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Carlo Carletti L'ORIGINE DELLA PRASSI EPIGRAFICA DEI CRISTIANI NELL'AREA RAVENNATE: MITOGRAFIA E REALTÀ STORICA 1. Nell'area adriatica la produzione epigrafica di età medio e tardo-imperiale propone problemi ancora insoluti e comunque ampiamente dibattuti, che possono essere osservati ed eventual- mente riconsiderati alla luce dei metodi e delle acquisizioni matu- rate nell'ultimo trentennio nell'ambito della storia delle "origini cri- stiane". Uno dei temi centrali di queste indagini - di cui si coglie eco anche nella attuale produzione mass-mediale - è stato, ed è tuttora, quello della individuazione e della comprensione (non precompren- sione) dei processi che, nel corso del II secolo, condussero alla pro- gressiva costituzione di quelle realtà storico-religiose convenzio- nalmente definite come "cristianesimo nonnativo" e "Grande Chie- sa": due concetti storiografici ovviamente interdipendenti e tra loro complementari. Tra questi processi ruolo nevralgico è stato riconosciuto al pas- saggio da una struttura composita delle comunità (forse di tipo "federativo") ad una struttura unitaria, coesa, a goveo "episcopa- le monarchico", appunto la Grande Chiesa. Si trattò di un muta- mento epocale che - come ancora di recente sottolineava Simonet- ti - "fissò per lungo tempo a venire le caratteristiche fondamentali della struttura e della organizzazione delle chiese" 1 : alla costella- zione di piccoli gruppi minoritari (definiti significativamente "Mighty Minorities" nella letteratura anglosassone) 2 viene sosti- tuendosi, in un processo di progressivo assorbimento (o di esclu- sione), una comunità maggioritaria, gerarchicamente articolata, che, nella propria area di insediamento e di influenza, si riconosce e si propone come la sola legittima, dal punto di vista dottrinale, disci- plinare, ecclesiale: di qui l'emergenza di una più definita identità, che si manista in vari modi e, nel corso del tempo, anche attra- verso specifiche strutture monumentali e contestuale documenta- zione epigrafica. Questo fenomeno, avviatosi tra la seconda metà I S1MONETTI 1994, p. 291. Migh Minorities 1995. 127

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Carlo Carletti

L'ORIGINE DELLA PRASSI EPIGRAFICA DEI CRISTIANI NELL'AREA RAVENNATE: MITOGRAFIA E REALTÀ STORICA

1. Nell'area adriatica la produzione epigrafica di età medio etardo-imperiale propone problemi ancora insoluti e comunque ampiamente dibattuti, che possono essere osservati ed eventual­mente riconsiderati alla luce dei metodi e delle acquisizioni matu­rate nell'ultimo trentennio nell'ambito della storia delle "origini cri­stiane".

Uno dei temi centrali di queste indagini - di cui si coglie eco anche nella attuale produzione mass-mediale - è stato, ed è tuttora, quello della individuazione e della comprensione (non precompren­sione) dei processi che, nel corso del II secolo, condussero alla pro­gressiva costituzione di quelle realtà storico-religiose convenzio­nalmente definite come "cristianesimo nonnativo" e "Grande Chie­sa": due concetti storiografici ovviamente interdipendenti e tra loro complementari.

Tra questi processi ruolo nevralgico è stato riconosciuto al pas­saggio da una struttura composita delle comunità ( forse di tipo "federativo") ad una struttura unitaria, coesa, a governo "episcopa­le monarchico", appunto la Grande Chiesa. Si trattò di un muta­mento epocale che - come ancora di recente sottolineava Simonet­ti - "fissò per lungo tempo a venire le caratteristiche fondamentali della struttura e della organizzazione delle chiese" 1

: alla costella­zione di piccoli gruppi minoritari ( definiti significativamente "Mighty Minorities" nella letteratura anglosassone) 2 viene sosti­tuendosi, in un processo di progressivo assorbimento ( o di esclu­sione), una comunità maggioritaria, gerarchicamente articolata, che, nella propria area di insediamento e di influenza, si riconosce e si propone come la sola legittima, dal punto di vista dottrinale, disci­plinare, ecclesiale: di qui l'emergenza di una più definita identità, che si manifesta in vari modi e, nel corso del tempo, anche attra­verso specifiche strutture monumentali e contestuale documenta­zione epigrafica. Questo fenomeno, avviatosi tra la seconda metà

I S1MONETTI 1994, p. 291.

Mighty Minorities 1995.

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del II secolo e l'inizio del III secolo nei grandi centri di prima evan­gelizzazione della ecumene mediterranea ( come ex. gr. Antiochia, Corinto, Smirne, Alessandria, Roma,), è ragionevolmente presumi­bile che, nelle sua dinamiche fondamentali, si fosse riprodotto anche altrove, naturalmente in modi e tempi diversificati da luogo a luogo 3

2. Non mi sarei soffermato su questa premessa se anche nellericerche storico-epigrafiche dell'area adriatica, non fosse emersa l'istanza - in sé legittima - di ricercare nella documentazione epi­grafica elementi specificamente "identitari" di segno cristiano riconducibili ad età precostantiniana, o addirittura coevi alla fonna­zione della "Grande Chiesa".

Per non restare nello spazio vago e dispersivo di una ricerca a tutto a campo, difficilmente controllabile e gestibile - almeno per me - nella vasta e tipologicamente articolata documentazione epi­grafica dell'area adriatica, circoscrivo il raggio d'azione in un ambi­to più definito nei suoi confini spaziali.

Tra le esemplificazioni selezionabili, quella offerta da alcune iscrizioni funerarie dell'area classense-ravennate si rivela a mio parere come particolarmente significativa, anche perché, al di là di particolari aspetti di merito, si propone come sperimentale terreno di verifica in relazione al dibattito storiografico e metodologico cui ho sopra accennato.

L'interesse scientifico per questo complesso epigrafico, come per molti altri dell'Orbis christianus antiquus (a cominciare natu­ralmente da Roma), si avvia con un saggio di G. B. de Rossi 4. Obiettivo dichiarato era quello della ricerca di "indicatori" (palesi o nascosti) riconducibili, sulla scorta del "modello romano", ad un ipotetico Urchristentum che seppure - come si riteneva - "negato" dalla selezione del tempo o "mimetizzato" nelle sue manifestazioni materiali, trovava la sua legittimazione nel supporto offerto dalla produzione agiografica e dalle ricostruzioni ideologicamente strate­giche, come le raccolte delle biografie episcopali (nel caso specifi­co il Liber Pontifzcalis Ecclesiae Ravennatis). Si trattava in defini­tiva di ricostruire un tessuto connettivo che airivasse a comprende­re anche le "origini", osservate però e ridefinite attraverso la lente defonnante di categorie culturali e ideologico-religiose maturate in

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) S1MONETTI 2006, pp. 30-31.4 DE Rossi 1879, pp. 98-132.

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L'ORIGINE DELLA PRASSI EPIGRAFICA DEI CRJSTIANI NELL'AREA RAVENNATE

epoche successive e perciò anacronistiche nei riguardi di un passa­to remoto.

In tale prospettiva - agli occhi del de Rossi - le iscrizioni fune­rarie e in particolare quelle giudicate "più vetuste e adorne di arcai­ci simboli e di figure allegoriche di antico stile" 5 potevano poten­zialmente proporsi come solida base documentaria. Di qui il ricor­so a quella strumentazione critica - già elaborata e definita nella "fucina romana" - funzionale a distinguere, a Classe come altrove, le iscrizioni cristiane da quelle prodotte dalla prava superstitio, per usare un'espressione tipica di de Rossi.

Matrice cristiana veniva così riconosciuta ad immagini, formu­le, termini in sé generici e comunque polisemici, ben radicati nella tradizione della prassi epigrafica romana. Nell'ambito degli appara­ti figurativi venivano valorizzati il pesce, l'ancora, il crioforo, le tematiche idillico-bucoliche, l'orante, i motivi geometrici stellari o petaliformi letti come improbabili e anacronistici segni cristologici dissimulati 6; nell'ambito testuale, termini formulari come memoria, discessit, reddidit, refrigerium/refrigerare, mensa ( soprattutto in Africa), domus aeterna/aeternalis, il ricordo del dies mortis e l'e­spressa menzione della depositio 7

• Questi ed altri elementi, tutti riconducibili per de Rossi e i suoi epigoni alla atavica tradizione dei cristiani (sollemni Christianis more) 8, poco o nulla avevano in comune con le specificità che gli si volevano riconoscere.

Gli esiti raggiunti dalle ricerche di de Rossi lasciarono un segno indelebile nelle ricerche successive: la sua ricostruzione d'al­tronde, almeno sul piano formale, si proponeva come una geometria plausibile anche perché coerente con la sua forma mentis, con la prevalente cultura antichitistica del tempo, con l'ambiente ideologi­co in cui operava (la Roma di Pio IX). Salvo rare eccezioni (Bruun, parzialmente, Deichmann e Picard) 9, il consenso ai suoi risultati fu sostanzialmente unanime: dall'editore del CIL XI (E. Bormann), agli specialisti specifici dell'area ravennate (Mazzotti, Bovini, Parioli, Mansuelli, Budriesi) e fino a Ferma che, nel suo fondamen-

5 DE Rossi 1879, p. 100. 6 Per la fortuna di questi elementi iconografici e in particolare per l'immagine del

crioforo basti rimandare ai classici studi di KLAUSER 1958; KLAUSER 1962, nonché alla ras­segna critica di BRuuN 1963, pp. 73-160 e alla specifica monografia di Sc1-1uMACHER 1977, pp. 59-173, tavv. 20-26.

7 CARLETTI 2006, part. pp. 91-96. ' JC, I, n. 5 p. I O.' BRUUN 1968; DEICI-IMANN I 976, p. 356; PICARO I 988, pp. 128- I 29.

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tale studio sull'epigrafia precostantiniana presentato al Congresso Internazionale di Archeologia Cristiana del 1975 riproponeva la cri­stianità di almeno due delle stele classensi richiamandosi esplicita­mente ali' auctoritas ,naiorum cioè a de Rossi e Bormann: "a Ravenna- scriveva Ferrua- ci restano due cippetti fastigiati del pri­mitivo cimitero classense, che si devono annoverare tra le iscrizio­ni precostantiniane, quello di Valeria Maria e quello di Antifonte. Io li ho riveduti attentamente nel Museo di Ravenna e convengo pie­namente con il giudizio del Bormann e del de Rossi" (vd. App. nn. 1-2) 10

• In questo consenso generalizzato si inserisce anche la piùnota delle sillogi di iscrizioni paleocristiane, quella di E. Diehl, allaquale, come è normale, attingevano e attingono a piene mani stu­diosi di ambiti contigui a quello specificamente epigrafico e, quin­di, meno avvertiti alla verifica della estrazione e del carattere di untesto epigrafico.

3. Nell'esordio del suo studio sul "primitivo cimitero cristianodi Ravenna" ( così lo definisce), e sulle sue iscrizioni, de Rossi dichiarava espressamente di aver posto mano ad "un fatto impor­tante" che "non essendo stato finora esaminato, merita attenta inda­gine al lume degli odierni progressi della scienza e delle ricerche storiche e topografiche circa i monumenti delle singole chiese" 11

Oggetto specifico della ricerca erano le stele di Valeria Maria e di Antiphons (App. nn. 1-2) provenienti dai cimiteri di Classe (più pre­cisamente dell'area detta della basilica Probi), nonché quella, ora perduta, e probabilmente proveniente dal medesimo contesto, di Didia Hilaria (App. n. 3). In particolare nell'epitaffio di Valeria Maria de Rossi - e in seguito molti dei suoi epigoni - credeva di cogliere una sorta di condensato "storico" della primitiva cristianità classense. Oltre alla formula incipitaria memoria, ad un cerchio radiato (letto come segno cristologico), all'immagine di due pesci affrontati, venivano particolarmente valorizzati i due termini soror e coniunx, che avrebbero nascostamente indicato, non una fratel­lanza civile per adozione disciolta prima del matrimonio, ma una situazione maturata in un contesto cristiano: il dedicante dell'iscri­zione, assunto al presbiterato, avrebbe, in conseguenza di ciò, attri­buito alla consorte Maria il titolo di soror senza peraltro rinnegare quello precedente di coniunx e, in tale direzione, veniva anche letta

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IO FERRU/\ 1978, pp. 599-600.

" DE Rossi 1879, p. 100.

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L'ORIGINE DELLA PRASSI EPIGRAFICA DEI CRJSTIANI NELL'AREA RAVENNATE

la formula contratta in clausola di epitaffio: v(irginius) v(irginiae) pos(uit) in luogo dell'ovvio formulare v(i)v(us) pos(uit). A sostegno di questa interpretazione - che implicitamente dava per scontato l'esistenza di una anacronistica gerarchia articolata e già regolata sul piano disciplinare - venivano richiamate testimonianze poste­riori di un paio di secoli, come quelle di Girolamo, Paolino di Nola, Idazio di Aquae Flaviae 12 o come quella, particolarmente valoriz­zata da de Rossi, ma chiaramente seriore e altrimenti ignota, e già rigettata da Desiderio Spreti, secondo cui della moglie del ravenna­te vescovo Severo si sarebbe detto uxor in sororem versa 13•

Nell'altra stele, quella di Antifonte, la committenza cristiana, oltre che dalla presenza di un crio foro (letto come Buon Pastore) 14, veniva individuata nell'espressione .fratri dulcissimo da collegare piuttosto "alla generale fratellanza cristiana" che non "ai fratelli di sangue del defonto" 15

: questa conclusione fu accolta dalla critica successiva senza riserve ed anzi arricchita da ulteriori specificazio­ni che concorrevano a riconoscere nell'atto dedicatorio non l'azio­ne di un singolo consanguineo ma della comunità tutta, dell' eccle­sia .fratrum ir,_ A questa stele de Rossi avvicinava quella di Didia Hilaria (App. n. 3) "per la formola assoluta memoriae segnata in principio in luogo della dedicazione dis Manibus" 1 7, ma gli sfuggi­va evidentemente che qui memoriae non è usato in senso assoluto (meglio si sarebbe dovuto dire brachilogico) ma è inserito in un costrutto dedicatorio incipitario.

12 DE Rossi 1879, p. I 08. Le citazioni riportate sono H1ER. Ep. 71, 3: CSEL 55, p. 4 in riferimento alla moglie del suo interlocutore epistolare Lucino (non Luciano come scrive de Rossi): Habes tecum prius in carne, nunc in spirito sociam. de coniuge germa­nam., defemina virum, de subiecta parem. ... ; cfr. anche. Ep. 75, 2: CSEL 55, p. 31: Unde obsecro te ... ut Lucinum tuum desideres quidem ut.fi·atrem, PAuL. NoL., Ep. 31, l, in rife­rimento a Terasia moglie di Paolino: misit conserva communis; HvoAT1vs LEM1cvs, Chro­nicon 81, a cura di A. TRANov: se 218, 1, p. 126: ... Terasia de coniuge facta soror.

13 SPRET1 1489, I, p. 243 n. 181. Di questa notizia relativa a "S. Severo vescovo ... di Ravenna", che, a quanto scrive De Rossi, deriverebbe dal Chronicon di ldazio (citato nella edizione del 1787 di T. RoNCALL1), non c'è traccia alcuna nella già citata edizione del Chronicon curata da A. TRANOY in se 218-219, Paris 1974.

14 Bov1N1 1965, p. 60 secondo il quale l'iconografia del Buon Pastore che tiene con ambedue le mani le zampe dell'ariete non "si ritrova nelle più antiche raffigurazioni"; Sc1-1uMACHER 1977, pp. 59-173, tavv. 20-26 nega carattere cristiano alla stele di Antifonte e, documenta, inoltre che l'iconografia del crioforo che tiene con le due mani l'ariete, è già ampiamente documentato a partire dal I millennio a.e.

15 DE Rossi 1879, p. 104. '" BOVINI 1964, p. 44. 17 DE Rossi 1879, p. 105.

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In questa direzione furono successivamente riconosciute come cristiane anche altre stele di Classe: quella di Lesuria Iustina (App. n. 5) in ragione dell'immagine di due colombe affrontate pur in pre­senza negli acroteri dell 'adprecatio agli dei Mani e quella diM(arcus) Aurelius Marcellinus (App. n. 4) per la presenza negliacroteri di m(e)m(oria) e nel centro del timpano di due pesci affron­tati e di una losanga attraversata da due diagonali lette come croce:la convergenza di questi presunti elementi di estrazione cristianaindusse - credo "incautamente" - a cogliere "un senso diversamen­te affettivo" 18 nel comunissimo - e assolutamente neutro - epitetodulcissimus rivolto al defunto.

4. Sullo sfondo della generale facies che contrassegna la pro­duzione epigrafica funeraria proto e medio imperiale, uno sguardo di insieme alle oltre cento stele di Classe pubblicate nel catalogo di Mansuelli può essere già sufficiente, per individuare almeno due aspetti non irrilevanti in direzione di un giudizio complessivo non condizionato da "precomprensioni" 19

• Per un verso si deve prende­re atto dell'assenza di visibili, definiti e incontestabili elementi spe­cificamente identitari di segno cristiano, sia sul piano testuale sia su quello degli apparati figurativi; per l'altro si deve, viceversa, regi­strare la presenza di un repertorio testuale e figurativo complessi­vamente "normativo" in relazione alla generale prassi epigrafica funeraria romana del 11-111 secolo nella quale, peraltro, sembra obiettivamente arduo intravedere tracce di un "linguaggio nasco­sto" 20

, che pure è stato ipotizzato in direzione di una lettura cristo­logica: così per il crioforo, per gli elementi geometrici puramente decorativi come i cerchi a spicchi o per immagini di genere come quella dei pesci affrontati che peraltro, proprio a Classe, popolata da marinai della flotta imperiale, poteva direttamente trovare il più congeniale motivo di ispirazione, in una dimensione assolutamente profana 21

• E tuttavia in questo presunto carattere esoterico, rivendi-

'" MANSUELLI 1967, p. 86 n. 77; ma P1Ern1 1997, pp. 160-161 ha dimostrato che rispetto al positivo dulcis, il superlativo dulcissimus è maggiormente attestato nella prassi epigrafica dei gentili che non in quella dei cristiani.

19 MANSUELLI 1967; per un'aggiornata e criticamente vagliata panoramica sulla prassi epigrafica romana di Classe, vd. B0LuN1 1990, pp. 297-320; DONATI 1990.

20 Un indirizzo di ricerca largamente sostenuto e praticato, soprattutto in riferimen­to alla documentazione epigrafica, da L1ETZMANN 1927 e da GuARDucc1 1958; una argo­mentata rassegna critica di queste posizioni in BRuuN 1963, pp. I 06-107.

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21 MANSUELLI 1967, pp. 85-86; SouN 2004, pp. 200 n. 5, 216-217, 219, nt. 67,

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L 'ORJGINE DELLA PRASSI EPIGRAFICA DEI CRJSTIANI NELL'AREA RAVENNATE

cato in particolare da Mansuelli 22, si è voluto cogliere un termine di

confronto confermativo anche in riferimento a realtà esterne, come si può osservare in una ricerca su alcune stele funerarie di Roma, nella quale - forse frettolosamente - si è ribadito che nel territorio ravennate "è stato messo opportunamente in rilievo il carattere crip­tocristiano di alcune stele, che si iscrivono fra le più antiche testi­monianze cristiane di tutto il settentrione d'Italia" 23

• Un'afferma­zione indubbiamente "impegnativa", anche perché diretta a ricono­scere una committenza cristiana ad un gruppo di stele urbane che recano la menzione di un collegium quod est in domo Sergiae Paul­linae 24

• Esempio illuminate di una procedura critica di tipo "com­binatorio" in virtù della quale due ipotesi puramente virtuali e non documentate, in reciproca integrazione, conducevano ad una cer­tezza.

5. Quanto emerso dall'analisi delle stele di Classe si proponecome una esemplificazione - in area adriatica - di un fenomeno di ordine più generale, diffusamente verificabile nel più ampio oriz­zonte mediterraneo, nel quale sono numerosi ( anzi si potrebbe dire maggioritari) centri urbani o più estesi ambiti territoriali nei quali non emerge traccia alcuna di testimonianze epigrafiche di età pre­costantiniana attribuibili con sicurezza a committenza cristiana.

richiamando la posizione di L1ETZMANN 1927 che qualificava come "kryptochristliche" elementi, evidentemente non immediatamente percepibili nella loro estrazione ideologi­co/religiosa, come pesce, àncora, corona, palma, sottolinea come il concetto di criptocri­stianesimo possa rivelarsi particolarmente fuorviante nella sua applicazione alla produzio­ne epigrafica.

22 MANSUELLI 1967, pp. 85-86. 23 S0Ro1 1979, p. 142. In questa linea si inserisce anche quanto affermato - ancora

nel 2006 - da Deborah MAuSKOPF DEuYANN1s, in LPR p. 94 secondo cui: "Archaeologi­cal evidence from cemeteries of Classe shows a Christian presence from the late second century". Secondo BRuuN 1968, p. 436 la stele di Valeria Maria "indica che (scii. a Clas­se) la vita ecclesiastica era già stata organizzata"; per la stele di Antifonte BuoR1Es1 1970, p. 95 richiama la mutila lastra milanese di Armenius Peregrinus v. c. (da identificare conl'eponimo del 244, Ti. Pollenius Armenius Peregrinus di C/L VI, 1351 ), che è certamen­te da annoverare tra le testimonianze pagane come indicato anche da Cusc1To 1984-85, pp.153-154; Bov1N1 1970, pp. 7, 125 viceversa riteneva che questo insignificante frammentofarebbe "risalire all'inizio del Ill secolo l'istituzione della chiesa milanese come entegerarchico organizzato (sic!)"; anche FERRUA 1978, p. 600 sulla scorta di Mommsen (C!LVI, 6181; ILCV 147 adn) la considera cristiana.

24 Peraltro già PANCIERA, B0NF1ou 1971-72, avevano tempestivamente provveduto - con ineccepibili argomentazioni - a ricondurre queste stele in partibus infìdelium, comeavrebbe detto de Rossi.

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Il problema allora - lo si sarà compreso - non è o non è più quello della ricerca "ad oltranza' di specifici elementi identitari da ricercare financo nelle pieghe del fogliame degli alberi di un appa­rato figurativo ( alludo alla stele di Antifonte) 25

, ma piuttosto quello di fornire una spiegazione coerente ad assenze e silenzi che occor­rono con tale regolare sistematicità, da apparire né casuali né evi­dentemente frutto della selezione del tempo, come pure talvolta si è insinuato. In questa direzione le revisioni critiche dell'ultimo qua­rantennio hanno consentito di mettere a fuoco almeno due dati fon­damentali, che - a mio parere - possono quantomeno concorrere a liberare da una statica dimensione "autoreferenziale" i problemi connessi alla definizione identitaria delle aree funerarie classensi e alla contestuale prassi epigrafica: a- le testimonianze più antiche - appunto della prima metà del III

secolo o comunque precostantiniane - pur nella loro inconte­stabile evidenza non sono meccanicamente esportabili come"modelli normativi" nel generale panorama dell'Orbis chri­stianus antiquus. Per l'età precostantiniana, realtà monumenta­li ed epigrafiche di accertata commitenza cristiana, e con pro­prie specificità identitarie (interne al documento epigrafico o alcontesto monumentale di appartenenza), sono riscontrabili allostato attuale in ambiti territoriali nei quali una convergenza didati di diversa natura testimonia un già avviato processo dievangelizzazione e di organizzazione, come si può osservare,oltre che a Roma, in Africa (ad Hadrumetum e Cartagine), inFrigia, in Sicilia (Siracusa), a Napoli, dubitativamente nell'E­truria meridionale (Chiusi);

b- prima della fine II-inizio III secolo, e dunque in una fase pre­cedente o immediatamente sincronica a quella della progressi­va formazione della "Grande Chiesa', non esistono sicure atte­stazioni di sepolcreti di proprietà o di esclusivo uso dei cristia­ni. Per questa epoca non si può che ipotizzare una fase di"indifferenziazione" nella quale le prime comunità cristiane(Households) - laddove sia possibile almeno sospettarne l'esi­stenza - si servivano degli "abituali cimiteri non cristiani",

25 MAzzo-rT1 1968, p. 469 dichiara infatti che "Il piccolo uccello, che dall'albero di sinistra di chi guarda, spicca il volo verso il pastore con la pecorella sulle spalle, dovreb­be esser un'ulteriore prova dell'origine cristiana di questa stele (scii. di Antiphon"), senza però spiegarne le ragioni; va oltre Luc1AN1 1987, p. 14 il quale sull'albero, oltre a scorge­re, "un uccello mimetizzato nel fogliame" vede anche la testa di un serpente "nell'atto di colpirlo con la lingua".

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L'ORIGINE DELLA PRASSI EPIGRAFICA DEI CRISTIANI NELL'AREA RAVENNATE

senza che in essi, salvo rarissimi casi ( cinque esemplari), emer­gessero specifiche identità consegnate al medium epigrafico 26•

Una situazione, in definitiva, che sembra corrispondere al carattere "composito" della cristianità delle origini, nel cui ambito non vi erano i presupposti né ideologici, né ecclesiali, né economici, né organizzativi per la creazione di aree sepol­crali specificamente connotate e di proprietà o di esclusivo uso della comunità, così come non esistevano ambienti definiti sta­bilmente destinati all'assemblea 27• In questo quadro di storia globale difficilmente può trovare spazio l'ipotesi di un "proto­cristianesimo" classense-ravennate collocabile nell'ambito temporale del II-III secolo. Allo stato attuale pertanto, una pre­senza cristiana non sembra potersi anticipare prima della metà del IV secolo, come sembra indicare una convergenza di dati, di diversa natura ed estrazione, tra loro reciprocamente compa­tibili, che sintetizzo nei seguenti punti: I- la presunta cristianità delle stele classensi altro non è se

non la proiezione di un cono d'ombra di un "dopo" su un"prima" storicamente inaferrabile; una posizione giustifi­cabile al tempo del de Rossi, più difficilmente comprensi­bile alla luce della attuale critica storico-epigrafica; néperaltro nell'ambito delle necropoli classensi, la cui loca­lizzazione ed estensione a partire dalle indagini degli anni'60 si va sempre meglio definendo, sono emersi elementidi corredo funerario indicativi di una presenza cristiana 28;

II- nella complessiva documentazione storico-archeologica­epigrafica dei primi tre secoli non vi sono elementi chepossano far sospettare una presenza ebraica, che, come sipuò constatare in altre aree, si è in più di un caso proposta

2" Non a caso le eccezioni cui facevo riferimento, in significativa sintonia con la

documentazione letteraria (Giustino, Ireneo, Ps. Ippolito, Eusebio), concorrono ad indica­re a Roma l'esistenza di diversificate e autonome minoranze che anche attraverso il

medium epigrafico trasmettono la loro estrazione, ma in questo caso - è bene sottolinear­lo - con elementi ben definiti e incontrovertibili: si tratta di tre iscrizioni della via Latina relative a comunità gnostico-valentiniane e di due titoli della via Appia riferibili ad una domus di estrazione etnica - come sembra - di ispirazione paolina: nell'un caso e nell'al­tro siamo comunque di fronte a gruppi certamente cristiani: cfr. CARLETTI 2006, pp. I 13-116.

27 CARLETTI 2006, pp. 116-119. 28 FAR1ou 1963; Bov1N1 1969 e soprattutto i recenti contributi di LAs1 2002;

AucENT1 2005, passim; AucENTI 2007a, passim.

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come una delle precondizione che favorirono la costitu­zione delle comunità cristiane;

III- la prima notizia storicamente fondata di una Èmoxon:Élocale è del tempo del concilio di Serdica del 343-44, cuiappunto partecipò il presule Severo, morto prsumibilmen­te intorno al 346/348, e quindi deposto a Classe - così sipresume - nel cd. Sacellum I: un sepolcro di carattere gen­tilizio che Severo evidentemente se vivo fecit, se è vero -come tramandato da Agnello - che in esso furono depostela moglie e la figlia a lui premorte 29

;

IV- la più antica iscrizione di sicura committenza cristiana -quella di Anastatsius il cui dedicante Fl Felix si dichiaraex pr(aefecto) ann(onae) Afr(icae) pr(ovinciae) -, contra­riamente da quanto sostenuto da de Rossi che la ritenevadella prima metà del IV, non è anteriore al primo venten­nio del V secolo (App. n. 8) e all'incirca alla metà dellostesso secolo risale quella dell'africano Caius Zobonis(App. n. 7), la cui presenza a Classe, come anche quelladell'ex prefetto dell'annona della provincia africana, nonpuò certo ritenersi come casuale estemporaneità se sol siconsidera che il locale impianto portuale già a partire dallaprima metà del V secolo era ormai inserito in una rete discambi commerciali particolannente sviluppati propriocon gli scali della costa africana, come indicato dai rinve­nimenti delle indagini archeologiche riprese nel 2001(anfore per den-ate alimentari) 30

• Alla luce di questi dati ilteorema della estrazione protocristiana delle stele di Clas­se (tutte databili non oltre il III secolo) trova un'ulterioree - credo - insuperabile difficoltà. Come spiegare, infatti,

'" LPR 15, pp. 157-158. Il sacellum fu ristrutturato nel VI secolo e ripavimentato con un mosaico, nel cui tessuto, all'interno e all'esterno del mausoleo, furono inserite due iscrizioni - solo parzialmente conservate - che ricordano espressamente il vescovo Seve­ro, secondo una tipologia epigrafica che non è quella dell'epitaffio, quanto piuttosto quel­la di un titolo memoriale che "certifica la tradizione" del luogo che un tempo aveva accol­to le spoglie del presule: P1cARD 1988, pp. I 32-143.

30 AuGENT1 2006, p. 5; AuaENTJ 2007, p. 26 che sottolinea "l'impressionante quan­tità di anfore di grandi dimensioni, spatheia, ceramiche da mensa e lucerne, tutte di pro­venienza esclusivamente africana" ritrovate in un grande magazzino portuale ( corrispon­dente all'ambiente n. 17), distrutto da un incendio verso l'inizio del VI secolo.

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L'ORIGINE DELLA PRASSI EPIGRAFICA DEI CRISTIANI NELL'AREA RAVENNATE

una visibilità epigrafica cristiana nel III secolo, un lungo periodo di assoluto silenzio per tutto il secolo IV e quindi una ripresa all'inizio del V secolo? Rispondere a tale que­sito ricorrendo al comodo, ma discutibile, argomento della naturale selezione del tempo e dell'insondabile casualità dei ritrovamenti condurrebbe fatalmente a prendere atto che selezione e casualità avrebbero agito solo sulla produ­zione epigrafica del IV secolo rispaimiando invece quella del secolo precedente.

V- solo alla fine IV-inizio V secolo, e comunque nel contestostorico della nascita di Ravenna capitale, risale il più anti­co esempio di un'edilizia sacra ravennate-classense: ilcomplesso basilica-battistero promosso da Orso (primoquarto V secolo) 31 e dedicato alla Anastatsis.

Alla luce di queste sintetiche considerazioni l'ipotesi, che pure è stata avanzata, dell'esistenza nell'area ravennate-classense di una o più domus ecclesiae riveste tutti i caratteri della pura virtualità,come indicato dalla inconsistenza degli spunti da cui sembra averpreso le mosse, e cioè: i resti di una villa romana sotto l' ecclesiabeati Severi, realizzata in età adrianea e rimasta attiva fino al VIsecolo, interpretata come una ecclesia domestica 32

; il collegamentodi questa ipotetica "househohf' con la prisca domus menzionata daun'iscrizione di età seriore aggiunta a quella absidale del tempo diGiovanni II Romano (578-595), come tramandata da una copia delRubeus 33

; infine un passo del Liber Pontifzcalis Ecclesiae Ravenna-

31 Russo 2005, pp. 89-102, sulla scorta di Stein Deichmann, propende per la cro­nologia più antica che, oggettivamente, non appare più credibile e meglio argomentabile rispetto a quella dell'inizio del V secolo, sulla quale vd. da ultimo OR1ou 1997, e PCBE

Il, pp. 2361-2362. 32 L'ipotesi, formulata da BERMOND MoNTANAR1 1968, p. 73 e ripresa da MAzzoT­

TI 1968, pp. 466-467, nt. I O, non sembra abbia trovato accoglienza dalla critica, cfr. FAR10-u CAMPANAT1 1983, pp. 35-36, P,cARD 1988, p. 137 e AuGENTI 2007a, pp. 23-24 il qualerileva, in base agli esiti delle ultime campagne di scavo, che le strutture attribuite all'ipo­tetica sede di una ecclesia domestica, si riferiscono ad una villa rimasta in vita dall'etàadrianea fino al VI secolo, nella quale peraltro non è emerso indizio alcuno di una fre­quentazione cristiana.

33 RuBEus 1572, p. 178 che dovette averla copiata dal cod. Vat. Lat. 5834, una rac­colta di eterogenei materiali relativi alla storia di Ravenna scritti nel corso del XVI seco­lo e appartenuti a G. P. Ferretti(+ 1557): vd. su ciò LPR pp. 55-56 e nt. 83. Già Bormann (CIL XI, 301), in relazione ai sette versi aggiunti alla dedica originaria, annotava opportu­namente: "Subiungil illis versibus Rubeus hos, quos appare! aetate multo posteriore fac­tos esse"; secondo LANZON1 1910-11, pp. 350-351 questa aggiunta seriore potrebbe rife-

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tis, che credo meriti qualche riflessione. All'inizio della biografia del vescovo Orso, in riferimento alla edificazione della cattedrale e dell'annesso battistero, si fa esplicito riferimento ad una realtà tem­porale - non meglio definita - antecedente la realizzazione del primo luogo di assemblea della locale comunità: Iste primus hic ini­ziavit templum construere Dei, ut plebes christianorum, quae i n s ingul is teguri is vagabat, in u n u m o v i l e pi iss imus col­legeret pastor (LPR 23, p. 169). Qui l'espressione quae in sin­gulis teguriis vagabat che, per antitesi, rafforza il concetto dell'in unum colligere, fonnalizza la classica proiezione mentale dei parva initia, funzionale a sottolineare l'impresa edilizia del vescovo che pone la premessa anche materiale ( cattedrale e battistero) oltre che ideologica e simbolica di una seconda fondazione potremmo dire "istituzionale", dopo quella mitica del protovescovo Apollinare a Classe. Il raccordo sequenziale tra i due atti fondativi, l'uno "memoria culturale" l'altro "memoria storica" 34

, è esplicitamente condensato - nella biografia di Orso - dalla evidente ripresa di un passo della Vita Apollinaris ( circa 660 ampiamente utilizzata da Agnello), dove con il termine tugurium si indica il luogo fisico archetipico per l'assemblea della comunità al tempo del protove­scovo: Habebant enim christiani tugurium non longe a muro, ubi missas faciebant (p. 346) 35

• Tugurium e plebs - mi sembra chiaro -si propongono, nella biografia di Orso, come termini catalizzatori di due realtà epocali giustapposte: il passato remoto della prima fon­dazione è quello - ripreso dalla Vita Apollinaris - del tegu­rium/tugurium collocato non longe a muro, ma ad esso esterno; il presente è invece quello della plebs christianorum, dunque di un

rirsi ad un restauro o un rifacimento dell'edificio, comunque non anteriore alla fine VII­inizio VIII secolo, oppure costituire "un semplice esercizio letterario di uno scrittore medievale" sembra trattarsi di una "amplificazione" medievale; va comunque ricordato -come già rilevato da Lanzoni - che nei sette versi aggiunti emerge una plateale contraddi­zione cronologica poiché per contestualizzare l'impresa edilizia iniziata da Pietro IIl (570-578) e portata a te1111ine da Giovanni II Romano (578-595), si fa esplicito riferimento aGiustiniano Il che governò negli anni 685-695, 704-711: imperium retinente secundo Justi­niano I annis undenis regnando ...

34 AssMANN 1997. 35 Vita Apollinaris, p. 346; questo riferimento è stato individuato da BENERICEn1

1994, p. 174. L'accezione tugurium come di una struttura tipicamente extraurbana e ampiamente documentata nella cultura latina, letteraria e giuridica: cfr. ad es. GELL., 12.11.1: ... deversanlem in quodam tugurio extra urbem; PoMPON1us, dig. 50, 16, 180: tegurii appellation.e omn.e aedificiwn, quod rusticae magis custodiae conven.it quam urba­nis aedibus, sign.[fìcatur.

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L'ORIGINE DELLA PRASSI EPIGRAFICA DEI CRISTIANI NELL'AREA RAVENNATE

contesto urbano già definito ed anzi "conurbato" (Ravenna-Cesa­rea-Classe) 36

, nel cui ambito fisico e concettuale il piissimus pastor, nel realizzare il centro materiale e simbolico dell'unità ecclesiale, raggiunge l'obiettivo prefisso, appunto plebes ... in unum ovile col­ligere.

Conclusione ultima: nell'area classense ravennate testimonian­ze epigrafiche di sicura committenza cristiana - analogamente ai luoghi dell'assemblea - non sembrano avere altra collocazione, né cronologica né storico-culturale, al di fuori della Ravenna capitale.

APPENDICE

1. Stele di Valeria Maria. III secoloRavenna. Museo Arcivescovile. Rinvenuta nel 1756 nell'area della basi­

lica Probi. Stele marmorea timpanata con pseudoacroteri. DE Rossi 1879, pp. 103-107, tav. VIII,

1; CIL XI, 332; JLCV 1459; DE1-c1-1MANN 1976, p. 356; BovrN1 1964, p. 46-48; BovrN1 1965, pp. 60-62; MANSUELLI 1967, n. 96tav. 40, 110; BRuuN 1968, pp.434-436; MAzzoT TI 1968,p. 469;BuoRJESI 1970, pp. 85-89 fig. 9;DEICHMANN 1976, p. 356; FERRUA1978, pp. 599-560; P1CARD 1988,pp. 128-129; DONATI 1990, pp.478 fig. 26-27; MoNTANARJ 1991,p. 244.

(in acroteriis) M(e)m(oriae)

((rota radiata; pisces duo))

3 Valerie Ma=

rie Valeri= us Epagathus

6 conserve

36 AuGENTJ 2007a, p. 6.

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CARLO CARLETTI

sorori et coniugi qum (sic!) cua (sic!) vixit ann(is) I XXXVIII v(i)v(us) pos(uit).

1. de Rossi, ritiene che la sigla m(e)m(oriae) fu "studiosamente sostituitanel posto che nelle stele pagane occupa la dedica d. M." p. 107; al v. 9lesse v(irginius) v(irginiae) e suppose che sorori e coniugi indicassero cheValerius Epagathus fosse stata assunto al sacerdozio ed avesse di conse­guenza appellato la sua Valeria Maria soror et coniunx, in ciò richiaman­do anacronisticamente Hier, Ep. 28 (a Luciano), 49 (a Paolino: si tratte­rebbe in sostanza di una uxor in sororem versa); 7. qum i.e. cum. 8. cuai.e. qua. Mansuelli osserva che il disco interno (v. 2), scompartito da unaretta verticale e due oblique, riassume il monogramma cristologico e quin­di rileva che "tutto il senso (scii. dell'iscrizione) porta a riconoscere negliappellativi [ ndr. non sono appellativi ma termini indicativi di uno status]conserva e soror indicazioni esplicite del modo di pensare cristiano".Decisamente cristiana la ritengono anche Bormann, Bovini, Mazzotti,Budriesi, Bruun ("il titolo mette in evidenza la transizione dall'epocapagana a quella cristiana p. 434), Montanari e Ferrua che fonda il suo giu­dizio sull'autorità di de Rossi e Bormann; Deichmann non vi ravvisacaratteri cristiani rilevando che i delfini costituiscono un elemento biva­lente ed il cerchio al centro del fastigio non può considerarsi come stiliz­zazione di un monogramma cristologico; su questa linea si riconosceanche Picard.

2. Stele di Antiphon. Metà III secoloRavenna. Museo Arcivescovile. Rinve­

nuta nel 1756 nel cimitero prossi­mo all'area della basilica di Probo.

Stele marmorea timpanata con pseudoa­croteri.

DE Rossi 1879, pp. 103-105, tav. VII; CIL XI, 320; ILCV 1584; BOVINI 1964, pp. 43-46; BovrN1 1965, pp. 58-60; MANSUELu 1967, n. 60 tav.26, 71 e p. 86; BRuuN 1968, pp.433-434, fig. l ; FARIOLI 1968, App.p. 65; MAzzoTTI 1968, p. 469; Bu­DR1Es1 1970, pp. 89-93; DE1c1-1MANN1976, p. 356; SCHUMACHER 1977, p.170 tav. 40h; F ERRUA 1978, pp. 599-600; Luc1AN1 1987; NovARA 1991,n. 48; P1cARD 1988, pp. 128-129;DONATI 1990, p. 476 figg. 23-24;MoNTANARJ 1991, p. 244.

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( ( arbor, pastor ovem in umero ferens, oves duo)) memoriae

3 Antifònti(s) qui vixit an(nnis) XVII m(ensibus) V d(iebus) Xli fratri dulcl issimo pos(uit).

de Rossi, Bruun, Mazzotti datano la stele alla fine II-inizio III secolo; BovTN1 1965 pensa ali 'inizio del III secolo poiché il Buon Pastore che sostiene con ambedue la mani le zampe dell'ariete non si ritroverebbero nei più antichi esempi di questo soggetto figurativo (ma vd. contra Schu­macher); Parioli propende per gli anni attorno alla seconda metà del III secolo in base all'esame della pettinatura del pastore. Secondo Mazzotti

"Il piccolo uccello, che dall'albero di sinistra ... spicca il volo verso il pastore con la pecorella sulle spalle [ma questa lettura è puramente indi­ziaria], dovrebbe essere un'ulteriore prova dell'origine cristiana ... ; in tale direzione si muove anche Luciani che nel fogliame dell'albero scorge anche la testa di un serpente (sic!): questa presunta raffigurazione con colomba e serpente, secondo la Novara" ... sembra possano togliere ogni dubbio circa il carattere della raffigurazione, permeata di forte simboli­smo cristiano". A parere di Mansuelli "la formula memoria è indistingui­bile dalle iscrizioni dei pagani, anche se l'appellativo dulcissimus ha un senso diversamente affettivo" e in tale direzione il memoriae iniziale potrebbe confrontarsi con il securitati perpetuae della stele di T. Came­rius Dextrus (vd. infra n.6). Secondo la Novara l'ipotesi di Luciani dell "'evidenza" (sic!) di uccello e di una testa di serpente "celati" tra i I fogliame dell'albero costituirebbe un elemento di giudizio decisivo. Sulla scorta di de Rossi l'estrazione cristiana è anche sostenuta da Bormann, Montanari e Ferma. Pagana la considerano Schumacher, Deichmann, Bruun, Picard.

3. Stele di Didia Hilara. III secoloRavenna. Rinvenuta nell'area di San Apollinare in Classe. PerdutaStele marmorea (?).DE Rossi 1879, p. 105; C

I

L XI, 173; ILCV 4141C; BovrNI 1965, pp. 50-60; BuoR1Es1 1970, p. 83; FERRUA 1978, p. 600, nt. 54.

memoriae Didi[ae} Hilare

3 Didia Hermione sorori dulcissi= mae posuit, quae

6 vixit annis XXVIII!, dies VIiii.

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de Rossi la ritiene forse cristiana per la presenza di memoria in posizione incipitaria e tale, in riferimento a de Rossi, la considera Diehl; Bovini ana­logamente pensa a committenza cristiana "poiché il testo presenta chiare analogie con quello dell'epigrafe ricordante Antifonte" (analogo il giudi­zio della Budriesi); pagana per Bormann e Ferrua.

4. Stele di M. Aurelius Marcellinus. III secoloPadova. Museo Civico; già nella Bibl. Classense (prov. sconosciuta).Stele marmorea timpanata con pseudoacroteri.CIL XI, 153 = CIL III, *237; MANSUELLI 1967, n. 77 tav. 32, fig. 87 e p.

85.

m(e)m(oriae) ((quadratus quadripertitus in circulo; pisces duo)) M. Aurelio

3 Marcellinoconiugidulcissimo

6 Sai!feiaCrispinaconiux.

Mansuelli avvicina questa stele a quella di Valeria Maria (n. 1), riconoscendo in ambedue una committenza cristiana: vi sareb­be una correlazione simbolica tra il cerchio in cui è iscritta la losanga crocesegnata (rappre­sentativa di un pane) e i due pesci "per alludere all'agape sacra" (sic!); in tale prospettiva il memoriae incipitario si pro­porrebbe come una trasforma­zione - in chiave cristiana - del dis Manibus: nel complesso si tratterebbe di manifestazioni criptocristiane. Bormann non sembra avere dubbi nel conside­rare questa stele pagana.

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L'ORIGINE DELLA PRASSI EPIGRAFICA DEI CRISTIANI NELL'AREA RAVENNATE

5. Stele di Lesuria lustina. Fine II-inizio III secoloRavenna. Museo Nazionale; già nella biblioteca Classense (da Ravenna?)Stele marmorea timpanata con pseudoacroteri.CIL XI, 253a; MANSUELLI 1967, n. 78, tav. 33, fig. 90 e p. 86.

d(is) M(anibus) ((columbae duae rostris ramum ferentes)) Lesuriae fusti

3 nae fìliae dulc(issimae) q(uae) v(ixit) a. XVIII m. VII Lesurius Clemens

6 et Clodia Pauli= na parentes et Aurelius Papi=

9 rius maritus contra v(otum) p(osuerunt).

Secondo Mansuelli "criptocristiana potrebbe considerarsi la lapide di Lesu­ria Iustina, per la presenza della coppia di colombe .... "; la presenza del contra v(otum), formula profana utilizzata soprattutto nell'iscrizioni pagane ma presente anche in quelle cristiane, mani­festerebbe "la preoccupazione di dissi­mulare il carattere della iscrizione e quindi del proprio atteggiamento spiri­tuale". Bormann considera questa stele di committenza pagana.

6. Stele di T. Camerius Dextrus. IIIsecolo

Ravenna. Museo Arcivescovile. CIL XI, 168; MANSUELLI 1967, n. 52, tav.

18, fig. 50 e p. 85. Stele marmorea timpanata con pseudoa­

croteri.

(in acroteriis) d(is) M(anibus) ((canis, ascia))

securitati 3 perpetuae

T. Cameri{c}oDext(ro) b(ene)m(erenti)

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CARLO CARLETTI

4. Camerio, Mansuelli.L'estrazione cristiana, secondo Mansuelli, sarebbe denunciata dall'espres­sione securitati perpetuae, che peraltro nel caso specifico non fa trasparirealcuna connotazione cristiana riferendosi invece alla protezione assicuratadal sepolcro, intangibile in quanto res sacra.

7. Stele di Herennia Faventina. Testo originario: III secolo; testo aggiun-to: prima metà V secolo

Ravenna. Museo Nazionale. Da Classe. Stele marmorea centinata con pseudoacroteri. DE Rossi 1879, pp. 109-111 (IVin.); CIL XI, 61, 1272; ILCV 4451B;

MANSUELLI 1967, n. 93 tav. 39 fig. 106; Bov1N1 1965, pp. 51-52 (IV­V secolo); BRuUN 1968, pp. 436-467; BuoR1Es1 1970, pp. 82-83 fig. 7; DoNATI 1990, fig. 8; MoNTANARJ 1991, p. 244.

[[ [d(is)J }} [[ [M(anibus}}} Herenniae

3 Faventinae n(atae) ver(nae) coi(ugi) vix(it) an. XX L. Pomponius

6 [[ [---] J J et sibi b(ene) m(erenti) p(osuit).

Caius Zobo nis de lo(co?) Kasen=

3 se civis Afer qui vixit annis quin=

quaginta. vives 6 in pace I

vv. 1 - 2: Caius Lobolnis Bovini,Budriesi; Caius Sobolnis Mansuelli.

Il testo che riporta l'epitaffio di Herennia Faventina "fu purgato, secondo Bruun ( che segue de Rossi), dagli elementi chiaramente pagani come d(is) M(anibus) ed anche da un nome probabilmente di significato idolatrico". Nell'epitaffio aggiunto sulla parte inferiore della stele il cognome del defunto (Zobonis) potrebbe ricollegarsi al tipo orienta­le/semitico Zw�ovwi;, (cfr. Wun-rNow 1930 s.v.), ovvero al consimile nome africano Zabon (cfr. JoNGEUNG 1994,

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( I\ I /

/f I <, I I

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L'ORIGINE DELLA PRASSI EPIGRAFICA DEI CRISTIANI NELL'AREA RAVENNATE

pp. 152, 156), come anche indurrebbero a supporre le informazioni relati­ve alla provenienza del defunto: civis Afer, originario de loco Kasense, forse da identificare con un municipium della Numidia dove un'iscrizione documenta un orda municipi Caesensium (CIL VIII, 4327). De Rossi assegna l'iscrizione di Zobonis all'inizio del IV secolo, Bovini più corret­tamente tra fine IV-inizio V.

8. Epitaffio di FI. Anastasius. Primo ventennio V secoloRavenna. Museo Arcivescovile. Rinvenuta nel 1756 nell'area della basi­

lica Probi. Lastra marmorea in quattro pezzi combacianti mutila a sinistra. DE Rossi 1879, pp. 100-101; CIL XI, 323; ILCV242A; Bov1N1 1965, pp.

62-63; BRuuN 1968, pp. 436-437, fig. 5; BuDRIESI 1970, pp. 84-85,fig. 8; DEICHMANN 1976, p. 356; P1CARD 1988, p. 128; MONTANARI1991, p. 244.

((Christi monogramma)) EJ(avio) Anastasio ((Christi monogram­ma)) I

s_anctissimo fìlio 13

3 qui vixit ann(i)s VII m(ensibus) 111 I Fl(avius) Felix ex pr(aefecto) ann(onae) Afr(icae) pr(ovin ciae)

de Rossi riferisce di aver visto il frammento in alto a sinistra con il mono­gramma, la F di Flavius e la S iniziale di sanctissimo. Il dedicante è pro­babilmente da identificare con il Flavius Felix v. c., ucciso da Aezio a Ravenna nel 430, ricordato come magister utriusque militiae, patricius et consul ord. (a. 428), nell'iscrizione inclusa nella decorazione musiva absi­dale della basilica lateranense (/CII p. 149, 17; ILCV 68); de Rossi esclu-

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deva questa identificazione perché - così afferma - "nell'abside latera­nense adornata da lui egli si chiamò Fl. Constantius Felix ... adunque il Fl. Felix ex prefetto dell'annona dell' Africa ... fu probabilmente il padre di Fl. Constantius Felix ucciso a Ravenna"; ma l'argomento addotto da de Rossi non sembra sostenibile poiché nell'abside lateranense - secondo la copia trasmessa dalla Silloge Laureshamensis I (JC II, p. 149, 17) - si menzio­na un Fl. Felix v. c. e non un Fl. Constantius Felix; nella trascrizione inve­ce riportata nella Sylloge Jnscriptionum Basilicae Lateranensi (fine XII­inizio XIII secolo: JC II, p. 307, 5) per un'en-onea lettura della titolatura v(ù) c(larissimus) l'onomastica di Fl. Felix appare così deformataFlavius felix Vietar costantinus (JC II, p. 307, 5). Fl. Felix pertanto dovette dedi­care la sepoltura al figlio Anastasius nel corso del primo ventennio del V secolo e non nella prima metà del IV come sostenuto da de Rossi.

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L'ORIGINE DELLA PRASSI EPIGRAFICA DE! CRJSTJANJ NELL'AREA RAVENNATE

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L'ORIGINE DELLA PRASSI EPIGRAFICA DEI CRISTIANI NELL'AREA RAVENNATE

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