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ITALIANO: Luigi Pirandello STORIA: Emigrazione tra ‘800 ‘900 “Il fu Mattia Pascal” flussi migratori italiani DIRITTO: La costituzione e la cittadinanza INGLESE: The Multiethnic metropolis ECONOMIA: Gettito fiscale prestazioni e tutele per i lavoratori domestici LO STRANIERO E L’INTEGRAZIONE

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ITALIANO: Luigi Pirandello STORIA: Emigrazione tra ‘800 ‘900“Il fu Mattia Pascal” flussi migratori italiani

DIRITTO: La costituzione e la

cittadinanza

INGLESE: The Multiethnic metropolis ECONOMIA: Gettito fiscale prestazioni e tutele per i lavoratori domestici

PREMESSA

LO STRANIERO E L’INTEGRAZIONE

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Lo straniero, il diverso, è solitamente visto con una paura ingiustificata che porta all’annullamento delle interazioni sociali: gli sguardi potrebbero portare lontane tragedie che è meglio evitare; le differenti culture sembrano non poter far altro che confermare ciò che i media mostrano. Quando ci si trova soli con un romeno, un marocchino, un coreano o chi altro, nell’ inconscio si accende una lampadina che ci obbliga a stare in ansia, nell’ancora ingiustificato terrore che essi possano costituire un imminente pericolo, più di quanto lo sarebbe un cittadino italiano. Ma è davvero così?Ciò che manca è la capacità di vedere l’ immigrato, il forestiero, tanto uomo quanto quello che si vede guardando diritto nello specchio, vederlo come un’ altra creatura dotata delle stesse qualità e degli stessi difetti dei nostri concittadini. E’ fondamentale per la crescita dell’uomo, e lo sarà sempre di più con il passare dei decenni, riuscire a comprendere come una sinergia tra tutti gli esseri umani crea un benessere diffuso per tutta la società; ciò promuove lo sviluppo economico, ma permette anche l’arricchimento della dimensione culturale universale.Nella tesina ho voluto analizzare la condizione di straniero sotto l’aspetto giuridico, economico e sociale, collegandone l’analisi e l’approfondimento ad alcune discipline studiate nel mio corso di studio; perciò credo che sia un aspetto ancora presente nella nostra società che, in passato ha assistito direttamente a diversi fenomeni di immigrazione.

LUIGI PIRANDELLO

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Con il termine “straniero” non si vuole indicare solo colui che emigra da un luogo all’altro: può essere straniero anche quell’individuo che si sente estraneo alla vita o meglio che non si sente se stesso nella società e quindi è costretto ad indossare una maschera recitando una parte che gli viene attribuita dalla società in cui vive.

Vissuto nel periodo a cavallo tra ’800 e ‘900, fra il naturalismo e l’inizio del decadentismo (periodo delle insicurezze decadentiste, dei “sensi” di Baudelaire, della solitudine di Pascoli,) Pirandello, come Svevo, è definito uno scrittore isolato, difficile da inquadrare in un movimento letterario ben definito. Nelle sue opere sono rappresentate le riflessioni sull’esistenza, sul male di vivere e sul ruolo dell’uomo nella società; vi si afferma, infatti, l’impossibilità al conseguimento d’alcuna soluzione positiva alla crisi che coinvolge e sconvolge i singoli individui.

La vita

Luigi Pirandello, nato ad Agrigento nel 1867, compì i suoi studi a Palermo, Roma e si laureò in lettere presso l’università di Bonn (in Germania) nel 1891. Tornato in Italia nel 1892, prese residenza a Roma, dove trascorse poi gran parte della sua vita, collaborando a vari giornali e riviste, e insegnando per oltre vent’anni letteratura italiana presso l’Istituto Superiore di Magistero Femminile. Nel 1903 l’allagamento della miniera del padre causa una grave crisi finanziaria familiare, che costrinse Pirandello a dover lavorare. Nel 1919 sua moglie venne mandata in un manicomio perché diventata pazza e per le sue continue accuse di tradimento verso il marito.Negli anni del dopoguerra, Pirandello, si dedicò sempre più decisamente all’attività teatrale e fu così che nel 1925 fondò a Roma il Teatro d’arte, dando vita, per alcuni anni, ad una propria compagnia

drammatica. In politica, aderì al partito fascista, ma non si espresse mai apertamente su questo tema. Nel 1934, mentre si faceva sempre più largo e profondo l’interesse suscitato in tutto il mondo dalla sua opera teatrale, gli fu conferito Premio Nobel per la letteratura. Morì a Roma, in seguito ad un attacco di polmonite, nel 1936.

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Prima della sua morte egli scrisse alcune volontà chiare sulla propria morte: espresse la volontà di non essere sepolto, ma cremato dopo una breve e semplice cerimonia funebre.

Le opereIn seguito a tutte le sue disavventure, Pirandello scrive “Il fu Mattia Pascal che viene pubblicato a puntate su un giornale chiamato “Nuova antologia”. Pubblica poi molte novelle, raccolte successivamente in “Novelle per un anno”. Fra i suoi romanzi principali ricordiamo: “Suo marito”, “Si gira”, “I vecchi e i giovani” ed “Enrico IV”. Nel 1893 scrive “L’Esclusa”. Da questo romanzo emerge il suo principio di catalogazione sociale: ognuno riceve dalla società un’etichetta che non le si addice. Una raccolta importante è “Maschere nude”. Nel 1927 pubblica “Uno, nessuno, centomila”.

IL FU MATTIA PASCAL

L’intera vicenda ruota attorno al personaggio di Mattia Pascal, protagonista e narratore della storia.

Mattia Pascal, vive nell’immaginario paese ligure di Miragno, insieme alla madre e al fratello. Il padre ha lasciato a loro in eredità una discreta fortuna consistente in case, terreni e vigneti.La giovane vedova, del tutto incapace di amministrare, affida però l’intero patrimonio a Batta Malagna, che avendo ricevuto in passato dal marito diversi favori ed essendo ricompensato lautamente per i suoi attuali servigi, avrebbe dovuto, secondo lei, amministrare onestamente.

Batta Malagna invece, con il trascorrere degli anni, si impossessa di tutti i loro averi e costituisce la causa principale del declino della famiglia Pascal.I due fratelli Mattia e Roberto vivono allegri e liberi da ogni pensiero morale, religioso o scolastico e, una volta cresciuti, non si curano dei beni della famiglia.

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Costretto a sposare Romilda, da cui aspetta un bambino, Mattia si trova a convivere anche con la suocera vedova che lo disprezza e lo considera un inetto, un fannullone, un buono a nulla ricco soltanto di debiti. Da questo momento la vita di Mattia diventa un inferno. Ormai senza ricchezze, si trasferisce in una casa umile; la moglie perde la sua originaria bellezza e sembra non amarlo più; le due figlie muoiono una dopo l’altra a causa della loro gracilità. Muore anche l’adorata madre dopo aver sopportato le prepotenze della suocera la quale continua per il carattere di Mattia, ma soprattutto per la povertà di Mattia a odiare il genero e a rovinare la già precaria tranquillità della casa. Per la prima volta in vita sua il protagonista si ritrova a cercare lavoro, e grazie all’amico Pomino, ne trova uno come bibliotecario. Ma un giorno Mattia, angosciato dai contrasti coniugali e dai debiti, esasperato dalla noia e dalla inutilità del suo lavoro, decide di fuggire. Arriva a Montecarlo e grazie ad una serie di vincite fortunate si ritrova in tasca la somma di 82.000 lire. E’ quasi ricco. Decide di ritornare a casa per riscattare le sue proprietà e per godere di una rivincita sulla suocera; sogna finalmente una vita serena, un avvenire tranquillo al riparo della miseria. Ma proprio mentre questi pensieri occupano la sua mente, in treno durante il viaggio di ritorno a casa, legge su un giornale che a Miragno, nella roggia di un mulino, è stato ritrovato il cadavere di Mattia Pascal. Dapprima sconvolto, comprende presto che può crearsi una nuova vita, una vita libera da ogni legame con il passato, senza problemi e senza responsabilità, proprio come quando era giovane. E’ ricco e non essendo più Mattia Pascal non ha più alcun creditore. Così con il nome di Adriano Meis comincia a viaggiare prima in Italia e poi all’estero, fino a che decide di stabilirsi a Roma, in un camera ammobiliata sul Tevere. Si innamora, ricambiato, di Adriana, dolce figlia del padrone di casa Anselmo Paleari. Mattia vorrebbe sposarla e ricominciare tutto da capo. Ma Adriano Meis non esiste, non ha una realtà sociale, non ha nessuno dei diritti che hanno i cittadini iscritti all’anagrafe. Non può acquistare nulla, non può denunciare un furto se derubato e tanto meno può contrarre matrimonio. Non può fare nessuna di quelle cose della vita quotidiana che necessitano di una identità. Capisce l’impossibilità di vivere fuori dalle leggi e dalle convenzioni che gli uomini si sono dati. La sua libertà è solo un’illusione. Scopre che fare il morto non è una bella professione. A Mattia non resta che farla finita anche con la nuova identità simulando il suicidio di Adriano Meis nelle acque del Tevere. Erano passati soltanto due anni dalla sua prima supposta morte. Eppure tante cose erano cambiate. La moglie Romilda era rimasta vedova ben poco. Si era infatti risposata proprio con il suo amico Pomino ed aveva avuto una bambina.

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Gli altri erano andati avanti anche senza di lui. A Miragno, avevano stentato a riconoscerlo e il suo ritorno non aveva, per lo meno inizialmente, causato lo scompiglio che si era immaginato. Mattia, ritornato con propositi di vendetta, ben presto li abbandona e lascia che la moglie e l’amico continuino a vivere il loro menage coniugale. A Mattia non resta che ritornare a fare il bibliotecario nell’umida chiesa sconsacrata e adibita a biblioteca comunale in un paese in cui nessuno legge e di andare di tanto in tanto a far visita alla propria tomba.

Mattia Pascal è il testimone esemplare dell’assurda condizione di uomo prigioniero delle “maschere sociali” di marito, di padre, di figlio, di fratello etc. che coprono la nostra vera identità. Esprime la sofferenza di quest’uomo, angosciato dall’impossibilità di sfuggire alle convenzioni e ai vincoli della società che sono una catena, e che forse sono l’unico modo d’esistere. Pirandello in questo romanzo rappresenta tutta la crisi esistenziale e storica dell’uomo moderno. E questa rappresentazione, impregnata del contrasto tra realtà e illusione, consapevole dell’incapacità di essere totalmente creatori del proprio destino e del sopravvento del caso è rappresentata con straordinaria semplicità in un misto di gioia e di sofferenza, di umorismo e amarezza, di comico e di tragico.

CommentoL'autore con questo romanzo vuole dimostrare che non si può vivere senza "Stato Civile" perché noi siamo non come vorremmo ma come le regole della società ci impongono di essere; infatti Mattia Pascal, uomo dalla doppia personalità, si accorge che le due persone che vivono in lui sono in contrasto tra loro. Mattia Pascal, cercando di liberarsi dalle regole imposte dalla società, capisce che vivere fuori da essa equivale a non vivere, inseguendo un sogno di libertà che lo renderà schiavo e gli impedirà di vivere normalmente.

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L’EMIGRAZIONE

TRA FINE ‘800 E INIZI ‘900

“Succedeva sempre che a un certo punto uno alzava la testa…e la vedeva. E’ una cosa difficile da capire.Voglio dire…Ci stavamo in più di mille, in quella nave, tra ricconi in viaggio, e emigranti, e gente strana, e noi…Eppure c’era sempre uno, uno solo, uno che per primo…la vedeva. Magari era lì che stava mangiando o passeggiando, semplicemente sul ponte… magari era lì che si stava aggiustando i pantaloni… alzava la testa un attimo, buttava un occhio verso il mare… e la vedeva. Allora si inchiodava, lì dov’era, gli partiva il cuore a mille, e, sempre, tutte le maledette volte, giuro, sempre, si girava verso di noi, verso la nave, verso tutti, e gridava : L’America. Poi rimaneva lì, immobile come se avesse dovuto entrare in una fotografia, con la faccia di uno che l’aveva fatta lui , l’America…(...)Quello che per primo vede l’America. Su ogni nave ce ne è uno. E non bisogna pensare che siano cose che succedono per caso, no…e nemmeno per una questione di diottrie, è il destino, quello. Quella è gente che da sempre c’ha quel momento stampato nelle vita. E quando erano bambini, tu potevi guardarli negli occhi, e se guardavi bene, già la vedevi, l’America, già lì pronta a scattare, a scivolare giù per nervi e sangue e che ne so io, fino al cervello e da lì alla lingua, fin dentro quel grido, AMERICA, c’era già, in quegli occhi di bambino tutta l’America.” 1

Introduzione

L’aspirazione a migliorare le condizioni di vita per sé e per la propria famiglia, la determinazione a sfuggire alla povertà, alla disoccupazione, ai disastri delle guerre, alle persecuzioni delle dittature sono state in passato e continuano ad essere ai giorni nostri cause delle emigrazioni di milioni e milioni.

1 Baricco A., “Novecento”, Feltrinelli, Milano, 1994 pp.11-12

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Anche l’Europa, nei secoli passati, ha vissuto questo fenomeno.

Gli USA, dove era in atto un accelerato sviluppo industriale e dove esistevano ancora vasti territori da coltivare, diventarono soprattutto le mete favorite d’inglesi, tedeschi e irlandesi.

Gli emigranti che invece abbandonarono l’Europa Orientale e Mediterranea tra fine Ottocento e inizio Novecento sbarcarono anch’essi nel Nord America (USA e Canada), ma in numero ancora maggiore furono attratti dagli spazi sconfinati dell’America Meridionale. Spagnoli, portoghesi e italiani, invece, affluirono in Brasile, Argentina e Venezuela. Emigrati tedeschi si stabilirono, oltre che nei paesi già citati, anche in Cile e in Bolivia. Fra il 1880 e il 1914 la popolazione statunitense conobbe un incremento oltre l’80% della popolazione autoctona, con un impulso decisivo fornito dall’arrivo continuo d’immigrati. All’inizio del Novecento un americano su sette risultava nato all’estero e nel primo decennio dei secolo gli arrivi superarono gli otto milioni. Gli ultimi ad arrivare erano soprattutto polacchi, russi, italiani ed ebrei dell’Europa centro- orientale.

Gli arrivi d’immigrati negli USA raggiunsero la punta nel 1914, per poi diminuire considerevolmente in coincidenza del primo conflitto mondiale, mentre nel dopoguerra la ripresa dei flussi migratori coincise con un periodo di grande tensione sociale; le forti proteste operaie, l’entusiasmo per la rivoluzione russa, alimentarono sentimenti d’inquietudini e paura che si tradussero in aperte ostilità xenofobe nei confronti degli ultimi arrivati, soprattutto ebrei e latini, accusati di introdurre idee sovversive contrarie allo spirito degli americani. Il disagio politico, economico, sociale e storico provocò tra la fine dell’800 e l’inizio del novecento una forte ondata di emigrazione, che si verificò soprattutto nelle regioni ancora fondate su una società e una economia di tipo agricolo, come ad esempio era la Liguria.

I FLUSSI MIGRATORI IN ITALIA

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Come già detto per l’Europa in genere, anche l’Italia visse il fenomeno dell’immigrazione, che ha accompagnato tutta la sua storia con momenti di particolare intensità.

Si calcola, infatti, che i discendenti degli emigrati, nel mondo, superino oggi il numero degli abitanti della nostra penisola.

L’emigrazione di massa, iniziò in Italia alla fine del secolo scorso, interrompendosi fra le due guerre, ma riprendendo poi con vigore nel secondo dopoguerra seguendo antiche e nuove strade.

Diverse furono le cause che determinarono il fenomeno: la popolazione italiana crebbe notevolmente di nuovo grazie alle migliori condizioni di vita e alla lotta alle malattie più gravi; la politica dello stato italiano, il protezionismo, che favoriva lo sviluppo delle industrie, l’aumento delle difficoltà nell’agricoltura.

L’emigrazione non riguardò solo il mezzogiorno; numerosi furono coloro che lasciarono le zone povere dell’Italia Centro Settentrionale, in particolare quella dei Veneto e dei Friuli.

I primi grandi flussi migratori, infatti, tra il 1876 e il 1900, furono quelli in partenza dal Veneto, dal Friuli Venezia Giulia e dal Piemonte.

Solo nel quindicennio successivo il primato passò ad alcune regioni meridionali, come la Sicilia, seguita poi dalla Campania, senza che per questo si attenuasse il flusso in uscita, sempre molto abbondante, dalle regioni settentrionali.

La maggior parte degli emigranti italiani, come già detto per gli altri paesi europei, fu attratta dalla forte richiesta di manodopera degli USA (privilegiati dal Mezzogiorno) ma anche da alcune zone sconfinate dell’America Meridionale, come Brasile (veneti), Argentina (piemontesi), Venezuela. Bisogna dire che anche a favore del vecchio continente si

contarono oltre un milione d’espatri; altre significative mete d’emigrazione furono l’Australia e l’Africa Australe.

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Rispetto ai paesi di destinazione, oltre alla vicinanza geografica o alla facilità dei trasporti, agirono da fattore d’attrazione le catene migratorie: ci si recava là dove si trovavano altri conoscenti, già stabilitivisi da tempo.

A partire erano soprattutto maschi in età lavorativa, in gran parte agricoltori e braccianti, ma anche edili, operai e artigiani, che nonostante svolgessero il loro duro lavoro non riuscivano a sostenere e quindi mantenere tutta la famiglia. Solitamente partiva solo un membro della famiglia, i maschi, ma furono numerose anche le famiglie che varcarono le Alpi e che si imbarcarono per le Americhe.

Un terzo dell’emigrazione di quel periodo divenne emigrazione permanente, cioè molte di queste persone non sono mai tornate al loro paese, poiché stabilitesi definitivamente nei nuovi paesi o perché morte lontano da casa. L’emigrazione italiana fu determinata nel tempo da varie cause tra cui soprattutto l’alto tasso di disoccupazione, causato anche dal mancato adattamento all’avanzare della rivoluzione industriale e dal progredire di nuove tecniche di produzione a cui l’Italia faceva fatica ad abituarsi.

Altre cause della forte ondata di migrazione furono la speranza e il desiderio di migliorare la propria condizione economica e di vita, per poi, quindi, offrire anche un futuro migliore ai propri figli. I paesi che venivano scelti come luoghi di emigrazione erano l’America settentrionale e meridionale (che per i liguri erano le “Meriche”) l’Australia e in percentuale minore gli altri stati europei.

La decisione di lasciare il proprio paese era una scelta straziante e spesso la figura dell’emigrante, in questi anni era vista come colui che coraggiosamente abbandonava ciò che gli era più noto e caro per tentare la fortuna in paesi lontani, di cui il più delle volte non sapeva nulla; per questo era considerato da chi rimaneva, come un eroe e una figura piena di fascino. Pochi ammettevano anche con loro stessi che la permanenza all’estero sarebbe stata definitiva, infatti i più speravano che la lontananza dall’Italia sarebbe stata transitoria, ma poi in effetti spesso non era così; il

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tempo di permanenza all’estero arrivava a superare anche periodi molto lunghi in cui chi era partito continuava a pensare a quando sarebbe rientrato al suo paese più ricco e con maggiori possibilità.

Infatti il sogno di diventare ricchi e importanti, per poi tornare al paese nativo e riscattarsi di anni di privazioni e umiliazioni, era inseguito dalla maggior parte di coloro che migravano.

Tra le due guerre

All’indomani della II Guerra Mondiale l’Italia sembrava avviata a riprendere con la stessa intensità l’esodo prebellico; varie nazioni però, a cominciare dagli USA, adottarono politiche di chiusura del mercato internazionale del lavoro e non permisero quella libertà di movimento che aveva caratterizzato l’epoca precedente.

Il governo fascista cercò di stipulare trattati con i paesi disposti ad accogliere la manodopera degli italiani, ma senza alcun successo.

Dopo la fine della guerra, l’emigrazione riprese con vigore con valori medi annui intorno alle 300.000 unità, confermandosi quasi come una caratteristica del sistema economico italiano.

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I governatori del tempo incoraggiavano questa nuova esportazione di lavoro che consentiva, almeno in parte, di allentare le tensioni sociali dovute all’alto numero di disoccupati in un paese ancora prevalentemente agricolo.

Le vecchie catene migratorie, interrottesi durante il periodo fascista e la guerra, furono presto riattivate.

Infatti la presenza di parenti e compaesani, insieme alle politiche d’esplicito invito d’alcuni paesi, attirò i primi flussi migratori soprattutto verso le mete transoceaniche: Argentina, Canada, USA, Venezuela, Australia.

Dopo il 1955 e fino al 1973 fu preponderante la corrente intra-europea, cioè diretta verso i paesi dell’Europa in più rapido sviluppo industriale.

Gli italiani, prevalentemente d’origine meridionale, andarono a lavorare nell’industria, nelle miniere e nel settore dell’edilizia in Belgio, Svizzera, Germania.

Fu un’emigrazione prevalentemente maschile, anche se in alcuni casi le donne e le famiglie raggiunsero i nuovi paesi decidendo di trasformare l’emigrazione temporanea in emigrazione permanente.

THE MULTIETHNIC METROPOLIS

In more recent times the population has been changed by immigration. Britain has become a multi-ethnic society.London, a cosmopolitan city, has grown steadily more polyglot and multicultural. The Commonwealth connection accounted for only part of the transformation. Despite restrictive immigration laws, the flux of refugees and asylum-seekers from many countries has continued, and new communities of Vietnamese, Kurds, Somalis, Eritreans, Iraqis, Iranians, Brazilians, and Colombians

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have sprung into being. Many of the foreigners settled into housing estates in the poorer parts of Inner London, particularly the crescent of inner boroughs to the east of the City. At the other end of the economic spectrum, London’s position at the crossroads of the global has economy brought transient populations of the international business world as well as schools, shops, and renting agencies and services to support them. Their social geography was entirely different, spreading in an arc through the northwest and southwest suburbs. London has also attracted wealthy foreigners to become property owners and seasonal residents. Thus, people from the Middle East, East Asia, and Latin America purchased real estate and internationalized neighbourhoods such as Mayfair, Park Lane, and Belgravia. Shopping streets that lead north from Hyde Park, such as Queensway and the southern end of Edgware Road, were almost entirely taken over by Arabs.Though it is not easy to establish reliable figures on London’s ethnic composition, the columns of names in the telephone books and school registers are testimony to the transformation of a population that in the middle years of the 20th century was still chiefly British-born and Anglophone. Nearly one-third of the resident population of 21st-century London comes from overseas.

The western boroughs best reflect the multiethnic quality of the city (partly because of their proximity to Heathrow), while the boroughs of Havering, Barking and Dagenham, Bexley, and Bromley form an arc of almost entirely British-born white populations on the far eastern edge of London. Those are also the areas least touched by the cosmopolitan restaurants, clubs, and shops that have banished old, insular dining habits elsewhere in the metropolis.

IL GETTITO FISCALE

Troppo spesso, in Italia, il dibattito su un tema delicato come l’immigrazione assume connotati ideologici e preconcetti, mentre la percezione del fenomeno tende a sottovalutare gli aspetti di carattere economico-finanziario.

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L’Inps ha reso noto i redditi da lavoro 2006 dei lavoratori stranieri, qui adeguati al tasso di inflazione 2007: risultano in media di 11.922 euro pro-capite, inferiori di circa il 40 per cento al reddito medio dei lavoratori italiani, soprattutto a causa dell'alto numero dei contratti temporanei e a tempo parziale in settori come quello agricolo e del lavoro di cura.

Il gettito Irpef dei lavoratori stranieri ammonta a oltre 1 miliardo e 336 milioni di euro, cui vanno sommati circa 209 milioni di addizionali regionali e circa 60 milioni di addizionali comunali, applicando un’aliquota media del 6,9 per cento, che comprende le detrazioni da lavoro dipendente, per il livello di reddito indicato e tenendo conto che il 42,4 per cento dei lavoratori stranieri risulta privo di carichi familiari.

Per quanto riguarda il lavoro autonomo, si fa riferimento alla normativa che prevede l’applicazione del “regime sostitutivo per nuove iniziative”, con una tassazione dei redditi prodotti nella misura del 10 per cento a titolo di imposta sostitutiva, opzionabile per i primi tre anni di attività. Ipotizzando un reddito medio annuo di 15mila euro, il gettito a tale titolo somma a circa 204 milioni di euro.

Partendo dai dati relativi alle unità immobiliari acquistate dagli immigrati nel 2007 è possibile stimare i valori relativi a imposte ipotecarie, catastali e di registro per un valore totale di oltre 211 milioni di euro.

Emerge in conclusione un gettito fiscale di oltre 3 miliardi e 106 milioni di euro. È un risultato tuttavia parziale perché non tiene conto di altre imposte come Ires, Irap, per le quali il gettito riconducibile agli immigrati è si più ridotto, secondo le stime, ma non inesistente.

LAVORATORI DOMESTICI

I DIRITTI DEL LAVORATORE DOMESTICO IN REGOLA

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L’apporto lavorativo degli immigrati stranieri in Italia nell’anno 2006 è stato di oltre 122 miliardi di euro, pari al 9,2 per cento del Pil nazionale.

Un contributo di rilievo, quindi, concentrato prevalentemente nei servizi alla persona e nell’industria, in particolare nel settore delle costruzioni.

Notevole anche la presenza nel settore agricolo.

I versamenti effettuati all’INPS dal datore di lavoro consentono al lavoratore domestico straniero di accedere alle prestazioni assicurative e pensionistiche (assegno per il nucleo familiare, indennità di disoccupazione indennità di maternità, assegno di invalidità, pensione di inabilità, pensione di anzianità, pensione di vecchiaia), se in possesso dei requisiti richiesti dalla legge.

PRESTAZIONI E TUTELE PER I LAVORATORI DOMESTICI STRANIERI

L’assegno per il nucleo familiare

I lavoratori comunitari hanno diritto all’assegno per il nucleo familiare per sé e per i propri familiari residenti nel paese d’origine o in un paese convenzionato.

I lavoratori extracomunitari hanno diritto all’assegno per il nucleo familiare: solo per i familiari residenti in Italia e non per i familiari residenti all’estero.

La pensione

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I cittadini comunitari che lavorano in Italia e versano regolarmente i contributi all’INPS, hanno diritto alle prestazioni pensionistiche (pensione di vecchiaia, di anzianità, di inabilità e pensione ai superstiti) con gli stessi requisiti di età e di contribuzione previsti per i cittadini italiani.

Nel caso in cui il lavoratore torni nel proprio paese o si trasferisca in un altro Paese europeo, prima di aver maturato i requisiti necessari, tali requisiti possono essere raggiunti anche continuando a lavorare e versare contributi nella gestione previdenziale del paese europeo in cui si sarà trasferito.

Grazie al sistema della totalizzazione, tutti i contributi versati in Italia o in altri paesi europei, saranno sommati allo scopo erogare un’unica pensione.

L’importo della pensione viene determinato dalla gestione previdenziale di ogni paese in proporzione ai contributi versati.

Anche i lavoratori extracomunitari, in caso di rimpatrio, conservano i diritti previdenziali maturati in Italia.

I CONRIBUTI PREVIDENZIALI

Negli ultimi anni l’apporto dei lavoratori stranieri regolari è diventato sempre più importante non solo sul versante produttivo, ma anche su quello fiscale, contributivo e dei consumi.

Partendo dai dati Inps, è possibile calcolare il gettito contributivo ed è possibile ottenere una stima realistica del gettito fiscale.

In questa sede ci si riferisce all’analisi dell’incidenza economica delle presenze in condizione di regolare soggiorno perché, i lavoratori irregolari possono produrre un beneficio per le singole imprese o famiglie, ma non per l’erario pubblico.

Nel 2007 i lavoratori stranieri iscritti all’Inps risultavano 2.173.545, dei quali 1.788.561 dipendenti, 270.964 autonomi e 114.020 parasubordinati, pari al 7 per cento delle forze di lavoro complessive.

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I contributi previdenziali relativi a lavoratori stranieri ammontano per il 2007 a quasi 7 miliardi, circa il 4 per cento del totale. Ai quali si aggiungono oltre 3 miliardi tra Irpef, Iva, imposte per il lavoro autonomo e sui fabbricati.

Un apporto sempre più rilevante. Ma per una seria analisi sui costi e i benefici dell'immigrazione, servirebbe come in altri paesi europei una commissione tecnica indipendente di indagine. Con il compito di individuare metodologia e indicatori e di redigere un rapporto periodico.

ITALIANI , COMUNITARI, EXTRACOMUNITARI“Tu lascerai ogni cosa diletta

più caramente e questo è quello straleche l’arco dello esilio pria saetta.

Tu proverai si come sa di salelo pane altrui, e come è duro calle

lo scendere e 'l salir per l’altrui scale”(Dante, Paradiso XVII 55 – 60)

La condizione di “straniero” non è facile da vivere e pone l’individuo in una difficile situazione di debolezza psicologica e fisica. È comunque una condizione che va sorretta e regolata da leggi adeguate.Nel nostro paese la costituzione, che è la legge, sancisce le caratteristiche, i valori e i principi che devono guidare e ispirare i cittadini attraverso le leggi.Essa, inoltre delinea i diritti inviolabili, i principi di uguaglianza e solidarietà dell’uomo.

LA COSTITUZIONE

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ARTICOLO 2 - LA TUTELA DELLA DIGNITA’ DELLA PERSONA

“La repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.”

L’articolo 2 sancisce l’originarietà dei diritti inviolabili dell’uomo, attraverso i quali la persona umana può affermare la propria libertà e autonomia. Tali diritti sono connaturati

alla persona, preesistono alla Stato, che non li concede ma li riconosce e si impegna ad assicurarne un’efficace protezione.Per il loro carattere di appartenenza originaria alla sfera più intima e personale dell’uomo, questi diritti:sono irrinunciabili e inalienabili;

il loro esercizio non può essere limitato dai pubblici poteri se non temporaneamente e con il rispetto di precise garanzie enunciate dalla Costituzione;

riguardano non solo i cittadini ma, in molti casi, anche gli stranieri. La stessa Costituzione usa l’espressione “tutti” con riferimento a molte delle libertà fondamentali, senza distinzione di razza o di cittadinanza.

Infatti l’Italia ha aderito a numerosi trattati internazionali che riconoscono e tutelano i diritti fondamentali di tutti gli uomini.

ARTICOLO 3 - L’UGUAGLIANZA DEI CITTADINI

“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

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È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”

L’articolo 3 può essere definito il cuore della nostra costituzione, poiché il principio di uguaglianza che enuncia è il criterio che condiziona l’intero ordinamento giuridico. Analizzare nei dettagli tale principio è indispensabile per comprendere appieno che cosa si intenda quando si afferma che lo Stato deve garantire pari dignità sociale a tutti i cittadini.Con tale espressione, i costituenti, hanno affermato che non esistono più distinzioni in base al titolo nobiliare, al grado o dell’appartenenza ad una classe sociale. Tutti gli uomini devono essere considerati in posizione di uguaglianza e ciascuno ha diritto di essere trattato e riconosciuto come uomo, dai suoi pari, in ogni rapporto sociale in cui si viene trovare, a prescindere da altri fattori economici, culturali, politici.In secondo luogo, affermare che tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge, significa che nessun privilegio, distinzione di nascita o esercizio di funzioni può autorizzare un individuo o un gruppo a porsi al di sopra della legge. Tutti i membri della collettività quindi, compresi coloro che creano le norme o vi danno esecuzioni, sono obbligati ad osservare le leggi.Lo Stato, inoltre, non può, in nessuna circostanza, emanare provvedimenti che siano discriminatori per motivi di razza, sesso e religione.

Uguaglianza formale e uguaglianza sostanziale

Il primo comma dell’articolo 3 afferma teoricamente il principio di uguaglianza, sancendo il cosiddetto principio di uguaglianza formale, che garantisce pari dignità di tutti i cittadini di fronte alla legge. Ma i costituenti, consapevoli che nella realtà concreta molti sono i fattori di disuguaglianza fra i cittadini, nel secondo comma impongono allo Stato di intervenire per creare le condizioni che consentono il raggiungimento dell’uguaglianza sostanziale.A questo scopo hanno previsto l’impegno dello Stato non solo per eliminare ogni situazione di privilegio che offenda la pari dignità, ma anche per rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che di fatto pongono alcuni soggetti in condizioni di svantaggio rispetto ad altri.

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ARTICOLO 16 - LA LIBERTA’ DI CIRCOLAZIONE E DI SOGGIORNO

“Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza. Nessuna restrizione può essere determinata per ragioni politiche.Ogni cittadino è libero di uscire dal territorio della repubblica e di rientrarvi, salvo gli obblighi di legge.”

La libertà di circolazione e soggiorno rientra nel più ampio concetto di libertà personale e rappresenta una novità rispetto allo Statuto Albertino, che non ne faceva riferimento. La Costituzione riconosce la libertà di circolazione sul territorio nazionale ai soli cittadini, ma, in seguito all’adesione dell’Italia alla Comunità europea, tale norma va intesa nel senso che ogni cittadino comunitario può spostarsi liberamente e stabilirsi sul territorio di uni Stato membro.Per uscire o entrare nel territorio nazionale è necessario possedere un valido documento di riconoscimento: il passaporto per la maggior parte dei paesi, la carta d’identità valida per l’espatrio per alcuni paesi che hanno firmato un accordo con l’Italia. Per la circolazione dell’Area Schengen non è previsto ormai alcun tipo di formalità.La libertà di circolazione e soggiorno può subire limitazioni esclusivamente per motivi di sanità e di sicurezza, motivi che comunque devono essere legati a un pericolo immediato e diretto, mai a ragioni politiche.

La questione degli extracomunitari

Tra le limitazioni alla libertà di circolazione e soggiorno dovute a motivi di sicurezza possono essere comprese quelle a carico degli stranieri extracomunitari, degli stranieri, cioè, che non provengono dall’Unione Europea. Queste limitazioni possono essere spiegate, in parte, con un’esigenza di controllo dell’immigrazione, comune a tutti gli Stati.

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Tuttavia, soprattutto in virtù del numero crescente di immigrati che arriva nel nostro Paese da qualche anno a questa parte, esse derivano anche da alcune esigenze specifiche dell’Italia, e in particolare dalla necessità di contrastare le forme di criminalità legate alla cosiddetta immigrazione clandestina. La legge ha introdotto nel nostro ordinamento il reato di clandestinità, che implica, per coloro che entrano o soggiornano irregolarmente nel nostro Paese, il pagamento di un’ammenda da 5 a 10 mila euro con l’espulsione immediata. È inoltre prevista la reclusione da 6 mesi a 3 anni per chiunque di alloggio, a titolo oneroso e al fine di trarre un ingiusto profitto, agli stranieri privi di permesso di soggiorno.

Come si diventa cittadino italiano?

LA CITTADINANZASi chiama cittadino di uno Stato colui che gode dei diritti politici, può eleggere i propri rappresentanti e può essere eletto a ricoprire le diverse cariche pubbliche. Essere cittadino significa fare parte del popolo di uno Stato e poter partecipare attivamente alla vita politica di questo.Tutti coloro che nascono in Italia non sono sempre cittadini italiani.

La cittadinanza si acquista invece dai propri genitori. È quindi cittadino italiano chi ha i genitori, o almeno uno di essi, con cittadinanza italiana oppure chi nasce in Germania o negli Stati Uniti da genitori italiani emigrati in quel paese per lavoro, e che hanno ancora la cittadinanza italiana.È cittadino italiano dalla nascita anche chi nasce nel territorio italiano ed è figlio di apolidi (persone pive di cittadinanza) o di genitori entrambi sconosciuti.

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Inoltre diventa cittadino italiano chi viene adottato da un genitore italiano. Il figlio adottivo si trova infatti nella stessa condizione di quello concepito dai genitori.La posizione dei cittadini dell’Unione europea è diversa rispetto a quella degli extracomunitari, che vengono da altri paesi.Un tempo le persone erano divise in due categorie separate, e cioè cittadini e stranieri.Poi, da quando è nata la Comunità europea (oggi Unione Europea), le distanze fra i cittadini italiani e quelli degli altri paesi comunitari sono diminuite. Oggi si può infatti cominciare a parlare di cittadinanza dell’Unione europea.I cittadini comunitari hanno diritto di stabilirsi nei paesi dell’Unione europea e di svolgere qualsiasi lavoro, sia autonomo sia dipendente, in perfetta parità con i cittadini di quel paese. Inoltre, se il cittadino comunitario vuole diventare cittadino italiano, gli bastano 4 anni di residenza in Italia. Per un extracomunitario occorrono invece 10 anni (sempre se sia entrato e sia rimasto in Italia in modo legale).Lo straniero non gode dei diritti politici, ma beneficia della libertà di parola, di religione, di sciopero, di associazione, di riunione.

Un altro modo per diventare cittadini italiani è con il matrimonio. Il matrimonio di per sé, però, non basta per avere la cittadinanza italiana, chi si sposa con un cittadino italiano può infatti avere subito la cittadinanza solo se già risiede legalmente in Italia da 6 mesi. In caso contrario deve aspettare 3 anni.In caso di separazione dei coniugi, se il coniuge straniero risiedeva in Italia già da 6 mesi, la cittadinanza non è acquisita se la separazione è avvenuta prima di 3 anni dopo il matrimonio.Secondo la legge italiana e di gran parte dei paesi europei un bambino acquista la cittadinanza dei genitori. Se questi, quindi, sono di diversa cittadinanza, ne ottiene due. Nei paesi islamici invece conta la cittadinanza del padre. Questi dispone di un potere sui figli molto maggiore rispetto alla madre, dato che là non c’è la parità giuridica tra uomo e donna.

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BIBLIOGRAFIA:- Beatrice Panebianco “Il Novecento”- La Letteratura italiana “900”- Antonio Brancati – Trebi Pagliagrani “Le voci della storia”- London – article from Britannica Concise Encyclopedia- Redazione Giuridica Simone per la scuola “Leggere la Costituzione”- R. Mistroni – A. Martignago “Valori e regole della democrazia”- M. Amato – P. Graziano – E. Quattrocchi “I principi dell’economia”- Articolo “Il Sole 24 ore”

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