L’origine del Comune e la sua natura di ente territoriale · Elisa Occhipinti, L’Italia dei...

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14 Parte Seconda 1. L’origine del Comune e la sua natura di ente territoriale La fase della storia del Medioevo, che coincide con la nascita e l'affermazione dei comuni in Europa occidentale, va dall’ XI al XIV secolo. La formazione e l’evoluzione delle istituzioni comunali sono sicuramente un fenomeno complesso, che avvenne in momenti e circostanze diverse nelle differenti città. Si assiste, però, alla presenza di elementi comuni. Il comune nasce come una forma di autogoverno cittadino. Il passaggio dei poteri di controllo della città dal vescovo, in quanto autorità pubblica, alla comunità cittadina fu il portato del periodo della lotta per le investiture e della riforma della Chiesa. Una volta entrato in crisi il potere vescovile, si aprono degli spazi per la gestione laica del potere. La stessa autorità imperiale, nella sua lotta contro il Papato, indirizza ai cives le concessioni fino allora riservate al vescovo, in quanto rappresentante della civitas. Inizia un processo che porterà alla formazione di entità autonome di autogoverno cittadino: le città-stato del periodo della maturità comunale. Oltre al bisogno di sganciarsi dalla giurisdizione temporale del vescovo, è importante l’esigenza di ripristinare la pace cittadina, venuta meno a causa dei conflitti sociali e religiosi. Si sente altresì l’esigenza di coprire il vuoto dell’autorità statale, dovuto alla crisi dell’Impero nella seconda metà del XI secolo. Nacque nei cittadini un nuovo spirito civico, un senso di comune appartenenza che li portò a preoccuparsi per le sorti della propria città e a cercare soluzioni di interesse collettivo. La richiesta di innovazioni politiche ed amministrative, fu anche la risposta a trasformazioni economiche, sociali e ideologiche delle collettività cittadine. Dapprima l’autogoverno cittadino prese la forma collegiale del consolato, modellato sulla suprema magistratura della Roma repubblicana, ma con un’estensione dei poteri diversa. A capo della nuova organizzazione cittadina furono eletti i consoli. Non si trattò di una coppia come nell’antica Roma, ma di un collegio più numeroso, composto rispecchiando la volontà del gruppo che voleva dare alla città un nuovo governo.

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Parte Seconda

1. L’origine del Comune e la sua natura di ente territoriale

La fase della storia del Medioevo, che coincide con la nascita e l'affermazione

dei comuni in Europa occidentale, va dall’ XI al XIV secolo.

La formazione e l’evoluzione delle istituzioni comunali sono sicuramente un

fenomeno complesso, che avvenne in momenti e circostanze diverse nelle differenti

città. Si assiste, però, alla presenza di elementi comuni.

Il comune nasce come una forma di autogoverno cittadino. Il passaggio dei

poteri di controllo della città dal vescovo, in quanto autorità pubblica, alla comunità

cittadina fu il portato del periodo della lotta per le investiture e della riforma della

Chiesa. Una volta entrato in crisi il potere vescovile, si aprono degli spazi per la

gestione laica del potere.

La stessa autorità imperiale, nella sua lotta contro il Papato, indirizza ai cives le

concessioni fino allora riservate al vescovo, in quanto rappresentante della civitas.

Inizia un processo che porterà alla formazione di entità autonome di autogoverno

cittadino: le città-stato del periodo della maturità comunale.

Oltre al bisogno di sganciarsi dalla giurisdizione temporale del vescovo, è

importante l’esigenza di ripristinare la pace cittadina, venuta meno a causa dei

conflitti sociali e religiosi. Si sente altresì l’esigenza di coprire il vuoto dell’autorità

statale, dovuto alla crisi dell’Impero nella seconda metà del XI secolo.

Nacque nei cittadini un nuovo spirito civico, un senso di comune appartenenza

che li portò a preoccuparsi per le sorti della propria città e a cercare soluzioni di

interesse collettivo. La richiesta di innovazioni politiche ed amministrative, fu anche

la risposta a trasformazioni economiche, sociali e ideologiche delle collettività

cittadine.

Dapprima l’autogoverno cittadino prese la forma collegiale del consolato,

modellato sulla suprema magistratura della Roma repubblicana, ma con

un’estensione dei poteri diversa. A capo della nuova organizzazione cittadina furono

eletti i consoli. Non si trattò di una coppia come nell’antica Roma, ma di un collegio

più numeroso, composto rispecchiando la volontà del gruppo che voleva dare alla

città un nuovo governo.

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In questo periodo storico, tale ceto di cittadini autorevoli1, era costituito da

aristocratici terrieri, vassalli vescovili e comitali, mercanti e giurisperiti, che riempiranno

il vuoto di potere locale dovuto alla lotta per le investiture e alla crisi del potere

imperiale.

Coloro che avevano acquisito capacità amministrative e politiche, collaborando con il

vescovo o con il conte, si assumeranno il compito della gestione della città. Il loro

intento fu anche quello di contrastare la pressione di nuovi elementi sociali, come il

popolo minuto e le classi artigianali. Ogni elemento di questo gruppo eterogeneo diede

il suo contributo nel promuovere il patto che stava alla base del comune. L’interazione

tra le diverse componenti della classe dirigente comunale, si espresse con molte

variabili; la gestione del potere era comunque riserva ad un gruppo composto

dall’aristocratica, dal ceto mercantile e dai ceti delle professioni. Questi ultimi, in qualità

di giudici e notai, si configurarono come garanti della legalità e della gestione politico-

amministrativo dell’organismo comunale in formazione. Comunque fossero assortite,

queste grandi famiglie svolsero un ruolo propulsivo nella costituzione del comune.

. Per permettere lo sviluppo della città, fu necessario garantire una condizione di

pace interna, la cui tutela fu alla base della concordia, cioè dell’accordo stretto da un

gruppo di cittadini eminenti, da cui trasse origine il consolato: la prima magistratura in

cui prese forma il governo della città. Tale accordo poteva essere giurato (coniuratio).

Era, comunque, un giuramento di reciproca solidarietà; un accordo che più tardi

includerà tutti i cittadini.

In quanto espressione della cittadinanza, il comune rappresentava tutti i cives quali

abitanti della città, indipendentemente dal ceto sociale di appartenenza. Si assiste,

infatti, ad uno sviluppo di un’assemblea generale che progressivamente includerà tutti

gli abitanti della città.2 Le fonti ci parlano di consilium, parlamentum, concio, colloquium,

arengo.

1 Anche nei momenti di maggiore difficoltà economica e politica le città rimasero sede di autorità laiche ed ecclesiastiche che mantennero il controllo del territorio circostante e relazioni con le città vicine. In pratica l’autonomia comunale in Italia ha radici remote. 2 Si tratta di un accordo a più livelli: solo tra i promotori, tra i promotori e la base, tra i componenti della base. Questo non significa che fosse di natura privata. Si deve tener conto per il Medioevo dell’ “inadeguatezza di categorie quali pubblico e privato , intese in senso rigoroso” . Elisa Occhipinti, L’Italia dei Comuni, Secoli XI-XIII, Carocci editore, Roma 2000, p. 23. La natura dell’intesa finirà per portare al coinvolgimento dell’intera comunità a livello istituzionale.

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Il periodo consolare: “consoli”, “parlamento” e “consiglio” (O. Capitani)

“E’ indubbio che il nucleo intorno al quale si forma il Comune è costituito da persone

di rango sociale elevato. Non necessariamente nobili, ma certamente di cospicua

qualità sociale, espressione appunto delle forze che ha tempo hanno rilievo nella vita

della comunità; la quale, tuttavia, non rinuncia ad una sua parte, è presente al

parlamentum (o concio, o arengo), testimone dei giuramenti solenni dei consoli fatti al

consiglio, è il segno tangibile che vuole essere coinvolta nell’azione politica, militare, di

governo insomma, in cui si è riconosciuta a determinate garanzie.

Strumento di queste garanzie era il consiglio, la cui struttura e la cui consistenza

furono mutevoli da luogo a luogo e da periodo a periodo, ma che certamente connota

l’identità del Comune in maniera ben più peculiare che non l’esistenza formale dei

consoli: o se si vuole la motivazione profondamente innovativa che dà ai consoli il loro

significato di espressione del Comune. […]

Anche se i ceti dominanti del “vecchio ordine di cose” possono essere agevolmente

ritrovati in quelli della nuova situazione, almeno nella prima fase della storia di tante

comunità cittadine, rimane il fatto che nell’organismo assembleare si poneva in maniera

nettissima la questione della rappresentanza allargata a tutti coloro che si sentivano

tuta la comunità, per quanto solo parte di quest’ultima, tutta quella collettività in nome

della quale agivano in comune .” 3

L’assemblea generale era convocata al suono di una campana; si riuniva per

discutere i problemi della città e stabilire le linee di governo.

Inizialmente l’assemblea generale accoglieva solo coloro che partecipavano

all’accordo giurato. Probabilmente uno dei suoi compiti era l’elezione dei consoli per

acclamazione. Quando l’unione giurata si allargò a tutta la popolazione maschile, ed

essendo impossibile convocarla nella sua totalità, per l’elezione dei consoli si

utilizzarono sistemi di elezione indiretta.

3 Ovidio Capitani, Storia dell’ Italia medievale, Laterza 1986, pp. 368-369.

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I primi consoli del comune (R. Bordone)

La comunità cittadina, forte del riconoscimento dei suoi diritti - ufficiale, come nel caso di Pisa,

o di fatto, come in molti altri casi -, è ormai in grado di esprimere una nuova istituzione che la

rappresenta. Con la comparsa dei consoli siamo davvero di fronte a un ente che si configura

giuridicamente in maniera autonoma: esso ha trovato uno spazio politico nella città, deve ora

trovare il modo di convivere con il potere vescovile che formalmente continua a sopravvivere.

Ad Asti, uno dei primi comuni attestati in Italia, la soluzione di compromesso avviene tramite il

ricorso all'istituto vassallatico: i consoli, a nome della città, diventano formalmente vassalli del

vescovo che concede loro in beneficio un'importante fortezza extraurbana.4

L'anno dell'incarnazione del nostro Signore Gesù Cristo 1095, il 28 marzo, terza indizione,

alla presenza dei maggiorenti i cui nomi sono in calce elencati, il signor vescovo Oddone

dell'episcopato della santa chiesa di Asti fece investitura ai consoli della città i cui nomi

seguono: Lanfranco, Benzo, Uberto, Bulgaro, Uberto giudice, Crescenzo, Saraceno,

Bonbello, Bonsignore, Bonomo, tanto a nome proprio, quanto a nome di tutti i cittadini di

Asti, del castello di Annone, con edifici, cappelle e tutte le costruzioni che contiene, col

villaggio e tutti i diritti connessi, con terre arabili, vigne, prati, incolti, selve maggiori e

minori, aree, pascoli, boscaglie, ripaggi e scoscendimenti, mulini, diritti di pesca, colto e

incolto, diviso e indiviso, insieme con i confini, i diritti di accesso, l'uso delle acque, degli

acquedotti, con ogni diritto e pertinenza che sono spettanti a tale castello e alla corte per

intero, in modo tale che tutti i cittadini di Asti abbiano in beneficio da parte del signor

vescovo Oddone e dei suoi successori per utilità comune di questi cittadini e facciano d'ora

in poi qualunque cosa riterranno opportuno fare, senza opposizione dello stesso vescovo

Oddone e dei suoi successori che devono aiutare [i cittadini] a conservarlo in perpetuo.

Fatto nella città di Asti, presso l'atrio di S. Maria, nella canonica della stessa chiesa,

felicemente.

Io Oddone per grazia di Dio vescovo di Asti ho sottoscritto. […]

Fonte: Q. SELLA (a cura di),Codex Astensis qui de Malabayla communiter nuncupatur, Roma, 1880 («Atti dell'Accademia dei Lincei», serie II, VI), III, doc. 635, p. 651.

I consoli risposero all’esigenza di una magistratura stabile, con la possibilità di un

intervento continuo e sistematico, rispetto ai boni homines, cioè persone fidate,

incaricate, in specifiche situazioni, di farsi portavoce degli interessi cittadini. Non

4 R. Bordone, La società urbana nell’Italia comunale (secoli XI-XIV)

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casualmente questi magistrati comunali furono chiamati consules civitatis, per

rimarcarne il ruolo pubblico, la loro funzione di rappresentanza giuridica dell’assemblea

dei cives. Essi esercitavano, cioè, funzioni pubbliche a tutela degli interessi comuni.

Esercitavano funzioni giuridiche, amministrative e di difesa, imponendo tributi,

amministrando la giustizia e stabilendo gli obblighi militari.

Perché fu impiegato il termine consul? L’uso di questo termine nasce da un’esigenza

di legittimazione derivante dalla ripresa delle categorie giuridiche romane (uso vivo

nell’Italia bizantina). L’obiettivo era quello di affermare la legittimità di questa funzione

pubblica nuova, attraverso una tradizione giuridica consolidata. I consoli dovevano

salvaguardare la pace della città e garantire la concordia fra i cittadini.

All’inizio in molte città fu cercata la collaborazione con il vescovo. Sotto la tutela

dell’autorità vescovile il nuovo organismo comunale poté crescere e rinforzarsi e anche

legittimare la propria autorità. In questa fase si trovarono ad interagire protagonisti

diversi come il vescovo, le antiche famiglie aristocratiche e i gruppi economicamente

emergenti. A volte i rapporti non furono di collaborazione ma di opposizione. In città

diverse diedero luogo a combinazioni differenti.5

Questa prima organizzazione cittadina, nata come soluzione di emergenza, si

stabilizzò gradualmente e il governo del comune affermò la propria autonomia.

La progressiva evoluzione politico-istituzionale si evidenzia nelle scelte lessicali

utilizzate. Quando nelle fonti si usa il termine comune significa che l’istituzione è ormai

un fatto consolidato. Il vocabolo comune originariamente fu usato come aggettivo nel

significato di “generale” accanto al sostantivo populus, per indicare gli abitanti della

civitas. Quest’ultimo termine indica sia la cittadinanza nel suo insieme sia il nuovo

ordinamento pubblico cittadino. Dal terzo, quarto decennio del secolo XII fu sempre più

usato come sostantivo per indicare l’ordinamento pubblico cittadino.

E’ importante sottolineare che i due termini di comune e civitas continuarono a lungo

a sussistere insieme, come a voler sottolineare i legami del nuovo organismo con la

tradizione. Il termine comune nel senso di civitas indica il comune interesse dei cives;

fin dalle origini il nuovo organismo ha un carattere territoriale e nel suo ruolo di governo

vuole coinvolgere la totalità dei cittadini.

5 Un forte peso fu esercitato dalla feudalità a Milano, da ricche famiglie mercantili a Genova, al contrario di Mantova, che si oppose ai conti di Canossa.

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“Il comune nacque come creazione dal basso, non fu oggetto di un esplicito atto di

fondazione, né di un riconoscimento ufficiale dall’alto”.6

L’esercizio di diritti e funzioni di carattere pubblico, già nelle mani di conti e vescovi,

passò, di fatto, nelle mani del comune di fronte alla latitanza del potere statale.7

In quest’esercizio di fatto dei poteri fiscali, giudiziari e militari, il nuovo organismo si

sperimentò empiricamente; si autolegittimò crescendo e consolidandosi.

2. Il governo dei consoli e gli organi comunali

La nascita dei consoli rispose all’esigenza del nuovo organismo di definire un

proprio profilo giuridico. Sebbene non si possa individuare una fisionomia univoca del

consolato (numero dei membri, durata e contenuti del mandato), troviamo sempre nella

prima fase la magistratura consolare. Rispetto ai due della Roma repubblicana il numero

dei consoli variò tra 4 e 20.

In una prima fase i consoli avevano potere esecutivo e giudiziario. Più tardi i poteri

furono separati: ai consules de communi furono affidate le funzioni politiche, ai consules

de placitis (o consules iustitie) le funzioni giudiziarie. Il consolato sul piano politico si

basava sull’appoggio della cittadinanza, su quello tecnico-giuridico utilizzava il lavoro dei

giurisperiti.

Il consolato inizialmente ebbe durata diversa, poi annuale. La durata delle cariche

fu breve, per garantire la collettività contro l’affermarsi del potere del singolo. Terminato

l’incarico, l’operato dei consoli era sindacato, cioè valutato, ed i consoli erano tenuti,

nell’eventualità di danni e abusi, al risarcimento.

Nel momento in cui entravano in carica dovevano prestare giuramento (breve).

S’impegnavano a salvaguardare la città su tutti i piani e ad affrontare eventuali problemi

locali. Il giuramento coinvolgeva anche i cittadini che s’impegnavano a sostenere i loro

rappresentanti. Erano utilizzate delle formule che sottolineavano i doveri degli aderenti

all’unione giurata. Attorno a queste formule si formò la legislazione comunale, gli Statuta.

Nel comune di Genova l’esistenza dei consoli è attestata dai documenti già dal

1099. I consoli prestavano giuramento al momento dell’assunzione della carica

6 Op.cit. p.32 7 “Il comune dei consoli […] non presume di monopolizzare le funzioni di carattere pubblico nella città, non contesta diritti di esazione e di controllo – su mercati, su pesi e misure, su posti di dazio o pedaggio-, spettanti ad enti ecclesiastici o trasmessi ereditariamente nelle famiglie comitali o viscontili”. Tabacco, Egemonie sociali, p.235 in op.cit. p. 32 s.

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In nome di Dio, amen. Dalla prossima festa della Purificazione di santa Maria per un anno noi

consoli eletti ci impegneremo per il bene del comune e agiremo secondo l’onore del nostro

arcivescovato e della nostra madre Chiesa e della nostra città, in tutte le circostanze, riguardanti

beni mobili e immobili, con e senza querele, tenendo presenti gli interessi della comunità. In piena

consapevolezza non pregiudicheremo l’onore della nostra città, né gli interessi e l’’onore della

nostra madre Chiesa. Non pregiudicheremo i diritti di alcuno dei nostri concittadini, ma

osserveremo e terremo fermi i dettami della giustizia, secondo quanto valuteremo essere meglio in

base alla ragione e alla buona fede.8

e indicavano i provvedimenti disciplinari che pensavano di prendere a difesa e

tutela del benessere della collettività.

Se da una torre sarà gettato qualcosa con uno scopo offensivo e senza il permesso dei consoli e

verremo a sapere che per quel lancio qualcuno è rimasto ucciso, distruggeremo la torre oppure

imporremo la penalità di mille soldi al proprietario o ai proprietari di quella torre […] Se un abitante

della nostra città, dai 14 anni in su, porterà un coltello o un’arma proibita oppure una spada e una

lancia senza il nostro permesso e non in vista di uscire fuori della città, gli imporremo la multa di 20

soldi […].9

8 Questo documento, datato 1143, costituisce uno degli esempi più antichi di statuto sulle funzioni dei consoli. Codice diplomatico della Repubblica di Genova, a cura di C. Imperiale di Sant’Angelo, Istituto storico italiano per il Medioevo, Fonti per la storia d’Italia, Roma 1936, vol.I, doc. 128, p.154 in op.cit. p.34 9 Codice diplomatico della Repubblica di Genova, a cura di C. Imperiale di Sant’Angelo, Istituto storico italiano per il Medioevo, Fonti per la storia d’Italia, Roma 1936, vol.I, doc. 128, p.163, 164.

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Il «Breve della Compagna» del comune di Genova (R. Bordone)

L'instaurarsi del regime consolare nelle città italiane implica una nuova realtà politica,

anche se prosegue e porta a compimento quella naturale tendenza del ceto superiore ad

affiancare il vescovo nella gestione della cosa pubblica. La presenza stessa di una

magistratura permanente eletta dai cittadini rappresenta una conquista definitiva

dell'autodeterminazione politica in senso istituzionale: tramite i consoli tutta la cittadinanza

detentrice di beni fondiari partecipa al comune, impegnandosi in un giuramento di mutuo

soccorso e di obbedienza. A Genova, dove il comune, sorto fra XI e XII secolo, assume il

nome di «Compagna», tale giuramento veniva ripetuto ogni quattro anni e conteneva di

fatto lo statuto originario del comune, definito «Breve». Il «Breve» che qui si pubblica è del

1157. 10

Nel nome della santa e individuale Trinità e della concordia eterna. Dalla prossima festa della

Purificazione di Maria io giuro a onore di Dio la Compagna per quattro anni.

Nel presente anno avrò quattro consoli per il comune e otto per i placiti che saranno

pubblicamente eletti nel parlamento e giureranno il consolato. Trascorso questo anno avrò altri

consoli, come la maggioranza dei consoli del comune e dei placiti e la maggioranza dei consiglieri

che partecipano al consiglio avrà stabilito di comune accordo per quanto riguarda il numero, la

durata e le modalità della loro elezione.

Qualsiasi cosa avranno stabilito e decretato i consoli eletti, secondo quanto è stabilito nei loro

Brevi, […] osserverò ed eseguirò [mettendo a disposizione] case, torri, persone, figli e servi senza

inganno e senza cattive intenzioni. E se avrò saputo che qualcuno dei consoli di Genova, […]

reputi secondo il suo arbitrio di fare guerra, lo aiuterò in buona fede e senza cattive intenzioni fino

alla conclusione della guerra. Come sentirò la campana che suona per il parlamento andrò a quel

parlamento a sentire le decisioni dei consoli, a meno che non venga autorizzato a rimanere dai

consoli che hanno fatto radunare il parlamento, […]

Sugli affari che sono di pertinenza dei consoli del comune mi atterrò alle loro decisioni; su ciò che

riguarda i consoli dei placiti starò alle loro sentenze come è stabilito nel Breve del loro consolato

[…] Tutto ciò che è scritto sopra osserverò e farò in modo di eseguire in buona fede e senza

cattive intenzioni secondo le decisioni dei consoli, salvo il nostro uso, se non quanto non potrò

fare per giusto impedimento.

Fonte: C. IMPERIALE DI SANT’ANGELO (a cura di), Codice diplomatico della Repubblica di Genova, Roma, 1936 (FSI, 77), I, pp. 350-59 (parziale).

10 R. Bordone, La società urbana nell’Italia comunale (secoli XI-XIV)

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I doveri e le funzioni dei consoli erano ripartite secondo i mesi dell’anno.

Capitoli delle cose che i consoli di Pavia sono tenuti a fare.

1.Febbraio. I consoli sono tenuti innanzitutto a far venire ad abitare a Pavia, per tutto il mese di

Febbraio i castellani e capitanei cittadini di Pavia, con le loro famiglie.

2.Gennaio.sono tenuti nel mese di Gennaio ad eleggere due saggi e a farli giurare che in febbraio

sceglieranno cento persone fra balestrieri e arcieri a cavallo, traendoli dagli uomini di tutti i borghi

della terra di Pavia. Costoro devono tenere pronti i loro cavalli e restare a disposizione per tutta la

durata del consolato, se dovesse protrarsi lo stato di guerra. […]

6. entro il primo mese della funzione consolare saranno eletti uno o due boni homines di fiducia

per parrocchia, che dovranno informarsi se gli uomini delle loro parrocchie sono forniti di cavalli e

armi. […]

15. Gennaio. Eleggeranno tre uomini idonei, due laici ed un giudice, che si prendano cura dei forni

e dei mulini di Pavia, dopo aver prestato giuramenti in proposito. […]

26. Cose da fare in febbraio. Prima di tutto informarsi sulla situazione dei posti di pedaggio di

Pavia […]

31. Marzo. Eleggere quattro saggia ciò idonei che […] raccolgano e conservino gli atti e i decreti

che riguardano il comune di Pavia […]

41. Maggio. Il fodro (i foraggi da consegnarsi da parte del contado) che non è stato ancora

consegnato dagli addetti, sia raccolto con tutti i pagamenti consueti […]

45. Agosto. Far rifare o riparare la strada Romea (o Francigena: è la strada che veniva usata da

chi faceva il tragitto Francia-Roma), se ancora non è stato fatto con tutti i ponti ad essa necessari.

[…]

50 ottobre. Capitolo sulla quantità stabilità di approvvigionamenti granari da introdurre in Pavia

entro la festa di S. Michele (29 settembre).

51. Inoltre, capitolo dei consoli e del podestà da eleggere per la festa di S.Martino (11 novembre).

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52. Inoltre capitolo sul rendiconto delle entrate e delle spese che va fatto ogni tre mesi […]

57. Inoltre, capitolo sul divieto di passare più di tre notti al mese durante il consolato fuori della città

di Pavia e del suo territorio. 11

Nella tabella che segue12, le datazioni relative alla presenza dei primi consoli, si

riferiscono a documenti cittadini pervenuti, ma nulla esclude che consoli fossero presenti

già prima. E’ evidente leggendo i dati come la comparsa dei consoli in molte città della

Toscana e dell’Emilia è concentrata negli anni immediatamente successivi alla morte della

contessa di Toscana, Matilde di Canossa (avvenuta nel 1115). Le date riportate in tabella

tra parentesi si riferiscono alla presenza di podestà stranieri.

Pisa 1081-1085 Bergamo 1117

(1189)

Biandrate 1093 Cremona 1112 –

1116

Asti 1095 Bologna 1123

Milano 1097 (1187) Siena 1125

Arezzo 1098 Piacenza 1126

Genova 1099 Mantova 1126

Pistoia 1105 Brescia 1127 (1182)

Ferrara 1105 Modena 1135

Pavia 1112 (1219) Verona 1136

Lucca 1115 Firenze 1138 (1207)

Parma 1149

Per quanto riguarda l’elezione dei consoli, poi, non esiste un’ampia

documentazione. Si è già detto che probabilmente all’inizio erano acclamati

11 Il documento, risalente al XII secolo, riepiloga un sommario dei doveri e delle funzioni dei consoli di Pavia. P.Brezzi, I comuni cittadini italiani. Origine e primitive costituzioni, ISPI, Milano 1940, pp.159-161. 12 G. Fasoli, Dalla civitas al comune nell’Italia settentrionale, Pàtron, Bologna 1969, p.129, nell’adattamento degli autori in A. De Bernardi, S. Guarracino, Laboratorio storico, Dal Medioevo all’età moderna, vol. I, ed. scol. Bruno Mondadori 1987, p.99

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nell’assemblea generale dei cittadini su designazione dei consoli uscenti. Si potevano

anche utilizzare meccanismi di elezione indiretta.13

Anche l’assemblea cittadina non era definibile nello stesso modo ovunque. I

partecipanti alla concordia di volta in volta potevano essere o i capifamiglia o la

popolazione maschile sottoposta agli obblighi militari. Si trattava, in ogni caso, come si è

detto, delle famiglie che avevano dato origine al comune, cioè i proprietari terrieri, i

mercanti, i ricchi artigiani. Soprattutto nelle grandi città ad essere coinvolti erano solo i

maggiorenti (per l’impossibilità di convocare un parlamento dalle notevoli dimensioni).

Nel primo statuto dei consoli di Pistoia, degli inizi del XII secolo, l’assemblea

designa cinque cittadini, che prestano giuramento dichiarando di agire a favore della

cittadinanza; provvedono, poi, all’elezione dei consoli.

Questo è il giuramento degli elettori dei consoli. Non sono assoggettato ad alcuna consorteria o

dipendenza nel dare o ricevere il consolato della città di Pistoia; e non mi è stato comunicato alcun

proposito, né suggerito alcun accorgimento, né dato alcun ordine, perch’io fossi elettore dei

consoli; e non ho prestato né accolto giuramento alcuno di dare o ricevere il consolato della città di

Pistoia. E converrò coi miei colleghi, eletti nell’arengo, sull’elezione a consoli dei cinque uomini che

mi si appalesino più idonei e dotati per l’onore, l’interesse e la sicurezza della città e del popolo di

Pistoia, cosicchè amore e odio non siano né di vantaggio né di ostacolo.14

Nel sistema politico che si va formando troviamo alla base l’assemblea ed al vertice

i consoli. Tra questi due estremi si inserì il Consiglio, che costituì un organo di raccordo.15

Al parlamento fu riservato un ruolo più formale, limitandosi a ratificare le deliberazioni del

Consiglio.

Anche il Consiglio durante le fasi di sperimentazione fu diversamente articolato per

consistenza e per composizione. Generalmente si formarono un Consiglio maggiore con

poteri decisionali ed un Consiglio minore, che affiancava i consoli nell’esercizio del potere

esecutivo e seguiva, inoltre, gli aspetti formali amministrativi. Se il Consiglio maggiore

arrivò a comprendere anche un centinaio di membri nel XIII secolo, il Consiglio minore fu

composto solo da qualche decina di persone. Venne anche detto Consiglio di credenza,

dei savi, degli anziani. Provvisorie ed in via sperimentale furono anche le modalità di

elezione dei consiglieri: per cooptazione, sorteggio e votazione.

13 Vedasi l’esempio di Pisa, nel 1162 nella citazione in op. cit. p.34 14 In op.cit. p.35 15 E’ certo che già nel 1164 a Pisa accanto ai consoli agiva un Consiglio formato dai senatori e da 24 rappresentanti delle 4 circoscrizioni, che raccoglievano 6 quartieri ciascuna.

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Con il procedere di queste sperimentazioni il governo comunale si rafforzò e

cominciò a voler controllare il territorio circostante ed i suoi abitanti. Questo desiderio di

espansione fu contrastato dalle differenti realtà locali dando luogo a conflitti e contrasti.

(per esempio Milano assalì Pavia, Lodi, distrutta nel 1111 e nel 1158, e Como).

L’espansione dei comuni maggiori e le lotte tra comune e comune (P. Lamma- R. Manselli) “Ogni Comune, mentre cercava di svincolarsi da ogni autorità che ne limitasse o ne

comprimesse l’autonomia, doveva, per sopravvivere, disporre di strade e vie di

comunicazioni libere per il suo vettovagliamento, prima di tutto, e poi per il suo commercio,

per i suoi traffici. S’inizia così una politica d’espansione, sempre più viva, sempre più

audace, che cercherà di combattere e sottomettere i signori feudali circostanti.

In questa tendenza espansionistica sorgono assai preso le lotte tra alcune città, che la

parità delle forse obbliga ad un equilibrio, instabile certo, quanto inevitabile: è il caso di

Milano con Cremona, di Firenze con Pisa e di Lucca con Pisa. Intorno a queste città

maggiori si dispongono come in un sistema di forze contrapposte tutte le altre, iniziando

una serie di lotte minute, continue, accanite, di cui non è sempre possibile allo storico

rendersi precisa ragione. Persino al tempo del Barbarossa, quando la minaccia d’una

perdita della tanto sospirata autonomia fece unire intorno a Milano la maggior parte delle

città dell’Italia settentrionale, non mancarono quelle che preferirono la sottomissione

all’impero piuttosto che a Milano: si pensi a Como o a Pavia”. 16

16 P. Lamma- R. Manselli, I comuni italiani e la vita europea, in Storia d’ Italia, I, Il Medioevo, Utet 1968, pp.279-280.

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3. Lo scontro con l’Impero al tempo di Federico I

Le terre del Regno d’Italia erano formalmente soggette all’Impero. Poiché i comuni

gestivano moneta, fisco, giustizia, reclutamento militare, fu inevitabile lo scontro.17

La lotta, protrattasi per oltre trent’anni nella seconda metà del XII secolo, costituì

un’importante reazione in difesa delle autonomie comunali contro la pretesa dell’impero di

continuare ad esercitare un controllo diretto sulle regioni italiane.

Agli inizi del XII secolo l’impero aveva attraversato un periodo di crisi dovuto allo

scontro tra le casate di Svevia e di Baviera, cioè tra ghibellini e Guelfi, che si

contendevano il trono tedesco. Alla fine, nel 1152, era salito al trono Federico I di

Hofenstaufen.

Lo zio del nuovo imperatore, il cronista Ottone di Frisinga, nell’opera Gesta

Friderici, descrive in modo articolato la ricchezza e la potenza dei comuni della Lombardia

e condanna le loro attitudini autonomistiche. La morte di Ottone, avvenuta nel 1158,

interruppe la narrazione al 1156, prima della risoluzione definitiva dello scontro tra

l’imperatore e i comuni.

[…] [I Lombardi] così sono affezionati alla libertà loro, che ad evitar la insolenza de’ reggitori

amano meglio essere governati da consoli che da principi. E poiché sono fra loro tre ordini, quel

dei capitanei, quel de’ valvassori e quel della plebe, a tener giù l’arroganza, questi predetti consoli

sono scelti non da uno solo ordine ma da ciascuno, e affinchè non li vinca la cupidigia del potere,

essi quasi ogni anno sono mutati.18

Ottone sottolinea l’amore per la libertà, di cui il governo consiliare è l’espressione,

da parte dei Lombardi

[…]a stento troverebbesi uom nobile o grande con tanto potere da esser franco (o libero)

dell’obbedienza alle leggi della città sua[…]19

e la ragione del loro successo, legata all’operosità, ma anche all’assenza dell’autorità

imperiale.

17 Il conflitto tra Federico I e i comuni si inserisce nel quadro internazionale che, alla metà del XII secolo, vede “ le rinnovate tensioni tra l’Impero e il Papato, le rivalità tra i due Imperi d’Oriente e d’Occidente, l’ostilità antimperiale del regno normanno, le difficoltà degli Stati latino-cristiani in Oriente”. In op.cit. p.37 18 Ottone di Frisinga, Gesta Friderici, II, 13, tr. in V: Balzani, Le cronache italiane nel Medioevo, Hoepli, Milano 1900, p. 242 19 ibidem

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[…] avviene che essi avanzano ogni altro del mondo per loro ricchezza e potenza. E a ciò […]

sono aiutati dall’indole loro laboriosa e dalla lontananza dei loro principi residenti di solito a

settentrione dell’Alpi.20

Ottone rimprovera ai lombardi di non rispettare, così agendo, le leggi.

[…] mentre si vantano di vivere secondo la legge, pure alle leggi non obbediscono. Imperocchè di

rado o non mai accolgono riverenti il principe a cui sarebbero in obbligo di mostrare una

volenterosa reverenza di soggezione, né accettano obbedienti quel ch’egli impone secondo la

giustizia delle leggi, se non sentono l’autorità sua costretti dal coadunarsi di molto esercito. Onde

egli accade frequente che mentre il cittadino dovrebbe essere frenato sol dalla legge e il nemico

secondo la legge essere costretto dall’armi, essi veggono colui presso il quale come lor principe

dovrebbero trovar clemenza, aver più spesso ricorso alle armi per mantenere i diritti suoi. Di che

viene allo Stato un doppio danno, che il principe deve torcer sue cure al raccogliere un esercito per

tenere in freno i cittadini, e questi debbono esser costretti ad obbedire al principe non senza grave

dispendio della sostanza sua. Onde per la sua stessa ragione che il popolo è in tal caso colpevole

di improntitudine, vuolsi scusare il principe innanzi a Dio e agli uomini per la necessità del caso.

Tra le altre città di questa nazione, è principale ora Milano posta tra il Po e le Alpi. […] Ed è stimata

più famosa d’altre città non solo in ragione di sua maggiore ampiezza e del suo maggiore numero

d’uomini d’arme, ma sì anche perché entrano nella giurisdizion sua altre due città poste nella

regione medesima, ciò sono Como e Lodi. Quindi come avviene nelle umane cose pel blandir della

ridente fortuna, essa per tal modo si gonfiò in ardimento d’orgoglio, che non solo non s’astenne

dall’assalire i vicini suoi, ma perfino s’avventurò senza sgomento a incorrere nella recentemente

offesa maestà del principe.21

Nel 1154 Federico I discese nella penisola con l’intento di mettere fine allo stato di

continue tensioni e scontri tra le città italiche e di riprendere il controllo delle città del nord

e in pratica delle regalie, cioè dei tributi fiscali dovuti, ma disattesi, dalle città italiane.

Nella dieta convocata a Roncaglia nel 1158, dichiarò, perciò nulle, tutte le regalie di

cui i comuni si erano appropriati

Emanò, quindi, una costituzione sui diritti regi definendo i poteri pubblici che i

comuni italiani avevano esercitato di fatto negli ultimi decenni e dei quali voleva

riappropriarsi. Pose in questo modo una base giuridica alla lotta contro i comuni.

20 ibidem

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Queste sono le regalie: le arimannie (le imposte personali percepite sugli uomini liberi, arimanni);

le strade pubbliche; i fiumi navigabili e quelli dai quali sono derivati i corsi navigabili; i porti (luoghi

di deposito di merci), i diritti percepiti all’attraversamento di un fiume (ripatici), le imposizioni

chiamate comunemente telonei (che colpivano le merci in transito su posti daziari); le monete; le

somme pagate come multe e penalità; i beni che si trovano senza titolare e quelli che per legge

vengono tolti a persone indegne, tranne quelli concessi a qualcuno con un provvedimento

speciale; i beni di coloro che contraggono nozze incestuose, quelli dei condannati e dei proscritti,

secondo quanto è stabilito nelle recenti costituzioni; le prestazioni riguardanti le angarie e le

parangarie (servizi imposti ai sudditi, come i trasporti), i carri e le navi; i contributi straordinari

imposti per la riuscita di una spedizione regia; il potere di costituire magistrature per

l’amministrazione della giustizia; le miniere d’argento; i palazzi pubblici nelle città dove esistono

per consuetudine; i redditi della pesca e delle saline; i beni di coloro che hanno commesso delitti di

lesa maestà; la metà dei tesori trovati in luoghi di proprietà imperiale […] o in luoghi di proprietà

ecclesiastica; in caso di collaborazione, tutto il tesoro spetta all’imperatore.22

Sono quindi diritti regali, quelli patrimoniali, il fodro e il diritto di nominare i magistrati

che amministravano la giustizia. I primi sono, per tradizione, appartenenti al demanio

dell’Impero: il controllo delle vie di comunicazione mediante dazi e pedaggi, la potestà di

coniare monete e di riscuotere multe, acquisizione di patrimoni privi di proprietari per

diversi motivi, disponibilità dei palazzi regi. Il fodro è la somma dovuta come sostegno per

le campagne militari al posto del servizio militare.

Nella situazione del momento, vista la sconfitta di Milano, i comuni italiani furono

costretti ad accettare le clausole imposte dall’imperatore. La realizzazione, però, dei

deliberati della dieta apparve subito difficile. Soprattutto in Lombardia dove era più vivo lo

spirito autonomistico.

In seguito a varie vicende Federico I fu battuto a Legnano dalle forze militari

milanesi. Il conflitto si concluse con la pace di Costanza nel 1183.

I Comuni dell’Italia settentrionale ottennero la loro autonomia in cambio di una

formale sottomissione all’Imperatore. L’atto si presenta come una pace “benignamente

accordata” dall’imperatore alle città della Lega lombarda (l’alleanza militare in cui si

unirono molti comuni della Lombardia, del Veneto, dell’Emilia-Romagna).

21 ibidem 22 Constitutiones et acta publica Imperatorum et regum, in Monumenta Germaniae Hostorica, Leges, IV, vol. I, a c. di L. Weiland, Hahn, Hannover 1893, pp. 244-245.

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In nome della santa individua Trinità. Federico per divina clemenza Imperatore dei Romani

Augusto e suo figlio Enrico Re dei Romani Augusto. La mite serenità della clemenza imperiale

tenne sempre tal costume nel distribuire grazie e favori a’ suoi sudditi, che potendo e dovendo

punire con stretto rigore l’enormità dei delitti, tuttavia vuole reggere il Romano impero, e richiamare

l’insolenza dei ribelli alla debita fede e devozione, colla tranquillità della pace e coi pietosi affetti

della misericordia. […] per tanto abbiamo comandato di sottoscrivere e di confermare col sigillo

della nostra autorità la pace che nella presente pagina abbiamo loro benignamente accordata.tale

ne è il tenore e la serie.

Noi Federico imperatore dei Romani ed il nostro figlio Enrico re dei Romani concediamo a voi città,

terre e persone della Lega (dei comuni italiani) le regalie e le consuetudini vostre tanto in città che

fuori […] in perpetuo. Che nella città abbiate ogni cosa come avete avuto sin qui ed avete, fuori poi

esercitiate senza nostra contraddizione tutte le consuetudini come avete sino ad oggi esercitate.

Cioè sul fodro (diritto di prelevare foraggi sul contado), sui boschi, sui pascoli, sui ponti, sulle

acque e molini come usaste ad antico […] ed in tutte le l’altre cose che appartengono agli utili delle

città.23

23 In C. Vignati, Storia diplomatica della Lega lombarda (1867), Bottega d’ Erasmo, Torino 1966, pp. 375 ss.

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Gli elementi costitutivi del comune come ente politico (R. Bordone) Nonostante il clima di continua sperimentalità istituzionale, il comune cittadino riuscì a

imporsi come vera entità politica all'interno e all'esterno della città, fondando la propria

struttura su tre elementi costitutivi che compaiono fin dagli anni dello scontro con il

Barbarossa e sono avvertibili nei trattati stipulati all'interno della Lega lombarda. In

questo trattato del 1168, si riconosce infatti alle città partecipanti il diritto di esercitare la

propria giustizia e di esigere imposizioni economiche all'interno di un territorio

giuridicamente circoscritto. Territorio, giurisdizione ed economia appaiono così gli

elementi indispensabili al funzionamento dell'ente cittadino e nei loro confronti i regimi

che si succederanno al governo rivolgeranno sempre le principali attenzioni.24 Tenore del breve che il marchese Obizzo Malaspina e i consoli di Cremona, Milano, Verona,

Padova, Mantova, Parma, Piacenza, Bologna, Brescia, Bergamo, Lodi, Como, Novara, Vercelli,

Asti, Tortona e Alessandria, città nuova, su proposta del comune di Lodi unanimamente hanno

accettato:

1. Nessuna persona del predetto marchese né delle predette città né di altre che sono o

saranno in tale alleanza arrestino qualcuno al posto di un altro di qualche città […] ma quando

ritengano uno debitore non solvente lo accusino e chi ha mancato sia arrestato dai consoli della

sua città e se i suoi consoli non lo avranno obbligato alla restituzione del pegno o all'ammenda

[…] entro quaranta giorni dopo la richiesta dei consoli di chi è stato defraudato o offeso, allora i

consoli della città del danneggiato avranno il potere di sequestrare i beni della città alla quale

appartiene la persona che ha contratto il pegno o ha commesso reato contro gli statuti, e

tratterranno ciò che hanno sequestrato […]

2. Nessuna città né il suddetto marchese accolgano qualcuno bannito dai propri consoli, e se lo

avranno accolto nel loro territorio entro i quindici giorni successivi alla richiesta presentata dai

consoli o dal marchese che lo hanno posto al bando, lo allontanino dal loro dominio e territorio e

in seguito non lo accolgano di nuovo, se non quando sarà assolto dal bando dai propri consoli

3. Nessuna persona e nessuna città riscuota dazi o pedaggi nuovi sul proprio territorio […] e

stabilisca qualche patto che sia ostile a questa lega comune e alleanza fra le città.

4. Se il suddetto marchese o qualche città avrà agito contro la lega stabilita fra le città, o si sarà

rifiutata di rendere giustizia a qualche città alleata, tutte le altre città sono tenute ad aiutare

quella che avrà richiesto giustizia o subito il torto, fino a che non si torni in pace e concordia

dopo aver ripristinato la giustizia.

Fonte: MANARESI (a cura di), Gli atti del comune di Milano cit., doc. 64, pp. 93-95.

24 R. Bordone, La società urbana nell’Italia comunale (secoli XI-XIV)

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4. Dal comune podestarile al comune popolare

Gli statuti

Successivamente allo scontro con l’impero, i comuni cominciarono a dotarsi di statuti:

elaborarono un proprio modello normativo, promulgando leggi e controllandone

l’applicazione.

Tra XI e XII secolo, infatti, i comuni non si erano dotati di un proprio corpo di leggi,

fatta eccezione per le formule di giuramento dei consoli e dei cittadini.

Dopo la pace di Costanza si ebbe una gran fioritura di statuti comunali: i comuni

avevano ormai acquisito maturità in quanto organismi d’autogoverno. Adesso il comune

stabilisce le proprie norme di diritto privato e di diritto penale e procede – poi – alla

revisione degli stessi statuti, in base ai cambiamenti della vita cittadina. La revisione è

affidata a magistrati e giurisperiti (reformatores, correctores). La cura del diritto statutario

spettava ai giudici comunali, che potevano far ricorso per casi particolari, non previsti dagli

statuti, al diritto comune o alla consuetudine. Lo statuto riuniva in un unico testo legislativo

le norme sulle quali si reggeva la vita del Comune.

L’elaborazione degli statuti diede origine ad un contenzioso con il vescovo che non

voleva rinunciare alle prerogative e ai poteri da tempo acquisiti e rivendicava, anzi, un

ruolo di controllo sul governo comunale. Il comune forte della legittimazione acquisita con

la pace di Costanza, non solo non cedette, ma rivendicò anche il controllo esercitato dal

vescovo su beni, domini e diritti della curia cittadina vescovile, contestandone i privilegi.

L’intensa attività legislativa in collaborazione con i giuristi permise di armonizzare il diritto

statutario cittadino con quello comune.

5. Il comune podestarile

Si è detto che il Comune nacque come sperimentazione di autogoverno. La società

dell’epoca, in continua evoluzione richiese costantemente di adeguare gli istituti esistenti

attraverso prove ed aggiustamenti.

Le frequenti discordie tra i consoli crearono l’esigenza di sostituire al collegio dei

consoli un magistrato unico con il titolo di podestà, concentrando, così, il potere esecutivo

nelle mani del singolo. Ciò permise di prendere decisioni tempestive in condizioni difficili,

mentre i collegi consolari molto ampi spesso non giungevano a decisioni per diversità di

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vedute al loro interno, oppure impiegavano tempi troppo lunghi. Un governo “individuale”

permetteva di agire senza incertezze e rapidamente.

L'origine dell'ufficio podestarile a Genova (R. Bordone) Le concorrenze di prestigio e di potere all'interno dell'originaria classe di governo –

spesso sfociate nel ricorso consueto alle guerre private – contribuiscono a provocare una

trasformazione istituzionale del sistema: la nomina di un solo ufficiale, il podestà, al quale

sono affidati i compiti che in precedenza spettavano ai consoli. Semplificando il processo,

ma con viva attenzione al clima di violenza che lo accompagna, il cronista genovese

Ottobono Scriba racconta come nella sua città si giunse all'affermazione del regime

podestarile.25 A causa dell'invidia di molti che desideravano smodatamente di ottenere l'ufficio comunale di

console, molte discordie civili e odiose cospirazioni sono sorte nella città [di Genova]. Sicché

accadde che i sapienti e i consiglieri della città si riunirono insieme e convennero di comune

accordo che dall'anno successivo [1190] terminasse il regime consolare e stabilirono quasi

all'unanimità di avere in futuro un solo podestà. A ricoprire tale ufficio fu eletto Manigoldo di

Tetocio, bresciano, e felicemente fu costituito. Ma mentre egli era in città col compito a lui affidato

e concesso dai consoli del comune di esercitare la giustizia criminale e durante una riunione, in

casa dello scriba comunale Ogerio Pane, dei consoli [uscenti] che esaminavano la contabilità del

consolato ormai al termine, ecco che Fulchino e Guglielmo Balbo, figli di Anselmo de Castello,

commettono un gravissimo delitto. Con l'inganno e senza ragione alcuna uccidono infatti

Lanfranco Pepe, persona nobile ed egregio console. Riprendono in seguito a ciò le discordie civili

e le divisioni, ma il giorno seguente al delitto quell'uomo egregio del podestà Manigoldo, toccato

da grave dolore e da vergogna per ciò che era successo, riunisce un parlamento generale e,

indossata la corazza e prese le armi, monta a cavallo, si reca allo splendido palazzo che Fulco

aveva in Castello e lo distrugge per punizione del delitto compiuto, anche se non riesce a

catturare gli assassini che intanto avevano lasciato la città e si erano nascostamente rifugiati a

Piacenza.

I consoli di giustizia continuarono intanto a trattare con onestà le cause dei cittadini, rendendo a

ciascuno giustizia senza contrasti. Fonte: BELGRANO (a cura di), Annali genovesi cit., II, pp. 36-37.

25 R. Bordone, La società urbana nell’Italia comunale (secoli XI-XIV)

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Durante lo scontro con l’imperatore, poi, l’aver scelto come magistrato unico

cittadini che godevano di giurisdizioni feudali o inseriti nell’amministrazione vescovile,

aveva consentito di stabilire una sorta di continuità legale tra il passato e il presente.

La figura del podestà (il termine deriva da potestas, sostantivo astratto con il quale

si designava colui che esercitava un potere in nome di una suprema autorità), comincia ad

emergere dalla metà del XII secolo. E’ individuato come una figura preminente, designata

come prior ex consulibus, primus consul, dominus, magister. Compaiono anche i titoli di

dominus civitatis, rector, gubernator, potestas. Titoli tutti, che alludevano al governo

personale del singolo al posto di quello collegiale.

Al podestà facevano capo una somma di Consigli e cariche amministrative con

differenti competenze e, nel nuovo sistema razionalmente elaborato, a lui spettava il

potere esecutivo, mentre quello legislativo era prerogativa del Consiglio.

I primi podestà furono scelti tra i cittadini. Successivamente furono tratti da città

vicine, allo scopo di una maggiore obiettività ed estraneità alle rivalità locali. In seguito si

formò una categoria professionale di podestà. Si trattava di funzionari che per mestiere

governavano delle città temporaneamente, che si spostavano con il loro gruppo di

collaboratori di città in città, per risolvere le questioni che venivano poste loro. Questo

spostarsi favorì la progressiva omogeneizzazione delle leggi e delle istituzioni. Le regioni

finirono per modellarsi su schemi comuni.

I modi di elezione del podestà, come quelli dei consoli, variarono da luogo a luogo.

Solitamente era eletto dagli organi consiliari del comune mediante un meccanismo misto

di elezione e sorteggio. Assumendo la carica egli doveva prestare giuramento.

Viene stabilito che il signor podestà deve prestare giuramento e sotto la sua responsabilità penale

deve restare fedele alla formula di giuramento che segue. Non appena sarà entrato in città, senza

scendere da cavallo se prima non sarà venuto nella piazza del comune, dirà quanto segue di

fronte all’arengo (assemblea popolare): Giuro sui santi Vangeli che reggerò e guiderò la città di

Como e il suo distretto e i loro abitanti per tutto il tempo della mia carica, in buona fede, senza

frode, messo da parte ogni odio, amore e timore, senza tener conto dei compensi o pressioni

indebite e così pure dei danni o vantaggi materiali che io o altri potrebbero trarre, con lo scopo di

accrescere l’utilità e il buono stato del comune di Como e del suo distretto, secondo le sue

consuetudini scritte e, in mancanza di disposizioni negli statuti e nelle consuetudini, secondo il

diritto e l’equità. Mi darò da fare in tutti i modi possibili affinché il comune di Como e tutti i suoi

possessi e privilegi si rafforzino secondo giustizia e, se in qualcosa verrò meno, per quanto posso

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rimedierò. Non farò e non permetterò che siano fatti furti, danni o rapine contro i beni del comune

e, se ciò accadesse, non appena lo verrò a sapere, provvederò a recuperarli. Consegnerò e farò

consegnare al comune un resoconto mensile su ciò che è stato dato e ricevuto e su ciò che è

rimasto presso i depositi di viveri, fino all’ultimo denaro, debitamente annotato dagli addetti al

controllo dei depositi e dai notai […] . farò leggere questo resoconto ogni mese nel consiglio

generale del comune, convocato secondo l’uso al suono delle campane, fino all’ultimo denaro e

fino all’ultimo carico di granaglie, secondo quanto piacerà al consiglio. 26

Insieme alle modalità di elezione, gli statuti comunali stabilivano la data di inizio

dell’incarico e la sua durata, i collaboratori del podestà, il compenso che gli spettava.

Il mandato durava solitamente un anno (nella seconda metà del XIII secolo sei

mesi) e veniva avviato in un giorno di una festività solenne, per esempio il Natale, la

Pasqua e l’Annunciazione.

Poiché nessuna città può reggersi ordinatamente se non ha magistrati che la governino, e

senza questi sarebbe vano emanare leggi e statuti, volendo provvedere al governo della città,

stabiliamo e ordiniamo che prima del Natale, e precisamente nella festa di Santa Lucia, per ordine

del podestà o dei consoli in carica, al suono della campana e del corno, com’è costume, il popolo

della città di Noli si raccolga nel Palazzo del Comune, dagli anni venti ai settanta, uno per ogni

famiglia. In quel giorno, davanti al popolo, per mezzo del podestà o dei consoli, si proponga se

nell’anno seguente la città di Noli debba essere retta dal podestà oppure dai consoli; a ciascuno

dei presenti all’assemblea si diano due petruzze, una bianca e una nera, e coloro che vorranno

dare risposta affermativa deporranno la petruzza bianca, coloro che vorranno darla negativa, la

nera in un sacchetto o in un bossolo, che lo scrivano comunale terrà nelle mani.

Nel caso sia prevalsa la decisione di eleggere il podestà, entro quindici giorni i consoli e i

consiglieri della città di Noli eleggano il podestà con la seguente procedura: sentita la proposta dei

consoli, colui che otterrà più voti, pronunciati oralmente, sia il podestà in quell’anno; se poi due,

entrambi nominati nel detto consiglio, abbiano pari numero di voti, i loro nomi siano scritti dai

signori consoli in due schede e queste siano deposte in un sacchetto o in un berretto, e colui il cui

nome è scritto nella scheda estratta, sia il podestà ed abbia il governo della città di Noli nell’anno

per il quale è stato eletto. 27

26 Tratto dagli statuti di Como del 1335. In Per lo studio dell’ordinamento giuridico del comune medievale, op. cit., p. 520. 27 Nel momento in cui fu redatto questo statuto del Comune di Noli, risalente al XIII secolo, il governo della città non era ancora affidato in modo permanente al podestà. Da Gli statuti di Noli, a cura di L. Vivaldo, nella riduzione degli autori in Beniamino Proto, Guida alla conoscenza storica, II, APE Mursia, 1988.

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Una volta terminato il suo mandato, l’operato del podestà veniva sottoposto a

giudizio (sindacato).

Il podestà poteva essere rieletto, ma ciò non si verificò che raramente.

Si richiedeva al podestà di portare con sé, per l’espletamento del suo lavoro, una

squadra di collaboratori di cui si faceva garante. Prima questa era ridotta al minimo,

comprendendo un giudice, un cavaliere ed alcuni uomini armati. In un secondo tempo il

nucleo iniziale essenziale si ampliò e fu composto da giudici, notai, uomini d’arme (fanti e

cavalieri), famigli.

In questo modo le funzioni del podestà cominciarono ad essere distinte: la funzione

giudiziaria spettava allo iudex potestatis , la funzione di polizia urbana al miles potestatis.

Negli statuti del comune sono indicate le funzioni del podestà.

In nome di Dio, amen. Io, che sono rettore della città di Parma, giuro che, in buona fede,

senza inganni, messo da parte ogni odio, amore e timore, o compenso indebito, renderò giustizia

in tutte le cose a tutte le persone del distretto di Parma, sia chierici che laici, di persona o

attraverso un mio funzionario, secondo legge e giustizia, conformemente ai buoni costumi e

consuetudini e agli statuti della città di Parma. Mi occuperò di tutte le controversie portate di fronte

a me e insorte fra le predette persone.28

Il podestà riceveva un onorario per il suo intervento, comprensivo del pagamento

degli ufficiali del suo seguito. Nel corso del XIII secolo questo compenso aumentò sia per il

maggior numero degli accompagnatori, sia perché il podestà era diventato un competente

specialista, che chiedeva, pertanto, compensi adeguati al suo ruolo.

I podestà professionali sono funzionari specializzati che si dedicano, in qualità di

professionisti, all’amministrazione della città. Questa figura professionale si affermò a

partire dalla fine del XII secolo, quando sono presenti governi podestarili con maggiore

frequenza rispetto a quelli consolari.

Al podestà spettava di far funzionare il governo della città. Egli svolgeva il suo ruolo

secondo criteri in modo imparziale, non appartenendo a gruppi e fazioni, né subendone

l’influenza. Doveva garantire l’ordine e l’efficienza dell’amministrazione; scoraggiare l’uso

privato delle istituzioni, la prepotenza dei maggiorenti e i conflitti con le vecchie classi

dirigenti.

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La sua azione avveniva all’interno degli statuti del comune e rendeva operative le

delibere dei Consigli comunali.

All’interno di questo spazio il podestà, però, godeva di una certa autonomia;

partecipava ai lavori dei Consigli comunali e alle principali decisioni politiche prese in essi;

coordinava gli uffici municipali, emanava decreti con valore di legge.

In quanto giudice massimo amministrava la giustizia. Curava, inoltre, la vita

associata, comandava le milizie militari, manteneva l’ordine pubblico, controllava le

infrastrutture e le opere pubbliche, faceva rispettare le scadenze istituzionali.

L’obiettivo era controllare gli uffici e la cariche, in una parola la giurisdizione

cittadina, di fronte alla complessità di apparati burocratici che, all’estendersi della città, si

era venuta creando.

Questi uomini di governo assommavano nelle proprie mani responsabilità civile e

militare.

Per diventare podestà bisognava possedere attitudini e conoscenze di carattere

teorico e pratico.

28 Gli statuti del comune di Parma del 1255 riordinano diversi documenti istituzionali, risalenti ai decenni precedenti. In Per lo studio dell’ordinamento giuridico del comune medievale, a c. di U. Nicolini, Celuc, Milano 1972, p.485.

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La transizione al Comune “podestarile” (K. Bosl)

“Nel collegio consolare già da parecchio tempo si era delineato il predominio di un

console. La politica del Barbarossa non aveva fatto altro che incrementare la tendenza

già in atto a sostituire il collegio consolare con un unico funzionario, che proveniva dalla

massa dei cittadini, ma che disponeva di titoli giuridici feudali come pure di importanti

incarichi nell’amministrazione vescovile e che quindi era conforme alla legalità e alla

tradizione del Comune. Questi capi magistrati erano per lo più chiamati potestas,

volendosi esprimere in tal modo la delega dei diritti sovrani e di dominio che veniva

assunta da un’autorità suprema. […]

I primi podestà erano cives e appartenevano alla nobiltà, possedevano pratica di

amministrazione e di strategia militare, possedevano una cultura giuridica e innanzitutto

manifestavano grande energia nel difendere i diritti della città e nel perseguire e imporre

i suoi obiettivi. Questo gruppo di “esperti” spesso non esauriva la propria funzione di

podestà in una sola città, ma inviava i suoi membri in altre città, nelle quali assolvevano

insieme ai loro collaboratori le stesse funzioni. La carica di podestà si trasformò in

carriera professionale aperta ai membri di determinate famiglie.

Il podestà rappresentava il supremo organo esecutivo del Comune ed era presidente

del Consiglio, capitano delle truppe del Comune, giudice supremo. Il gran numero di

competenze che erano riunite nelle sue mani determinò il rafforzamento del controllo

esercitato dal Consiglio maggiore o minore; infatti il rischio di una dittatura era assai

prossimo. […] in questo sistema il potere esecutivo era nelle mani del podestà, quello

legislativo invece era di competenza della totalità dei cittadini. Questo sistema di

governo era assai più avanzato rispetto a tutti i sistemi di governo dell’Europa di quel

tempo”.29

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6. Le organizzazioni di popolo

Verso la metà del XIII secolo, il popolo medio e minuto, organizzato nelle sue “arti”,

cercò di conquistare più ampie opportunità di rappresentanza politica, conquistando uno

spazio nella vita pubblica cittadina.

In opposizione al “Comune maggiore” si costituì, stato entro lo stato, il “Comune del

popolo”, del quale facevano parte i membri delle corporazioni.

Gli ordinamenti del “Comune del popolo” erano modellati su quelli del “Comune

maggiore”. Alla guida, infatti, troviamo un capitano del popolo di fuori città; accanto a lui

agiva un Consiglio degli anziani e talvolta un Consiglio generale di tutti gli artigiani.

Questa situazione portò nel Duecento quasi tutti i comuni italiani ad uno stato

permanente di guerre interne, che si intrecciava con il conflitto rinnovato tra papato e

impero.

Come già nel XII secolo, si schierarono Guelfi contro Ghibellini, allo scopo di

concentrare il potere nelle mani di una fazione, governare con precisi interessi di parte.

In questa situazione si sentì l’esigenza di un governo forte che dirimesse le

discordie. Per lunghi periodi o a vita, contro i pericoli interni ed esterni, furono concessi

ampi poteri ad una figura unica, un “signore” .

Ormai, pur in presenza delle magistrature comunali, il Comune non esiste più. Con

il Trecento, dal processo di dissoluzione del Comune, sorgerà la Signoria. 30

29 Karl Bosl, L’Europa medioevale, III, trad. M.Keller, in Nuova Storia Universale, Utet 1983, pp. 1748-1749 30 La sintesi è giustificata dal fatto che il “Comune del popolo”, il “governo delle arti” e la “Signorìa” esulano dai limiti cronologici del programma del II anno.

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7. Il caso di Venezia

Venezia costituisce un caso a sé, nel quadro italiano. Città di fondazione medievale,

non vide una forte presenza feudale nel suo processo di formazione, non conobbe né la

signoria territoriale né la fase del governo del vescovo. Originariamente ebbe una

struttura istituzionale particolare: un ordinamento politico oligarchico, con a capo il doge

(variante veneziana di duca, cioè “condottiero”, dal latino dux).

Il doge era eletto a vita da organi rappresentativi dei ceti dirigenti della città. Era il

primo magistrato. Esercitava il governo sulla città insieme ad un complesso di istituzioni

con cui condivideva il potere.

Ciò che rende particolare la storia veneziana è la collocazione geografica della città.

In quanto laguna, isolata dalle coste venete, non fu mai assoggettata all’Impero, ma fu

lungamente legata a Bisanzio.

Poiché la laguna aveva poche terre, nonostante l’inurbamento di famiglie nobiliari,

la città non ebbe in origine un’aristocrazia terriera molto forte.

Soprattutto veniva sfruttato il sale che si ricavava dalla laguna. Ed è commerciando

sale che i veneziani iniziarono la loro attività mercantile.

Nei secoli dal IX al XI il doge era una specie di monarca dagli illimitati poteri.

Amministrava la giustizia e garantiva i diritti di tutti, nelle vesti di rappresentante unico

della comunità.

Le grandi famiglie operavano unitariamente sotto la guida del doge. Nessuna ebbe

bisogno di rivendicare proprie zone di interesse nelle aree lagunari.

Il doge era scelto tra i membri delle famiglie più illustri; era eletto dall’assemblea

generale (concio), alla quale partecipavano tutti gli uomini liberi della cittadinanza

veneziana.

Al momento dell’assunzione della carica egli si impegnava a rispettare e a

mantenere in vigore le istituzioni sociali cittadine.

Accanto al doge operava, oltre all’assemblea, una corte popolare di giustizia che

accoglieva, a diversi livelli, cittadini di tutti gli ordini (maiores, mediocres, minores).

Verso la fine del secolo XI un élite di famiglie cominciò a distinguersi per ricchezza

e prestigio economico grazie ai traffici con l’Oriente. Desiderosa di far valere la propria

preminenza sociale, diede origine al comune di Venezia (comune Veneciarum), che fu,

quindi, l’espressione del controllo politico-economico da parte delle maggiori famiglie.

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La stessa elezione del doge non spettò più all’assemblea cittadina, ma ad una

commissione di saggi, provenienti dall’aristocrazia mercantile. Lo stesso doge fu scelto in

questa cerchia.

Chiaramente i suoi poteri cominciarono ad essere limitati.

Dalla metà del XII secolo, infatti, il doge governa assieme ad organi collegiali tra cui

il Maggior Consiglio, in cui sono rappresentati i grandi interessi commerciali della città.

Ad esso spettano i compiti di governare la città e gestire la pubblica

amministrazione, eleggere i magistrati e gli organismi consiliari cittadini (Consigli minori e

commissioni con compiti specifici), emanare leggi e regolamenti, esercitare il controllo

giudiziario e finanziario.

Data la complessità di questa gestione, il Maggior Consiglio dette vita ad una serie

di istituti di supporto.

Nacquero il Consiglio dei Quaranta (o Quarantia) e il Minor Consiglio. Il primo

elaborava linee di politica monetaria e finanziaria, che andavano sottoposte al Maggior

Consiglio per l’approvazione; si occupava anche di amministrare la giustizia.

Il Minor Consiglio, formato da solo sei membri, provenienti dal Maggior Consiglio,

affiancava il doge nella preparazione degli atti di governo, che sarebbero stati sottoposti

all’esame del Maggior Consiglio.

Il doge, eletto da questo organo, godeva di grande prestigio formale, ma non

esercitava poteri reali.

La prima commissione ufficiale per designare il doge risale al 1172, ma la sua

forma più compiuta risale al 1268.

Era eletto con una procedura complessa per evitare sia mire ambiziose, sia rivalità

familiari nell’aspirare alla massima carica dello stato.

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La complessa procedura per l’elezione del doge di Venezia (Martin da Canal)

I nobili consiglieri fecero riunire quel giorno stesso dopo l’ora di nona il Maggior Consiglio, e

fecero per ogni membro una piccola ballotta (palla) di cera; e dentro trenta di quelle ballotte di

cera stava, in ciascuna un pezzetto di pergamena scritto, che diceva “elettore”; e ciascuno ne

prese una; e i consiglieri e i capi dei Quaranta le rompevano una per una sotto gli occhi di tutti;

e là dove trovavano dentro l’indicazione “elettore”, quegli per il quale essa era stata estratta

andava a sedersi in un posto mentre essi facevano ritirare quegli altri per i quali non trovavano

scritto niente: e si procedette nel modo che vi dico finchè ci furono trenta elettori. […] E quando

essi ebbero giurato davanti al Consiglio, quei trenta nobiluomini rimasero nel Palazzo in una

stanza, e gli altri scesero giù dal Palazzo e se ne andarono. E i trenta uomini che rimasero nel

Palazzo fecero trenta ballotte di cera, e in ciascuna di nove tra esse stava un pezzetto di

pergamena con la dicitura “elettore” , e ciascuno di loro prese la sua, come aveva giurato. E

quelli dentro la ballotta dei quali veniva trovato il pezzetto di pergamena con la dicitura “elettore”

rimasero nel Palazzo, e gli altri andarono via; e sappiate che furono nove gentiluomini […]

Questi nove si riunirono ed elessero quaranta Veneziani ed ebbero podestà di eleggere , con

non meno di sette voti, sia chi faceva parte del Consiglio che tra chi ne era fuori. […] Quando

[…] il vicario del dogado, e i nobili consiglieri e i [tre] capi dei Quaranta conobbero i nomi dei

quaranta uomini che i nove avevano eletto, li fecero subito venire al Palazzo, e fecero quaranta

ballotte di cera, tra le quali ne stavano dodici che contenevano dei pezzetti di pergamena con la

dicitura “elettore”. E quando essi furono riuniti, le quaranta ballotte stavano dentro un cappello,

e c’era là un bimbo di undici anni: e quando uno si faceva avanti per aver la ballotta, si diceva

al bimbo: “Metti una mano nel cappello e prendi una ballotta di cera per questo qua “ e gliene si

faceva il nome. E il bimbo la prendeva e la dava ai consiglieri, ed essi la rompevano alla

presenza di tutti; e se vi trovavano dentro la pergamena con scritto “elettore”, facevano sedere il

designato; e se non vi trovavano scritto niente, quegli se ne tornava indietro; e il bimbo continuò

a dare ballotte finché essi trovarono dodici uomini.[…] Quei dodici nobiluomini, quand’ebbero

fatto il giuramento, si recarono in un stanza, e, secondo il giuramento, elessero venticinque

uomini; e […] li fecero riunire nel Palazzo, ed essi fecero venticinque ballotte, come avevano

fatto gli altri secondo la procedura: e tra quelle venticinque ballotte ce n’erano nove che

contenevano pezzetti di pergamena con la dicitura “elettore”. […] E dovevano eleggere

quarantacinque uomini con non meno di sette voti […] Quando quei quarantacinque furono

riuniti nel Palazzo, fecero quarantacinque ballotte di cera e in undici di esse misero dei pezzetti

di pergamena con la dicitura “elettore”. […] e sappiate che quegli undici dovevano eleggere

quarantun uomini con non meno di nove voti […] e quei quarantuno dovevano eleggere il doge

con non meno di venticinque voti. […] e li fecero giurare davanti al Consiglio di eleggere il doge

secondo la procedura che era stata comunicata al popolo nella chiesa di messer san Marco e

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che il popolo aveva approvata, giurando ciascuno sulla sua anima di tenere per doge e per

signore quegli che sarebbe stato eletto dai quarantuno, secondo la procedura che era stata

preparata dagli uomini che erano stati eletti dal Gran Consiglio […]31

Il doge, i membri del Minor Consiglio e i tre capi del Consiglio dei Quaranta

costituivano insieme la Signoria, cioè l’organo al vertice che elaborava le proposte da

sottoporre ai Consigli.

Esercitavano, inoltre, funzioni di controllo del rispetto delle norme che garantivano il

buon funzionamento delle istituzioni comunali; prendevano le decisioni nei momenti di

crisi.

Con lo sviluppo mercantile e commerciale si assistette ad un rimescolamento

sociale e all’emergere del ceto popolare. Sotto la pressione di questo ceto, nella metà del

Duecento, si costituì un nuovo Consiglio, quello dei Pregadi o Rogati (detto anche

Senato), dotato di ampi poteri, aperto alla partecipazione anche di membri che non

appartenevano all’antica aristocrazia.

La nascita, nel tempo, di coalizioni e di interessi di parte finì con il dar vita ad un

gruppo oligarchico, che rappresentava gli interessi economici della città. Questa nuova

oligarchia sancì formalmente il proprio monopolio politico attraverso la serrata del Maggior

Consiglio.

Con la quarta crociata Venezia aveva conquistato importanti territori in Oriente: e la

spartizione delle terre tra i vincitori diede luogo alla nascita dell’impero marittimo della

Serenissima, importante potenza commerciale e politica.

Dalla seconda metà del secolo XIII, in politica estera, Venezia mirò a mantenere la

supremazia commerciale in Oriente, a espandersi nell’entroterra veneto, a controllare il

golfo adriatico, da Ravenna a Trieste.

Nonostante l’antagonismo di Genova, a seguito di alterne vicende Venezia riuscì a

mantenere la propria indipendenza, a conservare i suoi possedimenti ed il suo ruolo

economico; si assicurò, inoltre, il controllo delle vie di comunicazione, verso la pianura del

Po e le Alpi e il dominio sul Polesine e sulla Romagna.

Ed era stata proprio l’esigenza di stabilità, necessaria per affrontare così complessi

compiti interni e esterni, ad accelerare tutti i processi politici.

31 La complessa procedura per l’elezione del doge di Venezia, riportata dal cronista Martin da Canal, fu adottata in occasione dell’assunzione della carica da parte di Lorenzo Tiepolo, nel 1268. Martin da Canal, Les estoires de Venice, a.c. di A. Limentani, L. Olschki, Firenze 1972, pp.271-279

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Le coalizioni e gli interessi di parte,poi, finirono con il dar vita ad un gruppo

oligarchico, che rappresentava gli interessi economici della città. Questa nuova oligarchia

sancì formalmente il proprio monopolio politico attraverso la serrata del Maggior Consiglio.

Nel 1297, durante il conflitto con Genova. Pietro Gradenigo, doge dal 1289 al 1311,

attuò la serrata del Maggior Consiglio. Prima di allora il Maggior Consiglio era composto

da magistrati o ex magistrati, e da membri con incarico annuale.

Attuando la riforma l’accesso al Consiglio fu consentito solo a coloro le cui famiglie

avevano rivestito cariche pubbliche negli ultimi quattro anni.

Poiché, però, il Minor Consiglio era costituito da membri provenienti dal Maggiore, e

ad esso spettava l’elezione dei componenti della Quarantia e l’elezione del Senato, il

controllo sul Maggior Consiglio significava il controllo sulle magistrature cittadine.

In tal modo il governo della città fu consegnato nelle mani di un gruppo chiuso di

famiglie.

Questa oligarchia manterrà il potere sino alla fine del XVIII secolo.

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8. Le città del Mezzogiorno

Le città del Mezzogiorno seguirono uno sviluppo differente rispetto a quelle

settentrionali. La particolare varietà delle vicende meridionali non rende immediatamente

confrontabili le esperienze municipali realizzatesi al Sud con quelle verificatesi al Nord.

A lungo la tradizione storiografica ha attribuito la responsabilità del mancato

sviluppo dei centri meridionali, soprattutto costieri, che pur alla fine del XI secolo

intessevano rapporti commerciali all’interno del bacino mediterraneo, alla monarchia

normanna. Quest’ultima, trovando il proprio vantaggio economico nell’economia rurale,

avrebbe frenato lo sviluppo delle città.

La successiva formazione di un regno unitario, nel 1130, sotto Ruggero II, che

aveva vasti interessi fondiari, avrebbe accentuato la politica anticittadina. Le città

avrebbero visti ostacolati e soffocati il libero sviluppo delle attività mercantili e il loro

desiderio di autonomia politica.

Attualmente la ricerca storiografica rende necessario chiedersi quanto siano state

effettivamente sentite queste aspirazioni autonomistiche.

Nel Mezzogiorno, infatti, gli interessi dei ceti dominanti risultarono convergenti nel

progetto politico dei signori dominanti.

E’ evidente che non ci furono rivendicazioni autonomistiche al Sud da parte del

comune. Non si sentì l’esigenza di battere moneta, legiferare, disporre di un esercito. Non

si rinnovarono gli ordinamenti e gli istituti municipali, non si crearono quelle alleanze

intercittadine che avevano portato alla difesa delle istituzioni comunali al Nord.

Le città del Mezzogiorno rimasero chiuse ciascuna in se stessa, “nella difesa delle

consuetudini locali, della libertà di scelta, o almeno della facoltà di condizionare la scelta

dei propri amministratori” . 32

In pratica la monarchia normanna non pregiudicò né ostacolo l’organizzazione

comunale delle città nel corso del XII secolo.

I sovrani normanni confermarono tutte le consuetudini vigenti all’interno del Regno,

comprese quelle relative all’ordinamento delle comunità cittadine, se non contrastavano le

norme legislative generali.

Ciò che fece la reale differenza con le città settentrionali fu un gioco di interessi: da

una parte le classi dirigenti locali avevano interesse ad ottenere l’appoggio del potere

regio (sul piano politico, militare, giurisdizionale); dall’altra il potere regio rafforzò il potere

32 G. Galasso, Dal Comune medievale all’Unità. Linee di storia meridionale, Laterza, Bari, 1969, p.65, in Elisa Occhipinti, L’Italia dei Comuni, Secoli XI-XIII, Carocci editore, Roma 2000, p.79.

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delle famiglie dominanti all’interno della comunità cittadina, assicurandosi in questo modo

il controllo locale dei territori.

L’aver ottenuto un vantaggio reciproco da questo accordo non portò alla collisione

tra l’esigenza di un governo monarchico centralizzato e le abitudini autonomistiche

cittadine.

Il punto di equilibrio fu trovato nella nomina regia di un magistrato scelto dalla

comunità, che garantiva l’esercizio da parte del municipio dei propri poteri amministrativi e

dei diritti consuetudinari.

Questa organizzazione cittadina si mantenne anche durante la crisi del governo

centrale dopo la morte di Enrico VI e nel clima di incertezza dovuto alla minore età di

Federico II.

In questo frangente alcuni città meridionali strinsero accordi con Venezia e

Marsiglia, ma allo scopo di garantire la difesa e la sicurezza cittadina, e non per

conquistare spazi autonomistici.

Questa situazione si mantenne anche durante la prima fase del dominio angioino,

fino cioè al passaggio della Sicilia agli Aragonesi.

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Parte Terza

UNITA’ DIDATTICA “I COMUNI CITTADINI IN ITALIA (SECC. XI-XIV)”

COLLOCAZIONE DIDATTICA Classe II D dell’I.T.C. “P. Verri” di Milano, indirizzo linguistico, in via Lattanzio. Questa

scuola accoglie ragazzi provenienti da un contesto socio-culturale medio-alto, che hanno

ricevuto numerosi stimoli culturali già in famiglia.

La classe è composta da diciotto studenti: undici maschi e otto femmine. E’ una delle

poche classi dell’istituto in cui non sono presenti alunni stranieri. Il livello è

sostanzialmente omogeneo, sia come estrazione sociale, sia come uniformità sul piano

culturale. I ragazzi sono motivati ad apprendere, interessati e pronti all’ascolto, tranne un

gruppo di quattro alunni, che necessita di guida nell’individuazione e nell’applicazione di

un metodo di studio.

MOTIVAZIONE DELLA SCELTA La scelta dell’argomento si motiva perché l’Italia ha nel Comune la sua espressione

storicamente più rilevante. E’ un argomento essenziale per comprendere come si sono

formate le nostre istituzioni. Permette, inoltre, di collegarsi al discorso già introdotto della

centralità della città nella storia d’Italia. Può costituire il filo conduttore di una possibile

legittimazione storica dell’Italia unita, al di là dalle differenti realtà e, ugualmente, stare alla

base del programma federalista.

In particolare si è preso in esame “il periodo compreso tra i secoli XI e XIII durante il quale

le città vengono configurandosi come realtà nettamente distinte dal mondo circostante,

con una nuova classe dirigente, con proprie libertates o privilegi o autonomie, la cui

consistenza varia nelle diverse situazioni ed è massima nei comuni italiani […] “

[ G. Pennacchietti, in Il medioevo a scuola, Nuova Secondaria, n.3, 2005, pag.69] Al tempo stesso ci si è preoccupati di presentare gli argomenti in un continuo lavoro

interpretativo e con modalità d’apprendimento partecipativo, sia perché non sembrasse un

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percorso didattico già confezionato, sia per far emergere la domanda personale degli

studenti verso la storia, in un rapporto dinamico tra presente e passato.

PREREQUISITI

CONOSCENZE

- Conoscere l’organizzazione delle città nell’Italia altomedievale

- Conoscere le vicende relative al conflitto Papato-Impero

- Conoscere la ripresa dopo il Mille

ABILITA’

- Saper collocare i fatti nel tempo e nello spazio

- Individuare i nessi di causa/effetto

- Saper collocare una fonte storica

- Conoscere i termini specifici della disciplina

COMPETENZE

- Saper individuare gli elementi significativi di un testo

- Schematizzare i contenuti dei documenti

- Utilizzare e commentare i dati

OBIETTIVI Al termine del percorso lo studente dovrà essere in grado di:

CONOSCENZE

- Conoscere il ruolo della città e il significato del Comune nella ripresa dopo il Mille

- Conoscere la diffusione e l’intensità del fenomeno comunale in Italia

- Conoscere l’ordinamento sociale e quali classi sociali hanno, all’inizio, un ruolo di

rilievo nel sorgere del Comune

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- Conoscere la storia interna del Comune: periodo del consolato, podestarile, del

governo delle “arti”

- Conoscere perché e quando la volontà autonomistica dei comuni italiani venne a

conflitto con l’Impero germanico

- Conoscere la conclusione del conflitto tra Federico I e i comuni

- Conoscere la situazione politica, economica e sociale dell’Italia centro-settentrionale e

dell’Italia meridionale

- Conoscere le principali vicende istituzionali del Comune di Milano

- Conoscere il comune oggi

ABILITA’

Saper collocare la fase della storia del Medioevo, che coincide con la nascita e

l’affermazione dei comuni in Italia, nel periodo compreso tra l’XI e il XIV secolo.

Comprendere come la crisi dell’autorità vescovile sulla città, determinò l’apertura di

ampi spazi per la gestione laica dei poteri di controllo, favorendone il passaggio alla

comunità cittadina.

Comprendere come la richiesta di innovazioni politiche e amministrative, fu anche la

risposta a trasformazioni economiche, sociali e ideologiche della collettività cittadina.

Saper collocare e commentare i seguenti documenti che i ragazzi analizzeranno divisi

in piccoli gruppi, ciascuno dei quali affronterà uno degli aspetti considerati durante le

spiegazioni (fase consolare, il governo del podestà, le organizzazioni di popolo):

- Il periodo consolare: “consoli”, “parlamento” e “consiglio” (O. Capitani)

- I primi consoli del comune (R. Bordone)

- Il “Breve della Compagna” del comune di Genova (R. Bordone)

- L’espansione dei comuni maggiori e le lotte tra comune e comune (P. Lamma-R.

Manselli)

- Gli elementi costitutivi del comune ome ente politico (R. Bordone)

- L’origine dell’ufficio podestarile a Genova (R. Bordone)

- La transizione al Comune “podestarile” (K. Bosl)

- Le due tribune del vescovo e dei consoli a Milano nel 1117 (R. Bordone)

- Capitanei, valvassori e popolo nel consolato di Milano (R. Bordone)

- Milano alla fine del Duecento (R. Bordone)

Saper collocare le vicende studiate nel relativo contesto politico e socio-economico

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COMPETENZE

- Saper analizzare testi di storici diversi, individuando somiglianze e differenze nella

percezione di un medesimo avvenimento

- Confrontare la realtà dei nostri giorni con situazioni ed aspetti del passato per

coglierne l’evoluzione.

CONTENUTI

L’origine del Comune e la sua natura di ente territoriale

Scheda: Il periodo consolare: “consoli” , “parlamento” e “consiglio”

Scheda: I primi consoli del Comune

Il governo dei consoli e gli organi comunali

- Doc.1, dallo Statuto di Genova del 1143

- Doc. 2,dallo Statuto di Pavia del XII secolo

- Doc. 3 dallo statuto dei consoli di Pistoia del XII secolo

Scheda: L’espansione dei comuni maggiori e le lotte tra comune e comune Scheda: Il “Breve della Compagna” del comune di Genova Lo scontro con l’Impero al tempo di Federico I

- Doc. 4, dalle Gesta Friderici

- Doc.5, dalla pace di Costanza Scheda: Gli elementi costitutivi del comune come ente politico Dal comune podestarile al comune popolare

Il comune podestarile - Doc. 6, dagli statuti di Como

- Doc. 7, dagli statuti di Noli

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- Doc.8, dagli statuti di Parma

Scheda: La transizione al Comune “podestarile” Scheda: L’origine dell’Ufficio podestarile a Genova

Le organizzazioni di popolo

Il caso di Venezia - Doc.9, L’elezione del doge

Le città del Mezzogiorno

Il comune di Milano Scheda: Le due tribune del vescovo e dei consoli a Milano nel 1117 Scheda: Capitanei, valvassori e popolo nel consolato di Milano Scheda: Milano alla fine del Duecento

Il Comune oggi in Italia

SVOLGIMENTO DEL PERCORSO Con il brainstorming l’insegnante avvierà l’argomento. Darà un veloce riepilogo

degli argomenti propedeutici. Richiamerà brevemente la ripresa delle città dopo il

Mille e domanderà agli alunni: “Chi esercitava poteri di controllo sulla città? Si

trattava di un potere “laico”?” Dopo aver richiamato la presenza e la giurisdizione

temporale del vescovo, passerà ad introdurre la nuova forma di autogoverno,

sperimentata dai cittadini, nel loro bisogno di autonomia e di gestione del potere

locale. Per attivare l’interesse degli alunni nei confronti dell’argomento da trattare e

sollecitare una partecipazione attiva, porrà loro la domanda: “ Secondo voi, se una

città decide di rivendicare il governo cittadino, di che organi dovrà dotarsi?” e

ancora “ Sarà un gruppo o l’intera collettività, a sentire quest’esigenza?”

A questo punto il docente introdurrà il primo argomento: la nascita del Comune

come ente territoriale. Presenterà i contenuti, fornendone le principali coordinate e

tracciando alla lavagna degli schemi che servano per gli appunti degli allievi. Non si

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leggerà in classe il libro di testo in adozione, ma si leggeranno i documenti, alcuni

dei quali ripartiti tra i gruppi, mediante lezione interattiva, con continua

sollecitazione degli alunni, facendo rilevare – ad esempio - il termine consul e

chiedendo: ”Qual era la suprema magistratura della Roma repubblicana? In che

modo interveniva?” e, quindi, facendo emergere somiglianze o differenze. Le fonti

verranno analizzate prendendo in considerazione il tipo di documento, il profilo

cronologico, l’aspetto esteriore, il luogo di produzione, la datazione e l’autore.

Ad ogni lezione successiva, prima di passare alla spiegazione del nuovo

argomento, porrà brevi domande agli alunni (senza attribuzione di voto) per

verificare la conoscenza dei contenuti e la comprensione del libro di testo. Chiarirà

eventuali dubbi, approfondendo alcuni aspetti. Relativamente all’argomento

spiegato saranno assegnati per casa esercizi (vedi verifiche indicate) su documenti

storici o verifiche strutturate, come verifica formativa, da correggere prima della

spiegazione dell’argomento successivo. Questo procedimento sarà seguito per la

presentazione di tutti gli argomenti.

Verifiche utilizzate (allegate):

- Il comune italiano

- Capitoli delle cose che i consoli di Pavia sono tenuti a fare

- Costituzione della pace di Costanza

- Analisi e confronto di documenti

- Confronto tra le caratteristiche del comune medievale e quelle del comune

attuale

Terminata la spiegazione di tutti i contenuti, gli alunni svolgeranno il seguente

lavoro nell’aula multimediale: divisi in piccoli gruppi, di due o tre persone, ciascun

gruppo approfondirà uno degli aspetti considerati durante le spiegazioni (la fase

consolare, il governo del podestà, le organizzazioni di popolo).

Una volta terminati i lavori, trascritti al computer sotto forma di brevi relazioni, ogni

gruppo presenterà il suo elaborato alla classe. Ciò permetterà di approfondire da

parte di tutti la conoscenza dei diversi argomenti e di partecipare con interventi attivi

alla restituzione del lavoro, mediante discussione guidata. Permetterà, inoltre,

all’insegnante di valutare insieme alla forma scritta anche l’esposizione orale.

La presentazione del lavoro svolto in gruppo sarà oggetto di valutazione di profitto

come verifica sommativa.

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Si è deciso di presentare un approfondimento relativo alle vicende istituzionali del

Comune di Milano, dal momento che l’U.D. è rivolta ad una classe di un ITC del

capoluogo lombardo.

METODOLOGIE DIDATTICHE Brainstorming

Lezione frontale

Lezione dialogata partecipata

Lezione di ricerca in biblioteca e/o nel laboratorio multimediale

Analisi di fonti storiche

Lavoro di gruppo

Discussione guidata

Utilizzo di schemi o mappe concettuali

Il brainstorming sarà utilizzato per il controllo dei prerequisiti; la lezione frontale per la

presentazione di alcuni contenuti informativi necessari allo svolgimento del lavoro; la

lezione dialogata partecipata per il controllo degli esercizi della verifica formativa, per il

coinvolgimento degli alunni nella presentazione dei documenti, e per brevi domande

rivolte agli stessi allo scopo di precisare e sciogliere dubbi prima di proseguire la

lezione; la discussione guidata per la restituzione alla classe del lavoro di gruppo.

Nell’Unità Didattica noi abbiamo privilegiato l’uso delle fonti, convinti che la Storia non

è un insieme di conoscenze da trasmettere dalla mente dell’insegnante a quella degli

studenti, ma va intesa alla stregua di un “viaggio”, in cui i giovani stessi: formulano le

proprie linee di indagine percorrendo la via delle fonti dirette; dibattono le diverse

interpretazioni e rappresentazioni degli eventi; trovano le proprie risposte ad

interrogativi storici di grande interesse. L’idea di base è quella di mettere gli alunni in

condizione di “capire” il lavoro dello storico, di riuscire a far loro comprendere che lo

studio di un periodo è possibile proprio perché – in precedenza – gli storici hanno

potuto studiarlo attraverso l’analisi delle fonti ad esso relative. Per Bloch quello dello

storico è un mestiere che richiede competenze specifiche, che consentano una lettura

consapevole delle fonti. E’ allora opportuno mettere in evidenza che quella delle fonti è

una realtà complessa e come tale impone di capire: in quale contesto sono state

prodotte e con quale modalità, così da poter comprendere il “punto di vista” della fonte

stessa. Occorre inoltre far notare, che le fonti non sono una registrazione

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dell’accaduto, ma una interpretazione, che – a volte – può costituire una lettura distorta

della realtà.

Gli schemi e le mappe concettuali serviranno per riproporre, in sintesi, idee e concetti

importanti, relativi agli argomenti trattati.

STRUMENTI Libro di testo in adozione per la classe (Clio Dossier, Palazzo-Bergese, La Scuola 2001),

fotocopie di documenti e/o di altri testi, libri della biblioteca scolastica e/o civica, siti web,

lavoro di gruppo in biblioteca e/o nel laboratorio multimediale, schemi e mappe concettuali,

atlante storico.

VERIFICHE E VALUTAZIONE Verifica formativa

Lettura e comprensione di testi e documenti proposti; relativi test strutturati a risposta

chiusa o domande dettate dal docente a risposta aperta.

Verifica sommativa

Elaborato relativo all’approfondimento di alcuni aspetti dei contenuti proposti, realizzato

per tematiche, in piccoli gruppi. Il lavoro sarà presentato da parte dei gruppi alla classe e

ciò permetterà di valutare l’ esposizione orale.

Si terrà conto delle capacità di:

analizzare le fonti ricercate su Internet per trarre informazioni

stabilire una gerarchia

sintetizzare le informazioni in un testo espositivo

utilizzare il lessico specifico della disciplina

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TEMPI All’Unità Didattica verranno dedicate 12 ore totali, articolate come segue:

- 8 ore per l’esposizione dei contenuti, l’analisi dei documenti e la correzione degli

esercizi

di verifica formativa

- 2 ore per il lavoro di gruppo

- 2 ore per la verifica sommativa