Lou Reed… - Fedeltà del Suono · 2015. 7. 20. · solo un oggetto da consumare piace-volmente,...

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  • Lo abbiamo già salutato sull’ul-timo numero, al volo, quandoFedeltà del Suono stava per an-dare in stampa (già... N.d.R.). Dopoun mese il magone non è passato,anzi. Anche se la lettera d’addio pub-blicata dalla moglie, Laurie Ander-son, così piena di energia positiva, ciha ricordato le morti della societàpre-industriale, serene perché consi-derate – giustamente – inevitabili, nel

    ciclo della natura seme-pianta-seme.Nella società moderna, come ha os-servato Massimo Fini, la morte è con-siderata il Grande Vizio, tanto chenon si osa neppure nominarla, comesi evince dai necrologi: se ne è an-dato, si è spento, ci ha lasciato… nes-suno che scriva “è morto”. Posto chela società dei consumi non contem-pla la morte, perché non sopportal’idea che nulla sia per sempre, la

    morte di Lou ci ha lasciato un vuotogrosso così. Le sue note ci girano perla testa mentre mangiamo, mentresiamo nel traffico, persino mentre ve-diamo in tivù per l’ennesima volta“L’aereo più pazzo del mondo”, checi lascia tristi come il congresso di unpartito italiano. Ma come dicevaZappa, music is the best, non c’èmodo migliore di ricordarlo che suo-nare i suoi dischi. Il suo ultimo la-

    Un viaggio fra Anni Sessanta e Anni Ottanta alla riscoperta dei suoi album più importanti

    8 FDS 216 ▼ In Copertina • di Mauro Bragagna

    Le età di Lou Reed…

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    voro, Lulu, lo abbiamo messo in co-pertina e anche i titoli della maturità,da Ecstasy a See The Twilight Ree-ling, dischi che hanno sempre tro-vato posto in queste pagine,meritano di essere riscoperti. Il LouReed degli ultimi decenni è un mu-sicista che ha scoperto la perfezione,raggiunta quando non c’è più nullada togliere, la sua musica si è fattasempre più essenziale, a volte anchenei live. Pensate al dimenticato - esottovalutato - Perfect Night/ Livein London del 1998 o alla reinven-zione di Berlin, forse il suo capola-voro solista, portato in tournée nel2006 e 2007 e raccolto nel bellissimoLive at St. Ann’s Warehouse. Vo-lendo celebrare Lou e la sua musicaoggi, ci siamo posti il problema dellareperibilità della stessa, parliamoovviamente di supporti fisici.Dando un’occhiata all’amata/odiatarete, abbiamo così scoperto che il vi-nile di Songs for Drella, l’omaggio aAndy Warhol (soprannominatoDrella per essere un po’ Dracula eun po’ Cenerentola, cioè Cinderella),si trova a 600 euro, un pazzo prova avenderlo addirittura a 6000 (sei-mila)! Metal Machine Music in vi-nile non si trova a meno di 100 euro,il cd doppio Poetry sta sui 50. La-sciateli lì. La sua musica si può go-dere con pochi spiccioli restando suititoli più noti, anche quelli che si tro-

    vano al centro commerciale, tantocon Lou non si sbaglia mai, tolti unpaio di album degli Anni Ottanta, sesi cerca la bellezza anche lungo i sen-tieri più impervi. Come ci ricordaLaurie Anderson: “è morto domenicamattina guardando gli alberi ed ese-guendo la famosa forma 21 del TaiChi, con le sue mani da musicista chesi muovevano nell’aria. Lou è statoun principe e un combattente e soche le sue canzoni sul dolore e la bel-lezza del mondo riempiranno moltepersone con la gioia incredibile chelui provava per la vita. Lunga vitaalla bellezza che arriva dall’altoverso di noi e ci attraversa.”

    “The Velvet Underground andNico”, 1967. Prodotto da Andy War-hol.

    Ventisei dollari in mano/ all’altezzadi Lexington 1-2-5, mi sento sporco emalato, più morto che vivo/ stoaspettando il mio uomo/ ehi ragazzo

    bianco, che ci fai in questo quar-tiere?/ stai facendo la corte alla no-stre donne?/ Scusi signore, non mipassava neanche per la testa/ stosolo cercando un caro amico (“Wai-ting for My Man”)

    È opinione diffusa che le opere primeabbiano sempre qualcosa di unico edi speciale. È un luogo comune, pen-sate ai dischi d’esordio di Beatles,Dylan e Rolling Stones, sono benpoca cosa rispetto alle meraviglie chehanno pubblicato in seguito. Ma l’al-bum con la banana sì, è proprioun’altra storia, è un piccolo miracolo(dai semi cattivi). Anche se all’epocafu un clamoroso insuccesso nono-stante Andy Warhol, autore della ce-lebre copertina, che nella versioneoriginale, e nelle ristampe più chic,prevede la possibilità di sollevare labuccia gialla lasciando intravedereuna polpa insolitamente fucsia. Gra-fica a parte, la “produzione” delMaestro della pop-art fu solo nomi-

  • nale, della serie “suonate quello chevolete che io ho mille cose da fare”.La musica di The Velvet Under-ground and Nico, realizzato nel 1966e pubblicato nel 1967, evoca però ilsuo mondo e se pensiamo a quelloche si suonava in quei giorni lasciaancora oggi esterrefatti, storditi, sgo-menti. Per la prima volta un disco dirock’n’roll non ambisce ad esseresolo un oggetto da consumare piace-volmente, ma ha la pretesa di essereun’opera d’arte. E’ musica per adulti,ha sempre insistito molto su questoconcetto, Lou Reed, ed è difficile dar-gli torto. Questo articolo lo vuole ce-lebrare, ma certo non possiamodimenticare che i Velvet Under-ground erano anche altro, a partiredalla voce decadente di Nico per ar-rivare alla viola distorta del galleseJohn Cale, musicista colto e raffinatovicino ai suoni contemporanei di LaMonte Young, mentre Reed avevauna vocazione per il rock e persinoper il pop, anche se deviante. Rimaneil fatto che tutte le canzoni sono fir-

    mate dal Nostro, e non si può pre-scindere dalla sua chitarra nervosamentre racconta di un ragazzo con isoldi in mano in cerca di uno spac-ciatore, l’uomo del titolo (Waiting forMy Man), chitarra che diventa dis-sonante e selvaggia come il jazz piùcomplicato in European Song (haiammazzato il tuo figlio europeo, hai spu-tato su chi ha meno di 21 anni), omag-gio al poeta Delmore Schwartz,mentre è meno devastante, musical-mente, l’omaggio al romanzo di vonSacher-Masoch “Venere in Pelliccia”(Venus in Furs, “lucidi stivali di cuoio,schiocco di frusta di una donna-bambinanel buio”). Sì, quello che ha ispiratol’ultimo film di Polanski… TheBlack Angel’s Death Song è così tor-bida che, quando i Velvet la suona-rono dal vivo, furono licenziati dalproprietario del locale la sera stessa;della crudezza di Heroin si è giàscritto anche troppo, il titolo dicetutto. Il melodico, meravigliosobrano d’apertura, cantato da un Louirriconoscibilmente dolce, ha una

    melanconia di fondo che ti entra den-tro come un bisturi. E’ la celebre Sun-day Morning, che mentre finge dicelebrare il giorno di festa ci ricordache “la domenica mattina sono solo glianni sprecati, che ti incalzano”. Undisco ispiratissimo, di più: un capo-lavoro che ci mostra la faccia oscuradella luna, qualche anno prima deiFloyd.

    Lou Reed, “Transformer”, 1972. Pro-dotto da Mick Ronson e DavidBowie.

    Holly è arrivato da Miami, in Flo-rida, ha attraversato l’America inautostop, lungo la strada si è depi-lato le sopracciglia, si è rasato legambe ed è diventato una lei (“Walkon the Wild Side”).

    Il suo primo album “solo” era pas-sato quasi inosservato, mentre i di-schi dei Velvet Underground, cheoggi sono celebrati in tutte le classifi-che dei dischi più belli di sempre,erano stati un insuccesso di pubblicosenza se e senza ma. A questo puntola carriera di Lou Reed sembra a unpasso dalla fine, pareva pronto ascomparire come uno Sly Stone, maquando tutto sembra perduto entrain scena un ragazzo inglese che sta

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  • sconvolgendo Londra, David Bowie,un artista che deve molto a LindsayKemp e altrettanto alle canzoni diLou scritte per i Velvet Under-ground. Così decide di proteggere evalorizzare il suo sfortunato maestro,producendo quello che sarebbe di-ventato l’unico disco di Lou Reed aentrare nella Top-Ten, Transformer,con riferimenti al travestitismo e al-l’ambiguità sessuale evidenti giànella copertina, tanto che in Italia,nelle prime edizioni, fu parzialmentecamuffata con effetti comici. È ildisco glam di Lou, tutto lustrini e co-lori sgargianti, che sotto la patina ef-fervescente nasconde le ombre ed ivizi del passato. Persino la sua can-zone pop perfetta, e formalmente lo èdavvero, è ancora un’ode alle droghepesanti, Perfect Day (“proprio unagiornata perfetta, mi ha fatto dimenticareme stesso”), e in Walk on the WildSide, caratterizzata da un basso edun sax da giacca e cravatta, descrivei personaggi che bazzicavano la Fac-tory di Andy Warhol. È la sua can-

    zone più celebre, nonostante la pe-santezza delle situazioni descritte edun gioco di parole sul sesso alla BillClinton. Anche Vicious non è male,per gli standard dell’epoca: ”ti calpe-sto le mani e ti stritolo i piedi, non sei iltipo di persona che vorrei conoscere, per-ché sei un vizioso”. Meno fosca l’at-mosfera di Satellite of Love, scrittaai tempi dei Velvet, dove il tema èsemplicemente la gelosia di unuomo, descritto mentre osserva illancio di un satellite alla tv. Memora-bili i cori di David Bowie, bravissimoalla produzione insieme all’insosti-tuibile Mick Ronson, anche se la suapersonalità ha forse finito per snatu-rare un po’ la musica, alcuni episodifra il cabaret ed il vaudeville sonopiù vicini al glam di Ziggy che allevisioni di Lou Reed, tanto che finìper prenderne le distanze. Ma in que-sta sede non si poteva saltare l’albumcon la copertina alla Frankenstein,nel bene e nel male rimane una tappaobbligata.

    Lou Reed, “New York”, 1989. Pro-dotto da Lou Reed e Fred Maher.

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  • Pedro vive accanto al WilshireHotel/ guarda fuori da una finestrasenza vetri/ i muri sono di cartone/ha dei giornali sotto i piedi/ e suopadre lo picchia perché è troppostanco per mendicare/ ha nove fra-telli e sorelle/ cresciuti da sotto-messi/ è difficile correre con le gambepiene di frustate/ Pedro sogna di es-sere più vecchio e di uccidere suopadre. (“Dirty Blvd.”)

    Storicamente Transformer è il suoalbum più importante, ma il “vero”Lou Reed si nasconde in altri lavori,come Street Hassle, Berlin o Magicand Loss. Oppure nel brillantissimoNew York, che non ha singoli por-tentosi come quelli sopra citati ma

    conquista nell’insieme. Proprio comedesiderava Lou, che sulle note di co-pertina scrive che è stato pensato peressere ascoltato nella sua interezza,14 canzoni per 58 minuti di musica,“stando seduti come se fosse un filmod un libro”. La produzione è splen-dida: la chitarra di Lou esce dal dif-fusore destro e quella di Mike Rathkedal sinistro, il basso è di Rob Wasser-mann, la batteria di Fred Maher, main un paio di tracce c’è la Maureen“Moe” Tucker dei Velvet Under-ground, a certificare un ritorno allasemplicità degli esordi. Come autoreLou è in stato di grazia, descrive laNew York dell’epoca in un affresco atinte fosche, ma realistiche: anche laGrande Mela descritta da Holly-

    wood non è quella dei dépliant turi-stici, sembra Gotham City... Ilrock’n’roll di Lou Reed è tutto da leg-gere. Il portoricano Romeo Rodri-guez si “fa” Giulietta (Romeo HadJuliet), l’elenco dei morti per Aids siallunga sempre più (Halloween Pa-rade), i reduci del Vietnam sono ab-bandonati a se stessi (Xmas inFebruary), i genitori non sanno edu-care i figli (Beginning of a Great Ad-venture), la società ti schiaccia e deviresistere (Hold On) e avere fede (Bu-sload of Faith) se non vuoi soccom-bere. Anche perché la politica è iltrionfo dell’ipocrisia, rappresentatada un Segretario delle Nazioni Uniteex nazista come Kurt Waldheim(Good Evening Mr. Waldheim), econsente a chi manovra milioni didollari di dimenticarsi degli ultimi(Strawman). E’ un Lou Reed dallosguardo profondo e distaccato, chedopo aver imparato a tenere a bada isuoi demoni può permettersi di in-ventare vere e proprie parabole mo-rali, evocando simbolicamente laGrande Balena Bianca di melvillianamemoria, il cui ultimo esemplare èucciso da un riservista che tiene il ba-zooka in salotto (Last Great Ameri-can Whale). E’ un mondo difficile espietato, quello di New York, ma labellezza forse ci salverà. L’ultimadelle quattordici canzoni è quindi unomaggio a Andy Warhol (DimeStory Mistery), un anticipo dell’al-bum che gli dedicherà insieme a JohnCale (Songs for Drella). Uno deitanti da non farsi mancare, da recu-perare senza fretta: Lou Reed non la-scia eredi.

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