimenti nonpotrebbero muoversi124.

Le affermazioni sul peso dell'atomo costituiscono un punto controversoche qui non può essere esaminato nel dettaglio125. Rilevante è tuttavia ilfatto che lo schema: assenza di peso dell'atomo democriteo/ correzioneapportata da Epicuro corrisponda perfettamente, anche nella formula-zione, a quello di Cic. De fato 20,46. Anche qui, nella critica alla teoria delclinamen, viene attribuita ad Epicuro una simile correzione della tesi demo-critea: Democrito avrebbe infatti sostenuto che gli atomi sono mossi nondal peso, ma da un'altra spinta che egli chiama "colpo", Epicuro invece, dauna spinta che deriverebbe loro dal peso126. Anche qui Epicuro parla inprima persona in un confronto dialettico con Democrito, ma subito dopoviene confutato, ancora in forma dialogica, da un terzo interlocutore, cri-tico nei confronti della dottrina atomistica127.

Il testo di Pseudo-Plutarco prosegue poi con la critica di Epicuro alleforme democritee:

Le figure degli atomi sono concepibili, non infinite. Infatti, dice, non sono né un-cinate, né a tridente, né ad anello. Infatti queste forme sono friabili, mentre gliatomi sono impassibili e infrangibili; ma gli atomi hanno forme proprie intellegi-bili. E si dice atomo non perché è il più piccolo, ma perché non si può tagliare inquanto impassibile e privo di vuoto; talché quando dice atomo, dice infrangibile eimpassibile, privo di vuoto128.

L'assunzione di un numero non infinito di forme atomiche e il rifiuto delleforme friabili compaiono qui nella stessa sequenza in cui sono menzionatenel testo dell'epicureo Demetrio Lacone. Il testo di Pseudo-Plutarco sidistingue però da quest'ultimo per due tratti specifici: innanzitutto defini-sce chiaramente quali forme Epicuro avrebbe escluso perché friabili (De-

124 Ps.-Plut. 1,3, 877 E (Dox. 285; 217, 234 L.) sumbebhkevnai de; toi'" swvmasi triva tau'ta,schvma mevgeqo" bavro". Dhmovkrito" me;n ga;r e[lege duvo, mevgeqov" te kai; sch'ma, oJ dEpivkouro" touvtoi" kai; trivton, to; bavro", ejpevqhken ªprosevqhken Eus., Dielsº: ajnavgkhgavr, fhsiv, kinei'sqai ta; swvmata th'i tou' bavrou" plhgh'i: ejpei; ouj kinhqhvsetai.

125 Per il problema del peso dell'atomo in questo passo e in quello ciceroniano, cf. in partico-lare O'Brien I, 1981, 229-248.

126 Cic. De fato 20,46 (68 A 47 DK; 307, 365 L.) «Declinat» inquit (scil. Epicurus) «atomus». Primumcur? aliam enim quandam vim motus habebant a Democrito inpulsionis, quam plagam ille appellat, a te,Epicure, gravitatis et ponderis. La stessa sequenza in uno schema diairetico e non dialettico inStob. 1,14,1; 1,19,1 (Ps.-Plut. 1,23, 884 C) (68 A 47 DK; 307, 365 L.).

127 Per una sequenza simile (correzione epicurea di una tesi democritea-critica da parte diCarneade) riguardo al clinamen, cf. De fato 10,23 (68 A 47; 307, 365 L.).

128 Ps.-Plut. 1,3, 877 E (Dox. 285; 217, 234 L.) ei\nai de; ta; schvmata tw'n ajtovmwn perilhptav,oujk a[peira. mh; ga;r ei\nai mhvt ajgkistroeidei'" mhvte triainoeidei'" mhvte krikoeidei'":tau'ta ga;r ta; schvmata eu[qraustav ejstin, aiJ d a[tomoi ajpaqei'" a[qraustoi: i[dia d e[ceinschvmata lovgwi qewrhtav. kai; ei[rhtai a[tomo", oujc o{ti ejsti;n ejlacivsth ajll o{ti ouj duvnataitmhqh'nai, ajpaqh;" ou\sa kai; ajmevtoco" kenou': w{ste, eja;n ei[phi a[tomon, a[qrauston levgeikai; ajpaqh', ajmevtocon kenou'.

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Capitolo sesto 255

metrio affermava genericamente che avrebbe ammesso solo forme com-patte). In secondo luogo, come ulteriore risposta alla critica alle forme,fornisce una definizione dell'atomo come indivisibile perché solido incontrasto con un atomo indivisibile perché minimo che manca in Deme-trio. La critica alle forme e la ridefinizione dell'atomo nel testo di Pseudo-Plutarco sembrano a prima vista mancare di una connessione logica. Illoro rapporto diviene, però, chiaro sullo sfondo dei brani di Lattanzio. Inquesti ultimi, infatti, la confutazione dell'atomo indivisibile per la picco-lezza di Leucippo si basava proprio sulla critica alle forme atomiche fria-bili come quelle scabre, ad amo e con angoli. Non solo, ma, in risposta adargomenti come quello avanzato da Demetrio, venivano criticate anche leforme "compatte" come quelle lisce e sferiche: tali forme, dice Lattanzio,non generano nulla perché non possono combinarsi. Gli atomi devonoperciò avere anche forme ad amo e con sporgenze che, come tali, si pos-sono tagliare e quindi non possono essere indivisibili. La presunta ridefini-zione dell'atomo da parte di Epicuro costituisce proprio una risposta aquesta doppia critica: gli atomi non sono insecabili in quanto minimi, main quanto infrangibili, impassibili e privi di vuoto. In Galeno, come sivedrà, è presente la risposta anche a questa "correzione" epicurea chemanca invece nei resoconti di Lattanzio. Dunque, nel brano dello Pseudo-Plutarco è implicita una struttura dialettica che presuppone:

A. Tesi degli atomisti antichi: ci sono minimi indivisibili di infinite forme.B. Critica di un avversario: se gli atomi hanno, fra le altre, anche forme

ad amo e con sporgenze, non sono indivisibili perché queste ultime sipossono sempre tagliare.

C. Correzione epicurea: gli atomi non hanno forme infinite, ma concepi-bili col pensiero. Alcune forme friabili possono dunque essere escluse.

D. Critica dell'avversario: se non hanno forme con sporgenze, ma sonolisci e rotondi, non possono combinarsi.

E. Risposta epicurea: l'atomo si definisce tale non perché è un minimo,ma perché è impassibile e privo di vuoto.

Per quanto riguarda i punti C, D ed E, si può osservare che ad Epi-curo sono attribuite delle tesi in parte da lui veramente sostenute, comequella della non infinità delle forme atomiche, ma anche delle opinionipalesemente in contrasto con le testimonianze come le forme "concepi-bili" e la negazione delle forme atomiche ad amo a tridente e ad anello.Per quanto riguarda il primo punto, la lezione perilhptav è stata general-mente riportata ad un errore della tradizione manoscritta e corretta, sullascorta dell'Epistola ad Erodoto (1,42), in ajperivlhpta129. In realtà i mano-scritti di Pseudo-Plutarco, compreso quello che il traduttore arabo aveva

129 Duebner II, 1841; Diels 1879; Lachenaud 1993.

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L'indivisibilità dell'atomo nella dossografia tarda256

davanti130, hanno concordemente perilhptav. Il termine è perfettamenteaccettabile se lo si interpreta non come una affermazione originale di Epi-curo, ma come una deduzione che si poteva trarre dall'epistola epicurea: sele forme atomiche non sono infinite, devono essere concepibili con lamente in quanto solo l'infinito è inconcepibile. Dunque Epicuro avrebbeammesso che le forme sono concepibili131. Riguardo al secondo punto, lanegazione di certe forme atomiche, Demetrio Lacone allude al fatto cheEpicuro ha ammesso solo forme compatte, ma non specifica di quali sitratti. Tale affermazione è però palesemente contraddetta all'interno dellascuola stessa. Le forme ad amo a tridente e ad anello sono citate, infatti,espressamente da Lucrezio per spiegare la struttura di certi oggetti sensibilie di altri fenomeni. Atomi ad amo e "a ramo" compongono le cose che ciappaiono dure e spesse e l'attrazione del magnete e del ferro si spiegaattraverso intrecci di atomi ad anello e ad amo132. Anche Galeno accennain un contesto critico a quest'ultimo punto133. Per Cicerone, come si è giàconstatato, le forme ad amo e ad uncino sono dottrina leucippea e demo-critea accettata anche dagli epicurei134. Pseudo-Plutarco attribuisce dunquead Epicuro delle tesi che non sono sue, ma solo deduzioni di chi argo-menta pro o contro le forme atomiche. Da affermazioni quale quella diDemetrio Lacone, secondo cui Epicuro avrebbe ammesso solo formecompatte e rifiutato quelle friabili, si poteva facilmente passare all'identifi-cazione di queste ultime con le forme ad amo e ad uncino. D'altra parte laridefinizione dell'atomo da parte di Epicuro, che, detto per inciso, ripete

130 Daiber 1980, 105: "Die Gestalten der Körper, welche nicht teilbar sind, lassen sich erfassen und sindnicht unendlich".

131 Anche l'esclusione delle forme con sporgenze sia in Demetrio Lacone che nel testo diPseudo-Plutarco è il risultato di una deduzione. L'Accademico Cotta nel primo libro del Denatura deorum (1,32,90) usa un procedimento simile per confutare la concezione epicureadella divinità. L'affermazione di Epicuro secondo cui gli dèi sono simili agli uomini pre-suppone che anche gli uomini siano simili agli dèi. E' logico infatti che sia la forma degliuomini a derivare da quella degli dèi sempre eterni e ingenerati e non viceversa. Conse-guentemente si deve dire non che gli dèi hanno forma umana, ma che gli uomini hannoforma divina. Quest'ultima deduzione viene poi assunta come effettiva tesi di Epicuro econfutata nel paragrafo seguente (perché dunque improvvisamente sarebbero nati degliuomini di forma divina?).

132 Lucr. 2,444-446 Denique quae nobis durata ac spissa videntur,/ haec magis hamatis inter sese essenecessest/ et quasi ramosis alte compacta teneri; cf. 2,393s. Cf. anche 6,1087-1089 (del magnete):Est etiam, quasi ut anellis hamisque plicata/ inter se quaedam possint coplata teneri;/ quod magis in la-pide hoc fieri ferroque videtur. Lur'e 1970, 466s. ha notato l'incongruenza del testo delloPseudo-Plutarco con le testimonianze lucreziane, ma, senza addurre alcuna prova, ha attri-buito a Lucrezio una ripresa di dottrine democritee che Epicuro avrebbe invece rifiutato.

133 Gal. Nat. fac. 1,14 (III,137,1 Helmreich = II,49 K.) (Ep. Fr. 293 Us.) eij ga;r e{kaston aujtw'nmuriostovn ejsti mevro" tw'n ejn tw'i ajevri feromevnwn yhgmavtwn, phlivkon crh; noh'sai to;pevra" aujtw'n to; ajgkistroeidev", w|i periplevketai pro;" a[llhla…

134 V. supra, 3. 2. 1 n. 110.

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Capitolo sesto 257

in parte quella della prima parte del brano e sembra assolutamente super-flua, presuppone un'ulteriore critica anche a forme compatte quali quellelisce. Dato che queste ultime non possono generare nulla, si devono rein-trodurre necessariamente quelle forme in un primo tempo rifiutate contutti i problemi che ne conseguono. Si tratta delle argomentazioni addotteda Lattanzio. Ecco allora la ridefinizione dell'atomo che para tutte le obie-zioni precedenti: l'atomo non è tale in quanto minimo (e dunque privo diparti), ma in quanto impassibile e privo di vuoto. Nell'epitome dossogra-fica sono state probabilmente assimilate critiche degli avversari e risposteepicuree ed eliminato il nome di Leucippo135.

Alla luce dei passi di Lattanzio delle Institutiones e del De ira dei si puòcomprendere meglio anche la connessione fra le diverse parti del brano diPseudo-Plutarco. Egli ha infatti riassunto una sequenza di tesi, confuta-zioni e controtesi alla maniera dei dialoghi ciceroniani dove l'Accademicoscettico non solo illustra la diaphonia fra le teorie dogmatiche, ma formulacritiche e attribuisce anche risposte agli interlocutori basandosi su un nu-cleo dottrinale effettivo, ma anche su deduzioni che da questo si possonotrarre. Dunque la seconda parte del brano dello Pseudo-Plutarco, cosìcome quello di Lattanzio, riportano all'ambito dell'Accademia scettica.Lattanzio espone la presunta dottrina di Leucippo con relativa critica,Pseudo-Plutarco riferisce anche le "correzioni" epicuree, ma la trattazionedell'atomismo nella sua globalità non si fermava qui. A questo punto en-travano in gioco quegli argomenti contro l'impassibilità e la mancanza diqualità dell'atomo, assunti dalla tradizione stoica e presenti in Cicerone ePlutarco (v. supra, 2. 1). Questo quadro di insieme è ricostruibile attraversoun brano del De elementis secundum Hippocratem di Galeno.

3. 2. 3. Galeno

Nel De elementis secundum Hippocratem Galeno propone un lungo excursussull'atomismo per dimostrare come quest'ultimo si presti alla criticaespressa nel trattato ippocratico De natura hominis secondo cui, se il corpofosse composto da un unico elemento, non potrebbe sentire dolore. Ga-leno, come egli stesso afferma in questa e in diverse altre opere, ritiene chegli atomisti siano dei monisti in quanto hanno assunto come principiatomi tutti uguali per specie e privi di qualità136. Per dimostrare come la

135 Che compare invece nel resoconto parallelo di Galeno, v. infra, 3. 2. 3.136 Gal. De elem. sec. Hipp. 2,16ss. (60,19 De Lacy = I,418 K.); cf. anche De const. art. med. 7

(I,246 K.). Si tratta di uno schema interpretativo già presente nella Contro Colote di Plutarcoladdove si cerca di dimostrare che Epicuro, in realtà, ha sostenuto le stesse tesi monisticheche Colote rimprovera a Parmenide (1114 A). Il modello di questa "riduzione" di Galeno

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critica ippocratica sia rivolta contro tali posizioni, espone prima di tutto leteorie democritee. La struttura di tale resoconto richiama da vicino quelladella Contro Colote di Plutarco. Come Plutarco, Galeno parte dalla massimanovmwi gluku; ktl. per passare poi alla descrizione dell'insieme della dot-trina e ritornare infine a criticare l'impassibilità dell'atomo e la sua inalte-rabilità. Egli, tuttavia, non si limita a riferire le tesi di Democrito. Dopoaverne diffusamente descritto i caratteri basilari, soprattutto il meccanismodi generazione dei corpi composti, accenna ad una differenza fra due tipidi atomismo

Essi ritengono i corpi primi impassibili; alcuni di loro, come Epicuro, infrangibiliper la durezza, altri invece indivisibili per la piccolezza, come Leucippo137.

Qui viene in pratica esplicitata quella diaphonia fra atomismo antico edEpicuro nella concezione dell'indivisibilità dell'atomo che nello Pseudo-Plutarco è solo presupposta. Nel contempo si ritrova l'accenno alle pre-sunte teorie di Leucippo oggetto di critica nei brani delle Divinae Institutio-nes e del De ira dei di Lattanzio. In Galeno ci sono dunque ancora dei restidi quella stessa tradizione critico-interpretativa che compare nei branisuddetti. Altrove egli menziona Leucippo una sola volta incidentalmente ein uno schema generico di concordanza con Epicuro e Democrito: tuttiavrebbero posto come elementi piccoli corpuscoli138.La terminologia del brano del De elementis ricorda quella dello Pseudo-Plutarco, in particolare l'attributo molto specifico a[qrausta degli atomi

risale certamente in ultima analisi ad Aristotele, come afferma Morel 1996, 115ss., ma è si-curamente filtrato da una tradizione posteriore come mostra la corrispondenza con Plu-tarco. Morel, interessato al tema più generale della rappresentazione dell'atomismo in Ga-leno, non indaga ulteriormente sulla tradizione che sta dietro la struttura dialettica delbrano e sulle strette relazioni di quest'ultimo con la Contro Colote. Sulle somiglianze e diffe-renze fra i due brani, cf. Gemelli Marciano 1998, 121s.

137 Gal. De elem. sec. Hipp. 2,17 (62,4-7 De Lacy = I,418-419 K.) (68 A 49 DK; 112 L.) ajpaqh' duJpotivqentai ta; swvmata ei\nai ta; prw'ta: tine;" me;n aujtw'n uJpo; sklhrovthto" a[qrausta, ka-qavper oiJ peri; Epivkouron, e[nioi de; uJpo; smikrovthto" ajdiaivreta, kaqavper oiJ peri; to;nLeuvkippon. De Lacy, nella sua edizione, aggiunge, sulla scorta della traduzione araba, an-che il nome di Diodoro kaqavper oiJ peri; to;n Leuvkippon ãkai; Diovdwronà (app. ad loc. e p.22) ritenendo impossibile che il traduttore arabo possa aver aggiunto di suo pugno unnome così inusuale. Che il nome fosse anche nel manoscritto greco è comunque piuttostostrano in quanto Diodoro è sì il sostenitore-tipo degli ejlavcista kai; ajmerh' nella vulgata suatomisti e corpuscolaristi (il suo nome è comunque sistematicamente tralasciato da Pseudo-Plutarco e compare solo nei passi paralleli di Stobeo), ma non viene mai citato in un conte-sto dove compaiono solo atomisti ed è completamente assente nelle opere di Galeno.Quest'ultimo accenna più volte, qui e altrove, alla vulgata, ma senza fare nomi e distin-guendo comunque il gruppo dei corpuscolaristi da quello degli atomisti, cf. De elem. sec.Hipp. 1,7 (58,21 De Lacy = I,416 K.) ejk taujtou' d aujtoi'" eijsi corou' kai; oiJ ta; ejlavcistakai; a[narma kai; ajmerh' tiqevmenoi stoicei'a. Cf. anche De simpl. med. 5,25 (XI,783 K.)Comunque sia, se anche Galeno qui menziona Diodoro fuori luogo, questo non hanessuna incidenza in relazione alla diaphonia Leucippo-Epicuro.

138 De nat. fac. 2,6 (III,172,7 Helmreich = II,97 K.).

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epicurei, che corrisponde esattamente alla definizione del dossografo aiJde; a[tomoi ajpaqei'" a[qraustoi. Galeno non lo usa più altrove. Egli nonmenziona inoltre il termine originale nastovn che, come si può dedurre daun altro passo139, sembra non conoscere, e sembra presupporre una diffe-renza fra a[qrausto", infrangibile per la durezza, e ajdiaivreto", indivisibilein quanto ejlavciston.

Rispetto a Lattanzio e allo Pseudo-Plutarco, che si arrestano rispetti-vamente alla critica all'indivisibilità per la piccolezza e alla dichiarazioneepicurea della solidità dell'atomo, Galeno riporta anche un'argomenta-zione contro il concetto di impassibilità già presente nei testi di Cicerone ePlutarco, che faceva dunque probabilmente parte di uno stesso bloccoconfutativo. Egli le dà un taglio medico, rifacendosi all'obiezione rivolta aimonisti nel De natura hominis ippocratico: se il corpo fosse composto da unsolo elemento, non dovrebbe sentire dolore140. Tuttavia Galeno utilizzaanche un'altra argomentazione di tipo empirico: se si punge, anche con unpiccolo ago, la pelle, tutto il corpo sente dolore. Ammettiamo che questoago tocchi un solo atomo; se l'atomo è insensibile e per di più non puòsubire ferite, non avrà alcuna reazione dalla puntura dell'ago. Nessunasensazione si produrrà neppure se l'ago toccherà due atomi e così via,talché, se componiamo un corpo di atomi impassibili e insensibili, an-ch'esso risulterà tale. Infatti sarebbe veramente strano se ogni parte diquesto corpo fosse insensibile e impassibile, mentre il tutto è sensibile ecapace di subire. Ora, il corpo è chiaramente soggetto a dolore e, se siferisce una sua parte, il dolore viene avvertito dovunque, dunque deveessere composto di elementi sensibili e capaci di "patire"141. L'argomenta-zione coincide con una delle tante obiezioni rivolte da Plutarco all'atomodi Epicuro nella Contro Colote:

a chi dunque, veramente, o Colote, consegue di non venir feriti né di ammalarsi?a voi, a voi che siete fatti di atomo e di vuoto, nessuno dei due partecipe di sen-sazione142.

Come si è visto sopra, Carneade considerava come caratteristica distintivadell'essere vivente il provare sensazioni e dolore e sosteneva che nessuncorpo è tale da non poter essere frammentato143. Le critiche all'atomo e alvuoto insensibili, che mettono in rilievo le incongruenze insite nell'atomi-smo, fanno parte dunque di un bagaglio che risale per lo meno aCarneade. L'esempio dell'ago che punge, di carattere tipicamente medico,potrebbe essere stato inventato da Galeno, ma ci sono buoni motivi per

139 De dign. puls. 4,2 (VIII,931 K.) (68 A 46 DK), v. supra, Introduzione 2. 1 n. 33.140 Nat. hom. 2 (168,4s. Jouanna = VI,34 Littré).141 Gal. De elem. sec. Hipp. 2,24ss. (64,5 De Lacy = I,420 K.).142 Plut. Adv. Colot. 1113 E. Per il testo, v. supra, n. 40.143 V. supra, 2. 1. 2 n. 42.

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ritenere che non sia così. Innanzitutto non compare più in altri passi pa-ralleli di Galeno, dove invece viene enunciata solo la tesi generale144. Insecondo luogo, riemerge nella confutazione delle tesi atomiste nel com-mento al De generatione et corruptione del Filopono145. Il commentatore neo-platonico non attinge direttamente da Galeno, in quanto riporta una va-riante (l'ago potrebbe pungere l'atomo o andare nel vuoto, ambedueinsensibili146) e lo cita come parte di un elenco di aporiai contro gli indivisi-bili che Aristotele avrebbe esposto nel terzo libro del De caelo147. Ovvia-mente Aristotele non ha detto nulla di tutto questo, ma solo accennato alfatto che le dottrine atomiste minano alla base la sensazione. Alessandrodi Afrodisia nel suo commento perduto al trattato, aveva ampliato le ar-gomentazioni aristoteliche con aggiunte proprie148, ma il Filopono non losegue149; egli attinge a qualche altra fonte che sfruttava anche argomenti dimatrice scettica. Infatti, la sua accusa agli atomisti di eliminare i sensibiliriprende non solo la tematica incontrata in Cicerone e Plutarco, ma pre-senta una concordanza quasi letterale col giudizio espresso in un famosobrano di Sesto su Democrito. In sintesi il Filopono dice che, se gli atomisono insensibili, neppure le cose da loro composte avranno sensibilità,dunque "non ci sarà nessun sensibile per natura"150. Si tratta della defini-

144 Cf. De const. art. med. 7 (I,247-249 K.) e In Hippocr. De nat. hom. 1,6 (21,11-23 Mewaldt =XV,36 K.) dove egli applica la stessa critica ad atomisti e corpuscolaristi.

145 Philop. In De gen. et corr. 325b 34, 164,24-165,8 trivton (scil. ejpiceivrhma) o{ti ajnairou'si th;nsunaivsqhsin kai; ta; pavqh. wJ" ga;r ei[rhtai pollavki", o{tan kenthvshi to; sw'ma belovnh ti",ajnavgkh pa'sa h] ejn tw'i kenw'i cwrh'sai aujth;n h] th'" ajtovmou ãa{yasqai. eij me;n ou\n ejn tw'ikenw'i cwrhvsei, oujk aijsqhvsetaià h} (sic eij?) de; th'" ajtovmou a{yetai, dia; to; ajpaqh' ei\naipavlin oujk aijsqhvsetai. w{ste ajnhvirhtai hJ ai[sqhsi" kai; oujde;n e[stai aijsqhtovn. eij ga;r to;aijsqavnesqai tw'i pavscein ti uJpo; tw'n aijsqhtw'n th;n ai[sqhsin levgetai, oujk e[sti de;sunaivsqhsi" oujde; pavqo", oujd a[ra aijsqhtovn ti a]n ei[h kurivw".

146 Cf. Plut. Adv. Colot. 1113 D, supra, n. 40, dove sia il vuoto che gli atomi sono definiti insen-sibili.

147 Philop. In De gen. et corr. 325b 34, 164,11-13.148 Simplicio, nel commento ai passi del De caelo cui il Filopono allude, cita e segue appunto

Alessandro (303a 17, 612,1ss.).149 Questo è chiaro dal confronto con l'argomentazione parallela nel commento al De caelo di

Simplicio che invece si richiama ad Alessandro. Simplicio, riferendosi alla critica aristotelicaalle dottrine atomiste di andare non solo contro la matematica, ma di eliminare anche lasensazione, si riferisce unicamente al fatto che, essendo i corpi discontinui, la sensazionenon può propagarsi in tutto il corpo (612,15 "come infatti un dolore al piede si potrebbesentire [nel resto del corpo], se i corpi non sono continui?"). Simplicio elenca questa obie-zione come terzo argomento contro la discontinuità e l'indivisibilità dei corpi, il Filopono,invece, la riporta come quarto.

150 Philop. In De gen. et corr. 326a 14, 168,4 eij me;n ou\n mhde;n e[coien pavqo", oujd a]n ta; ejxaujtw'n sugkeivmena scoivh a[n ti pavqo". pw'" ga;r o} mh; e[cousi toi'" ejx aujtw'n sugkeimevnoi"doi'en a[n… ajll eij mhde;n e{xousi ta; ejx aujtw'n pavqo", ajnaireqhvsetai hJ ai[sqhsi" kai; ta;aijsqhtav. hJ ga;r ai[sqhsi" tw'i pavscein ti uJpo; tw'n aijsqhtw'n levgetai, tau'ta dev ejsti ta;pavqh. w{ste oujde;n e[stai fuvsei aijsqhtovn.

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zione letterale di Sesto: Democrito ha assunto come veri solo gli intellegi-bili per il fatto che non c'è alcun sensibile per natura perché tutto quanto èformato da atomi privi di ogni qualità sensibile151. In Sesto, come in Plu-tarco, questa argomentazione è correlata alla famosa frase novmwi gluku;ktl. e proviene in ultima analisi dall'Accademia scettica152. Nel brano distile dossografico di Galeno ritornano dunque quelle argomentazioni cheemergono nei diversi passi esaminati finora e che costituivano il nerbodella confutazione dell'atomismo nell'Accademia di mezzo.

3. 2. 4. Teodoreto

Il resoconto di Teodoreto sull'atomismo, come già notato da Mansfeld eRunia153, costituisce un problema in quanto questo autore utilizza non soloAezio, ma anche altre fonti e le combina in maniera idiosincratica aggiun-gendo e rimaneggiando. Così si esprime riguardo ai principi degli atomistinel quarto libro Sulla materia e sul cosmo

Democrito figlio di Damasippo per primo introdusse la dottrina del vuoto e deicorpi compatti; Metrodoro di Chio invece li chiamò indivisibili e vuoto, come dinuovo Epicuro figlio di Neocle, Ateniese, della quinta generazione dopo Demo-crito, chiamò atomi quei corpi che costoro [Democrito e Metrodoro] avevanodenominato compatti e indivisibili. Gli uni dicono che si definisce indivisibile,atomo e compatto per l'impassibilità, gli altri, invece, per la piccolezza perché nonpuò subire taglio o divisione. Chiamano così quei corpi piccolissimi e sottilissimiche il sole, penetrando attraverso le finestre, mostra sussultare su e giù nella sualuce. Alle loro dottrine ha aderito anche Ecfanto di Siracusa, il Pitagorico154.

Il resoconto riproduce solo in parte ciò che si trova in Stobeo. Vi comparenella prima parte, come là, la successione Democrito-Metrodoro-Epicuro-Ecfanto e l'elenco delle varie denominazioni degli indivisibili (tutto questo

151 Sext. Emp. Adv. Math. 8,6 (57, 92 L.) oiJ de; peri; to;n Plavtwna kai; Dhmovkriton movna ta;nohta; uJpenovhsan ajlhqh' ei\nai, ajll oJ me;n Dhmovkrito" dia; to; mhde;n uJpokei'sqai fuvseiaijsqhtw'n tw'n ta; pavnta sugkrinousw'n ajtovmwn pavsh" aijsqhth'" poiovthto" e[rhmon ejcou-sw'n fuvsin.

152 Cf. Adv. Math. 8,55; 6,53; 7,135 e Gemelli Marciano 1998. Per una contestualizzazionegenerale di queste interpretazioni in Sesto Empirico, cf. Morel 1996, 427ss.

153 Mansfeld-Runia 1997, 280-82.154 Theodoret. 4,8-10 (Dox. 285; 113 L.) Dhmovkrito" de; oJ Abdhrivth" oJ Damasivppou th;n tou'

kenou' kai; tw'n nastw'n prw'to" ejpeishvgage dovxan: tau'ta de; Mhtrovdwro" oJ Ci'o" ajdiaivre-ta kai; keno;n proshgovreusen, w{sper au\ pavlin Epivkouro" oJ Neoklevou" oJ Aqhnai'o"pevmpthi genea'i meta; Dhmovkriton gegonw;" ta; uJp ejkeivnwn nasta; kai; ajdiaivreta dh;klhqevnta a[toma proshgovreusen. ajdiaivreton de; kai; a[tomon kai; nasto;n oij me;n dia; to;ajpaqe;" wjnomavsqai fasivn, oiJ de; dia; to; a[gan smikro;n a{te dh; tomh;n kai; diaivresin devxa-sqai ouj dunavmenon. kalou'si de; ou{tw ta; smikrovtata ejkei'na kai; leptovtata swvmata, a} dia;tw'n fwtagwgw'n eijsbavllwn oJ h{lio" deivknusin ejn eJautw'i a[nw kai; kavtw pallovmena.touvtoi" kai; “Ekfanto" oJ Surakouvsio" oJ Puqagovreio" hjkolouvqhse.

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L'indivisibilità dell'atomo nella dossografia tarda262

manca in Pseudo-Plutarco). Tuttavia l'indicazione che Epicuro è dellaquinta generazione dopo Democrito è inusitata155. La seconda parte, rias-suntiva e senza nomi specifici, come spesso nelle epitomi dossografiche,attribuisce agli atomisti due concezioni diverse dell'atomo, una per laajpavqeia, cioè per la solidità, l'altra per la piccolezza. Si tratta di una diffe-renziazione che non è esplicita nei testi dossografici di matrice "aeziana"(Pseudo-Plutarco e Stobeo), ma sottintesa alla ridefinizione dell'atomo daparte di Epicuro, mentre in Galeno è legata ai nomi di Epicuro e Leu-cippo. Teodoreto, particolarmente attento a mettere in rilievo la diaphoniafra gli autori pagani, mantiene questo tratto eliminando però il nome diLeucippo, per lui secondario156. La definizione dell'atomo come "ciò chenon può subire taglio o divisione" è la formula corrente negli autori cri-stiani per lo meno dal III sec. d.C.157. Teodoreto aggiunge però a questopunto come illustrazione dell'atomo l'immagine degli xuvsmata, che noncompare nei testi dossografici di matrice "aeziana", ma è presente nel Deira di Lattanzio e segue la definizione dell'atomo in diversi autori latinifino all'epoca medievale158. A differenza di questi ultimi, però, sicuramenteinfluenzati dalla similitudine lucreziana (2,114), Teodoreto identifica pulvi-scolo e atomi. Questa interpretazione non è una sua Verschlimmbesserungcome si potrebbe pensare159, ma ha le sue radici in un passo del De animaaristotelico160 ed è attestata anche in una citazione di Democrito in untesto arabo, su cui si ritornerà nel capitolo conclusivo, e nel commentoalla Metafisica dello Pseudo-Alessandro che cita le particelle del pulviscolo

155 Mansfeld-Runia 1997, 281.156 Lo nomina una sola volta in relazione alla dottrina dell'infinità dei mondi (4,15).157 Cf. Hippol. Ref. 7,15,1 infra, n. 168; Aug. Serm. 362,20 (P. L. 39,V,2, 1624) Atomus dictus est a

tomhv, quod est sectio: a[tomo" graece quod secari non potest. Sed dicitur atomus in corpore, dicitur in tem-pore. in corpore dicitur, si quid inveniri potest quod quidem dividi non posse perhibetur, corpusculum ali-quod tam minutum, ut iam non habeat ubi secari possit. Cf. Ep. 118,28 (P. L. 33,II, 445) Epicurusvero neque aliquid in principiis rerum ponit praeter atomos, id est corpuscula quaedam tam minutaut iam dividi nequeant, neque sentiri, aut visu aut tactu possint; quorum corpusculorum concursu for-tuito et mundos innumerabiles et animantia et ipsas animas fieri dicit, et deos.

158 Serv. Ecl. 6,31 Epicurei, vero […] corpus volunt esse atomos, id est quasdam minutissimaspartes, quae tomhvn, id est sectionem, non recipiunt, unde et atomi dictae sunt: quas Lucretius mi-nutiores dixit esse illis corpusculis, quae infusis per fenestras radiis solis videmus; dicit enim illas nec visumposse recipere. Isid. Etym. 13,2,1-4 Atomos philosophi vocant quasdam in mundo corporum partes tamminutissimas ut nec visui pateant nec tomh;n, id est sectionem, recipiant; unde et a[tomoi dicti sunt. Hi perinane totius mundi inrequietis motibus volitare et huc atque illuc ferri dicuntur, sicut tenuissimi pulveresqui infusi per fenestras radiis solis videntur. Ex his arbores et herbas et fruges omnes oriri, ex his ignem etaquam et universa gigni atque constare quidam philosophi gentium putaverunt. Raban. Maur. De uni-verso 9,1 (P. L. 111,V, 262) (ad 594, p. 573 Nr.16 L.).

159 Mansfeld-Runia individuano come tali alcune delle particolarità dei resoconti di Teodoreto.160 Arist. De an. A 2, 404a 1-21 (67 A 28 DK; 200, 443a, 462 L.), v. infra, VII 5 n. 50.

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come esempio di unità indivisibili161. Sicuramente dunque Teodoreto at-tinge per questo passo non solo al cosiddetto Aezio, ma anche per lomeno ad un'altra fonte come hanno già fatto notare Mansfeld e Runia162, lacui identità è però destinata a rimanere oscura163.

Si può dunque ricostruire, attraverso i brani di Lattanzio, Pseudo-Plu-tarco, Galeno e Teodoreto, un filone espositivo-interpretativo risalenteall'Accademia scettica che istituiva una diaphonia all'interno dell'atomismoaccogliendo una tradizione sull'indivisibilità dell'atomo in quanto minimolegata al nome di Leucippo e diversa da quella corrente su Democrito edEpicuro. L'atomo di Leucippo veniva criticato con delle motivazioni cap-ziose e legate all'empiria: essendo indivisibile perché minimo e privo diparti, non poteva assumere forme con sporgenze le quali si possono in-vece tagliare. Gli Epicurei reagivano eliminando le forme friabili e am-mettendo solo quelle compatte, ma esponendosi ad una nuova critica inquanto queste ultime non possono intrecciarsi. Infine definivano l'atomoindivisibile non perché minimo, ma perché solido, infrangibile e impassi-bile. A sua volta questa risposta veniva sottoposta a critica attraverso l'ar-gomentazione che troviamo in Plutarco e in Galeno: atomi insensibili eimpassibili non possono formare corpi sensibili e quindi in grado di sen-tire dolore. Se, d'altra parte, anch'essi sentono dolore, allora sono, comegli altri corpi, soggetti a dissoluzione e dunque non eterni e indistruttibili.È praticamente impossibile stabilire da quale tradizione interpretatival'Accademia scettica avesse assunto la rappresentazione dell'atomo leucip-peo come insecabile perché elemento più piccolo. Questa interpretazionerispecchia sia l'argomento "fisico" di De Generatione et corruptione A 2, doveperò il nome di Leucippo non compare, sia la definizione di minimo privodi parti risalente all'Accademia antica e corrente negli autori di età impe-riale164. La critica alle forme atomiche ad essa legata sembrerebbe riportarefino a Stratone di Lampsaco, ma quest'ultimo, criticava Democrito e nonLeucippo. Teofrasto attribuiva inoltre ad ambedue gli stessi principi: ilpieno e compatto e il vuoto. In ogni caso questa tradizione è confluita in

161 Ps.-Alex. In Metaph. 1056b 28, 631,8-11 ouj pa'n, o} a]n h\i e}n kai; ajdiaivreton, ajriqmov" ejstin,ajll eijsi; polla; e}n kai; ajdiaivreta ta; ejn tai'" ajkti'si tou' hJlivou oJrwvmena xuvsmata, kai; ou[keijsin ajriqmov", eij tavca kai; e[stin ajriqmo;" aujtw'n.

162 1997, 280-282.163 Si potrebbe pensare a Porfirio, che Teodoreto nomina espressamente come sua fonte

accanto ad Aezio e Plutarco. Il fatto che la Historia philosopha del neoplatonico arrivasse finoa Platone (Eunap. Vita Soph. 2,1) mentre Teodoreto menziona anche Epicuro, non è ne-cessariamente un ostacolo all'attribuzione. Infatti la classificazione delle teorie atomisticheavrebbe potuto far parte senza problemi di un resoconto sugli atomisti antichi. In ognicaso la fonte di Teodoreto seguiva da vicino la letteratura delle diadochai come mostra l'in-dicazione sul posto occupato da Epicuro nella successione degli atomisti.

164 V. supra, V 1 n. 17.

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L'indivisibilità dell'atomo nella dossografia tarda264

una sezione dossografica Sui principi di cui si trovano le tracce in Galeno eTeodoreto e, in parte, nel resoconto di Lattanzio.

Nelle fonti tarde lo schema diafonico presente in questi testi scompareper effetto dell'epitome producendo una assimilazione di dottrine presen-tate in origine come contrarie e conseguentemente una attribuzione oscil-lante delle diverse definizioni. Tre sono gli schemi di assimilazione:

1. Citazione delle due definizioni dell'atomo come assolutamenteequivalenti e senza attribuzioni specifiche come in Suda, il cui testo si av-vicina a quello di Teodoreto165.

2. Attribuzione di ambedue le definizioni dell'atomo ad Epicuro comenell'Isagoge di Achille166.

3. Attribuzione dell'atomo indivisibile per la piccolezza ad Epicuroche, essendo il rappresentante canonico dell'atomismo, funge da para-digma. Nel III sec. d.C., questa tendenza è già affermata. Un autore comeIppolito, che pure riporta spesso abbastanza fedelmente molti brani dos-sografici, attribuisce l'indivisibile per la piccolezza ad Epicuro interpretan-dolo in pratica come un ajmerev"167.

3. 3. Minimo privo di parti ed epitomi dossografiche

La tradizione precedente riguardante i principi, che illustra una diaphoniafra Leucippo ed Epicuro all'interno degli atomisti, è comunque diversadalla vulgata che si trova in altri autori tardi che non nomina mai Leucippo,classifica separatamente, ordinandoli fra i corpi "intellegibili", atomi eajmerh' (questi ultimi sono posti fra i corpi divisibili all'infinito, ma indivisiinsieme alle omeomerie di Anassagora e agli onkoi di Eraclide e Ascle-

165 Sud. s. v. “Atoma (201 L.) leptovtata. ta; mh; dunavmena dia; th;n a[kran leptovthta tevmnesqai.o{ti a[toma wjnovmasan oiJ ”Ellhne" kai; ajmerh' swvmata dia; to; ajpaqe;" h] smikro;n a[gan, a{temh; tomh;n h] diaivresin devxasqai dunavmena.

166 Achill. Isag. 3, 31,5 Maas (Ep. Fr. 267 Us.) Epivkouro" de; oJ Aqhnai'o" ejk swmavtwn nohtw'nsmikrotavtwn ta;" ajrca;" tw'n o{lwn ei\naiv fhsi: kalei' de; aujta;" ajtovmou" h] dia; smikrovthtaajkariaiva" tina;" ou[sa" h] dia; to; ajfqavrtou" aujta;" ei\nai kai; mh; tevmnesqai.

167 Hippol. Ref. 1,22,2 Epivkouro" ª...º ta;" de; ajtovmou" to; leptomerevstaton kai; kaq ou| oujk a[ngevnoito kevntron oujde; shmei'on oujdevn, oujde; diaivresi" oujdemiva, e[fh ei\nai: dio; kai;ajtovmou" aujta;" wjnovmasen. Cf. invece Ref. 7,15,1 dove Ippolito contrappone alla concezionedell'atomo indivisibile per la piccolezza quella di individuo di Aristotele che per natura nonpuò essere diviso: a[tomon de; ouj dia; smikrovthta swvmato" ejkei'no" (scil. oJ Aristotevlh")levgei, ajlla; ãto;Ã fuvsei tomh;n ajnadevxasqai mhd hJntinaou'n dunavmenon. La contrazione ri-sulta ancor più chiara in un autore come Psello, epitomatore per eccellenza (Theol. 49,191,208 Gautier oJ ga;r Epivkouro" nou'n kai; qeo;n ajnairw'n oi[etai to;n kovsmon aujtomavtw"ejx ajmerw'n susth'nai swmavtwn: levgei ga;r o[gkou" tina;" ajmerei'" te kai; ajpaqei'", oi|a ta; ejntai'" ajkti'si dia; tw'n qurivdwn xuvsmata faivnetai, eij" eJautou;" sumplakevnta" to; xuvmpanajpogennh'sai).

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Capitolo sesto 265

piade) e attribuisce gli uni a Democrito ed Epicuro, gli altri a Diodoro168.Tuttavia il procedimento riassuntivo, tipico della dossografia, che ha por-tato all'assimilazione delle varie dottrine atomiste, è stato applicato anchealla vulgata. Una "contrazione" spiega infatti una testimonianza di Pseudo-Plutarco e Stobeo, nella sezione Sulla divisione dei corpi, sulla quale alcuni sisono basati per attribuire a Democrito degli indivisibili in assoluto. Se-condo il testo riportato da Diels 1879 e comunemente accettato, loPseudo-Plutarco parlerebbe genericamente di "coloro che pongono gliatomi" i quali negherebbero la divisione all'infinito e si fermerebbero acorpi privi di parti169. Lo Stobeo attribuisce invece espressamente la conce-zione a Democrito170. Lur'e usava questa testimonianza, insieme a quellasulla doppia concezione dell'atomo (atomo e minimo) di Alessandro171,come prova di un doppio atomismo democriteo172. Tuttavia il testo delloPseudo-Plutarco risulta da una correzione del Diels il quale riteneva che,in generale, il testo di Stobeo riproducesse meglio il modello aeziano173. Inrealtà i codici di Pseudo-Plutarco riportano un'altra lezione: oiJ ta;"ajtovmou" h] ta; ajmerh' i{stasqai kai; mh; eij" a[peiron ei\nai th;n tomh;n. Ilsenso è perfettamente coerente anche senza la correzione174 e corrispondealla distinzione fra atomisti e Diodoro della vulgata: "quelli che hanno ipo-tizzato gli atomi o gli ajmerh' affermano che la divisione si arresta e chenon procede all'infinito". La stessa costruzione sintattica, con la formaattiva del verbo, si ritrova anche in un passo parallelo del Filopono175. Si

168 Per la distinzione di atomi e ajmerh', cf. Sext. Emp. Adv. Math. 1,27, v. supra, n. 45.169 Ps.-Plut. 1,16, 883 D (Dox. 315; 68 A 48 DK; 106 L.) oiJ ta;" ajtovmou", peri; ta; ajmerh'

i{stasqai kai; mh; eij" a[peiron ei\nai th;n tomh;n. Riproduco qui il testo dielsiano accettatoanche da Lachenaud 1993 ad loc. e, fra gli editori di Democrito, da Lur'e e Taylor 1999, 78.

170 Stob. 1,14,1f (Dox. 315; 68 A 48 DK; 106 L.) oJ d aujto;" e[lege (scil. Dhmovkrito") peri; ta;ajmerh' i{stasqai kai; mh; eij" a[peiron ei\nai th;n tomhvn. I Mss. riportano peri; ta; mevrh, ma sitratta di una aplografia frequente in Stobeo.

171 Alex. In Metaph. 985b 19, 36,25 (123 L.), v. supra, n. 77.172 1932-1933, 125. Democrito avrebbe assunto, accanto agli atomi indivisibili per la solidità,

anche dei minimi matematici privi di parti precorrendo così Epicuro. Sull'assurdità di que-sta ipotesi, cf. Furley 1967, 97ss.; Krämer 1971. 270ss. Tuttavia il Furley, nella sua critica,non menziona il passo di Aezio.

173 Diels 1879, 5 n. 2.174 Mau 1971 ad loc., ha introdotto un non necessario ãeijsavgonte"Ã accettato anche da

Lachenaud 1993, 93 ad loc.175 Philop. In De gen. et corr. 326a 24, 175,7 kai; ga;r oiJ mh; a[toma uJpotiqevmenoi oujk eij" a[peiron

diairou'sin, ajll iJsta'si dia; th;n smikrovthta th;n tomhvn. Ad una stessa distinzione fra ato-misti e corpuscolaristi, i quali avrebbero posto un arresto della divisione dei corpuscoli permancanza di uno strumento da taglio adeguato allude anche Ps.-Alex. In Metaph. 1053a 14,610,24-32 to; de; i[sw" provskeitai h] dia; tou;" levgonta" ejx ajtovmwn sugkei'sqai ta; megevqh, h]dia; th;n ajsqevneian tou' te ojrgavnou, w|i crh'tai eij" th;n tmh'sin, kai; tou' tevmnonto" zwviou,ejpei; th'i oijkeivai fuvsei pa'n mevgeqo" tmhtovn ejstin. L'argomento è lievemente rimaneggiato,

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L'indivisibilità dell'atomo nella dossografia tarda266

tratta in pratica di un riassunto della classificazione di cui Sesto Empiricofornisce una versione integrale separando nettamente gli atomisti dai cor-puscolaristi176. Prima di arrivare allo Stobeo, i due gruppi non sono piùstati distinti. Il risultato estremo e paradossale di questo processo di epi-tomazione si riscontra infatti in altri autori come Epifanio, che attribuisceagli Epicurei non solo atomi e ajmerh', ma anche gli omeomeri177, e MichelePsello, che vi aggiunge anche gli o[gkoi178. Dunque anche questa attribu-zione di ajmerh' agli atomisti è solo apparente e risulta invece da una con-trazione della classificazione di matrice posidoniana.

3. 4. Atomo indivisibile per la piccolezza e privo di parti: atomisti antichi,Aristotele, Epicuro nei commentatori neoplatonici

Dall'esame della tradizione esposta nel paragrafo precedente, che giocasulla diaphonia fra Epicuro e atomisti antichi, si deve partire per valutareuna testimonianza di Simplicio intorno alla quale, in positivo o in nega-tivo, ha ruotato gran parte dell'interpretazione dell'atomismo sia di Demo-crito che di Epicuro fino ai giorni nostri. Prima di affrontarla nei dettagli èopportuno ancora ricordare quanto si è già più volte detto sulle testimo-nianze simpliciane. Simplicio non riporta nulla di prima mano, e spessoneppure di seconda, sull'atomismo. Il fatto che conosca l'opera di Aristo-tele su Democrito non significa automaticamente che egli se ne servasempre. Allo stesso modo, pur conoscendo di prima mano le dovxai teo-frastee, utilizza talvolta rielaborazioni ben posteriori che egli trae da altri

ma la distinzione (che risale in definitiva a quella fra atomisti e corpuscolaristi di Arist. Decael. G 4) è costante.

176 Adv. Math. 1,27, supra, n. 45. Un residuo di questa classificazione, che nomina di seguito isostenitori di atomi e di ajmerh' come due gruppi distinti, si ha ancora in Ps.-Plut. 1,10, 882C oiJ dæ u{dwr levgonte" h] gh'n h] pu'r h] ajevra th;n u{lhn oujkevti a[morfon aujth;n levgousin ajlla;sw'ma: oiJ de; ta; ajmerh' kai; ta;" ajtovmou" a[morfon. Basil. Hexaem. 3 A dia; tou'to oiJ me;n ejpi;ta;" uJlika;" uJpoqevsei" katevfugon, toi'" tou' kovsmou stoiceivoi" th;n aijtivan tou' panto;" ajna-qevnte": oiJ de; a[toma kai; ajmerh' swvmata, kai; o[gkou" kai; povrou" sunevcein th;n fuvsin tw'noJratw'n ejfantavsqhsan.

177 Epiph. Anacephal. 1,8, 166,5 Holl Epikouvreioi a[toma kai; ajmerh' swvmata kai; oJmoiomerh' tekai; a[peira th;n ajrch;n ei\nai tw'n pavntwn uJpesthvsanto.

178 Michael. Psell. Theol. 49, 191,208 Gautier, v. supra, n. 167. Psello attribuisce altrove nellastessa opera le stesse definizioni all'atomo di Leucippo e Democrito, Theol. 6, 25,87 Gautiertivvne" ou|toi… Leuvkippo" kai; Dhmovkrito": ou|toi ga;r th;n ejnantivan tai'" o{lai" filosofivai"ejbavdisan fasi; ga;r o{ti, kenou' tou' panto;" o[nto", gevgonev pote oJ kovsmo" provteron mh; o[n,ei\ta eijpei'n boulhqevnte" kai; o[ntina trovpon ejgevneto ª...º ajnevplasan eJautoi'" swmavtiavtina ajmerh' oujk oi\d o{pw" kai; ajpaqevstata, qevsei kai; tavxei kai; schvmati diesthkovta.ajmerh' gou'n swvmata kai; a[toma ta; sumplevkonta kai; sumplekovmena katwnovmazon: o[gkou"de; kai; pwvrou" ta; ejk tw'n sumplokw'n ginovmena e[faskon: ejk parallhvlou ga;r ta; ojnovmatatauti; kei'tai.

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Capitolo sesto 267

commentatori di cui si serve in quel passo e le cui formulazioni sono piùvicine al suo scopo e all'argomento che sta trattando. Questo vale ancheper le sue affermazioni sull'atomo di Democrito e Leucippo come indivi-sibile per la piccolezza e privo di parti che non possono costituire unpunto di appoggio neppure secondario per ricostruire una originale con-cezione democritea dell'indivisibilità dell'atomo come invece spesso èstato fatto179.

Simplicio presenta una diaphonia fra atomisti antichi ed Epicuro comequella della tradizione dossografica or ora esaminata, ma arricchita dimaggiori particolari. Il suo testo è il seguente:

Coloro che hanno negato la divisione all'infinito, poiché non possiamo dividereall'infinito e provare da questo che la divisione è incessante, dicevano che i corpisono composti da indivisibili e si dividono in indivisibili. Tuttavia Leucippo eDemocrito considerano come causa del fatto che i corpi primi non si dividononon solo l'impassibilità, ma anche la piccolezza e la mancanza di parti, Epicuro,che viene dopo, invece, non li ritiene privi di parti, ma afferma che sono indivisi-bili per l'impassibilità. E in molti passi Aristotele ha confutato la tesi di Leucippoe Democrito e forse, proprio per quelle critiche rivolte alla mancanza di parti,Epicuro, venuto dopo di loro, concordando con la dottrina di Leucippo e Demo-crito sui corpi primi, li ha mantenuti impassibili, ma ha eliminato la mancanza diparti, poiché essi sono stati per questo confutati da Aristotele180

La concezione dell'atomo epicureo indivisibile unicamente per la soliditàsarebbe nata dunque da una correzione delle teorie leucippee e democriteedovuta alle obiezioni rivolte da Aristotele alla mancanza di parti dei loroatomi. Questa versione simpliciana dei rapporti fra atomismo antico eatomismo epicureo ha avuto una grande fortuna presso i commentatorimoderni perché offre un quadro apparentemente ordinato e verosimile,

179 La valutazione favorevole di questa testimonianza a scapito di quella già citata di In Phys.185b 5, 81,34ss. ha condizionato, unitamente ad altre considerazioni, per lo più riguardantii passi aristotelici del De generatione et corruptione commentati nei capitoli III e IV, molte in-terpretazioni dell'atomismo democriteo o epicureo, cf. Furley 1967, 94ss.; Löbl 1976, 238s.(cf. anche 1987, 148s.); Arrighetti 1993, 509; Silvestre 1985, 72 n. 10. Lur'e 1932-1933,124ss.; 1970, 448.

180 Simpl. In Phys. 231a 21, 925,10-22 (67 A 13 DK; 113 L.) oiJ de; th'" ejp a[peiron tomh'" ajpe-gnwkovte", wJ" ouj dunamevnwn hJmw'n ejp a[peiron temei'n kai; ejk touvtou pistwvsasqai to; ajka-tavlhkton th'" tomh'", ejx ajdiairevtwn e[legon uJfestavnai ta; swvmata kai; eij" ajdiaivreta diai-rei'sqai. plh;n o{ti Leuvkippo" me;n kai; Dhmovkrito" ouj movnon th;n ajpavqeian aijtivan toi'"prwvtoi" swvmasi tou' mh; diairei'sqai nomivzousin, ajlla; kai; to; smikro;n kai; ajmerev",Epivkouro" de; u{steron ajmerh' oujc hJgei'tai, a[toma de; aujta; dia; th;n ajpavqeian ei\naiv fhsi.kai; pollacou' me;n th;n Leukivppou kai; Dhmokrivtou dovxan oJ Aristotevlh" dihvlegxen, kai;di ejkeivnou" i[sw" tou;" ejlevgcou" pro;" to; ajmerev" ejnistamevnou" oJ Epivkouro" u{steron me;ngenovmeno", sumpaqw'n de; th'i Leukivppou kai; Dhmokrivtou dovxhi peri; tw'n prwvtwnswmavtwn, ajpaqh' me;n ejfuvlaxen aujtav, to; de; ajmere;" aujtw'n pareivleto, wJ" dia; tou'to uJpo;tou' Aristotevlou" ejlegcomevnwn. Cf. anche In De cael. 303a 3, 609,17 (237 L.) metevbh pro;"tou;" peri; Leuvkippon kai; Dhmovkriton stoicei'a levgonta" ta;" dia; smikrovthta kai; na-stovthta ajtovmou".

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L'indivisibilità dell'atomo nella dossografia tarda268

ma ha lo svantaggio di creare più problemi di quanti ne risolva. Essa siscontra infatti con altre testimonianze dello stesso Simplicio181 e di altriautori antichi scatenando fra i commentatori moderni quella ridda di ipo-tesi sull'indivisibilità dell'atomo di Leucippo e Democrito cui si è già ac-cennato. Per poter valutare questa testimonianza è dunque necessarioanalizzarne la struttura e inquadrarla nella problematica che Simplicio statrattando. Il suo schema presenta tutti i tratti della tradizione diafonicasull'atomismo esaminata sopra182, ma con varianti significative, indice diun'ulteriore rielaborazione:

1. Leucippo e Democrito, non vengono distinti, ma assimilati, con laconseguenza che la tesi dell'atomo-minimo ajmerev" e quella dell'atomoimpassibile vengono attribuite sia all'uno che all'altro. Si tratta, come si èvisto, di un fenomeno connaturato alla trasmissione dossografica.

2. Viene introdotta la critica aristotelica come mediatrice fra l'atomi-smo antico e quello epicureo. Questo elemento del tutto nuovo si spiegaalla luce di una ben precisa tendenza neoplatonica ad individuare princi-palmente negli atomisti antichi l'obiettivo delle critiche aristoteliche agliindivisibili. La ricostruzione, probabilmente non di Simplicio stesso, magià dell'autorità su cui si appoggia, contrariamente a quanto generalmentesi pensa, è infatti del tutto artificiosa e dettata da fattori contingenti. Inquesto testo, infatti, non è tanto importante quanto viene detto, maquanto viene taciuto. Simplicio sottace il fatto che Epicuro ha tuttaviasupposto anch'egli degli ajmerh' (i minimi dell'atomo) contro i quali co-munque si era diretta la critica aristotelica183. Temistio rimprovera a Epi-curo di aver ripreso esattamente quelle tesi che Aristotele aveva rifiutato eSimplicio stesso, poco più oltre nel commento allo stesso paragrafo dellaFisica, riprende lo stesso motivo parlando del movimento dei minimi epi-curei184. Questa incongruenza nasce dal fatto che la testimonianza si basasulla sovrapposizione di due tronconi concepiti separatamente:

181 Simplicio applica in In De an. 409a 10, 64,5-7 (117 L.) la stessa equivalenza piccolo-privo diparti alle monadi di Senocrate dando invece dell'atomo di Democrito la definizione cano-nica di indivisibile per la solidità. Per il testo, v. supra, n. 15.

182 Arrighetti 1973, 508s., ha in effetti messo in relazione il brano di Simplicio con quello diPseudo-Plutarco senza però trarne le necessarie conseguenze.

183 Cf. Krämer 1971, 268; cf. anche Silvestre 1985, 75. Epicuro ipotizza infatti diversi minimiajmerh': dello spazio in cui si muovono gli atomi, del movimento, del tempo (cf. Krämer1971, 255 e n. 82-86 con relative indicazioni di testi). Egli afferma che gli atomi non "simuovono" al presente su ognuno dei tratti privi di parti dello spazio, ma ogni volta "sisono mossi", una tesi che Aristotele aveva posto come paradosso (Phys. Z 1, 232a 6-11).

184 Themist. In Phys. 232a 3-22, 184,9 (Ep. Fr. 278 Us.) ajll oJ sofwvtato" hJmi'n Epivkouro" oujkaijscuvnetai crh'sqai farmavkwi th'" novsou calepwtevrwi kai; tau'ta Aristotevlou" th;nmocqhrivan tou' lovgou proepideivxanto". Simpl. In Phys. 231b 18, 934,23 (Ep. Fr. 278 Us.)o{ti de; ouj pavnthi ajpivqanon tauvthn tevqeike (scil. Aristotevlh") th;n e[nstasin, dhloi' to; kai;qevnto" aujth;n kai; dialuvsanto" tou;" peri; Epivkouron o{mw" u{steron genomevnou" ou{tw

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Capitolo sesto 269

1. Lo schema dossografico riguardante le definizioni di atomo e i rap-porti fra Epicuro e l'atomismo antico.

2. Una interpretazione seriore della critica aristotelica agli ajmerh' comediretta contro l'atomismo antico e non contro l'Accademia.

Questo secondo elemento è di fondamentale importanza ai fini dellacomprensione non solo del testo simpliciano, ma anche di tutta una seriedi testimonianze tarde che attribuiscono gli ajmerh' agli atomisti antichi o aicosiddetti democritei e che hanno avuto esiti e valutazioni del tutto oppo-ste nelle moderne interpretazioni dell'atomismo antico. Come ha accura-tamente documentato Krämer, gli obiettivi principali della critica aristote-lica contro gli ajmerh', soprattutto nel sesto libro della Fisica, ma anchealtrove, non sono gli atomisti antichi, bensì Senocrate e l'Accademia185. Iproblemi posti dal passo di Simplicio devono però essere inquadrati nelcontesto generale dell'interpretazione degli attacchi aristotelici contro ledottrine accademiche da parte dei Neoplatonici. Il brano costituisce unpreambolo al commento al sesto libro della Fisica, quello più espressa-mente rivolto contro gli indivisibili, e dunque riveste una funzione parti-colare. È una specie di segnale che Simplicio appone al suo testo per indi-care in quale direzione questo libro vada interpretato: la critica diAristotele agli indivisibili deve essere intesa cioè come rivolta contro gliatomisti e non contro gli Accademici che Simplicio non menziona in que-sto contesto. Attribuendo i minimi privi di parti agli atomisti antichi einterpretando le critiche aristoteliche come dirette contro di loro, egli negaimplicitamente che gli obiettivi siano invece gli Accademici e in particolareSenocrate. Ora, la difesa di Senocrate, e il tentativo di preservarlo dalleobiezioni aristoteliche è una costante degli interpreti neoplatonici, Porfirioin prima linea. Ci sono diverse testimonianze a questo proposito, anche diSimplicio, nelle quali si nega recisamente che Senocrate abbia sostenutol'indivisibilità della linea come oggetto matematico. Dunque, o Aristotelesi è sbagliato, o i suoi attacchi non sono rivolti contro l'Accademico, macontro gli atomisti. Le due interpretazioni sono complementari e talvoltasi presentano unificate, talaltra invece isolate. In Porfirio, nel brano ripor-tato da Simplicio nel commento al primo libro della Fisica, sono stretta-mente connesse: egli oppone infatti nettamente gli indivisibili di Senocrateagli ejlavcista kai; ajmerh', quei minimi che, nel logos da lui riferito come di

levgein th;n kivnhsin givnesqai: ejx ajmerw'n ga;r kai; to; mevgeqo" kai; th;n kivnhsin kai; to;ncrovnon ei\nai levgonte" ejpi; me;n tou' o{lou megevqou" tou' ejx ajmerw'n sunestw'to" kinei'sqailevgousi to; kinouvmenon, kaq e{kaston de; tw'n ejn aujtw'i ajmerw'n ouj kinei'sqai, ajlla; ke-kinh'sqai, dia; to; eij teqeivh kai; ejpi; touvtwn kinei'sqai to; ejpi; tou; o{lou kinouvmenon diai-reta; aujta; e[sesqai. Cf. Furley 1967, 113, 119.

185 Krämer 1971, 263-7. Il fatto che nel libro della Fisica, che Simplicio commenta, Aristotelenon nomini mai né Democrito, né Leucippo è sottolineato anche da Giannantoni 1980,129.

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L'indivisibilità dell'atomo nella dossografia tarda270

Parmenide, venivano appunto sottoposti a critica186. Le linee e le figureindivisibili di Senocrate sarebbero tali solo in quanto ei[dh, ma non nellaloro sostanza materiale che è divisibile all'infinito187. Porfirio tenta qui diconciliare gli indivisibili senocratei con le teorie aristoteliche eliminandociò che può costituire un oggetto di critica. Nel contempo egli scaricatutto il peso dell'assunzione degli indivisibili sulle teorie atomiste criticatenel logos di Parmenide. Siriano, nel commento a Metaph. M 8, in cui le mo-nadi delle idee-numero vengono assimilate agli ejlavcista, segue la stessalinea rimproverando ad Aristotele di aver frainteso gli Accademici. Essiinfatti non avrebbero sostenuto una dottrina degli ajmerh' come Demo-crito, ma distinto la monade numerica, principio ilico, e l'uno, principioeidetico188. Proclo, in un passo del commento al Timeo, dichiara esplicita-mente la matrice antiperipatetica dell'interpretazione neoplatonica preci-sando che Senocrate ha assunto delle linee indivisibili solo per quantoriguarda il loro carattere sostanziale, non in quanto enti matematici189.Simplicio stesso, nel brano di commento al primo libro della Fisica imme-diatamente successivo alla citazione del logos di Porfirio, avanza un'altrapossibile soluzione, tesa a salvare Senocrate dalle accuse di andare contro iprincipi della matematica e interpreta le linee indivisibili in direzione cor-puscolare conciliandole con i concetti di potenza e atto aristotelici. Lelinee senocratee, se potessero essere isolate, sarebbero indivisibili non pernatura, ma per la piccolezza. Riunite però nei corpi, possono essere sotto-poste a quella divisione che non sarebbe possibile se fossero prese singo-larmente190. Al di là delle acrobazie simpliciane, si riconosce l'argomento

186 V. supra, III 1 n. 64: qui i minimi venivano definiti ejlavcista kai; a[toma.187 Porph. 135 F Smith (Simpl. In Phys. 187a 1, 140,8-13) (Xenocr. Fr. 139 IP) dio; pavlin mhde;

e}n movnon uJpavrcein to; o[n, ajlla; pleivw. diaireto;n mevntoi mh; ejp a[peiron ei\nai, ajll eij"a[tomav tina katalhvgein. tau'ta mevntoi mh; a[toma ei\nai wJ" ajmerh' kai; ejlavcista, ajlla; kata;me;n to; poso;n kai; th;n u{lhn tmhta; kai; mevrh e[conta, tw'i de; ei[dei a[toma kai; prw'ta, prwvta"tina;" uJpoqevmeno" ei\nai gramma;" ajtovmou" kai; ta; ejk touvtwn ejpivpeda kai; sterea; prw'ta.

188 Syrian. In Metaph. 1084b 23, 152, 17-21 (120 L.) o{ti me;n ajduvnaton tw'i aujtw'i tau'ta a{mauJpavrcein, eu\ levgei". ou[koun oujd ejkei'noi th;n aujth;n monavda pavntwn te ajriqmw'n ei\nai pe-rilhptikh;n e[legon kai; movrion eJkavstou to; ejlavciston, ajll ei[rhtai o{ti th;n me;n ajrchgikh;nth;n de; uJlikh;n w[ionto ei\nai. ou[t ou\n ejx ajmerw'n kai; ajtovmwn ta; pravgmata sunetivqesan, wJ"oiJ peri; Dhmovkriton. Cf. Ibid. 1080b 23, 124,1-6 (Xenocr. Fr. 147 IP).

189 Procl. In Tim. II,245,23 Diehl (Xenocr. Fr. 146 IP) tiv ou\n e[ti fobhqhsovmeqa tou;" deinou;"tw'n Peripathtikw'n, oi} dh; ejrwtw'sin hJma'", poivan oJ Plavtwn pareivlhfen ejntau'qa grammhvn…th;n fusikhvn… ajll a[topon: pevra" ga;r au{th tw'n swmavtwn. ajlla; th;n maqhmatikhvn… ajlla;ajkivnhto" au{th kai; oujk oujsiva: th;n de; yuch;n oujsivan te ei\nai kai; cwristh;n swmavtwn fa-mevn. mavthn ou\n tau'ta fhvsomen aujtou;" ejrwta'n: pavlai ga;r grammh;n hJmei'" oujsiwvdh levgon-te" ouj pauovmeqa, kai; pro; hJmw'n oJ Xenokravth", a[tomon grammh;n th;n toiauvthn ajpokalw'n:geloi'on gavr, ei[ ti" ajdiaivreton nomivzei mevgeqo": ajlla; dh'lon, o{ti to;n lovgon th'" grammh'"to;n oujsiwvdh grammh;n w[ieto crh'nai kalei'n.

190 Simpl. In Phys. 187a 1, 142,19-27 (Xenocr. Fr. 145 IP) mhvpote ou\n ouj pro;" th;n ejp a[peirontomh;n ejnivstatai oJ Xenokravth" (ouj ga;r a]n gewmetrikh;n ajrch;n ajnei'le gewmetriko;" w]n

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Capitolo sesto 271

aristotelico della divisibilità in potenza. Allo stesso modo il Filopono nelcommento alla Fisica, riferisce che Senocrate ha sì ammesso un arrestodella divisione all'infinito191, ma aggiunge, sulla stessa linea di Simplicio (eprobabilmente dalla stessa fonte), che ha postulato una divisione finita inatto, ma infinita in potenza. Più oltre spiega che alcuni hanno attribuito aSenocrate la tesi delle linee indivisibili, e rimanda appunto alla sua spiega-zione che dimostra falsa questa affermazione192.

L'esegesi delle linee indivisibili senocratee dei Neoplatonici è dunquerivolta contro la tradizione peripatetica, in particolare rappresentata fra icommentatori da Alessandro, che individua invece in Senocrate il rappre-sentante-tipo degli indivisibili e quindi di teorie antimatematiche e lo desi-gna come il referente delle critiche aristoteliche193. Se, per i Neoplatonici,Senocrate non ha sostenuto una teoria atomista vera e propria, è chiaro

ajnhvr), ajlla; pro;" to; eij" a[peira dihirh'sqai o[ntwn ajeiv tinwn ajtmhvtwn megeqw'n: a{tina oujduJpo; th'" fuvsew" ijscuvei kaq auJta; diairei'sqai dia; smikrovthta, ajll eJnwqevnta pavlina[lloi" swvmasin, ou{tw tou' o{lou diairoumevnou, ejn eJautoi'" ejkei'na devcetai th;n diaivresin,h}n movna o[nta oujk a]n uJpevmeinen. wJ" ou\n oJ Plavtwn ejpivpeda ei\pen ei\nai ta; prw'ta kai;ejlavcista swvmata, ou{tw" oJ Xenokravth" gramma;" ajdiairevtou" me;n dia; smikrovthta, diai-reta;" de; kai; aujta;" ou[sa" th'i fuvsei. Cf. la stessa concezione utilizzata da Simplicio, indi-pendentemente dalle teorie di Senocrate in In Phys. 206a 18, 493,33-494,11 ajll e[stw me;ndunavmei to; a[peiron ejn th'i tw'n megeqw'n diairevsei kata; th;n ejp a[peiron tomhvn. pw'" de;o{lw" diairei'taiv ti ejp a[peiron h] tiv to; diairou'n ejsti… tevcnh me;n ga;r oujk a]n ejp a[peirontevmnoi (kai; oJ bivo" ga;r ajpagoreuvsei tou' tecnivtou kai; ta; o[rgana oujk ijscuvsei), hJ de; fuvsi"eij ejp a[peiron tevmnoi ti mevgeqo", polla; a]n h[dh tmhvmata a[crhsta pro;" suvstasin ejpoivhsedia; smikrovthta. eij de; pro; tou' eij" ejlavciston kai; a[crhston katamenei'n pavlin aujta; sun-tivqhsin, oujk e[stai hJ ejp a[peiron tomhv. mhvpote ou\n rJhtevon o{ti hJ fuvsi" poiei'tai me;n ta;"diairevsei" mevcri th'" creiva", temou'sa de; duvo tmhvmata, eij tuvcoi ta; ejlavcista, kai; au\qi"aujta; suntiqei'sa, eij pavlin devoi temei'n, ouj pavntw" kata; th;n sumbolh;n tevmnei, ajlla; kai;kat a[llo mevro" oujde;n a[tomon ajpolimpavnousa, eij kai; a[llote kat a[lla mevrh diairei'.kai; ou{tw" hJ ejp a[peiron tomh; kai; ejnergoumevnh fanhvsetai, kai; oujde;n i[sw" a[topon ajko-louqhvsei.

191 Cf. Philop. In Phys. 187a 1, 83,19-27 (Xenocr. Fr. 141 IP). Cf. anche Ibid. 187a 2, 84,15-85,2(Xenocr. Fr. 142 IP). In questo secondo passo la formulazione è simile a quella del branodi Proclo citato precedentemente (kakw'" ejnevdosan yeudw'" uJpoqevmenoi mh; ei\nai ejpa[peiron ta; megevqh diairetav).

192 Philop. In Phys. 206a 14, 465,3-13 (Xenocr. Fr. 143 IP) o{ti ga;r ouj suvgkeitai hJ grammh; ejxajtovmwn grammw'n, o{per oiJ lu'sai qevlonte" th;n Zhvnwno" ajporivan kakw'" uJpevqento, wJ" ejntw'i prwvtwi ei[rhtai, ouj calepovn fhsi dei'xai: oJlovklhron ga;r biblivon pro;" Anaxagovran[sic] aujtw'i gevgraptai peri; ajtovmwn grammw'n, o{ti ajduvnaton a[toma ei\nai megevqh. eij ga;rdevdeiktai toi'" gewmevtrai" th;n doqei'san eujqeivan divca temei'n, ajduvnaton dhvpou grammh;nei\nai a[tomon h] ejx ajtovmwn sugkei'sqai: eij ga;r sugkevoito ejk perittw'n ajtovmwn, oujtmhqhvsetai divca, devdeiktai de; kai; o{ti pa'n to; ejx ajtovmwn sugkeivmenon, taujto;n de; eijpei'najmerw'n, kai; aujto; ajmere;" e[stai. ei[pomen de; kai; ejn tw'i prwvtwi lovgwi, o{ti tine;" to;n Xeno-kravthn uJpwvpteusan ta;" ajtovmou" eijshgei'sqai grammav", kai; ejdeivxamen wJ" yeudh;" hJuJpovnoia.

193 Cf. Alex. ap. Simpl. In Phys. 187a 1, 130,10 (Xenocr. Fr. 138 IP). Cf. anche Ps.-Alex. InMetaph. 1083b 1, 766,31-34 (Xenocr. Fr. 129 IP). Su questa linea tutte le testimonianze chefanno capo a questa tradizione, cf. Xenocr. Fr. 128; 135-136; 140-142; 144 IP.

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che le critiche aristoteliche non sono rivolte contro di lui, ma contro gliatomisti veri, quelli che hanno ipotizzato dei minimi indivisibili e privi diparti. Il filone dossografico che postulava la diaphonia fra gli atomisti esa-minato nel paragrafo precedente offriva proprio questa immagine, perquesto si ritrova con una certa frequenza in Simplicio l'attribuzione diminimi privi di parti a Democrito. Così nel commento all'affermazionearistotelica del primo libro del De caelo secondo cui chi introduce la dot-trina delle grandezze minime scuote i principi della matematica, Simplicioriferisce l'allusione a Democrito o "a chiunque assuma come principigrandezze piccole e minime"194. Questa formula, che serve a coprire ulte-riori referenti, e l'accenno al tema della dicotomia, che compare in tutte letestimonianze su Senocrate, sono però il segnale di una attribuzione artifi-ciosa solo a Democrito. Temistio, nel commento allo stesso passo, tace.

Da queste considerazioni risulta assai verosimile che la ricostruzionedei rapporti fra Epicuro e l'atomismo antico via Aristotele in Simpliciorisalga a Porfirio, un modello comunque per il commento alla Fisica195. Gliejlavcista kai; ajmerh' che Aristotele critica sono infatti riconducibili, se-condo Porfirio, non a Senocrate ma agli atomisti (quelli criticati nel logoseleatico da lui attribuito a Parmenide). Egli dunque poteva riprendere loschema dossografico della diaphonia fra Epicuro e l'atomismo antico, le-gato appunto alla diversa concezione dell'indivisibilità dell'atomo, e inte-grarlo con le presunte critiche aristoteliche agli atomisti. Questa interpre-

194 Simpl. In De cael. 271b 1, 202,27-31 (108 L.) Dhmovkrito" h] o{sti" a]n ou{tw" uJpovqoito mikravtina uJpoqevmenoi ta;" ajrca;" kai; ejlavcista megevqh dia; to; megivsthn duvnamin wJ" ajrca;" e[ceinaJmartovnte" peri; aujta; ta; mevgista tw'n ejn gewmetrivai ejkivnhsan to; ejp a[peiron ei\nai ta;megevqh diairetav, di o} kai; th;n doqei'san eujqei'an divca temei'n dunatovn.

195 Rashed 2001, 44-47 vede una relazione fra questo testo di Simplicio e quello dello scolio aDe Gen. et corr. nel Cod. E f. 68v. da lui commentato, nel quale compare una differente con-cezione degli indivisibili fra Leucippo ed Epicuro e li riporta ambedue al commento per-duto alla Fisica di Alessandro di Afrodisia. I due contesti sono tuttavia sostanzialmente dif-ferenti: Simplicio, come si è visto, riprende una tradizione neoplatonica e adduce ladiaphonia in un contesto specifico sugli indivisibili, funzionale alla difesa di Senocrate. Loscolio, così come lo riporta Rashed, invece, fornisce una delle tante versioni della vulgata suiprincipi di matrice posidoniana eliminando nomi come quello di Democrito e di Eraclideed inserendo Leucippo al posto di Diodoro, che evidentemente non conosce: tw'n doxa-savntwn peri; stoiceivwn ª...º oiJ d (scil. eijrhvkasin aujta;) a[peira: oJmoiomereiva" wJ"Anaxagovra", ajtovmou", wJ" Epivkouro", ajmerh', wJ" Leuvkippo", a[narma, wJ" Asklhpiavdh"(questo testo è quello che si può dedurre dallo schema fornito da Rashed). Per il confrontocon altri passi paralleli della vulgata, v. supra, 2. 2 e II 4. 2 n. 77. Né Simplicio né lo scoliopossono comunque derivare da Alessandro che non mostra di conoscere una diaphoniaall'interno dell'atomismo e, nel De mixtione, segue invece molto da vicino la vulgataclassificatoria di matrice posidoniana (per il testo, v. supra, II 4. 2 n. 77). Alessandrodistingue qui espressamente i sostenitori di tesi atomiste da quelli di tesi corpuscolariste etralascia i nomi di Diodoro, Eraclide e Asclepiade. Egli conosceva comunque Diodoro diprima mano, cf. De sensu 445b 27, 122,21; 449a 5, 172,28 (II F 9 SSR) e difficilmenteavrebbe potuto scambiarlo con Leucippo.

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tazione che, inserendosi nel solco della tradizione dossografica, spostavatuttavia tutto il peso delle critiche aristoteliche contro le grandezze indivi-sibili sull'atomismo antico, è perfettamente coerente con l'attribuzione daparte di Porfirio di un atomismo solo ideale, ma non matematico, a Seno-crate.

A questa ricostruzione si potrebbe obiettare che le testimonianze deiNeoplatonici sull'atomismo di Senocrate non sono tuttavia unidirezionali.Passi di Proclo, Filopono e Simplicio sembrerebbero offrire anche unavisione opposta secondo cui Senocrate avrebbe ipotizzato linee indivisibiliandando contro i principi della matematica. In questo gruppo di testimo-nianze egli compare spesso insieme agli atomisti. Mi pare, dunque, siaimportante esaminare anche questo aspetto in quanto il caso di Senocratecostituisce uno specchio del metodo di lavoro dei commentatori aristote-lici e di conseguenza fornisce un'indicazione anche per l'interpretazionedei passi sugli atomisti antichi. Sia le testimonianze su questi ultimi, siaquelle su Senocrate possono infatti essere del tutto travisate se estrapolatedal contesto e dal riferimento ai modelli dei commentatori.

Le dottrine di Senocrate vengono presentate come prototipo di teorieatomiste che vanno contro i principi della matematica sempre in contestiche affrontano, dal punto di vista matematico, il problema molto specificodella dicotomia della linea e delle grandezze incommensurabili. Tale inter-pretazione risale in ultima analisi al trattato peripatetico Sulle linee indivisibilile cui obiezioni hanno poi fatto scuola soprattutto fra i matematici e, ov-viamente, nella tradizione dei commentatori di Aristotele196. Proclo, nelcommento alla Repubblica platonica, indica, senza ulteriori osservazioni,Epicuro e Senocrate come i rappresentanti di una teoria che va contro iprincipi della matematica per aver posto l'uno gli atomi, l'altro la lineaindivisibile come misura delle rispettive grandezze197. L'ottica è quella deltrattato Sulle linee indivisibili che spiegava i minimi di Senocrate come mi-sure delle grandezze nei vari gradi dell'essere. Simplicio, pur attribuendonel commento alla Fisica le grandezze indivisibili solo agli atomisti e non aSenocrate, nel commento al De caelo, scritto precedentemente198, riportaanche il nome di Senocrate, ma anche qui il contesto è importante.Quando infatti attribuisce a quest'ultimo le linee indivisibili, lo fa riferendo

196 L'insieme delle obiezioni contro le linee indivisibili e gli oggetti matematici degli Accade-mici vengono riportate esplicitamente come topoi correnti e ricondotte appunto al trattatomenzionato sopra da Simplicio stesso in In De cael. 299a 2, 566,23-567,1. Cf. anche Philop.In De gen. et corr. 325b 34, 164,10ss.

197 Procl. In Rempubl. II,27,3 Kroll (Xenocr. Fr. 130 IP) w|i kai; dh'lon o{ti ajsuvmmetrav ejstinmegevqh, kai; o{ti Epivkouro" yeudw'" poiw'n mevtron th;n a[tomon pavntwn swmavtwn kai; oJ Xe-nokravth" th;n a[tomon grammh;n tw'n grammw'n.

198 Cf. Hadot 1987, 22.

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il punto di vista aristotelico che egli successivamente critica. In questi casiegli segue la struttura e[nstasi"/ luvsi" che caratterizzava anche uno speci-fico libro di Proclo sulle obiezioni aristoteliche del De caelo ai Platonici(diretto contro le interpretazioni di Alessandro) che Simplicio cita espres-samente come fonte199. Così, quando nel commento al primo capitolo delterzo libro (contrariamente a quanto sostiene nel commento al primoparagrafo del sesto libro della Fisica), spiega che l'obiettivo degli attacchiaristotelici dei libri della Fisica sul movimento è appunto Senocrate, riferi-sce il pensiero di Aristotele osservando però subito dopo che quest'ultimodirige i suoi strali contro l'apparenza delle dottrine degli Accademici200.Anche nell'altra testimonianza Simplicio attribuisce le grandezze indivisi-bili a Democrito e Senocrate con formula dubitativa specificando che sitratta comunque di una obiezione aristotelica contro gli Accademici cuiProclo ha risposto201. E' dunque chiaro che i Neoplatonici sono restii adattribuire a Senocrate assunti che vanno contro i principi della matematicae tendono a confutare le critiche aristoteliche su questo punto o ad inter-pretarle come dirette contro gli atomisti antichi. Simplicio non fa ecce-zione e si allinea per lo più sulle posizioni di Porfirio. Anche le loro rico-struzioni non possono quindi fornire indizi attendibili né per ricostruire lecaratteristiche originarie dell'atomo di Leucippo e Democrito né per de-terminare in quale contesto queste dottrine si sono sviluppate.

A questo stesso ambito del platonismo tardo è da riportare anche lafamosa testimonianza dello scolio al decimo libro di Euclide secondo cui"non c'è una grandezza minima come affermano i democritei"202. Taleaccenno è stato citato, ora per confermare l'esistenza di "minimi" dell'a-tomo di Democrito203, ora a sostegno dell'indivisibilità matematica dell'a-

199 Simpl. In De cael. 306a 1, 640,20 tou'to toivnun proeilhvfqw kai; th;n uJpo; AlexavndrourJhqei'san e[nstasin kai; th;n uJpo; Aristotevlou" prwvthn rJhqhsomevnhn dialuvein dunavmenon.ejpeidh; de; pro;" tauvta" ta;" ejnstavsei" ta;" th'i genevsei tw'n swmavtwn th'i ejk tw'n ejpipevdwnlegomevnhi prosenecqeivsa" tine;" me;n kai; a[lloi tw'n Platwnikw'n ajnteirhvkasi, Provklo"de; oJ ejk Lukiva" ojlivgon pro; ejmou' gegonw;" tou' Plavtwno" diavdoco" biblivon e[graye ta;"ejntau'qa tou' Aristotevlou" ejnstavsei" dialuvon, kalw'" e[cein e[doxev moi suntovmw" wJ" du-nato;n tai'" ejnstavsesi ta;" luvsei" ejkeivna" uJpotavxai.

200 Simpl. In De cael. 299a 2, 563,20-27 (Xenocr. Fr. 132 IP) ajlla; mh;n devdeiktai ejn th'i Fusi-kh'i ajkroavsei ejn toi'" peri; kinhvsew" lovgoi", ejn oi|" ajntevlege pro;" Xenokravth gramma;"ajtovmou" levgonta, o{ti oujk e[stin ajdiaivreta mhvkh, toutevstin o{ti oujde;n mevro" ejsti; th'"grammh'" ajdiaivreton, ajll ejp a[peirovn ejsti diairethv: ª...º tau'ta me;n ta; tou' Aristotevlou",o{per ajei; levgw, pro;" to; fainovmenon uJpantw'nto" tou' lovgou.

201 Cf. In De cael. 307a 19, 665,5-16 (119 L.) (Xenocr. Fr. 133 IP) eij de; kai; e[stin a[toma me-gevqh kai; ajpaqh' kai; a[poia, wJ" oiJ peri; Dhmovkriton e[legon kai; Xenokravth" ta;" ajtovmou"gramma;" uJpotiqevmeno", a[ntikru" toi'" maqhmatikoi'" a]n h\n ejoikovta ª...º tau'ta me;n oJAristotevlh", oJ de; Provklo" pro;" aujta; kalw'" uJpantw'n ª...º.

202 Schol. Eucl. 10,1, V,436,15 Heiberg (68 A 48a DK; 107 L.) oujk e[stin ejlavciston mevgeqo"wJ" oiJ Dhmokrivteioiv fasin.

203 Lur'e 1932-1933, 124-126.

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tomo204. Se lo si interpreta invece alla luce delle testimonianze precedenti,si può intravvedere anche qui il modello esegetico neoplatonico che spo-sta la concezione degli ejlavcista dagli "Accademici" ai "Democritei"205.

4. Sintesi

Nelle testimonianze dossografiche tarde che descrivono l'atomo comeindivisibile per la solidità, si possono distinguere più filoni:

1. Una tradizione epicurea che si intravvede nel resoconto di DiogeneLaerzio.

2. Uno strato più tardo di tradizione peripatetica veicolato in partico-lare dai commenti ad Aristotele, presente ad esempio in Alessandro diAfrodisia, che amplia il modello descrittivo teofrasteo con le definizionidell'atomo di Epicuro e tende a raggruppare sotto un'unica voce Leu-cippo, Democrito ed Epicuro stesso. Accanto alle definizioni epicureecorrenti delle proprietà dell'atomo quali stereovth" (sterrovth"), compareanche quello di sicura derivazione teofrastea nastovth". Sono comunquequeste, la compattezza e la solidità, unitamente all'assenza di vuoto (tipicadelle definizioni epicuree), le caratteristiche che fanno dell'atomo di tuttigli atomisti un indivisibile. I commentatori aristotelici, in particolare Sim-plicio e il Filopono, inoltre, distinguono in alcuni passi, sulla scorta delledefinizioni aristoteliche di indivisibile assoluto e relativo della Metafisica edi una tradizione di commenti peripatetici, la monade, indivisibile e privadi parti in assoluto, e l'atomo che ha parti ed è indivisibile solo per la soli-dità. Si spiega dunque anche l'apparente contraddizione fra queste testi-monianze di Simplicio e altre da lui fornite in altri passi che presentanouna visione opposta dell'atomo. E' evidente che egli si è servito di fontidiverse o di una prospettiva diversa a seconda del contesto commentato206.

3. Una tradizione critica, mediata dagli Stoici, che riprende quella ari-stotelico-teofrastea dell'atomo indivisibile per la solidità e assimila l'atomodi Democrito a quello di Epicuro. Questo tipo di tradizione si incontra:

A. In contesti dialettici (di Cicerone e Plutarco) risalenti all'Accademiascettica che criticano con una certa veemenza l'atomismo epicureo. Leobiezioni si concentrano soprattutto sulla mancanza di qualità e sull'im-passibilità degli atomi che rendono impossibile la formazione di corpisensibili fenomenici forniti di qualità e di vita. La critica viene estesa anche

204 Furley 1967, 88; Cf. Frank 1923, 230.205 Cf. Krämer 1971, 271 il quale accenna alla possibilità che lo scoliasta abbia interpretato

erroneamente in senso matematico l'indivisibilità dell'atomo.206 Su questa caratteristica di Simplicio, cf. Hadot 2002,168ss. Hadot assegna un ruolo partico-

lare fra le fonti di Simplicio appunto ad Alessandro, Porfirio e Giamblico.

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alla solidità degli atomi i quali, venendo a contatto possono solo rimbal-zare, ma non unirsi in aggregati.

B. In resoconti dossografici risalenti probabilmente a Posidonio, cherielaborano l'interpretazione dello stoicismo antico in maniera manuali-stica, sottolineando soprattutto la mancanza nei sistemi atomisti dell'ele-mento provvidenziale e cercando nel contempo di tracciare una storiadell'atomismo e di mettere ordine nelle concezioni atomiste e corpuscola-riste riportando ognuna di esse a nomi precisi. Questa tradizione è alleradici della vulgata tarda. Una delle varianti della vulgata vede una diaphoniafra Democrito ed Epicuro unicamente nel fatto che il primo ha ipotizzatouna infinita variazione di grandezza nell'atomo, mentre l'altro ha ammessosolo atomi piccolissimi. Ambedue i filoni hanno comunque in comune ladefinizione dell'atomo come "impassibile", privo di qualità e indivisibileper la solidità.

4. Esiste però nelle testimonianze tarde una interpretazione dell'atomocome indivisibile per la piccolezza, legata soprattutto al nome di Leucippo,che viene contrapposta dialetticamente alla concezione dell'atomo epicu-reo come indivisibile per la solidità. Tale schema ha le sue radici nell'Ac-cademia scettica e si distingue dalla classificazione di matrice posidonianache teneva separati atomismo (arresto della divisione a corpi indivisibili inassoluto) e corpuscolarismo (arresto della divisione a determinati corpu-scoli tuttavia ulteriormente divisibili) e attribuiva unicamente a Diodorominimi privi di parti. Paradossalmente i resoconti più ampi e dettagliatisull'atomismo e sull'atomo indivisibile per la piccolezza con il loro arma-mentario confutativo vengono conservati da un autore tardo quale Lattan-zio il quale, a sua volta, risale probabilmente alla parte perduta degli Aca-demica ciceroniani. Che utilizzi comunque materiale antico è confermatodal fatto che il suo resoconto non solo riprende obiezioni che la scuolaepicurea aveva già cercato di parare nel II sec. a.C., ma permette anche dispiegare certe affermazioni, altrimenti oscure, nel brano sull'atomismodella sezione Peri; ajrcw'n dello Pseudo-Plutarco. Alla stessa tradizione siricollega anche Galeno che dirige la critica soprattutto contro l'impassibi-lità dell'atomo, un tema anch'esso caro alla tradizione accademica scettica.In Teodoreto la diaphonia si presenta ulteriormente riassunta e priva dinomi, ma le similitudini con Pseudo-Plutarco, Galeno e Lattanzio fannopensare alla consultazione di una fonte che aveva a disposizione un reso-conto abbastanza ampio. Ad epitomi vieppiù semplificate sono poi dariportare tutte quelle testimonianze tarde che riferiscono ambedue le con-cezioni dell'atomo, indivisibile per la piccolezza e per la solidità, ora adEpicuro, ora a Democrito e Leucippo, ora solo a Democrito. L'unifica-zione delle definizioni dell'atomo sotto la qualificazione di indivisibile perla piccolezza, attribuito sia ad Epicuro che a Leucippo e Democrito co-

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Capitolo sesto 277

stituisce solo l'ultimo stadio di questo progressivo processo di assimila-zione. Un processo di epitomazione anche all'interno della vulgata riguar-dante concezioni atomiste e corpuscolariste ha portato all'assimilazione,presso lo Stobeo e altri autori di età tardo imperiale e bizantina, di teorieatomiste e corpuscolariste. Atomi, ajmerh', o[gkoi vengono consideratiun'unica dottrina e, talvolta, attribuiti ad Epicuro. E' superfluo dire chequeste testimonianze non hanno alcun valore per la ricostruzione dell'ori-ginaria concezione democritea dell'atomo.

5. Le testimonianze dei commentatori Neoplatonici che attribuisconoagli atomisti antichi degli indivisibili per la piccolezza privi di parti sonoinvece dovute principalmente a due fattori strettamente interdipendenti:

A. La rielaborazione del filone dossografico presente in Pseudo-Plu-tarco e risalente all'Accademia scettica che aveva impostato una diaphoniafra atomisti antichi ed Epicuro sulla concezione dell'indivisibilità dell'a-tomo.

B. Il collegamento di questa interpretazione con la difesa di Senocratedagli attacchi aristotelici. Secondo i commentatori neoplatonici Senocratenon avrebbe affatto ipotizzato delle linee matematiche indivisibili, maavrebbe applicato la definizione degli indivisibili solo all'ambito delleforme intellegibili separandoli nettamente dalla materia stessa, di per séinfinitamente divisibile.

In questo contesto interpretativo va inserita la testimonianza delcommento al sesto libro della Fisica di Simplicio. Il passo si trova proprioall'inizio del libro e assume per ciò stesso il carattere di una traccia da se-guire. Gli atomisti antichi avrebbero assunto degli atomi indivisibili per lasolidità e per la piccolezza. Epicuro, costretto dalla critica aristotelicacontro gli ajmerh' degli atomisti, avrebbe invece eliminato la mancanza diparti dell'atomo e sostenuto unicamente l'indivisibilità per la solidità. InSimplicio i due tronconi suddetti si presentano unificati. Dunque la suaricostruzione ha delle ragioni storiche e filosofiche ben precise, ma è co-munque artificiosa e, in ogni caso, tende a porre in ombra proprio quellaparte della dottrina epicurea (nella fattispecie gli ajmerh') più strettamentecollegata con le polemiche aristoteliche contro i principi matematici del-l'Accademia e alle conseguenti reinterpretazioni di Epicuro di questi ul-timi. Da tutto questo risulta che tale testimonianza non può essere utiliz-zata per ricostruire la concezione originale dell'atomo democriteo.

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Capitolo settimo

L'atomismo antico e il suo contesto culturale

Passate in rassegna le varie interpretazioni dell'atomo nell'antichità e i pre-supposti che le hanno determinate, non resta che cercare di tracciare unavia alternativa per arrivare al carattere originario dei corpuscoli di Leu-cippo e Democrito e alle radici della loro dottrina. Il tutto comporterebbeovviamente uno studio specifico, perciò mi limiterò qui a riprendere e adintegrare alcuni dati emersi da questa ricerca e a fornire qualche spuntoper ulteriori approfondimenti. Da questo lavoro è emerso che la conce-zione dell'atomo come soluzione dell'aporia dell'infinita divisione più cheun dato di fatto è la risultante della proiezione sugli atomisti di tematicheaccademiche riprese criticamente da Aristotele.

I testi di carattere descrittivo in Aristotele e Teofrasto, nelle testimo-nianze di derivazione teofrastea e in altri resoconti e accenni sparsi lungotutto l'arco dell'antichità fanno emergere invece altri possibili scenari perla nascita della dottrina atomista, in particolare un sostrato di immagini edi concezioni radicate nel contesto storico-culturale della sofistica e nel-l'atmosfera della riscoperta delle technai, soprattutto della medicina, nell'ul-timo quarto del V sec. a.C. All'esame di queste immagini e di queste con-cezioni particolari e alle conseguenze che se ne possono trarre per unadiversa rappresentazione dell'atomismo e delle sue origini sarà dedicatoquesto capitolo.

1. Costrizioni cosmiche e vulnerabilità dei corpi.Per una definizione dei fondamenti eterni

Una funzione fondamentale nella cosmogonia e nella dottrina atomisticain generale ha l'ajnavgkh, quella forza cosmica che "costringe" i corpi acomportarsi in un certo modo in determinate condizioni, generando edisgregando con la stessa violenza. Il ruolo dell'ajnavgkh è una costante nei

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Capitolo settimo 279

riferimenti a Democrito da Aristotele, a Teofrasto, ad Epicuro1 ed è inperfetta consonanza con la concezione di questa forza e di questa "divi-nità" presso gli autori del V sec. a.C. come si preciserà più oltre. Da qui,dal "principio" enunciato e non spiegato, si deve partire per interpretarel'atomismo il cui scopo, come del resto anche quello dei cosiddetti fisici,era di chiarire "dove, in quali circostanze e come"2 si è generato il mondo,non di discutere sul problema dell'indivisibilità. Visti dalla prospettivadell'azione dell'ajnavgkh, i fondamenti eterni devono, per poter sopravvi-vere alle "costrizioni" e agli assalti di questa forza, essere assolutamentecompatti e duri senza "vie" (povroi) che permettano una penetrazione.

Inoltre, contrariamente a quella di altri presocratici, e soprattutto diAnassagora, la cosmogonia degli atomisti non si verifica per separazioneda una massa preesistente3, vale a dire non è concepita, nella sua fase ori-ginaria, per "divisione", ma per aggregazione da singoli corpuscoli duris-simi e resistenti, già divisi uno dall'altro, che fluttuano e si scontrano nelvuoto. Questo significa che non si arriva alle componenti eterne semprepiù piccole del mondo sensibile per "divisione", ma si parte da queste percomporlo (come sottolinea ripetutamente anche Aristotele). Le loroforme sono poi concepite come infinite e irregolari ai fini dell'aggrega-zione e della produzione dei fenomeni: non c'è ragione che una formaesista più di un'altra perché le forme sensibili che risultano da questecomposizioni cambiano continuamente e sono infinite4. La generazionedel cosmo avviene per combinazione di atomi di forma e provenienzadisparata5 che esistono dall'eternità e non potrebbero comporre nulla se si

1 Per Aristotele v. infra, n. 14; per i resoconti risalenti in ultima analisi a Teofrasto, v. infra, n.13; per Epicuro, cf. Ep. 2,90; Long-Sedley 1987, II, 20C, 105-107 (Fr. [34. 30] Arr.). Ancheil resoconto di [Plut.] Strom. 7 (68 A 39 DK; 20, 23 L.), sebbene marcato dall'equiparazionestoica dell'eiJmarmevnh all'ajnavgkh (SVF II 925, 266,35-37), segue questa tradizione.

2 La "definizione" delle prerogative del "filosofo della natura" è quella di un famoso fram-mento, contemporaneo a Democrito, dell'Antiope di Euripide (Fr. 910 Kannicht o[lbio"o{sti" th'" iJstoriva"/ e[sce mavqhsin,/ […] ajllæ ajqanavtou kaqorw'n fuvsew"/ kovsmonajghvrwn, ph'i te sunevsth/ kai; o{phi kai; o{pw"). Per l'attribuzione, cf. Kambitsis 1972, 130;per il testo Kannicht 2004, 917s. Per un commento al frammento dal punto di vista delcontesto culturale, cf. Gemelli Marciano 2006, 223s.

3 L'espressione kata; ajpotomh;n ejk th'" ajpeivrou ªcwvra"?º in Diog. Laert. 9,31 (67 A 1 DK;382 L.) è da intendersi come "in una sezione dell'infinito [spazio?]" non "per distacco dal-l'infinito [spazio?]", cfr. Bollack 1980, 13s.

4 Theophr. Fr. 229 FHS&G (Simpl. In Phys. 184b 15, 28,8) (67 A 8 DK; 147 L.) ou|to"a[peira kai; ajei; kinouvmena uJpevqeto stoicei'a ta;" ajtovmou" kai; tw'n ejn aujtoi'" schmavtwna[peiron to; plh'qo" dia; to; mhde;n ma'llon toiou'ton h] toiou'ton ei\nai ªtauvthn ga;rº kai; gevne-sin kai; metabolh;n ajdiavleipton ejn toi'" ou\si qewrw'n.

5 Anche "il vortice di forme di ogni genere" che "si separa dal tutto", nella formulazioneriportata da Simplicio (In Phys. 195b 31, 327,24 = 68 B 167 DK; 19, 288 L.), infra, n. 64,non deve ingannare. Il vortice si forma nella seconda fase della cosmogonia, quando una

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Atomismo antico e contesto culturale280

disgregassero al primo impatto con i loro simili. Il problema dell'atomi-smo non è dunque quello della fine del mondo (come invece nella pro-spettiva anassagorea del Nous che continua a separare senza dissolvere maila massa), ma quello dell'inizio e non è quello astratto dell'arresto delladivisione in una grandezza continua, ma quello concreto di concepire uncorpo originario che non sia come quelli che noi vediamo: vulnerabile,esposto all'azione di qualsiasi agente esterno o squilibrio interno, massainstabile attraversata da continui flussi, ma compatto e "inviolato, nontagliato", resistente a qualsiasi ajnavgkh.

L'ajnavgkh (o piuttosto le ajnavgkai) è il problema centrale nella conce-zione dell'atomo e delle dottrine atomistiche in generale. Nonostantesiano stati fatti molti studi su questo tema, la portata di questo fatto ègeneralmente sfuggita in quanto l'ajnavgkh è stata interpretata sulla scortadelle testimonianze antiche e, nel migliore dei casi, della critica epicurea, inmaniera teorica unicamente come la legge o l'insieme delle leggi fisicheche determinano i fenomeni. Questa è però solo una concezione astratta esublimata che compare in Platone e poi in Aristotele. Nel V sec. a.C.ajnavgkh ha tutta una gamma di significati molto concreti che vanno dalcampo semantico della tortura a quello magico-religioso6. Essa è in primoluogo una "forza di costrizione" che si esercita sui corpi fenomenici e chenon richiede di essere spiegata, contrariamente a quanto pensava Aristo-tele, perché è concepita come un semplice dato di fatto chiaro per tutti:l'ajnavgkh o le ajnavgkai esistono e basta. Tutto e tutti agiscono e subisconocostretti da una certa ajnavgkh. Lo sapevano gli autori di poesia orfica e ipoeti in generale che ne facevano una divinità che governa l'universo7, e losapevano quelli che si occupavano dei corpi e dei fenomeni a vario titolo,in particolare i cosiddetti magoi, i medici, i "fisici" come Anassagora. Tutticercavano di scoprire come funzionassero effettivamente le varie ajnavgkaiper poter prevedere o riprodurre e provocare essi stessi i fenomeni. Hogià accennato altrove8 ad un passo di Senofonte particolarmente rivelatorea questo proposito. Socrate, criticando proprio i fisici, avanza dubbi suiloro scopi:

Egli ricercava su di loro [i "fisici"] anche questo: se dunque, come fanno quelliche studiano le cose umane, che pensano di mettere in pratica ciò che hanno ap-preso a loro favore e a favore di quelli che loro vogliono, così anche quelli cheindagano i fenomeni divini pensino, quando abbiano saputo a causa di quali "co-strizioni" ciascuno di essi si produce, di provocare, quando lo vogliano, venti, ac-

massa disordinata di atomi già aggregati si precipita nel vuoto. La prima fase è quella del-l'aggregazione casuale dei corpuscoli.

6 Schreckenberg 1964.7 Cf. Schreckenberg 1964, in part. 72-81 con relativa indicazione dei passi..8 Cf. Gemelli Marciano 2005, 375; 2006, 221s.

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Capitolo settimo 281

qua, stagioni e qualsiasi altro fenomeno di questo genere di cui essi necessitino,oppure non sperino nulla del genere, ma si accontentino di sapere soltanto in chemodo ciascuno di questi si verifica9.

Le ajnavgkai qui non sono semplicemente le "leggi naturali", ma forze o,rispettivamente, condizioni particolari che "costringono" i fenomeni averificarsi in un certo modo e che possono essere evocate o, rispettiva-mente, riprodotte (v. infra), ma anche solo scoperte e studiate. La diffe-renza fra il meteorologos e il mago sta dunque principalmente nello scopo enon nell'oggetto della loro indagine. L'evocazione delle forze divine che"costringono" la natura a produrre venti, pioggia, siccità è una delle pre-rogative dei purificatori attaccati nello scritto ippocratico De morbo sacro,ma anche di Empedocle e degli specialisti di riti meteorologici della reli-gione ufficiale10. Anche i medici, cui probabilmente il Socrate di Senofontesi riferisce (oiJ tajnqrwpei'a manqavnonte"), si situano in questo ambitosullo stesso piano dei magoi. L'autore ippocratico del De Arte, un contem-poraneo di Democrito, afferma che la medicina ha trovato delle ajnavgkaiper costringere la natura a dare dei segni quando questa non lo fa sponta-neamente. Il medico riproduce delle "costrizioni" ancora più forti diquelle naturali che gli permettono di fare una diagnosi della malattia in-terna invisibile11. "Costringe" il flegma ad uscire sotto forma di pus som-ministrando bevande e alimenti aspri (che riscaldano e sciolgono), e ilsoffio a rivelare la sua natura, sottoponendo il malato a pesanti esercizifisici. L'autore del secondo libro del Prorrhetikos parla di emissioni sponta-nee (ajpo; tou' aujtomavtou) o "forzate" (ejx ajnavgkh") prodotte dal medicostesso12.

9 Mem. 1,1,15 ejskovpei de; peri; aujtw'n kai; tavde, a\ræ, w{sper oiJ tajnqrwvpeia manqavnonte"hJgou'ntai tou'qæ o{ ti a]n mavqwsin eJautoi'" te kai; tw'n a[llwn o{twi a]n bouvlwntai poihvsein,ou{tw kai; oiJ ta; qei'a zhtou'nte" nomivzousin, ejpeida;n gnw'sin ai|" ajnavgkai" e{kasta givgne-tai, poihvsein, o{tan bouvlwntai, kai; ajnevmou" kai; u{data kai; w{ra" kai; o{tou a]n a[lloudevwntai tw'n toiouvtwn, h] toiou'ton me;n oujde;n oujdæ ejlpivzousin, ajrkei' dæ aujtoi'" gnw'naimovnon h|i tw'n toiouvtwn e{kasta givgnetai.

10 Per i magoi, cf. Morb. sacr. 1,9 (7,3 Jouanna = VI,358 Littré); per Empedocle, cf. 31 B 111DK e Kingsley 1995a, cap. 15; per i riti meteorologici, cf. gli ajnemokoi'tai di Corinto men-zionati da Esichio e Suda (s.v.) e il rito per evocare la pioggia dei sacerdoti di Zeus Lykaiosin Arcadia in Paus. 8,38,2-3.

11 De arte 12,3 (240,10 Jouanna = VI,24 Littré) o{tan de; tau'ta ta; mhnuvonta mhd aujth; hJ fuvsi"eJkou'sa ajfih'i, ajnavgka" eu{rhken (scil. hJ tevcnh) h|isin hJ fuvsi" ajzhvmio" biasqei'sa me-qivhsin: ajneqei'sa de; dhloi' toi'si ta; th'" tevcnh" eijdovsin a} poihteva.

12 Prorrh. II,30 (276 Potter = IX,60 Littré) touvtoisin ajrhvgei ai|ma rJue;n ajpo; tou' aujtomavtoukai; ejx ajnavgkh". Ibid. (278 Potter = IX,60 Littré) wjfelevousi de; kai; ptarmoi;, kai; blevnnaiejn th'isi rJisi; ginovmenai, ma'llon me;n ajpo; tou' aujtomavtou, eij de; mh;, ejx ajnavgkh". In ambe-due i passi sono enunciati rimedi per il mal di testa. Se l'emissione di sangue o di muco nonavviene spontaneamente, il medico la fa uscire "forzatamente".

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Atomismo antico e contesto culturale282

Quando dunque Leucippo e Democrito parlano di ajnavgkh, evocano nonun tranquillizzante quadro di fisica teorica, ma l'immagine presente a tuttii loro contemporanei di forze opprimenti e costrittive alla cui mercé sitrovano tutti i corpi e il mondo stesso

Come le generazioni che si verificano nel cosmo, così anche le crescite e le dimi-nuzioni e le distruzioni avvengono secondo una certa ajnavgkh che non specificaquale sia13.

Così si legge nelle frasi conclusive del resoconto sulla cosmogonia di Leu-cippo in Diogene Laerzio, un motivo che ricompare anche nel frammentoaristotelico su Democrito:

Egli ritiene che (scil. i corpuscoli) rimangano attaccati gli uni agli altri e uniti (inun aggregato) finché non sopravvenga dall'atmosfera circostante una ajnavgkh piùforte che li scuota violentemente e li disperda qua e là14.

E nelle parole stesse di Democrito

Nulla accade a caso, ma tutto per una ragione e sotto la pressione di unaajnavgkh15.

Dovunque ci sia una forte pressione dall'esterno o dall'interno e delle vieche permettano la penetrazione o la fuoriuscita di effluvi, si verificanoalterazione o distruzione in base alla maggiore o minore compattezza eresistenza dell'oggetto o al grado di "costrizione" esercitato. Anche l'insta-bilità delle sensazioni viene spiegata in termini di penetrazione e di "resi-stenza" di ciò che viene a contatto col corpo16. La sensazione stessa è unasorta di malattia in quanto è dovuta alla preponderanza nel corpo di certeforme atomiche sulle altre che crea squilibrio. La generazione sessuata èdeterminata da un "colpo" interno seguito ad un grande sconvolgimento e

13 Diog. Laert. 9,33 (67 A 1 DK; 382 L.) ei\naiv te w{sper genevsei" kovsmou, ou{tw kai;aujxhvsei" kai; fqivsei" kai; fqora;" katav tina ajnavgkhn, h}n oJpoiva ejsti;n ãoujà diasafei'. Cf.Hippol. Ref. 1,12,2 (67 A 10 DK; 23, 291 L.).

14 Arist. fr. 208 Rose (Simpl. In De cael. 279b 12, 295,18-20) (68 A 37 DK; 293 L.) ejpi; to-sou'ton ou\n crovnon sfw'n aujtw'n ajntevcesqai nomivzei kai; summevnein, e{w" ijscurotevra ti"ejk tou' perievconto" ajnavgkh paragenomevnh diaseivshi kai; cwri;" aujta;" diaspeivrhi. Conespressioni simili viene descritta nel trattato ippocratico De aeribus la possibilità di unaalterazione o corruzione del seme al momento del concepimento nella Scizia, Aer. 19,5(235,4 Jouanna = II,72 Littré) tw'n ga;r wJrevwn paraplhsivwn ejousevwn, fqorai; oujkejggivgnontai oujde; kakwvsie" ejn th'i tou' govnou xumphvxei, h]n mhv tino" ajnavgkh" biaivou tuvchih] nouvsou.

15 Stob. 1,4,7c (67 B 2 DK; 22 L.) oujde;n crh'ma mavthn givnetai, ajlla; pavnta ejk lovgou te kai;uJpæ ajnavgkh". Per l'attribuzione di questa massima a Leucippo cf. Introduzione n. 1.

16 Sext. Emp. Adv. Math. 7,135 (68 B 9 DK; 55 L.) hJmei'" de; tw'i me;n ejovnti oujde;n ajtreke;"sunivemen, metapi'pton de; katav te swvmato" diaqhvkhn kai; tw'n ejpeisiovntwn kai; tw'najntisthrizovntwn ("ma noi in verità non comprendiamo nulla di incontrovertibile, maqualcosa che muta secondo la disposizione del corpo e delle cose vi penetrano e di quelleche gli oppongono resistenza").

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spostamento di atomi che fa separare "un uomo da un altro uomo"17. Allaluce di queste considerazioni diviene più chiaro il motivo per cui l'atomo èassolutamente compatto e pieno (nastovn), solido (stereovn), duro(sklhrovn), secondo le denominazioni originali esaminate nel capitoloquinto. Esso è semplicemente un corpo non attaccabile da nessunaajnavgkh, un corpo che può essere spinto qua e là, ma non "compresso" odisgregato, è il corpo privo di pori e sterile che non emana effluvi né liriceve. L'immagine è sorprendentemente vicina a quella dell'individuo"invulnerabile", inattaccabile dalle malattie, impassibile, eccezionale e durocome il diamante nel corpo e nell'anima che l'Anonimo di Giamblicopresenta come un ideale inesistente18. Quando pensano al corpuscoloeterno tetragono a qualsiasi colpo o pressione gli atomisti hanno dunquecome modello, non una "materia" generica e indistinta nella quale si pos-sono operare "divisioni", ma i corpi fisici concreti e specifici con la loroforma, i loro interstizi, la loro varia compattezza e vulnerabilità. Non sideve dimenticare che nei contemporanei testi ippocratici il tema della"resistenza" e della "compattezza" del corpo è direttamente collegato allasua predisposizione alla malattia: i maschi in generale sono più sani perchéhanno un corpo più compatto, con pori stretti che non permettono l'as-sorbimento e la ritenzione di liquidi, mentre le femmine, con il loro tes-suto poroso e la loro conseguente sovrabbondanza di fluidi, hanno unequilibrio estremamente instabile e sono le più esposte all'insorgere deimorbi19. Queste concezioni mediche sulla vulnerabilità e l'instabilità deicorpi e sulla loro predisposizione alla malattia e alla distruzione permeanocomunque gran parte della letteratura della seconda metà del V sec. a.C.20.In questo contesto le problematiche dell'indivisibilità si stemperano nelsottofondo in cui sono nate e cioè nel contesto dialettico ed esegeticoaccademico e aristotelico. Qualcuno potrebbe obiettare che l'immaginefisica dell'atomo qui tracciata può coesistere con la soluzione matematiz-zante del problema dell'indivisibilità, ma a questo si può rispondere cheLeucippo e Democrito non erano allievi né della scuola platonica, né diquella aristotelica e che il metodo dialettico che Aristotele presta loro,

17 68 B 32 DK (527 L.). Sulla ricostruzione del frammento in base citazioni parziali e diversedi diversi autori, cf. Introduzione n. 14 e Gemelli Marciano 2007, 215-217 n. 23-29.

18 Anon. Iambl. 89,6 DK eij me;n dh; gevnoitov ti" ejx ajrch'" fuvsin toiavnde e[cwn, a[trwto" to;ncrw'ta a[nosov" te kai; ajpaqh;" kai; uJperfuh;" kai; ajdamavntino" tov te sw'ma kai; th;n yuchvn…A differenza degli atomi democritei, quest'uomo, secondo l'anonimo, non potrebbe so-pravvivere se non salvaguardasse le leggi e la giustizia perché sarebbe sopraffatto dallamoltitudine coalizzata degli altri uomini.

19 Cf. Mul. I 1,11-19 (88,24-89,17 Grensemann = VIII,12-14 Littré); Gland. 16,2 (121,20 Joly= VIII,572 Littré), supra, V 4 n. 99 e 100.

20 Cf. in particolare le acute pagine scritte su questo tema nei testi tragici da Padel 1992, 49-68.

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come si è visto, è abbondantemente basato sui modelli e sulle problemati-che accademiche. Neppure Anassagora, cui Aristotele e molti fra i mo-derni hanno attribuito una forma di corpuscolarismo e una riflessione sulproblema della divisibilità all'infinito, usa le espressioni astratte "divi-sione", "dividere" (diaivresi", diairei'n), ma sempre una terminologiafisica strettamente legata al movimento e ancorata ai processi corporei eparla di "separazione" e di "distinzione"21. Nell'ottica della problematicadella divisibilità accademica e aristotelica i corpuscoli degli atomisti ven-gono invece astratti e trasformati: il corpo "non tagliato" compatto e as-solutamente resistente diventa un "indivisibile". L'ananke, la forza con-creta, opprimente e disgregatrice, scompare per lasciare il posto ad unamente che, nel contesto di una "lezione" scolastica, immagina scenari didivisione all'infinito.

Se si elimina gradatamente dal quadro dell'atomismo antico il depositodelle interpretazioni antiche e moderne, si possono dunque intravvederealcuni particolari che dirottano l'attenzione sul contesto in cui queste dot-trine si sono sviluppate. E' da qui che bisogna prendere le mosse per "ri-leggere" il tutto.

2. Il grande vuoto: cosmologie orfiche ed embriologia nellacosmogonia di Leucippo. Per una ridefinizione del vuoto

atomistico

Già altri hanno messo in rilievo le radici embriologiche della cosmogoniadi Leucippo e le sue affinità con la descrizione del concepimento e dellaformazione dell'embrione nei trattati ippocratici De genitura e De naturapueri22. E' stato pure sottolineato che, a differenza del meccanismo di ri-produzione descritto nei trattati ippocratici, scatenato dall'attrazione ses-suale e dal conseguente movimento del coito che porta il seme da ogniparte del corpo verso il centro, cioè i testicoli nel maschio e l'utero nellefemmine, quello cosmogonico di Leucippo e di Democrito è dovuto adun impigliarsi loro malgrado di atomi in una parte dello spazio cosmico ealla loro conseguente forzata aggregazione in una massa disordinata pro-

21 Apokrivnesqai, 59 B 4, 6, 7, 9, 12, 16 DK; per cwrivzesqai, B 8 DK; per diakrivnesqai, B12, 13, 17 DK.

22 Cf. in particolare Orelli 1996 che ha dedicato anche una buona parte del suo studio airapporti fra questi trattati e la cosmogonia atomistica. Cf. anche Lonie 1981. Per la fun-zione dell'embriologia nella cosmogonia e cosmologia di altri presocratici, cf. ancora Orelli1996, 197-204; per la sua rilevanza in particolare nella cosmogonia e zoogonia empedoclea,Gemelli Marciano 2005.

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prio perché fatta di elementi in lotta fra loro. Tale massa rissosa si getta,secondo Leucippo, in un mevga kenovn, un grande vuoto23. Si tratta diun'immagine molto eloquente nel V sec. a.C., del particolare che rimandaad un sottofondo offuscato dalla narrazione di stile dossografico del te-stimone antico. In un contesto cosmogonico infatti l'espressione, lungidall'essere una nozione "più teorica che rigorosamente fisica"24, richiamaimmediatamente la cosmologia esiodea e le cosmogonie cosiddette orfi-che. In Esiodo la terra, il mare e il cielo affondano le loro radici nelgrande abisso il cavsma mevga, il regno della Notte dove infuriano continue,tremende tempeste25. Nei versi restanti di una cosmogonia "orfica" sicura-mente già noti a Platone perché parafrasati in parte nel mito del Fedone, ilmevga cavsma pelwvrion è l'immenso abisso originario nel quale "non c'erané un limite, né un fondo, né una base fissa"26. Nella cosmologia di matricepitagorica del Fedone, ritorna l'allusione a questi versi nella descrizione delTartaro:

Uno degli abissi della terra inoltre è il più grande [di tutti gli altri] ed è perforatoper tutta la grandezza della terra. E' questo abisso a cui Omero si riferiscequando dice: "molto lontano, dove l'abisso sotto la terra è più profondo" (Il.8,14), quello che lui, in altri passi, e molti altri poeti hanno chiamato il Tartaro. Aquesto abisso infatti affluiscono tutti i fiumi e ne defluiscono poi nuovamente eognuno di loro assume la sua qualità particolare secondo la natura della terraattraverso la quale esso scorre. La ragione per cui tutti i fiumi defluiscono da eaffluiscono a questo luogo è il fatto che questo liquido non ha né un fondo né unabase fissa27.

23 In un modo simile si comportano gli atomi che formano il vento: quando si trovano inuno spazio stretto, cominciano a scontrarsi, a fare pressione l'uno sull'altro finché non ri-mangono impigliati e, dopo aver a lungo oscillato, prendono finalmente una direzione, cf.Sen. Nat. quaest. 5,2 (68 A 93a DK; 12, 371 L.). Il grande vuoto potrebbe formarsi per l'ag-gregarsi di atomi in un altro punto dell'infinito. Nel corpo, ad esempio, dei vuoti si for-mano quando vi penetrano atomi dell'acido, angolosi e sinuosi, che astringono e contrag-gono, Theophr. De sens. 65 (68 A 135 DK; 496 L.).

24 Silvestre 1985, 128, seguita da Morel 1996, 269.25 Hes. Th. 736-745.26 111 F,3 Bernabé (=OF 66,3) oujdev ti pei'rar uJph'n, ouj puqmhvn, oujdev ti" e{dra. Il cavo"

ritorna poi nelle varie versioni di cosmogonie orfiche compresa quella comica degli Uccellidi Aristofane (691). Sulla stretta correlazione dei versi orfici con la descrizione esiodea delTartaro e sulla loro posizione implicitamente critica nei confronti di Esiodo, così come sulloro carattere preplatonico e sui rapporti col Fedone, cf. Kingsley 1995a, 126-132.

27 Phaed. 112b e{n ti tw'n casmavtwn th'" gh'" a[llw" te mevgiston tugcavnei o]n kai; diampere;"tetrhmevnon diæ o{lh" th'" gh'", tou'to o{per ”Omhro" ei\pe, levgwn aujtov: th'le mavlæ, h|ici bavqi-ston uJpo; cqonov" ejsti bevreqron: o} kai; a[lloqi kai; ejkei'no" kai; a[lloi polloi; tw'n poihtw'nTavrtaron keklhvkasin. eij" ga;r tou'to to; cavsma surrevousiv te pavnte" oiJ potamoi; kai; ejktouvtou pavlin ejkrevousin: givgnontai de; e{kastoi toiou'toi diæ oi{a" a]n kai; th'" gh'" rJevwsin. hJde; aijtiva ejsti;n tou' ejkrei'n te ejnteu'qen kai; eijsrei'n pavnta ta; rJeuvmata, o{ti puqmevna oujke[cei oujde; bavsin to; uJgro;n tou'to.

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Atomismo antico e contesto culturale286

Il testo del Fedone dimostra che il mevga cavsma era una componente basi-lare delle cosmogonie poetiche più note nel V sec. a.C. e che veniva rein-terpretato e integrato nelle cosmologie del tempo. Il mevga kenovn è dunquesicuramente un'espressione originale di Leucippo che allude al grandeabisso cosmogonico: il grande vuoto esercita una sorta di attrazione sullamassa disordinata e rissosa degli atomi che, confluendo nel baratro (sur-ruh'nai eij" mevga kenovn è l'espressione riportata da Ippolito28) come ifiumi del Fedone, comincia a girare vorticosamente. La funzione del vuotonon è qui dunque quella di "dividere", ma, al contrario, di favorire unamaggiore aggregazione degli atomi. Il suvsthma sfairoeidhv" che si originadalla massa vorticante nell'abisso ricorda la formazione del primo uovocosmico nelle cosmogonie orfiche29. In Leucippo tuttavia si trova soloun'eco di questa letteratura. La sua cosmogonia è più vicina ai testi mediciche a quelli orfici ed epici. L'uovo cosmico di poetica memoria divieneuna membrana che contiene in sé ogni genere di corpuscoli e dentro laquale, come nell'embrione, a poco a poco si articola il cosmo. Costretti dalmovimento rotatorio, gli atomi simili si aggregano, i più pesanti vannoverso il centro e formano qui il primo punto di resistenza, quello checorrisponde al cordone ombelicale30. C'è però una differenza fondamen-tale fra la cosmogonia di Leucippo e il modello embriologico ippocraticoo le cosmogonie pitagoriche: il cosmo di Leucippo non "inspira" come inqueste ultime il vuoto (o il pneuma come l'embrione ippocratico) che

28 Ref. 1,12,2 (67 A 10 DK; 291 L.). Si può ricordare che nella descrizione dei succhi, Demo-crito affermava, che gli atomi del dolce mettono in agitazione altri atomi; questi, scardinatidalle loro posizioni, "confluiscono" nel ventre (68 A 135 (65) DK; 496 L. ejk th'" tavxew"kinouvmena surrei'n eij" th;n koilivan), il luogo più accessibile poiché c'è la maggior quantitàdi vuoto (tauvthn ga;r eujporwvtaton ei\nai dia; to; tauvthi plei'ston ei\nai kenovn). Cf. su que-sto Orelli 1996, 163ss., la quale fornisce anche i paralleli con i testi ippocratici.

29 Anche quest'immagine compare in versi riportati da autori tardi (114 F Bernabé = OF 55),ma era sicuramente presente anche nelle antiche cosmogonie orfiche perché "l'uovo divento" che nasce nel Tartaro è parodiato da Aristofane (Av. 695). Del resto questa rela-zione fra cosmogonia leucippea e cosmogonie orfiche è già stata ampiamente rilevata, cf.Guthrie II, 1965, 408 n. 1, Orelli 1996, 190ss.

30 Il cordone ombelicale è definito da Democrito "un ancoraggio contro violenta burrasca evagare errabondo" (Plut. De am. prol. 495 E; 68 B 148 DK; 537 L. «oJ ga;r ojmfalo;" prw'tonejn mhvtrhisin» w{" fhsi Dhmovkrito" «ajgkurhbovlion savlou kai; plavnh" ejmfuvetai») e vienecitato da Plutarco anche in un contesto cosmogonico, in una similitudine con la terra (Defort. Rom. 317 A «ajgkurhbovlion savlou kai; plavnh"», w{" fhsi Dhmovkrito". wJ" ga;r oiJ fusi-koi; to;n kovsmon levgousin oujk ei\nai kovsmon oujd ejqevlein ta; swvmata sunelqovnta kai;summigevnta koino;n ejk pavntwn ei\do" th'i fuvsei parascei'n, ajlla; tw'n me;n e[ti mikrw'n kai;sporavdhn feromevnwn diolisqanovntwn kai; uJpofeugovntwn ta;" ejnapolhvyei" kai; peri-plokav", tw'n d aJdrotevrwn kai; sunesthkovtwn h[dh deinou;" ajgw'na" pro;" a[llhla kai; dia-trachlismou;" lambanovntwn, kluvdwna kai; brasmo;n ei\nai kai; fqovrou kai; plavnh" kai;nauagivwn mesta; pavnta, privn ge th;n gh'n mevgeqo" labou'san ejk tw'n sunistamevnwn kai;feromevnwn iJdruqh'naiv pw" aujth;n kai; toi'" a[lloi" i{drusin ejn auJth'i kai; peri; auJth;n para-scei'n).

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divide perché è già un mondo diviso. Proprio per questo non attira atomidall'esterno in un solo punto (nell'embriologia ippocratica è il cordoneombelicale che si forma appunto laddove l'embrione inspira)31, ma, pereffetto del movimento vorticoso e per la sua stessa permeabilità, si appro-pria di qualsiasi corpuscolo con cui venga a contatto in ogni sua parte.

L'immagine del grande vuoto di orfica memoria e la sua funzione di"attrazione" nei confronti delle masse disordinate di atomi vaganti nell'u-niverso, così come la sua peculiarità rispetto al vuoto pitagorico che entrainvece nella massa cosmica dividendola e articolandola, rimette in discus-sione la definizione che Aristotele dà del vuoto atomistico nella Fisica (D6, 213a 32-34) come "ciò che divide la massa corporea in modo che siadiscontinua". In realtà questa definizione si basa sull'assimilazione delvuoto atomistico al vuoto pitagorico e su un pre-supposto tipicamentearistotelico e cioè sulla tesi che "sostanze corporee" della stessa natura (ilsostrato materiale) debbano fondersi un'unica massa se non sono tenutedivise dal vuoto32. Il fatto però che gli atomi siano della stessa natura nonconduce affatto necessariamente a questa conclusione. Infatti, a causa dellaloro durezza, essi non potrebbero mai, anche se il vuoto non ci fosse,fondersi in una massa compatta. In questo senso va interpretata anche lanotizia ripetuta in varie forme da Aristotele che dai molti non può deri-vare una vera unità. Gli atomi, dunque, a rigore non hanno bisogno diqualcosa che li tenga divisi. In realtà i vuoti sono concepiti, come si è vistosopra (III 4. 2. 2), come pori e cavità che permettono un passaggio più omeno agevole di effluvi dall'esterno verso l'interno e viceversa e una cir-colazione all'interno del corpo. Corpi più o meno permeabili, sono più omeno predisposti alla dissoluzione, alla distruzione e all'instabilità, ma,proprio perché porosi, i corpi possono anche generare. Il corpo maschile,per quanto compatto, possiede comunque delle vie attraverso cui il semeconfluisce nell'organo genitale per poi venire espulso, quello femminiledelle cavità uterine per accoglierlo. I vuoti inoltre, con le loro varie forme,creano le condizioni perché qualcosa si generi con certe caratteristichepiuttosto che con altre e determinano dunque anche gli effetti dell'ajnavgkhe delle ajnavgkai sui corpi.

Da queste osservazioni risulta che la concezione del vuoto atomisticoè qualcosa di molto più ricco e complesso delle definizioni aristoteliche eha le sue radici nell'interpretazione delle cosmogonie poetiche e nelleconcezioni mediche, non nella riflessione astratta sulle definizioni divuoto, movimento e divisione.

31 Nat. puer. 12,6 (54,27-55,3 Joly = VII,488 Littré); 13,3 (56,3-5 Joly = VII,490 Littré); cf.anche 14,2 (56,19-21 Joly = VII,492 Littré): il sangue, nutrimento dell'embrione, viene as-sunto unicamente attraverso il cordone ombelicale.

32 V. supra, III 4. 3 e n. 156.

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3. Stavsi" e aggregazione: immagini socio-politiche nellacosmogonia di Democrito

Se nel resoconto sulla cosmogonia di Leucippo viene posto l'accento sulvortice cosmico, il frammento dell'opera di Aristotele su Democrito de-scrive in particolare le caratteristiche specifiche dei corpuscoli eterni, illoro movimento e il loro meccanismo generale di combinazione. Su alcunitratti degli atomi si è già detto e si è accennato anche alle immagini diguerre civili e combattimenti che il loro volteggiare disordinato e ostile nelvuoto evoca. Qui vorrei aggiungere ancora qualche osservazione sul con-testo cui tale rappresentazione rimanda e sulla distanza della stessa da unaproblematica astratta di tipo matematizzante. Dopo aver accennato alledenominazioni delle "sostanze eterne" di Democrito e alla loro piccolezzache le rende impercettibili, Aristotele passa a descrivere le loro caratteri-stiche formali e il loro movimento:

Essi hanno aspetti e forme di ogni genere e differenze di grandezza. Da questesostanze, inoltre, come da elementi fa generare e comporre gli aggregati che ap-paiono ai nostri occhi e gli aggregati percettibili. Queste sostanze sono [secondoDemocrito] in rivolta l'una contro l'altra e si muovono nel vuoto a causa dellaloro disuguaglianza e delle altre differenze summenzionate, e, muovendosi, siscontrano e si avviluppano in un intreccio tale che le porta a contatto e in conti-guità, ma non produce con esse veramente alcuna natura unica di qualsivogliagenere: infatti sarebbe del tutto insensato supporre che il due o i molti divenis-sero mai una sola cosa33.

L'immagine degli atomi è quella di tanti individui tendenzialmente isolati ediversi fra loro per aspetto (scabri o lisci), figura (rotonda, irregolare e cosìvia) e grandezza. Le loro diversità rispecchiano a livello microscopicoquelle che si riscontrano nel mondo fisico e negli agglomerati socio-poli-tici. La loro naturale tendenza è quella all'isolamento, alla diversità e allalotta reciproca. Gli atomi si muovono qua e là nel vuoto in uno stato dicontinua rivolta proprio perché sono uno diverso dall'altro (dia; th;n ajno-moiovthta)34. Questa loro tendenza naturale all'isolamento che li caratte-

33 Arist. Fr. 208 Rose (Simpl. In De cael. 279b 12, 295,7-14) (68 A 37 DK; 227, 293 L.)uJpavrcein de; aujtai'" pantoiva" morfa;" kai; schvmata pantoi'a kai; kata; mevgeqo" diaforav".ejk touvtwn ou\n h[dh kaqavper ejk stoiceivwn genna'i kai; sugkrivnei tou;" ojfqalmofanei'" kai;tou;" aijsqhtou;" o[gkou". stasiavzein de; kai; fevresqai ejn tw'i kenw'i diav te th;n ajnomoiovthtakai; ta;" a[lla" eijrhmevna" diaforav", feromevna" de; ejmpivptein kai; periplevkesqai peri-plokh;n toiauvthn, h} sumyauvein me;n aujta; kai; plhsivon ajllhvlwn ei\nai poiei', fuvsin mevntoimivan ejx ejkeivnwn katæ ajlhvqeian oujdæ hJntinaou'n genna'i: komidh'i ga;r eu[hqe" ei\nai to; duvo h]ta; pleivona genevsqai a[n pote e{n.

34 L'immagine "politica" della stasis fra proprietà e succhi diversi all'interno del corpo comeelemento patogeno ricorre del resto più volte anche negli scritti contemporanei del CorpusHippocraticum, cf. su questo tema Vegetti 1983, 463s.

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rizza come "individui" si manifesta anche nelle combinazioni: essi si avvi-cinano e si toccano, si danno sostegno, si abbracciano, quando casual-mente rimangono impigliati l'uno all'altro, ma non formano mai un'unità edunque, nel momento in cui una ajnavgkh più forte di quella che li tieneinsieme li scuote, si disperdono nuovamente ritornando al loro stato natu-rale. La famosa attrazione fra i simili comincia ad esercitarsi solo sotto laspinta del vortice cosmogonico, cioè di una ajnavgkh più forte delle ten-denze individualistiche degli atomi, che li costringe ad una particolareaggregazione. E non bisogna dimenticare che il mondo per gli atomisticontinua a muoversi a vortice e che dunque l'attrazione dei simili va spie-gata in questo contesto35.

Anche nella vulgata della Kulturentstehungslehre, per lungo tempo attri-buita a Democrito stesso, si presentano immagini simili dei primi uomini:essi vivono in una condizione belluina, uno separato dall'altro36 e si aggre-gano solo per necessità di difesa e sotto la spinta del bisogno sviluppandopoi a poco a poco tutte le altre risorse e le altre arti che portano al viveresociale. Anche in questo sfondo socio-politico che vede il corpo socialenon come un agglomerato compatto e armonico, ma come un aggregato"costretto", instabile e temporaneo di individui fra loro estremamentedifferenti e tendenti all'isolamento, continuamente esposto a fluttuazioni ecambiamenti violenti si deve cercare l'idea dell'atomo come corpuscoloisolato e autosufficiente che solo suo malgrado entra in "società" con altri.Queste spinte "centrifughe" e isolazioniste degli atomi sono lo specchioperfetto di quelle che le dottrine sofistiche contemporanee esaltano comecaratteristiche "naturali" nell'individuo dando loro la priorità sulle neces-sità di coesione della compagine sociale.

Già da queste prime osservazioni si delinea una concezione dell'atomoche ha le sue radici più che in speculazioni filosofiche, in una percezionemedica del corpo e in una visione socio-politica della realtà: il corpo fisicocome struttura instabile, attraversata continuamente da flussi destabiliz-zanti è parallelo al corpo sociale, aggregato aleatorio di individui eteroge-nei "costretti" insieme dalla necessità, ma con persistenti spinte centrifu-ghe.

35 Si deve dunque fare molta attenzione alle testimonianze indirette (come ad es. 68 B 164DK; 11, 316 L. e 68 A 128 DK; 11, 316, 491, 565 L.) che per lo più sono mediate da fontistoiche influenzate dalla teoria della sympatheia. In questi contesti il ruolo dell'ajnavgkh comeelemento scatenante e costitutivo del fenomeno viene relegato in secondo piano.

36 Diod. 1,8,1 (68 B 5 DK; 558 L.) tou;" de; ejx ajrch'" gennhqevnta" tw'n ajnqrwvpwn fasi;n ejnajtavktwi kai; qhriwvdei bivwi kaqestw'ta" sporavdhn ejpi; ta;" noma;" ejxievnai. Cf. ancheAnon. Iambl. 89,6,1 DK il quale attribuisce all'instinto naturale di conservazione il bisognodi aggregarsi.

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4. Effluvi, eidola e inalterabilità dell'atomo

Un'ulteriore immagine, frequente e paradigmatica, dell'atomismo antico,che concerne proprio l'estrema instabilità e la vulnerabilità dei corpi, èquella degli effluvi e degli eidola. Il mondo di Leucippo e di Democrito, aldi là di tutte le spiegazioni "scientifiche" che essi ne hanno dato, è unmondo pieno di flussi e di fantasmi più o meno invisibili, più o menopotenti più o meno benefici o distruttivi. Tutti i corpi emettono effluvi,perfino i più duri come la pietra, il ferro e il magnete37. I corpi viventi neemettono di più a causa del loro calore. Tutti questi effluvi mantengononon solo la forma, ma anche le caratteristiche e le affezioni psichiche deicorpi da cui sono usciti (evidentemente perché vi sono frammisti atomidell'anima che escono anch'essi dal corpo sotto la spinta della pressioneesterna), "vagano" e "si immergono" in altri corpi senza essere percepiti."Riemergono" solamente durante il sonno (quando il corpo si raffredda, ilmovimento degli atomi interni si calma ed essi possono liberarsi dall'op-pressione degli atomi più grandi e più spessi che li tengono soffocati) evanno a riflettersi nelle pupille chiuse producendo le visioni oniriche38.Altri idoli, invece, come quelli che producono il malocchio, si insinuanoallo stesso modo impercettibilmente attraverso i pori nei corpi e vi pren-dono dimora impregnandoli della loro cattiveria e provocandone la pro-gressiva consunzione39. Talvolta idoli più grandi, di natura divina, si pre-sentano agli occhi degli uomini per annunciare l'avvenire o emettonovoci40. Si tratta, è vero, di aggregati atomici, che conservano però tutta lacarica minacciosa di quei fenomeni che essi dovrebbero spiegare. Demo-crito, lungi dal minarne la credibilità, ne conferma la validità dando loroun fondamento naturale. Gli effluvi e gli idoli testimoniano dell'instabilitàdei corpi e nel contempo confermano la realtà e la pericolosità degli in-flussi impercettibili che questi possono esercitare uno sull'altro. Non sideve dimenticare che questi erano anche i presupposti della cosiddetta

37 Per la pietra, cf. Albert. Magn. De lapid. 1,1,4 (68 A 164 DK; 448 L.); per il magnete e ilferro Alex. Quaest. 2,23, II,72,28 Bruns (68 A 165 DK; 319 L.).

38 Plut. Quaest. conv. 734 F-735 A (68 A 77 DK; 476 L.).39 Plut. Quaest. conv. 682 F (68 A 77 DK; 476 L.); Hermipp. (Iohann. Catrar.) De astrol. 25,19

Kroll-Viereck (68 A 78 DK; 472a L.)40 Sext. Emp. Adv. Math. 9,19 (68 B 166 DK; 472a L.); cf. Plut. Aem. Prooem. 4; De def. orac.

419 A; Clem. Strom. 5,13,87; Iren. Adv. haeres. 2,14,3; Michael Ephes. De insomn. 83,18 (conriferimento ad Alex. Aphr. Peri; daimovnwn) (472a L.). L'incontro coi demoni è una caratte-ristica dei pitagorici, cf. Arist. Fr. 193 Rose (Apul. De deo. Socr. 20 At enim [secundum] Pytha-goricos mirari oppido solitos, si quis se negaret umquam vidisse daemonem, satis ut reor idoneus auctor estAristoteles). Anche a Senocrate Plutarco attribuisce una concezione dei demoni come esseri"grandi e forti", De Is. 361 B (Xenocr. 225 IP) ei\nai fuvsei" ejn tw'i perievconti megavla"me;n kai; ijscurav", dustrovpou" de; kai; skuqrwpav".

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"magia". Il primo in Grecia a dire che tutto ciò che esiste emette effluvi èstato del resto Empedocle, un carismatico "mago"41. Il suo allievo Gorgiache, nell'Encomio di Elena, designa espressamente la gohteiva e la mageivacome technai42, presenta allo stesso modo un mondo di corpi porosi,permeabili a tutti gli influssi esterni, in particolare all'azione della parola,che ne altera profondamente la struttura. I corpuscoli invisibili del logosagiscono come un filtro magico o un'incantesimo sull'anima; l'ejpwidhv, inparticolare, la incanta e la sconvolge43.

I magoi persiani, secondo Sozione, avrebbero sostenuto non solo chegli dèi appaiono loro, ma anche che l'aria è piena di eidola, prodotti di esa-lazione, che, in qualità di effluvi, si introducono negli occhi di "coloro chehanno una vista acuta"44. Si è spesso interpretato questo passo come unatrasposizione ai magoi della dottrina atomistica degli effluvi, ma, in primoluogo Sozione non parla di immagini composte di atomi, ma di "fantasmi"che derivano da una "esalazione" (si può ricordare che Aristotele definiscecon lo stesso termine l'anima di Eraclito), di esseri cioè "aerei", che ven-gono percepiti da "chi ha una vista acuta". Se il carattere di "esalazioni" diquesti eidola sembra non avere corrispondenza nei testi avestici, il partico-lare degli ojxuderkei'" è stato considerato originale dagli iranisti ed equipa-rato45 all'"occhio dell'anima" che permette la visione "spirituale" (menog) edè posseduto solo da uomini puri e santi. Democrito, caso unico fra i co-siddetti presocratici, aveva attribuito ai sofoiv (oltre che agli animali e aglidèi) ulteriori organi di percezione rispetto ai cinque sensi46. Il parallelismonon è certamente perfetto, ma permette di pensare che il resoconto diSozione, lungi dall'essere una semplice "traduzione" in termini atomisticidella dottrina dei magoi, riproduca invece ciò che sta a monte dell'imma-gine degli effluvi e degli idoli di Democrito e cioè l'idea che esseri eterei,invisibili, forniti di un proprio pensiero e di una propria coscienza si aggi-rino nell'aria agendo in qualche modo silenziosamente sugli esseri viventi.I magoi descritti nel papiro di Derveni, allontanano, attraverso incantesimi

41 31 B 89 DK. Sull'Empedocle "mago", cf. Kingsley 1995a, 2002, 2003.42 82 B 11,10 DK gohteiva" de; kai; mageiva" dissai; tevcnai eu{rhntai, ai{ eijsi yuch'" aJmar-

thvmata kai; dovxh" ajpathvmata.43 82 B 11,10 DK aiJ ga;r e[nqeoi dia; lovgwn ejpwidai; ejpagwgoi; hJdonh'", ajpagwgoi; luvph"

givnontai: sugginomevnh ga;r th'i dovxhi th'" yuch'" hJ duvnami" th'" ejpwidh'" e[qelxe kai; e[peisekai; metevsthsen aujth;n gohteivai.

44 Sotion Fr. 36 Wehrli (Diog. Laert. 1,7) ajskei'n (scil. tou;" Mavgou") te mantikh;n kai;provrrhsin, kai; qeou;" aujtoi'" ejmfanivzesqai levgonta". ajlla; kai; eijdwvlwn plhvrh ei\nai to;najevra, kat ajporroivan uJp ajnaqumiavsew" eijskrinomevnwn tai'" o[yesi tw'n ojxuderkw'n.

45 De Jong 1997, 218s. con bibliografia.46 Ps.-Plut. 4,10, 900 A; Stob. 1,51,4 (68 A 116 DK; 86, 438, 520, 572 L.).

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e riti, chiaramente non greci, i demoni ostili47, che evidentemente solo lorosono in grado di vedere, riconoscere e dominare. La dottrina degli idoli diDemocrito ha dunque le sue radici in un'atmosfera permeata dagli "in-contri coi Magi"48. Non c'è quindi da meravigliarsi che le fonti tarde,inventando aneddoti impossibili, ma non per questo meno significativi,facciano di Democrito un allievo dei Magi49 e che Bolo di Mende abbiapreso quest'ultimo come modello per il suo scritto Sulle simpatie e sulleantipatie dove trattava appunto di medicina magica. La dottrina stessa deglieffluvi democritei lo suggeriva.

La definizione dell'atomo si delinea dunque anche su questo sfondosocio-culturale in cui l'incontro con i magoi ha lasciato le sue tracce. L'ideadegli effluvi è direttamente collegata a fenomeni magico-religiosi come leapparizioni di demoni, i sogni profetici, il malocchio, e alle "costrizioni" ealle alterazioni dei corpi da questi provocate. Apparizioni, percezione,malattia hanno tutti la stessa radice, il fatto cioè che i corpi sono porosi eperciò influenzabili, alterabili e distruttibili: l'atomo, a differenza di tutti glialtri corpi, non è nulla di tutto ciò.

5. Atomi e pulviscolo: per una ridefinizione dell'atomo

L'atomo degli atomisti è dunque l'unico corpo duro e compatto, l'unico anon emettere e a non ricevere effluvi e, come tale, l'unico a sottrarsi aqualsiasi possibilità di influenza distruttiva. Per quanto riguarda gli effluvi,si può notare che, in linea generale, sono impercettibili anche se si inabis-sano continuamente nei corpi, ma divengono visibili in casi particolari,come appunto nelle visioni e nei sogni. L'aria ne è tuttavia piena. Proprioa questa miriade di corpuscoli che riempiono l'aria riporta un'immagineche ha sempre suscitato problemi dall'antichità ad oggi e che, a mio pa-rere, è centrale per comprendere la natura dell'atomo: quella del pulvi-scolo atmosferico. In un controverso passo del De anima Aristotele spiega

47 Cf. Burkert 2003, 129 che sottolinea anche il legame fra la rappresentazione dei magoi nelpapiro e quella di Sozione. In ogni caso l'allusione ad un sacrificio di uccelli (col. VI,10s.)in relazione alla cacciata di demoni rimanda all'ambito mesopotamico. Nei testi accadicicontenenti le istruzioni per riti esorcistici di guarigione viene inscenata una morte del pa-ziente, ma al suo posto ucciso un animale il cui sangue viene fatto colare sul corpo delmalato. In questo modo viene ingannato e appagato il demone che ne ha preso possesso.In uno di questi riti il sostituto è appunto una colomba, cf. Ebeling 1931, 83 Nr. 21, 5-7(verso). In questo contesto di contatti culturali non c'è alcun bisogno di speculare su signi-ficati diversi di ojrnivqeion (come Betegh 2004, 76-78).

48 Su questi "incontri" metaforici e reali, cf. in particolare Kingsley 1995b.49 Diog. Laert. 9,34 (68 A 1 DK; XI L.).

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che gli atomisti identificano l'anima con gli atomi sferici presenti nel pul-viscolo:

Perciò Democrito dice che essa (scil. l'anima) è una sorta di fuoco e di caldo; es-sendo infatti infinite le forme e gli atomi, definisce quelle sferiche fuoco e anima,vale a dire: le particelle del cosiddetto pulviscolo atmosferico che si vedono neiraggi del sole che penetrano attraverso le finestre, la cui panspermia egli definisceelementi di tutta la natura (e allo stesso modo Leucippo), di queste, però, quelledi forma rotonda sono l'anima, poiché queste fogge possono insinuarsi con lamassima facilità dappertutto e muovere il resto, muovendo se stesse, dal mo-mento che essi (scil. Democrito e Leucippo) ritenevano che l'anima fosse ciò cheimprime il movimento agli esseri viventi […] Sembra che anche quanto è statodetto dai Pitagorici abbia lo stesso significato; infatti alcuni di loro hanno dettoche l'anima è il pulviscolo atmosferico, altri ciò che lo muove. Di questo si diceche appare muoversi incessantemente anche quando ci sia una completa assenzadi vento50.

Il passo è sintatticamente difficile e, in ogni caso, anacolutico. Epicuro eLucrezio usavano il pulviscolo come una similitudine e altri autori antichiinterpretavano il passo di Aristotele allo stesso modo, ma altri ancora,come lo Pseudo-Alessandro e la tradizione dossografica cui fa capo Teo-doreto, equiparavano gli atomi al pulviscolo51. Non sono quindi letestimonianze antiche che possono decidere l'interpretazione del passo,ma la sintassi e il senso del contesto. Ora, Aristotele, dopo aver affermatoche Democrito nell'infinità degli atomi e delle forme atomiche individuacome caratteristici dell'anima quelli sferici, riferisce quanto è contenutonel testo specifico (oi|on)52 di Democrito riguardante gli xuvsmata: secondo

50 Arist. De an. A 2, 404a 1-21 (67 A 28 DK; 200, 443a, 462 L.) o{qen Dhmovkrito" me;n pu'r tikai; qermovn fhsin aujth;n (scil. th;n yuch;n) ei\nai: ajpeivrwn ga;r o[ntwn schmavtwn kai; ajtovmwnta; sfairoeidh' pu'r kai; yuch;n levgei oi|on ejn tw'i ajevri ta; kalouvmena xuvsmata, a} faivnetaiejn tai'" dia; tw'n qurivdwn ajkti'sin, w|n th;n me;n panspermivan stoicei'a levgei th'" o{lh"fuvsew" (oJmoivw" de; kai; Leuvkippo"), touvtwn de; ta; sfairoeidh' yuch;n, dia; to; mavlista dia;panto;" duvnasqai diaduvnein tou;" toiouvtou" rJusmou;" kai; kinei'n ta; loipav kinouvmena kai;aujtav, uJpolambavnonte" th;n yuch;n ei\nai to; parevcon toi'" zwvioi" th;n kivnhsin ª...º e[oike de;kai; to; para; tw'n Puqagoreivwn legovmenon th;n aujth;n e[cein diavnoian: e[fasan gavr tine"aujtw'n yuch;n ei\nai ta; ejn tw'i ajevri xuvsmata, oiJ de; to; tau'ta kinou'n. peri; de; touvtwnei[rhtai o{ti sunecw'" faivnetai kinouvmena, ka]n h\i nhnemiva pantelhv".

51 Per l'uso della similitudine in Epicuro, cf. Gal. De nat. fac. 1,14 (III,136,25 Helmreich =II,49 K.) (Ep. Fr. 293 Us.) naiv, fhsiv, smikra; ga;r aujta; crh; pavnu noei'n, w{ste tw'n ejmfero-mevnwn tw'i ajevri yhgmavtwn touvtwn dh; tw'n smikrotavtwn ejkeivnwn e{kaston muriosto;n ei\naimevro". Cf. anche Lucr. 2,114. Per gli altri autori, cf. supra, VI 3. 2. 4.

52 Per l'uso di oi|on per introdurre il contenuto di testi specifici di autori cui Aristotele fariferimento, atto a spiegare la sua deduzione, cf. Metaph. M 4, 1078b 21 oiJ de; Puqagovreioiprovteron periv tinwn ojlivgwn, w|n tou;" lovgou" eij" tou;" ajriqmou;" ajnh'pton, oi|on tiv ejstikairo;" h] to; divkaion h] gavmo". Arist. Phys. D 6, 213b 15 a[llon (scil. trovpon) dæ o{ti faivnetaie[nia suniovnta kai; pilouvmena, oi|on kai; to;n oi\novn fasi devcesqai meta; tw'n ajskw'n tou;"pivqou", wJ" eij" ta; ejnovnta kena; suniovnto" tou'p uknomevnou swvmato". Per altri casi in cuioi|on introduce un esempio e non una similitudine, cf. Phys. D 9, 216b 27 levgw d oi|on eij ejx

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quest'ultimo la loro mescolanza (w|n th;n me;n panspermivan) è il fonda-mento di tutta la natura e, fra questi, quelli rotondi (touvtwn de; ta; sfairo-eidh') sono atomi dell'anima perché sono più mobili e penetranti. Il tuttorisulta ambiguo forse perché Aristotele stesso, come in altri casi in cui iltesto cui aveva accesso non corrispondeva alle sue categorie di pensiero ealle sue definizioni di atomo, aveva difficoltà ad adattarlo. Diels avevacomunque capito che il testo così com'è presuppone una identificazionedi atomi e pulviscolo e, per evitare l'incongruenza con le opinioni comunisull'atomo, aveva drasticamente espunto il passo da ta; sfairoeidh' fino aw|n. Gli interpreti moderni hanno invece cercato di farne un paragonecambiando variamente la punteggiatura, ma i pronomi al genitivo pluralew|n e touvtwn si riferiscono al pulviscolo e non alle forme e agli atomi dellafrase precedente53. Che sia da intendere come una equivalenza è del restodeducibile anche dal seguito del brano. Aristotele dice infatti che le con-cezioni pitagoriche hanno lo stesso significato. E i Pitagorici vedono nelpulviscolo, o l'anima o le particelle da questa mosse54. Ne consegue cheanche per Democrito e Leucippo il pulviscolo è un insieme di atomi checompongono la natura compresi quelli sferici dell'anima che li muovetutti. A questo proposito è importante un'ulteriore testimonianza, da unatraduzione araba di un'opera greca non ben identificata (forse Galeno Dedemonstratione). Non si tratta di una falsificazione, come ribadisceStrohmaier, l'arabista editore del frammento, anzi il passo sembra unacitazione letterale:

Affermazione di Democrito —l'uomo del pulviscolo e delle parti che non pos-sono essere divise—, egli dice: "la composizione dei corpi deriva dal pulviscolosottilissimo che è sparso nell'aria e diviene visibile nel raggio di sole. Una provadi ciò è la seguente: se ci si pone nel raggio e ci si gratta il corpo, un tale pulvi-scolo sale in alto da questo e si stacca dalla pelle in modo tale che, se si continuaa grattare, la pelle si squama. Egli diceva: e questo squamarsi si verifica a causa

u{dato" kuavqou gevgonen ajhvr, a{ma ejx i[sou ajevro" u{dwr tosou'ton gegenh'sqai. Cf. anche Decael. G 8, 306b 33.

53 Cf. Hicks 1907, 213 ad loc.. Hicks mette, come la maggior parte degli editori della testimo-nianza democritea, fra parentesi oi|on ... ajkti'sin, ma questo crea problemi sintattici e se-mantici. w|n e touvtwn sono troppo lontani da schmavtwn e ajtovmwn, mentre il loro riferi-mento a xuvsmata non presenta problemi. Se inoltre quella con il pulviscolo fosse unasimilitudine enunciata per inciso, essa rimarrebbe senza termini di riferimento (a che cosa èsimile il pulviscolo: all'anima o agli atomi in generale? e in che cosa è simile?). Il senso in-vece è chiaro se si considera l'identità di atomi e pulviscolo: il pulviscolo è fatto di atomi diogni genere di cui quelli sferici, che imprimono con la loro velocità il movimento agli altricorpuscoli, sono l'anima.

54 Quest'ultima tesi è probabilmente quella di Ecfanto secondo cui gli atomi venivano mossida una qeiva duvnami" che egli identificava con l'intelligenza e con l'anima 51 1 DK (Hippol.Ref. 1,15).

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del ridursi di ciò che della struttura corporea composta da quelle parti che nonvengono divise viene distrutto"55.

Al di là dello stile perifrastico, tipico delle traduzioni arabe, i punti fonda-mentali sono chiari e consistono in una tesi (i corpi sono fatti di pulvi-scolo-atomi) e in una prova (il grattarsi al sole mostra che la pelle sisquama e che il pulviscolo che la compone si stacca e sale). L'enuncia-zione di una tesi seguita dalla prova che deve corroborarla è un procedi-mento tipico negli autori dell'ultimo terzo del V sec. a.C. come Erodoto, ei medici ippocratici56. Shmei'on o tekmhvrion è generalmente l'espressionecaratteristica che la introduce. Il più grosso ostacolo a considerare il pulvi-scolo non come un'analogia, ma come un'identificazione con gli atomi stanel fatto che questi ultimi sono definiti nelle testimonianze antiche daAristotele in poi sempre come invisibili. Questo tuttavia non costituisceun problema. Gli atomi sono in effetti invisibili così come lo sono gli eidolache si aggirano nell'aria, ma, come questi ultimi, in certe particolari condi-zioni, possono diventare visibili. Questo non viene ovviamente detto daAristotele o dagli altri autori perché la loro definizione di atomo non lopermette e forse non veniva neppure fatto notare esplicitamente dagliatomisti, ma dato per scontato. Sono gli Epicurei che, individuando unproblema, hanno trasformato l'esempio del pulviscolo da una prova del-l'esistenza dell'atomo ad una analogia con l'atomo57.

Anche queste rappresentazioni del pulviscolo rimandano ad un qua-dro dell'atomismo meno rigido dal punto di vista teorico e più vicino allarealtà dei fenomeni: il pulviscolo apre, a chi sa guardarlo con l'occhioacuto della gnwvmh, la vista sull'invisibile e conferma appunto che i corpisono fatti di piccolissime particelle. Non bisogna dimenticare che questofenomeno veniva una utilizzato come "prova-tipo" anche per altre ipotesi.Anassagora se ne serviva per spiegare come mai di notte i suoni si sentis-sero meglio che di giorno: di giorno infatti l'aria, riscaldata dal sole, èscossa da tremiti e sussulti come si può vedere dal pulviscolo che appare

55 Ibn al-Matran [12. sec. d.C.] (Strohmaier 1968, 2 [1996, 4]) Feststellung des Demokrates—das ist der Mann mit dem Staub und den Teilen, die nicht geteilt werden, er sagt: "DieZusammensetzung der Körper ist aus dem ganz feinen Staub, der in der Luft verteilt istund der im Sonnenstrahl sichtbar wird. Ein Beweis dafür ist: Wenn man sich in ihn hinein-stellt und seinen Körper kratzt, steigt von ihm solcher Staub auf und nimmt von der Hautab, so dass die Haut abgeschält wird, wenn das Kratzen andauert. Er sagte: und diesesAbgeschältwerden ist wegen der Verminderung dessen, was von dem Bau des Körpers ausjenen Teilen, die nicht geteilt werden, zerstört ist".

56 Cf. Thomas 2000, 190-200.57 Per una trattazione dettagliata delle possibili difficoltà e della loro soluzione rimando a

Strohmaier 1968 [1996].

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attraverso la luce. Sono queste particelle che, sibilando e strepitando, sonodi ostacolo al propagarsi del suono58.

6. Il "metodo"

6. 1. Il sostrato "tecnico" del "metodo" democriteo: caso e causalità

Quanto detto nei paragrafi precedenti introduce il discorso sul metododemocriteo, un discorso importante, perché costituisce la guida per l'in-terpretazione delle testimonianze e dei frammenti al di là delle opinioniantiche e moderne sulle sue dottrine. Sopra si è accennato alla famosamassima secondo cui nulla avviene per caso, ma per una ragione e sotto laspinta di una ajnavgkh. Se si individuano ogni volta l'ajnavgkh e le condi-zioni che ne hanno reso possibile l'azione (si fornisce cioè un logos diquanto avviene), non solo si può comprendere un fenomeno, ma si pos-sono prevenirne o limitarne gli effetti e riprodurre altre condizioni similiquando ci sia necessità di provocarlo. L'esasperata ricerca democritea dellecause59 si inserisce in un discorso più ampio che si sviluppa negli ultimidecenni del V sec. a.C. sul sapere e la capacità tecnica e il loro rapportocon gli effetti della fortuna e del caso. La medicina è appunto una techne inquanto ha trovato cause e rimedi e sa come scoprire dove la malattia sinasconde interpretandone i segni e provocandoli ad arte. Il caso è ilgrande assente nell'arte come afferma l'autore dello scritto ippocratico Dearte. Non si può guarire "da sé", spontaneamente e casualmente e, anchequando sembra che così avvenga, è perché coloro che guariscono hannoapplicato senza saperlo le regole della medicina e quei rimedi naturali oartificiali che rientrano nel suo dominio.

Il "da sé" infatti rivela la sua inesistenza alla prova dei fatti: infatti si troverebbeche tutto ciò che si verifica, si verifica per una causa e, nel fatto che c'è una causa,il "da sé" rivela che non ha un'esistenza se non in quanto nome; la medicina, in-vece, sia nel fatto che riconosce le cause che nel fatto che fa delle previsioni, ri-vela e rivelerà sempre la sua esistenza. Queste sono le cose che si possono dire acoloro che attribuiscono la salute al caso e la sottraggono all'arte.60

58 59 A 74 DK (Plut. Quaest. conv. 722 A; [Arist.] Probl. 903a 7).59 Dionys. ap. Eus. Praep. ev. 14,27,4 (68 B 118 DK; LVIII, 29 L.).60 De arte 6,4 (230,15 Jouanna = VI,10 Littré) to; me;n ga;r aujtovmaton oujde;n faivnetai ejo;n

ejlegcovmenon: pa'n ga;r to; ginovmenon diav ti euJrivskoit a]n ginovmenon, kai; ejn tw'i diav ti to;aujtovmaton ouj faivnetai oujsivhn e[con oujdemivan ajll h] o[noma: hJ de; ijhtrikh; kai; ejn toi'si diavti kai; ejn toi'si pronoeumevnoisi faivnetaiv te kai; fanei'tai aijei; oujsivhn e[cousa. toi'si me;nou\n th'i tuvchi th;n uJgieivhn prostiqei'si, th;n de; tevcnhn ajfairevousi, toiauvt a[n ti" levgoi. Ilpasso è già stato messo in relazione con il frammento democriteo da Diller 1975, 87. Cf.anche Loc. in hom. 46 (76,6-77,4 Joly = VI,342-344 Littré). Sul fatto che le scoperte della

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Il discorso sulla casualità e la causalità espresso nel passo ippocratico siinserisce nella discussione specifica sull'esistenza delle arti scatenata daiSofisti stessi i quali, invadendo il campo degli specialisti, cercavano didimostrare che non esiste un sapere tecnico limitato ad un gruppo ri-stretto, ma che la techne è alla portata di tutti perché dipende in larga partedalla fortuna e dal caso. Un'eco di queste concezioni, si ritrova in alcuniautori dell'ultimo terzo del V sec. a.C. Ione di Chio, secondo Plutarco,diceva che la fortuna, sebbene sia così differente dall'abilità tecnica (so-fiva), produce effetti molto simili a quest'ultima61. Il poeta Agatone,anch'egli come Ione contemporaneo di Euripide, affermava che "l'arteama il caso e il caso l'arte"62. In questo contesto va inquadrata anchel'affermazione di Democrito secondo cui

gli uomini si sono inventati il fantasma del caso per giustificare la propria sconsi-deratezza. Raramente infatti il caso si oppone all'intelligenza e una vista acuta eperspicace guida la maggior parte delle azioni nella vita63.

Democrito estende all'"arte di vivere" quella concezione che i medici ap-plicavano all'arte medica. La vista acuta e perspicace è quell'occhio espertoche l'autore del De arte attribuisce allo specialista e che permette discoprire al di là del "caso" la vere ragioni del fenomeno. Eudemo colle-gava la concezione democritea della casualità e della causalità nell'ambitodella fisica proprio al discorso presente nel De arte e nei frammenti degliautori succitati. Egli infatti, sulla scia di Aristotele, attribuiva a Democritouna casualità nella spiegazione della formazione del cosmo, ma una rigidacausalità in quella di altri fenomeni.

Ma anche Democrito laddove dice "un vortice di forme di ogni genere si staccòdal tutto (come e per quale causa non lo dice) sembra che abbia fatto generare ilmondo da sé e per caso. E Anassagora compone la pluralità delle cose lasciandoda parte il Nous, come dice Eudemo, e facendole nascere spontaneamente. E al-cuni fra i poeti riconducono al caso quasi tutto facendolo diventare una preroga-tiva dell'arte dicendo "l'arte ama il caso e il caso l'arte". E dicono che il fortunatoha senno. Inoltre vediamo che alcune cose che si verificano in virtù dell'arte, si

medicina sono avvenute perché si è usato il logismov" e non ajpo; tuvch", cf. anche VM 12,2(132,18 Jouanna = I,596 Littré).

61 Plut. De fort. Rom. 316 D; Quaest. conv. 717 A (36 B 3 DK).62 Fr. 6 Snell-Kannicht tevcnh tuvchn e[sterxe kai; tuvch tevcnhn.63 Stob. 2,8,16 (68 B 119 DK; 32 L.) a[nqrwpoi tuvch" ei[dwlon ejplavsanto, provfasin ijdivh"

ajboulivh". baia; ga;r fronhvsei tuvch mavcetai, ta; de; plei'sta ejn bivwi eujxuvneto" ojxuderkeivhkatiquvnei. ojxuderkeivh è una correzione di Diels per ojxuderkei'n di F e P. Cf. anche[Hippocr.] Loc. hom. 46,3 (76,26 Joly = VI,342 Littré) o{sti" de; th;n tuchn h] a[llou tino;"ejxelavsei, favmeno" ouj tou;" kalw'" ti prh'gma ejpistamevnou" crh'sqai tuvchi, to; uJpenantivondokei' moi ginwvskein: ejmoi; ga;r dokevousi mou'noi kai; ejpitugcavnein kai; ajtucei'n oiJ kalw'"ti kai; kakw'" prh'xai ejpistavmenoi: ejpitugcavnein te ga;r tou't ejsti; to; kalw'" poiei'n, tou'tode; oiJ ejpistavmenoi poievousin: ajtucei'n dev, tou't ejsti;n o} a[n ti" mh; ejpivsthtai, tou'to mh;kalw'" poiei'n: ajmaqh;" de; ejwvn, pw'" a]n ejpituvcoi…

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verificano anche in virtù del caso; e infatti la salute sembra prodursi in virtù delcaso come in virtù dell'arte. Infatti un tale, avendo sete e bevendo acqua fredda,ha riacquistato la salute. Ma forse, come dice Democrito, non è il caso la causa,ma l'aver sete64.

L'aver sete, l'ananke che spinge a bere acqua fredda, è un processo checade sotto il dominio della medicina. L'autore del De arte cita il bere ol'astenersi dal bere, così come il mangiare e il suo contrario come applica-zioni inconsapevoli di rimedi che hanno insegnato ciò che aiuta o danneg-gia e che rientrano nell'ambito dell'arte medica, non del caso65. L'eziologiademocritea, dunque, lungi dall'essere un'escrescenza paradossale in unacosmogonia dominata dal caso come Aristotele la presenta, è un metodoperfettamente integrato in una visione "tecnica" dell'indagine sulla natura:nulla deve sfuggire all'occhio esperto di chi si spinge alla ricerca delleajnavgkai. Anche il "da sé" all'origine del cosmo democriteo è solo appa-rente; in realtà è l'ajnavgkh fuvsew", la "costrizione naturale", che fa scon-trare e incontrare gli atomi in modo tale da creare le condizioni per lagenerazione del cosmo, ma che non ha bisogno di essere spiegata perché èriconosciuta da tutti come il motore dell'universo.

6. 2. La visione dell'invisibile

Il discorso sulla casualità e la causalità è dunque collegato ad un sapereparticolare, specialistico, che non è alla portata di tutti, ma solo di coloroche riescono a scoprire, al di là di ciò che può sembrare casuale, le verecause del fenomeno, per lo più invisibili. "I fenomeni sono una vista dellecose invisibili" è una famosa massima che sintetizza i procedimenti sia

64 Eud. Fr. 53 Wehrli (Simpl. In Phys. 195b 31, 327,24) (68 A 67; B 167 DK; 19, 288 L.) ajlla;kai; Dhmovkrito" ejn oi|" fhsi Ædei'non ajpo; tou' panto;" ajpokriqh'nai pantoivwn eijdevwnÆ (pw'"de; kai; uJpo; tivno" aijtiva" mh; levgei) e[oiken ajpo; taujtomavtou kai; tuvch" genna'n aujtovn. kai;Anaxagovra" de; to;n nou'n ejavsa", w{" fhsin Eu[dhmo", kai; aujtomativzwn ta; polla;sunivsthsi. kai; tw'n poihtw'n de; e[nioi pavnta scedo;n eij" th;n tuvchn a[gousin, w{ste kai; th'"tevcnh" oijkeivan aujth;n poiei'n levgonte" Ætevcnh tuvchn e[sterxe kai; tuvch tevcnhnÆ. to;n eujtu-cou'nta de; kai; fronei'n fasi. pro;" de; touvtoi" oJrw'men e[nia tw'n ajpo; tevcnh" ginomevnwn kai;ajpo; tuvch" ginovmena: kai; ga;r uJgiveia kai; ajpo; tuvch" dokei' givnesqai w{sper ajpo; tevcnh".diyhvsa" ga;r kai; piwvn ti" yucro;n u{dwr gevgonen uJgihv". ajllæ i[sw" ou[ fhsi Dhmovkrito" th;ntuvchn aijtivan ei\nai ajlla; to; diyh'sai. Cf. anche il famoso discorso "che elimina il caso"riportato ancora da Eudemo Fr. 54a Wehrli (Simpl. In Phys. 196a 11, 330,14) (68 A 68 DK;24, 99 L.) to; de; kaqavper oJ palaio;" lovgo" oJ ajnairw'n th;n tuvchn pro;" Dhmovkriton e[oikeneijrh'sqai: ejkei'no" ga;r ka]n ejn th'i kosmopoiivai ejdovkei th'i tuvchi kecrh'sqai, ajllæ ejn toi'"merikwtevroi" oujdenov" fhsin ei\nai th;n tuvchn aijtivan ajnafevrwn eij" a[lla" aijtiva", oi|on tou'qhsauro;n euJrei'n to; skavptein h] th;n futeivan th'" ejlaiva", tou' de; katagh'nai tou' falakrou'to; kranivon to;n ajeto;n rJivyanta th;n celwvnhn, o{pw" to; celwvnion rJagh'i. ou{tw" ga;r oJEu[dhmo" iJstorei'.

65 De arte 5,4 (228,15-229,4 Jouanna = VI,8 Littré).

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delle arti, sia della ricerca sulla natura per tutta la seconda metà del V sec.a.C. Anassagora sembra averla enunciata, Democrito l'ha approvata edapplicata66 e così anche i polymatheis come Erodoto e i medici del CorpusHippocraticum. Il procedimento, al di là della sua teorizzazione conscia, ènaturalmente ben più antico e corrente nelle singole arti a cominciare dalladivinazione tecnica, dalla medicina, dall'agricoltura, dalla navigazione ecosì via. Dalla seconda metà del V sec. a.C. emerge tuttavia come presup-posto conscio e come tale viene ripetutamente citato dai vari autori. Dillernegli anni '3067 aveva individuato due tipi di procedimento che conduconodal visibile all'invisibile:

1. analogico, che presupporrebbe una identità di fondo fra i diversi am-biti del cosmo e fra le cose che lo popolano e chiarirebbe il fenomenonascosto istituendo un confronto con un fenomeno visibile,

2. semeiotico, che istituirebbe una relazione diretta di causa ed effettofra il visibile e l'invisibile. Il fenomeno è causato da un processo nascostoche può essere intuito osservandone gli effetti.

Ambedue questi metodi si inseriscono in un discorso più ampio sul-l'interpretazione dei segni su cui si ritornerà più oltre. Qui vale la penasoffermarsi su ciascuno di questi due punti in una prospettiva diversarispetto a quella di Diller e di altri dominata dai modelli epistemologicimoderni. La massima stessa o[yi" ajdhvlwn ta; fainovmena indirizza infattiprimariamente non verso un procedimento "scientifico" empirico-indut-tivo in senso moderno, ma piuttosto verso un procedimento "retorico" ecomunicativo, quello cioè della "visualizzazione dell'invisibile", che corri-sponde in ultima analisi allo scopo dei discorsi e degli scritti di questoperiodo. Si tratta, come si vedrà, di un cardine non solo del "metodo"democriteo, ma della fisica e della medicina del V sec. a.C. in generale.

6. 2. 1. Visualizzare l'invisibile: l'immagine analogica

Diller giudicava l'analogia un procedimento "arcaico"68 e riteneva perciò diindividuarne solo sporadici esempi in Democrito. In realtà questo proce-dimento non è né arcaico né rozzamente esplicativo, ma tende soprat-tutto, come hanno evidenziato alcuni studi sulle similitudini omeriche, arendere immediatamente "evidente" e "presente" a chi ascolta, il feno-meno che si sta descrivendo, è insomma un mezzo per "visualizzare" e

66 Sext. Emp. Adv. Math. 7,140 (59 B 21a DK; 68 A 111 DK; 81 L.).67 Diller 1932, 17ss.68 Diller 1932, 36s.; cf. anche Mau 1952-53, 6.

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suscitare emozioni corrispondenti nella memoria dell'ascoltatore69. Inquesto senso l'uso dell'analogia va inquadrato nel contesto più ampio delladefinizione della figura del meteorologos (così viene designato il filosofo dellanatura) che si va delineando nell'ultimo terzo del V sec. a.C. Gorgia attri-buisce proprio ai Meteorologoi una particolare capacità di visualizzare l'invi-sibile. Sono loro infatti che, nei loro discorsi, "fanno apparire agli occhidell'opinione l'incredibile e l'invisibile"70. L'analogia, in quanto strumentodi "visualizzazione" e di "impatto" sul pubblico, lungi dall'essere un resi-duo "arcaico", è un procedimento fondamentale nella fisica dell'ultimoterzo del V sec. a.C. e si armonizza perfettamente con quello che in que-sto periodo veniva visto come lo scopo della "ricerca" (iJstoriva), anchequella sulla natura, cioè il qewrei'n. Nel suo uso originario questo verbo,così come il corrispondente sostantivo qewriva non implica una egocen-trica contemplazione, ma ha una forte connotazione sociale: è un "osser-vare per riferire". La theoria era infatti un incarico ufficiale affidato dallacittà a eminenti personaggi i quali avevano il compito di assistere a feste epartecipare alle corrispondenti cerimonie religiose di altre città per poiriferire al loro ritorno ai concittadini quanto avevano visto71. Sebbenenell'ultimo quarto del V sec. a.C. il significato del termine si evolva sem-pre di più verso l'aspetto della contemplazione fine a se stessa, il filosofodella natura che "osserva"72 con gli occhi della gnwvmh, ma comunica anchead un pubblico quanto ha visto, mantiene comunque in parte anche que-sto ruolo pratico del theoros, presentandosi come mediatore dell'invisibile:egli visualizza attraverso immagini ciò che i profani non riescono a vederee "trasporta" il suo pubblico in un ambito che gli viene normalmenteprecluso. In quanto tramite con gli ajfanh' egli si pone come figura di rife-rimento sullo stesso piano del mantis o del magos che vedono l'invisibile perdono divino, prendendo però nel contempo le distanze da una certa am-

69 Questa funzione della similitudine omerica era già stata sottolineata da Fränkel nella suaHabilitationsschrift sul tema (1921, 98s.) ed è stata ripresa in alcuni studi sull'epica omericadell'ultimo decennio, cf. in particolare Bakker 2005, 134s.; Minchin 2001, cap. IV. L'a-spetto della visualizzazione in singoli termini tecnici democritei era già stato colto da vonFritz 1938, 25-30. Per l'analogia in questa funzione nel Corpus Hippocraticum, cf. Langholf1987 con bibliografia.

70 82 B 11,13 DK …tou;" tw'n metewrolovgwn lovgou", oi{tine" dovxan ajnti; dovxh" th;n me;najfelovmenoi th;n d ejnergasavmenoi ta; a[pista kai; a[dhla faivnesqai toi'" th'" dovxh" o[mmasinejpoivhsan.

71 Sul significato di theoria e sull'evoluzione semantica del termine, cf. Rausch 1982;Nightingale 2004 esplora soprattutto l'aspetto filosofico del termine dal IV sec. a.C. in poi.

72 Cf. Eur. Fr. 910,5s. Kannicht. ajllæ ajqanavtou kaqorw'n fuvsew"/ kovsmon ajghvrwn, supra n. 2.Questo frammento, insieme all'affermazione di Gorgia è un chiaro segno che la "visione"è, contrariamente a quanto afferma Nightingale 2004, 32s., un elemento fondamentalenella ricerca sulla natura già nel V sec. a.C.

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biguità insita in quelle figure. Il fisico si limita infatti a "contemplare" lanatura senza alcuna velleità di manipolarla73.

Nonostante Diller, dunque, l'uso dell'analogia si inserisce perfetta-mente nel quadro della ricerca sulla natura e soprattutto della mediazionedi questo sapere ad un pubblico di profani colti, non solo, ma è ampia-mente documentato nei testi di e nelle testimonianze su Democrito cheDiller non conosceva o aveva sottovalutato. Egli citava solo due esempianalogici: la formazione del vento, spiegata attraverso l'esempio dell'affol-lamento di molte persone in una strada stretta74, e l'attrazione dei similiesemplificata attraverso l'aggregazione degli animali, dei semi setacciati edei ciottoli raggruppati dal movimento ondulatorio del mare75. Tuttaviaimmagini analogiche che rimandano all'ambito socio-politico, medico,tecnico, giocano, come si è già visto, un ruolo fondamentale nella descri-zione delle caratteristiche dell'atomo e in generale in tutta la fisica demo-critea come del resto nei contemporanei scritti ippocratici76. Altre eviden-ziano in particolare la stretta relazione fra microcosmo e macrocosmo,corpo umano e fenomeni meteorologici o parti del cosmo, confermandotestimonianze tarde e controverse secondo cui Democrito avrebbe affer-mato che "l'uomo è un piccolo cosmo"77. Le vene sono "cisterne"(dexamenaiv)78, in una analogia che mette sullo stesso piano il "corpo"terrestre e quello umano e che anticipa di gran lunga la concezionestoica79. L'orecchio è un "serbatoio di discorsi" (ejkdocei'on muvqwn) inquanto raccoglie e trattiene la voce come in un vaso80. Navigazione etempeste sono invece preponderanti nella rappresentazione dell'embrione:il cordone ombelicale è un "un ancoraggio contro violenta burrasca evagare errabondo"81. Il feto nelle zone settentrionali, dove regna il gelo esoffia Borea, si mantiene saldo nell'utero e "non viene scosso come da

73 Cf. su questo tema Gemelli Marciano 2006, 225-229.74 Sen. Nat. quaest. 5,2 (68 A 93a DK; 12, 371 L.).75 Sext. Emp. Adv. Math. 7,116 (68 B 164 DK; 11, 316 L.). Cfr. anche Ps.-Plut. 4,19, 902 C-

D; (68 A 128 DK; 11, 316, 491, 565 L.).76 Sulle analogie esplicite ed "implicite", cioè sotto forma di immagini e metafore negli scritti

ippocratici, cf. Langholf 1989.77 Gal. De usu Part. 3,10 (I,177,10 Helmreich = III,241 K.); David Prol. 38,14 (68 B 34 DK;

10 L.).78 Hesych. s.v. dexamenaiv (68 B 135 DK; 828 L.) uJdavtwn docei'a, kai; ejn tw'i swvmati flevbe".

Dhmokrivtou. V. anche supra, V 4 n. 103.79 Cf. Gemelli Marciano 2007, 234.80 Porph. In Ptolem. Harm. 32,10 (68 A 126a DK; 480, 489 L.).81 Plut. De am. prol. 495 E (68 B 148 DK; 537 L.), v. supra, n. 30.

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marosi" poiché rimane "al riparo dai flutti e in bonaccia"82. Non si devedimenticare che, nell'anatomia ippocratica, e in generale nella medicinafino a Sorano, l'utero è un organo "vagante"83 e quindi, per definizione,instabile e che la descrizione dell'embrione è perciò perfettamente in con-sonanza con l'immagine di una nave fluttuante sul mare in burrasca.

Anche il percorso analogico contrario, dai fenomeni del corpo a quellicosmici, veniva utilizzato da Democrito e da Leucippo. La cosmogoniastessa, come si è già visto, è basata sull'analogia con la formazione del-l'embrione, ma anche nell'eziologia dei terremoti compariva un'esplicitaanalogia con la fisiologia umana: i terremoti che si verificano quando laterra è molto secca sono dovuti al fatto che le parti più secche attiranol'acqua che si trova nei rivoli sotterranei la quale, cadendo, fa tremare laterra. Allo stesso modo il corpo è scosso da un tremito quando, nellavescica vuota, affluiscono aria e liquido caldo84. L'autore del trattato ippo-cratico De morbis IV, che si serve ampiamente di esempi analogici, usa, alcontrario, un esperimento dal mondo inanimato, e cioè il procedimento diestrazione del ferro attraverso successive combustioni, per spiegare losviluppo dei calcoli nella vescica sottolineando che, in quel caso, ciò cheavviene "è ben visibile"(kai; o[yei oJra'tai to; ginovmenon)85.

L'analogia fra due ambiti zoologici sta invece alla base di un attributodell'osso frontale dei buoi, tenqrhniwvdh", un termine che Eliano qualificaespressamente come democriteo spiegandolo poi come shraggw'de"86.Tenqrhvnion è il favo, tenqrhniwvdh" significa dunque "pieno di cellettecome un favo" cioè poroso. In effetti i buoi senza corna hanno un ossofrontale "respingente" (ajntivtupo") il quale non può accogliere il "flussocongiunto" (surroiva) degli umori che arrivano dall'interno del corpo efarli passare all'esterno come avviene nel caso della normale crescita dellecorna.

Le analogie non si limitano però ai corpi viventi, ma si estendono an-che agli oggetti inanimati. Democrito spiegava la sensazione della conti-

82 Ael. Hist. nat. 12,17 (68 A 152 DK; 521 L.) eij de; ei[h pavgo" kai; borra'" katapnevoi, sum-pevphge me;n to; e[mbruon, duskivnhton dev ejsti kai; ouj taravttetai wJ" uJpo; kluvdwno", a{te de;a[kluston kai; ejn galhvnhi o ]n e[rrwtaiv te kai; e[sti suvntonon.

83 Cf. e.g. Manuli 1983, 156-158; Hanson 1991, 81-87; Dean-Jones 1994, 69-77.84 Olymp. ar. Meteor. (Strohmaier 1998, 363) "zur Zeit fehlenden Regens hingegen entstehen

die Erdbeben, weil dann, wenn die Erde trocken ist, sie die Feuchtigkeit mit dem ihr eige-nen Verlangen zu sich zieht. Und wenn ebenso das, was sie von den Wasserläufen in ihranzieht, herabfällt, bewegt es sie wegen seiner Nähe zu ihr, und es entstehen Erdbeben, sowie der Wind und die Warme Flüssigkeit ein Zittern im ganzen Körper verursachen, wennsie nach der Entleerung des Urins in die Blase eindringen". Questa teoria è nel testoespressamente attribuita a Democrito.

85 Morb. IV 55,3 (118,3 Joly = VII,602 Littré).86 Ael. Hist. nat. 12,20 (68 A 155 DK; 542 L.), v. supra, III 4. 2. 2 n. 146.

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nuità della via lattea con l'esempio del sale: davanti ad un insieme fittis-simo di minutissimi granelli di sale sparsi su una superficie, abbiamo lasensazione di un corpo continuo87. Nel caso della via lattea, gioca anche ladistanza, ma il principio rimane lo stesso. Questo esempio è anche nelcontempo un indizio del fatto che i corpi apparentemente continui sonoinvece composti di minutissimi corpuscoli. I terremoti che si verificanodopo forti piogge venivano spiegati attraverso l'analogia con i vasi pieni dimosto. I corsi d'acqua che scorrono nella terra, a causa di queste piogge,vengono invasi da una quantità di acqua che essi non sono in grado dicontenere. Le acque che già vi scorrono si rivolgono su se stesse ed eser-citano, con quelle che vi affluiscono, una reciproca pressione che scuote laterra. Allo stesso modo i vasi che vengono riempiti di mosto più del do-vuto si crepano e si rompono per effetto dei "venti" che vi si sviluppano88.I vasi vengono ancora impiegati per instaurare un'altra analogia con fe-nomeni meteorologici come la formazione della neve: a differenza dellagrandine, che è ghiaccio compatto, la neve si scioglie facilmente. Questoperché si forma non a grandi altezze, ma nello strato di aria vicino allaterra che trattiene, in quanto più compatto, il calore che ha ricevuto dalsole. Per dimostrare questo fatto Democrito citava un'analogia: se si pon-gono al sole un vaso di bronzo e uno di vetro, il primo si riscalderà piùvelocemente e conserverà il calore più a lungo perché i corpi più duri ecompatti hanno pori più piccoli e sentono prima il calore89. L'analogia con

87 Achill. Isag. 24, 55,24 Maas (68 A 91 DK; 418 L.) a[lloi de; ejk mikrw'n pavnu kai; pe-puknwmevnwn kai; hJmi'n dokouvntwn hJnw'sqai dia; to; diavsthma to; ajpo; tou' oujranou' ejpi; th;ngh'n ajstevrwn aujto;n ei\naiv fasin, wJ" ei[ ti" aJlavsi leptoi'" kai; polloi'" katapavseiev ti.Achille è l'unico a riportare l'analogia del sale. La concezione democritea della via latteacompare senza l'esempio analogico anche in Aristotele (Meteor. A 8, 345a 25), e nella dos-sografia (Ps.-Plut. 3,1, 893 A; Stob. 1,27,1 = 68 A 91 DK; 418 L.). Cfr. anche Posid. F 130E.-K. (Macr. In somn. Scip. 1,15,6 Democritus innumeras stellas brevesque omnes, quae spisso tractu inunum coactae, spatiis quae angustissima interiacent opertis, vicinae sibi undique et ideo passim diffusae lu-cis aspergine continuum iuncti luminis corpus ostendunt). Un'ulteriore testimonianza anonima, masicuramente relativa a teorie democritee in quanto la formulazione è del tutto simile aquella di Macrobio, si ritrova in Sen. Nat. quaest. 7,12,1.

88 Olymp. ar. Meteor. (Strohmaier 1998, 363) In der Erde sind gefüllte Wasserläufe, und wennaus diesem Grunde in die Wasserläufe aus den Quellen zur Zeit des Regens viel andereGewässer eindringen und mehr als sie fassen können, wenden sich diese Gewässer zurückund bedrängen sich gegenseitig auf eine Weise, dass es die Erde erschüttert, so wie dieMostkrüge platzen und zerbrechen, wenn sie mehr als zulässig gefüllt werden, wegen derWinde, die davon entstehen.

89 Sen. Nat. quaest. 4,8,1 Unam rem ad hoc adiciam et favere te ac plaudere iuvabit. Aiunt nivem in eaparte aeris fieri quae prope terras est. Hanc enim plus habere caloris ex quattuor causis […] 9,1 Accedithis ratio Democriti: «Omne corpus, quo solidius est, hoc calorem citius concipit, diutius servat. Itaque si insole posueris aeneum vas et vitreum, aeneo citius calor accedet, diutius haerebit». Adicit deinde quare hocexistimet fieri. «His, inquit, corporibus quae duriora et pressiora sunt necesse est minora foramina esse ettenuiorem in singulis spiritum»; sequitur ut quemadmodum minora balnearia et minora miliaria citiuscalefiunt, sic haec foramina occulta et oculos effugientia et celerius fervorem sentiant et propter easdem angu-

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la clessidra (usata dagli autori del V sec. a.C. in diversi contesti) venivaimpiegata per spiegare perché la terra sta immobile sopra l'aria90.

L'analogia pervade anche il dominio dell'atomo. Nastovn è un dolce oun pane compatto usato talvolta come dolce sacrificale, il movimentodegli atomi viene descritto con un linguaggio della sfera politico-militarecome si è già visto. Qui si può aggiungere ancora qualche esempio. De-mocrito definiva la spinta dinamica degli atomi che vanno verso l'altosou'n, termine spartano per indicare la "carica", come risulta dal Cratiloplatonico91 ed equiparava l'azione degli atomi del caldo di tenere sospesesull'acqua le lamine larghe e piatte ad un "tenere all'ancora", un terminetecnico della navigazione92. E' Aristotele a restituire questi due termini e aparafrasare il contesto in cui essi erano contenuti

infatti si pone ora il problema del perché le lamine di ferro larghe e il piombogalleggino sull'acqua93, altre, invece, più piccole e meno pesanti, quando siano diforma rotonda o allungata come un'ago, siano trascinate verso il basso, e delperché alcuni corpuscoli, come il pulviscolo e altri piccoli frammenti di terra e dipolvere, fluttuino per la piccolezza nell'aria. Il ritenere causa di tutti questi feno-meni quella che adduce Democrito, non è esatto. Quello infatti dice che gli atomidel caldo che dall'acqua salgono in alto "tengono all'ancora" i corpi larghi fraquelli pesanti, quelli stretti, invece precipitano; pochi sono infatti gli atomi chefanno loro resistenza. Ma questo dovrebbe verificarsi a maggior ragione nell'aria,una obiezione che lui stesso solleva. Ma, dopo averla sollevata, la risolve in ma-niera inadeguata: infatti dice che la "carica" non si dirige in una sola direzione,chiamando "carica" il movimento dei corpi che vanno verso l'alto94.

stias, quicquid receperunt, tardius reddant. La conclusione (sequitur…) con la similitudine delleserpentine dei bagni proviene da Seneca che la usa anche altrove (3,24,2).

90 Arist. De cael. B 13, 294b 13 (13 A 20 DK; 376 L.) che la attribuisce congiuntamente adAnassimene, Anassagora e Democrito.

91 Pl. Crat. 412b Lakwnikw'i de; ajndri; tw'n eujdokivmwn kai; o[noma h\n ÆSou'"Æ: th;n ga;r tacei'anoJrmh;n oiJ Lakedaimovnioi tou'to kalou'sin.

92 Cf. Hdt. 6,116; 7,100, 168; 9,13.93 L'esempio di foglie e lamine d'oro che galleggiano sull'acqua era stato utilizzato anche da

Anassagora secondo quanto riporta un frammento arabo del commentario ai Meteorologicaaristotelici di Olimpiodoro (perduto nella versione greca) per dimostrare che la terra, es-sendo larga, può stare sospesa sull'aria, cf. Strohmaier 1998, 362 Die Ansicht seiner (vonAnaximenes) Schüler Anaxagoras ist die, daß er sagt: "Die Luft trägt die Erde von Naturaus wegen ihrer Ausdehnung in der Breite, so wie das Wasser Blätter und Goldplättchenträgt".

94 Arist. De cael. D 6, 313a 16 (68 A 62 DK; 375 L.) ajporei'tai ga;r nu'n dia; tiv ta; platevasidhvria kai; movlibdo" ejpiplei' ejpi; tou' u{dato", a[lla de; ejlavttw kai; h|tton bareva, a]n h\istrogguvla h] makra;, oi|on belovnh, kavtw fevretai, kai; o{ti e[nia dia; mikrovthta ejpiplei',oi|on to; yh'gma kai; a[lla gewvdh kai; koniortwvdh ejpi; tou' ajevro". peri; dh; touvtwn aJpavntwnto; me;n nomivzein ai[tion ei\nai w{sper Dhmovkrito" oujk ojrqw'" e[cei. ejkei'no" gavr fhsi ta;ajnaferovmena qerma; ejk tou' u{dato" ajnakwceuvein ta; plateva tw'n ejcovntwn bavro", ta; de;stena; diapivptein: ojlivga ga;r ei\nai ta; ajntikrouvonta aujtoi'". e[dei dæ ejn tw'i ajevri e[ti ma'l-

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Capitolo settimo 305

Ancora al linguaggio militare (e specificamente al lessico dell'assedio)riporta la descrizione della disposizione degli atomi che producono glioggetti bianchi scabri. Essi sono grandi e disposti in raggruppamenti nontondeggianti, ma "a gradini" (prokrovssa") ed hanno ciascuno un aspettomisto come i terrapieni innalzati davanti alle mura95. Un'analogia implicitasta alla base della determinazione della dimensione degli atomi del salato.Lamine larghe galleggiano sull'acqua, il salato sta in superficie, dunque gliatomi che lo producono sono anch'essi grandi e larghi96.

Democrito, come i meteorologoi descritti da Gorgia, "visualizza" dunquenei suoi discorsi una realtà nascosta attraverso immagini a tutti accessibili,prese dalla vita quotidiana.

6. 2. 2. Riconoscere i segni: i mediatori dell'invisibile e l'esercizio dellagnwvmh

La stessa centralità dell'"osservazione" e della conseguente "visualizza-zione" sta anche alla base anche dell'altro procedimento di interpretazionedei segni che Diller definisce semeiotico. Dall'osservazione dei fenomenivisibili si parte per stabilirne le cause nascoste, per aprire cioè una finestrasull'invisibile. Questo non significa che i fisici del V sec. a.C. esaminassero"obiettivamente" e accuratamente tutti i "dati" empirici e li sottopones-sero alla prova di verifica per poi formulare le loro tesi. Questo sarebbedel tutto anacronistico in un contesto come quello delineato or ora. Al-lora, ben più di oggi, l'osservazione era abbondantemente influenzata daipotesi e tesi precostituite97, ma il punto fondamentale non è questo, bensìil fatto che essa fornisce comunque dei "segni" che devono essere ricono-

lon tou'to poiei'n, w{sper ejnivstatai kajkei'no" aujtov". Allæ ejnsta;" luvei malakw'": fhsi; ga;roujk eij" e}n oJrma'n to;n sou'n, levgwn sou'n th;n kivnhsin tw'n a[nw feromevnwn swmavtwn.

95 Theophr. De sens. 79 (68 A 135 DK; 484 L.) ejk megavlwn ga;r ei\nai tau'ta (scil. ta; leuka;tw'n tracevwn) kai; ta;" sundevsei" ouj periferei'" ajlla; prokrovssa", kai; tw'n schmavtwn ta;"morfa;" mignumevna" w{sper hJ ajnavbasi" kai; ta; pro; tw'n teicw'n e[cei cwvmata. La lezione deimanoscritti, mignumevna", contrariamente a quanto sosteneva Diels, app. ad loc., cf. ancheSassi 1978, 140 n. 107, ha un senso, se si considera che morfhv (la foggia, cioè l'aspetto dellasuperficie liscia, scabra etc.) è diverso da sch'ma (la figura rotonda, irregolare, aguzza etc.;cf. De sens. 66 l'atomo che produce l'amaro è piccolo, liscio e rotondo). Ciascun atomo hainfatti un aspetto "misto", vale a dire è in certi punti liscio, in altri ruvido come appunto unterrapieno.

96 Theophr. De sens. 66 (68 A 135 DK; 496 L.). Una allusione agli atomi del salato di Demo-crito, è da vedersi anche in De caus. plant. 6,10,3 h{kistav te uJpo; tou' hJlivou ajnavgesqai (scil.to; aJlmuro;n), kai; ejpipolavzein, pantacou' ga;r plateva kai; megavla toi'" uJgroi'" ejpifevre-sqai, ajsuvmplekta de; kai; a[kolla dia; to; mhde;n e[cein skalhnev", ajlla; gwnoeidh' te ei\naikai; polukamph'. Cf. Mc. Diarmid 1959, 58.

97 Cf. Lloyd 1979, 155ss..

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sciuti come tali e interpretati per poter "vedere" oltre. E' nell'ottica del-l'interpretazione dei segni e della visualizzazione di ciò che rimane nasco-sto, piuttosto che in quella del procedimento empirico moderno, che sidelinea il percorso "da ciò che appare all'invisibile". Questa via ha unalunga tradizione dietro di sé che in ultima analisi risale alla mantica e ac-comuna indovini, medici, meteorologoi, insomma tutti coloro che hannosviluppato delle tecniche di osservazione e di visualizzazione in base adeterminati criteri. Non tutti i segni sono infatti significativi, come risultachiaramente dai trattati ippocratici e dal patrimonio di osservazioni co-mune ai cosiddetti presocratici. La capacità dello specialista sta appuntonel saper riconoscere e interpretare i segni giusti nel modo giusto. Neitrattati ippocratici emerge proprio su questo punto un confronto più omeno esplicito con gli altri specialisti dei segni, gli indovini. Nella pro-spettiva dei medici costoro si differenziano proprio per la non univocità diinterpretazione: lo stesso segno sembra agli uni favorevole, agli altri fune-sto e ciò indica incertezza nella diagnosi e carenza di metodo, cose che unmedico non può permettersi98: la casistica dei segni da interpretare deveessere ben determinata, le deduzioni che se ne possono trarre universal-mente riconosciute e chiaramente codificate e, soprattutto, come sottoli-nea l'autore di Prorrhetikos II, accuratamente ponderate99.

Per risalire alle cause di un fenomeno, non c'è bisogno di tanti segni,basta interpretarne correttamente anche uno solo. La speciale autoritàriconosciuta all'"esperto" in questo campo giustifica il fatto che non ci siaquasi mai un grande accumulo di prove, di tekmhvria o shmei'a, negliscritti ippocratici più teorici. Quando c'è, gli autori ippocratici sigiustificano per questo. L'autore dello scritto De Morbis IV adduce comegiustificazione la necessità di persuadere un vasto numero di persone chesostengono un'opinione errata.

E io non avrei aggiunto queste prove al mio discorso, se tantissime persone noncredessero che ciò che si beve va al polmone; e necessariamente davanti ad opi-nioni così radicate si devono portare molte prove se si vuole, coi propri discorsi,persuadere l'uditore a recedere dal suo precedente giudizio100.

L'autore infatti ha citato ben sette prove per dimostrare che il liquido chesi beve non va al polmone, ma nel ventre.

98 Acut. 8,2 (39,12 Joly = II,242 Littré).99 Prorrh. II 2-3 (221-227 Potter = IX,10-14 Littré).100 Morb. IV 56,7 (121,16 Joly = VII,608 Littré) kai; tau'ta oujd a]n ejphgagovmhn e[gwge tw'i

lovgwi ªtou'to iJstovrionº oujdevn, eij mh; o{ti polloi; kavrta tw'n ajnqrwvpwn dokevousin ej" to;npleuvmona cwrei'n, kai; ajnavgkh ejsti; pro;" ta; ijscurw'" dokevonta ta; polla; iJstovria ejpavge-sqai, ei[ ti" mevllei to;n ajkouvonta ejk th'" pri;n gnwvmh" metastrevyai toi'sin eJwutou' lovgoisipeivsein.

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Nel processo che va dall'individuazione all'interpretazione dei segni èimportante l'uso corretto delle percezioni garantito dalla gnwvmh. La gnwvmhè la capacità di discernimento che permette di scegliere, fra le informa-zioni che si offrono alla vista, all'udito e agli altri organi, quelle utili, diinterpretarle, di istituire collegamenti fra vari ambiti e in definitiva di rico-struire un quadro d'insieme per prevedere e dominare una certa situazionecritica. La gnwvmh non è solo una facoltà innata, ma anche una capacità di"vedere oltre" che si sviluppa col tempo e con l'esercizio. E' quella di chivaluta, come Erodoto, quali informazioni sono attendibili e quali no ed ècapace di fare considerazioni su ciò che non ha visto partendo da ciò checonosce, quella del medico che diagnostica e prevede attraverso i segni lemalattie invisibili e le loro cause, quella del Meteorologos che, osservando ifenomeni celesti, ne individua le cause e prevede terremoti ed eclissi. Es-sere capaci di interpretare i "segni" che si colgono con la vista, l'udito,l'odorato, il tatto, non è dunque cosa di tutti, ma richiede una natura ade-guata, un lungo esercizio pratico e una osservazione sul campo. Chi inter-preta i segni deve avere l'autorità per farlo. I medici, per motivi corpora-tivi, lo dichiarano apertamente. Secondo l'autore del De arte i profani chesoffrono di malattie invisibili non sono in grado neppure di descriverecorrettamente i loro mali perché si basano su loro opinioni e non sullaconoscenza del corpo e delle malattie

Ed effettivamente anche le informazioni che i malati di malattie invisibili cercanodi fornire sulle loro malattie a coloro che li curano, sono basate sull'opinione,piuttosto che su un vero sapere; se infatti avessero questo sapere, non sarebberocaduti preda delle malattie; è infatti compito della stessa intelligenza conoscere lecause delle malattie e saperle curare con tutti i rimedi che impediscono loro diaggravarsi. Quando dunque a chi cura non è possibile trarre una infallibile echiara conoscenza dalle informazioni che gli vengono fornite, deve rivolgere lapropria attenzione anche ad altro101.

Nel De flatibus viene allo stesso modo sottolineato come le cose più diffi-cili della medicina (cioè le malattie nascoste) possano essere conosciutesolo ai medici e non ai profani perché "non sono fatti che cadono sotto ildominio del corpo, ma della gnwvmh"102. L'accumulo di osservazioni nei

101 De arte 11,4 (237,17 Jouanna = VI,20 Littré) kai; ga;r dhv, kai; a} peirw'ntai oiJ ta; ajfanevanosevonte" ajpaggevllein peri; tw'n noshmavtwn toi'si qerapeuvousi, doxavzonte" ma'llon h]eijdovte" ajpaggevllousin: eij ga;r hjpivstanto, oujk a]n perievpipton aujtoi'si: th'" ga;r aujth'"sunevsiov" ejstin h|sper to; eijdevnai tw'n nouvswn ta; ai[tia, kai; to; qerapeuvein aujta;" ejpivsta-sqai pavshisi th'isi qerapeivhisin, ai} kwluvousi ta; noshvmata megaluvnesqai. o{te ou\n oujdejk tw'n ajpaggellomevnwn e[sti th;n ajnamavrthton safhvneian ajkou'sai, prosoptevon ti kai;a[llo tw'i qerapeuvonti.

102 Flat. 1,3 (103,6 Jouanna = VI,90 Littré) kai; ta; me;n flau'ra (scil. th'" tevcnh") toi'sinijhtroi'sin mouvnoisin e[stin eijdevnai kai; ouj toi'si dhmovthisin: ouj ga;r swvmato" ajlla;gnwvmh" ejsti;n e[rga.

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Atomismo antico e contesto culturale308

trattati clinici come le Epidemie, che forniscono uno strumento diagnosticoper gli autori stessi e per gli altri, e l'elenco dei segni da osservare nelPrognosticon mostrano che la gnwvmh dello specialista si costituisce ancheattraverso l'esercizio al riconoscimento e all'interpretazione del segnogiusto. L'osservazione è dunque fondamentale, ma è focalizzata su deter-minati "segni", quelli giudicati "significativi" nel campo specifico. Nelprocedimento di osservazione è implicito dunque anche un criterio selet-tivo determinato dall'ambito in cui questa viene fatta e dal suo scopo. Inogni caso l'importante è il principio secondo cui chi osserva i segni concognizione può "vedere" ciò che è invisibile: "quanto infatti sfugge allavista degli occhi, viene dominato dallo sguardo della gnwvmh"103, come af-ferma l'autore del De arte parlando delle malattie interne invisibili104. Lostesso medico fornisce un esempio di come e di che cosa si possa "ve-dere" partendo dai segni: egli afferma che tutte le parti del corpo, anchequelle non carnose, possiedono dei vuoti, degli interstizi e delle cavità edimostra il suo assunto attraverso l'esempio del liquido sinoviale che sisviluppa proprio in parti ossee e dure come le articolazioni: quando fuo-riesce, "annuncia" (kataggevllei) che là si nascondono delle "camere"(qalavma") che "si aprono"105. Questa "prova" è anche interessante per ilcontesto e il modo in cui viene enunciata. Essa infatti, in quanto tale,viene portata a sostegno di una tesi precedentemente delineata, del fattocioè che i corpi contengono vuoti e cavità, un assunto derivato a sua voltada una tradizione di osservazioni mediche. Inoltre la forza della prova el'autorità del medico vengono consolidate attraverso un'immagine di tipo"politico" altamente evocativa, quella del "messaggero" (il liquido) cheannuncia ufficialmente al medico (per conto della natura stessa) che cosasi nasconde all'interno delle parti ossee delle ginocchia: delle "camere" chesi sono "aperte". In una prospettiva "scientifica" moderna questo "segno"

103 De arte 11,1 (237,11 Jouanna = VI,18 Littré) o{sa ga;r th;n tw'n ojmmavtwn o[yin ejkfeuvgei,tau'ta th'i th'" gnwvmh" o[yei kekravthtai. kai;; o{sa d ejn tw'i mh; tacu; ojfqh'nai oiJ nosevonte"pavscousin, oujc oiJ qerapeuvonte" aujtou;" ai[tioi, ajllæ hJ fuvsi" h{ te tou'nosevonto", h{ tetou'noshvmato". oJ me;n ga;r, ejpei; oujk h\n aujtw'i o[yei ijdei'n to; mocqevon oujd ajkoh'i puqevsqai,logismw'i methviei.

104 De arte 9,2 (234,13 Jouanna = VI,16 Littré) e[sti ga;r toi'si tauvthn th;n tevcnhn iJkanw'"eijdovsi ta; me;n tw'n noshmavtwn oujk ejn dusovptwi keivmena kai; ouj polla;, ta; dæ oujk ejneujdhvlwi kai; pollav ejsti: ta; me;n ga;r pro;" ta; ejnto;" tetrammevna ejn dusovptwi, ta; dæ ejxan-qeu'nta ej" th;n croih;n h] croih'i h] oijdhvmasin ejn eujdhvlwi: parevcei ga;r eJwutw'n th'i te o[yeitw'i te yau'sai th'" stereovthto" kai; th'" uJgrovthto" aijsqavnesqai. 11,6 (238,16 Jouanna =VI,20 Littré) prolambavnei (scil. to; novshma th;n qerapeivhn) de; diav te th;n tw'n swmavtwnstegnovthta, ejn h|i oujk ejn eujovptwi oijkevousin aiJ nou'soi...

105 De arte 10,5 (236,15 Jouanna = VI,18 Littré) kai; aujta; ta; a[rqra ejn oi|sin aiJ sumbolai; tw'nkineomevnwn ojstevwn ejgkuklevontai, kai; touvtwn oujde;n o| ti oujc u{pafrovn ejsti kai; e[conperi; aujto; qalavma" a}" kataggevllei oJ ijcwvr, o{", ejkdioigomevnwn aujtevwn, pollov" te kai;polla; luphvsa" ejxevrcetai.

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Capitolo settimo 309

non dimostra naturalmente nulla, ma nel contesto di questo trattato ha unenorme peso, non solo perché si appoggia sul bagaglio di conoscenzetecniche dello specialista, ma anche perché sottolinea il fatto che la naturastessa "collabora" col medico mandandogli dei "segni" che solo lui sadecifrare. Il valore di verità delle sue affermazioni è dunque garantito dalsuo rapporto privilegiato con la natura.

Nel contesto del riconoscimento dei segni il rapporto vista, udito,tatto/ gnwvmh è posto dall'autore del De arte, come da altri medici ippocra-tici, non sul terreno dell'antinomia, ma su quello della complementarietà.La vista della gnwvmh arriva là dove la vista, l'udito, il tatto non possonoprocedere, ma anche questi sono fondamentali per cogliere i "segni" per-ché vengono usati da chi "sa" dove e che cosa guardare, toccare, odorare.L'autore del De officina medici, un trattato chirurgico redatto verso la finedel V e l'inizio del IV sec. a.C. che illustra in maniera compendiaria comesi deve attrezzare lo studio del medico e in che modo si deve operare,apre il suo scritto proprio con una considerazione sulla necessità di esa-minare il paziente cominciando dai segni più evidenti e con tutte le facoltàpercettive, nelle quali è inclusa, sullo stesso piano delle altre, anche lagnwvmh.

[Guardare] ciò che è simile o diverso [dal normale], cominciando da principio,dai segni più evidenti, dai più facili ad individuarsi, da quelli che si possono rico-noscere in ogni modo e completamente, quelli che si possono vedere, toccare esentire; quelli che si possono percepire con la vista, il tatto, l'udito, il naso e la lingua e il giu-dizio; quelli che possono essere conosciuti con tutte le nostre facoltà cognitive106.

Questo sostrato è importante anche per comprendere il rapporto fragnwvmh skotivh e gnwvmh gnhsivh in Democrito, l'una, quella che percepisce isegni, l'altra, quella che li seleziona e li interpreta. Sebbene la seconda siachiaramente superiore alla prima perché permette di penetrare nell'ambitodel "più sottile", esse sono in ogni caso complementari.

Egli dice letteralmente: "ci sono due specie di giudizio, l'uno è legittimo, l'altro èbastardo; a quello bastardo appartengono tutte queste facoltà: la vista, l'udito, l'odo-rato, il gusto, il tatto, quello legittimo è invece distinto da questo". Poi, giudicandoquello legittimo superiore a quello bastardo aggiunge: "quando quello bastardonon può più né penetrare con lo sguardo nel più piccolo, né udirlo, né odorarlo,né gustarlo né percepirlo col tatto, ma verso il più sottile…"107

106 Off. 1 (I,30,1 Kühlewein = III,272 Littré) h] o{moia h] ajnovmoia, ejx ajrch'" ajpo; tw'n megivstwn,ajpo; tw'n rJhivstwn, ajpo; tw'n pavnth pavntw" gignwskomevnwn, a} kai; ijdei'n kai; qigei'n kai;ajkou'sai e[stin, a} kai ; th'i o[yei kai; th'i aJfh'i kai; th'i ajkoh'i kai; th'i rJini; kai; th'i glwvsshikai; th'i gnwvmhi e[stin aijsqevsqai, a{, oi|" ginwvskomen a{pasin, e[stin gnw'nai.

107 Sext. Emp. Adv. Math. 7,139 (68 B 11 DK; 83 L.) levgei de; kata; levxin: Ægnwvmh" de; duvoeijsi;n ijdevai, hJ me;n gnhsivh, hJ de; skotivh: kai; skotivh" me;n tavde suvmpanta, o[yi", ajkohv, ojdmhv,geu'si", yau'si". hJ de; gnhsivh, ajpokekrimevnh de; tauvth".Æ ei\ta prokrivnwn th'" skotivh" th;ngnhsivhn ejpifevrei levgwn: Æo{tan hJ skotivh mhkevti duvnhtai mhvte oJrh'n ejpæ e[latton mhvte

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Atomismo antico e contesto culturale310

Galeno restituisce una citazione letterale in cui gli stessi organi rimprove-rano alla phren di rigettarli pur avendo tratto da loro le "prove" (pivstei")

Misera Phren, dopo aver preso da noi le prove, ci atterri? il nostro abbattimentosegna la tua caduta108.

Mi sembra che qui si debba andare al di là della dibattuta questione, che sitrascina dall'antichità ad oggi109, se Democrito sia un sensista convintosolo della verità dei fenomeni (come sembra essere descritto in alcunipassi di Aristotele), o un assertore della sola verità del pensiero (come inSesto Empirico) e vedere che cosa è convinto di fare Democrito stesso.Nella massima suddetta egli considera ciò che viene offerto dai sensicome delle pivstei", delle prove. La mente non può rifiutarle, pena il suofallimento, ma questo non significa che debba accettarle tutte. Infatti lagnwvmh gnhsivh valuta e sceglie quelle che possono fornire indizi sicuri.Così, se è vero che le sensazioni di uno stesso oggetto variano a secondadegli individui e delle condizioni di chi percepisce, tuttavia una stessasensazione ha sempre caratteri costanti110: l'acido, indipendentementedall'oggetto in cui viene percepito, viene avvertito da tutti e sempre comepungente, ruvido e riscaldante. E' questa pivsti" sicura che permette di"penetrare con lo sguardo nel più piccolo", di risalire alle forme degliatomi che producono la sensazione corrispondente, atomi sinuosi, piccolie sottili che possono penetrare dovunque, e angolosi che contraggono eastringono producendo vuoti e calore. Lo stesso avviene per la determi-nazione delle forme atomiche di altri sapori e dei colori. Si parte dallapercezione che tutti costantemente hanno, indipendentemente dalla con-dizione individuale e dalla qualità dell'oggetto, per risalire alle forme che laproducono. La ricerca delle cause si inserisce dunque in questo discorsosulla scelta e l'uso da parte della gnwvmh gnhsivh delle prove offerte daisensi per arrivare a "contemplare" l'invisibile. La differenza fra Democritoe i medici ippocratici sta nel fatto che questi ultimi non gerarchizzanopercezione e gnwvmh. I dati forniti dai sensi non vengono da loro messi indiscussione, anche se, nel caso delle malattie invisibili, devono essere in-terpretati. Questo perché in primo luogo l'uso delle mani, degli occhi,delle orecchie, dell'odorato costituisce un cardine della pratica medica chenon può essere messo in dubbio, pena il fallimento dell'arte stessa, insecondo luogo perché la lunga pratica a fianco di un maestro insegna adesercitarli nella maniera corretta e ad orientarli verso il segno giusto. Dun-

ajkouvein mhvte ojdma'sqai mhvte geuvesqai mhvte ejn th'i yauvsei aijsqavnesqai, ajllæ ejpi;leptovteronã....Ã.

108 Galen. De exper. med. 15,7, 114,4 Walzer (68 B 125 DK; 79-80 L.) tavlaina frhvn, paræhJmevwn labou'sa ta;" pivstei" hJmeva" katabavllei"… ptw'mav toi to; katavblhma.

109 Sulle linee generali di questi dibattiti, cf. Sassi 1978, 200-203.110 Theophr. De sens. 69 (68 A 135 DK; 3, 441 L.).

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que i sensi sono, dal punto di vista strettamente professionale, un puntodi riferimento forte111. Democrito, cui manca questo sottofondo di praticamedica, è invece proiettato verso la theoria e dunque tende a ribadire lacentralità dello strumento che gli permette di arrivare all'invisibile, lagnwvmh gnhsivh, quella che può vedere anche una realtà "più sottile", invisi-bile, relegando in secondo piano quello che coglie solo quanto appareimmediatamente.

Fuori dall'ambito medico e dai testi democritei il rapporto fra perce-zione e gnwvmh riemerge anche in altri autori di età sofistica, ma ridotto perlo più al rango di tipologia retorica come negli Aforismi di Crizia il cuititolo non può non far pensare all'omonima opera ippocratica

né quello che viene percepito col resto del corpo né quello che viene conosciutocon la gnwvmh112.

Qui sia l'ottica empirica del medico, sia quella più teorica di Democrito sistemperano in un puro gioco stilistico: il grande tema perde la sua funzio-nalità per trasformarsi in una convenzionale antitesi.

6. 2. 3. La difficoltà dell'impresa: dichiarazioni "scettiche" e ottimismocorporativo. Per una revisione dello "scetticismo" democriteo

Il confronto con la tradizione medica sui metodi e sulla possibilità di co-noscere l'invisibile permette un'altra considerazione importante riguardoal presunto scetticismo di Democrito. C'è infatti da tener presente cheesso è dedotto da frasi estrapolate dal loro contesto e tramandate per lopiù attraverso la tradizione dell'accademia scettica e neopirroniana. Dal-l'altra parte, su testimonianze aristoteliche si è invece ricostruita un'imma-gine di un Democrito "protagoreo" che vede ciò che appare come l'unicaverità. Ambedue queste rappresentazioni hanno qualcosa di vero, ma non

111 Cf. e.g. Prorrh. II,3 (224-226 Potter = IX,12-14 Littré) e[xesti de; kai; tau'ta pavnta kata-basanivzein kavllista kai; ta[lla toi'si dokimivoisin, oi|sin e[comevn te kai; creovmeqa eu\pavnta. prw'ton me;n ga;r th'i gnwvmhi te kai; toi'sin ojfqalmoi'sin a[nqrwpon katakeivmenon ejntw'i aujtw'i kai; ajtrekevw" diaitwvmenon rJa'iovn ejsti gnw'nai, h[n ti ajpeiqhvshi, h]periodoiporevonta kai; pavmpolla ejsqivonta: e[peita th'isi cersi; yauvsanta th'" gastrov" tekai; tw'n flebw'n h|ssovn ejstin ejxapata'sqai h] mh; yauvsanta. ai{ te rJi'ne" ejn me;n toi'sipuretaivnousi pollav te kai; kalw'" shmaivnousin: aiJ ga;r ojdmai; mevga diafevrousin: ejn de;toi'sin ijscuvousiv te kai; ojrqw'" diaitwmevnoisin oujk oi\da tiv a]n crhsaivmhn, oujdæ ejn touvtwitw'i dokimivwi. e[peita toi'" wjsi; th'" fwnh'" ajkouvsanta kai; tou' pneuvmato", e[stidiaginwvskein, a} ejn toi'sin ijscuvousin oujc oJmoivw" ejsti; dh'la.

112 Gal. In Hippocr. De Off. 1,1 (XVIII/2,656 K.) (88 B 39 DK) mhvte a} tw'i a[llwi swvmatiaijsqavnetai mhde; a} th'i gnwvmhi gignwvskei. Cf. anche Antiphon 87 B 1 DK riferito da Ga-leno nello stesso passo come esempio di impiego del termine gnwvmh. Si tratta in questocaso di un testo estremamente corrotto e difficile da ricostruire, ma per lo meno le dueespressioni o[yei oJra'n (oJra'i Diels) e gnwvmh gignwvskei si leggono distintamente.

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vanno assolutizzate. E' vero che Democrito sembra esprimersi in manierapiuttosto pessimistica sulle possibilità di conoscenza, tuttavia, presso imedici ippocratici, l'affermazione della difficoltà di conoscere quanto ècelato, si accoppia generalmente con un diffuso orgoglio corporativo chesottolinea come, nonostante ciò, il buon medico sia in grado riconoscere einterpretare i segni e di risalire alle cause anche delle malattie invisibili.L'autore del De vetere medicina dichiara esplicitamente di lodare quel medicoche commette solo piccoli errori in quanto la perfezione è raramente os-servabile, ma lo fa in un contesto che mette in luce sia la difficoltà dell'in-dividuazione e dell'interpretazione esatta dei sintomi nei singoli indivi-dui113, sia la portata dell'impresa del medico che deve arrivare ariconoscerli senza sbagliare, a risalire alle cause e proporre conseguente-mente il rimedio adeguato per ogni singolo caso. La prima massima degliAforismi ippocratici sottolinea ancora sia le insidie dell'esperienza diretta,sia le difficoltà del giudizio114, ma lo scopo della raccolta è proprio quellodi fornire gli strumenti per superarle. Anche nel De arte emerge il pro-blema della conoscenza esatta delle malattie nascoste, ma anche qui, nonsolo serve a giustificare le eventuali dilazioni di una diagnosi, ma si accop-pia ad una assoluta fiducia nella capacità tecnica del medico di individuaree di curare queste malattie115 o di riconoscere quale sia incurabile per poterrifiutare la terapia. Si ha dunque l'impressione che il richiamo alla diffi-coltà di conoscenza faccia parte di una strategia tesa ad esaltare le capacitàdel medico e a sottolinearne l'autorità116. La stessa impressione si ha leg-gendo le testimonianze non dichiaratamente "scettiche" su Democrito.Aristotele, nella Metafisica, riferisce che, di fronte alla relatività delle perce-zioni in base agli individui e alle loro condizioni fisiche, Democrito

113 VM 9,4 (128,15-17 Jouanna = I,590 Littré) diovti pollo;n poikilwvterav te kai; dia; plevono"ajkribeivh" ejstiv. dei' ga;r mevtrou tino;" stocavsasqai: mevtron de; oujde; ajriqmo;n ou[te sta-qmo;n a[llon pro;" o} ajnafevrwn ei[shi to; ajkribe;", oujk a]n eu{roi" a[llæ h] tou' swvmato" th;nai[sqhsin. dio; e[rgon ou{tw katamaqei'n ajkribw'", w{ste smikra; aJmartavnein e[nqa h] e[nqa.ka]n ejgw; tou'ton to;n ijhtro;n ijscurw'" ejpainevoimi to;n smikra; ajmartavnonta, to; de; ajtreke;"ojligavki" e[sti katidei'n. Il problema di interpretazione di hJ tou' swvmato" th;n ai[sqhsin (sitratta della sensazione del paziente o di quella del medico? cf. Jouanna 1990, 174) va risoltonel contesto generale del passo che riguarda la dieta per la pletora e per gli stati di vacuità.Il medico deve infatti saper riconoscere se l'individuo in questione si trova in uno stato onell'altro per non prescrivere un regime troppo scarso che ne indebolisca ulteriormente ilfisico. Deve quindi avere come metro di valutazione i sintomi (cioè ciò che il pazientesente) che egli infatti più oltre elenca per ogni singolo stato in relazione al regime abitualedel paziente, cf. 10,3-4 (130,9-131,10 Jouanna = I,592-94 Littré).

114 Aph. 1 (98,1 Jones = IV,458 Littré) ... hJ de; pei'ra sfalerhv, hJ de; krivsi" calephv.115 De arte 11,1-4 (237,4-238,7 Jouanna = VI,18-20 Littré); 12 (240,1-241,11 Jouanna = VI,22-

26 Littré).116 L'aspetto positivo delle presunte dichiarazioni scettiche è stato intravvisto anche, sebbene

in una prospettiva "filosofica", da Sassi 1978, 192s. in relazione a Senofane e Alcmeone.

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Capitolo settimo 313

avrebbe dichiarato che o nulla è vero o la verità è invisibile117, ma la mas-sima già accennata secondo cui ciò che appare è una visione dell'invisibilee l'altra rappresentazione aristotelica di Democrito come assertore dellaverità dei fenomeni sono complementari a questa dichiarazione: se la veraessenza dei fenomeni è invisibile, bisogna servirsi delle "pisteis" fornitedalle apparenze e colte dalle sensazioni, per arrivare a conoscerla. Se siconsiderano le dettagliate descrizioni delle cause invisibili delle sensazionie dei fenomeni riportate dalle testimonianze indirette, si può concludereche, come gli Ippocratici, anche Democrito, sottolineando la difficoltàdell'impresa di conoscere l'invisibile, mette tuttavia in rilievo la sua capa-cità di interpretare i segni e di penetrare nei minimi particolari in questoambito nascosto alla maggior parte degli altri uomini. Viste in questocontesto e nella stessa ottica di quelle ippocratiche anche le presunte di-chiarazioni scettiche di Democrito assumono dunque un'altra fisionomia:esse sottolineano in realtà le difficoltà di un'impresa che egli ha comunquebrillantemente superato.

7. Democrito e il Corpus Hippocraticum

Il confronto con i trattati ippocratici non è utile solo per far luce sul me-todo e sulla concezione integrata di percezione e capacità di penetrazionenel dominio dell'invisibile e per inquadrare le testimonianze sulla cono-scenza in generale, ma si rivela fondamentale anche per altri aspetti del-l'interpretazione di Democrito. Nelle trattazioni esclusivamente "filosofi-che", infatti, il suo carattere di autore di scritti tecnici, nei quali peraltro lamedicina ha una posizione preponderante118, è stato completamenteemarginato. Il Corpus Hippocraticum, che offre in definitiva gli unici testiintegrali di carattere tecnico contemporanei o poco anteriori a Democrito,costituisce infatti un buon filtro attraverso cui leggere anche determinatetestimonianze e frammenti democritei ed è anche sulla strada del con-fronto parallelo con dottrine contemporanee o comunque radicate in uncontesto culturale analogo che si deve procedere per inserire in una pro-blematica più ampia e variegata di quella strettamente filosofica le dottrineatomistiche. In una ricerca dominata dall'interpretazione eleatizzante diLeucippo e Democrito, il confronto con i testi medici è stato limitato

117 Arist. Metaph. G 5, 1009b 7 (68 A 112 DK; 52, 80 L.).118 Nel catalogo di Trasillo (68 A 33 DK; CXV L.) compaiono i seguenti titoli: Peri;

ajnqrwvpou fuvsio" o Peri; sarkov" (IV), Peri; diaivth" h] diaithtikovn, Provgnwsi", Ihtrikh;gnwvmh (XII). Le analogie coi titoli ippocratici sono di palese evidenza, cf. Peri; fuvsio"ajnqrwvpou, Peri; sarkw'n, definito dall'autore come un lovgo" peri; th'" tevcnh" th'" ijhtrikh'",Peri; diaivth" e Peri; diaivth" ojxevwn, Prognwstikovn.

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Atomismo antico e contesto culturale314

soprattutto alla genetica e all'embriologia e, anche in questo ambito, si èsempre ipotizzato un rapporto di dipendenza unilaterale dei testi ippocra-tici da Democrito119. Un'importante e decisiva alternativa rispetto a questometodo di analisi, è stata proposta da Jouanna120, il quale tenta di impo-stare il discorso generale dei rapporti fra i cosiddetti presocratici e i testiippocratici su basi diverse da quelle della pura e semplice dipendenza diquesti ultimi dagli altri. Egli si serve proprio di un esempio tratto da De-mocrito per dimostrare come sia ingiustificato parlare in termini generalidi una tale dipendenza121. Jouanna propone piuttosto una relativizzazionedel metodo, ma soprattutto un abbandono degli schemi rigidi e un'aper-tura all'idea del sostrato metodologico e dell'esperienza comune a preso-cratici e medici ippocratici122. Questo significa che, se alcuni autoriippocratici potrebbero essere stati influenzati da Democrito, anchequest'ultimo poteva attingere ad un patrimonio medico generalizzato oche comunque due teorie simili, ma non uguali, in Democrito e negli Ip-pocratici, potevano avere origini comuni, ma indipendenti.

Alcuni raffronti fra temi analoghi trattati dagli ippocratici in modoapprofondito e in un ambito strettamente tecnico e da Democrito dalpunto di vista più "teorico" del Naturphilosoph confermano che quest'ul-timo ha attinto ad un sostrato di conoscenze mediche. Democrito è ilprimo fra i cosiddetti presocratici ad aver trattato diffusamente dei succhie delle loro proprietà. Anche questo non è un caso. Infatti le dunavmei" deisucchi e dei cibi e il loro effetto sulle costituzioni individuali dei singolipazienti sono un tema tipico della dietetica, un soggetto emergente nellamedicina dell'ultimo quarto del V sec. a.C. e di cui, a giudicare dal titolo diun'opera, Peri; diaivth", Democrito si è sicuramente occupato. L'autore

119 Anche Stückelberger 1984, che ha trattato comunque, oltre che l'aspetto empirico delladottrina democritea, più sistematicamente il problema dei rapporti fra testimonianza de-mocritee e testi ippocratici, parte sempre dal presupposto che gli autori ippocratici, più omeno consciamente, utilizzino materiali e idee provenienti da Democrito, cf. anche Lonie1981 e Salem 1996.

120 Jouanna 1992, 95ss.121 Nella fattispecie la relazione fra Ael. Hist. nat. 12,16 (68 A 151 DK; 545 L.) e Nat. puer. 31,2

(83,8 Joly = VII,540 Littré) dove ritorna l'esempio della maniera di generare del maiale edel cane. L'interpretazione corrente sottolinea una stretta analogia innazitutto nella sceltadegli animali, in secondo luogo nel fatto che, in ambedue i testi, compare una stessa de-scrizione della conformazione dell'utero come fatto di più "tasche" atte a ricevere il seme.In realtà, secondo Jouanna (102-104), la scelta dell'esempio non dimostra nulla in quanto ilmaiale e il cane, essendo gli animali domestici più comuni, facevano parte di una tipologiacorrente. Per quanto riguarda invece il resto, c'è una differenza fondamentale fra i due testiproprio nella concezione di fondo del concepimento di questi animali. Nel De natura pueril'esempio del cane e del maiale serve a spiegare come i gemelli nascano da un solo coito;Democrito, invece, specificava chiaramente che il concepimento avviene in seguito a piùcoiti, una divergenza sostanziale.

122 Si tratta di un principio che guida anche il lavoro di Orelli 1996. Cf. ora anche Perilli 2007.

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del De vetere medicina critica le tesi assolutizzanti sulla composizione del-l'uomo e sulle proprietà dei cibi proprio basandosi sulla relatività deglieffetti dei succhi sulle varie costituzioni e regimi alimentari:

ci sono infatti nell'uomo salato, amaro, dolce, acido, astringente, insipido e altriinnumerevoli [succhi] con svariate proprietà sia rispetto alla quantità che allaforza. Queste, finché esse sono mescolate e temperate l'una con l'altra non sononé manifeste né provocano sofferenza all'uomo, quando però qualcuna di loro sisepara e si isola, allora diventa manifesta e provoca sofferenze all'uomo123.

A questi succhi interni si mescolano quelli provenienti dai cibi che nonprovocano grandi danni se ingeriti abitualmente, ma sono fonte di disturbise penetrano in una costituzione non abituata ad un determinato regime.

Nei frammenti democritei e nelle testimonianze del De sensibus di Teo-frasto vengono ribaditi gli stessi principi a livello di forme atomiche e disensazioni le quali, come la malattia, vengono percepite come un'altera-zione dell'equilibrio corporeo. La prevalenza di una forma produce lasensazione del rispettivo succo, ma anche la relazione fra le forme chepenetrano nei corpi e le strutture individuali gioca un ruolo nella perce-zione

Nessuna figura si trova allo stato puro e non mescolata con le altre, ma in ognicosa ce ne sono molte e la stessa cosa contiene il liscio e lo scabro, il rotondo el'acuto e le rimanenti forme. La forma preponderante è quella che massimamenteprevale ai fini della sensazione e della [relativa] proprietà [dell'oggetto], e inoltre[è importante] in quale costituzione le forme si introducano; infatti anche questoè di non poca importanza perché talvolta la stessa proprietà produce sensazionicontrarie e proprietà contrarie producono la stessa sensazione124.

Democrito applica dunque alle sensazioni il modello che l'ippocraticoapplica alla malattia. C'è però un campo specifico in cui la teoria demo-critea dei succhi mostra analogie ancora più strette con un un testo ippo-cratico: quello della determinazione delle proprietà degli atomi di determi-nati succhi. La descrizione delle forme atomiche delle sostanze piccanti edolci e dei loro effetti sul corpo nella testimonianza di Teofrasto ricordainfatti il resoconto sugli alimenti dello stesso tipo nel De victu che dedica

123 VM 14,4 (136,10 Jouanna = I,602 Littré) e[ni ga;r ejn ajnqrwvpwi kai; aJlmuro;n kai; pikro;nkai; gluku; kai; ojxu; kai; strufno;n kai; pladaro;n kai; a[lla muriva pantoiva" dunavmia"e[conta plh'qov" te kai; ijscuvn: tau'ta me;n memigmevna kai; kekrhmevna ajllhvloisin ou[te fa-nerav ejstin ou[te lupei' to;n a[nqrwpon, o{tan dev ti touvtwn ajpokriqh'i kai; aujto; ejfæ eJwutou'gevnhtai, tovte kai; fanerovn ejsti kai; lupei' to;n a[nqrwpon.

124 Theophr. De sens. 67 (68 A 135 DK; 496 L.) aJpavntwn de; tw'n schmavtwn oujde;n ajkevraionei\nai kai; ajmige;" toi'" a[lloi", ajllæ ejn eJkavstwi polla; ei\nai kai; to;n aujto;n e[cein leivoukai; tracevo" kai; periferou'" kai; ojxevo" kai; tw'n loipw'n. ou| dæ a]n ejnh'i plei'ston, tou'tomavlista ejniscuvein prov" te th;n ai[sqhsin kai; th;n duvnamin, e[ti de; eij" oJpoivan e{xin a]neijsevlqhi: diafevrein ga;r oujk ojlivgon kai; tou'to dia; to; aujto; tajnantiva, kai; tajnantiva to;aujto; pavqo" poiei'n ejnivote. Cf. Sext. Emp. Adv. Math. 7,136 (68 B 9 DK; 55 L.), supra,n. 16.

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Atomismo antico e contesto culturale316

alle proprietà dei cibi una parte considerevole del secondo libro. Così siesprime il medico sulle sostanze dolci, aspre, acide e simili

Le sostanze dolci, grasse e oleose provocano pienezza in quanto, partendo da unpiccolo volume, si espandono molto; scaldandosi e diffondendosi, integrano ilcalore del corpo ed hanno un effetto calmante. Le sostanze acide, aspre, agre,astringenti, grezze e secche non riempiono perché aprono gli orifizi delle vene eli purificano; e disseccando una parte, pungendo e contraendo l'altra, fanno fre-mere e contrarre in una piccola massa l'umido nella carne; e nel corpo si creamolto vuoto. Quando dunque si voglia riempire partendo da pochi cibi o vuotarepartendo da una maggior quantità, si usino queste sostanze125.

Secondo Teofrasto, Democrito descriveva in maniera analoga gli effettidelle forme dell'acido e del dolce:

L'acido è, in quanto alla sua forma, angoloso e sinuoso, piccolo e sottile. Infattiper la sua acidità penetra velocemente e dovunque, d'altra parte, essendo ruvido eangoloso, astringe e contrae; per questo riscalda il corpo creando dei vuoti; infatticiò che contiene più vuoto si riscalda massimamente. Il dolce è composto di fi-gure tondeggianti non troppo piccole; perciò si diffonde per tutto il corpo e loattraversa tutto senza violenza e non a gran velocità; provoca però sconvolgi-mento negli altri [succhi] perché, penetrando attraverso le altre forme, le fa spo-stare e le umidifica; queste, umidificate e smosse dal loro assetto abituale, si river-sano nel ventre; infatti questo è il luogo più facilmente accessibile perché qui c'èla maggior quantità di vuoto126.

Sia per Democrito che per il medico l'acido ha la proprietà di contrarre edi creare vuoto, il dolce di diffondersi nel corpo e di riempire il ventre.L'autore del De victu è più interessato agli effetti e soprattutto all'impiegoterapeutico di queste sostanze. Democrito è invece concentrato sulla de-scrizione delle forme e dei meccanismi che producono questi effetti. I dueapprocci, pur nella loro somiglianza, divergono anche nei dettagli e nonpossono essere considerati l'uno la fonte dell'altro. Il medico è uno spe-

125 De vict. II,56,6 (180,14 Joly = VI,568 Littré) ta; glukeva kai; ta; pivona kai; ta; lipara;plhrwtikav ejsti, diovti ejx ojlivgou o[gkou poluvcoav ejsti: qermainovmena de; kai; diaceovmenaplhroi' to; qermo;n ejn tw'i swvmati kai; galhnivzein poiei'. ta; de; ojxeva kai; drimeva kai;aujsthra; kai; strufna; kai; sugkomista; kai; xhra; ouj plhroi', diovti ta; stovmata tw'n flebw'najnevwixev te kai; diekavqhre: kai; ta; me;n xhraivnonta, ta; de; davknonta kai; stuvfonta fri'xaikai; susth'nai ej" ojlivgon o[gkon ejpoivhse to; uJgro;n to; ejn th'i sarkiv: kai; to; keneo;n polu;ejgevneto ejn tw'i swvmati. o{tan ou\n bouvlhi ajp ojlivgwn plhrw'sai h] ajpo; pleiovnwn kenw'sai,touvtoisi crh'sqai.

126 Theophr. De sens. 65 (68 A 135 DK; 496 L.) to;n me;n ou\n ojxu;n ei\nai tw'i schvmati gwnoeidh'te kai; polukamph' kai; mikro;n kai; leptovn. dia; ga;r th;n drimuvthta tacu; kai; pavnthidiaduvesqai: tracu;n dæ o[nta kai; gwnoeidh' sunavgein kai; suspa'n: dio; kai; qermaivnein to;sw'ma kenovthta" ejmpoiou'nta: mavlista ga;r qermaivnesqai to; plei'ston e[con kenovn. to;n de;gluku;n ejk periferw'n sugkei'sqai schmavtwn oujk a[gan mikrw'n: dio; kai; diacei'n o{lw" to;sw'ma kai; ouj biaivw" kai; ouj tacu; pavnta peraivnein: tou;" ãdæà a[llou" taravttein, o{tidiaduvnwn plana'i ta; a[lla kai; uJgraivnei: uJgrainovmena de; kai; ejk th'" tavxew" kinouvmenasurrei'n eij" th;n koilivan: tauvthn ga;r eujporwvtaton ei\nai dia; to; tauvthi plei'ston ei\naikenovn.

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Capitolo settimo 317

cialista di dietetica e conosce da fonti mediche e dalla sua stessa pratica leproprietà dei succhi, Democrito attinge al patrimonio della dietetica deltempo rimaneggiandolo in direzione di un'eziologia atomista. Non sonorimaste testimonianze certe sulle sue opere mediche127 come il Peri;diaivth", la Ihtrikh; gnwvmh e la Provgnwsi", ma sicuramente esse eranoconosciute ancora nel III sec. a.C. A questo proposito è indicativo, purcon tutte le riserve del caso, un passo della commedia di mezzo inseritodal Diels sotto la voce "imitazioni". Si tratta della rappresentazione delfamoso cuoco di Damosseno (III sec. a.C.) che si dichiara epicureo, maafferma che un cuoco che non abbia letto, oltre al canone di Epicuro,anche tutte le opere di Democrito è assolutamente da disprezzare (Fr.2,13 K.-A.). Nelle teorie sulla distribuzione e sull'effetto dei succhi egli sirichiama espressamente a quest'ultimo utilizzando una terminologia deltutto democritea. Dopo aver puntualizzato che un buon cuoco deve in-nanzitutto saper distinguere quale periodo dell'anno sia il migliore perpescare e cucinare determinati pesci, in quanto i mutamenti e i movimentiproducono alterazioni nei cibi e conseguentemente in chi se ne ciba, ilcuoco epicureo promette di somministrare cibi nutrienti che non provo-chino esalazioni sgradite e nocive e spiega gli effetti dei succhi da questiprodotti "secondo Democrito":

(A.).... Pertanto il succo si dispone dovunque nei pori in maniera omogenea—(B.) Succo? (A.) Lo dice Democrito— e non si producono ostruzioni che ren-dono artritico colui che se ne ciba 128.

La terminologia della distribuzione omogenea e dell'ostruzione è demo-critea129. Anche l'immagine che il cuoco successivamente fornisce di sé,quella di un teorico, esperto di medicina e di scienza della natura in gene-rale, che non si abbassa a cucinare lui stesso, ma osserva (qewrw') quelloche fanno gli altri, stando loro vicino e soprattutto spiegando loro le causee gli effetti di quello che fanno, richiama l'immagine, circolante già nel Vsec. a.C., degli autori di trattati tecnici teorici, profani e medici che ne

127 Forse qualche sparsa notizia potrebbe trovarsi fra quelle testimonianze che Wellmann eDiels, seguiti dagli interpreti moderni, hanno qualificato senza appello come spurie, cf. suquesto Gemelli Marciano 2007.

128 Damox. Fr. 2,29 K.-A. (A.)... toigarou'n eij" tou;" povrou"/ oJ cumo;" oJmalw'" pantacou'sunivstatai—/(B.) cumov"; (A.) levgei Dhmovkrito"— oujd ejmfravgmata/ ginovmena poiei' to;nfagovnt ajrqritikovn. Per il testo mi attengo all'edizione di Kassel-Austin.

129 Sulla "disposizione omogenea", cf. Theophr. De sens. 62 (68 A 135 DK; 369 L.) to;n de;movlubdon e[latton e[conta keno;n oJmalw'" sugkei'sqai kata; pa'n oJmoivw". Cf. Ibid. 55 (68 A135 DK; 488 L.), sulla distribuzione della voce nel corpo tacu; skivdnasqai kai; oJmalw'"kata; to; sw'ma. Sulle "ostruzioni" dei pori, cf. Ibid. 66 (68 A 135 DK; 496 L.) to;n de; stru-fno;n ejk megavlwn schmavtwn kai; polugwnivwn kai; perifere;" h{kistæ ejcovntwn: tau'ta ga;ro{tan eij" ta; swvmata e[lqhi, ejpituflou'n ejmplavttonta ta; flebiva kai; kwluvein surrei'n: dio;kai; ta;" koiliva" iJstavnai.

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Atomismo antico e contesto culturale318

seguono le orme, e di sofisti che insegnano la techne: si tratta di sapientiche fanno della teoria, ma sono assai poco esperti nella pratica dell'arte130.Il testo di Damosseno, dunque, pur nella sua esagerazione comica,rimanda ad una ricezione di Democrito quale autore di trattati teorici dimedicina, che ancora al suo tempo doveva essere abbastanza diffusa perpoter avere un impatto sul pubblico131. Questa immagine corrisponde aquella degli "esperti" profani con cui nell'ultimo quarto del V sec. a.C. imedici ippocratici di tendenze empiriche avevano un rapporto piuttostoconflittuale. Essi vengono descritti in trattati quali il De vetere medicina o ilDe victu acutorum come degli "intrusi" senza alcuna esperienza che siappropriano in modo superficiale di conoscenze mediche minacciando ilbuon nome dell'arte e criticati in particolare per il loro approccio"teorico"132. Democrito si avvicina molto alla tipologia di questi "sapienti"profani.

Una delle obiezioni ricorrenti nei testi ippocratici contro i "teorici" èrivolta alla definizione di "uomo" in generale. Sembra infatti che i profaniautori di trattati tecnici, ma anche alcuni professionisti ritenessero com-pito primario definire innanzitutto la natura dell'uomo o dei singoli oggettidell'arte che essi volevano trattare. L'autore del De vetere medicina polemizzaproprio con i medici e i "sapienti" che vogliono definire la natura del-l'uomo in generale senza invece riportarla alle costituzioni particolari e alloro rapporto con i vari alimenti e i regimi di vita specifici.

Poiché questo mi sembra necessario che sappia il medico sulla natura [del-l'uomo]133 e che si adoperi in ogni modo di sapere, se vorrà fare il suo dovere:che cosa è l'uomo in rapporto ai cibi e alle bevande e che cos'è in rapporto allealtre sue abitudini e che cosa da ciascuno di questi fattori deriverà a ciascuno134.

L'autore del De natura hominis si scaglia a sua volta contro coloro che defi-niscono l'uomo come composto da un solo elemento (aria o acqua o

130 Cf. supra, Introduzione 2. 3 n. 45.131 Cf. Gemelli Marciano 2007.132 Cf. Acut. 6,1 (38,11 Joly = II,238 Littré); VM 20,1 (145,18 Jouanna = I,620 Littré).133 Come ha già rilevato Jouanna 1990, 208 (cf. anche Ducatillon 1977, 96 e la traduzione di

Littré ad loc.) quando l'autore del De vetere medicina parla della "natura" o di "quelli chehanno scritto sulla natura", si riferisce non alla natura in generale e agli scritti che la riguar-dano, bensì alla natura dell'uomo e agli scritti specifici su questo tema come suggerisce laspecificazione successiva "che cosa è l'uomo …" in ambedue i casi. V. infra, nel testo e VM20,1 (146,5 Jouanna = I,620 Littré) oi} peri; fuvsio" gegravfasin ejx ajrch'" o{ ti ejsti;na[nqrwpo" ...) .

134 VM 20,3 (146,15 Jouanna = I,622 Littré) ejpeiv tou'tov gev moi dokei' ajnagkai'on ei\nai ijhtrw'iperi; fuvsio" eijdevnai kai; pavnu spoudavsai wJ" ei[setai, ei[per ti mevllei tw'n deovntwnpoihvsein, o{ ti tev ejstin a[nqrwpo" pro;" ta; ejsqiovmenav te kai; pinovmena kai; o{ ti pro;" ta;a[lla ejpithdeuvmata kai; o{ ti ajfæ eJkavstou eJkavstwi sumbhvsetai.

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Capitolo settimo 319

fuoco o terra)135. Possiamo ora ricordare che Democrito aveva fornito inuna breve e sibillina frase proprio la definizione di uomo: "l'uomo è quelloche tutti conosciamo"136. La frase è stata tramandata fuori da un contestoe variamente interpretata nell'antichità, ma doveva essere una afferma-zione ad effetto che non stupirebbe all'inizio di un trattato Peri; fuvsio"ajnqrwvpou che, in base alle "regole" dei trattati di questo genere, dovevaappunto cominciare con una definizione dell'oggetto. In perfetta conso-nanza con queste esigenze definitorie e contro le tesi rappresentate in Devetere medicina e De natura hominis l'autore del De victu dichiarava infatti chela cura del corpo si inserisce in un ambito molto più vasto che comprendela conoscenza della natura dell'uomo e dell'universo. Per scrivere del re-gime bisogna conoscere prima la natura dell'uomo in generale, da che cosaè stato composto dall'inizio e quali elementi vi predominano. Senza questipresupposti è impossibile non solo stabilire l'origine delle malattie, maanche somministrare i rimedi utili137. Su questo sfondo di trattati speciali-stici la frase democritea assume contorni più definiti per lo meno perquanto riguarda la sua funzione, quella di incipit di un trattato sulla naturadell'uomo. In questa tensione fra il dare e l'avere fra medici e autori pro-fani di trattati di medicina va situato dunque il complesso rapporto diDemocrito con la medicina ippocratica e con la medicina in generale.

Un esame dettagliato del sostrato culturale comune alle dottrine ato-mistiche e alla medicina ippocratica, esula dai limiti del presente studio edè in parte già stato fatto, sebbene principalmente nell'ottica di un rapportodi dipendenza dei medici da Democrito stesso, ma questi aspetti fonda-mentali del problema devono essere comunque segnalati, in quanto, a mioavviso è sul terreno del confronto non solo con i trattati ippocratici, maanche con le testimonianze sulle technai in generale che si deve ancoralavorare per comprendere meglio quell'atomismo democriteo che hacreato tanti problemi di interpretazione. Queste indicazioni di metodo, eun esame puntuale della tradizione dossografica, costituiscono due aspetticomplementari imprescindibili per una reinterpretazione globale dell'ato-mismo antico.

135 Nat. hom. 1 (165,1 Jouanna = VI,32 Littré) o{sti" me;n ei[wqen ajkouvein legovntwn ajmfi; th'"fuvsio" th'" ajnqrwpivnh" proswtevrw h] o{son aujth'" ej" ijhtrikh;n ajfhvkei, touvtwi me;n oujkejpithvdeio" o{de oJ lovgo" ajkouvein: ou[te ga;r to; pavmpan hjevra levgw to;n a[nqrwpon ei\nai,ou[te pu'r, ou[te u{dwr, ou[te gh'n, ou[te a[llo oujde;n o{ ti mh; fanerovn ejstin ejneo;n ejn tw'iajnqrwvpwi: ajlla; toi'si boulomevnoisi tau'ta levgein parivhmi.

136 Sext. Emp. Adv. Math. 7,265 (68 B 165 DK; 65 L.); Pyrrh. Hyp. 2,23 (65 L.), cf. Arist. Depart. anim. A 1, 640b 29 (68 B 165 DK; 65 L.).

137 Vict. I,2 (122,22 Joly = VI,466 L.).

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Atomismo antico e contesto culturale320

8. Sintesi

Se si abbandonano per un momento le interpretazioni filosofiche dell'a-tomo e ci si rivolge alle immagini veicolate dai frammenti e dalle testimo-nianze decrittive e al confronto coi testi contemporanei a Democrito, sipuò ricostruire un quadro alternativo dell'atomismo e delle sue "origini"molto meno "filosofico", ma probabilmente più vicino alla realtà. Comegià aveva visto Epicuro, balza in primo piano innanzitutto l'immagine diun mondo governato dall'ajnavgkh, la "costrizione" cosmica che fa impi-gliare gli atomi originari, e dalle ajnavgkai, le singole pressioni che in ognimomento si esercitano su tutti i corpi fenomenici. Questa è una conce-zione-guida dei meteorologoi e dei medici del V sec. a.C., oltre che dei magoi.La ricerca delle cause è in fondo la ricerca delle ajnavgkai che producono econdizionano i corpi e i fenomeni. Su questo sfondo si delinea ancheun'altra concezione dell'atomo, meno matematizzante e astratta: esso siconfigura come il corpuscolo resistente a qualsiasi ajnavgkh che garantisceperciò la persistenza stessa dell'universo al di là del continuo dissolversi dicorpi e di mondi. L'atomo è un "individuo" invulnerabile, ma, come l'homonaturalis dei Sofisti, poco sociale e poco incline all'aggregazione. Le imma-gini della stasis precosmica fra corpuscoli di forme e tendenze differentipresenti nel resoconto aristotelico su Democrito sono parallele a quelledei primi uomini vaganti in solitudine nella vulgata della Kulturentstehung, marichiamano anche la situazione politica conflittuale della Grecia nell'ultimoterzo del V sec. a.C. Le aggregazioni si creano solo per effetto di ajnavgkaiche fanno impigliare i corpuscoli gli uni con gli altri. A questo punto entrain scena il grande vuoto reminiscenza di cosmogonie orfiche, che, lungidall'avere la funzione di dividere, produce invece una maggiore aggrega-zione e favorisce in definitiva il crearsi di un'altra ajnavgkh, il vortice co-smico. All'interno di questo vortice si sviluppa il gioco di costrizioni chegenera e dissolve. I vuoti, con le loro forme e posizioni, sono altrettantodeterminanti quanto gli atomi per il grado di persistenza, di resistenza e diinterazione reciproca dei vari corpi. Su questi presupposti si comprendeperché Democrito e Leucippo ponessero il vuoto e il rado sullo stessopiano del corpo e del solido. Il mondo è così un insieme di aggregati po-rosi, instabili, esposti a continue costrizioni, a continui flussi e influssi.Dietro a questa visione fondamentalmente ansiogena dei corpi stannoconcezioni mediche e magiche: l'instabilità dei corpi e la loro predisposi-zione alla malattia costituiscono i presupposti basilari della medicina e laloro influenzabilità e alterabilità è un motivo-guida delle operazioni cosid-dette magiche. Vista su questo sfondo la dottrina atomistica assume unnuovo aspetto e l'atomo si configura non più come la grandezza ultimaderivata da una teorica divisione all'infinito, ma come il corpuscolo per-

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fetto che si sottrae alle regole che governano gli altri corpi, immune all'al-terazione, alla malattia, a qualsiasi influsso esterno o squilibrio interno. Uncorpo di tal genere, che non assomiglia a nessuno di quelli che vediamo èper lo più invisibile, ma non necessariamente sempre. Come i simulacriche generalmente si aggirano per l'aria invisibili, ma talvolta si manife-stano, così masse di atomi che si muovono spasmodicamente divengonovisibili agli occhi di chi sa osservare se illuminate da un raggio di sole. Ildogma dell'invisibilità dell'atomo stabilito dalla tradizione filosofica e laferrea logica in cui è stata imprigionata la dottrina atomistica ha impeditoun'interpretazione conseguente di alcuni testi (compresa la descrizionedella dottrina democritea dell'anima nel De anima aristotelico) che fannointravvedere questa possibilità. Se così invece è, anche la dottrina atomi-stica può essere vista sotto una nuova luce, più vicina all'osservazione deifenomeni fisici e meno condizionata da presunti dibattiti filosofici a di-stanza. Le particelle del pulviscolo, invisibili in normali condizioni, pic-cole, compatte, mobili e in lotta tra loro, si prestavano particolarmente adessere assunte come fondamenti eterni e come protagoniste della scenacosmogonica e cosmologica. Lo scopo di Leucippo e Democrito, comequello dei meteorologoi loro contemporanei descritti da Gorgia nell'Encomiodi Elena, è però non la contemplazione solitaria degli ajfanh', ma la lorovisualizzazione per un pubblico di specialisti e di profani colti. Il passaggiodai fenomeni all'invisibile e la ricerca delle cause presso i meteorologoi siinseriscono in questo clima di interazione con le technai e con i loro assuntie metodi e si chiariscono attraverso il confronto in particolare con i testiippocratici. I medici sono i grandi avversari del caso. Il caso non esiste perlo specialista perché anche una guarigione casuale ha in realtà una causa:l'applicazione inconsapevole di principi dell'arte medica. Ogni fenomenopuò essere quindi ricondotto alla sua causa nascosta dall'occhio acuto edal giudizio dello specialista che, esercitato a riconoscere i segni giusti e adinterpretarli nel modo giusto, va al di là delle apparenze e vede ciò che aiprofani rimane nascosto. Questo è un principio-guida dei medici come diLeucippo e Democrito. Sia gli uni che gli altri si avvalgono della scelta edell'interpretazione di quei segni che rimandano all'invisibile. Il procedi-mento analogico, che mette in relazione fenomeni di ambiti diversi, ab-bondantemente presente nelle testimonianze sull'atomismo antico, rivelauna fitta rete di immagini provenienti dall'ambito delle technai. Sullosfondo dei testi ippocratici e della pratica medica risulta più chiaro ancheil rapporto gerarchizzato fra gli organi di senso e il giudizio (definiti poiglobalmente come gnwvmh skotivh e gnhsivh) in Democrito. Quest'ultimo, dameteorologos tutto teso alla theoria, istituisce un primato della gnwvmh gnhsivhperché è quella che in definitiva permette di "vedere" nel "più piccolo", divalutare le pivstei" fornite dagli organi di senso. Nei testi ippocratici questi

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Atomismo antico e contesto culturale322

ultimi sono invece posti sullo stesso piano della gnwvmh non solo perché aifini pratici essi sono preziosi strumenti diagnostici e pronostici, ma anchee soprattutto perché il medico ha dietro di sé una lunga pratica all'affina-mento e all'esercizio corretto dei sensi e non ha quindi alcun motivo disfiducia. I confronti col Corpus hippocraticum permettono di chiarire anchela misura del presunto scetticismo democriteo. I medici usano espressioniapparentemente scettiche sulla possibilità di individuare le malattie e dicurarle soprattutto per sottolineare la difficoltà dell'impresa con cui sonoconfrontati e la loro abilità nel superarla. Le dichiarazioni scettiche si inse-riscono dunque in un quadro ottimistico e autocelebrativo. Alla luce delconfronto con questi testi risulta più chiara anche la doppia immagine diDemocrito rimandata dalle testimonianze antiche: di sensista e di scettico.Essa deriva in realtà dall'estrapolazione di una o dell'altra affermazione daun contesto globale che sottolineava sì la difficoltà di conoscere "il piùpiccolo" e l'invisibile, ma solo per ribadire la propria capacità di superarla.

Se i testi ippocratici sono un supporto fondamentale per l'interpreta-zione dell'atomismo antico, rimane da chiarire il tipo di rapporto che legaquesti due fenomeni nel panorama culturale degli ultimi decenni del V sec.a.C. Il discorso della dipendenza unilaterale dei medici dal "filosofo" èormai basato su vecchi schemi di superiorità della "filosofia" che nonhanno più ragione di essere. Piuttosto il rapporto va verificato a livello dicasi singoli. Spesso anche ciò che sembra una dipendenza evidente sirivela all'esame dei fatti semplicemente una analogia scaturita da un so-strato culturale comune. Talvolta, invece, come nel caso della trattazionedei succhi, è molto più probabile che la dipendenza sia inversa, che cioèDemocrito abbia preso spunto dalle trattazioni mediche per formulare lesue dottrine. La dietetica è infatti una caratteristica peculiare non dellameteorologia, ma della medicina dell'ultimo terzo del V sec. a.C. Si trattadi spunti che dovranno essere tenuti presenti nelle future ricerche su De-mocrito e che possono aprire nuovi scenari interpretativi al di là delleconsuete questioni sull'indivisibilità dell'atomo.

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Sintesi generale

Il quadro tracciato in questo lavoro che riguarda soprattutto l'indivi-duazione della presenza di Democrito nella tradizione platonica nelle suevarie fasi, si presenta molto complesso, discontinuo e soprattutto, talvolta,tracciabile solo a livello ipotetico. Dell'Accademia, nei vari periodi dellasua evoluzione, è rimasto poco e ci si deve accontentare di individuaretendenze e interpretazioni dell'atomismo antico che in essa sicuramente sierano sviluppate nel corso dei secoli, attraverso la filigrana di autori checon questa polemizzano, come Aristotele, o che rappresentano delle sueargomentazioni e delle sue dottrine solo una sbiadita immagine, comeCicerone. Pur avendo a che fare quasi sempre con testimonianze indirette,si può tuttavia istituire, nel confronto fra i testi, una rete di connessioni edi corrispondenze che finisce per delineare un sentiero interpretativo perlo meno verosimile.

Si profila così una ricezione dell'atomismo nell'Accademia antica,soprattutto da parte degli allievi di Platone, che inserisce le dottrine diLeucippo e Democrito nei dibattiti correnti all'interno della scuola artico-lati principalmente su due punti: la soluzione delle presunte aporie eleati-che, che negherebbero la molteplicità in quanto introdurrebbe il non es-sere e condurrebbe ad una divisibilità all'infinito dell'essere, e laconseguente ricerca dei veri principi attraverso il metodo di sottrazionedai corpi agli oggetti matematici fino ai primi principi, l'uno e la diadeindefinita. Si tratta di due punti la cui trattazione da parte degli allievi diPlatone è ben documentata sia nei testi aristotelici, che li citano soprat-tutto a scopi polemici, sia in generale nelle testimonianze antiche. Ri-guardo alle dottrine accademiche e alla soluzione delle aporie eleatiche inesse formulate si possono fissare alcuni punti sicuri e rilevanti ai fini diuna certa presentazione dell'atomismo offerta in alcuni testi aristotelici:

1. Gli Accademici davano ragione agli Eleati che, se si ammetteva lagenesi, era necessario introdurre il non essere, ma ritenevano quest'ultimonon una negazione, bensì un "altro dall'essere", sulla falsariga del Sofistaplatonico. Essi lo individuavano nella diade indefinita, il secondo princi-pio, una delle cui manifestazioni fisiche era il vuoto. Si tratta di una tesicui Aristotele fa esplicito riferimento nella Metafisica e nella Fisica.

2. Senocrate, in particolare, aveva corretto le presunte definizionieleatiche dell'essere distinguendo quest'ultimo dall'uno e giustificando così

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Sintesi generale324

la molteplicità. Essere corrispondeva al tutto divisibile e molteplice (risul-tante dalla congiunzione fra uno e diade indefinita), uno all'unità indivisi-bile e parte (che ordina i vari livelli dell'essere). Su questi concetti univer-sali fondava la sua teoria della linea indivisibile in assoluto, limite ultimo eunità di misura dello spazio, e degli indivisibili relativi (in quanto misure eriflesso dell'uno) ad ogni livello dell'essere fino ai corpi. Gli indivisibilicontro cui Aristotele combatte sono principalmente e soprattutto quelli diSenocrate e, solo, talvolta, per riflesso, quelli degli atomisti antichi.

3. Su questi presupposti e sulla metodologia impostata da Platone nelTimeo, si procedeva alla definizione dei principi col metodo di sottrazionedal corporeo all'incorporeo superando quelle dottrine (anche quelle ato-miste) che si erano fermate ai corpi. Lo schema oppositivo accademico frai sostenitori dei principi corporei e quelli dei principi incorporei accennatonel Sofista è ben documentato anche nell'opera aristotelica. Aristotele pro-pone inoltre anche uno schema rovesciato in cui gli atomisti sono supe-riori a Platone e agli Accademici verosimilmente proprio per contrastarela tendenza opposta nella scuola platonica. Ad una polemica esplicita degliAccademici (i cosiddetti Pitagorici, nella fattispecie Senocrate) contro gliAtomisti, accenna un passo di Sesto Empirico che riporta materiale anticoe autentico. Gli atomisti vengono lodati perché hanno posto principiintellegibili, ma biasimati perché hanno posto a fondamento del mondodei corpuscoli indivisibili ed eterni che, in quanto corpi, tali non possonoessere. I veri principi infatti non stanno nel corporeo, ma negli enti mate-matici intellegibili governati in ultima analisi dall'uno, il principio dell'or-dine e del finito e dalla diade indefinita, il principio del disordine e dell'in-finito.

4. Nella definizione dei principi rientra anche quella del "minimoprivo di parti" (ejlavciston kai; ajmerev") come unità più piccola di unadivisione finita, riflesso dell'uno e, in quanto tale, misura delle grandezzead essa omogenee. Tale definizione è chiaramente attribuita all'avversario(Senocrate) dall'autore del trattato Sulle linee indivisibili per il quale essasarebbe stata estesa a tutti i gradi dell'essere fino ai corpuscoli elementari.Ci sono buone ragioni per ritenere che egli abbia riprodotto abbastanzafedelmente la dottrina senocratea che contemplava, a detta di testimo-nianze tarde rispecchiate anche in alcuni brani aristotelici, tesi corpusco-lari. Il corpuscolo minimo privo di parti risultante da una divisione finita ècomunque per Senocrate indivisibile solo relativamente in quanto "unitàdi misura" del corporeo, ma non in assoluto. In base a questa concezioneanche l'atomo e il corpuscolo potevano essere interpretati come ejlavcistakai; ajmerh' e criticati di conseguenza in quanto assunti non come minimirelativi, ma assoluti. Questi quattro punti sono fondamentali percomprendere il sostrato di una certa rappresentazione dell'atomismo che

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emerge talvolta in Aristotele e che si basa proprio su una visione condi-zionata dalle problematiche suddette e dalle loro soluzioni.

Innanzitutto il modello di derivazione dagli Eleati che Aristotele pre-senta in De generatione et corruptione A 8 è basato su uno schema di concor-danza coi concetti basilari di essere e non essere degli Eleati e su una so-luzione simile a quella accademica: accordo con gli Eleati sulla necessità diintrodurre un non essere per spiegare il movimento, ridefinizione diquesto non essere come un essere "debole", diverso dall'essere vero eproprio, e dell'essere come molteplicità di unità ciascuna simile all'essereeleatico. Le uniche attestazioni di una possibile allusione agli Eleati daparte di Leucippo e Democrito non presentano "concessioni" di questotipo, ma piuttosto un attacco fortemente polemico alla distinzione fraessere e non essere identificati dagli atomisti non semplicemente comeatomi e vuoto, ma anche, secondo le concezioni correnti al tempo, comecorpo solido e rado e considerati assolutamente equivalenti (in quantoambedue funzionali alla produzione delle caratteristiche specifiche deifenomeni) e non in rapporo gerarchico di maggiore o minore esistenza.

Il logos sugli indivisibili di De generatione et corruptione A 2 derivato daltentativo di soluzione della presunta aporia zenoniana sulla divisibilitàall'infinito è d'altra parte una ricostruzione aristotelica che offre duemodelli di soluzione correnti: quello logico, basato probabilmente su logoiaccademici, e quello fisico, in cui Aristotele stesso presta a Democrito leargomentazioni corrispondenti.

L'allusione esplicita ai corpuscoli democritei come ejlavcista kai; aj-merh' si incontra assai raramente nei testi aristotelici e solo nel caso in cuigli atomi vengano confrontati con gli indivisibili senocratei o inseriti inuna trattazione generale degli indivisibili per essere poi confutati con lestesse argomentazioni di cui Aristotele si serve contro gli Accademici.

I resoconti di Aristotele di carattere espositivo, soprattutto il fram-mento dell'opera specifica su Democrito riportato da Simplicio nel com-mento al De caelo, descrivono invece in altri termini il corpuscolo de-mocriteo. Le sue caratteristiche principali sono la compattezza e la soliditàche ne garantiscono l'eternità. La piccolezza è messa in rilievo unicamenteper giustificarne l'invisibilità. In realtà i corpuscoli sono di grandezze di-verse ed hanno forme "innumerevoli" e sono concepiti soprattutto percomporre una infinità di fenomeni. L'irregolarità delle forme e la loroinfinita diversità fanno pensare ad una dottrina che parte dai corpuscoliper "comporre" dei corpi fisici reali piuttosto che dal concetto teorico dicorpo per arrivare a stabilire, attraverso un procedimento afairetico di tipomatematico, una unità minima e indivisibile.

Se in alcuni punti Aristotele si è servito anche di concetti e di inter-pretazioni dell'Accademia per rappresentare le dottrine di Leucippo e

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Democrito, egli ha tuttavia restituito, proprio per il suo particolare inte-resse storico nei confronti degli autori che leggeva, anche una rappresen-tazione diversa, probabilmente molto più vicina alla realtà, dell'atomismoantico. A questa tradizione aristotelica, ripresa da Teofrasto, si richiamaanche la maggioranza delle interpretazioni successive dell'atomo demo-criteo a cominciare da Epicuro stesso. L'interpretazione epicurea è tutta-via una specie di sintesi delle due versioni dell'atomismo ora presentate. Seda una parte infatti utilizza i dati e la rappresentazione fisica aristotelicadell'atomismo antico in funzione antiaccademica, integra nel contempo laconcezione del corpuscolo con i minimi privi di parti, misura dell'atomo.Epicuro criticava Democrito non tanto per la definizione dell'atomoquanto piuttosto per i dettagli della cosmogonia e per il determinismo,implicito, secondo lui, nel sistema democriteo.

Ad una interpretazione dell'atomismo antico vicina a quella aristote-lico-teofrastea, si richiamava anche la tradizione stoica, forse già con gliallievi di Zenone. Essa riprende la concezione dell'atomo indivisibile perla solidità e sviluppa una sua critica, diretta nel contempo anche e soprat-tutto contro l'epicureismo, basata sulla mancanza di un dio, fattore attivoe provvidenziale, che plasma la materia passiva. Degli atomi privi di qua-lità e assolutamente solidi non possono formare da sé dei corpi e tanto-meno un universo ordinato. Lo stoicismo tardo, probabilmente di matriceposidoniana, riprende questa tradizione ampliandola con una classifica-zione delle varie forme di atomismo e corpuscolarismo divenuta poi la"vulgata". In questa classificazione Democrito ed Epicuro compaionoaccomunati nella assunzione di un atomo solido e compatto e distinti dacoloro che invece assumono corpuscoli ulteriormente divisibili con lamente.

Nell'età ellenistica l'atomismo antico è comunque sempre strettamentelegato a quello epicureo e viene, alla luce di quest'ultimo, interpretato ecriticato. Particolarmente interessanti sono quei pochi testi che presentanoinvece una diaphonia nella concezione dell'atomo fra Leucippo (De-mocrito) ed Epicuro e attribuiscono all'uno un atomo indivisibile per lapiccolezza, all'altro una definizione di indivisibile per la solidità. Si tratta diun contesto funzionale ad una confutazione dell'atomismo in generale dicui emergono qua e là brandelli in testi separati fra loro anche da unanotevole distanza cronologica, ma tenuti insieme da tematiche e struttureargomentative simili che si possono, nella loro globalità far risalire all'Ac-cademia scettica. Curiosamente riemerge, proprio nel contesto della tradi-zione platonica, se pure nelle profonde modifiche subite dopo Arcesilao,una interpretazione dell'atomo quale verosimilmente era stata formulatanell'Accademia antica. Ma si tratta di una analogia che non dice nulla sullatrasmissione e sulle fonti. Le critiche correlate alla rappresentazione

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dell'atomo di Leucippo indirizzano piuttosto verso un peripatetico suigeneris come Stratone di Lampsaco, ma, a questo punto, dobbiamo rico-noscere che ci si trova davanti ad un fantasma. Con Stratone, che puredoveva aver giocato un ruolo importante nella filosofia del primo elle-nismo, la storia è stata avara per lo meno quanto con gli Accademici al-lievi di Platone e con l'Accademia di mezzo.

L'interpretazione dell'atomo degli atomisti antichi come minimo privodi parti non finisce la sua storia confluendo nelle raccolte dossografiche.E' ancora una volta la tradizione platonica a riprendere dalla dossografia ea ricontestualizzare questa immagine. Gli autori Neoplatonici, probabil-mente già Porfirio, utilizzano la diaphonia fra Epicuro e gli atomisti percommentare testi aristotelici critici nei confronti degli indivisibili accade-mici. Gli atomisti antichi, secondo questa interpretazione, avrebbero so-stenuto degli atomi indivisibili per la piccolezza e privi di parti oltre cheimpassibili. Epicuro, in seguito alle critiche mosse all'indivisibile privo diparti da Aristotele, avrebbe modificato tale concetto dell'atomo conside-randolo solo impassibile, ma non minimo privo di parti. Per i Neoplato-nici questa rappresentazione aveva il vantaggio di dirottare su Leucippo eDemocrito quelle critiche che Aristotele invece aveva diretto contro Se-nocrate e gli indivisibili accademici.

Come si vede, dunque, la continuità di questa tradizione sull'ato-mismo di marca platonica è solo apparente. Se esiste un collegamento fral'interpretazione dell'Accademia scettica e quella riemergente negli autorineoplatonici, essa è sicuramente mediata dalla dossografia, mentre è, an-cora una volta, impossibile trovare un filo che leghi fra loro le due fasidell'Accademia.

E' inutile dire che tutte queste interpretazioni dell'atomo degli atomistiantichi poco o nulla fanno trapelare dell'originale.

Se le interpretazioni antiche non aiutano molto a comprendere la veranatura dell'atomo e della dottrina atomistica in generale, bisogna rivolgersiai resoconti più descrittivi, ai frammenti rimasti degli atomisti, ai testi lorocontemporanei e al contesto sociale, politico, religioso in cui essi hannovissuto. Se si parte dalla lingua e soprattutto dalle immagini leucippee edemocritee che affiorano qua e là nei frammenti e nelle testimonianze,abbiamo un quadro meno "matematico" e più "medico", più "politico" ein fondo anche più "letterario" dell'atomo. Il nucleo centrale intorno a cuiruotano queste immagini non è infatti il problema della divisibilità, maquello della deperibilità e della alterabilità dei corpi, della loro influenzabi-lità reciproca e dunque della loro estrema precarietà. In ogni momentoessi si trovano al centro di potenti influssi che li penetrano impercettibil-mente alterandone l'equilibrio: la sensazione stessa è una sorta di malattia,come del resto lo è la generazione. Questo perché i corpi sensibili sono

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"porosi" contengono cioè dei vuoti più o meno grandi che favorisconol'azione delle ajnavgkai e hanno anch'essi ruolo altrettanto importantedegli atomi nella produzione dei fenomeni. Un "grande vuoto", un'imma-gine che richiama nel contempo il grande abisso cosmogonico dellecosmogonie arcaiche e l'utero degli scritti ippocratici, è quello in cui sigenera il cosmo. I piccoli vuoti e le loro forme determinano d'altra parteanch'essi certe caratteristiche e una maggiore o minore instabilità e vulne-rabilità dei corpi. La persistenza dell'universo non può dunque esseregarantita da corpi quali noi li vediamo. Il corpo eterno deve essere unindividuo "adamantino" privo di "pori", compatto, solido, inattaccabile e"non tagliato, inviolato". L'atomo è questo individuo per natura mosso,come gli uomini, da spinte centrifughe e restio all'aggregazione. La forzadell'ajnavgkh cosmica lo fa impigliare e lo trascina in un vortice con gli altrisimili, ma, nel momento in cui altre ajnavgkai più forti irrompono o fannopressione sull'aggregato, l'atomo si libera e fugge. La storia del mondo,delle sue componenti, dei fenomeni è una storia di ajnavgkai, di aggrega-zioni costrette, di liberazioni di atomi che Democrito, come i meteorologoi, ein parte anche i medici del suo tempo, narra con immagini estremamentevivide e "visualizza" aprendo al suo pubblico una finestra sull'invisibile. Itempi sono maturi perché si presti un po' più di attenzione anche a questoDemocrito "visionario" e "pastore di racconti".

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Page 364: M. Laura Gemelli Marciano - Democrito e l'Accademia. Studi sulla trasmissione dell'atomismo antico da Aristotele a Simplicio

Indice dei passi

AchillesIsagoge (ed. Maas)

3, 31,5 264 n. 16624, 55,24 303 n. 87

AelianusVaria historia

3,19 53 n. 55Historia naturalis

5,39 13 n. 486,60 13 n. 489,64 13 n. 4812,16 13 n. 48, 314 n. 12112,17 13 n. 48, 302 n. 8212,18 13 n. 48,12,19 13 n. 48,12,20 13 n. 48, 153 n. 146,

214 n. 102, 302 n. 86

AeschylusAgamemnon

1237 203 n. 57

AgathonFragmenta (edd. Snell-Kannicht)

6 297 n. 62

Alcmaeon (24 DK)Fragmenta (edd. Diels-Kranz)

B 4 157 n. 161

Alexander AphrodisiensisIn Aristotelis Metaphysicorum libros

commentaria (ed. Hayduck)985a 21, 35,24 147 n. 123985a 21, 35,26s. 222 n. 10985b 19, 36,25 28 n. 123,

241 n. 77,265 n. 171

987b 33, 55,20 80 n. 70,209 n. 85

987b 33, 55,20-26 178 n. 31991a 14, 97,27-98, 24 181 n. 42

In librum De sensu commentarium(ed. Wendland)445b 27, 122,21 272 n. 195449a 5, 172,28 272 n. 195

De mixtione (ed. Todd)213,18 82 n. 77213,18-214,6 75 n. 51

Quaestiones (ed. Bruns)2,23, II,72,28 290 n. 37

Alexander Aphrodisiensis ap. Simpl.In De cael.299b 23, 576,5 106 n. 139

Alexander Aphrodisiensis ap. Simpl.In Phys.202b 36, 454,23-29 178 n. 31187a 1, 130,10 271 n. 193

Ps. - Alexander AphrodisiensisIn Aristotelis Metaphysicorum libros

commentaria (ed. Hayduck)1053a 14, 610,24-32 265 n. 1751056b 28, 631,8-11 263 n. 1611083b 1, 766,31-34 271 n. 1931084 b 23, 775,28 195 n. 26

Albertus MagnusDe Lapidibus

1,1,4 290 n. 37

AmbrosiusHexaemeron (ed. Migne)

1,2,7 (P. L. 14,125 C) 245 n. 92

AmmoniusIn Aristotelis Categorias commentarium

(ed. Busse)4b 20, 54,4-9 98 n. 1225a 3, 58,10-11 98 n. 122

In Porphyrii Isagogem (ed. Busse)Prooem. 7,13ss. 92 n. 105

Anaxagoras (59 DK)Fragmenta (edd. Diels-Kranz)

A 41 159 n. 166A 61 137 n. 91, 181 n. 43

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Indice dei passi352

A 74 296 n. 58B 1 127 n. 61, 151B 3 127 n. 61B 4 284 n. 21B 6 284 n. 21B 7 284 n. 21B 8 208 n. 78, 284 n. 21B 9 284 n. 21B 12 284 n. 21B 13 284 n. 21B 16 284 n. 21B 17 186 n. 53, 284 n. 21B 21a 299 n. 66

Anaximander (12 DK)Fragmenta (edd. Diels-Kranz)

A 17 44 n. 14

Anaximenes (13 DK)Fragmenta (edd. Diels-Kranz)

A 20 304 n. 90

AnonymusProlegomena in Platonis Philosophiam

(ed. Westerink)5,1-46 50 n. 4510,1ss. 89 n. 9911,27 94 n. 110

Anonymus Iamblichi (89 DK)Fragmenta (edd. Diels-Kranz)

6 283 n. 186,1 289 n. 36

Antisthenes RhodiusFragmenta (ed. Jacoby)

FGrHist 508 F 14 51 n. 50

Antiphon (87 DK)Fragmenta (edd. Diels-Kranz)

B 1 311 n. 112B 3-5 10 n. 34B 11 10 n. 34B 14-15 10 n. 34B 17-19 10 n. 34

Apollodorus AtheniensisAp. Diog. Laert.

9,34s. 45 n. 1710,13 5 n. 11

ApuleiusDe deo Socratis

20 290 n. 40

ArchimedesPeri; tw'n mhcanikw'n (ed. Heiberg)

II,428,26 39 n. 151

ArchilochusFragmenta (ed. West)

128,6s. 203 n. 52

Ps. - ArchytasIn Aristotelis Categoriarum Libros

commentaria (ed. Szlezák)T 3 97 n. 119

Peri; tou' kaqovlou lovgou (ed.Szlezák)34,13ss. 97 n. 119

AristotelesCategoriae

10a 11ss. 100 n. 130Topica

A 10, 104a 3-11 112 n. 10A 11, 104b 19-22 113 n. 14,

173 n. 20A 11, 104b 22 122 n. 41A 11, 104b 32-34 113 n. 15A 11, 105a 1-9 112 n. 10A 14, 105a 34-105b 25

112 n. 10A 14, 105b 16-18 186 n. 54B 3, 110b 9 141 n. 99B 3, 110b 11 141 n. 99B 7, 112b 29 141 n. 99B 8, 113b 16 141 n. 99G 6, 119a 34 141 n. 99G 6, 120a 4 141 n. 100Z 13, 150b 31 141 n. 100H 3, 153b 29 141 n. 100Q 1, 156b 18 184 n. 51Q 1, 157a 1 182 n. 46Q 3, 158b 8 141 n. 101Q 5, 159a 26ss. 110 n. 4Q 5, 159b 27 114 n. 16Q 7, 160a 20 141 n. 100Q 14, 163b 4-9 114 n. 19Q 14, 163b 17 114 n. 19Q 14, 164b 16 140 n. 98

Sophistici Elenchi12, 172b 10s. 121 n. 3812, 173a 6 121 n. 3833, 182b 22 132 n. 7434, 183b 36ss. 113 n. 11

PhysicaA 2 113 n. 14A 2, 184b 20 121 n. 39A 2, 184b 25s. 59 n. 2

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Indice dei passi 353

A 2, 185a 33 139 n. 92A 2, 185b 8 209 n. 82A 2-3 116 n. 26,

120 n. 36A 3 136A 3, 187a 1 133 n. 76A 3, 187a 1ss. 109 n. 2A 3, 187a 1-3 127 n. 61A 4, 187a 36-187b 2 194 n. 23A 5, 188a 19 146 n. 120A 5, 188a 22 139 n. 92A 8, 191a 24-32 134 n. 81A 8, 191b 31-33 134 n. 81A 9, 191b 35ss. 114 n. 18A 9, 191b 36 135 n. 85B 1, 193a 5ss. 76 n. 55B 2, 193b 22-37 60 n. 5B 4, 196a 24ss. 16 n. 62G 4, 203a 10ss. 124 n. 47G 4, 203a 16 125 n. 51G 4, 203a 33 157 n. 158G 4, 203a 33-203b 1 156 n. 156G 5, 204b 4ss. 170 n. 15G 6, 206a 16-18 127 n. 62G 6, 206a 16-23 175s. n. 25G 7, 207b 6 209 n. 82G 8, 208a 14 78 n. 64,

173 n. 19D 1, 208b 25-209a 1 143 n. 114D 1, 208b 29-209a 1 112 n. 8D 2, 209b 6-12 123 n. 45,

126 n. 59,143 n. 112

D 2, 209b 11 139 n. 92D 6, 213a 19ss. 63 n. 14D 6, 213a 27-31 149 n. 131D 6, 213a 31 123 n. 46D 6, 213a 32-34 287D 6, 213b 4-14 122 n. 43,

142 n. 104D 6, 213b 15 293s. n. 52D 6, 213b 18-20 152

n. 141,215 n. 106

D 6, 213b 21-22 152 n. 140D 6, 213b 22-24 149 n. 131D 6, 213b 22-27 124 n. 47D 7, 214a 13 123 n. 45D 9, 216b 27 294 n. 52Z 1, 231a 25 209 n. 82Z 1, 232a 6-11 268 n. 183Z 1-2 197, 235

n. 54Z 9, 239b 11-14 127 n. 61Q 3, 253a 32 120 n. 36

De caeloA 5, 271b 9-11 195 n. 25A 7, 275b 30ss. 156 n. 156A 10, 279b 32 80 n. 68,

81 n. 76B 13, 294b 13 304 n. 90G 1, 298b 15ss. 116 n. 26G 1, 298b 15-26 62 n. 14G 1, 299a 2ss. 194 n. 24G 1, 299a 6-9 178 n. 30G 1, 299a 17s. 201 n. 49G 1, 299a 25-30 241 n. 77G 1, 299b 6 209 n. 82G 1, 300a 7-12 178 n. 30G 1, 300a 16-20 241 n. 76G 2, 300b 9-19 56 n. 65G 4 30, 211,

281G 4, 303a 4 221 n. 5G 4, 303a 5-6 209 n. 86G 4, 303a 6 156 n. 152G 4, 303a 8-10 199 n. 37G 4, 303a 9-11 57 n. 68G 4, 303a 20-23 194 n. 24,

197 n. 31,207 n. 70

G 4, 303a 29-303b 3 199 n. 39G 5, 304a 9-18 189 n. 4,

193G 5, 304a 14ss. 200 n. 41G 6 211G 6, 305a 1-6 77 n. 56,

125 n. 52,190 n. 10

G 6, 305a 3-4 112 n. 8G 7, 305b 31-306a 1 238 n. 63G 7, 306a 5-26 60 n. 6G 7, 306a 30-35 238 n. 63,

239 n. 65G 8, 306b 33 294 n. 52D 2, 308b 29 64 n. 20D 2, 308b 36 241 n. 77D 2, 309a 2ss. 64 n. 19,

210 n. 89D 6, 313a 16 304 n. 94

De generatione et corruptioneA 1, 314a 17s. 121 n. 39A 2 30, 39,

110s., 56,128s., 137,165-187pass., 263

A 2, 315b 6ss. 232 n. 49A 2, 315b 11 215 n. 107A 2, 315b 13-15 157 n. 160A 2, 315b 24-30 209 n. 86

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Indice dei passi354

A 2, 315b 28 169 n. 9A 2, 315b 28-316a 14 169A 2, 315b 32-316a 4 210 n. 90A 2, 315b 33-34 241 n. 75A 2, 316a 2-4 241 n. 76A 2, 316a 5 78 n. 64,

166 n. 1A 2, 316a 11ss. 207 n. 70A 2, 316a 11-12 169 n. 10A 2, 316a 14-23 174 n. 21A 2, 316a 15-29 173A 2, 316a 15-b 19 167 n. 7A 2, 316a 17-19 172 n. 18A 2, 316a 22s. 172 n. 18A 2, 316a 23-34 177 n. 29A 2, 316a 29 174A 2, 316a 30-b 16 177A 2, 316a 34ss. 174 n. 23A 2, 316a 34-b 2 180 n. 35A 2, 316b 1 178A 2, 316b 2-5 181 n. 40A 2, 316b 18-35 183A 2, 316b 20-34 167 n. 7A 2, 316b 21-27 183s. n. 50A 2, 316b 29-34 172A 2, 317a 2-12 176 n. 26A 3, 318b 19 149 n. 131A 5, 320b 33 139 n. 92A 6, 322b 13 157 n. 159A 8 25, 37

n. 148, 56,109-164pass., 186,216

A 8, 324b 35 118 n. 31A 8, 324b 35-325a 2-30

110A 8, 325a 2-23 110A 8, 325a 17-23 120A 8, 325a 23-30 140A 8, 325a 23-b 11 137, 139s.

n. 93A 8, 325a 29 217 n. 111A 8, 325a 30 185A 8, 325a 30-b 11 155A 8, 325a 32-325b 5 117 n. 30A 8, 325b 3-5 215 n. 106A 8, 325b 5-11 190 n. 10A 8, 325b 17-19 209 n. 87A 8, 325b 22-25 190 n. 9A 8 325b 25-30 209 n. 81,

210 n. 89A 8, 325b 25-33 56A 8, 325b 32 139 n. 92A 8, 326a 1ss. 207, 225

n. 23

A 8, 326a 4ss. 216 n. 109A 8, 326a 9 139 n. 92A 8, 326a 13-14 216 n. 110A 8, 326a 21 210 n. 89A 8, 326a 24-29 185 n. 52A 8, 326a 31-33 156 n. 156A 9 211A 9, 327a 6 177 n. 28A 10, 327b 13-22 181s. n. 44A 10, 327b 33ss. 194 n. 22B 7, 334a 26-30 194 n. 23

MeteorologicaA 8, 345a 25 303 n. 87

De animaA 2, 404a 1-21 57, 262

n. 160,293 n. 50

A 2, 404a 2 207 n. 69A 4, 408b 32 196A 4, 409a 10-15 196 n. 29A 5, 409b 2-4 17 n. 67

De sensu3, 440a 31-440b 4 194 n. 226, 445b 8-15 198 n. 336, 445b 11-13 225 n. 246, 445b 15-21 198 n. 34

Historia animaliumZ 5, 563a 6 139 n. 92

De partibus animaliumA 1, 640b 29 319 n. 136

De generatione animaliumB 4, 746a 19 7 n. 15

MetaphysicaA 3, 983b 21 139 n. 92A 3, 984a 11-13 121 n. 39A 4 159

n. 165,A 4, 984b 23-31 112 n. 8A 4, 985a 3ss. 112 n. 8A 4, 985b 4 147

n. 121,217 n. 111

A 4, 985b 7 210 n. 92A 5, 987a 3-5 62 n. 14A 5, 987a 20-21 55 n. 61A 6, 987a 29ss. 54A 6, 987b 10ss. 54 n. 59A 8, 989a 21 139 n. 92A 8, 989a 30ss. 170 n. 13A 8, 989a 30-b 4 181 n. 43A 8, 989a 30-b 21 112 n. 8,

137 n. 91A 8, 990a 12-14 241 n. 77A 9, 991a 14 181 n. 41A 9, 992a 19-24 178 n. 31

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Indice dei passi 355

A 9, 992a 24-29 60 n. 3, 76n. 55

A 9, 992b 18-993a 10ss.60 n. 4

B 3, 999a 1 209 n. 82B 4, 1001a 9-19 144

n. 115,B 4, 1001b 7 179 n. 33,

209 n. 82B 5, 1001b 32-1002a 12

63 n. 16B 5, 1002a 4-6 178 n. 30B 5, 1002a 18-25 240 n. 72B 5, 1002a 32 241 n. 76B 6, 1002b 4 209 n. 82G 4, 1006a 2 169 n. 12G 5, 1009a 22 146

n. 119,148 n. 123

G 5, 1009a 28 217 n. 111G 5, 1009b 7 313 n. 117G 5, 1009b 11 20 n. 89G 5, 1010a 1-3 62 n. 14D 3, 1014a 31-34 209 n. 87D 3, 1014b 4-6 209 n. 83D 3, 1014b 8 209 n. 82Z 2, 1028b 16 64s. n. 21Z 2, 1028b 19ss. 71 n. 39Z 13, 1039a 7-14 156

n. 152,196 n. 27,206

H 2, 1042b 11-15 156 n. 156I 1, 1052b 31ss. 209 n. 84I 1, 1053a 1 209 n. 82I 1, 1053a 10 209 n. 82I 1, 1053a 20-24 223I 3, 1054a 21 209 n. 82K 2, 1060b 12 178 n. 30K 3, 1061a 28-1061b 7

201 n. 49L 6, 1071b 31 142 n. 106L 6, 1071b 31-37 56 n. 64M 4 77 n. 58M 4, 1078b 12ss. 54s.M 4, 1078b 19 55 n. 63M 4, 1078b 19-21 63 n. 17,

66 n. 25M 4, 1078b 21 293 n. 52M 6, 1080b 6 85 n. 86M 6, 1080b 30-32 85 n. 86M 8, 1083b 11-19 241 n. 76M 8, 1084b 27ss. 195M 9, 1085a 31-34 178 n. 30M 9, 1085b 16 209 n. 82

N 2, 1088b 35-1089a 6112 n. 6114 n. 18,135 n. 83,143 n. 111

N 2, 1089a 1ss. 136 n. 88N 2, 1089a 3 4 n. 7N 3, 1090b 5-7 178 n. 30N 3, 1090b 21-29 81 n. 73N 3, 1090b 28 194 n. 24N 4, 1091a 23-29 81 n. 76

RhetoricaB 24, 1402a 3-6 134 n. 82

Fragmenta (ed. Rose)28 80 n. 70193 290 n. 40201 124 n. 47208 14 n. 53,

16 n. 62,37 n. 148,65 n. 22,140 n. 95,142n. 107,146n. 118,156nn. 152,157, 185s.n. 53, 201n. 47, 206n. 65,212 n. 94,215n. 105,282 n. 14,288 n. 33

Fragmenta (ed. Ross)De ideis

5 181 n. 42De Bono

2 209 n. 85

[Aristoteles]De lineis insecabilibus 27 n. 119

968a 2 237 n. 61968a 2-9 191 n. 14968a 9-14 169 n. 10968a 16-18 192 n. 15

De Melisso, Xenophane et Gorgia976b 12-18 143s.

n. 114979a 13-18 120 n. 35980a 3-9 114 n. 17,

125 n. 55

Page 369: M. Laura Gemelli Marciano - Democrito e l'Accademia. Studi sulla trasmissione dell'atomismo antico da Aristotele a Simplicio

Indice dei passi356

Problemata903a 7 296 n. 58938b 24-27 152 n. 140

AristophanesAves

567 213 n. 95695 286 n. 29

Equites246 203 n. 57

Pluto1142 213 n. 95

Thesmophoriazousai956 202 n. 51

AristoxenusFragmenta (ed. Wehrli)

30 52 n. 5352b 48 n. 3654a 48 n. 36, 52 n. 5354b 48 n. 3656 48 n. 3667 52 n. 52131 49 n. 40

AsclepiusIn Aristotelis Metaphysicorum libros

A-Z commentaria (ed. Hayduck)985b 4, 33,9 148 n. 123

AugustinusEpistulae (ed. Migne)

118,28 (P. L. 33,II, 445)262 n. 157

Sermones (ed. Migne)362,20 (P. L. V,2, 1624s.)

262 n. 157

Basilius CaesarensisHexaemeron

3 A 266 n. 176

Caelius AurelianusDe morbis acutis

1,14,106 8 n. 27, 253 n. 1223,14,112ss. 7 n. 163,15,120 7 n. 16

CallimachusFragmenta (ed. Pfeiffer)

456 10 n. 34

CarneadesFragmenta (ed. Mette)

F 1, 72,26ss. 230 n. 43F 3, 80,2-3 230 n. 42F 3, 81,30 230 n. 42F 5, 85,67ss. 227 n. 29F 8a, 93,24 226 n. 26,

230 n. 42

CelsusDe medicina

2,6,13s. 9 n. 31

ChalcidiusIn Timaeum (ed. Waszink)

101,19ss. 80 n. 70283,17-284,8 82 n. 77

ChamaileonFragmenta (ed. Wehrli)

4 52 n. 53

CiceroAcademica

1,2,6 94 n. 1111,4,16 229 n. 361,7,27-29 226 n. 281,12,44 20 n. 88, 229 n. 361,12,46 251 n. 1182,23,73 20 n. 872,23,74 229 n. 362,27,87 227 n. 292,37,118 21 n. 922,38,121 14 n. 52, 249 n. 107,

250 n. 1112,40,125 228 n. 33

De divinatione1,37,80 23 n. 97

De Fato10,22 2110,23 254 n. 12720,46 254 n. 126

De finibus1,6,17 229 n. 37, 245 n. 871,6,18 227 n. 321,6,20 251 n. 1131,6,21 229 n. 37

De natura deorum1,23,65 226 n. 271,24,66 250 n. 1091,24,67 250 n. 1101,26,73 229 n. 371,32,90 256 n. 1311,33,93 229 n. 371,39,110 227 n. 31, 229 n. 38

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Indice dei passi 357

1,43,120 229 n. 372,2,4 23 n. 972,37,93 245 n. 872,37,93s. 227 n. 323,12,29 226 n. 26, 230 n. 423,13,32 230 n. 42

De oratore1,11,49 20 n. 902,46,194 23 n. 972,58,235 13 n. 483,18,67 88 n. 98

Hortensius (Fragmenta)(ed. Straube-Zimmermann)53 7 n. 18

Orator20,67 20 n. 90

Tusculanae disputationes1,18,42 245 n. 871,34,82 7 n. 195,36,104 48 n. 37

Clemens AlexandrinusPaedagogus

1,94 7 n. 14Protrepticus

6,68,5 23 n. 97Stromata

1,14,64,2 19 n. 78,161 n. 171

4,23,149,3 23 n. 975,13,87 290 n. 405,14,101,4 23 n. 976,18,168 23 n. 97

Corpus HippocraticumAphorismi (ed. Jones; Littré)

1 (98,1 Jones = IV,458 Littré)312 n. 114

De aeribus aquis et locis(ed. Jouanna; Littré)19,5 (235,4 Jouanna =

II,72 Littré) 282 n. 14De arte (ed. Jouanna; Littré)

5,4 (228,15-229,4 Jouanna =VI,8 Littré) 298 n. 65

6,4 (230,15 Jouanna =VI,10 Littré) 296 n. 60

8,2 (232,17 Jouanna =VI,12 Littré) 120 n. 37

9,2 (234,13 Jouanna =VI,16 Littré) 308 n. 104

10,5 (236,15 Jouanna =VI,18 Littré) 308 n. 105

11,1 (237,11 Jouanna =VI,18 Littré) 308 n. 103

11,1-4 (237,4-238,7 Jouanna =VI,18-20 Littré) 312 n. 115

11,4 (237,17 Jouanna =VI,20 Littré) 307 n. 101

11,6 (238,16 Jouanna =VI,20 Littré) 308 n. 104

12,3 (240,10 Jouanna =VI,24 Littré) 281 n. 11

De articulis (ed. Kühlewein; Littré)62 (II,214,2 Kühlewein =

IV,268 Littré) 203 n. 55De flatibus (ed. Jouanna; Littré)

1,3 (103,6 Jouanna =VI,90 Littré) 307 n. 102

De genitura (ed. Joly; Littré)1,1 (44,1 Joly =

VII,470 Littré) 151 n. 1381,2-3 (44,10-45,8 Joly =

VII,470-472 Littré)157 n. 161

De glandulis (ed. Joly; Littré)16,2 (121,20 Joly =

VIII,572 Littré) 214n. 100,283 n. 19

De locis in homine (ed. Joly; Littré)46 (76,6-77,4 Joly =

VI,342-344 Littré)296 n. 60

46,3 (76,26 Joly =VI,342 Littré) 297 n. 63

De morbis IV (ed. Joly; Littré)55,3 (118,3 Joly =

VII,602 Littré) 302 n. 8556,7 (121,16 Joly =

VII,608 Littré) 306 n. 100De morbis mulierum I

(ed. Grensemann; Littré)1,11-19 (88,24-89,17

Grensemann =VIII,12-14 Littré) 213 n. 99,

283 n. 19De morbo sacro (ed. Jouanna; Littré)

1,9 (7,3 Jouanna =VI,358 Littré) 281 n. 10

18,1 (31,16 Jouanna =VI,394 Littré) 157 n. 161

De natura hominis (ed. Jouanna; Littré)1 (165,1 Jouanna =

VI,32 Littré) 319 n. 1351 (166,9-11 Jouanna =

VI,34 Littré) 122 n. 412 (168,4s. Jouanna =

VI,34 Littré) 259 n. 140

Page 371: M. Laura Gemelli Marciano - Democrito e l'Accademia. Studi sulla trasmissione dell'atomismo antico da Aristotele a Simplicio

Indice dei passi358

De natura pueri (ed. Joly; Littré)12,6 (54,27-55,3 Joly =

VII,488 Littré) 287 n. 3113,3 (56,3-5 Joly =

VII,490 Littré) 287 n. 3114,2 (56,19-21 Joly =

VII,492 Littré) 287 n. 3131,2 (83,8 Joly =

VII,540 Littré) 314 n. 121De officina medici

(ed. Kühlewein; Littré)1 (I,30,1 Kühlewein =

III,272 Littré) 309 n. 1069 (II,36,10 Kühlewein =

III,302 Littré) 156 n. 157De vetere medicina (ed. Jouanna; Littré)

9,4 (128,15-17 Jouanna =I,590 Littré) 312 n. 113

10,3-4 (130,9-131,10 Jouanna =I,592-94 Littré) 312 n. 113

12,2 (132,18 Jouanna =I,596 Littré) 297 n. 60

14,4 (136,8 Jouanna =I,602 Littré) 157 n. 161

14,4 (136,10 Jouanna =I,602 Littré) 315 n. 123

20,1 (145,18 Jouanna =I,620 Littré) 12 n. 45,

318 n. 13220,1 (146,5 Jouanna =

I,620 Littré) 318 n. 13320,3 (146,15 Jouanna =

I,622 Littré) 318 n. 13422,6 (151,2 Jouanna =

I,630 Littré) 149 n. 130De victu (ed. Joly; Littré)

I,2 (122,22 Joly = VI,466 L.)319 n. 137

II,56,6 (180,5 Joly =VI,568 Littré) 316 n. 125

De victu acutorum (ed. Joly; Littré)6,1 (38,11 Joly =

II,238 Littré) 12 n. 45,318 n. 132

8,2 (39,12 Joly =II,242 Littré) 306 n. 98

Prorrheticus II (ed. Potter; Littré)2-3 (221-227 Potter =

IX,10-14 Littré) 306 n. 983 (224-226 Potter =

IX,12-14 Littré) 311 n. 11130 (276 Potter =

IX,60 Littré) 281 n. 1230 (278 Potter =

IX,60 Littré) 281 n. 12

Critias (88 DK)Fragmenta (edd. Diels-Kranz)

B 25 51 n. 51B 39 311 n. 112

Cyrillus AlexandrinusContra Iulianum

2,15 245 n. 92

Damoxenus comicusFragmenta (edd. Kassel-Austin)

2,29 317 n. 128

DavidProlegomena philosophiae (ed. Busse)

38,14 301 n. 77

Demetrius Laco(ed. Puglia)

P. Herc. 1012 col. XV,154251 n. 116

Demetrius MagnesAp. Diog. Laert.

9,36 47 n. 32

Demetrius PhalereusFragmenta (ed. Wehrli)

93 48 n. 35

Democritus (68 DK)Fragmenta (edd. Diels-Kranz; Lur'e)

A 1 (I L.) 161 n. 172A 1 (I, CXXVII L.) 11 n. 39A 1 (XI L.) 292 n. 49A 1 (XVII, 154 L.) 54 n. 57A 1 (XXV, 493a L.) 48 n. 35A 1 (LXXX L.) 19 n 83,

49 n. 40A 1 (42, 382 L.) 221 n. 4A 1 (93, 382 L.) 221 n. 9A 1 (184, 382 L. 221 n. 5A 1 (215, 382 L.) 221 n. 3A 1 (493a L.) 47 n. 34A 1 (569 L.) 221 n. 9A 1 (735 L.) 221 n. 8A 11 (XXIV L.) 48 n. 37A 21 (LXI, 513 L.) 13 n. 48A 31 (CXXIV L.) 10 n. 34A 32 (CXXV L.) 11 n. 37A 33 (CXV L.) 4 n. 9, 13,

203 n. 54,210 n. 91,313 n. 118

Page 372: M. Laura Gemelli Marciano - Democrito e l'Accademia. Studi sulla trasmissione dell'atomismo antico da Aristotele a Simplicio

Indice dei passi 359

A 34 (CXVII, CXVIII L.)14 n. 53

A 34 (CXIX L.) 57 n. 70A 34 (CXXIII L.) 16 n. 64A 34 (36a L.) 16 n. 60A 34 (826, 827 L.) 20 n. 90A 36 (99, 171 L.) 63 n. 17,

66 n. 25A 37 (172 L.) 65 n. 22A 37 (172, 197 L.) 14 n. 53,

146n. 118,212 n. 94

A 37 (172, 197, 293 L.)206 n. 65

A 37 (227, 293 L.) 16 n. 62,140 n. 95,142n. 107,156n. 152,156n. 157,185s.n. 53, 201n. 47,215n. 105,282 n. 14,288 n. 33

A 38 (318 L.) 201n. 46s.,207 n. 71

A 39 (20, 23 L.) 279 n. 1A 41 (145, 220, 237 L.)

125 n. 51,A 41 (220 L.) 157 n. 158A 42 (46, 211 L.) 156

n. 152,196 n. 27

A 43 (219, 265, 299, 310 L.)233 n. 50

A 45 (238 L.) 146 n. 120A 46 9 n. 33,

259 n. 139A 47 (207 L.) 232 n. 47A 47 (307, 365 L.) 254

n. 126s.A 48 (106 L.) 265

n. 169s.A 48a (107 L.) 274 n. 202A 48b (105 L.) 174 n. 21A 49 (90, 185, 197 L.)

146n. 117,205 n. 61

A 49 (112 L.) 101n. 132,258 n. 137

A 50 (39 L.) 17 n. 70A 51 (XCIX L.) 229 n. 37A 52 (XCV L.) 16 n. 63A 55 (124, 169 L.) 231 n. 44A 56 (C, 15, 180, 361 L.)

227 n. 32,229 n. 37,245 n. 87

A 57 (179 L.) 22 n. 95,101n. 132,229 n. 38

A 57 (198 L.) 206 n. 63A 60 (368 L.) 210 n. 89A 62 (375 L.) 304s. n. 94A 67 (19 L.) 298 n. 64A 68 (24, 99 L.) 14 n. 50,

298 n. 64A 69 (18, 288 L.) 16 n. 62A 69 (36a L.) 16 n. 61A 74 (472a, 594 L.) 229 n. 37A 75 (581 L) 17A 77 (476 L.) 17 n. 70,

290 n. 38s.A 78 (472a L.) 290 n. 39A 80 (26 L.) 14 n. 52,

250 n. 111A 86 (390 L.) 17 n. 66A 88 (380 L.) 17 n. 66A 91 (418 L.) 303 n. 87A 93 (415 L.) 154 n. 150A 93a (12, 371 L.) 18 n. 76,

285 n. 23,301 n. 74

A 98 (414 L.) 18 n. 76A 108 (454 L.) 17 n. 67A 111 (81 L.) 299 n. 66A 112 (52, 80 L.) 313 n. 117A 116 (86, 438, 520, 572 L.)

291 n. 46A 120 (171 L.) 63 n. 17,

102, 103n. 137,207 n. 71

A 125 (94, 214, 229, 487 L.)220 n. 1

A 126a (480, 489 L.) 301 n. 80A 128 (11, 316, 491, 565 L.)

18 n. 75,289 n. 35,301 n. 75

A 132 (499 L.) 207 n. 72,225 n. 23

Page 373: M. Laura Gemelli Marciano - Democrito e l'Accademia. Studi sulla trasmissione dell'atomismo antico da Aristotele a Simplicio

Indice dei passi360

A 135 (50) (478 L.) 149 n. 129A 135 (54) (478 L.) 214 n. 101A 135 (55) (488 L.) 317 n. 129A 135 (56) (488 L.) 153 n.145A 135 (60) (71 L.) 65 n. 23,

225 n. 24A 135 (61) (369 L.) 215 n. 109A 135 (62) (369 L.) 149

n. 129,153s.n. 147,317 n. 129

A 135 (65) (496 L.) 153n. 144,285 n. 23,286 n. 28,316 n. 126

A 135 (66) (496 L.) 201 n. 47,305n. 95s.,317 n. 129

A 135 (67) (496 L.) 315 n. 124A 135 (69) (3, 441 L.) 205 n. 62,

225 n. 24,310 n. 110

A 135 (73) (484 L.) 204 n. 59A 135 (74) (484 L.) 154 n. 148A 135 (75) (484 L.) 154

n. 149,207 n. 72,210 n. 92

A 135 (79) (484 L.) 304 n. 95A 144 (535, 536 L.) 7 n. 15A 150a (560 L.) 13 n. 48A 151 (519, 545, 561 L.)

13 n. 48,314 n. 121

A 152 (521 L.) 13 n. 48,302 n. 82

A 153 (541 L.) 13 n. 48A 154 (543 L.) 13 n. 48A 155 (542 L.) 13 n. 48,

153n. 146,214n. 102,302 n. 86

A 155a (554 L.) 13 n. 48A 156 (549 L.) 13 n. 48A 159 (567a L.) 7 n. 16A 160 (586 L.) 7 n. 19, 9

n. 31A 162 (557 L.) 153 n. 143A 164 (448 L.) 290 n. 37A 165 (319 L.) 290 n. 37

A 171 Nachtr. (558 L.)9 n. 30

A 197 (456 L.) 8 n. 21B 1a (587 L.) 17 n. 69B 5 (I L.) 161 n. 172B 5 (159 L.) 45 n. 17,

306 n. 35B 5,1 (515, 572a L.) 44 n. 10B 5,1 (558 L.) 289 n. 36B 6 (CXVI, 48 L.) 206 n. 64B 9 (55 L.) 205 n. 61,

215n. 106,282 n. 16,315 n. 124

B 11 (83 L.) 309s. n. 107B 14,1 (424,1 L.) 12 n. 47B 15b (139, 160 L.) 12 n. 47B 17 (574 L.) 23 n. 97B 18 (574 L.) 23 n. 97B 30 (580 L.) 23 n. 97B 32 (527 L.) 6 n. 14

157n. 160,282 n. 17

B 33 (682 L.) 23 n. 97B 34 (10 L.) 301 n. 77B 116 (XXIV L.) 47 n. 32B 117 (51 L.) 20 n. 88,

205 n. 61B 118 (LVIII, 29 L.) 296 n. 59B 119 (32 L.) 297 n. 63B 122a (567 L.) 45 n. 18B 125 (79-80 L.) 9 n. 29,

205 n. 61,310 n. 108

B 131 (828 L.) 208 n. 79B 135 (828 L.) 214

n. 103,301 n. 78

B 143 (64 L.) 17 n. 69B 144 (568 L.) 17 n. 69B 148 (537 L.) 22 n. 94,

286 n. 30,301 n. 80

B 153 (611 L.) 17 n. 69B 155 app. (125, 126 L.)

39 n. 151B 155 app. (287a L.) 18 n. 73B 156 (7, 78 L.) 146 n. 117B 157 (728 L.) 203 n. 56B 163 (75 L.) 151 n. 139B 164 (11, 316 L.) 18 n. 75,

250n. 108,

Page 374: M. Laura Gemelli Marciano - Democrito e l'Accademia. Studi sulla trasmissione dell'atomismo antico da Aristotele a Simplicio

Indice dei passi 361

289 n. 35,301 n. 75

B 165 (63, 65 L.) 20 n. 87,319 n. 136

B 166 (472a L.) 290 n. 40B 167 (19, 288 L.) 206 n. 64,

279 n. 5,298 n. 64

B 300,2 13 n. 47VIII L. 19 n. 78,

161 n. 171LXXX L. 50 n. 44LXXXIII L. 19 n. 78XCII L. 19 n. 78XCIV L. 19 n. 78CIV L. 229 n. 378 L. 146 n. 11957 L. 261 n. 15161 L. 17 n. 70,

221 n. 992 L. 261 n. 151101 L. 106

n. 140,209 n. 86

108 L. 272 n. 194110 L. 198 n. 33s.113 L. 261 n. 154117 L. 196 n. 29,

223 n. 15,268 n. 181

119 L. 274 n. 201120 L. 270 n. 188122 L. 63 n. 17,

106n. 139

123 L. 28 n. 123,241 n. 77,265 n. 171

124 L. 82 n. 77143 L. 146

n. 119,217 n. 111

152 L. 161 n. 171169 L. 82 n. 77175 L. 200 n. 44177 L. 148 n. 123182 L. 229 n. 37188 L. 146 n. 118197 L. 146 n. 118200 L. 224 n. 17201 L. 264 n. 165212 L. 222 n. 13214 L. 147

n. 123,222 n. 10

217 L. 254nn. 124,128

218 L. 244 n. 83234 L. 254

nn. 124,128

235 L. 244 n. 83237 L. 283 n. 180251 L. 14 n. 50266 L. 123 n. 45267 L. 123 n. 45272 L. 244 n. 83273 L. 99 n. 127302 L. 244 n. 83328 L. 146 n. 118337 L. 209 n. 87350 L. 229 n. 37376 L. 304 n. 90429 L. 198

n. 33s.,225 n. 24

449 L. 245 n. 87470 L. 229 n. 37506 L. 91 n. 103565 L. 244 n. 83591 L. 244 n. 83,

246 n. 94,247 n. 97

592 L. 245 n. 91594 L. 262 n. 158

DexippusIn Aristotelis Categorias commentarium

(ed. Busse)4b 20, 65,9-13 97 n. 119

Dicaearchusap. Philod. Index Acad.

P. Herc 1021 col. Y 50 n. 49

Didymus CaecusCommentarium in Ecclesiastem

7-8,8, Cod. p. 209,27 245 n. 92

Diodorus ChronusFragmenta (ed. Giannantoni)

II F 9 SSR 272 n. 195

Diodorus SiculusBibliotheca historica

1,7,1 44 n. 101,8,1 289 n. 36

Page 375: M. Laura Gemelli Marciano - Democrito e l'Accademia. Studi sulla trasmissione dell'atomismo antico da Aristotele a Simplicio

Indice dei passi362

Diogenes Apolloniates (64 DK)Fragmenta (edd. Diels-Kranz)

A 1 44 n. 14A 6 44 n. 14A 7 157 n. 159A 19 157 n. 159B 2 157 n. 159

Diogenes LaertiusVitae philosophorum

Prooem. 1 231 n. 44Prooem. 15 161 n. 1711,76 1623,24 50 n. 443,46 523,56 55 n. 623,67 94 n. 1093,70 94 n. 109, 95 n. 1135,26s. 14 n. 535,43 14 n. 535,49 14 n. 535,86 30 n. 1309,23 131 n. 709,29 131 n. 709,30 44 n. 13, 140 n. 96,

159 n. 165, 161n. 171, 207 n. 71

9,31 201 n. 47, 206 n. 66,279 n. 3

9,33 15 n. 57, 17 n. 66,282 n. 13

9,34 292 n. 489,38 54 n. 579,39 51 n. 509,40 43, 49 n. 409,41 11 n. 39, 161 n. 1729,44 221 nn. 3-5, 9, 232

n. 479,45 221 n. 8s.9,46 4 n. 99,47 13, 203 n. 54, 210

n. 919,54 44 n. 149,61 19 n. 819,67 19 n. 809,72 20 n. 88, 205 n. 61,

222 n. 99,111 16210,2 16 n. 6310,13 5 n. 1110,24 16 n. 64

Diogenes OenoandensisFragmenta (ed. Smith)

7 II 17 n. 70

7 II 2 221 n. 910 I,4ss. 17 n. 7010 IV,10ss. 17 n. 7054 II-III 17 n. 70

Dionysius CaesarensisAp. Eus. Praep. ev.

14,23 191 n. 1214, 23,1-4 233 n. 5014,25,9 250 n. 10814,27,4 296 n. 59

Dionysius HalicarnassensisDe compositione verborum

24 20 n. 90

Duris SamiusFragmenta (ed. Jacoby)

FGrHist 76 F 23 54 n. 57

Ecphantus (51 DK)Fragmenta (edd. Diels-Kranz)

1 54 n. 58, 294 n. 542 54 n. 584 54 n. 58

Empedocles (31 DK)Fragmenta (edd. Diels-Kranz)

B 89 291 n. 41B 111 281 n. 10

Ephippus comicusFragmenta (edd. Kassel-Austin)

14,7 208 n. 74

EpicurusEpistulae

1,38s. 221 n. 41,41 242 n. 801,42 220 n. 1, 221 n. 6,

239 n. 66, 242 n. 81,255

1,42s. 221 n. 61,44 221 n. 31,54 221 n. 3s.1,55s. 239 n. 661,59 236 n. 58, 239

n. 68s.1,68s. 225 n. 252,42s. 15 n. 582,88 15 n. 572,90 279 n. 1

Fragmenta (ed. Usener)92 220 n. 2, 239 n. 67267 264 n. 166

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Indice dei passi 363

278 268 n. 184280 241 n. 73293 256 n. 133, 293 n. 51308 44 n. 13

Fragmenta (ed. Arrighetti)Peri; fuvsew"[29.23] 238 n. 64[34. 30] 16 n. 61, 17 n. 70,

279 n. 1

EpiphaniusAdversus haereses (ed. Holl)

1,8,1, 186,12 44 n. 13Anacephalaeosis (ed. Holl)

1,8, 166,5 266 n. 177De fide (ed. Holl)

15, 505,30 19 n. 78

ErotianusVocum Hippocraticarum collectio

(ed. Nachmanson)7,23 10 n. 34

Etymologicum Magnums. v. nastov" 213 n. 96

Eudemus RhodiusFragmenta (ed. Wehrli)

31 50 n. 48, 209s. n. 8753 298 n. 6454a 14 n. 51, 298 n. 6454b 14 n. 5175 14 n. 50133 50 n. 48, 52 n. 54148 50 n. 48

Eudoxus CnidiusFragmenta (ed. Lasserre)

D 1 181 n. 41

EunapiusVitae sophistarum

2,1 263 n. 163

EuripidesHeracles

130 203 n. 55Hippolytus

1044 204 n. 58885 204 n. 58

Phoenissae300 204 n. 58

Fragmenta (ed. Kannicht)910 279 n. 2, 300 n. 72

[Euripides]Rhesus

82 203 n. 57

Eusebius CaesarensisPraeparatio evangelica

10,14,15s. 161 n. 17114,17,10 19 n. 7814,18,27 19 n. 78

GalenusDe compositione medicamentorum

secundum locos (ed. Kühn)1,2 (XII,416 K.) 8 n. 254,8 (XII,745 K.) 8 n. 257,2 (XIII,30 K.) 8 n. 25

De compositione medicamentorumper genera (ed. Kühn)2,17 (XIII,537 K.) 8 n. 25

De constitutione artis medicae (ed. Kühn)7 (I,246 K.) 257 n. 1367 (I,247-249 K.) 260 n. 1447 (I,249 K.) 253 n. 122

De differentia pulsuum (ed. Kühn)2,7 (VIII,609 K.) 80 n. 67

De dignotione pulsuum (ed. Kühn)4,2 (VIII,931 K.) 9 n. 33,

259 n. 139De elementis secundum Hippocratem

(ed. De Lacy; Kühn)1,7 (58,21 De Lacy =

I,416 K.) 258 n. 1372,9 (60,8 De Lacy =

I,417 K.) 205 n. 612,16 (60,17-19 De Lacy =

I,418 K.) 101n. 132,146n. 117,257 n. 136

2,17 (62,4-7 De Lacy =I,418-419 K.) 258 n. 137

2,24ss. (64,5 De Lacy =I,420 K.) 259 n. 141

De experientia medica (ed. Walzer)9,5, 99 9 n. 3015,7, 114 9 n. 29,

205 n. 61,310 n. 108

24,3, 133 70 n. 3625,2, 136 70 n. 36

De naturalibus facultatibus(ed. Helmreich; Kühn)1,14 (III,136,25 Helmreich =

II,49 K.) 293 n. 51

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Indice dei passi364

1,14 (III,137,1 Helmreich =II,49 K.) 256 n. 133

2,6 (III,172,7 Helmreich =II,97 K.) 258 n. 138

De placitis Hippocratis et Platonis(ed. De Lacy; Kühn)8,3,1 (494,26 De Lacy =

V,6K.) 92, 93n. 106

8,3,7 (496,14 De Lacy =V,668 K.) 80 n. 67,

93s. n. 1088,3,11 (496,31 De Lacy =

V,670 K.) 95 n. 114De simplicium medicamentorum

temperamentis (ed. Kühn)5,25 (XI,783 K.) 258 n. 137

De usu partium (ed. Helmreich; Kühn)3,10 (I,177,10 Helmreich =

III,241 K.) 301 n. 77In Hippocratis De natura hominis

(ed. Mewaldt; Kühn)1,6 (21,11-23 Mewaldt =

XV,36 K.) 260 n. 144In Hippocratis De officina medici

(ed. Kühn)1,1 (XVIII/2,656 K.) 311 n. 112

In Hippocratis Epidemiarum librum IIIcommentaria(ed. Wenkebach; Kühn)1,4 (25,3 Wenkebach =

XVII A,521 K.) 6 n. 14In Hippocratis Epidemiarum librum VI

commentaria(ed. Wenkebach-Pfaff; Kühn)3,12 (138,3 Wenkebach-Pfaff =

XVII B,28 K.) 6 n. 14

[Galenus]An animal sit (ed. Kühn)

5 (XIX,176 K.) 7 n. 14Historia philosopha (ed. Diels)

3 19 n. 7818 82 n. 7746 245 n. 88120 7 n. 15

Introductio sive medicus (ed. Kühn)9 (XIV,698 K.) 253 n. 122

Theriaca ad Pisonem (ed. Kühn)11 (XIV,250 K.) 233 n. 50

GelliusNoctes Atticae

19,2,8 6s. n. 14

Gorgias (82 DK)Fragmenta (edd. Diels-Kranz)

B 1 128 n. 33B 11 (8) 46 n. 25B 11 (10) 291 n. 42s.B 11 (13) 45 n. 22, 120, 300

n. 70

HarpocrationLexicon (ed. Keaney)

s.v. “Iwn 151 n. 138

Heraclides PonticusFragmenta (ed. Wehrli)

22 30 n. 130118-123 77 n. 57

HermiasIrrisio gentilium philosophorum

(ed. Diels)12 44 n. 1314 225 n. 21

[Hermippus] (Iohannes Catrarius)De astrologia (edd. Kroll-Viereck)

25,19 290 n. 39

HermodorusFragmenta (ed. Isnardi Parente)

7 68 n. 29, 131 n. 71

HerodianusPeri; parwnuvmwn (ed. Lentz)

895,40 11 n. 37

HerodotusHistoriae

1,30 203 n. 572,143 42 n. 15,58,1 203 n. 536,116 304 n. 926,137 42 n. 17,100 304 n. 927,168 304 n. 929,13 304 n. 92

Hero AlexandrinusMetrica (ed. Schöne)

1, Prooem. 92,17 215 n. 1081, Prooem. 92,19 215 n. 108

HesiodusTheogonia

305 151 n. 137

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Indice dei passi 365

736-745 285 n. 25

Hesychius GramaticusLexicon (ed. Latte)

s.v. ajnemokoi'tai 281 n. 10s.v. ajpavthton 208 n. 79s.v. dexamenaiv 214

n. 103,301 n. 78

s. v. nastov" 215n. 108,220 n. 1

HippolytusRefutatio omnium haeresium

1,12 15 n. 57, 140 n. 97,142 n. 109

1,12,1 161 n. 1711,12,2 282 n. 13, 286 n. 281,15 54 n. 58, 294 n. 541,22,2 264 n. 1676,23,3 81 n. 747,15,1 262 n. 157, 264

n. 1678,14 7 n. 1410,6,1-7 234 n. 51

HomerusIlias

8,14 3028,539 151 n. 137

Odyssea4,209 151 n. 137

HoratiusEpistulae

2,3,295-97 23 n. 97

IamblichusDe anima (Fragmenta)

(edd. Finamore-Dillon)26,13-18 101

n. 135,249 n. 106

De communi mathematica scientia(ed. Festa)4, 16,15ss. 178 n. 30

In Nicomachi arithmeticamintroductionem liber (ed. Pistelli)105,11 99 n. 125118,26 99 n. 125

Theologoumena arithmeticae(ed. De Falco)23, 29,10-12 81 n. 74

Fragmenta (ed. Larsen)78 100 n. 129

Johannes PhiloponusDe aeternitate mundi contra Proclum

(ed. Rabe)6,8, 223,12 99 n. 124

In Aristotelis De anima libroscommentaria (ed. Hayduck)403b 31, 67,21 224 n. 17404b 30, 82,17 83 n. 80

In Aristotelis libros De generatione etcorruptione commentaria (ed. Vitelli)314b 15, 17,29-33 106 n. 140316a 12, 27,8ss. 167 n. 5316b 32, 39,4 224 n. 17325a 6, 157,12ss. 131 n. 67325a 32, 158,27-159,3 156 n. 154325b 34, 164,10ss. 273 n. 196325b 34, 164,11-13 260 n. 147325b 34, 164,24-165,8

260 n. 145326a 14, 167,21-24 216 n. 110326a 14, 168,4 260 n. 150326a 24, 175,7 265 n. 175

In Aristotelis Physicorum libroscommentaria (ed. Vitelli)184b 15, 25,5 224 n. 17184b 20, 25,19ss. 106 n. 140185b 5, 42,9 115 n. 22187a 1, 81,25-29 133 n. 77187a 1, 83,19-22 134 n. 78187a 1, 83,19-27 271 n. 191187a 2, 84,15-85,2 271 n. 191188a 19, 110,10 146 n. 118188a 19, 116,28-117,10

106 n. 140194a 20, 228,28-229,2

106 n. 140206a 14, 465,3-13 271 n. 192Cor. de loc. 562,6 215 n. 108Cor. de loc. 575,22 215 n. 108

Ps.-PhiloponusExegesis in Aristotelis Metaphysicam

versio latina Patritii (ed. Lohr)f 3 148 n. 125

Ibn al-MatranBusta–nu l-atibba–' wa-raudatu l-alibba –

(ed. Strohmaier)Strohmaier 1968, 2 295 n. 55

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Indice dei passi366

Ion Chius (36 DK)Fragmenta (edd. Diels-Kranz)

B 1 151 n. 138B 3 297 n. 61

IrenaeusAdversus haereses

2,14,3 290 n. 40

Isidorus HispalensisEtymologiarum Libri XX

13,2,1-4 262 n. 158

IsocratesAntidosis

268 119 n. 33Helena

3 115 n. 24, 119 n. 32

Ps.-IustinusCohortatio ad Graecos

4,1 253 n. 12226,1 94 n. 110

LactantiusDe ira dei 245

10,1ss. 244 n. 83, 247 n. 9710,9 248 n. 10110,11 248 n. 9910,23 247 n. 9713,9 249 n. 107

De opificio Dei2,10 245 n. 86

Divinae Institutiones3,17,21-27 244 n. 83, 246 n. 943,17,23 250 n. 112

Epitome Div. Inst.62,6 247 n. 98

Leucippus (67 DK)Fragmenta (edd. Diels-Kranz; Lur'e)

A 1 (152 L.) 159n. 165,161 n. 171

A 1 (289 L.) 206 n. 66A 1 (289, 382 L.) 140 n. 96,

207 n. 71A 1 (289, 318, 382, 389)

44 n. 13A 1 (382 L.) 15 n. 57,

201 n. 47,279 n. 3,282 n. 13

A 1 (382, 389 L.) 17 n. 66,44 n. 13,140 n. 96

A 2 (LXXV L.) 5 n. 11A 4 (VIII, 152 L.) 19 n. 78,

161 n. 171A 5 (152 L.) 19 n. 78A 6 (173 L.) 147

n. 121,217 n. 111

A 6 (240 L.) 232 n. 49A 7 (101 L.) 209 n. 81A 7 (118, 222 L.) 209 n. 81,

210 n. 89A 7 (146 L.) 118 n. 31,

137, 139s.n. 93, 217n. 111

A 7 (338 L.) 215 n. 106A 8 (2, 147 L.) 142

n. 108,147n. 122,148n. 126,157 n.160, 158s.n. 164,207 n. 71,217 n.112, 232n. 49, 279n. 4

A 9 (70 L.) 157 n. 160A 10 (16, 23, 291, 318 L.)

140 n. 97A 10 (23, 291 L.) 15 n. 57,

282 n. 13,286 n. 28

A 10 (151 L.) 142n. 109,161 n. 171

A 11 (165, 226, 590 L.)250 n. 109

A 13 (113 L.) 29 n. 124,259 n. 180

A 14 (111, 247 L.) 99 n. 128A 14 (214 L.) 222 n. 12A 15 (47, 292 L.) 156 n. 152A 15 (109 L.) 197 n. 31,

199 n. 37A 15 (109, 174 L.) 57 n. 68A 15 (109, 292 L.) 209 n. 86,

221 n. 5A 17 (306, 373 L.) 44 n. 13

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Indice dei passi 367

A 18 (17 L.) 56 n. 64,142 n. 106

A 19 (255 L.) 149 n. 131A 22 (23, 589 L.) 245 n. 88A 23 (386 L.) 201 n. 47A 24 (297, 372, 383 L.)

44 n. 9A 24 (383 L. comm.) 15 n. 57A 28 (200 L.) 207 n. 69A 28 (200, 443a, 462 L.)

262n. 160,293 n. 50

A 40 (240 L.) 215 n. 107B 2 (22 L.) 1 n. 1, 282

n. 15

LucretiusDe rerum natura

1,485 220 n. 2,256 n. 82

1,500 220 n. 2,256 n. 82

1,510 220 n. 2,242 n. 82

1,518 220 n. 2,242 n. 82

1,548 220 n. 2,242 n. 82

1,574 220 n. 2,242 n. 82

1,602s. 240 n. 711,609 220 n. 2,

242 n. 821,609-614 249

n. 104,252 n. 119

1,615-627 237 n. 611,627 242 n. 821,628-634 241 n. 742,114 262, 293

n. 512,114-120 248 n. 1012,393s. 256 n. 1322,444-446 256 n. 1322,479-499 232 n. 482,481-499 236 n. 592,865ss. 230 n. 413,350-69 17 n. 673,370 17 n. 675,621-37 17 n. 666,1087-1089 256 n. 132

MacrobiusSomnium Scipionis

1,5,13 80 n. 70

1,15,6 18 n. 76, 303 n. 87

Marcus Aurelius AntoninusMeditationes

7,67 48 n. 37

Melissus (30 DK)Fragmenta (edd. Diels-Kranz)

A 1 131 n. 70B 7 122 n. 42B 7,6-9 123B 7,7-8 149 n. 133B 8 121 n. 40B 9 121 n. 40B 10 125 n. 54

MetagenesFragmenta (edd. Kassel-Austin)

6 213 n. 95

Michael EphesiusDe insomniis (ed. Hayduck)

83,18 290 n. 40

NemesiusDe natura hominis

43 245 n. 91

NicomachusEncheiridion harmonices (ed. Ruelle)

11,6 99 n. 124

Nonius MarcellusDe compendiosa doctrina (ed. Lindsay)

418,13 7 n. 18

OlympiodorusIn Aristotelis Categorias commentarium

(ed. Busse)4b 20, 81,21 96 n. 117

Olimpiodorus (arabus)In Aristotelis Meteora commentaria

(ed. Al Badawi; Strohmaier)Strohmaier 1998, 362 304 n. 93Strohmaier 1998, 363 18 n. 76,

302 n. 84,303 n. 88

OrphiciFragmenta (ed. Bernabé)

111 F,3 285 n. 26114 F 286 n. 29

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Indice dei passi368

PapyriPapyrus Derveni (edd. Kouremenos -

Parássoglou - Tsantsanoglou)col. VI,10s. 292 n. 47

Papyrus Florentinus115 B (ed. Manetti) 7 n. 15

Parmenides (28 DK)Fragmenta (edd. Diels-Kranz)

B 6 168B 7,1 135 n. 84B 7,1-2 134 n. 79B 8,38 122 n. 42

PausaniasDescriptio Graeciae

8,38,2-3 281 n. 10

Pherecrates ComicusFragmenta (edd. Kassel-Austin)

113 213 n. 95

Philo AlexandrinusDe congressu eruditionis gratia

144-147 92 n. 105De opificio mundi

49 89 n. 10049-51 81 n. 7450 80 n. 70

Philo MechanicusBelopoiica (edd. Diels-Schramm)

1,330 215 n. 108

PhilodemusAd contubernales (ed. Angeli)

111,166s. 16 n. 59De adulatione (ed. Crönert)

P. Herc. 1457, col. X 17 n. 69De ira (ed. Indelli)

P. Herc. 182, col. XXIX,2017 n. 69

De libertate dicendi (ed. Olivieri)20 16 n. 60

De morte (ed. Mekler)P. Herc 1050, col. XXIX,27-32

17 n. 69P. Herc 1050, col. XXXIX,9-15

17 n. 69De musica IV (ed. Neubecker)

P. Herc. 1497, col. XXXVI,8717 n. 69

De pietate (Henrichs 1975, 96)P. Herc. 1428 fr. 16 17 n. 68

De signis (edd. Ph. H. De Lacy;E. A. De Lacy)P. Herc. 1065, col. 25, 53,2

230 n. 43Index Academicorum (ed. Dorandi)

P. Herc. 1021, col. Y 50 n. 48

Philolaus (44 DK)Fragmenta (edd. Diels-Kranz)

A 27 7 n. 16B 1 150 n. 136B 2-6 150 n. 136

Pythagorici (58 DK)Fragmenta (edd. Diels-Kranz)

B 30 124 n. 47

PlatoCratilus

412b 304 n. 91414a 45

Laches183c-184a 12 n. 45

Leges670b 202 n. 51889a-890a 47894a 80 n. 70

Parmenides 28, 114ss. pass.128a-e 116 n. 25128c 121 n. 38131a-c 86 n. 92158c 174 n. 22164c 168 n. 8164d 174165a-b 72 n. 40, 125 n. 56165b 78, 174 n. 22165e 126 n. 57

Phaedo65b 89 n. 9966b 89 n. 9979c 89 n. 9996e-97b 86, 19697a 8797c 138 n. 9199a 43112b 285 n. 27

Phaedrus251c 46 n. 24261d 115 n. 24

Philebus16c-e 6958c-59b 61 n. 9

Politicus278d 69 n. 33

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Indice dei passi 369

Respublica524c-d 61 n. 7529d-530c 61 n. 10

Sophista 133 n. 77, 134s.229d 208 n. 75237a 4 n. 6, 131 n. 68242c 119 n. 33242d 121245e 46246b 180 n. 38258d 134 n. 80

Theaetetus152d 46 n. 23155e 45 n. 21, 62 n. 11156a 45180c 45180d 64 n. 18180d-e 142 n. 104180e 122 n. 41s.201ess. 69 n. 33

Timaeus 133s. n. 7746d 43, 61 n. 848a-b 61 n. 848b 69 n. 33, 190 n. 848b-c 4351e-52a 60s. n. 752a-d 143 n. 11152b 143 n. 11453c 80 n. 7053d 9455c 4456b 91 n. 103, 95, 210

n. 8856b-c 188 n. 268e 61 n. 8

[Plato]Amatores

136a 47 n. 33

PliniusNaturalis historia

19,87 8 n. 2528,58 6 n. 14

PlotinusEnneades

3,1,2 245 n. 903,1,3 245 n. 904,7,2,4-3,6 249 n. 106

PlutarchusAemilius Paulus

Prooem. 4 290 n. 40

Adversus Colotem1108 D 229 n. 361109 A 146

n. 117,229 n. 36

1109 A-1110 F 17 n. 701110 E 221 n. 91110 F 22 n. 95,

101n. 132,229 n. 38

1111 A 206 n. 631111 C-E 229 n. 371113 D 260 n. 1461113 E 230 n. 40,

259 n. 1421114 A 257 n. 1361126 A 203 n. 56

De amore prolis495 E 22 n. 94,

286 n. 30,301 n. 80

De animae procreatione in Timaeo1022 E 192 n. 171023 B 85 n. 83

De communibus notitiis adversus Stoicos1079 E 18 n. 73,

39 n. 1511083 C 246 n. 95

De defectu oraculorum419 A 290 n. 40

De E apud Delphos390 D 81 n. 74

De fortuna Romanorum316 D 297 n. 61317 A 22 n. 94,

149n. 132,286 n. 30

De Iside et Osiride361 B 290 n. 40

De reipublicae gerendae praeceptis821 A 17 n. 69

De primo frigido948 A-C 91 n. 103

Quaestiones convivales653 Bss. 7 n. 14653 F 149 n. 132682 F 290 n. 39717 A 297 n. 61722 A 296 n. 58734 F 17 n. 70,

50 n. 47734 F-735 A 290 n. 38

Quaestiones platonicae1002 C 192 n. 17

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Indice dei passi370

[Plutarchus]De placitis philosophorum

1,3, 877 D 13 n. 47,44 n. 13,251n. 116,253 n. 122

1,3, 877 E 254nn. 124,128

1,4, 878 C 44 n. 91,10, 882 C 266 n. 1761,12, 883 B 241 n. 731,13, 883 B 189 n. 6,

231 n. 46,249 n. 105

1,16, 883 D 265 n. 1691,17, 883 E 249 n. 1051,23, 884 C 254 n. 1262,3, 886 D 245 n. 882,15, 889 B 17 n. 663,1, 893 A 303 n. 874,10, 900 A 291 n. 464,19, 902 C-D 18 n. 75,

301 n. 755,16, 907 D 7 n. 15Ap. Eus. Praep. ev. 14,14,5

253 n. 123Stromata

7 279 n. 112 44 n. 14

PorphyriusDe abstinentia

3,20 249 n. 108

Isagoge (ed. Busse)4b 20, 100,13-16 98 n. 122

In Ptolemaei Harmonica (ed. Düring)32,10 301 n. 80

Vita Pythagorae48s. 69 n. 32

Fragmenta (ed. Smith)134 F 134 n. 77135 F 127,

128 n. 63,129 n. 64,134 n. 78,145n. 116,270n. 187

146 F 131 n. 71174 F 131s.

n. 72, 175n. 24

Ap. Simpl. In Phys.191a 7, 231,6ss. 98 n. 123

PosidoniusFragmenta (edd. Edelstein-Kidd)

F 16 80 n. 67F 90 92 n. 105F 92 80 n. 67F 130 18 n. 76, 303 n. 87F 141a 85 n. 83T 45 85 n. 83T 73 92 n. 105

ProclusIn Platonis Rempublicam (ed. Kroll)

II,27,3 273 n. 197In Platonis Timaeum (ed. Diehl)

II,36,24 100n. 129,103s.n. 138

II,120,18-22 66 n. 26,103 n. 136

II,245,23 270 n. 189

Prodicus (84 DK)Fragmenta (edd. Diels-Kranz)

B 5 51 n. 51

Protagoras (80 DK)Fragmenta (edd. Diels-Kranz)

A 12 51 n. 51

Psellus MichaelTheologica (ed. Gautier)

6, 25,87 266 n. 17823, 87,9 44 n. 1349, 191,208 264

n. 167,266 n. 178

PyrrhoFragmenta (ed. Decleva Caizzi)

T 1 19 n. 81

Rabanus MaurusDe Universo (ed. Migne)

9,1 (P. L. 111,V, 262) 262 n. 158

ScholiaIn Arist. De gen. et corr. (ed. Rashed)

E f. 68v. 272 n. 195In Arist. Phys. (ed. Brandis)

334a 36ss. 134 n. 78

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Indice dei passi 371

In Dionys. Thrac. (ed. Hilgard)116,11 220 n. 2

In Eucl. (ed. Heiberg)10,1, V,436,15 274 n. 202

In Nic. Ther.764 11 n. 43

SenecaEpistulae

88,24-26 92 n. 10588,44 115 n. 22

Naturales quaestiones3,24,2 304 n. 894,8,1 303 n. 894,9,1 18 n. 75, 149 n. 129,

214 n. 104, 303 n. 895,2 18 n. 76, 285 n. 23,

301 n. 746,20 18 n. 767,12,1 303 n. 879,1 304 n. 89

ServiusCommentarius in Vergilii Eclogas

6,31 262 n. 158

Sextus EmpiricusPyrrhoniae hypotyposes

1,28 87 n. 951,145ss. 75 n. 521,183 86 n. 911,210-212 88 n. 971,221s. 87s. n. 962,22 229 n. 362,23 319 n. 1363,32 82 n. 773,33 101

n. 132,253 n. 122

3,131 88 n. 973,151 68, 69

n. 343,152ss. 70 n. 37,

72 n. 42,74 n. 47,75 n. 51

3,159 86 n. 923,189 87 n. 95

Adversus Mathematicos1,27 231 n. 45,

265n. 168,266 n. 176

3,20-21 89 n. 100

3,28 68 n. 30,89 n. 100

4,2ss. 694,2-9 844,5 81 n. 744,8 84 n. 834,11ss. 874,21 87 n. 94,

886,53 261 n. 1527,53 151 n. 1397,92-100 847,93ss. 697,99-100 89 n. 1007,100 81 n. 747,116 250

n. 108,301 n. 75

7,116-118 18 n. 757,135 19, 205

n. 61, 282n. 16, 261n. 152

7,136 215n. 106,315 n. 124

7,137 206 n. 647,139 309s.

n. 1077,140 299 n. 667,147-149 81 n. 737,190 88 n. 977,202 88 n. 977,264 20 n. 87,

229 n. 367,265 319 n. 1367,281 87 n. 957,300 88 n. 977,349 8 n. 21, 17

n. 677,350 88 n. 977,399 88 n. 978,6 261 n. 1518,55 261 n. 1528,62 88 n. 978,161 85 n. 879,18 51 n. 519,19 290 n. 409,24 179,51 51 n. 519,56 51 n. 519,108-110 76 n. 549,133s. 76 n. 549,139 230 n. 429,142 230 n.429,151 230 n.42

Page 385: M. Laura Gemelli Marciano - Democrito e l'Accademia. Studi sulla trasmissione dell'atomismo antico da Aristotele a Simplicio

Indice dei passi372

9,220s. 88 n. 999,335 225 n. 259,360-364 83 n. 799,363 82 n. 77,

231 n. 449,367 72 n. 4210,216s. 86 n. 8910,240 72 n. 4210,248 40 n. 152,

58 n. 71,69 n. 31s.,86 n. 89

10, 248-261 8910, 248-262 6810,250 70 n. 3510,251-252 8610,252-256 71 n. 38,

190 n. 11,193 n. 21

10,253-257 90 n. 10210,255ss. 192s.

n. 18, 236n. 60

10,255-256 248 n. 10010,257 72 n. 4110,258 73 n. 4310,259-262 74 n. 4610,260s. 8510,262s. 68 n. 2810,263-276 89 n. 10010,277-282 89 n. 10010,277-284 8410,280 81 n. 7410,282s. 84 n. 8310,293-298 86 n. 9210,302 87 n. 9410,302ss. 8810,302-307 87 n. 9410,305 87 n. 9410,308 87 n. 9410,318 82 n. 7710,310-318 83 n. 79

SimpliciusIn Aristotelis decem Categorias

commentarium (ed. Kalbfleisch)Prooem. 3,4 33 n. 1344b 20, 120,29-121,3 98 n. 1214b 20, 121,14-18 97 n. 1196a 36, 156,20 97 n. 1188b 25, 206,10 97 n. 1198b 25, 207,19 98 n. 12110a 11, 271,8-16 100 n. 12915a 13, 431,24 101

n. 131,225 n. 25

In Aristotelis De anima commentaria(ed. Hayduck)409a 10, 64,2-7 223 n. 15409a 10, 64,5-7 268 n. 181

In Aristotelis De caelo commentaria(ed. Heiberg)271b 1, 202,27 195 n. 26271b 1, 202,27-31 195 n. 24,

272 n. 194275b 29, 242,18 222 n. 12279b 12, 294,33 14 n. 53279b 12, 295,1ss. 206 n. 65279b 12, 295,1-2 65 n. 22279b 12, 295,1-6 212 n. 94279b 12, 295,3 146 n. 118279b 12, 295,5-20 140 n. 95279b 12, 295,7-14 288 n. 33279b 12, 295,8-20 185s. n. 53279b 12, 295,11-18 156 n. 157279b 12, 295,12-14 156 n. 152279b 12, 295,14-18 201 n. 47279b 12, 295,18-20 16 n. 62,

215n. 105,282 n. 14

279b 32, 303,33 123 n. 45,81 n. 76

299a 2, 563,20-27 274 n. 200299a 2, 564,10 102 n. 135299a 2, 564,10-566,16 102299a 2, 564,14-24 103299a 2, 564,24 63 n. 17,

66 n. 25,103 n. 137

299a 2, 564, 24-26 207 n. 71299a 2, 566,23-567,1 273 n. 196299b 23, 576,5ss. 101

n. 131,106 n. 139

299b 23, 576,10 63 n. 17303a 3, 609,17 267 n. 180303a 3, 610,3-7 199 n. 38303a 17, 612,1ss. 260 n. 148303a 17, 612,15 260 n. 149306a 1, 640,20 274 n. 199306a 23, 648,19 100 n. 129307a 19, 665,5-16 274 n. 201

In Aristotelis Physicorum libroscommentaria (ed. Diels)184b 15, 25,1 5 n. 10184b 15, 27,2 159 n. 166184b 15, 28,4 207 n. 71184b 15, 28,4-15 158s.

n. 164184b 15, 28,7 142 n. 108184b 15, 28,8 279 n. 4

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Indice dei passi 373

184b 15, 28,9-10 148n. 126

184b 15, 28,11 147n. 122,157 n. 160

184b 15, 28,13 217 n. 112184b 15, 28,19-22 201 n. 47184b 15, 28,22 201 n. 46184b 15, 28,25-26 148 n. 126184b 15, 31,3 131 n. 69184b 15, 35,22ss. 99184b 15, 35,22-36,7 99 n. 127,

249 n. 106184b 15, 36,1-7 100 n. 128184b 15, 36,15-32 96 n. 116185b 5, 81,34ss. 267 n. 179185b 5, 81,34-82,3 222 n. 13185b 5, 83,19ss. 223 n. 13185b 5, 83,26ss. 223 n. 13185b 25, 99,13 115 n. 22187a 1, 134,14ss. 133 n. 77187a 1, 135,1-5 134 n. 77187a 1, 135,21 135 n. 84187a 1, 137,7-20 136 n. 88187a 1, 138,10 130 n. 65,

134 n. 78,145 n. 116

187a 1, 139,24 127, 128n. 63

187a 1, 140,5 129 n. 64187a 1, 140,6 145 n. 116187a 1, 140,6-18 134 n. 78187a 1, 140,8-13 270 n. 187187a 1, 140,27-141,8 127 n. 61187a 1, 142,16-27 134 n. 78187a 1, 142,19-27 270 n. 190187a 1, 143,31 4 n. 8, 135

n. 84187a 12, 151,6-11 73 n. 44188a 5, 175,12-14 208 n. 78188a 17, 178,33-179,19

98 n. 120188a 17, 179,12 97191a 7, 231,6ss. 98 n. 123191b 35, 242,22ss. 136 n. 88191b 35, 244,1 135 n. 84192a 3, 247,30ss. 131 n. 71195b 31, 327,24s. 206 n. 64,

279 n. 5,298 n. 64

196a 11, 330,14 14 n. 51,298 n. 64

196b 10, 338,4 14 n. 51202a 21, 440,21 171 n. 16202b 36, 453,27-454,14

131s. n. 72

202b 36, 453,30-454,14175 n. 24

206a 18, 493,33-494,11271 n. 190

209a 18, 533,14 14 n. 50209a 18, 533,35 143 n. 114Cor. de loc. 601,17 123 n. 45Cor. de loc. 618,16 123 n. 45231a 21, 925,10 29 n. 124231a 21, 925,10-22 267 n. 180231b 18, 934,23 268s.

n. 184

SophoclesAjax

1275 203 n. 57Oedipus Colonaeus

329 204 n. 58Trachiniae

200 207 n. 73

SoranusGynaecia (edd. Burguière-

Gourevitch; Ilberg)2,29 (II,41,37 Burguière-

Gourevitch = 75,13 Ilberg)8 n. 25

3,4 (17,25 Bourguière-Gourevich= 105,1 Ilberg) 7 n. 16

SotionFragmenta (ed. Wehrli)

36 291 n. 44

SpeusippusFragmenta (ed. Isnardi Parente)

81 178 n. 3084 89 n. 100, 178 n. 3085 89 n. 10087 123 n. 4588 178 n. 30

StobaeusEclogae

1,4,7c 1 n. 1, 282 n. 151,10,14 253 n. 1231,10,16a 54 n. 581,14,1 231 n. 46, 232 n. 47,

249 n. 105, 254n. 126

1,14,1f 241 n. 73, 265 n. 1701,14,1k 189 n. 6, 190 n. 121,16,1 220 n. 11,17,1 189 n. 5, 249 n. 1051,19,1 254 n. 126

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Indice dei passi374

1,21,3c 245 n. 881,21,6a 54 n. 581,22,1 201 n. 471,22,3 44 n. 141,27,1 303 n. 871,51,4 291 n. 462,8,16 297 n. 632,31,65 23 n. 973,6,28 7 n. 14

StraboGeographica

16,2,24 231 n. 44

Sudas.v. ajnemokoi'tai 281 n. 10s. v. a[toma 264 n. 165s.v. Bw'lo" Dhmovkrito"

11 n. 43s.v. Bw'lo" Mendhvsio"

11 n. 43s.v. Kallivmaco" 10 n. 34

Stoicorum Veterum Fragmenta(ed. Von Arnim)

I 85, 24,6-7 224 n. 19I 481, 107,1 18 n. 71,

225 n. 20I 493, 110,25-29 224 n. 19I 620, 139,25 18 n. 72,

225 n. 22II 300, 111,8-10 224 n. 19II 408, 134,37 228 n. 33II 471, 153,2-6 95 n. 115II 472, 153,29-31 95 n. 115II 473, 154,14s. 95 n. 115II 925, 266,35-37 279 n. 1

SyrianusIn Metaphysica commentaria (ed. Kroll)

1084b 23, 152, 17-21 195 n. 26,270 n. 188

TaurusAp. Philop. De aet. mundi

6,8, 223,12 99 n. 124

TertullianusDe anima

15,5 8 n. 23

ThemistiusIn Aristotelis De anima libros paraphrasis

(ed. Heinze)404b 20, 11,20 80s. n. 71,

193 n. 20In Aristotelis Physicorum libros

paraphrasis (ed. Schenkl)187a 1, 12,6-17 133 n. 77232a 3-22, 184,9 268 n. 184

In libros Aristotelis De caelo paraphrasis(ed. Landauer)271b 4-19, 22,16-19 195 n. 26299b 31, 158,23-159,2

94 n. 112303a 3, 178,8-22 199 n. 38303a 29-b 4, 181,29-34

200 n. 42306b 22, 201,24-25 241 n. 77

TheodoretusGraecarum affectionum curatio

4,8-10 248 n. 110 n., 261n. 154

4,15 245 n. 88, 262n. 156

Theognis MegarensisFragmenta (ed. West)

1,963s. 203 n. 52

Theon SmyrnaeusExpositio rerum mathematicarum ad

legendum Platonem utilium(ed. Hiller)93,21 89 n. 100

TheophrastusDe causis plantarum

1,8,2 153 n. 1436,7,2 207 n. 72, 225 n. 23

De igne7-8 66 n. 24

De sensu39 157 n. 15950 149 n. 12954 214 n. 10155 317 n. 12956 153 n. 14560 65 n. 23, 225 n. 2461 216 n. 10962 149 n. 129, 153s.

n. 147, 317 n. 12965 153 n. 144, 285

n. 23, 316 n. 126

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Indice dei passi 375

66 201 n. 47, 305n. 95s., 317 n. 129

67 315 n. 12469 205 n. 62, 225 n. 24,

310 n. 11073 154 n. 149, 204 n. 5974 154 n. 14875 154 n. 149, 207

n. 72, 210 n. 9279 305 n. 95

Metaphysica6a 25 123 n. 4511b 17-22 200 n. 44

Fragmenta (edd. Fortenbaugh-Huby-Sharples-Gutas)159 66 n. 26, 103 n. 136226 A 5 n. 10229 142 n. 108, 147

n. 122, 148 n. 126,157 n. 160, 158s.n. 164, 201 n. 46s.,207 n. 71, 217n. 112, 232 n. 49,279 n. 4

238 207 n. 71

ThrasyllusAp. Diog. Laert.

9,37 47 n. 349,41 161 n. 172

Thucydides2,19 203 n. 576,69 203 n. 57

Timon PhliasiusFragmenta (ed. Di Marco)

45 115 n. 2446 19 n. 83

Valerius MaximusFacta et dicta memorabilia

7,7 ext. 4 48 n. 37

VitruviusDe architectura

2,2,1 12s. n. 477,pr. 11 12 n. 479,5,4 12 n. 479,6,3 12 n. 479,14 13 n. 47

XenocratesFragmenta (ed. Isnardi Parente)

1 132 n. 75

2 113 n. 1311 53 n. 5583 81 n. 7398 73 n. 44100 123 n. 45119 83 n. 80127 169 n. 10,

191 n. 14,192 n. 15

128 271 n. 193129 271 n. 193130 273 n. 197132 274 n. 200133 274 n. 201135 271 n. 193136 271 n. 193138 130 n. 65,

134 n. 78,145n. 116,271 n. 193

139 128 n. 63,129 n. 64,134 n. 78,145n. 116,270 n. 187

140 134 n. 78,271 n. 193

141 134 n. 78,271nn. 191,193

142 271nn. 192,193

143 271 n. 192144 134 n. 78,

271 n. 193145 134 n. 78,

270 n. 190146 270 n. 189147 270 n. 188148 202 n. 12151 189 n 5154 81 n. 76225 290 n. 40260 80s. n. 71,

193 n. 20

XenophonAnabasis

5,4,14 202 n. 51Cyropaedia

1,3,10 202 n. 51

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Indice dei passi376

De re equestri5,7 156 n. 157

Memorabilia1,1,13 120 nn. 34, 37, 140

n. 94, 1601,1,15 281 n. 93,1,1 12 n. 45, 203 n. 564,7,6 120 n. 37

Oeconomicus16 12 n. 45

Zeno Eleaticus (29 DK)Fragmenta (edd. Diels-Kranz)

A 1 131 n. 70A 13 115 n. 24A 21 115 n. 22A 25 127 n. 61B 1 125, 168B 2 168, 179 n. 32B 3 168

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