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CHIESA DI CRISTO IN POMEZIA ____________________________________________________________ ROBERTO TONDELLI L’UNITÀ DEI CREDENTI PICCOLA COLLANA DI CULTURA RELIGIOSA 2

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CHIESA DI CRISTO IN POMEZIA

____________________________________________________________

ROBERTO TONDELLI

L’UNITÀ DEI CREDENTI

PICCOLA COLLANA DI CULTURA RELIGIOSA 2

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Alla dolce memoria degli amici in Cristo

Duino Boarini l’umile sorridente (1926-2004)

Giuseppe Persichetti nobile potatore d’ulivi (1922-2000)

Carmine Ramenno dalle grossa dita nodose (1943-2002)

viventi in Dio

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L’Autore discute dell’unità dei credenti in Cristo alla luce di parole deboli, quelle presentate nel vangelo di

Giovanni e nella lettera di Paolo apostolo agli Efesini. Gesù, pregando per l’unità dei discepoli poco prima del suo arresto, mostra molto coraggio. Torni il tempo in cui per parlare di fede, unità, religiosità, occorra molto coraggio.

Ci si augura che questo scritto trovi buona accoglienza presso il Lettore attento, verso il quale l’Autore resta a disposizione per chiarimenti e osservazioni.

Dalla conclusione: È, questa, una proposta modesta affinché si torni alla semplicità di Cristo Gesù nel Vangelo. Ne abbiamo bisogno tutti: chi ha abbandonato il corpo di Cristo per seguire le vie contorte dell’immaginazione umana; chi ha gettato via la grazia di Dio disertando «il radunarci assieme di noi stessi»; chi ha dimenticato la riconciliazione in Cristo per riconciliarsi col mondo; chi si fa condurre da uno spirito «diverso» e segue un vangelo «diverso» da quello proposto dallo Spirito del Signore che dimora nella chiesa del Signore.

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Proprietà letteraria riservata

© 2000 Roberto Tondelli, L’unità dei credenti (Capriotti ed.)

© 2013 L’unità dei credenti (revisione)

Tutti i diritti sono riservati. È pertanto vietata la riproduzione, l’archiviazione o la trasmissione, in

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Pomezia (ROMA), 2013

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L’UNITÀ DEI CREDENTI

Questo scritto vide la luce sul finire dell’anno 2000, alla fine di un secolo in cui si è cominciato a

parlare di unità dei cristiani. Un concetto di ampio ecumenismo1 sembra prevalere. Si registrano

incontri tra credenti di varia estrazione, protestante, cattolica, anglicana, ortodossa, come pure ebraica e

islamica. Si notano inoltre positive aperture fra credenti e non-credenti.

Si possono esprimere valutazioni diverse circa questa tendenza all’unità, ma non si può negare che

incontrarsi e accogliersi per ragionare intorno alla Parola di Cristo sia più proficuo che scomunicarsi o

bruciarsi gli uni gli altri, il che purtroppo è stato fatto quasi sempre in nomine Christi.

In questo studio si vogliono esaminare con semplicità alcuni aspetti che sembrano fondamentali per

l’unità presentata nel Nuovo Testamento. La speranza è che queste note possano favorire la riflessione

personale e qualche scambio fra credenti di diverso orientamento, al fine di poter imparare tutti con

umiltà dall’unico Maestro, crescendo spiritualmente verso di Lui, tenendo presente l’esortazione

dell’apostolo: giungere «all’unità della fede e della piena conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di

uomini fatti, all’altezza della statura perfetta di Cristo; affinché non siamo più come bambini sballottati

e portati qua e là da ogni vento di dottrina per la frode degli uomini, per l’astuzia loro nelle arti

seduttrici dell’errore; ma, seguendo la verità nell’amore, cresciamo in ogni cosa verso colui che è il

capo, cioè Cristo».2

1 La bibliografia sul tema è molto vasta. Ci si limita qui ad alcune opere edite nell’ultima decade. RENÉ GIRAULT, One

Church, one faith, one Lord: new perspectives in ecumenism, Middlegreen-Kildare, 1993; ROLAND MINNERATH, De

Jérusalem à Rome, Pierre et l’unité de l’Église apostolique, Paris, 1994; OSCAR CULLMAN, Le vie dell’unità cristiana,

Brescia, 1994; WILLIAM HENN, One faith: biblical and patristic contributions toward understanding unity in faith, New

York-Mahwah, 1995; PIERRE DENTIN, Quel pape pour quelle eglise?, Paris, 1996; La chiesa di Gesù Cristo: il contributo

delle chiese della Riforma al dialogo ecumenico sull’unità della chiesa: La Concordia di Leuenberg, a cura di FULVIO

FERRARO, Torino, 1996; Ut unum sint: la sfida dell’ecumenismo, [Centro Internazionale Brigidino di Farfa. Simposio

Ecumenico, 02-1996, Farfa], a cura di MARIO RUSSOTTO, Città del Vaticano, 1997; KONRAD RAISER, To be the Church,

Challenges and Hopes for a New Millennium, Ginevra, 1997; EPHRAIM RADNER, The end of the church: a pneumatology of

Christian division in the West, Grand Rapids (Michigan)-Cambridge, 1998; Petrine ministry and the unity of the Church:

"toward a patient and fraternal dialogue": a symposium celebrating the 100th anniversary of the foundation of the Society

of the Atonement, Rome, December 4-6, 1997, a cura di J.F. Puglisi, Collegeville (Minnesota), 1999. 2 Efesini 4,13. Le citazioni bibliche sono tratte da La Sacra Bibbia, Nuova Riveduta, Ginevra, Società Biblica di Ginevra,

1997, ma si è tenuto presente The Greek New Testament, a cura di K. Aland, M. Black, C. M. Martini, B. M. Metzger, A.

Wikgren, New York – London – Edimburgh – Amsterdam – Stuttgart, 1966.

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Cristo Gesù edifica

Il testo biblico presenta Dio stesso che costituisce il popolo suo. Già nel salterio si legge: «Se

l’Eterno non edifica la casa, / invano si affaticano i costruttori; / se il Signore non protegge la città, /

invano vegliano le guardie». Nella visione ebraica è soltanto Dio che «edifica Gerusalemme, / raccoglie

i dispersi d’Israele; / egli guarisce chi ha il cuore spezzato / e fascia le loro piaghe».3

Più tardi, al culmine della rivelazione in Cristo,4 la formazione di questo popolo si prefigura non più

come processo chiuso, esclusivo – da cui può originare una mentalità elitaria (popolo eletto) – bensì

aperto, inclusivo. Un popolo che origina da una chiamata (invito, vocazione) rivolta in effetti

all’umanità intera:

Cose vedute da Isaia, figlio di Amos, su Giuda e su Gerusalemme.

Avverrà allora, alla fine dei giorni, che il monte della casa del Signore si ergerà sulla cima dei monti,

e s’innalzerà sui colli: affluiranno ad esso tutte le nazioni, accorreranno molti popoli, dicendo:

«Venite, saliamo al monte del Signore,

alla casa del Dio di Giacobbe;

Egli c’insegnerà, certo, le sue vie

e noi cammineremo nei suoi sentieri:

perché è da Sion che uscirà la legge

e la parola del Signore da Gerusalemme.»

«O voi tutti che siete assetati, venite alle acque;

voi che non avete denaro

venite, comprate e mangiate!

Venite, comprate senza denaro, senza pagare, vino e latte!

Perché spendere denaro per ciò che non è pane

e il frutto delle vostre fatiche per ciò che non sazia?

Ascoltatemi attentamente e mangerete ciò che è buono

gusterete cibi succulenti!

Porgete l’orecchio e venite a me;

ascoltate e voi vivrete;

io farò con voi un patto eterno,

vi largirò le grazie stabili promesse a Davide.

Ecco, io l’ho dato come testimonio ai popoli,

come principe e governatore dei popoli.

Ecco, tu chiamerai nazioni che non conosci,

e nazioni che non ti conoscono accorreranno a te,

3 Salmi 127,1; 147,2.

4 L’attacco dell’epistola agli Ebrei offre una sintesi dello sviluppo della rivelazione: «Dio, dopo aver parlato anticamente

molte volte e in molte maniere ai padri [del popolo ebraico] per mezzo dei profeti, in questi ultimi giorni ha parlato a noi per

mezzo del Figlio, che egli ha costituito erede di tutte le cose, mediante il quale ha pure creato i mondi. Egli, che è splendore

della sua gloria e impronta della sua essenza, e che sostiene tutte le cose con la parola della sua potenza, dopo aver fatto la

purificazione dei peccati, si è seduto alla destra della Maestà nei luoghi altissimi» (1,1 ss.). TEODORICO DA CASTEL S.

PIETRO commenta: «Quantunque non sia detto esplicitamente, si può arguire, dalla frammentarietà e dalle varie maniere

(visione, sogno, azione simbolica o profetica) della rivelazione antica, che la nuova è completa e unitaria nel contenuto e

nelle forme» (in La Sacra Bibbia, Il Nuovo Testamento, a cura di S. GAROFALO, Casale Monferrato, 1963, p. 664). «Cristo è

l’ultima parola di Dio al mondo; la rivelazione in lui è completa, finale e omogenea» (MYLES M. BOURKE, L’Epistola agli

Ebrei, in Nuovo Grande Commentario Biblico, editori R.E. BROWN, J.A. FITZMEYER, R.E. MURPHY, Brescia, 1990, p.

1209). «Dopo di lui [Gesù] non potrà più sorgere alcun Profeta, perché la sua rivelazione è completa e definitiva (…)»

(SETTIMIO CIPRIANI, Le Lettere di S. Paolo, Assisi, 1965, p. 741).

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a motivo del Signore, del tuo Dio,

del Santo d’Israele, perché egli ti avrà glorificato».5 (Isaia 2,1 ss.; 55,1 ss.)

Con questa predicazione vigorosa e lungimirante di Isaia si accorda pure l’azione degli apostoli i

quali presentano Dio come il Salvatore di «tutti» gli uomini, e ne mostrano la volontà di salvezza

universale.6 L’Edificatore e Protettore, il Santo che «raccoglie i dispersi» e «guarisce» i cuori rotti, lo

incontriamo in Gesù, il Lettore di parole antiche che attendevano di essere tradotte in fatti:

Si recò a Nazaret, dov’era stato allevato e, com’era solito, entrò in giorno di sabato nella sinagoga.

Alzatosi per leggere, gli fu dato il libro del profeta Isaia. Aperto il libro, trovò quel passo dov’era scritto:

«Lo Spirito del Signore è sopra di me; / perciò mi ha unto per evangelizzare i poveri; / mi ha mandato ad

annunziare la liberazione ai prigionieri, / e ai ciechi ricupero della vista; / e a rimettere in libertà gli

oppressi, / e a proclamare l’anno accettevole del Signore». (Luca 4,16 ss.)

Con un appello invito rivolto a poveri, prigionieri, ciechi, oppressi, Gesù Messia inaugura l’«anno

accettevole del Signore».7 In altra occasione si legge una promessa ben nota:

Poi Gesù, giunto nei dintorni di Cesarea di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «Chi dice la gente che sia il

Figlio dell’uomo?» Essi risposero: «Alcuni dicono Giovanni il battista; altri, Elia; altri, Geremia o uno dei

profeti». Ed egli disse loro: «E voi, chi dite che io sia?» Simon Pietro rispose; «Tu sei il Cristo, il Figlio

del Dio vivente». Gesù, replicando, disse: «Tu sei beato, Simone, figlio di Giona, perché non la carne e il

sangue ti hanno rivelato questo, ma il Padre mio che è nei cieli. E anch’io ti dico: tu sei Pietro, e su questa

pietra edificherò la mia chiesa, e le porte dell’Ades non la potranno vincere». (Matteo 16, 13 ss.)

Nessun uomo – per quanto potente e grande agli occhi di altri, e pur dotato di capacità personali

notevoli – può proporsi come edificatore della chiesa del Signore. È Gesù l’edificatore della

Gerusalemme nuova che costituisce il popolo suo; per amore e con amore egli cerca i dispersi,

riconduce all’ovile le pecorelle perdute. Questo lavoro di ricerca della persona, questa fatica per

riproporre un modo di pensare positivo e un agire per amore, egli li attua attraverso la parola sua: non

5 «Ora il Signore invita l’Israele disperso e le nazioni rigettate a venire e a partecipare alla vita spirituale che Egli offre

tramite il [suo] Servo. (…). Il capitolo 55 prefigura l’invito di Gesù a venire a Lui per trovare riposo (Matteo 11,28), l’invito

al banchetto nuziale (Matteo 22,1), e l’abbondante offerta della grazia di Dio a Giudei e gentili (Atti 15,11). L’invito è

urgente e universale» (HOMER HAILEY, A Commentary on Isaiah with Emphasis on the Messianic Hope, s. l., 1992, p. 451).

La predicazione di Isaia intendeva incoraggiare gli esuli ebrei a tornare in patria, ma ha pure valore messianico: l’influsso

del Messia si farà sentire sui Giudei, ma anche sui gentili. 6 Scrive Paolo apostolo: «Certa è quest’affermazione e degna di essere pienamente accettata (infatti per questo fatichiamo e

combattiamo): abbiamo riposto la nostra speranza nel Dio vivente, che è il Salvatore di tutti gli uomini, soprattutto dei

credenti». E ancora: «[Dio] vuole che tutti gli uomini siano salvati e vengano alla conoscenza della verità» (1 Timoteo 4,9-

10; 2,4). Gli apostoli, guidati dallo Spirito di Cristo, supereranno reticenze razziali, culturali e religiose per giungere

all’accoglienza/salvezza in Cristo estesa a ogni persona (cfr. Giovanni 4,9 ss.; Atti 10,34). 7 Le parole profetiche che Gesù adempie sono specificamente messianiche. Il Messia era il solo che potesse proclamare

l’«anno accettevole del Signore». Nel N. T. mai si accenna a chiusura, revoca o periodizzazione speciale del tempo di grazia

inaugurato dal Cristo. «Il Maestro, dal cuore di quel sabato, con sguardo profetico, vide aprirsi un tempo di salvezza per i

poveri, gli oppressi e per tutto il popolo (…). Il tempo di salvezza dei poveri si compie nell’oggi, in un continuo, perenne

oggi. Non c’è più alcun tempo di salvezza da attendere» (GIOVANNI FRANZONI, Farete riposare la terra - Lettera aperta per

un Giubileo possibile, Roma, 1996, pp. 38-39). «Nel momento in cui s’incontra Gesù si realizza l’«oggi» della salvezza

definitiva, senza attendere altri momenti redentivi futuri. Da questo punto di vista Luca sembra condividere la prospettiva

paolina di 2 Cor 6,2: “Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza”. Dunque le attese dell’anno

giubilare vengono realizzate nell’oggi dell’incontro con Cristo» (ANTONIO PITTA, L’anno della liberazione – Il giubileo e le

sue istanze bibliche, Cinisello Balsamo, 1998, p. 95). Per la differenza tra i «sistemi espiatori: confessione-penitenza e

indulgenze» e la salvezza proposta dal Vangelo v. MARIO PICCOLI, Un’ipotesi di studio: ‘Giubileo’, ‘Anno Santo’ oppure

‘Anno sabbatico’?, Roma, 1997, p. 141 ss.

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parola sciamanica, non lista di rituali formule magiche, bensì parola predicata che propone alla

persona di trasformarne l’atteggiamento abbattuto, il modo di pensare negativo provocato dal peccato.

Persino l’odiante Caino si sente incoraggiare da quella parola che ne agita la coscienza: «Perché sei

irritato? E perché hai il volto abbattuto? Se agisci bene, non rialzerai il volto? Ma se agisci male, il

peccato sta spiandoti alla porta, e i suoi desideri sono rivolti contro di te; ma tu dominalo!»8 Caino

trascura il consiglio, e si avvia al fratricidio. Accade allo stesso Gesù che l’azione della sua parola

venga frustrata:

Da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con lui. Perciò Gesù disse ai

dodici: «Non volete andarvene anche voi?». Simon Pietro gli rispose: «Signore, da chi andremmo noi? Tu

hai parole di vita eterna; e noi abbiamo creduto e abbiamo conosciuto che tu sei il Santo di Dio».

(Giovanni 6,66 ss.)

Pietro, che per rivelazione divina riconosce nel Nazareno il Figlio di Dio (Matteo 16,16), in questo

brano parallelo di Giovanni confessa che Gesù è «il Santo di Dio», l’unico che offre davvero «parole di

vita» a quanti amano ascoltarle. Parole che, si è detto, non sempre sono bene accolte; molti, anzi, se ne

scandalizzeranno e volgeranno le spalle a Cristo. Tra quei molti, tanti si allontaneranno per i cattivi

esempi, per le diatribe futili che zelanti discepoli, pieni di se stessi, promuoveranno. Ciò nonostante

alcuni apriranno i cuori all’amore per la verità, riconoscendo, come fece Pietro, che soltanto Gesù dice

davvero parole che donano la vita.

Un popolo nuovo si costituisce proprio attraverso le parole di Cristo indirizzate alla mente di chi

vuole ascoltare con umiltà. Ecco, ad esempio, un momento di questo genere; si tratta della conclusione

di un discorso di Pietro e della reazione immediata di molti alle sue parole:

«(…). Questo Gesù, Dio lo ha risuscitato; di ciò noi tutti [gli apostoli] siamo testimoni. Egli dunque,

essendo stato esaltato dalla destra di Dio e avendo ricevuto dal Padre lo Spirito Santo promesso, ha sparso

quello che ora vedete e udite. Davide infatti non è salito in cielo; eppure egli stesso dice: “Il Signore ha

detto al mio Signore: / Siedi alla mia destra, / finché io abbia posto i tuoi nemici per sgabello dei tuoi

piedi.” Sappia dunque con certezza tutta la casa d’Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù

che voi avete crocifisso».

Udite queste cose, essi furono compunti nel cuore, e dissero a Pietro e agli altri apostoli: «Fratelli, che

dobbiamo fare?». E Pietro a loro: «Ravvedetevi e ciascuno di voi sia battezzato nel nome di Gesù Cristo,

per il perdono dei vostri peccati, e voi riceverete il dono dello Spirito Santo. Perché per voi è la promessa,

per i vostri figli, e per tutti quelli che sono lontani, per quanti il Signore, nostro Dio, ne chiamerà».

E con molte altre parole i scongiurava e li esortava, dicendo: «Salvatevi da questa perversa generazione».

Quelli che accettarono la sua parola furono battezzati; e in quel giorno furono aggiunte a loro circa tremila

persone. (Atti 2,36 ss.)

La chiesa del Signore nasce grazie alla predicazione della Parola del Signore. I primi convertiti

costituiscono una comunità. Di loro Luca dirà: «Erano perseveranti nell’ascoltare l’insegnamento degli

8 Genesi 4,6 s.

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apostoli e nella comunione fraterna, nel rompere il pane e nelle preghiere. (…). Il Signore aggiungeva

ogni giorno alla loro comunità quelli che venivano salvati».9

Quando parole di vita vengono proposte con fedeltà e franchezza, ecco davvero il Signore

all’opera: l’Edificatore costruisce la comunità sua, aggiungendovi nuovi convertiti. Una realtà

semplice, niente affatto utopica, che può attuarsi anche oggi perché quelle parole di vita sono le stesse;

basta soltanto riscoprirne la fonte per dissetarci ancora a quell’acqua sorgiva. L’Edificatore non ha

perduto il proprio vigore.

La preghiera di Gesù Cristo

Al cuore della lunga preghiera fatta da Gesù prima del suo arresto si trova l’unità dei suoi discepoli,

preoccupazione non casuale. Gustiamone la lettura:

Padre, l’ora è venuta; glorifica tuo Figlio, affinché il Figlio glorifichi te, giacché gli hai dato autorità su

ogni carne, perché egli dia vita eterna a tutti quelli che tu gli hai dati. Questa è la vita eterna: che

conoscano te, il solo vero Dio, e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo. Io ti ho glorificato sulla terra,

avendo compiuto l’opera che tu mi hai data da fare. Ora, o Padre, glorificami tu presso di te della gloria

che avevo presso di te prima che il mondo esistesse.

Io ho manifestato il tuo nome agli uomini che tu mi hai dati dal mondo; erano tuoi e tu me li hai dati; ed

essi hanno osservato la tua parola. Ora hanno conosciuto che tutte le cose che mi hai date, vengono da te;

poiché le parole che tu mi hai date le ho date a loro; ed essi le hanno ricevute e hanno veramente

conosciuto che io sono proceduto da te, e hanno creduto che tu mi hai mandato. Io prego per loro; non

prego per il mondo, ma per quelli che tu mi hai dati, perché sono tuoi; e tutte le cose mie sono tue, e le

cose tue sono mie, e io sono glorificato in loro. Io non sono più nel mondo, ma essi sono nel mondo, e io

vengo a te. Padre santo, conservali nel tuo nome, quelli che tu mi hai dati, affinché siano uno, come noi.

Mentre io ero con loro, io li conservavo nel tuo nome; quelli che tu mi hai dati, li ho anche custoditi, e

nessuno di loro è perito, tranne il figlio di perdizione, affinché la Scrittura fosse adempiuta. Ma ora io

vengo a te; e dico queste cose nel mondo, affinché abbiano compiuta in sé stessi la mia gioia. Io ho dato

loro la tua parola; e il mondo li ha odiati, perché non sono del mondo, come io non sono del mondo. Non

prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li preservi dal maligno. Essi non sono del mondo, come io non

sono del mondo. Santificali nella verità: la tua parola è verità. Come tu hai mandato me nel mondo,

anch’io ho mandato loro nel mondo. Per loro io santifico me stesso, affinché anch’essi siano santificati

nella verità.

Non prego soltanto per questi, ma anche per quelli che credono in me per mezzo della loro parola: che

siano tutti uno; e come tu, o Padre, sei in me e io sono in te, anch’essi siano in noi: affinché il mondo

creda che tu mi hai mandato. Io ho dato loro la gloria che tu hai data a me, affinché siano uno come noi

siamo uno; io in loro e tu in me; affinché siano perfetti nell’unità, e affinché il mondo conosca che tu mi

hai mandato, e che li ami come hai amato me.

Padre, io voglio che dove sono io, siano con me anche quelli che tu mi hai dati, affinché vedano la mia

gloria che tu mi hai data; poiché mi hai amato prima della fondazione del mondo.

Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto; e questi hanno conosciuto che tu mi

hai mandato; e io ho fatto loro conoscere il tuo nome, e lo farò conoscere, affinché l’amore del quale tu mi

hai amato sia in loro, e io in loro. (Giovanni 17)

9 Atti 2,42. 46.

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C’è un intento forte che anima la supplica, modello di intercessione,10

della quale si sottolineano qui

alcuni aspetti che mostrano come Gesù tenda «ad inserire tutti nell’intenzione del Padre, che Cristo fa

continuamente sua, cioè la realizzazione dell’unità perfetta».11

La sezione maggiore (vv. 6-19) riguarda in maniera specifica gli apostoli. Sono loro, infatti, che

hanno «ricevuto» le parole che il Padre ha dato al Figlio e hanno davvero creduto in Cristo Gesù.

Questi rivolge a pro loro una preghiera speciale, talmente esclusiva da indurlo a dire: «Prego per loro,

non prego per il mondo». A loro è stata data e affidata la parola di Dio, con tutte le conseguenze –

anche negative sul piano personale – che ciò potrà comportare. Questa parola è verità, e la richiesta è

che gli apostoli siano santificati nella verità, quindi appartati, separati, per il servizio della verità. Non

a caso i credenti vengono presentati nel Nuovo Testamento come «edificati sul fondamento degli

apostoli e profeti».12

Il brano successivo della preghiera riguarda non soltanto gli apostoli, ma anche coloro che avrebbero

voluto imparare a credere in Gesù attraverso un formidabile strumento generatore di fiducia:

Non prego soltanto per questi [gli apostoli], ma anche per quelli che credono in me per mezzo della loro

parola: che siano tutti uno. (vv. 20-21)

Dunque il desiderio del Cristo è che l’unità dei credenti sia fondata sulla «parola» di Dio: tale,

infatti, è la «parola» data e affidata agli apostoli «per mezzo» della quale si può ancor oggi fare

esperienza13

della fiducia in Gesù. L’unità dei credenti è radicata nella verità, quella che Gesù ha

ricevuto dal Padre, ha affidato agli apostoli, e che ogni generazione riceve tramite loro.14

La preghiera di Gesù fa invecchiare il tempo, lo scandaglia a fondo col lanternino della fiducia alla

ricerca amorevole di quanti crederanno in Lui per mezzo della parola degli apostoli: è questo lo

strumento scelto, questa la base buona per l’unità presente e futura di quanti si fideranno e si

affideranno a Lui tramite quella parola apostolica. Gesù «per primo» ha compiuto un atto di fede che è

atto d’amore: «Noi amiamo perché Egli ci ha amati per primo», scriverà Giovanni.

Colpisce l’espressione affettuosa finale dell’invocazione, consentendo una salutare e, forse,

fruttuosa vergogna morale – intensa, ma possibilmente non plateale – nel ricordo consapevole delle

divisioni, da chiunque provocate, indotte, coltivate, utilizzate: «(…) l’amore del quale tu [Padre] mi hai

10

ALFRED WIKENHAUSER, L’Evangelo secondo Giovanni, Brescia, 1974, p. 414. 11

ERNESTO BALDUCCI, Il Vangelo di S. Giovanni, Firenze, 1964, p. 262. 12

Efesini 2,21 s. 13

Nel linguaggio biblico è l’esperienza che determina la vera conoscenza; questa non è mai puramente teorica ma si forma e

si consolida sulla realtà dell’esperienza. 14

La missione che Gesù affida agli apostoli è unica, irripetibile. Sono loro i suoi testimoni «oculari» (Atti 1,8; 2 Pietro 1,16

ss.; 1 Giovanni 1,1 ss.). A loro (non ad altri: Giovanni 15,26; 16,13; 14,26) fu promessa la guida speciale dello Spirito.

Pertanto accogliere il loro insegnamento espresso nel N.T. significa accettare il magistero di Cristo stesso (1 Corinzi 15,3ss;

Efesini 4,20; Filippesi 4,9). La parola degli apostoli ha autorità su tutte le chiese (2 Corinzi 11,28; 1 Corinzi 14,37). Per tali

concetti cfr. FAUSTO SALVONI, Da Pietro al Papato, Genova, 1970, pp. 213-221.

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amato sia in loro, e io in loro». La preghiera di Gesù riconduce l’unità dei credenti all’«osservanza» (v.

6) della parola degli apostoli: osservanza per amore, come esperienza d’amore.

Soltanto gli apostoli, infatti, ebbero dal Signore stesso la promessa di essere ispirati-da-Dio15

in

tutta la verità, in tutti gli aspetti delle cose che Dio ha voluto rivelare in Gesù.

Consideriamo, infatti, che nella narrazione giovannea questa supplica viene preceduta da un lungo

discorso a tavola di Gesù con i dodici nel corso dell’ultima cena pasquale.16

Egli li incoraggia in ogni

modo: «Il vostro cuore non sia turbato; abbiate fede in Dio, e abbiate fede anche in me!». Il Signore

non nasconde loro che persecuzioni e tribolazioni seguiranno, ma indica pure nell’amore – adesione

pratica completa e lieta ai consigli suoi – la via della gioia nonostante le sofferenze. Li richiama al

senso del loro amore verso di lui, e promette loro «un altro consolatore, […] lo Spirito della verità».

Ecco infatti la promessa rivolta agli apostoli, promessa specifica e speciale:

Ho ancora molte cose da dirvi; ma non sono per ora alla vostra portata; quando però sarà venuto lui, lo

Spirito della verità, egli vi guiderà in tutta la verità, perché non parlerà di suo, ma dirà tutto quello che

avrà udito, e vi annuncerà le cose a venire. Egli mi glorificherà perché prenderà del mio e ve l’annuncerà.

Tutte le cose che ha il Padre sono mie; per questo ho detto che prenderà del mio e ve lo annuncerà.

(Giovanni 16,12 s.)

Una meraviglia da apprendisti doveva caratterizzare in quei momenti l’atteggiamento mentale dei

dodici di fronte ai discorsi di Gesù e agli eventi che di lì a poco dovevano seguire; uno stupore che li

rendeva tuttora inadeguati alle «molte cose» che il Signore doveva ancora dire loro. Ma il suo

magistero non si sarebbe esaurito con la sua dipartita, né alcuna delle «molte cose» sarebbe stata

dimenticata o trascurata, in modo da rendere necessari futuri sviluppi dell’insegnamento o nuove

rivelazioni posposte lungo il volgere dei secoli: nulla di tutto ciò, infatti, viene annunciato agli apostoli.

Gesù, invece, garantisce la venuta del suo vicario, il Consolatore ineffabile che avrebbe insegnato,

rammentato, guidato: ad una tale Scuola, amorevole e precisa, gli apostoli sarebbero stati ispirati «in

tutta la verità», guidati in «tutte le cose» del Padre, che sono pure le cose del Santo di Dio.

Leggere le parole degli scritti apostolici del Nuovo Testamento è leggere quel magistero

intelligente, intelligibile,17

verace. Ascoltare i consigli apostolici presentati nel Nuovo Testamento è

ascoltare quel vicario buono, unico, insostituibile.

Se ci si domanda quale fosse il grado di consapevolezza con cui gli apostoli scrissero i princìpi

fondanti per la vita dei credenti, non è difficile rinvenire risposte nelle pieghe della loro narrazione o in

quelle brevi, preziose frazioni sospensive del ragionamento, là dove lo scrittore stimola la sensibilità

15

Il N.T. usa l’espressione «theopneùstos» (2 Timoteo 3,16) qui resa con «ispirato-da-Dio». In 2 Pietro 1,21 troviamo pure

l’altra espressione equivalente: «sospinti dallo Spirito Santo» (gr. «upò pneùmatos aghìou feròmenoi»). 16

Si tratta del lungo brano di Giovanni 13-16. Nonostante una inattesa interruzione (14,31), le connessioni tra la prima e la

seconda coppia di capitoli favoriscono la sostanziale unità narrativa del brano.

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11

del lettore o entra in aperto conflitto polemico con i suoi contraddittori per attestare l’ispirazione divina

del dato scritto.

Giovanni non spalanca la porta alla ridda di tradizioni spurie quando, con un’iperbole, accenna alla

quantità di cose fatte da Gesù le quali, se si scrivessero una ad una, «il mondo intero non potrebbe

contenere i libri che se ne scriverebbero».18

Al contrario, l’apostolo conosce bene la necessità e

sufficienza di quanto egli stesso sta mettendo nero su bianco. Infatti poco prima scrive:

Or Gesù fece in presenza dei discepoli molti altri segni miracolosi, che non sono scritti in questo libro; ma

questi sono stati scritti, affinché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e affinché, credendo,

abbiate vita nel suo nome. (Giovanni 20,30 s.)

Una volta forniti per scritto gli elementi fondanti della fede, il resto – fosse pure costituito da altri

fatti inerenti la vita di Cristo – risulta superfluo al fine di suscitare fede e vita nel «nome» (= persona)

di Cristo Gesù.

Paolo comprende bene l’importanza del proprio scritto, perciò, in polemica con certi spirituali del

tempo, scrive: «Se qualcuno pensa di essere profeta o spirituale, riconosca che le cose che io vi scrivo

sono comandamenti del Signore».19

Pietro stesso si impegna a ricordare determinate cose ai credenti

attraverso un proprio scritto: «Perciò avrò cura di ricordarvi continuamente queste cose, benché le

conosciate e siate saldi nella verità che è presso di voi. E ritengo che sia giusto, finché sono in questa

tenda, di tenervi desti con le mie esortazioni. (…) Ma mi impegnerò affinché dopo la mia partenza

abbiate sempre modo di ricordarvi di queste cose».20

Dunque è proprio nelle Scritture del Nuovo Testamento che troviamo tutta la verità, tutte le cose

del Padre sulle quali e per le quali i credenti di ogni tempo e luogo possono lavorare per fondare la loro

fiducia operosa e quindi la loro unità nel Signore.

Un esempio di questo fondarsi sicuro sull’autorevolezza degli scritti apostolici, lo troviamo nella

comunità di Efeso. Quando Paolo esorta la chiesa a rimanere unita sotto la guida dei propri anziani –

nel Nuovo Testamento il termine anziani è sinonimo di vescovi, pastori – è evidente che questa unità

deve essere radicata nel «consiglio di Dio» che l’apostolo ha in precedenza predicato ad Efeso. Ecco la

narrazione di Luca:

Da Mileto [Paolo] mandò a Efeso a far chiamare gli anziani della chiesa. Quando giunsero da lui, disse

loro: «Voi sapete in quale maniera, dal primo giorno che giunsi in Asia, mi sono sempre comportato con

voi, servendo il Signore con ogni umiltà (…). E ora, ecco, io so che voi tutti fra i quali sono passato

predicando il regno, non vedrete più la mia faccia. Perciò io dichiaro quest’oggi di essere puro del sangue

di tutti; perché non mi sono tirato indietro dall’annunziarvi tutto il consiglio di Dio. Badate a voi stessi e a

17

Scrive, ad es., Paolo apostolo: «Senza dubbio avete udito parlare della dispensazione della grazia di Dio affidatami per

voi; come per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero, di cui più sopra vi ho scritto in poche parole; leggendole,

potrete capire la conoscenza [gr. sùnesis: intelligenza, comprensione] che io ho del mistero di Cristo» (Efesini 3,1 ss.; cfr.

1 Corinzi 10,15). 18

Giovanni 21,25. 19

1 Corinzi 14,37. 20

2 Pietro 1,12 ss.

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tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha costituiti vescovi, per pascere la chiesa di Dio, che

egli ha acquistata col proprio sangue.». (Atti 20,17. 26 ss.)

L’organizzazione della chiesa presentata nel Vangelo è snella, non prevede le grosse strutture

costituitesi nel corso dei secoli in seno al cristianesimo. Nel suo commento alla lettera a Tito, Girolamo

(347-420 ca.) ricorda l’originaria parità tra vescovo e presbitero:

Guardiamo diligentemente quello che l’apostolo dice; ti ho lasciato perché tu abbia a scegliere nella città

dei presbiteri. Quale presbitero debba poi essere ordinato, lo dice nella parte seguente scrivendo: Se ve n’è

uno che sia irreprensibile, marito di una sola moglie… eccetera. Poi aggiunge: bisogna infatti che il

vescovo sia senza crimine, come economo di Dio. Perciò è presbitero colui che è anche vescovo. Prima

che per istinto diabolico si creassero delle fazioni e si dicesse al popolo: Io sono di Paolo, io di Apollo, io

di Cefa (1 Corinzi 1, 12), le chiese erano governate dalla comune deliberazione dei presbiteri della chiesa.

Dopo che ognuno credette suoi e non di Cristo coloro che egli aveva battezzato, si decise in tutta la Chiesa

che uno dei presbiteri fosse eletto e sovrapposto agli altri, in modo che a lui fosse affidata la cura di tutta

la chiesa e si avesse così a togliere il seme degli scismi. Chiunque pensasse che questo non è il pensiero

della Scrittura, ma una mia opinione identificante il vescovo con il presbitero, i cui due nomi indicano

rispettivamente l’ufficio o l’età, rilegga le parole dell’apostolo ai Filippesi: Paolo e Timoteo, servi di Gesù

Cristo, a tutti i santi in Cristo Gesù che sono in Filippi con i vescovi e i diaconi, a voi grazia e pace

(Filippesi 1,1).21

Presso i cristiani di epoca apostolica o sub-apostolica ogni comunità locale, guidata dal collegio dei

propri vescovi/anziani,22

riconosceva in realtà un solo capo dotato di «primato in ogni cosa»:

Egli [Gesù] è l’immagine del Dio invisibile, il primogenito di ogni creatura; poiché in lui sono state create

tutte le cose che sono nei cieli e sulla terra, le visibili e le invisibili (…), tutte le cose sono state create per

mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di ogni cosa e tutte le cose sussistono in lui. Egli è il capo del

corpo, cioè della chiesa; è lui il principio, il primogenito dai morti, affinché in ogni cosa abbia il

primato. (Colossesi 1,15 ss.)

Attraverso la parola apostolica, Gesù guidava (guida) i credenti affinché la società risentisse

(risenta) dell’influsso positivo del Vangelo. Quelle prime comunità furono davvero «luce del mondo e

sale della terra»: non soltanto esse non misero «la lampada sotto il tavolo», ma – prive di strutture e

organismi ecclesiastici – operarono collaborando al fine primario che il Signore aveva loro dato,

annunciare il Vangelo con la vita e la parola. Scrive infatti l’apostolo:

E voi, che un tempo eravate estranei e nemici a causa dei vostri pensieri e delle vostre opere malvagie, ora

Dio vi ha riconciliati nel corpo della carne di lui, per mezzo della sua morte, per farvi comparire davanti a

sé santi, senza difetto e irreprensibili, se appunto perseverate nella fede, fondati e saldi e senza lasciarvi

smuovere dalla speranza del vangelo che avete ascoltato, il quale è stato predicato a ogni creatura sotto il

cielo e di cui io, Paolo, sono diventato servitore. (Colossesi 1,21 ss.)

21

Girolamo, Comm. In Tit. PL 26, 597. Citato da FAUSTO SALVONI, Dal Cristianesimo al Cattolicesimo, Genova, 1974, p.

135. 22

Nel Panarion (scritto fra il 374 e il 377) Epifanio di Salamina (315?-403) fotografa la situazione organizzativa della

chiesa quando già era sorto l’episcopato monarchico, anche se persisteva ancora una traccia della originaria organizzazione

genuinamente apostolica delle chiese locali, cioè la presenza di un collegio di presbiteri (=anziani) in ogni comunità: «Le

comunità della chiesa cattolica di Alessandria dipendono da un unico arcivescovo, ma sono governate da propri presbiteri, i

quali, per servire debitamente la popolazione del luogo, abitano vicino alle singole chiese» (MARIO AGNES, La professione

di fede nei Concili ecumenici di Nicea (325) e di Costantinopoli (381), Cassino, s.d., p. 15).

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Cristo Gesù unisce

Se, specificando ulteriormente la nostra domanda sull’unità, ci chiediamo quali furono – e quali

potrebbero essere tuttora – i fondamenti dell’unità in Cristo, la risposta può trovarsi in una lettera

scritta da Paolo apostolo alla comunità efesina. Eccone un brano particolarmente intenso nel quale

l’unità umile, proposta da Cristo, è costituita da sette unità elementari unificanti:

Io dunque, il prigioniero del Signore, vi esorto a comportarvi in modo degno della vocazione che vi è stata

rivolta, con ogni umiltà e mansuetudine, con pazienza, sopportandovi gli uni gli altri con amore,

sforzandovi di conservare l’unità dello Spirito col vincolo della pace. Vi è un corpo solo e un solo Spirito,

come pure siete stati chiamati a una sola speranza, quella della vostra vocazione. Vi è un solo Signore, una

sola fede, un solo battesimo, un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, fra tutti e in tutti.

(Efesini 4,1 ss.)

Ritroviamo qui la realtà della vocazione/chiamata, già veduta in Isaia, rivolta ai «gentili» (le genti),

cioè agli «stranieri, chiamati incirconcisi» dagli ebrei.23

C’è una dignità della chiamata che va

salvaguardata con sforzo personale e vicendevole fatto di umiltà, dolcezza, pazienza, amorevole

sopportazione, pace. Sono questi i tendini che vincolano il «corpo» (chiesa) all’unità. Reciderli

significa comportarsi in modo indegno della chiamata del Vangelo.

IL PRIMO ELEMENTO AGGLOMERANTE È IL FATTO CHE VI SIA «UN SOLO CORPO» DI CRISTO. Vi è

un solo popolo del Signore, vi è una chiesa soltanto.

Nel corso del tempo, i cristiani faranno del tutto per disubbidire in vario modo a questa realtà:

creeranno chiese e chiesuole, costituiranno conventicole e gruppi, stabiliranno ordini e congregazioni,

attiveranno confraternite e denominazioni, istituiranno sètte e confederazioni religiose…

La realtà non superficiale è: «Il Signore conosce [in senso profondo, completo] quelli che sono

suoi».24

Non a caso il contesto di questo brano presenta le inutili dispute parolaie e le deviazioni dalla

verità, in contrapposizione alla parola di verità rettamente proposta in un «utile servizio al padrone». Il

corpo unico che ha per membra i credenti sarà costituito da quei pochi, o da quei molti, che

preferiranno la vergogna di Cristo al plauso del mondo: «Poiché dove due o tre sono riuniti nel mio

nome, lì sono io in mezzo a loro», lì dove l’autorità autorevole del Cristo è rispettata.25

La storia ha designato uomini come capi di chiese: re, successori, predecessori, potenti. Dietro gli

epocali problemi dottrinali – come dietro le questioni più modeste e provinciali – che hanno diviso e

sconvolto, spesso vi è stata la carenza patologica di umiltà, l’assenza di mansuetudine, la latitanza di

23

Cfr. Efesini 2,11ss. L’espressione «incirconcisi» era tipica per indicare i non ebrei. L’inaccettabile divisione tra i due

popoli viene superata «in Cristo», che li riconcilia in un «corpo unico mediante la sua croce». Purtroppo, il messaggio del

Vangelo, inteso a far «morire l’inimicizia» tra i due popoli, verrà distorto, fino a diventare fonte di persecuzioni inumane

contro gli ebrei. 24

2 Timoteo 2,19. 25

Matteo 18,20.

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pazienza e di amorevole sopportazione gli uni verso gli altri, l’assenza di verità, la brama di potere, il

culto dell’invidia: sono questi i problemi da affrontare, discutere e risolvere, senza trascurare quelli.

Il capo nobile dell’unica chiesa è stato sempre, e sarà sempre, il Cristo; né capi umani possono

renderlo visibile,26

né vicari umani possono farne le veci. L’unità dei credenti non necessita dei primi,

non si affida ai secondi. Il capo unico del corpo unico è un Altro.

IL SECONDO FULCRO UNIFICANTE È «IL SOLO SPIRITO». Vi è davvero uno Spirito unico in grado di

raccogliere attorno a Sé i credenti, e questo può essere solo lo Spirito del Risorto. Infatti la chiesa è un

edificio spirituale progettato e realizzato secondo un design antico:

Così dunque non siete più né stranieri né ospiti; ma siete concittadini dei santi e membri della famiglia di

Dio. Siete stati edificati sul fondamento degli apostoli e profeti, essendo Cristo Gesù stesso la pietra

angolare, sulla quale l’edificio intero, ben collegato insieme, si va innalzando per essere un tempio santo

nel Signore. In lui voi pure entrate a far parte dell’edificio che ha da servire come dimora a Dio per mezzo

dello Spirito. (Efesini 2,21 s.)

Soltanto questo è Spirito di verità. Soltanto lo Spirito della vita libera dal male. Gesù osa dire ad

alcuni credenti: «Voi conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi»: liberi da una mentalità sbagliata,

da un modo errato di impostare la vita e di soppesarne i valori; in altre parole la verità vi libererà dal

male di cui siete schiavi. I suoi troppo nobili interlocutori si offendono, lo prendono per pazzo, cercano

di ucciderlo.27

Eppure proprio questo attesta lo Spirito del Vivente che invita i credenti a cambiare mentalità.

Quando la chiesa/sposa di Cristo è docile alla Parola, ecco che le sue espressioni di invito si accordano

con lo Spirito del suo Signore:

Io sono l’alfa e l’omega, il primo e l’ultimo, il principio e la fine. Beati quelli che lavano le loro vesti per

avere diritto all’albero della vita e per entrare per le porte della città! (…). Lo Spirito e la sposa dicono:

«Vieni». E chi ode, dica: «Vieni». Chi ha sete, venga; chi vuole, prenda dell’acqua della vita.

(Apocalisse 22, 17)

Perché mai i credenti dovrebbero anelare a spiriti diversi per ottenere la libertà dal male? Perché

mai farci distrarre da altri spiriti che, per quanto alti e nobili, sono pur sempre umani, spiriti di

creature, come noi stessi: spiriti di defunti, spiriti di viventi, spiriti elevati da altri uomini, spiriti

riconosciuti ed esaltati nel mondo, ma pur sempre bisognosi essi stessi dell’unico Spirito. Perché mai

ricercare altri spiriti quando «la porta»28

che conduce all’unico Spirito è perpetuamente spalancata

dinanzi a ciascuno: la Sua parola è limpida, il Suo messaggio aperto, la Sua volontà svelata:

26

Paolo ricorda che il credente cammina «per fede e non per visione» (2 Corinzi 5,7). Ai cristiani d’Asia Pietro scrive che

essi, «pur non avendo veduto» Gesù, lo amano, credono in lui, gioiscono in lui con una «allegrezza ineffabile e gloriosa,

ottenendo il fine della fede: la salvezza delle anime» (1 Pietro 1,8 s.). Il visibile depriva la fede, non le aggiunge proprio

nulla. 27

Giovanni 8,32 ss. 28

«Io [Gesù] sono la porta; se uno entra per me sarà salvato» (Giovanni 10,9).

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Io ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli

intelligenti, e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così ti è piaciuto. (…) Venite a me, voi tutti che

siete affamati e oppressi, e io vi darò riposo. Prendete su di voi il mio giogo e imparate da me, perché io

sono mansueto e umile di cuore; e voi troverete riposo alle anime vostre; poiché il mio giogo è dolce e il

mio carico è leggero. (Matteo 11, 25 ss.)

È soltanto quest’unico Spirito che deve permeare la vita dei credenti. Egli è, anzi, la vita stessa

della comunità. La Parola sua è tuttora «lampada al mio piede»;29

l’apostolo ricorda che «tutta la

Scrittura è ispirata-da-Dio, e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia,

affinché l’uomo di Dio sia compiuto, appieno fornito per ogni opera buona».30

I CREDENTI SONO PURE UNITI IN «UNA SOLA SPERANZA». La speranza cui sono chiamati è speranza

di vita col Signore. L’apostolo scrive ai cristiani dell’Asia Minore:

Benedetto sia il Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo, che nella sua grande misericordia ci ha fatti

rinascere a una speranza viva mediante la resurrezione di Gesù dai morti, per una eredità incorruttibile,

senza macchia e inalterabile. Essa è conservata in cielo per voi, che dalla potenza di Dio siete custoditi

mediante la fede, per la salvezza che sta per essere rivelata negli ultimi tempi.(1 Pietro 1, 3)

Il credente è «salvato in speranza». Persino le «sofferenze del tempo attuale» – gravi, inaccettabili,

vergognose, scandalose, contro le quali il credente si batte qui e ora – sono imparagonabili rispetto alla

speranza di libertà dalla corruzione; speranza di liberazione dalla vanità che avvolge ogni cosa, gli

affetti più saldi come gli odii più antichi; speranza di adozione completa dei credenti; speranza riposta

nello Spirito del Risorto affinché venga in aiuto alla incredulità nostra; speranza in un inseparabile

amore di Dio, al di là della morte e della vita, al di là del presente e del futuro.

Poiché siamo stati salvati in speranza. Or la speranza di ciò che si vede, non è speranza; difatti, quello che

uno vede, perché lo spererebbe ancora? Ma se speriamo ciò che non vediamo, l’aspettiamo con pazienza.

(Romani 8,24 s.)

Quando davvero si spera qualcosa non ci si lascia distrarre, ma si agisce per ottenerla. L’oggetto

ultimo della speranza del cristiano è la vita spirituale con il Padre, è l’abbraccio di Dio, è il giorno in

cui «Dio sarà tutto in tutti».31

Chi coltiva tale speranza non si lascia abbagliare da cristiane chimere

materialistiche, ben sapendo che questo mondo non è la meta finale del credente. Ma prima che la

fiducia sperante naufraghi dolce nel mare dell’Amore, Dio rende forti qui e ora le braccia di quanti

partecipano con generosità all’opera Sua, braccia consapevoli che la fatica dei credenti non è vana «nel

Signore».32

29

Salmi 119,105. 30

2 Timoteo 3,16 s. (v. nota 4). 31

1 Corinzi 15,28. 32

1 Corinzi 15,58.

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«VI È UN SOLO SIGNORE»: ECCO IL QUARTO ELEMENTO UNIFICANTE. Se il termine Signore non

fosse oggi di uso comune, forse lo si riuscirebbe ancora a pronunciare con un certo timore sul labbro e

una qualche consapevolezza nel cuore. I cristiani sono tutti fratelli. I cristiani sono anche tutti, proprio

tutti, servi – ma bisognerebbe dire schiavi33

– di un unico «Signore». Non a caso Pietro conclude quel

suo discorso, nel giorno della pentecoste ebraica dopo la resurrezione, con parole alte ma accusatorie:

«Sappia dunque sicuramente tutta la casa d’Israele che Dio ha fatto e Signore e Cristo quel Gesù che

voi avete crocifisso».34

La persona consapevole del proprio errore, se ne ravvede, e si mette a servire

Cristo. Occorre comprendere meglio il senso della vita del credente, che sta tutto nel servizio verso il

prossimo, dentro e fuori la comunità dei credenti. È il prossimo infatti la sola immagine, l’unica

somiglianza vivente, che il Signore ha lasciato di sé: «(…) ciò che avrete fatto a uno di questi minimi

lo avrete fatto a me».35

È Dio stesso che fa di Gesù il Signore: qui e oggi. E ciò per un motivo buono e fondante: Lui solo è

il crocifisso-e-risorto. Non il crocifisso, come vuole la nostra consolidata mentalità religiosa, bensì il

crocifisso-e-risorto. Quindi il Vivente Figlio del Dio della Vita; il Signore: che fu crocifisso, ma che

oggi e sempre è vivente. Dunque: non il fu Gesù Nazareno, ligneo crocifisso, bensì colui che è,36

vivo

e perfettamente in grado a tutt’oggi di esercitare la propria Signoria. Egli infatti è in grado di dire la

sua con autorità autorevole, consigliare, persuadere, insegnare, ragionare, ammonire, rimproverare,

correggere, educare, ordinare, sollevare eccezioni, discutere, far progredire sulla via della spiritualità la

persona che si forma alla luce di una mentalità affatto nuova,37

quella del Risorto:

Paolo, servo di Cristo Gesù, chiamato a essere apostolo, messo a parte per il vangelo di Dio, che egli

aveva già promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sante Scritture riguardo al Figlio suo, nato dalla stirpe

di Davide secondo la carne, dichiarato Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santità

mediante la resurrezione dai morti; cioè Gesù Cristo nostro Signore (…), a quanti sono in Roma, amati

da Dio, chiamati ad essere santi, grazia a voi e pace da Dio nostro Padre, e dal Signore Gesù Cristo».

(Romani 1, 1)

Quale altro signore può vantare una dichiarazione altrettanto alta e potente? E, persino prescindendo

dalla resurrezione, chi osò umiliarsi fino a una morte tanto vergognosa quanto immeritata? Se non

tramite Lui, con l’aiuto di chi potremo davvero compiere il nostro «essere santi»?38

33

Il N.T. presenta i discepoli come «schiavi» di Cristo ( Matteo 6,24; Romani 1,1; il verbo doulòo – sost. doulos – significa

rendere qualcuno «schiavo»). Pertanto, catene di varia natura – economica, morale, prescrittiva, tradizionale – sconosciute

al Vangelo, ma adottate spesso dalla religiosità umana per avvincere e legare, dovrebbero essere sciolte in favore di un più

genuino «servizio» rivolto al Signore e al prossimo. 34

Atti 2,37. 35

Matteo 25,40. 36

L’affermazione secondo cui chi osserva la parola di Cristo non muore (spiritualmente) solleva l’ira degli interlocutori di

Gesù che lo prendono per folle. All’offesa, egli risponde: «In verità, in verità vi dico: prima che Abramo fosse nato, io

sono» (Giovanni 8,58; cfr. Esodo 3,14). 37

Tale è la mentalità che può formarsi alla scuola degli apostoli i quali, per dirla con Paolo, hanno «la mente di Cristo» (1

Corinzi 2,16). Accostarsi al N.T. significa entrare in questa scuola per apprendervi un modo nuovo di pensare. 38

Scrive Paolo: «Poiché abbiamo queste promesse, carissimi, purifichiamoci da ogni contaminazione di carne e di spirito,

compiendo la nostra santificazione nel timore di Dio» (2 Corinzi 7,1).

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Purtroppo, sembra che nomi da sostituire o affiancare a quello di Cristo Gesù non manchino, anzi se

ne aggiungono continuamente di nuovi. Si dice che non si tratta di veri e propri sostituti; e tuttavia ci si

propongono apertamente altri mediatori fra noi e il Padre. Il Vangelo dell’unico Signore è il

Documento che attesta una realtà fondante per la fiducia del singolo e per l’unità della fede dei

credenti:

Esorto dunque, prima di ogni altra cosa, che si facciano suppliche, preghiere, intercessioni, ringraziamenti

per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che sono costituiti in autorità, affinché possiamo condurre una

vita tranquilla e quieta in tutta pietà e dignità. Questo è buono e gradito davanti a Dio, nostro Salvatore, il

quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e vengano alla conoscenza della verità. Infatti c’è un solo

Dio e anche un solo mediatore fra Dio e gli uomini, Cristo Gesù uomo, che ha dato sé stesso come

prezzo di riscatto per tutti. (1 Timoteo 2,1 ss.)

Con quale rispetto verso Cristo potremo rivolgerci ad altri signori, mediatori, intercessori i quali,

per quanto buoni e lodevoli, non hanno dato se stessi come prezzo per riscattarci dal male? Se davvero

vogliamo avere vita e nutrire speranza di salvezza, a chi mai ci affideremo se non a Colui che è

Signore unico?

VI È «UNA SOLA FEDE» CHE RENDE I CREDENTI «UNO» IN CRISTO GESÙ. La fiducia di fondo che

sostiene Gesù durante le tentazioni; la fiducia che gli consente di sfuggire alla folla adirata di

compaesani che lo vogliono precipitare dalla rupe di Nazaret; la confidenza solare che Egli mostra nel

Padre prima di chiamare Lazzaro fuori dalla tomba; la fede che Lo sorregge anche quando grida: «Dio

mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?»; l’affidamento con cui muore: «Padre, in te rimetto il mio

spirito»; questa fiducia il credente continua a ricercare, da questa fiducia è attirato come la limatura

di ferro è attirata dalla calamita. Il consiglio di Cristo non consente l’adagiarsi sugli allori di una fede

(oggetto) trovata, né l’atteggiamento egoistico e privatistico di chi ritiene d’aver salvato l’anima

propria. «Cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto», ma cessare la ricerca è illudersi d’aver trovato,

smettere di picchiare è assuefarsi al carcere.

Questa fede fiduciosa non può certo essere la fede che calunnia, maligna, invidia, odia, perseguita,

brucia, uccide in nome di Cristo; essa è piuttosto quella che sgorga – minuscola ma bastevole; delicata

ma fatta d’acciaio smaltato; umile ma consapevole – dalla Parola di Cristo:

Ora, come invocheranno colui nel quale non hanno creduto? E come crederanno in colui del quale non

hanno sentito parlare? E come potranno sentirne parlare, se non c’è chi lo annunzi? E come annunzieranno

se non sono mandati? Com’è scritto: «Quanto sono belli i piedi di quelli che annunziano buone notizie!»

Ma non tutti hanno ubbidito alla buona notizia; Isaia infatti dice: «Signore, chi ha creduto alla nostra

predicazione?» Così la fede viene da ciò che si ascolta, e ciò che si ascolta viene dalla Parola di Cristo.

(Romani 10,14 ss.)

Predicare, o scrivere, «con i piedi» è per noi espressione di biasimo. Soltanto un ebreo arguto poteva

lodare la bellezza dei «piedi» del messaggero di buone nuove!

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Una fede sola: quella che può essere provocata dalle notizie buone39

concernenti una salvezza senza

precedenti: salute unilateralmente concessa, sovrabbondantemente estesa a ogni singolo essere creato;

salvezza gratuita, come pioggia che scrosci sopra malvagi e buoni, come sole che scaldi gli uni e gli

altri. La notizia buona di una grazia mai prima donata: regalo libero, affettuoso, rischioso, come dono

d’Amore verace. Sì, rischioso, perché la risposta della persona a un tale regalo può essere la fiducia

più disarmata e disarmante, oppure, nella trincea opposta, la negazione più radicale.

Eppure le risposte peggiori giacciono nella terra di nessuno: la fede finta,40

la fede interessata,41

la

fede di una coscienza chiusa, la fede che ignora, la fede bigotta, la fede subdola, la fede che teme la

verifica seria, la fede ricevuta supinamente e non personalmente conquistata, la fede contenta di

religiose astrattezze, la fede che si compiace delle proprie opere, la fede che basta a se stessa e

dimentica che persino Satana crede e trema,42

la fede pigra, la fede presuntuosa che ignora il grado

della propria incredulità e non implora aiuto,43

la fede esteriore, la grande fede!,44

la fede priva di

carità, la fede impaziente, la fede malevola, la fede invidiosa, la fede vanitosa, la fede incapace di

soffrire, la fede sospettosa, la fede intollerante, la fede irrispettosa verso il prossimo, la fede che non

concede neppure per un attimo all’avversario la dignità del suo pensiero, la fede che impone la fede, la

fede che calcola e accampa meriti, la fede logorroica, la fede stolta della fedeltà piena di sé stessa, la

fede che necessita di nemici per esprimersi, la fede dei paladini-della-fede, la fede priva di discrezione,

la fede che sceglie sempre la strada più facile e larga per agire.

La notizia buona (evangelo) è sì madre della fiducia, ma per procreare necessita di «cuori»45

inclini

a farsi amare e a riamare, e di menti agguerrite per «discutere» con Dio, come predica Isaia:

Lavatevi, purificatevi,

togliete davanti ai miei occhi la malvagità delle vostre azioni;

smettete di fare il male;

imparate a fare il bene; cercate la giustizia,

rialzate l’oppresso,

fate giustizia all’orfano,

39

Romani 10,15: è noto che la perifrasi «annunciare buone notizie» rende il greco «euanghelìzo». 40

L’opposto della fede genuina di cui scrive l’apostolo al predicatore Timoteo: «Ricordo infatti la fede sincera che è in te, la

quale abitò prima in tua nonna Loide e in tua madre Eunice, e, sono convinto, abita pure in te» (2 Timoteo 1,5). 41

Una simile fede è tipica di chi circonda gli altri d’ammirazione per motivi interessati (Giuda v. 16). 42

Nel noto brano intorno alla perfetta simbiosi tra fede e opere, Giacomo, non senza un tocco ironico, scrive: «Tu credi che

c’è un solo Dio, e fai bene; anche i demòni lo credono e tremano»: ma non si ravvedono (Giacomo 2,19). 43

È il caso opposto a quello del padre che, rivolto a Gesù perché guarisca il figlio, esprime un dubbio molto umano e

compreso dal Signore: «(…) se puoi fare qualcosa, abbi pietà di noi e aiutaci». E Gesù: «Dici: “Se puoi!” Ogni cosa è

possibile per chi crede». Subito il padre del bambino esclamò: «Io credo; vieni in aiuto alla mia incredulità» (Marco 9,22

ss.). 44

Antitesi di quanto Gesù, fine psicologo, dice della fede umana: «Se avete fede quanto un granello di senape, potrete dire a

questo monte: “Passa da qui a là”, e passerà; e niente vi sarà impossibile» (Matteo 17,20). Il grano di senape è minuscolo. 45

Commentando una parabola, Gesù parla del cuore della persona come del terreno in cui cade la Parola, e prosegue:

«Udrete con i vostri orecchi e non comprenderete; / guarderete con i vostri occhi e non vedrete; / perché il cuore di questo

popolo si è fatto insensibile: / sono diventati duri d’orecchi e hanno chiuso gli occhi, / per non rischiare di vedere con gli

occhi e di udire con gli orecchi, / e di comprendere con il cuore / e di convertirsi, perché io li guarisca» (Matteo 13,14 s.;

cfr. Isaia 6,9 s.). Nella Bibbia «cuore» indica la mente della persona.

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19

difendete la causa della vedova!

«Poi venite e discutiamo», dice il Signore:

«Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto,

diventeranno bianchi come la neve;

anche se fossero rossi come porpora,

diventeranno come la lana. (Isaia 1,16 ss.)

Fede unica è pure quella di cui scrive Giuda, «servo di Gesù Cristo e fratello di Giacomo»:

Carissimi, avendo un gran desiderio di scrivervi della nostra comune salvezza, mi sono trovato costretto a

farlo per esortarvi a combattere strenuamente per la fede, che è stata trasmessa ai santi [i credenti] una

volta per sempre». (Giuda v. 3)

L’epistola di Giuda è in realtà un breve biglietto. Ci si imbatte qui, di nuovo, in un contesto che

descrive con preoccupazione gli infiltrati, gli sprezzanti, i superbi, i pessimi esempi, gli arroganti,

«quelli che provocano le divisioni». L’amore di verità, la fede unica, non se ne sta affatto impotente

verso tali provocazioni. I credenti rispondano a situazioni minacciose con la preghiera che sa lottare,46

edificando se stessi sulla «santissima fede», quella, appunto, che è stata «trasmessa una volta per

sempre»47

nel magistero degli scritti degli apostoli.

Divisioni e settarismi sono purtroppo fiori d’assenzio in campi che hanno veduto, troppo spesso,

battaglie tra ignoranti, guerre fratricide in cui il problema dottrinale profondo è, troppo spesso, la

spiccata presunzione degli antagonisti, tutti tesi, come scriveva George Eliot (1819-1880), al trionfo

del «partito nostro».48

Occorre, invece, lavoro umile e dedizione umile per eliminare la nostra

ignoranza, studiando, esaminando bene «quale sia» la volontà del Signore.49

Attraverso lo studio umile

della Parola vanno scrostate, gradualmente, inesorabilmente, l’ignoranza e l’incoerenza della mente

dell’uomo, come esorta Pietro:

Perciò, carissimi, aspettando queste cose, fate in modo di essere trovati da lui immacolati e irreprensibili

nella pace; e considerate che la pazienza del nostro Signore è per la vostra salvezza, come anche il nostro

caro fratello Paolo vi ha scritto, secondo la sapienza che gli è stata data; e questo egli fa in tutte le sue

lettere, in cui tratta questi argomenti. In esse ci sono alcune cose difficili a capirsi, che gli uomini ignoranti

e instabili traviano a loro perdizione, come anche le altre Scritture. (2 Pietro 3,14 ss.)

46

Un esempio d’amore per l’unità è quello di Epafra: «Egli lotta sempre per voi nelle sue preghiere perché stiate saldi,

come uomini compiuti, completamente disposti a fare la volontà di Dio. Infatti gli rendo testimonianza che si dà molta pena

per voi, per quelli di Laodicea e per quelli di Ierapoli» (Colossesi 4,12 s.). 47

Proprio questo è il deposito della vera «paràdosis» (= «tradizione») apostolica. La «Tradizione» è stata definita come «la

trasmissione dell’idea dell’essere nella sua perfezione massima. (…). Poiché il massimo di essere è l’unità, L’Imitazione di

Cristo (I, 3) dice: “Chi trova tutto nell’unità e vede tutto nell’unità, può avere il cuore stabile e dimorare in pace con Dio”.»

(ELÉMIRE ZOLLA, Che cos’è la tradizione, Milano, 1998 [I ed. 1971], pp. 134-135). Commentando il brano di Giuda v. 3,

GIOVANNI SALDARINI scrive: «Fede ha senso oggettivo: complesso di verità dogmatiche e morali; esse formano già una

tradizione che non cambia, un deposito che si deve conservare intatto» (in La Sacra Bibbia, Il Nuovo Testamento, cit., p.

742). Peccato che la successiva tradizione umana (non apostolica!) abbia invece contribuito a molti cambiamenti. Si è

determinata in campo cristiano una situazione analoga a quella che Gesù rimprovera agli Ebrei del suo tempo: «Voi con la

vostra tradizione [umana] annullate la parola di Dio» (Matteo 15,6). 48

GEORGE ELIOT, Evangelical Teaching: Dr Cumming, originariamente pubblicato sulla Westminster Review, ottobre 1855,

l’articolo si trova in Selected Essays, Poems and Other Writings, Harmondsworth, 1990, p. 60. 49

Scrive l’apostolo: «Perciò non agite con leggerezza, ma cercate di ben capire quale sia la volontà del Signore» (Efesini

5,17).

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Si inizia in genere col distorcere, anche senza volere, brani «difficili» delle Scritture, costruendo

sistemi, elaborando metodi che poi, per essere difesi, indurranno fatalmente a traviare anche le «altre

Scritture», cioè le più semplici, alla superficie delle quali sono le verità fondamentali del cristianesimo

genuino (Agostino). Ogni generazione di credenti dovrebbe invece riesaminare attentamente, per

proprio conto, le Scritture, riconsiderando i risultati raggiunti dalle generazioni precedenti, e studiando

di nuovo, con scrupolo, ogni cosa, per riscoprire e riproporre la bellezza della fede fiduciosa.

VI È «UN SOLO BATTESIMO». Si tratta per il credente di un’esperienza profonda, «memorabile»

come «non può fare nessuna esortazione che ricordi ad uno d’essere stato bagnato con acqua quand’era

bimbo».50

Il battesimo è lavacro di rigenerazione spirituale;51

è circoncisione spirituale; è preghiera

segreta che domanda a Dio nel segreto una coscienza buona; è morte dell’uomo vecchio –

affogamento dell’orgoglio – e rinascita di una persona diversa, desiderosa di vivere per gli altri,

guidata da Cristo e non più dalla propria mentalità egoistica. L’uomo vecchio muore. Il morto lo si

seppellisce in un sepolcro d’acqua – il battesimo, appunto – dal quale la persona esce per vivere una

vita ad imitazione del Signore: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me», dirà Paolo.52

Questa

non è pia illusione né retorica da pulpito. Di fatto la vita quotidiana può esser vissuta dal cristiano

facendo «ogni cosa nel nome del Signore», cioè in armonia con il suo Consiglio e ringraziando Dio per

mezzo di Cristo.53

Anni fa, a Roma, entrai in San Paolo fuori le Mura passando dall’ingresso posteriore, sulla via

Ostiense. Mi fermai ad ammirare un luogo che il turista distratto neglige,54

il battistero risalente alla

prima metà del quarto secolo: la pianta regolare, il biancore nudo delle colonne, i mosaici scarni del

pavimento, i gradini ben disegnati che consentivano al battezzando di entrare nell’acqua della vasca

ampia per esservi immerso; in alto, tutt’intorno, i caratteri cubitali latini del brano classico – ma

ignorato, purtroppo – di Paolo apostolo:

50

E. O. WHITE, The Biblical Doctrine of Initiation, London, 1960, pp. 310-311. Eccone alcune conclusioni: «Indubbiamente

il metodo della immersione totale è sgradito, e questo costituisce un reale ostacolo al progresso della discussione

battesimale. Tuttavia è assai superficiale abbandonare ogni altra considerazione con un facile: “Ciò che era naturale nel

mondo antico, è poi così naturale nel mondo moderno?” Probabilmente il cristianesimo richiede dai suoi devoti qualcosa di

più di ciò che è naturale e conveniente (…). Certamente il nostro studio ha mostrato che (…) l’immersione era l’unica

maniera di battezzare e che su di essa poggiava la più impressionante di tutte le esposizioni sul battesimo, quella di morire e

risorgere con Cristo. La prima esigenza di un simbolo è che esso simboleggi qualcosa. Nulla può simboleggiare meno del

tocco di un dito inumidito». Citato da FAUSTO SALVONI, Iniziazione Cristiana, Milano, 1965/1966, p. 204. 51

Per questa e le successive immagini del battesimo v. Tito 3,5; Giovanni 3,1 ss. Colossesi 2,9 ss.; 1 Pietro 3,20 s. Il

concetto espresso da Pietro (battesimo come preghiera) è qui da me associato alla preghiera intima, «segreta», consigliata al

fine di una reale comunione col Padre, e non certo per il plauso altrui (Matteo 6,5 s.). 52

Galati 2,20. 53

Colossesi 3,17. 54

Negligenza incoraggiata, purtroppo, dal fatto che quasi nessuna delle guide di Roma riporta notizie sul battistero

all’interno della basilica. La sola eccezione a me nota è quella di una breve menzione in ANTONINO LOPES, The 7 Basilicas

of Rome, Narni-Terni, 1998, p. 90. Oggi il battistero è chiuso da vetrate.

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Siamo dunque stati sepolti con lui mediante il battesimo nella sua morte, affinché, come Cristo è

risuscitato dai morti mediante la gloria del Padre, così anche noi camminassimo in novità di vita. Perché

se siamo stati totalmente uniti a lui in una morte simile alla sua, lo saremo anche in una risurrezione simile

alla sua.55

(Romani 6, 4 s.)

Il battesimo è segno intimo, unico: unico per il suo genere, unico per scopo, unico per significato,

unico per acqua e Spirito che in esso si coniugano. È il parto unico che mi fa rinascere a vita nuova in

Cristo. È la risposta unica all’invito di Dio. È l’ubbidienza a una Parola formulata con un Alfabeto

raro, compreso tra l’Alfa e l’Omega della Vita.

Peccato che proprio al centro dell’antico battistero della basilica sia stato eretto molto più tardi un

fonte battesimale in marmo bianco utilizzato oggi per l’infusione amministrata ad infanti: un corpo

estraneo che deturpa l’estetica dell’architettura cristiana, lineare e antica, non meno che la verità

originaria del battesimo. È malinconico notare come nel cuore di questa basilica sia conservato un

elemento di verità cristiana che, nel tempo, è stato purtroppo tralasciato, ma che per i primi credenti era

un cardine della loro unità.56

La mutazione – o mutilazione – appare significativa. Oggi l’ideale centro

architettonico della basilica è costituito dalla monumentale tomba di Paolo, in cui riposerebbero le sue

ossa. Per i primi cristiani era invece il battistero il centro vitale della comunità e della comunione

spirituale che li univa alla vita in Cristo! E così dovrebbe essere ancor oggi.

Nel battesimo, infatti, la persona consapevole dei propri errori e mancanze, sceglie di morire e vuole

farsi seppellire in un sepolcro d’acqua; chiede di morire con Cristo, per poi rinascere e vivere in Cristo.

Questo era, e tuttora è, per i credenti il battesimo che innesta alla Vita:

Poiché, come il corpo è uno e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, benché siano molte, formano

un solo corpo, così è anche di Cristo. Infatti noi tutti siamo stati battezzati in un unico Spirito per formare

un unico corpo, Giudei e Greci, schiavi e liberi; e tutti siamo stati abbeverati di un solo Spirito. (1 Corinzi

12, 12 s.)

Quale genere di persone, diciassette secoli or sono, viaggiava sulla via Ostiense fermandosi presso

quel battistero per fare il culto con altri credenti? Ogni sorta di uomini e donne: mercanti diretti a Roma

o all’ostium, cioè al porto, contadine delle zone limitrofe, liberi, schiavi, ebrei, pagani. Fra essi era

forse il proprietario dell’agenzia di trasporti marittimi la cui insegna in mosaico bianco e grigio si può

tuttora ammirare ad Ostia Antica; oppure lo schiavo che, dalla piccola finestra posta sopra l’ingresso

55

«Il rito battesimale rappresenta simbolicamente la morte, la sepoltura e la resurrezione di Cristo; il convertito scende nella

vasca battesimale, è coperto dalle sue acque, ed emerge ad una vita nuova. In quel gesto egli passa attraverso l’esperienza

del morire al peccato, essere sepolto e risorgere così come fece Cristo. Paolo usa uno dei suoi verbi composti preferiti,

syntháptein, un composto di syn-, «con» («con-sepolti»). Risultato di tutto ciò è che il cristiano vive in unione col Cristo

risorto, un’unione che raggiungerà il suo culmine quando il cristiano sarà un giorno «con Cristo» nella gloria (sýn Christò)»

(JOSEPH A. FITZMYER, La Lettera ai Romani, in Nuovo Grande Commentario Biblico, cit., p. 1209). 56

«Secondo il Nuovo Testamento, la penitenza non può essere ridotta all’esecuzione di determinati atti penitenziali.

Fondamentale è il battesimo, che in origine era impartito agli adulti. Esso viene amministrato «per la remissione dei

peccati» e deve rendere possibile un reale nuovo inizio. Ma con ciò è anche chiaro che l’atto battesimale non dona

magicamente l’innocenza. Restano la debolezza e la tentazione dell’uomo. Si deve continuare a chiedere con la preghiera la

liberazione dal male, si deve continuare a chiedere perdono» (HANS KÜNG, Credo, Milano, 1994, p. 145).

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del negozio, stava di vedetta contro il ladro. Persone così si abbeveravano dello Spirito di Gesù,

desiderosi di cibarsi della Parola che poteva guidarli attraverso la vita.

Più tardi, avendo trascurato di succhiare quella Parola, i credenti hanno spesso mutato il significato

e l’atto battesimale, alterando la semplicità del gesto umile e alto insieme. Eppure, quel battesimo

unico, attuato con coscienza, conserva integro il gusto di inizio alla vita nell’affetto del Signore della

vita. Battezzarsi oggi, morire oggi con Cristo, per vivere in Lui, per non morire mai più.57

VI È «UN SOLO DIO»: PADRE DI TUTTI, CHE È AL DI SOPRA DI TUTTI, FRA TUTTI E IN TUTTI. È

l’Iddio di Abrahamo e di Sara, l’Iddio di Isacco e di Rebecca, l’Iddio di Giacobbe e di Rachele, l’Iddio

di Boaz e di Ruth, l’Iddio di Mosè e di Sefora… È l’Iddio dei profeti, da Samuele a Elia, da Isaia a

Geremia, fino a Malachia. È l’Iddio di Giuseppe e di Maria. È l’Iddio del vecchio Simeone e della

ottuagenaria vedova Anna. È l’Iddio del giovane Giovanni Battista.

È l’Iddio che incontro in Gesù/Emmanuele, il quale è Dio-con-te e Dio-con-me, Dio-con-noi, se

sappiamo d’essere poveri, prigionieri, ciechi, oppressi. È l’Iddio nel quale «viviamo, ci muoviamo,

esistiamo».58

Eppure, paradossalmente, forse siamo così immersi in Lui da far fatica a vederLo; e

facilissimamente ignoriamo il Dio ignoto, Lo perdiamo di vista, guardiamo altrove: altrove invece che

a Cristo, altrove invece che alla Parola sua, altrove invece che al prossimo fatto a immagine sua,

altrove invece che allo Spirito suo, altrove invece che all’Affetto suo, altrove invece che alla Verità

che è in Lui, altrove invece che alla Vita che Lui solo può donare. Ci volgiamo ad altre divinità.

Divinizziamo creature e oggetti, facendone i nostri dèi noti – ma sordomuti – dimenticando la realtà

profonda dei fatti:

Poiché, sebbene vi siano dei cosiddetti dèi, sia in cielo sia in terra, come infatti ci sono molti dèi e molti

signori, tuttavia per noi c’è un solo Dio, il Padre, dal quale sono tutte le cose, e noi viviamo per lui, e un

solo Signore, Gesù Cristo, mediante il quale sono tutte le cose, e mediante il quale anche noi siamo. (1

Corinzi 8,5 s.)

Il credente che si affida al «Padre di tutti», fa propria la lode e l’espressione di gratitudine che

l’apostolo rivolge a Dio proprio al principio della lettera alla chiesa di Efeso:

Benedetto sia il Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo, che ci ha benedetti di ogni benedizione

spirituale nei luoghi celesti in Cristo. (...). In lui abbiamo la redenzione mediante il suo sangue, il perdono

dei peccati secondo le ricchezze della sua grazia, che egli ha riversata abbondantemente su di noi dandoci

ogni sorta di sapienza e d’intelligenza, facendoci conoscere il mistero della sua volontà, secondo il

disegno benevolo che aveva prestabilito dentro di sé, per realizzarlo quando i tempi fossero compiuti. Esso

consiste nel raccogliere sotto un solo capo, in Cristo, tutte le cose: tanto quelle che sono nel cielo, quanto

quelle che sono sulla terra. (Efesini 1,3 ss.)

57

«In verità in verità vi dico che se uno osserva la mia parola, non vedrà mai la morte. I Giudei gli dissero: Ora sappiamo

che tu hai un demonio. Abramo e i profeti sono morti, e tu dici: ‘Se uno osserva la mia parola, non gusterà mai la morte’»

(Giovanni 8,51 s.). Cristo non è mosso da demoniaca follia, bensì dalla persuasione del Figlio che ben conosce la potenza

della parola del Padre. 58

Così dichiara Paolo apostolo in un lucido ma poco fruttuoso discorso tenuto dinanzi agli incuriositi filosofi nell’areopago

di Atene (Atti 17,28).

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«Ma il vostro parlare sia: “Sì, sì”; “no, no”;

poiché il di più viene dal maligno» (Matteo 5,37)

L’unità in Cristo dei credenti – nella comunità locale, tra le chiese locali – è attuabile a patto di

riscavarne, con fatica umile, la motivazione profondissima e altissima:

Ora fratelli, vi esorto, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo, ad avere tutti un medesimo parlare e a non

avere divisioni tra di voi, ma a stare perfettamente uniti nel medesimo modo di pensare e di sentire. Infatti,

fratelli miei, mi è stato riferito da quelli di casa Cloe che tra di voi ci sono contese. Voglio dire che

ciascuno di voi dichiara: «Io sono di Paolo»; «io d’Apollo»; «Io di Cefa»; «io di Cristo». Cristo è forse

diviso? Paolo è stato forse crocifisso per voi? O siete voi stati battezzati nel nome di Paolo? (1 Corinzi 1,

10 ss.)

A fronte di tanta limpidezza apostolica, risulta incomprensibile – o meglio, assurdo – che i credenti

si siano adoperati nel corso dei secoli per stabilire talune forme di unione attorno a nomi e personaggi.

Si parla anche oggi di cristiani uniti intorno a Pietro. E poi, purtroppo, di nomi infinitamente inferiori a

quello di Pietro, se ne sono trovati davvero tanti, per costruirvi attorno magari un partitino. E che dire

della domanda sul primato: non è forse tuttora un’esigenza per molti, invece d’essere superata nel

«servizio»59

e nella «fatica» per l’opera del Signore?

Alla incalzante retorica di Paolo si può ancora rispondere con la fermezza umile della fiducia, antica

eppur nuova, che conosce il Sì alla Speranza, il Sì al Signore, il Sì al Padre, il Sì allo Spirito di Vita.

Ma anche il No alla inumana vivisezione del corpo.

No, Cristo non è diviso: anche quando noi cristiani impazziamo provocando settarismi e divisioni

per amore di supponenza, presunzione, tradizione.

No, Paolo non è stato crocifisso per noi: né lo sono stati coloro che si sono preposti o sono stati

preposti quali sublimi esempi, celesti immagini, proclamatori eccelsi. Uno è il Santo di Dio.

No, noi non siamo stati battezzati nel nome di Pietro: altro è il battesimo e altro il Nome che

impreziosisce la conversione biblica:

[Gesù Cristo] è “la pietra che è stata da voi costruttori rifiutata, / ed è divenuta la pietra angolare”. In

nessun altro è la salvezza; perché non vi è sotto il cielo nessun altro nome che sia stato dato agli uomini,

per mezzo del quale noi dobbiamo essere salvati. (Pietro in Atti 4,11 s.)

59

Cfr. 1 Corinzi 16,15 s. Occorre recuperare la semplicità in Cristo, evitare perciò i problemi causati dall’impropria

ridefinizione terminologica che, ad esempio, etichetta come servizio (ministerium) l’attività di controllo derivante da un

presunto potere giuridico sulle chiese esercitata da organi – antichi, ma non di origine apostolica – sulle chiese locali.

Questa inveterata tendenza al potere e al controllo la si riscontra purtroppo, sia pure in misura diversa, in tutte le chiese. Per

una concezione meno gerarchizzata della chiesa e più vicina al paradigma del Nuovo Testamento v. BERNARD HÄRING,

Perché non fare diversamente? – Perorazione per una nuova forma di rapporti nella Chiesa, Brescia, 1993; HANS KÜNG,

Conservare la speranza, Milano, 1990; FAUSTO SALVONI, Dal cristianesimo al cattolicesimo (I - La chiesa e le sue strutture

fondamentali nella Bibbia), Genova, 1974; ID., Dal cristianesimo al cattolicesimo (II - Sacerdozio e ministeri), Genova,

1977.

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24

Il «No» del principio biblico di esclusione non è meno serio della patologia, ma può rivelarsi l’unica

terapia cauterizzante che restituisca salute al corpo. L’unità dei credenti per la quale pregò Gesù non è

né petrina né paolina, essendo Pietro e Paolo servi60

di una causa ben più alta di se stessi.

Oltre a lavorare per l’unità, si può aggiungere una nostra preghiera flebile alla intercessione potente

di Gesù: le pretese che provocano divisione e settarismo non sussistano; i nomi altisonanti decadano; i

primati considerino che essi saranno resi ultimi; l’unità in Cristo, umile e alta, si sviluppi tra i credenti,

per non mancare nell’amore per il servizio reso al prossimo nel testimoniare il Vangelo con semplicità,

senza orpelli né altri mezzi attrattivi al di fuori della Parola potente del Cristo (Romani 1,16). Unità

santa nella verità (Giovanni 17,17). È, questa, una proposta modesta affinché si torni alla semplicità di

Cristo Gesù nel Vangelo. Ne abbiamo bisogno tutti: chi ha abbandonato il corpo di Cristo per seguire le

vie contorte dell’immaginazione umana; chi ha gettato via la grazia di Dio disertando «il radunarci

assieme di noi stessi»61

; chi ha dimenticato la riconciliazione in Cristo per riconciliarsi col mondo; chi

si fa condurre da uno spirito «diverso» e segue un vangelo «diverso» da quello proposto dallo Spirito

del Signore che dimora nella chiesa del Signore (Galati 1,6 ss.; Efesini 2,22).

L’aritmetica del Vangelo deve suonare ben strana alla nostra povera mentalità telematica; per Cristo,

uno più uno fa uno, e mille più mille fa ancora uno. L’unità è il totale finale. Anche se,

«amaramente»,62

occorre confessare con umiltà che per ora essa appare soltanto come risultato

sperabile, esito al limite.

Il cammino verso l’unità, più che essere lastricato di religiose formule diplomatiche, dovrebbe forse

essere meglio indicato dalle pietre miliari delle virtù pratiche di persone realmente trasformate

interiormente in Dio, convertite a Dio. «Conservare l’unità dello Spirito con il vincolo della pace» non

è affatto una condizione naturale, bensì un «diligente sforzo»63

di ciascuno dei credenti. Occorre

esprimere atteggiamenti che mostrino adesione piena alla dignità donata dalla preghiera di Cristo e

dalla chiamata del Vangelo, il cui magistero tuttora ricorda:

Voi, per questa stessa ragione, mettendoci da parte vostra ogni impegno, aggiungete alla vostra fede la

virtù; alla virtù la conoscenza; alla conoscenza l’autocontrollo; all’autocontrollo la pazienza; alla pazienza

la pietà; alla pietà l’affetto fraterno, e all’affetto fraterno l’amore. Perché se queste cose si trovano e

abbondano in voi, non vi renderanno né pigri, né sterili nella conoscenza del nostro Signore Gesù Cristo.

(2 Pietro 1, 5 ss.)

© Riproduzione riservata

60

Scrive Paolo: «Che cos’è dunque Apollo? E che cos’è Paolo? Sono servitori, per mezzo dei quali voi avete creduto, e lo

sono nel modo che il Signore ha dato a ciascuno di loro. Io ho piantato, Apollo ha annaffiato, ma Dio ha fatto crescere;

quindi colui che pianta e colui che annaffia non sono nulla: Dio fa crescere! (…) Nessuno dunque si vanti degli uomini,

perché tutto vi appartiene. Paolo, Apollo, Cefa, il mondo, la vita, la morte, le cose presenti, le cose future, tutto è vostro! E

voi siete di Cristo; e Cristo è di Dio» (1 Corinzi 3,5-8. 21-23). Pietro riconosce se stesso come «servo e apostolo di Gesù

Cristo» (2 Pietro 1,1). 61

È la traduzione letterale di «tèn episunagoghèn eautōn», la nostra comune adunanza (Ebrei 10,25). 62

Questo avverbio (gr. «pikròs») dice tutto del pianto di Pietro dopo il triplice rinnegamento (Luca 22,62), ma trova in

genere i credenti poco inclini alla identificazione emotiva, necessaria al ravvedimento. 63

Efesini 4,3: «spoudàzo» significa fare del proprio meglio, non risparmiare sforzi, lavorare duramente.