Luigi Luca Cavalli Sforza - · PDF fileProf. Luigi Luca Cavalli Sforza Il razzismo è...
Transcript of Luigi Luca Cavalli Sforza - · PDF fileProf. Luigi Luca Cavalli Sforza Il razzismo è...
Riteniamo che la parola “evoluzione” sia equivalente a “storia”.
Siamo convinti che la storia, e quindi l’evoluzione,
siano la chiave per capire il presente.
L’evoluzione è anche meglio della storia,
essendo una teoria ben collaudata in un numero di discipline
sempre crescente.
Luigi Luca Cavalli Sforza Stanford University, USA
Prof. Luigi Luca Cavalli Sforza
Il razzismo è una idiozia. Lo dimostra la genetica.
Luigi Luca Cavalli Sforza, nasce a Genova il 25 gennaio del 1922. E’ cittadino italiano e statunitense. Laureatosi in medicina a Pavia (1944), già da studente si occupa di genetica delle popolazioni con Adriano Buzzati-Traverso, compiendo studi su Drosofile raccolte sui tini dove fermentava il vino nella cantina della sua villa di famiglia.
Fra il 1948 e il 1950 lavora a Cambridge con uno dei genetisti più bravi del secolo scorso: Ronald A. Fisher. In quei due anni Cavalli Sforza, già proveniente dalla ricerca sulla genetica delle popolazioni e sull'immunologia, compie un lavoro sperimentale sulla genetica dei batteri. Lavorando in quell'ambiente, comincia a sviluppare un crescente interesse per l'analisi dei gruppi sanguigni finalizzata allo studio dell'evoluzione umana.
L. Cavalli Sforza è stato Direttore dei Laboratori di Ricerca di Microbiologia all'Istituto Sieroterapico Milanese e dell'Istituto di Genetica all'Università di Pavia; ha insegnato nelle Università di Cambridge, Parma e Pavia ed è
attualmente Professore Emerito di Genetica all'Università di Stanford in California (dal 1992).
Da quarant'anni studia l'evoluzione umana e, a partire dal 1991, si occupa del programma di ricerca sulla diversità del genoma umano, lo "Human genome diversity project" da lui promosso, che punta a ricostruire, attraverso l'analisi del DNA mitocondriale, la mappa delle popolazioni del pianeta. E' autore di quasi 500 pubblicazioni scientifiche e di alcuni libri. Ha collaborato con vari periodici e numerosi sono i riconoscimenti che ha ricevuto, tra cui:
Medaglia d'oro del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR); Foreign Member della Royal Society, Londra; Lauree honoris causa dalle Università di Columbia, Cambridge, Calabria, Bologna, Cagliari, Roma; Premio Balzan per la completezza del suo lavoro sull'evoluzione umana.
Tra le sue opere in italiano si ricordano: "Analisi statistica per medici e biologi", "Introduzione alla genetica umana", "Genetica, evoluzione, uomo", "La transizione neolitica e la genetica di popolazioni in Europa", "Storia e Geografia dei geni umani". Il suo nome è diventato popolare negli ultimi anni grazie a una serie di brillanti libri scientifico-divulgativi tra cui "La storia della diversità umana" e "La scienza della felicità", "Geni, popoli e lingue" ed ultimo "Perché la scienza? L’avventura di un ricercatore".
Gli articoli degli incontri si trovano all’indirizzo:
www.comeallacorte.unina.it
COME ALLA CORTE DI FEDERICO II Il cammino dell’uomo: lingue, geni e popolazioni vedute sull’evoluzione dell’uomo moderno
Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa Università degli Studi di Napoli Federico II
VEDUTE SULL’EVOLUZIONE DELL’UOMO MODERNO
Luigi Luca Cavalli Sforza
Professore Emerito di Genetica all'Università di Stanford in California
(…)
Abbiamo detto che gli uomini
moderni (cioè indistinguibili da quelli
viventi) hanno cominciato a popolare il
mondo circa centomila anni fa, con la
moltiplicazione ed espansione geografica di
una piccola popolazione che viveva in Africa
orientale. Questa conclusione è basata su
dati archeologici e genetici.
1) Dati archeologici. L’ominide più
antico, cui si dà il nome Homo (cioè Homo
Habilis), vive 2.5 milioni di anni fa in Africa,
si distingue dai suoi antenati perché è sceso
dagli alberi, cammina sulle sue gambe,
comincia a fare i primi strumenti di pietra
piuttosto rozzi e ha il cervello di dimensioni
quasi doppie rispetto all’antenato più antico
in comune con gli scimpanzé, vissuto 5-6
milioni di anni fa, ma grande quanto la
metà del nostro cervello medio attuale. A
partire da 1,7 milioni di anni fa comincia a
fare strumenti migliori, forse conosce il
fuoco, si diffonde in Asia e in Europa e si
differenzia in vari tipi. Ma il primo uomo
molto simile agli uomini moderni è stato
ritrovato poco tempo fa in Etiopia ed è
molto più recente dato che la sua datazione
lo fa risalire a soli 150 000 anni fa.
(…)
2) Da dati genetici si è potuto datare
l’antenato comune più recente della linea
maschile a circa 103 000 anni fa, attraverso
la genealogia della linea maschile del
cromosoma Y che determina il sesso
maschile e si trova solo nei maschi. Quello
della linea femminile è stato datato a 153
000 anni fa, secondo gli ultimi dati, in base
a studi sul DNA mitocondriale (mtDNA), un
DNA diverso da quello genomico, molto
corto (16 600 basi) e contenuto in un
organello presente in ogni cellula trasmessa
dalle madri ai figli di entrambi i sessi. La
datazione genetica dell’antenato comune
più recente ha un forte errore statistico e
può precedere di qualche tempo la vera
data di biforcazione dell’albero genealogico
della specie, che corrisponde più da vicino
alla data archeologica delle migrazioni. La
differenza tra date di nascita degli antenati
della linea maschile e di quella femminile è
probabilmente dovuta alla maggior
frequenza di poligamia maschile (poliginia)
che femminile (poliandria) più in generale,
alla maggiore variazione del numero di figli
5
COME ALLA CORTE DI FEDERICO II Il cammino dell’uomo: lingue, geni e popolazioni vedute sull’evoluzione dell’uomo moderno
per genitore maschile rispetto a quella per
genitore femminile. Si dimostra che questa
Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa Università degli Studi di Napoli Federico II
differenza è sufficiente a creare la
differenza di date fra i due sessi.
(Tratto da L’evoluzione della cultura
di Luigi Luca Cavalli Sforza – Codice Edizioni, 2004)
6
COME ALLA CORTE DI FEDERICO II Il cammino dell’uomo: lingue, geni e popolazioni vedute sull’evoluzione dell’uomo moderno
Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa Università degli Studi di Napoli Federico II
LA RIPRODUZIONE SESSUALE: UNA
NECESSITÀ PER AUMENTARE
IL "METICCIATO GENETICO"
Giuseppe Saccone1 e Catello Polito2
1 Ricercatore 2 Professore di Genetica; Direttore IGB “A. Buzzati-Traverso”, CNR, Napoli Università degli Studi di Napoli Federico II
Anche se esternamente non è così
ovvio, da un punto di vista genetico
molecolare possiamo considerarci tutti
“meticci”. Infatti è chiaro da tempo che due
individui appartenenti al medesimo gruppo
etno-geografico possono presentare una
maggiore variabilità genetica, rispetto a due
individui di due gruppi etnici differenti.
Anche se il detto recita che “chi si
assomiglia, si piglia”, la somiglianza è solo
esteriore, e non genetica. In ciascuna
nostra cellula sono presenti due genomi
aploidi che derivano da due essere viventi
profondamente distinti nei loro rispettivi
genomi, a prescindere se i due genitori
siano dello stesso villaggio, città, nazione o
continente. L’inganno della percezione del
diverso biologico deriva dalla nostra
moderna cultura occidentale eidetica tanto
influenzata ancora da antichi luoghi comuni
(ma anche da una lunga storia di
colonialismi e di schiavizzazioni di altri
popoli, e da prospettive filosofiche o
religiose basate su immanentismo, fissità,
concetto di perfezione, etc). Questo esteso
“meticciato genetico” che si sta rivelando
dalle analisi molecolari dei genomi
individuali, sembra essere una regola in
natura, prodotto collaterale del successo
evolutivo della riproduzione sessuale.
Ciascuno di noi ha in ogni sua cellula
somatica circa 50.000 geni, variamente
distribuiti sui 46 cromosomi, di cui 25.000
ricevuti dalla madre (su 23 cromosomi
materni) ed altri 25.000 geni dal padre (sui
23 cromosomi paterni). E’ interessante
notare che i due gruppi di geni materni e
paterni hanno una corrispondenza di uno ad
uno come sequenza di DNA, come funzione
e come localizzazione sui cromosomi. In
media le due versioni di ciascun gene
presentano nella sequenza di DNA (che
risulta 99,9% identica) differenze pari a
circa 1/1000 sostituzioni nucleotidiche.
Quindi approssimando ad esempio la
lunghezza media di un gene umano a
20.000 coppie di basi, otteniamo 20
nucleotidi differenti (per ciascun gene) x
25.000 geni = 500.000 nucleotidi differenti
nei due genomi aploidi.
Più che di riproduzione sessuale e di
neonato riprodotto, dovremmo quindi
parlare rispettivamente di co-produzione
sessuale (come già suggeriva negli anni ‘40
7
COME ALLA CORTE DI FEDERICO II Il cammino dell’uomo: lingue, geni e popolazioni vedute sull’evoluzione dell’uomo moderno
l’antropologo cubano Fernando Ortiz) e di
ibrido di due gruppi genici, cioè un meticcio
genetico transitorio dove due corredi
cromosomici aploidi sconosciuti l’uno
all’altro si sono per la prima volta incontrati
per co-produrre un essere vivente.
Neanche la lunga pratica di selezione
artificiale per ottenere razze canine pure è
riuscita ad omogeneizzare i rispettivi
genomi: le sequenze del DNA di cani con
tanto di pedigree stanno rivelando
un’elevatissima variabilità genetica
nascosta che continua a persistere
Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa Università degli Studi di Napoli Federico II
nonostante la costanza della forma esterna
di ciascuna razza selezionata. Sulle altre
possibili ragioni evolutive della comparsa
della riproduzione sessuale e quindi del
“meticciato genetico”, ancor oggi vi sono
differenti ipotesi in continua discussione,
quali ad esempio: maggiore efficacia della
selezione naturale mediante aumento della
variabilità genetica perché promuove
migliore adattamento evolutivo (August
Weismann, fine ottocento), maggior
efficienza nell’eliminare le mutazioni
deleterie, oppure maggior resistenza a
parassiti.
8
COME ALLA CORTE DI FEDERICO II Il cammino dell’uomo: lingue, geni e popolazioni vedute sull’evoluzione dell’uomo moderno
Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa Università degli Studi di Napoli Federico II
LE POPOLAZIONI E LE LINGUE EVOLVONO: PARALLELISMI E DIFFERENZE
Alberto Varvaro
Professore di Filologia Romanza Università degli Studi di Napoli Federico II
Sembra ovvio che la storia delle
lingue debba essere parallela a quella delle
popolazioni umane, quale si va chiarendo
attraverso gli studi innovatori di Cavalli
Sforza. Ma il rapporto non è così chiaro e
lineare come ci si potrebbe attendere.
Dalla fine del Settecento, la linguistica
storica ha riconosciuto i criteri che
permettono di stabilire con rigore i rapporti
anche genetici tra lingue diverse ed ha
individuato un certo numero di famiglie
linguistiche, i cui componenti sono in
relazione genetica, vale a dire discendono
da un antecedente comune. Si prenda il
caso della famiglia detta indoeuropea.
L’italiano discende dal latino come il
francese, lo spagnolo e così via; il latino è
geneticamente affine al greco e alle lingue
germaniche ma anche, tra l’altro, all’iranico,
al sanscrito ed a molte lingue dell’India
moderna. A capostipiti differenti risalgono,
per esempio, l’arabo, il cinese e le lingue
degli indiani d’America. Questo lavoro è
risultato relativamente facile e sicuro, ma
non è così per il passo successivo, vale a
dire la definizione dei rapporti tra le poche
decine di capostipiti identificabili. Come
mai?
La lingua cambia assai rapidamente,
anche se i parlanti hanno l’impressione che
essa sia stabile. Nessuno di noi pensa che
negli anni della sua infanzia l’italiano fosse
diverso da quello di oggi se non per un
certo numero di parole, che è cosa molto
superficiale. Ma il fatto è che il modo di
esprimersi di Manzoni era molto diverso dal
nostro, anche se sono trascorse poche
generazioni.
La lingua cambia in due modi
differenti: da un lato essa si modifica
costantemente ed insensibilmente non
meno della moda, dall’altra è molto più
frequente di quanto si pensi che gli individui
o intere popolazioni sostituiscano la lingua
materna con un’altra, affine o no, che
diventerà la lingua materna dei loro figli.
Bastino due esempi. Buona parte degli
italiani nel corso degli ultimi 150 anni è
passata dall’uso esclusivo di un dialetto, ad
esempio del napoletano, a quello spesso
esclusivo dell’italiano, che rispetto al
dialetto napoletano è una parlata sorella;
ma nello stesso tempo un gran numero di
persone che parlavano dialetti italiani si
sono trasferiti negli Stati Uniti e sono
passati all’inglese, lingua della stessa
9
COME ALLA CORTE DI FEDERICO II Il cammino dell’uomo: lingue, geni e popolazioni vedute sull’evoluzione dell’uomo moderno
famiglia indoeuropea ma molto meno
affine. Nell’impero romano intere
popolazioni abbandonarono le loro lingue,
che erano molto diverse tra loro e di cui
ben poco è sopravvissuto, ed adottarono il
latino. Se dunque ognuno di noi eredita il
patrimonio genetico dei genitori, molte
volte non ne eredita la lingua materna.
Questa doppia forma di mutamento,
interno ad una lingua e da una lingua
all’altra, complica molto il rapporto tra
storia della popolazione e storia linguistica.
La distribuzione dei tratti genetici in un’area
geografica può essere stabile nel tempo,
ma la lingua parlata sarà comunque
cambiata nel tempo fino ad essere
irriconoscibile e tutti o molti o alcuni gruppi
di quella popolazione possono aver adottato
lingue provenienti dall’esterno dell’area.
Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa Università degli Studi di Napoli Federico II
La velocità di queste trasformazioni
è tutt’altro che uniforme. Se gli italiani colti
hanno scarsa difficoltà per intendere Dante,
i francesi non sono in grado di intendere
uno scrittore contemporaneo di Dante.
L’italiano è stato stabile perché per lungo
tempo è rimasta lingua prevalentemente
scritta. Ma in altri casi il mutamento è
assai rapido. Gli arcipelaghi sparsi nel
Pacifico sono stati colonizzati da pochi
secoli, ma le lingue in essi parlate si sono
differenziate tra di loro e non è facile
metterle in rapporto con le lingue parlate
oggi nelle aree (Indonesia, Filippine) da cui
devono essere partiti i colonizzatori.
La storia linguistica dell’umanità non
può non essere in relazione con quella
demografica. Ma non ci si può illudere che
il parallelismo sia stretto. In ultima analisi
la prima è propriamente una storia, nella
quale hanno peso soprattutto fattori
culturali, la seconda è una evoluzione
biologica. Torniamo al problema delle due
culture: certamente c’è, ci deve essere, un
nesso, ma non è facile né semplice
individuarlo.
Pieter Bruegel -La Torre di Babele
10
COME ALLA CORTE DI FEDERICO II Il cammino dell’uomo: lingue, geni e popolazioni vedute sull’evoluzione dell’uomo moderno
Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa Università degli Studi di Napoli Federico II
TANTE FACCE, UN’UNICA RAZZA
Guido Barone
Professore di Chimica Fisica Ambientale Università degli Studi di Napoli Federico II
Le ricerche genetiche hanno consentito
di scrivere la storia del popolamento della
Terra da parte dell’umanità a partire dagli
anni ’60. Ciò per merito tra gli altri di
Cavalli-Sforza e allievi. Nei secondi anni
‘80, con la scoperta della DNA-polimerasi
termoresistente, si ottennero molte repliche
dei DNA da mitocondrio, l’organello
respiratorio delle cellule, che si trasmette
solo per via materna. Si potè così risalire ad
un gruppo di donne consanguinee (Eva
africana) vissute in Africa tra 160 e 130
mila anni fa e il cui patrimonio genetico è
comune, pur con delle lievi mutazioni, a
tutte le donne attuali. L’albero genealogico
ricostruito attraverso le mutazioni avvenute
in tempi successivi (delle vere e proprie
biforcazioni evolutive) coincide in modo
impressionante con l’analogo tracciato
dell’evoluzione dei linguaggi.
Le mutazioni, avvenute circa ogni 10
mila anni, hanno scandito il cammino fatto
dai discendenti di quel piccolo nucleo di
africani emigrati verso l’Asia circa 100 mila
anni fa. Gli europei sarebbero una
mescolanza di sette componenti (le sette
figlie di Eva) caratterizzate da singole
mutazioni conservative avvenute tra 45 e 8
mila anni fa. Paabo ha dimostrato che il
DNA mitocondriale dei Neanderthal è
sostanzialmente diverso da quello di tutti gli
europei, moderni e non. Si tratta di un’altra
specie, non ibridizzabile in maniera fertile
con l’Homo sapiens sapiens. Cann e Sykes
hanno infine dimostrato l’origine asiatica dei
polinesiani, contro l’ipotesi americana di
Eyerdall.
Dal 1994 si è iniziato ad analizzare le
mutazioni dei geni del cromosoma Y.
Il cromosoma Y determina il sesso maschile
e si trasmette solo per via paterna. E’ il più
piccolo dei cromosomi ma è enormemente
più grande del DNA mitocondriale che ha
solo 37 geni. Sembra confermato che
l’umanità discenda per intero da un piccolo
gruppo africano costituito da qualche
centinaio di individui consanguinei, da cui
un gruppo consistente si sarebbe staccato
emigrando in Asia e di lì in due ondate in
Europa: circa 40 mila anni fa (cacciatori-
raccoglitori) e circa 9 mila anni fa
(agricoltori-allevatori). I primi avrebbero
convissuto con i Neanderthal, che pure
avevano sviluppato una cultura complessa,
sopraffacendoli alla fine con la loro migliore
organizzazione sociale e con le loro
tecnologie di sopravvivenza. Prima ancora i
discendenti di Eva africana popolarono
l’Asia e giunsero in Australia e Nuova
Guinea 40-60 mila anni fa e molto più tardi
11
COME ALLA CORTE DI FEDERICO II Il cammino dell’uomo: lingue, geni e popolazioni vedute sull’evoluzione dell’uomo moderno
alle Hawaii e alla Nuova Zelanda. Altri
gruppi asiatici attraversarono lo stretto di
Bering in due ondate e popolarono le
Americhe, come dimostrato dall’analisi delle
mutazioni di Y.
Le mutazioni accumulate nel DNA sono
una traccia nel tempo e nei luoghi che ci
connette tutti in una grande famiglia, con
differenze solo nei tratti somatici. Le
differenze all’interno di una etnia sono più
Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa Università degli Studi di Napoli Federico II
disperse di quelle fra i valori medi di tutti i
popoli della Terra.
Le sorti dell’umanità sono state a lungo
a rischio. Un piccolo incidente iniziale e la
nostra orgogliosa specie sarebbe stata
cancellata dall’evoluzione. Nulla fa pensare
che altre specie avrebbero potuto
succederle con un cammino analogo:
l’evoluzione infatti non è finalistica.
12
COME ALLA CORTE DI FEDERICO II Il cammino dell’uomo: lingue, geni e popolazioni vedute sull’evoluzione dell’uomo moderno
Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa Università degli Studi di Napoli Federico II
UN FILO COMUNE NELL’EVOLUZIONE DEL CERVELLO?
Antonio Simeone
Ricercatore CEINGE Biotecnologie Avanzate, Napoli; IGB “A. Buzzati-Traverso”, CNR, Napoli; MRC Centre for Developmental Neurobiology, King's College London I
Comprendere i meccanismi che
hanno determinato l’evoluzione del cervello
è uno degli argomenti più affascinanti e
complessi. Infatti se per altre strutture del
corpo è abbastanza ovvio o quantomeno
intuibile identificare i corrispondenti in
specie molto distanti fino agli insetti, è
abbastanza difficile comprendere come si
sia potuto evolvere il cervello dei mammiferi
ed in particolare quello dell’uomo da
organismi invertebrati come vermi ed insetti
il cui sistema nervoso è essenzialmente
costituito da gangli nervosi in connessione
con cellule sensoriali superficiali ed il cui
principale scopo è quello di determinare
reazioni motrici a stimoli esterni. E’ da
questo tipo di sistema nervoso che si è
evoluto quello dell’uomo oppure, come per
molto tempo si è pensato, anche sotto
l’influenza di dottrine filosofiche e/o
religiose, il sistema nervoso è stato
inventato e reinventato più volte durante
l’evoluzione senza la presenza di un comune
antenato? Negli ultimi quindici anni e per
merito degli enormi avanzamenti delle
biotecnologie è stato possibile iniziare a
dare delle risposte ai molti interrogativi. Il
primo interrogativo era capire se gli
elementi genici che codificano per le
proteine che controllano lo sviluppo del
sistema nervoso degli invertebrati sono
conservati durante l’evoluzione. La risposta
è stata affermativa e priva di ambiguità.
Ciononostante questa non era una
prova ma solo una indicazione, seppure
necessaria, dell’esistenza di un meccanismo
comune alla base dello sviluppo del sistema
nervoso anteriore di invertebrati
(protocerebro) e vertebrati (cervello). In
altre parole questo dato non rappresentava
una prova funzionale. Una prova funzionale
della conservazione è venuta quando sono
stati prodotti dei modelli genetici murini che
sostituivano il proprio gene con quello degli
invertebrati, e insetti, Drosofile nel caso
specifico, che portavano il gene di uomo e
mancavano di quello proprio. Questi
esperimenti hanno prodotto un risultato
eccitante: il gene degli invertebrati
compensava completamente le funzioni di
quello murino e permetteva lo sviluppo di
un cervello normale; in maniera analoga il
gene umano permetteva lo sviluppo
normale del cervello rudimentale
dell’insetto. Era la prima prova funzionale
che due geni conservati e cruciali per lo
13
COME ALLA CORTE DI FEDERICO II Il cammino dell’uomo: lingue, geni e popolazioni vedute sull’evoluzione dell’uomo moderno
sviluppo del cervello, erano funzionalmente
equivalenti. Questi risultati hanno così
suggerito che una funzione genica
essenziale allo sviluppo del cervello dei
mammiferi era già presente oltre 500
milioni di anni orsono in un antenato
comune agli invertebrati e vertebrati.
Ma allora se i meccanismi di base
sono gli stessi perché i cervelli degli insetti
e dei mammiferi non sono almeno simili?
Questa domanda è intrinsecamente
complessa e per il momento non c’è una
chiara risposta. Ciononostante la
spiegazione è probabilmente da ricercare
nei meccanismi che controllano
l’espressione genica e negli eventi che
hanno modificato il corredo genetico
durante l’evoluzione quali ad esempio
traslocazioni e duplicazioni.
Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa Università degli Studi di Napoli Federico II
Queste modificazioni hanno
determinato cambi nei livelli di espressione
e nei territori di epressione di geni
necessari alla morfogenesi nonché un più
alto numero di interazioni tra prodotti genici
differenti.
Questo ha probabilmente
determinato la nascita di nuove catene
regolatorie e l’espressione di preesistenti
funzioni in cellule che non le esprimevano.
In questo modo e da questo apparente caos
sono stati probabilmente generati e
selezionati nuovi processi che hanno
modificato la morfogenesi di antiche
strutture corporee contribuendo durante
l’evoluzione alla crescente complessità del
cervello fino a quello dell’uomo.
14
COME ALLA CORTE DI FEDERICO II Il cammino dell’uomo: lingue, geni e popolazioni vedute sull’evoluzione dell’uomo moderno
IL CIRCOLO EVOLUZIONE-FORMAZIONE Aldo Masullo
Professore Emerito di Filosofia morale Università degli Studi di Napoli Federico II
Le scienze fisiche oggi, riallineandosi
con la nuova criticità delle scienze storiche,
fanno piazza pulita delle mitizzazioni,
ottimistiche o pessimistiche, cioè delle
ideologiche fantasie sulla necessaria
progressività del cambiamento o sul suo
fatale decadere verso la «morte termica»,
verso la definitiva stagnazione
dell’indifferenziato. A questo punto acquista
un senso nuovo la domanda se si possa
parlare di un rapporto circolare tra il
cambiamento naturale, ancora denominabile
«evoluzione» (ma senza alcuna
connotazione «progressistica»), e il
cambiamento culturale che, spogliato ormai
anch’esso di ogni ottimismo
«progressistico», deve tuttavia venir detto,
a pena d’essere contraddetto,
«formazione» ovvero (secondo l’idea
maturata nel pensiero classico tedesco)
Bildung, che vuol dire la spontaneità della
formazione di sé, l’autoformazione, ossia in
uno «formazione originaria», Urbildung, e
«trasformazione», Umbildung.
Se si dà per ammesso il suddetto
rapporto circolare, un punto decisivo del
circolo sarebbe quello in cui l’evoluzione
naturale, di volta in volta saltando d’un
colpo da un gradiente di relativa stabilità (o
meglio: di moderata instabilità) ad un altro,
perviene a un gradiente in cui
l’organizzazione della materia – vita,
animalità, sviluppo e centralizzazione del
sistema nervoso – riesce tale, che si rende
possibile l’emergere di un ramo inedito, con
un suo modo di propulsione evolutiva
divergente dal naturale.
Ben intuì questa divergenza Giordano
Bruno, eloquentemente mitizzandola,
quando nel 1584, nello Spaccio della bestia
trionfante, scriveva: «Gli dei aveano donato
a l’uomo l’intelletto e le mani, e l’aveano
fatto simile a loro, donandogli facoltà sopra
gli altri animali; la qual consiste non solo in
poter operar secondo la natura ed ordinario,
ma, ed oltre, fuor le leggi di quella; acciò,
formando o possendo formar altre nature,
altri corsi, altri ordini con l’ingegno, con
quella libertade, senza la quale non arrebe
detta similitudine, venesse ad serbarsi dio
de la terra».
Giordano Bruno
Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa Università degli Studi di Napoli Federico II
15
COME ALLA CORTE DI FEDERICO II Il cammino dell’uomo: lingue, geni e popolazioni vedute sull’evoluzione dell’uomo moderno
Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa Università degli Studi di Napoli Federico II
Dal momento in cui l’evoluzione
naturale giunge a fornire un essere vivente
di cervello e di mano comincia un’altra
evoluzione, fuori e al di là di quella:
s’inaugura una nuova «natura», un’altra via
del nascere e del trasformarsi. Qui non
funziona, casualmente, il processo evolutivo
della natura propriamente detta, con i suoi
gradienti di cambiamenti impercettibili, le
sue rotture e i suoi salti; bensì opera,
motivatamente, secondo la pensata ragione
di ogni agito cambiamento, il processo
formativo dello «spirito», l’autoformazione
come incessante superamento, conforme
alla visione cristiano-protestantica,
secolarizzata nell’idealismo post-kantiano e
assunta nello hegeliano negare-
conservando, nell’Aufhebung.
Posta in questi termini, la
trasformazione spirituale, se risulta
autonoma rispetto all’evoluzione naturale, in
quanto condizionatane ma non
determinatane, tuttavia non acquista alcun
potere d’influenza su di essa, il suo
cammino essendo «interiore», tutto interno
allo «spirito».
Ancora una volta Bruno, scavalcando
quella stessa «modernità» che annunziava,
anticipò la «postmodernità» e la crisi del
modello religioso-idealistico della
«formazione». In una pagina della Cabala
del cavallo pegaseo si legge che, se anche
l’uomo avesse il doppio dell’ingegno, ma le
mani gli si trasformassero in piedi, non
potrebbe restare indenne la «conversazion
de gli uomini», cioè quel complesso
commercio d’idee, gesti e opere che noi
comunemente chiamiamo «cultura». «Per
conseguenza dove sarrebono le instituzioni
de dottrine, le invenzioni de discipline, le
congregazioni de cittadini, le strutture de gli
edificii ed altre cose assai che significano la
grandezza ed eccellenza umana, e fanno
l’uomo trionfator veramente invitto sopra
l’altre specie? Tutto questo, se
oculatamente guardi, si riferisce non tanto
principalmente al dettato de l’ingegno,
quanto a quello della m a n o , organo degli
organi». Ingegno e mano sono le
innovazioni biologiche, per cui si rende
possibile nell’uomo l’aprirsi di un cammino
trasformativo divergente dall’evoluzione
biologica, perché non determinato da essa.
Certo nel modello religioso-idealistico
«moderno», il mondo naturale non restava
fuori della formazione-trasformazione,
essendo in esso inglobato anzi
originariamente radicato, secondo il
principio della mistica di Meister Eckhart,
per cui «nella parte più intima e alta
dell’anima Dio creò l’intero mondo».
16
COME ALLA CORTE DI FEDERICO II Il cammino dell’uomo: lingue, geni e popolazioni vedute sull’evoluzione dell’uomo moderno
Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa Università degli Studi di Napoli Federico II
La novità del modello
«postmoderno» sta tutta invece nel fatto
che, come scrive Mario Gennari, «la
formazione del mondo-dell’-intimità […] ha
ceduto il passo alla cultura superficiale (alla
Halbbildung), in cui la perdita della
formazione è compensata dalla produttività
dell’individuo, dalla sua prepotente capacità
d’imitazione (Nachbildung).
Qui, a prescindere dal negativo
giudizio di valore, si coglie il senso della
divergenza evolutiva culturale, a cui Bruno
verso la fine del XVI secolo pensa con
entusiasmo, e a cui invece Gennari alla fine
del XX pensa con preoccupazione, ma che
né Bruno né Gennari chiamano con il nome,
tanto semplice quanto complessa è la cosa
designata, di «tecnica».
La «tecnica» non è le macchine e i
computer, i prodotti dell’ingegno e della
mano, ma i modo dell’ingegno e della mano,
la meccanica e l’informatica, le forme
mentali che, a partir da lontano, da vissute
intuizioni e praticate manipolazioni, si sono
venute plasmando. «Tecnica» sono il
concetto aristotelico di «limite» come
artificio intellettuale, grazie a cui si rendono
misurabili le grandezze continue di spazio e
di tempo; il concetto leibniziano di calcolo
infinitesimale; l’equazione einsteiniana di
massa ed energia. Insomma l’essenza della
«tecnica» sta nell’idea (in cui
l’epistemologia riconosce il suo principio
fondamentale) che il «concetto è sinonimo
del corrispondente gruppo di operazioni»,
cioè riuscito effetto adattivo della mente,
innovativo abito nel pensare le risposte ai
problemi emergenti.
La «tecnica» è l’azione dell’uomo
modificatrice delle condizioni ogni volta
date, non solo materiali, «naturali», ma
anche immateriali, «culturali». La
trasformazione autoformatrice inventa le
condizioni di apertura non solo del proprio
ulteriore modificarsi ma pure del proprio
potere di modificare, in limiti sempre meno
stretti (mai del tutto però sopprimibili), il
mondo materiale, di decidere cioè le
condizioni nuove secondo cui, al tempo
lungo, la stessa evoluzione biologica potrà
prodursi.
E’ con la «tecnica» che il circolo
evoluzione (naturale) – formazione
(culturale) si chiude.
Riconoscere la forza di questo circolo ci
costituisce, nel decidere le scelte presenti,
responsabili verso il futuro lontano e i suoi
abitatori.
17
COME ALLA CORTE DI FEDERICO II Il cammino dell’uomo: lingue, geni e popolazioni vedute sull’evoluzione dell’uomo moderno
Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa Università degli Studi di Napoli Federico II
LA “RAZZIALIZZAZIONE” DELL’ALTERITÀ CULTURALE
Adelina Miranda
Professoressa di Mediterraneo e movimenti di popolazione Università degli Studi di Napoli Federico II
L’abbandono della “razza” come
concetto esplicativo delle differenze umane
non ha portato alla fine di sistemi di
pensiero persuasivi nel gerarchizzare
l’alterità culturale. Numerosi gruppi sociali e
nazionali continuano ad essere
“razzializzati” attraverso un dispositivo
operativo che, mediando dal linguaggio
razzista schemi, metafore e eufemismi,
adotta la “cultura” come base
interpretativa. Allorché l’antropologia
decostruisce il concetto di cultura, ne
propone una interpretazione sempre più
relazionale e dinamica, ne rileva il carattere
polimorfo, ne svela la configurazione
mutevole, ne risalta i significati ed i sensi
contingenti oltre che distintivi, nel senso
comune, la cultura viene essenzializzata.
Questo processo performativo ingloba
quegli elementi psico-somatici utilizzati dal
razzismo trasformandoli in significati
significanti delle specifiche appartenenze
culturali.
Questa “razzializzazione” produce
pertanto delle essenze naturali isolate,
mentre l’antinomia esistente fra la
singolarità e la pluralità culturale si libera
attraverso la comunicazione. Per Lévi-
Strauss, l’opposizione natura-cultura si
risolve attraverso lo scambio e le invarianti
culturali, comuni a tutte le società,
costituiscono le fondamenta di alcuni
istituti e funzioni universali. Certo, come ha
chiarito Barth, l’attraversamento delle
demarcazioni dei gruppi sociali non porta
necessariamente alla creazione di
ibridazioni o sincretismi. È il caso dell’area
mediterranea. Al di là dei contatti, degli
scambi, del commercio, degli incontri che si
sono tessuti e continuano a tessersi intorno
al Mare Nostrum, le barriere religiose
raramente sono state superate, come
dimostra il radicamento differenziale dei
simboli delle tre religioni monoteiste: il
porco, il bue e il montone. Le frontiere
semantiche agiscono per separare e per
unire poiché all’interno di ogni cultura opera
tanto la tensione verso l’universalismo
quanto quella verso il particolarismo per
mezzo della (ri)costituzione di articolate
frontiere esterne e interne. L’attuale
contesto mondiale le rende, molto spesso,
più invisibili e intangibili, soprattutto
quando le banlieues si ritrovano nel cuore
del mondo occidentale. Si generano allora
scarti differenziali inediti che impongono un
ritorno critico sul “nostro” pensiero.
18
COME ALLA CORTE DI FEDERICO II Il cammino dell’uomo: lingue, geni e popolazioni vedute sull’evoluzione dell’uomo moderno
L’appropriazione (o il rifiuto) dei
valori proposti come “universali” produce
nuove gerarchie mettendo in crisi quello
che Mondher Kilani ha definito
l’“universalismo particolare”, questa
situazione culturale dove l’universale si
identifica con colui che parla di universalità,
che detta le norme, che controlla i
meccanismi e che resta, quindi, in una
posizione gerarchicamente superiore. Il
nesso storico elaboratosi fra i principi della
uguaglianza, della laicizzazione e della
democrazia, è sospeso. Questi valori non
costituiscono più l’orizzonte culturale
condivisibile perché non sono mai stati
condivisi. In effetti, questo orizzonte
culturale che si è proposto come
condivisibile attraverso il riferimento
all’égalité universale, ha inglobato e
giustificato le forme estreme di
sfruttamento della differenza: il
colonialismo e la schiavitù. La fine di questi
Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa Università degli Studi di Napoli Federico II
sistemi ha modificato le linee di
demarcazione fra “noi” e gli “altri” senza
però superare i meccanismi di esclusione
che ve ne sono alla base.
La “razzializzazione” delle differenze
culturali eredita di questa storia. La sua
efficacia simbolica manifesta come il nostro
vocabolario, anche scientifico (si pensi al
concetto di etnia), spesso si riferisce alla
razza anche se non la investe di significati
biologici, genetici o eugenetici. Il razzismo
differenziale raggiunge così il relativismo
culturale senza passare attraverso
quell’esercizio fondamentale dell’auto-
riflessività antropologica che dovrebbe
permettere di ripensare la “nostra” cultura,
la “nostra” identità, i “nostri” modelli di
integrazione sociale alla luce di ciò che ci
siamo rappresentati e continuiamo a
rappresentarci come l’alterità, sia essa
lontana o vicina.
19
Apertura edizione 2005-06: The Terrorist 03/11/05
Rassegna cinema comico: Hollywood Party 10/11/05
Rassegna Wim Wenders: Lo stato delle cose 24/11/05
Rassegna cinema del Mediterraneo: Intervento Divino 08/12/05
Rassegna cinema comico: Invito a Cena con Delitto 22/12/05
Rassegna joseph Losey: Il Servo 12/01/06
Rassegna cinema del Mediterraneo: Kadosh di Amos Gitai 26/01/06
Rassegna cinema comico: Questo pazzo, pazzo mondo 02/02/06
Mahabharata I 16/02/06
Mahabharata II 23/02/06
Rassegna Wim Wenders: Buena Vista Social Club 02/03/06
Rassegna joseph Losey: Messaggero d'amore 16/03/06
Rassegna cinema del Mediterraneo: Arsenico e Vecchi Merletti 30/03/06
Rassegna cinema del Mediterraneo: Private 13/04/06
Rassegna joseph Losey: Don Giovanni 20/04/06
Rassegna Wim Wenders: Paris, Texas 27/04/06
Rassegna cinema comico: La Strana Coppia 04/05/06
Rassegna Wim Wenders: La Terra dell'Abbondanza 18/05/06
Rassegna joseph Losey: Per il Re e per la Patria | L'incidente 25/05/06
Rassegna cinema del Mediterraneo: Film Parlato di Emanuel De Olivera 01/06/06
Rassegna cinema comico: Mon Oncle 08/06/06
Rassegna cinema del Mediterraneo: Yol di Seif Goren 15/06/06
Rassegna cinema del Mediterraneo: Le Grand Voyage di Ismael Ferrukhi 22/06/06