L'organizzazione amministrativa del MiBAC

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L’organizzazione amministrativa Sommario: 1. Dal Ministero per i beni culturali ed ambientali al Ministero per i Beni e le Attività culturali 2. Il Decreto legislativo 8 gennaio 2004,n. 3. 3.L’organizzazione: i dipartimenti 4. Le nuove direzioni regionali generali 5. Il sistema delle deleghe 6. Gli Organi Consultivi e gli Istituti periferici. 1.DAL MINISTERO PER I BENI CULTURALI ED AMBIENTALI AL MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITA’ CULTURALI Il 29 gennaio 1975, la legge n. 5 convertì con modifiche il D.L. 14 DICEMBRE 1974, n. 657 che istituiva il Ministero per i beni culturali e per l’ambiente ( originaria denominazione, in seguito sostituita da quella di Ministero per i beni culturali e ambientali ) con le attribuzioni relative alla tutela ed alla valorizzazione del patrimonio culturale italiano. Il Ministero sorgeva da un’esperienza precedente che aveva fissato le proprie articolazioni nel Ministero della Pubblica Istruzione – con le due Direzioni Generali delle Antichità e belle Arti e delle Accademie e Biblioteche – nel Ministero degli Interni - con la Direzione Generale degli Archivi di Stato – e la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Le articolazioni territoriali erano costituite dalle soprintendenze che “governavano” il territorio stesso per tutti gli aspetti legati ai beni culturali e all’ambiente. Tra i compiti istituzionali del neonato Ministero acquistava rilevanza indubbiamente quello di provvedere alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio culturale del Paese.

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Un quadro di carattere generale sulla struttura e sulla organizzazione del Ministero per i beni culturali

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L’organizzazione amministrativa

Sommario: 1. Dal Ministero per i beni culturali ed ambientali al Ministero per i Beni e le Attività culturali 2. Il Decreto legislativo 8 gennaio 2004,n. 3. 3.L’organizzazione: i dipartimenti 4. Le nuove direzioni regionali generali 5. Il sistema delle deleghe 6. Gli Organi Consultivi e gli Istituti periferici.

1. DAL MINISTERO PER I BENI CULTURALI ED AMBIENTALI AL MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITA’ CULTURALI

Il 29 gennaio 1975, la legge n. 5 convertì con modifiche il D.L. 14 DICEMBRE 1974, n. 657 che istituiva il Ministero per i beni culturali e per l’ambiente ( originaria denominazione, in seguito sostituita da quella di Ministero per i beni culturali e ambientali ) con le attribuzioni relative alla tutela ed alla valorizzazione del patrimonio culturale italiano. Il Ministero sorgeva da un’esperienza precedente che aveva fissato le proprie articolazioni nel Ministero della Pubblica Istruzione – con le due Direzioni Generali delle Antichità e belle Arti e delle Accademie e Biblioteche – nel Ministero degli Interni - con la Direzione Generale degli Archivi di Stato – e la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Le articolazioni territoriali erano costituite dalle soprintendenze che “governavano” il territorio stesso per tutti gli aspetti legati ai beni culturali e all’ambiente. Tra i compiti istituzionali del neonato Ministero acquistava rilevanza indubbiamente quello di provvedere alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio culturale del Paese. L’impulso decisivo verso la costituzione di un Ministero che inglobasse tutte le competenze relative al settore dei beni culturale e dell’ambiente arrivò dai lavori svolti dalla Commissione Franceschini, in prima battuta, e dalla Commissione Papaldo in via definitiva, con una vera e propria proposta, in seguito diventata realtà. Il regolamento di organizzazione del Ministero per i beni culturali e per l’ambiente fu adottato con D.P.R. n. 805 del 3.12.1975, successivamente modificato dal D.P.R. n. 760 del 20.12.1994. La struttura era ordinata in cinque uffici di livello dirigenziale generale, oltre al Gabinetto ed agli uffici di diretta collaborazione all’opera del Ministro:

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Direzione generale per gli affari generali amministrativi e del personale (DAG);

Ufficio centrale per i beni librari, le istituzioni culturali e l’editoria (UCBLE);

Ufficio centrale per i beni archeologici, architettonici, artistici e storici (UCBAAAS);

Ufficio centrale per i beni archivistici (UCBA); Ufficio centrale per i beni ambientali e paesaggistici (UCBAP)

Alla struttura centrale corrispondeva una rete molto articolata di uffici ed istituti in ambito nazionale comprendente, in linea di massima: quattro istituti centrali (Istituto centrale per il catalogo e la documentazione, Istituto centrale per il catalogo unico dell biblioteche italiane e per le informazioni bibliografiche, Istituto centrale per la patologia del libro, Istituto centrale per il restauro) con funzioni di coordinamento degli organismi periferici e di programmazione comune relativa alla ricerca concernente la catalogazione e la conservazione; dieci istituti con finalità particolari (otto istituti o soprintendenze speciali afferenti all’UCBAAAS e l’Archivio centrale dello Stato e il Centro di fotoriproduzione, legatoria e restauro degli archivi di Stato facenti capo al UCBA); sessantaquattro Soprintendenze; novantanove archivi di Stato; diciannove Soprintendenze artistiche; trentacinque biblioteche pubbliche statali e undici biblioteche annesse ai monumenti nazionali. Il quadro appena tracciato è stato modificato in maniera sostanziale con la riforma del 1998 allorché venne istituito il Ministero per i beni e le attività culturali in sostituzione del precedente Ministero per i beni culturali e ambientali.

Il d. lgs. n. 368 del 1998 è il provvedimento con cui viene istituito il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, mediante l’accorpamento delle attribuzioni spettanti in precedenza al Ministero per i beni culturali ed ambientali e quelle relative allo spettacolo, allo sport ed alla impiantistica sportiva spettanti alla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Come si è detto il Ministero per i Beni e le Attività Culturali venne istituto nel 1998 con un ampliamento di competenze,

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rispetto a quelle esercitate precedentemente ( ex Ministero per i beni culturali ed ambientali, istituito con D.L. 14 dicembre 1974, n. 657, poi convertito nella legge n. 7 del 29 gennaio 1975 ). Ai sensi dell‘art 2 del D. Lgs. n. 368/1998, tuttora in vigore, le sue funzioni amministrative statali erano dirette :

alla tutela, gestione e valorizzazione dei beni culturali ed ambientali ;

alla promozione delle attività culturali con particolare riferimento al settore dello spettacolo;

alla promozione del libro, della lettura e delle attività editoriali;

alla promozione della cultura urbanistica e architettonica; allo studio, ricerca, sostegno alle attività degli istituti culturali alla diffusione della cultura all’estero; alla vigilanza sul CONI e sull’Istituto per il credito sportivo.E’ interessante notare il riferimento alle attività culturali ed alla

promozione della cultura urbanistica ed architettonica come delle vere e proprie novità nel panorama delle competenze di diretta attribuzione ministeriale.

Nel primo caso, a fronte della scomparsa del termine ambientali dalla denominazione del Ministero, si nota la sua sostituzione proprio con l’espressione di attività culturali ( Ministero per i beni culturali e ambientali Ministero per i beni e le attività culturali). Il cambiamento non è di poco conto, riflettendo un allargamento delle competenze del Ministero, tale da comprendere oltre ai settori dello spettacolo e dello sport, anche tutte le espressioni di ciò che può considerarsi cultura [BARBATI]

Nel secondo caso, inoltre, il rafforzamento di elementi relativi alla produzione architettonica ( contemporanea ) e alla cultura urbanistica nell’ambito delle competenze del dicastero, determinano l’assegnazione di un ruolo di rilievo alle politiche di promozione del settore e preludono alla creazione di un centro istituzionale ad hoc , cui affidare la relativa mission ministeriale ( cui provvede dal 2001 la DARC – Direzione Generale per l’Architettura e l’Arte Contemporanee ).

Per tornare alla funzioni amministrative statali svolte dal Ministero, si deve rilevare lo stretto collegamento tra quelle funzioni che sono indicate dal D. Lgs. n. 112/1998, relative ai

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beni culturali, e quelle attribuite al ministero stesso dal d. lgs. n. 368/1998. I riferimenti contenuti in quest’ultimo ( art.1 ) alla tutela, alla gestione, alla valorizzazione e alla promozione sono gli stessi definiti dal Capo V del 112/1998 , agli artt. 148 e ss. Le definizioni operano sulla base della distribuzione di competenze tra Stato e Regioni ed Enti Locali, che ancora oggi deve trovare adeguata identificazione in riscontro ad una colpevole ampiezza ed indeterminatezza definitoria ad opera del legislatore delegato, tale da suscitare un vivace contenzioso tutt’altro che sopito, come si è già detto in sede di premessa.

Da questo punto di vista l’ambito di intervento ministeriale appare perfino troppo esteso, comportando una pesante articolazione organizzativa a livello centrale e periferico, tale da indurre lo stesso legislatore a rivederne la struttura a poco tempo di distanza dalla sua entrata in vigore.

Tra le caratteristiche salienti e le novità del nuovo Ministero per i Beni e le Attività Culturali (ad opera del d.lgs. n. 368/1998) rientra sicuramente l’applicazione del principio di separazione tra indirizzo politico amministrativo e compiti di gestione, sulla base delle linee guida fornite per la prima volta dal legislatore nazionale con il d. lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 (cfr. l’attuale d.lgs. n. 165/2001.), che introduce nell’ordinamento giuridico la distinzione delle sfere di competenza e di responsabilità tra politica e amministrazione.

Alla luce di quanto sopra, nel caso delle competenze proprie del Ministro per i Beni e le Attività culturali, non è più possibile far rientrare compiti afferenti direttamente la gestione amministrativa dirigenziale ( come potevano essere quei poteri di avocazione e di sostituzione che il Ministro esercitava sui provvedimenti dirigenziali, fino all’avvento della distinzione funzionale appena richiamata ) con una riduzione del ruolo amministrativo del ministro [BARBATI]

Il Ministro è pertanto “…l’organo di direzione politico-amministrativa del Ministero, ne determina gli indirizzi , gli obiettivi e i programmi e verifica la rispondenza a questi dei risultati conseguiti…” [art. 3 D.Lgs. n. 368/1998]

La distinzione operata con riferimento alle funzioni e competenze in materia politica e amministrativa, hanno prodotto necessariamente conseguenze a livello strutturale, comportando

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una diversa regolamentazione per gli apparati di supporto del Ministro e per quelli di organizzazione interna del Ministero. Prima di affrontare il tema centrale del capitolo, dedicato alla ultima riorganizzazione ministeriale determinata dal D. Lgs. n. 3/2004 e dal susseguente D.P.R. n. 173/2004, soffermiamoci su di alcuni elementi strutturali di rilievo del “vecchio” ministero, come gli Uffici di diretta collaborazione del Ministro, disciplinati in via generale dal D. lgs. n. 300/1999.

In particolare, l’art. 7 individua i principi e i criteri direttivi della materia, da attuare con successivo regolamento adottato ai sensi dell’art. 17, comma 4 bis, della legge 23 agosto 1988, n. 400. Tra di essi vi sono, ex comma 2, art. 7 cit. :

l’attribuzione dei compiti di diretta collaborazione secondo criteri che consentano l’efficace e funzionale svolgimento dei compiti di definizione degli obiettivi, di elaborazione delle politiche pubbliche e di valutazione della relativa attuazione e delle connesse attività di comunicazione, nel rispetto del principio di distinzione tra funzioni di indirizzo e compiti di gestione;

assolvimento dei compiti di supporto per l’assegnazione e la ripartizione delle risorse ai dirigenti preposti ai centri di responsabilità, ai sensi dell’articolo 3 del decreto legislativo 7 agosto 1997, n. 279, anche in funzione della verifica della gestione effettuata dagli appositi uffici, nonché dei compiti di promozione e sviluppo dei sistemi informativi;

organizzazione degli uffici preposti al controllo interno di diretta collaborazione con il ministro, secondo le disposizioni del decreto legislativo di riordino e potenziamento dei meccanismi e strumenti di monitoraggio e valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell’attività svolta dalle amministrazioni pubbliche, in modo da assicurare il corretto ed efficace svolgimento dei compiti ad essi assegnati dalla legge, anche attraverso la provvista di adeguati mezzi finanziari, organizzativi e personali;

organizzazione del settore giuridico-legislativo in modo da assicurare: il raccordo permanente con l’attività normativa del Parlamento, l’elaborazione di testi normativi del Governo garantendo la valutazione dei costi della regolazione, la qualità del linguaggio normativo, l’applicabilità delle nonne introdotte, lo snellimento e la semplificazione della normativa, la cura dei rapporti con gli altri organi costituzionali, con le autorità indipendenti e con il Consiglio di Stato;

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attribuzione dell’incarico di Capo degli uffici di cui al comma 1 ad esperti, anche estranei all'amministrazione, dotati di elevata professionalità.

Il D.P.R. n. 307 del 6 luglio 2001 ha attuato i principi appena richiamati , regolamentando l’organizzazione degli Uffici di diretta collaborazione del Ministro per i Beni e le Attività Culturali. In particolare, agli artt. 2 e 3 viene indicato il Gabinetto, organo che rappresenta il Minsitro nella funziona politica. Costituisce centro di responsabilità amministrativa e nel suo ambito sono costituiti gli uffici di diretta collaborazione. Il Capo di Gabinetto coordina le attività affidate agli uffici di diretta collaborazione, riferendone al Ministro e assicurandone il raccordo tra le funzioni di indirizzo del Ministro e i compiti del Segretario Generale (art.3).

Gli altri uffici di diretta collaborazione, previsti all’art. 2, comma 2, sono l’Ufficio Legislativo (art.4 - provvede allo studio e alla definizione dell’attività normativa nelle materie di competenza del Ministero), la Segreteria del Ministro (art. 5 –svolge attività di supporto ai compiti del Ministro, curando il cerimoniale; il segretario particolare cura i rapporti dirette del Ministro nello svogliemnto dei compiti istituzionali ), l’Ufficio per la Stampa e la Comunicazione (art. 5, comma 2 – cura, tra l’altro, i rapporti con gli organi di informazione, promuovendo programmi ed iniziative di informazione), il Servizio di Controllo Interno (art. 7 - svolge funzioni di valutazione e di controllo strategico, mediante valutazione comparativa, verifica la realizzazione degli obiettivi e valuta i risultati conseguiti dai centri di responsabilità) che opera nella sua attività con un richiamo di carattere generale al D. Lgs. n. 286 del 1999 (Riordino e potenziamento dei meccanismi e strumenti di monitoraggio e valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell'attività svolta dalle amministrazioni pubbliche, a norma dell'articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59 – art. 6 La valutazione e il controllo strategico -)

Il DPR n. 307, inoltre, nomina e disciplina altri uffici che non sono ascrivibili al genus di quelli di diretta collaborazione, come il Comando carabinieri per la tutela del patrimonio culturale ( istituito nel 1969, articolato in 11 Nuclei sul territorio, inserito nell’organizzazione ministeriale con DM 05.03.1992, risponde

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funzionalmente al Ministro, così come previsto dall’art. 3 del D. Lgs. n. 368 del 1998 ) e gli organi consultivi come il Consiglio per i Beni culturali e ambientali ( artt. 9 e 10 ) e i Comitati Tecnico Scientifici, di cui all’art. 11 ( a. Comitato tecnico-scientifico per il patrimonio storico, artistico e demoetnoantropologico; b. Comitato tecnico-scientifico per i beni architettonici e il paesaggio; c. Comitato tecnico-scientifico per l’architettura e l’arte contemporanea; d. Comitato tecnico-scientifico per i beni archeologici; e. Comitato tecnico-scientifico per le biblioteche e la promozione del libro e della lettura; f. Comitato tecnico-scientifico per gli istituti culturali ), ciascuno dei quali afferisce alla Direzione Generale di competenza.

Dopo aver esaurito il tema relativo agli uffici di diretta collaborazione e prima di affrontare sommariamente il discorso relativo a direzioni generali e struttura periferica, secondo le novità indicate dal D. Lgs. n. 368/1998, accenniamo brevemente alla figura del Segretario Generale, rinviando al paragrafo successivo un approfondimento in merito alla filosofia che è alla base della scelta di questa figura a livello di organizzazione ministeriale.

Il Segretario Generale, per quanto riguarda il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, è stato istituito dall’art. 5 del D. Lgs. n. 368/1998 e previsto in via generale, per i diversi ministeri che lo hanno adottato, dal D. Lgs. n. 300/1999 all’art. 6. La disciplina puntuale delle funzioni esercitate e del ruolo svolto a livello strutturale dal Segretario Generale è contenuta nel DPR 29 dicembre 2000, n. 441 ( Regolamento recante norme di organizzazione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali ) che ne individua all’art. 1 i compiti da svolgere. Tra le caratteristiche di rilievo si segnala l’operato alle dirette dipendenze del Ministro, lo svolgimento di funzioni di raccordo tra organo di vertice politico e organi amministrativi ed, infine, il configurarsi come centro di responsabilità amministrativa. Come si vedrà appresso, saranno le funzioni esercitate in campo amministrativo, limitatamente alla gestione dei servizi, a fare del Segretario Generale una figura ibrida e per certi versi ambigua, soprattutto alla luce della distinzione operata dal legislatore tra attribuzioni politiche ed amministrative.

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E’ importante ricordare che il Segretario Generale, nella configurazione del Ministero, assicura il mantenimento dell’unità dell’azione amministrativa (art. 5 D. Lgs. n. 368/1998), provvede all’istruttoria per l’elaborazione degli indirizzi e del programma triennale degli interventi nel settore dei beni culturali; coordina gli Uffici e le Attività del Ministero, vigilando sulla loro efficienza e rendimento: un apposito servizio ispettivo ne riferisce gli esiti periodicamente al Ministro.

Infine, come già detto, il Segretario Generale cura anche la gestione dei servizi generali dell’amministrazione; attribuzione questa discussa sin dal suo sorgere in quanto estranea alla funzione di coordinamento e supporto politico che dovrebbe caratterizzare il suo ruolo [ BARBATI ]

Con il DM 11 maggio 2001, in conformità alle disposizioni del DPR n. 441/2000 (artt. 1 e 2), è stata disciplinata l’articolazione della struttura centrale del Segretario Generale ( e anche delle Direzioni Generali di cui subito appresso ), risultandone una suddivisione in 12 servizi di livello dirigenziale non generale ( Affari Generali e Amministrativi, Status e Formazione del Personale, Ufficio Legale e dei Servizi Aggiuntivi, Programmazione e Bilancio, Nucleo per la valutazione e la verifica degli investimenti pubblici, Informatica e statistica, Sicurezza del Patrimonio Culturale, Ufficio Studi e Osservatorio dello Spettacolo, Promozione e Comunicazione, Rapporti con gli Organismi sportivi, Diritto d’Autore e vigilanza sulla SIAE, Ispettorato ).

L’attività di gestione del Ministero è affidata a otto Direzioni Generali, di dirigenza generale, ciascuna delle quali costituisce un centro di responsabilità amministrativa. Ai sensi dell’art. 3 del D. Lgs n. 300 del 1999, le direzioni generali costituiscono strutture di primo livello nel Ministero per i Beni e le Attività Culturali, facendole apparire in contrapposizione con la strutture dipartimentali. A ciascuna delle otto Direzioni Generali afferiscono le Soprintendenze di settore.

Per completezza, si ricorda che ai sensi dell’art. 2 del DPR n. 441/2000 le direzioni generali sono:

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D.G. per il patrimonio storico, artistico e demoetnoantropologico;

D.G. per i beni architettonici ed il paesaggio; D.G. per l’architettura e l’arte contemporanee; D.G. per i beni archeologici; D.G. per gli archivi; D.G. per i beni librari; D.G. per il cinema; D.G. per lo spettacolo dal vivo.Un’ultima notazione, riservata alla struttura periferica delineata

dal D.Lgs. n. 368/1998, è necessariamente dedicata alle Soprintendenze Regionali. Queste ultime erano le strutture nuove del Ministero che, per il legislatore delegato, dovevano costituire strumento di maggiore incisività per le attività degli organi decentrati, esercitando una funzione unificante grazie al coordinamento delle attività esercitate nel territorio dalle altre strutture periferiche ministeriali, quali Soprintendenze, Archivi di Stato e Biblioteche pubbliche statali..

Le Soprintendenze Regionali sono state costituite in ciascuna regione a statuto ordinario e nelle regioni Friuli-Venezia Giulia e Sardegna, per un numero complessivo di 17. Tra le attribuzioni più rilevanti sono da ascrivere quelle relative alla tutela ( con l’adozione dei provvedimenti di cui ai procedimenti previsti dagli art.. 6 e 7 del D. Lgs. n. 490/1999 (Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali ) , quelle di programmazione degli interventi delle spese ordinarie e straordinarie, individuando le priorità sulla base delle indicazioni delle soprintendenze di settore e formulando le conseguenti proposte ai fini del programma triennale degli interventi nel settore dei beni culturali (art.7, comma 2 D. Lgs. n. 368/1998).

2. IL DECRETO LEGISLATIVO 8 GENNAIO 2004, N. 3

Lo strumento adottato per la riorganizzazione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, attuata dal recente D. Lgs. 8 gennaio 2004, n.3 ( pubblicato su GU n. 11 del 15.01.2004), è lo stesso che fu utilizzato per l’istituzione del dicastero con il D. Lgs. 20 ottobre 1998, n. 368. Si tratta cioè di un provvedimento posto in essere grazie ad una delega legislativa, che ha demandato al governo l’attuazione di una riforma su di una materia particolarmente tecnica e vasta, come può essere quella della riorganizzazione

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della Pubblica Amministrazione, e dei Ministeri che la costituiscono, in vista del suo snellimento per raggiungere un effettivo decentramento di funzioni ed un efficace standard di funzionamento.

La stagione della Riforma della Pubblica Amministrazione è stata avviata ed è proseguita finora grazie allo strumento della delega legislativa e presumibilmente i molteplici cambiamenti intervenuti non si sarebbero potuti realizzare in così breve tempo senza la sua utilizzazione.

L’opportunità di utilizzare il meccanismo della delega è rimessa ad una valutazione squisitamente politica, che si basa principalmente su parametri di riferimento adottati dall’Esecutivo in carica in un dato momento. E’ anche vero però che nel corso degli ultimi anni la formula del decreto legislativo ha conosciuto un progressivo incremento, tale da indurre parte della dottrina a parlare di una vera e propria esplosione nel ricorso alla strumento di cui all’art. 76 della Costituzione. [ RUGGERI ]

La norma costituzionale prevede che “l’esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti”.

Si tratta dei decreti legislativi delegati che rientrano nella categoria di quegli atti che sono definiti dottrinalmente come atti con forza di legge. Attraverso la delegazione, le Camere trasferiscono l’esercizio della funzione legislativa ( attribuita loro ex art. 70 Cost ) al Governo, entro ben determinati limiti quali la definizione dell’oggetto, la determinazione dei principi e dei criteri direttivi ed infine il tempo limitato.

In un interessante studio vengono riportati alcuni dati relativi all’incremento della emanazione di decreti legislativi rispetto ai procedimenti ordinari nel corso delle ultime legislature. Per averne un’idea vengono indicati alcuni dati ripresi dal Rapporto 2002 sullo stato della legislazione a cura del Servizio Studi della Camera dei Deputati. I risultati sono addirittura sorprendenti se solo si pensa che nel corso della XIII legislatura ( 1996-2001 ), i decreti legislativi sono stati 378, mentre le leggi approvate dalla Camera sono state 404 (ad iniziativa non vincolata ) di cui solo 174 ad iniziativa parlamentare. Con riferimento alle materie che hanno formato oggetto di decretazione delegata, sono stati emanati tra l’altro 39 decreti in materia fiscale, 52 di attuazione delle direttive comunitarie e ben 66 decreti in attuazione della legge n. 59 del 1997 [TARLI BARBIERI].

Le motivazioni di carattere tecnico, oltre che a quelle politiche, che hanno contribuito al fiorire di questa prassi sono da ricondurre prevalentemente alla flessibilità dello strumento normativo, ma anche alla sua idoneità a realizzare sistemazioni e consolidamenti di normative precedenti, venutesi a stratificare senza organizzazione e talvolta in maniera incoerente. ( GAMBALE – SAVINI )

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Si tratta in ogni caso di una tendenza ormai consolidata nelle esperienze governative e che difficilmente potrà venire meno. Risulta talmente vera questa affermazione se solo ci si fermi a riflettere sul fatto che nell’attuale legislatura si è assistito persino ad iniziative di legge parlamentare di delega al governo, da parte della stessa opposizione.

Al di là degli allarmismi lanciati contro lo svuotamento della funzione legislativa del Parlamento, che esprimono un timore politico e costituiscono al più uno slogan, quello che deve essere lo scopo di ogni esecutivo è piuttosto il tentativo di evitare situazioni confuse atte ad ingenerare sfiducia nell’operato del legislatore, seppur delegato.

Per fare degli esempi, si pensi a casi di confusione tra oggetti e criteri direttivi oppure di genericità dei principi e dei criteri stessi, ma anche ad ipotesi di deleghe atipiche o, caso emblematico, il ddl La Loggia ( in seguito l. 5 giugno 2003, n. 131) che delega il Governo ad una ricognizione sui principi della delega stessa, ( TARLI BARBIERI ) Inoltre, un altro elemento da rivedere nell’attuale prassi delle deleghe è il frequente ricorso alla proroga dei termini assegnati nella legge di delega, una volta che siano già scaduti. Analogamente, il ricorso ai decreti legislativi correttivi ed integrativi ( anche questo sempre più frequente ) sta delineando il rafforzamento di un potere delegato correttivo senza limiti di tempo con la possibilità di intervenire su politiche legislative perseguite anche nella precedente legislatura.( GAMBALE – SAVINI ) o, caso estremo, nel corso della stessa. Si pensi alla disposizione contenuta nel comma 4 dell’art. 10 della legge n. 137/2002, che prevede già la possibilità, entro due anni dalla loro emanazione, di adottare disposizioni correttive (!) dei decreti legislativi correttivi (!) da adottare in base alla stessa legge delega ( “Disposizioni correttive ed integrative dei decreti legislativi di cui al comma 1 possono essere adottate, nel rispetto degli stessi principi e criteri direttivi e con le medesime procedure di cui al presente articolo, entro due anni dalla data della loro entrata in vigore” )

Quest’ultima osservazione introduce l’argomento relativo all’oggetto da analizzare in questo capitolo, relativo alla nuova regolamentazione del settore dei beni culturali e, in particolare, alla riorganizzazione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali.

Infatti, la legge n. 137 del 2002 ( Delega per la riforma dell'organizzazione del Governo e della Presidenza del Consiglio dei ministri, nonché di enti pubblici ) all’art. 1 ha realizzato una vera e propria riapertura dei termini , per quanto riguarda la delega già contenuta nella legge n. 59 del 1997 ( Bassanini I ) , prevedendo che entro 18 mesi dalla data di entrata in vigore della legge il Governo avrebbe potuto emanare dei decreti legislativi correttivi o modificativi di quelli già emanati ai sensi dell’art. 11 della Bassanini del 1997.

L’aspetto di rilievo è fornito dal fatto che, nella emanazione di questi decreti legislativi, il Governo avrebbe dovuto attenersi ai principi e criteri direttivi già indicati in alcuni articoli della legge n 59 cit. ( artt. 12, 14, 17 e 18 ), in ciò attuando de facto la revisione della politica legislativa attuata in materia dal Governo nella precedente legislatura seppur limitatamente ad alcuni oggetti.

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In particolare, per quanto riguarda il settore dei beni culturali l’intervento correttivo previsto dalla l. 137/2002 è duplice. Il primo, è relativo all’art. 11, comma 1, lett. a) della legge 11 marzo 1997 n. 59, che dispone di “razionalizzare l’ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dei Ministeri, anche attraverso il riordino, la soppressione e la fusione di Ministeri, nonché di amministrazioni centrali anche ad ordinamento autonomo “

Il secondo intervento, invece, è previsto nell’art. 10 della l.137/2002, intitolato Delega per il riassetto e la codificazione in materia di beni culturali e ambientali, spettacolo, sport, proprietà letteraria e diritto d’autore, il cui contenuto verrà richiamato di volta in volta nei capitoli dedicati ai singoli interventi normativi di riforma.

La prima grande novità contenuta nel Decreto Legislativo 8 gennaio 2004, n. 3 (Riorganizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali, ai sensi dell’articolo 1 della legge 6 luglio 2002, n. 137) è quella di considerare esaurita l’esperienza del Segretariato Generale per approdare al modello per Dipartimenti, reputato maggiormente idoneo a conseguire i compiti istituzionali del Ministero .

Già in fase di prima applicazione del D. lgs. n. 368 del 1998, nonostante l’apprezzamento in sede generale per la figura del Segretariato all’interno del dicastero, furono sollevate critiche sulla sua introduzione nell’ambito del MiBAC.

Per meglio intendere i motivi della tesi favorevole alla figura del Segretariato è interessante esaminare brevemente le conclusioni a cui giunge uno studio dell’Associazione Free Foundation, presieduta tra l’altro da Franco Frattini, attuale Ministro degli Affari esteri. Nel dicembre del 2000 l’Associazione ha pubblicato un dossier relativo alla riorganizzazione delle funzioni e dei compiti dei Ministeri (da ora FREE 2000), analizzando il D. Lgs. n. 300 del 1999 nelle sue applicazioni.

In particolare, dopo aver fatto riferimento agli obiettivi generali che una efficace riforma della P.A. dovrebbe perseguire ( alleggerire quanto più possibile la macchina pubblica, attraverso politiche di esternalizzazione – c.d. outsourcing – potenziando la capacità di Governo dell’apparato amministrativo e migliorando, tra l’altro, la suddivisione delle competenze amministrative ), il dossier si sofferma sulla organizzazione generale dei ministeri analizzando le differenze esistenti tra il modello del Segretariato Generale e quello del Dipartimento.

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Nei Ministeri in cui il D.Lgs. n. 300/1999 prevede la figura del segretariato generale, la struttura risulta organizzata in un primo livello , in cui opera il Segretariato Generale ( opera alle dirette dipendenze del Ministro, assicura il coordinamento dell’azione amministrativa, provvede all'istruttoria per l'elaborazione degli indirizzi e dei programmi di competenza del Ministro; coordina gli uffici e le attività del ministero; vigila sulla loro efficienza e rendimento e ne riferisce periodicamente al Ministro) ed in un secondo livello, in cui si situano le Direzioni Generali . Lo studio evidenzia, inoltre, che nella situazione analizzata il Segretario Generale non riveste poteri gestionali.

Nei Ministeri in cui il D. Lgs. n .300/1999 non prevede la figura del Segretariato Generale, la struttura risulta organizzata in un primo livello, in cui operano i Dipartimenti ( in numero di 4/5 : aggregano competenze omogenee e spesso corrispondenti ad uno dei vecchi ministeri accorpati. Ad essi è affidato l'esercizio organico ed integrato delle funzioni del ministero. Sono attribuiti compiti finali concernenti grandi aree di materie omogenee e i relativi compiti strumentali ivi compresi quelli d’indirizzo e coordinamento delle unità di gestione in cui si articolano i dipartimenti stessi - direzioni generali - quelli d’organizzazione e quelli di gestione delle risorse strumentali, finanziarie ed umane ad essi attribuite ) ed in un secondo livello, in cui si situano le Direzioni Generali ( che di fatto detengono i poteri gestionali del Ministero ). Anche in questo caso, viene evidenziato che neppure i Dipartimenti rivestono poteri gestionali.

Le conclusioni a cui giunge lo studio sono quelle di critica nei confronti sia della struttura Dipartimentale sia di quella del Segretariato Generale, almeno nella configurazione assunta in applicazione del D. Lgs. n. 300/1999. Infatti, dato per scontato che l’indirizzo politico generale spetta al Ministro, che lo esercita attraverso gli Uffici di diretta collaborazione, risulta opportuno che la catena di comando sia la più corta possibile, ma che sia effettiva, ovvero con poteri gestionali. La proposta che ne scaturisce è quella di un’introduzione generalizzata della figura del Segretariato Generale con effettivi poteri gestionali riferiti all’intera struttura ministeriale “…Una sorta di amministratore delegato che assommi in sé i poteri di coordinamento ed indirizzo, già oggi previsti per il segretario generale ove esistente, con reali poteri gestionali nelle competenze trasversali oppure a seguito di avocazione…” [FREE 2000, p. 14].

In conclusione, la preferenza accordata al modello che prevede il Segretariato Generale ( cui devono essere attribuiti effettivi poteri

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gestionali ) viene spiegata in termini di efficacia e di effettivo funzionamento dell’organizzazione ministeriale , grazie ad un unico centro di coordinamento e di indirizzo dell’azione amministrativa.

Fin qui l’esposizione di una delle tesi favorevoli a questo tipo di modello. Occorre ora esaminare le tesi contrastanti. Per economicità di discorso, ci soffermeremo esclusivamente su quelle che prendono a riferimento l’esperienza del Segretariato generale nel MiBAC, segnata indubbiamente dal carattere di specialità rispetto ad altre esperienze.

Innanzitutto una precisazione di carattere sistematico è quella che vede la contrapposizione o quantomeno l’antinomia che si è venuta a creare tra il D. Lgs. n. 368/1998 e il D. Lgs. n. 300/1999 con specifico riferimento al modello del MiBAC. Infatti, il profilo delineato per il Segretario Generale nei due decreti appena richiamati coincide soltanto in parte, diversificandosi proprio per un ampiezza di attribuzioni in tema di gestione dei servizi generali dell’amministrazione (!). Si tratta di una distinzione di non poco conto, che ha suscitato forti perplessità e che probabilmente è stata tra le principali cause di ripensamento che hanno determinato l’abbandono del relativo modello nella riorganizzazione ministeriale, attuata con il D. Lgs. n. 3/2004.

L’antinomia tra D. Lgs. n. 368/1998 e D. Lgs n. 300/1999 si è risolta in un certo senso con l’entrata in vigore del DPR n. 441/2000. Infatti, il regolamento di organizzazione in attuazione delle due fonti di rango primario, nel disciplinare il segretariato si ispira essenzialmente al d.lgs. 368: esso ripropone senza mezzi termini una figura che associa alle funzioni di supporto all’indirizzo e di coordinamento compiti gestionali, così sfuggendo al modello delineato dal d.lgs. 300 [ENDRICI]. Ed è questo il carattere speciale che ha assunto la figura nell’ambito del ministero.

In questo modo il Segretario Generale ha finito per assumere, nella struttura organizzativa del MiBAC, un ruolo ambiguo che è stato fonte della crisi che ne ha determinato l’abbandono in una prospettiva di riforma.

Il punto di rottura è stato determinato dalla sovrapposizione e commistione dei ruoli che ha reso incerta e impercettibile la distinzione, fondamentale per la riforma della P.A., tra politica e amministrazione, se si considera che l’incarico è fiduciario, revocabile ad ogni nuovo governo. [BARBATI]

Senza dimenticare l’ulteriore fonte di incertezza ed ambiguità

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determinata dal rapporto con l’Ufficio di Gabinetto che , tra l’altro, ha il compito di assicurare il collegamento tra funzioni di indirizzo del ministro e compiti del segretario generale, intervenendo e interferendo nel rapporto diretto tra i due soggetti istituzionali.

A questo proposito, una parte della dottrina evidenzia il collegamento diretto tra Ministro e Segretario, che costituisce il vero tratto caratterizzante il rapporto tra i due soggetti e lo distingue inequivocabilmente dalle relazioni intersoggettive esistenti nei modelli dipartimentali.

Infatti, mentre il capo dipartimento guarda alle direzioni, agli apparati sotto, il segretario guarda prevalentemente sopra, cioè è colui che collabora con il ministro nella predisposizione degli atti e nell'esercizio delle funzioni che spettano a quest'ultimo [CAMMELLI]. In questo senso, il Segretario Generale ha ragione di esistere proprio per la sua azione di supporto all’attività del Ministro nei confronti delle Direzioni Generali, sulla base della distinzione di competenze operata dal d.lgs. n. 29 del 1993.

Vero è che affidare compiti gestionali al Segretario Generale, come è stato fatto con il D. Lgs. n. 368/1998 e il DPR n. 441/2000, ha prodotto conseguenze deleterie per il suo funzionamento, appesantendone i meccanismi di intervento, fino a provocare un rallentamento complessivo del sistema organizzativo strangolato dall’incertezza e dalla confusione circa l’effettivo svolgimento di funzioni e ruoli tra i diversi soggetti istituzionali.

Il cambio di prospettiva adottato dal legislatore delegato con il D. Lgs. n. 3/2004, in considerazione delle argomentazioni appena svolte, induce ad esprimersi positivamente in riferimento alla novità organizzativa rappresentata dall’introduzione delle strutture Dipartimentali.

Altri motivi che hanno determinato il legislatore delegato ad adottare correttivamente la struttura Dipartimentale in luogo di quella afferente al Segretari Generale possono essere rinvenuti nella Relazione illustrativa allo schema di decreto legislativo recante “Riorganizzazione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali” trasmesso alla Presidenza del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati il 10 ottobre 2003.

In particolare, la relazione fa riferimento alla necessità di rendere più efficiente e razionalizzare l’assetto delle articolazioni e delle competenze ministeriali, anche al fine di ottimizzare il rapporto tra la struttura centrale e quelle periferiche .

In quest’ottica, con riferimento alle molteplici e peculiari

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competenze del MiBAC la struttura dipartimentale viene ritenuta la più idonea ad assicurare un efficace coordinamento amministrativo, in luogo di un ‘unica figura di coordinamento (come nel caso del Segretario Generale).

L’unicità del coordinamento appare poco consona in un ministero come quello per i beni e le attività culturali, in cui la mission assegnata non è affatto unica ma comprende anche aree del tutto eterogenee rispetto a quella principale, come lo spettacolo e lo sport [CAMMELLI]. Al contrario, la struttura dipartimentale offre una soluzione adeguata, in termini di efficienza e razionalizzazione, in quanto concepita con riferimento a grandi partizioni di materie omogenee, che corrispondono alle politiche che ciascun dicastero deve realizzare. Le relazioni che vengono a realizzarsi tra soggetti istituzionali sono quelle che si articolano tra ministro e capo dipartimento (responsabile dell’attuazione di una specifica missione) e tra quest’ultimo e le direzioni generali.

In termini pratici, ciò dovrebbe comportare una maggior velocità nell’azione ministeriale, consentendo un puntuale controllo dell’operato degli uffici, verificando la realizzazione degli atti di indirizzo determinati dal Ministro.

3. L’ORGANIZZAZIONE: I DIPARTIMENTI

Entrando nel dettaglio delle novità normative collegate al nuovo assetto del ministero, si deve precisare che per poter avere un quadro più dettagliato possibile si farà riferimento anche al Regolamento di Organizzazione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali ( da adesso Regolamento) adottato con D.P.R. n. 173 del 10.06.2004. Ciò servirà ad una migliore comprensione ed interpretazione di alcune novità ed istituti.

L’art. 1 del D.Lgs. n. 3/2204 novella l’articolo 54 del Decreto Legs. 30 luglio 1999, n. 300, intitolato Ordinamento e recante le disposizioni relative all’articolazione e alla struttura del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, inserito nel contesto della riforma dell’organizzazione del Governo di cui alla l. 59 del 1997.

La norma prevede che il MiBAC sia articolato in quattro dipartimenti, in dieci uffici dirigenziali generali ( che costituiscono articolazioni dei dipartimenti) ed in due uffici dirigenziali generali presso il Gabinetto del Ministro.

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Le aree funzionali, di cui al precedente art. 53 - rimaste invariate rispetto alla previsione originaria – , nel cui ambito i dipartimenti esercitano la propria missione (il testo parla di funzioni) sono le seguenti, ai sensi del secondo comma dell’art. 54 novellato:

Beni culturali e paesaggistici; Beni archivistici e librari; Ricerca, innovazione e organizzazione; Spettacolo e sport.

Il comma 3, inoltre, prevede anche la costituzione delle direzioni regionali per i beni culturali e paesaggistici – uffici di livello dirigenziale generale -.

L’ultimo comma, infine, opera una rinvio all’art. 4 del D. Lgs. n. 300 per l’individuazione e l’ordinamento degli uffici del Ministero.

Procedendo con alcune osservazioni in merito al contenuto dell’art. 1, si può notare immediatamente la mancata corrispondenza tra l’originario schema di decreto ( atto del governo n. 287 ) e la versione definitiva circa il numero dei dipartimenti da istituire: tre, nella prima versione , quattro in quella definitiva con l’inserimento di un autonomo Dipartimento per il settore degli Archivi e delle biblioteche, accorpato inizialmente nell’ambito di quello per le antichità, le belle arti e il paesaggio.

In questo senso è da leggere il resoconto dell 241° seduta del 28 ottobre 2003 della 7a Commissione del Senato. Infatti, tra le osservazioni proposte allo schema di decreto legislativo, vengono segnalate alcune criticità ed in particolare, con riferimento all’argomento de quo, si legge : “Premessa la scelta, in linea teorica condivisibile, di fissare a tre il numero dei dipartimenti, l'istituzione di un dipartimento innovativo quale quello per la ricerca, l'innovazione e l'organizzazione, senz'altro apprezzabile sul piano generale, rischia infatti di comprimere eccessivamente l'articolazione delle funzioni ordinarie del Ministero. Il settore degli Archivi e delle Biblioteche, ad esempio, risulta inadeguatamente valorizzato, inserito com'è nel più ampio e già affollato contesto del Dipartimento per le antichità, le belle arti e il paesaggio”

L’istituzione del quarto dipartimento ha tra l’altro prodotto come conseguenza l’eliminazione dell’undicesimo ufficio dirigenziale generale, che inizialmente era previsto per l’Archivio centrale dello Stato, rimanendo i dieci in cui si articolano i dipartimenti.

Sulla base del Regolamento, il capo del dipartimento svolge

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compiti di coordinamento, direzione e controllo degli uffici di livello dirigenziale compresi nel dipartimento stesso, cura i rapporti internazionali ed assicura l’esercizio organico ed integrato delle funzioni del Ministero.

Inoltre, nei settori di competenza, sulla base degli indirizzi del Ministro per i beni e le attività culturali, esercita le funzioni di cui al Titolo II della Parte seconda del Codice – in tema di fruizione e valorizzazione -.

In base alle disposizioni contenute nel Regolamento è possibile individuare i compiti principali affidati a ciascun Capo Dipartimento. In rapida successione, si segnalano i più interessanti.

Dipartimento per i beni culturali e paesaggistici – art. 3 DPR n. 173/2004 - (la dizione è variata rispetto a quella per le antichità, le belle arti e il paesaggio, prevista nella originaria formulazione dell’art.2 del Decreto Lgs. n. 3/2004) :

decisione sui ricorsi amministrativi, nei casi previsti dalla legge, per i settori di competenza;

coordinamento delle iniziative in materia di sicurezza del patrimonio culturale;

propone al Ministro l’esercizio dei poteri sostitutivi per l’approvazione dei piani paesistici, ai sensi degli articoli 143 e 156 del Codice;

elabora, sulla base delle proposte dei direttori regionali e dei pareri espressi dai direttori generali, il programma annuale e pluriennale degli interventi nei settori di competenza, trasmettendolo al Capo del Dipartimento per la ricerca, l’innovazione e l’organizzazione.

Inoltre, ai sensi dell’art. 2 D. Lgs. n. 3/2004, il Capo Dipartimento per i beni culturali e paesaggistici “sostituisce” il Segretario Generale (figura ormai soppressa nella previsione normativa) quale Presidente della Conferenza dei presidenti delle commissioni di cui all’art. 154 del D. Lgs. n. 112/1998. Si tratta delle Commissioni istituite in ciascuna regione a statuto ordinario ( composte da membri del MiBAC, del MIUR, della Regione, della Conferenza episcopale regionale e del CNEL ) e che hanno tra le loro funzioni, quella di …istruire e formulare una proposta di piano pluriennale e annuale di valorizzazione dei beni culturali e di

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promozione delle relative attività', perseguendo lo scopo di armonizzazione e coordinamento, nel territorio regionale, delle iniziative dello Stato, della regione, degli enti locali e di altri possibili soggetti pubblici e privati.

Dipartimento per i beni archivistici e librari - art. 4 DPR n. 173/2004

decisione sui ricorsi amministrativi, nei casi previsti dalla legge, per i settori di competenza;

coordinamento delle iniziative in materia di sicurezza del patrimonio culturale;

proposta al Ministro dell’adozione dei provvedimenti in materia di procedura e modalità di catalogazione di beni archivistici e librari;

elabora, sulla base delle proposte degli organi periferici e dei pareri espressi dai direttori generali, il programma annuale e pluriennale degli interventi nei settori di competenza, trasmettendolo al Capo del Dipartimento per la ricerca, l’innovazione e l’organizzazione

Dipartimento per la ricerca, l’innovazione e l’organizzazione – art. 5 DPR n. 173/2004

curare l’istruttoria degli affari di competenza del CIPE ( Comitato Interministeriale per la programmazione economica ) ;

predisporre le intese istituzionali di programma Stato-Regioni e gli accordi di programma quadro in materia di beni culturali;

vigilare sull’efficienza ed il rendimento degli Uffici del Ministero, anche attraverso un servizio ispettivo, riferendone periodicamente al Ministro;

provvedere all’allocazione delle risorse umane a livello interdipartimentale;

individuazione dei criteri generali in materia di sicurezza patrimoniale;

coordina le iniziative del Ministero in materia di patrimonio mondiale dell’UNESCO e di interventi conseguenti ad emergenze nazionali ed internazionali.

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Si tratta, in un certo senso, di un dipartimento nuovo; forse della novità più rilevante della struttura dipartimentale voluta con la Riforma e che assume attribuzioni di notevole rilievo nell ’ esercizio dei compiti istituzionali del Ministero.

Dipartimento per lo spettacolo e lo sport – art. 6 DPR n. 173/2004

elabora, sulla base delle proposte formulate dai direttori generali, il programma annuale e pluriennale degli interventi nei settori di competenza, trasmettendolo al Capo del Dipartimento per la ricerca, l’innovazione e l’organizzazione

esercita la vigilanza sulla Fondazione La Biennale di Venezia, sentite le competenti direzioni generali;

svolgere i compiti di in materia di proprietà letteraria, diritto d’autore e vigilanza sulla SIAE.

In questo caso, al contrario del precedente, si tratta di un Dipartimento con poche funzioni rispetto a quelle esercitate dalle due Direzioni Generali – per il cinema e per lo spettacolo dal vivo e lo sport – in cui si articola. Queste ultime, in questo modo, finiscono per assumere una posizione quasi analoga a quella del dipartimento, stravolgendo il senso della sua istituzione.

Come si è già osservato, i Dipartimenti si strutturano in dieci Direzioni Generali che finiscono con lo svolgere funzioni più limitate e settoriali. Con riferimento alla loro previsione nel D. Lgs. n. 3/2004, bisogna osservare che esse comparivano puntualmente indicate nella formulazione originaria dell’art. 4 di cui allo schema di decreto (Atto del Governo n. 287) sottoposto a parere parlamentare.

Le osservazioni compiute dalla Commissione affari Costituzionali del Senato ponevano in evidenza l’inopportunità di individuare le direzioni generali all’interno del decreto in quanto “…in contrasto con l’articolo 17, comma 4-bis, lettera b), della legge n. 400 del 1988, che demanda a regolamenti di delegificazione la individuazione degli uffici di livello dirigenziale generale , centrali e periferici…”. Questa disposizione, inoltre, rientrava tra i principi e i criteri di delega di cui all’art. 12, comma 1 della l. n. 59/1997, richiamato dall’art. 1, comma 2, della legge delega n. 137/2002.

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Pertanto l’individuazione delle Direzioni Generali è stata opportunamente demandata al Regolamento che le determina con i compiti di riferimento.

In questa sede, pare opportuno limitarsi ad alcune semplici indicazioni sulle Direzioni Generali, rinviando a successivi approfondimenti una più compiuta analisi, come nel caso della DARC (Direzione Generale per l’architettura e l’arte contemporanee) , di cui si tratterà quando verrà analizzato il disegno di legge sulla qualità architettonica

Il Dipartimento per i beni culturali e paesaggistici si articola nella a) Direzione Generale per i beni archeologici, b) Direzione Generale per i beni architettonici e paesaggistici, c) Direzione Generale per il patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico, d) Direzione Generale per l’architettura e l’arte contemporanee.

Tra i compiti esercitati non si può fare ameno di notare l’attribuzione delle competenze in materia di verifica di interesse culturale, ex art. 12 del Codice e di dichiarazione dell’interesse culturale delle cose di proprietà privata del Codice; ma anche quelle relative al parere sui programmi annuali e pluriennali di intervento proposti dai direttori regionali. Significativa l’autonomia riconosciuta alla DARC che, oltre alla promozione della qualità del progetto e dell’opera architettonica e urbanistica, dichiara l’importante carattere artistico delle opere di architettura, ai sensi dell’art. 20 della legge 22 aprile 1941, n. 633;

Il Dipartimento per i beni archivistici e librari si articola nella a) Direzione Generale per gli archivi; b) Direzione Generale per i beni librari e gli istituti culturali.

Il Dipartimento per la ricerca, l’innovazione e l’organizzazione si articola nella a) Direzione Generale per gli affari generali, il bilancio, le risorse umane e la formazione; b) Direzione Generale per l’innovazione tecnologica e la promozione.

La Direzione generale per gli affari generali assume una rilevanza significativa, pari a quella che aveva la vecchia Direzione generale per gli affari generali amministrativi e del personale del Ministero per i beni culturali ed ambientali. Tra i compiti assegnati da segnalare quelli in materia di bilancio e programmazione, stato giuridico ed economico del personale, relazioni sindacali, concorsi, assunzioni e formazione del personale. Infine, rileva il fabbisogno finanziario del dicastero servendosi dei dati forniti dai singoli dipartimenti, dalle direzioni generali e dalla direzioni regionali.

Il Dipartimento per lo spettacolo e lo sport si articola nella a) Direzione Generale per il cinema; b) Direzione Generale per lo spettacolo dal vivo e lo sport.

Come si è detto le due direzioni appaiono investite di compiti rilevanti e simili a quelli svolti da un dipartimento. Si consideri, ad esempio, le funzioni svolte dalla Direzione Generale per lo spettacolo dal vivo e lo sport che ha compiti di disposizione di interventi finanziari a sostegno delle attività di

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spettacolo, di esercizio di vigilanza sull ‘ ETI ( Ente Teatrale italiano) e sull’INDA (Istituto nazionale per il dramma antico), di cura dei rapporti con gli organismi sportivi, di vigilanza sul CONI (Comitato olimpico nazionale italiano) e sull’istituto per il credito sportivo, ed infine di compiti e funzioni in materia di prevenzione del doping e della violenza nello sport.

Un’ultima doverosa notazione va riservata alla previsione nel Regolamento della Conferenza interdipartimentale e dei Comitati dipartimentali. Si tratta di due organi di nuova istituzione che rispondono alla logica dipartimentale, trovando nel primo caso, un ‘occasione di incontro fra tutti i Capi Dipartimento e il Ministro e nel secondo caso fra il Capo Dipartimento e i suoi Direttori generali, anche di livello periferico .

In particolare, la Conferenza Interdipartimentale è convocata periodicamente dal Ministro per l’esame delle questioni attinenti al coordinamento generale dell’attività del ministero e la formulazione di proposte per l’emanazione di indirizzi e direttive dirette ad assicurare il raccordo operativo fra i dipartimenti e lo svolgimento coordinato delle relative funzioni.

4. LE NUOVE DIREZIONI REGIONALI GENERALI

Parlare di nuove direzioni regionali può essere forse fuorviante per chi ritenga che anche nell’amministrazione periferica del ministero per i beni e le attività culturali siano state presenti in passato strutture dirigenziali di livello generale.

In realtà, si tratta di un’innovazione prevista dal D. Lgs. n. 3/2004, non potendo far coincidere la vecchia figura del Soprintendente Regionale con quella del Direttore Regionale, proprio per una voluta distinzione basata tra l’altro anche sul livello dirigenziale, generale solo nel secondo caso.

Procedendo con ordine, esaminiamo il contenuto dell’art. 5 del D. Lgs. n. 3/2004. La norma prevede l’istituzione delle Direzioni Regionali per i Beni culturali e paesaggistici in ogni regione a statuto ordinario e nelle regioni Friuli-Venezia Giulia e Sardegna. Tutte e 17 le direzioni costituiscono articolazione territoriale, di livello dirigenziale generale, del Dipartimento per i beni culturali e paesaggistici (comma 2).

L’attribuzione dell’incarico di dirigente generale, comporta l’esercizio dell funzioni di cui all’art. 16 del D. Lgs. n. 165 del 2001, norma espressamente richiamata nel comma 5 dell’art. 5 del D. Lgs. n. 3/2004.

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Per l’approfondimento del punto appare necessario un doveroso richiamo al contenuto dell’art. 16 D.Lgs. n. 165/2001. In particolare quest’ultima disposizione prevede che i dirigenti di uffici dirigenziali generali debbano esercitare, fra l’altro, i seguenti compiti e poteri : a) formulano proposte ed esprimono pareri al Ministro, nelle materie di competenza;b) curano l'attuazione dei piani, programmi e direttive generali definite dal Ministro e attribuiscono ai dirigenti gli incarichi e la responsabilità' di specifici progetti e gestioni; definiscono gli obiettivi che i dirigenti devono perseguire e attribuiscono le conseguenti risorse umane, finanziarie e materiali;c) adottano gli atti relativi all'organizzazione degli uffici di livello dirigenziale non generale;d) adottano gli atti e i provvedimenti amministrativi ed esercitano i poteri di spesa e quelli di acquisizione delle entrate rientranti nella competenza dei propri uffici, salvo quelli delegati ai dirigenti; e) dirigono, coordinano e controllano l’attività' dei dirigenti e dei responsabili dei procedimenti amministrativi, anche con potere sostitutivo in caso di inerzia, e propongono l'adozione, nei confronti dei dirigenti, delle misure previste dall'articolo 21;

f) promuovono e resistono alle liti ed hanno il potere di conciliare e di transigere, fermo restando quanto disposto dall'articolo 12, comma 1, della legge 3 aprile 1979, n.103;g) richiedono direttamente pareri agli organi consultivi dell'amministrazione e rispondono ai rilievi degli organi di controllo sugli atti di competenza;h) svolgono le attività' di organizzazione e gestione del personale e di gestione dei rapporti sindacali e di lavoro;i) decidono sui ricorsi gerarchici contro gli atti e i provvedimenti amministrativi non definitivi dei dirigenti;l) curano i rapporti con gli uffici dell'Unione europea e degli organismi internazionali nelle materie di competenza secondo le specifiche direttive dell'organo di direzione politica, sempreche' tali rapporti non siano espressamente affidati ad apposito ufficio o organo.

Come si vedrà tra breve , molti di questi compiti sono stati trasfusi nel Regolamento con attribuzione specifica al Direttore Regionale. Quello che preme sottolineare in questa fase è che il Soprintendente Regionale, istituito con D. Lgs. n. 368/1998, è organo diverso nella sua previsione normativa, rispetto al Direttore Regionale, così come si sta configurando sotto l’aspetto regolamentare.

Le Soprintendenze Regionali sono configurate come uffici dirigenziali di seconda fascia con finalità di coordinamento della attività delle soprintendenze di settore oltre che quella degli Archivi di Stato e delle biblioteche pubbliche statali presenti nel territorio regionale.

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Sorte come organi nuovi del Ministero per i Beni e le Attività Culturali nella riforma del 1998, il ruolo delle Soprintendenze Regionali non è stato mai definito con certezza, creando situazioni di stallo negli stessi rapporti con le soprintendenze di settore.

Come è stato osservato, l’elenco delle attribuzioni delle Soprintendenze Regionali non è affatto limitato ad un’azione di mero coordinamento dell’attività di altri organi, espletando, al contrario, una pluralità di compiti che vanno dall’esercizio di funzioni decisionali a funzioni di relazione con gli organismi territoriali fino a funzioni di proposta nei confronti dell’amministrazione centrale. [BARBATI]

Pertanto, a ragione, si può dire che l’introduzione della figura del soprintendente regionale RAPPRESENTAVA un oggettivo fattore di potenziamento dell’organizzazione periferica statale e non certo di un suo ridimensionamento [SCIULLO].

Tuttavia questa affermazione (e altre di analogo tenore in dottrina) non si è rivelata in sintonia con le aspettative ad essa legata. Il ruolo del Soprintendente Regionale è stato in certi casi messo in dubbio persino dalle stesse soprintendenze di settore non sottoposte gerarchicamente ad esso. In realtà, i limiti legati alla istituzione delle Soprintendenze regionali sono stati quelli derivanti da una poco attenta elaborazione della struttura organizzativa periferica. A titolo di esempio, sia sufficiente pensare che nella vigenza della formulazione originaria (antecedente al D.Lgs. n. 3/2004) del D. Lgs. n. 368/1998 il Segretario Generale svolge una funzione di coordinamento rispetto alle direzioni generali, mentre il soprintendente regionale coordina le soprintendenze locali che, a loro volta, dipendono dalla direzioni generali. [BARBATI]

A queste condizioni, le Soprintendenze Regionali non sono riuscite a rappresentare un centro di riferimento unitario a livello locale, con conseguenti situazioni di incertezza e appesantimento delle strutture a livello periferico.

Inoltre, i limiti da ultimo evidenziati hanno fatto venire meno l’attuazione del disegno normativo che intendeva realizzare anche a livello periferico un organo forte da un punto di vista istituzionale, tale da poter costituire un valido referente per gli enti pubblici territoriali.

Con ogni probabilità, sono anche queste le motivazioni che

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hanno indotto il legislatore delegato a configurare in modo innovativo il ruolo del referente ministeriale a livello periferico, cioè il Direttore Regionale. Vediamone brevemente le caratteristiche del ruolo strutturale e funzionale.

La diretta articolazione della Direzione Generale Regionale dal Dipartimento per i beni culturali e paesaggistici è posta in evidenza anche dal fatto che l’incarico di Direttore Regionale, attribuito ai sensi dell’art. 19, comma 4 del D. Lgs. n. 165/2001, è conferito sentito il capo di dipartimento per i beni culturali e paesaggistici.

Il fatto sembra esser coerente con il disegno organizzativo ministeriale, dato lo stretto rapporto operativo tra direzione generale regionale e dipartimento di riferimento. Inoltre, è confermata la previsione, contenuta nel D. Lgs. n. 368/1998, della previa comunicazione al presidente della regione del conferimento dell’incarico di direttore regionale, in un’ottica di cooperazione con gli enti locali territoriali.(art. 5, comma 3, D. Lgs. n. 3/2004)

Tra le attribuzioni del Direttore regionale, previste dal Regolamento, si ricordano ad esempio quelle riferite alla:

cura dei rapporti del Ministero con le regioni, gli enti locali e le altre istituzioni presenti nella regione;

proposta al Capo Dipartimento degli interventi da inserire nei programmi annuali e pluriennali e relativi piani di spesa , individuando le priorità anche sulla base delle indicazioni delle soprintendenze di settore ;

autorizzazione dell’esecuzione di opere e lavori di qualunque genere sui beni culturali, con particolari eccezioni previste, a favore dei Direttori Generali di riferimento, dall’articolo 7, comma 2, lettera o), dall’articolo 8, comma 2, lettera e) e dall’articolo 9, comma 2, lett. d);

stipula accordi e convenzioni con i proprietari di beni culturali, oggetto di interventi conservativi, alla cui spesa ha contribuito il Ministero al fine di stabilire le modalità per l’accesso ai beni medesimi da parte del pubblico, ai sensi dell’art. 38 del Codice;

autorizzazione di alienazioni, permute, costituzione di ipoteca e di pegno e di ogni altro negozio giuridico che comporta il trasferimento a titolo oneroso di beni culturali appartenenti a soggetti pubblici;

proposta al Capo Dipartimento dell’esercizio del diritto di prelazione ovvero la rinuncia ad essa;

proposta ai Direttori Generali competenti, su iniziativa dei soprintendenti di settore, dell’irrogazione di sanzioni ripristinatorie e pecuniarie previste dal Codice;

predisposizione, d’intesa con le regioni, dei programmi e dei piani finalizzati all’attuazione degli interventi di riqualificazione, recupero e valorizzazione delle aree sottoposte alle disposizioni di tutela dei beni paesaggistici;

organizzazione e gestione delle risorse strumentali degli uffici dipendenti nell’ambito della regione;

espressione dell’assenso del Ministero sulle proposte di acquisizione in comodato di beni culturali di proprietà privata, formulate dalla Soprintendenze di settore, e sulle richieste di deposito di beni culturali di soggetti pubblici presso musei presenti nel territorio regionale;

cura le relazioni sindacali e la contrattazione collettiva a livello regionale..Inoltre, è da segnalare lo svolgimento delle funzioni di

stazione appaltante in relazione agli interventi conservativi da effettuarsi con fondi dello Stato o affidati in gestione allo Stato sui beni culturali presenti nel territorio di competenza.

Indubbiamente, la quantità e la qualità delle funzioni attribuite

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alla Direzione Regionale ne fanno l’organo di massimo rilievo a livello regionale con tutti gli strumenti necessari a disposizione per costituire un valido punto di riferimento dell’amministrazione nei confronti del governo locale.

Al contrario, attualmente appare più sfumata la posizione degli altri organi periferici del Ministero,

L’art. 19 del Regolamento dispone al primo comma che sono organi periferici del Ministero:

a) le direzioni regionali per i beni culturali e paesaggistici;b) le soprintendenze per i beni architettonici e per il paesaggio;c) le soprintendenze per il patrimonio storico, artistico ed

etnoantropologico;d) le soprintendenze per i beni archeologici;e) le soprintendenze archivistiche;f) gli archivi di Stato;g) le biblioteche statali;h) i musei e gli altri istituti dotati di autonomia.Per quanto riguarda l’individuazione e l’organizzazione degli

uffici delle soprintendenze, degli archivi e delle biblioteche e dei relativi compiti, il Regolamento rimanda a successivi decreti ministeriali. Con lo stesso strumento si potrà procedere all’eventuale soppressione degli uffici di cui alla lett. h, già istituiti, mentre, per i restanti si provvederà all’individuazione ed alla organizzazione degli uffici con regolamenti adottati ai sensi dell’art. 17, comma della legge n. 400/1988.

Anche per le strutture periferiche è previsto un Comitato di coordinamento a livello regionale ex art. 21 DPR n. 173/2004, che possiede valenza di flessibilità in relazione alle questioni affrontate.

In particolare, il Comitato regionale di coordinamento esprime pareri:

obbligatoriamente, in merito alle proposte di dichiarazione di interesse culturale o paesaggistico aventi ad oggetto od aree suscettibili di tutela intersettoriale, nonché in merito alle proposte di prescrizioni di tutela indiretta;

a richiesta del direttore regionale, su ogni questione di carattere generale concernente la materia dei beni culturali.

La flessibilità del numero dei componenti è posta dal Regolamento in relazione al parere da emettere.

Infatti, rimanendo fermo che il Comitato è presieduto dal Direttore Regionale, i membri che la costituiscono sono i soprintendenti di settore operanti in ambito regionale, nel caso dei pareri da emettere obbligatoriamente.

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Nell’ipotesi di cui alla lett. b, invece, il Comitato è integrato con i responsabili di tutti gli uffici periferici operanti in ambito regionale. A dire il vero, sfugge il senso da attribuire a quest’ultima previsione, che avrebbe assunto maggior significato, a parere di chi scrive, se l’integrazione del collegio fosse stata effettuata di volta in volta con i responsabili degli uffici periferici operanti nell’ambito regionale, eventualmente coinvolti dalla natura della questione proposta dal Direttore Regionale.

In realtà, il carattere generico della formulazione di cui alla lett. b) induce a pensare che esista il possibile rischio di un non frequente utilizzo da parte del Direttore Generale Regionale.

5. IL SISTEMA DELLE DELEGHE

Un aspetto della riorganizzazione del Ministero, denso di conseguenze sul piano strutturale, è indubbiamente rappresentato da quello che potrebbe essere definito come il sistema delle deleghe. Questo strumento, previsto all’interno del Regolamento, si è rivelato di difficile applicazione, inducendo perplessità e dubbi sulla sua applicazione. Il sistema prevede che in capo ai titolari degli Uffici superiori sussista un potere di delega dell’esercizio di alcune funzioni in capo ai titolari degli Uffici dipendenti. Le norme del Regolamento prevedono, infatti, questo potere di delega per i Capi dipartimento – ovvero per il solo Capo Dipartimento per i beni culturali e paesaggistici - , per i Direttori Generali e per i Direttori Regionali. In particolare, - riguardo i Capi Dipartimento nei confronti dei Direttori Generali :

art. 3, comma 5 le funzioni di cui ai comma 4 lettera d) [esprime la volontà dell’Amministrazione in sede di conferenza di servizi per interventi di carattere intersettoriale e di dimensione sovraregionale] ed e) [esprime la volontà dell’Amministrazione nei procedimenti di valutazione di impatto ambientale, acquisite le valutazioni delle competenti direzioni generali];

- riguardo i Capi Dipartimento nei confronti dei Direttori Regionali: art. 3, comma 6 la funzione di cui al comma 4 lettera f)

[propone al Ministro l’esercizio dei poteri sostitutivi per l’approvazione dei piani paesistici, ai sensi degli articoli 143 e 156 del Codice];

- riguardo i Direttori generali

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art. 7, comma 3 ( Direzione Generale per i beni archeologici di norma ai Direttori Regionali ) le funzioni di cui al comma 2, lettere b) [dichiara su proposta delle competenti soprintendenze di settore, l’interesse culturale delle cose di proprietà privata, ai sensi dell’articolo 13 del Codice], c) [verifica la sussistenza dell’interesse culturale nei beni appartenenti a soggetti pubblici e a persone giuridiche private senza fine di lucro, ai sensi dell’articolo 12 del Codice] e d) [detta, su proposta delle soprintendenze di settore, prescrizioni di tutela indiretta, ai sensi dell’articolo 45 del Codice];

art. 8, comma 3 ( Direzione Generale per i beni architettonici e paesaggistici di norma ai Direttori Regionali ) le funzioni di cui al comma 2, lettere b) [dichiara su proposta delle competenti soprintendenze di settore, l’interesse culturale delle cose di proprietà privata, ai sensi dell’articolo 13 del Codice], c) [verifica la sussistenza dell’interesse culturale nei beni appartenenti a soggetti pubblici e a persone giuridiche private senza fine di lucro, ai sensi dell’articolo 12 del Codice] e d) [detta, su proposta delle soprintendenze di settore, prescrizioni di tutela indiretta, ai sensi dell’articolo 45 del Codice];

art. 9, comma 3 ( Direzione Generale per il patrimonio storico artistico ed etnoantropologico di norma ai Direttori Regionali ) le funzioni di cui al comma 2, lettere b) [dichiara su proposta delle competenti soprintendenze di settore, l’interesse culturale delle cose di proprietà privata, ai sensi dell’articolo 13 del Codice], c) [verifica la sussistenza dell’interesse culturale nei beni appartenenti a soggetti pubblici e a persone giuridiche private senza fine di lucro, ai sensi dell’articolo 12 del Codice];

art. 11, comma 3 ( Direzione Generale per gli Archivi di norma ai Soprintendenti Archivistici ) la funzioni di cui al comma 2, lettere b) [dichiara su proposta delle competenti soprintendenze di settore, l’interesse culturale delle cose di proprietà privata, ai sensi dell’articolo 13 del Codice];

- riguardo i Direttori Regionali:

art. 20 , comma 5 ( Direzione Regionale di norma alle Soprintendenze di settore ) le funzioni di cui al comma 4, lettere c) [ autorizza l’esecuzione di opere e lavori di

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qualunque genere su beni culturali, con eccezione di quanto disposto dall’articolo 7, comma 2, lettera o), dall’articolo 8, comma 2 lettera e) e dall’articolo 9, comma 2 lettera d) ], g) [ dispone l’occupazione temporanea di immobili per l’esecuzione di ricerche archeologiche o di opere dirette al ritrovamento dei beni culturali, ai sensi dell’articolo 88 del Codice ] e h) [ concede l’uso dei beni culturali in consegna al Ministero, ai sensi degli articoli 106 e 107 del Codice ];

art. 20, comma 6 ( Direttore Regionale può delegare ai titolari delle Soprintendenze di settore ) una o più delle altre funzioni di cui al comma 4.

Il sistema, estremamente articolato, non risulta esente da critiche, soprattutto dopo le prime applicazioni che sono state attuate immediatamente dopo l’entrata in vigore del Regolamento, il 1 agosto 2004. Procediamo con alcune osservazioni di carattere generale, alla luce di quanto avvenuto con le prime deleghe emanate. In primo luogo, le funzioni che il Regolamento ha indicato come di norma attribuite ai diversi soggetti richiamati, sono state immediatamente conferite, sia per quanto riguarda le Direzioni Generali, sia per quanto riguarda le Direzioni Regionali. L’esercizio delle funzioni è stato conferito di regola in via continuativa, fatti salvi i poteri del delegante di impartire direttive nelle materie delegate, di controllo dell’esercizio della delega, di avocare a se la trattazione di specifici affari, di sostituirsi al delegato in caso di sua inerzia, di annullare gli atti emanati dal delegato e di revocare la delega stessa. Questa formula è stata costantemente adottata sia per le deleghe conferite dal Direttore Generale per i Beni architettonici e paesaggistici, per i Beni archeologici, per il patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico, nonché dai Direttori Regionali, limitatamente alle deleghe conferite di norma. Per quanto riguarda, invece, le deleghe conferite ai sensi del comma 6 dell’art. 20 del Regolamento, vi è da osservare che la formulazione della norma lascia adito a notevoli perplessità interpretative, lasciando il campo a possibili forti disomogeneità nell’attuazione dei singoli Direttori Regionali (che, ricordiamo, sono 17 per tutto il territorio nazionale), presentandosi il rischio, ad esempio, che in una regione una determinata funzione venga esercitata dal titolare ( direzione regionale ) ed in un’altra dal delegato (soprintendenza di settore) ingenerando confusione tra gli utenti e mancanza di trasparenza.

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Indubbiamente, una puntuale e definita indicazione delle funzioni da delegare avrebbe avuto riflessi positivi non fosse altro che per una omogeneità di applicazioni nel territorio nazionale. Poco opportuno, inoltre, appare prevedere il conferimento della delega in casi in cui la norma sembra chiaramente distinguere tra le posizioni di due soggetti all’interno di un determinato procedimento, come nel caso in cui un soggetto proponga l’adozione del provvedimento che al termine del procedimento dovrà essere adottato da altro soggetto .E’ il caso della delega conferita di norma ai Soprintendenti archivistici ( art. 11, comma 3), dove viene surrettiziamente attribuito ad un unico soggetto il procedimento di cui all’art. 13 del Codice. In alcuni casi, si sono conferite delle deleghe andando probabilmente oltre il dettato normativo, sul presupposto di un potere da esercitare in maniera illimitata. E’ il caso ad esempio della delega conferita con Decreto Direttore Generale Beni architettonici paesaggistici ai Direttori Regionali in riferimento alle funzioni relative all’autorizzazione degli interventi di demolizione e rimozione definitiva da eseguirsi sui beni architettonici, ai sensi dell’articolo 21, comma 1, lettere a) e b) del Codice [ art. 8, comma 2, lett. e) del Regolamento ]. In questa ipotesi specifica, non sembra coerente con il dettato regolamentare né pienamente legittimo delegare una funzione che espressamente viene esclusa da quelle affidate dal regolamento stesso . In particolare ci si riferisce al tenore dell’art. 20, comma 4 lett. c) dove si legge che il Direttore Regionale “ autorizza l’esecuzione di opere e di lavori di qualunque genere su beni culturali, con eccezione di quanto disposto dall’articolo 7, comma 2, lettera o), dall’articolo 8, comma 2, lettera e) e dall’articolo 9, comma 2, lettera d).” L’indicazione regolamentare sembra presupporre la necessità dello svolgimento di tale funzione da soggetto diverso dal Direttore Regionale, ponendo delle eccezioni al suo potere di autorizzazione. Non si tralasci il fatto che, in alcuni casi lo stesso Direttore Regionale ha delegato le funzioni di cui al comma 4 lett. c) ai soprintendenti di settore, rimanendo titolare per delega dell’esercizio di una funzione che non potrà essere delegata a sua volta ad altri soggetti in quanto delegatus non potest delegare. In realtà, il sistema delle deleghe, se incontrollato, sembra operare una sorta di rinvio alla situazione precedente alla riforma, determinandosi in molti casi l’attribuzione dell’esercizio delle competenze in conformità a modelli precedentemente acquisiti, come nel caso dei rapporti tra Direzioni regionali e Soprintendenze di settore , in un andamento oscillante tra vecchio e nuovo, che

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rischia di vanificare il ruolo propulsivo del sistema proposto con la riorganizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali.

6. GLI ORGANI CONSULTIVI E GLI ISTITUTI PERIFERICI

L’art. 3 del D. Lgs. n. 3/2004 sostituisce l’articolo 4 del D. Lgs n. 368/1998 che prevedeva la disciplina del Consiglio per i beni culturali e ambientali e i Comitati tecnico-scientifici.

Per quanto riguarda il Consiglio per i beni culturali e ambientali, ricordiamo sommariamente che esso andava a sostituire il Consiglio Nazionale per i beni culturali e ambientali (DPR n. 705/1975), con una consistente riduzione dei membri (da poco meno di 100 a 19) e un aumento della componente tecnica., di rilevante interesse, per evidenziare il nuovo ruolo scientifico del Consiglio e non più a chiara tendenza politica.

Nella stessa direzione si è avuto un mutamento della composizione dei Comitati tecnico-scientifici, che dal 1998 risultano costituiti prevalentemente da esperti.

La disciplina della composizione e del funzionamento dei due organi consultivi è stata dettata analiticamente dal D.P.R. n. 307/2001 che ne ha altresì individuato le attribuzioni . Come è stato osservato, una delle difficoltà interpretative di maggior rilievo è stata quella di determinare i rapporti relazionali con le autorità referenti e conseguentemente la natura delle questioni da sottoporre all’esame dei due organi. La soluzione proposta dalla dottrina prende spunto dal documento preliminare sulle competenze del Consiglio, approvato l’8 maggio 2001, nel quale lo stesso organo raccomanda che siano sottoposte dal ministro al suo esame solo questioni di natura tale da essere assimilabili alle categorie prima indicate, in modo da potersi concentrare sulle questioni strategiche e di indirizzo, escludendo in ogni caso singoli atti di gestione, dove per categorie indicate si fa riferimento a quelle previste dalla disciplina del DPR 307/2001.Ciò per ribadire il ruolo del Consiglio, configurato come organo consultivo del ministro per la formazione di scelte di indirizzo, distinguendosi pertanto dal compito dei Comitati tecnico-scientifici. [BARBATI]

Questi ultimi, ciascuno per il proprio settore specifico di competenza, esprimono pareri, a richiesta del Ministro, sui programmi nazionali per i beni culturali e paesaggistici, sui piani di spesa annuali e pluriennali e sulle relative variazioni. Inoltre sono organi consultivi, a richiesta dei direttori generali di rispettiva competenza, al fine dell'emanazione dei provvedimenti di tutela e valorizzazione di speciale rilevanza, e, obbligatoriamente, per i provvedimenti che comportano spese superiori alle soglie stabilite con decreto del Ministro. Infine, sono organi consultivi, a richiesta del Ministro e dei direttori generali, rispettivamente su schemi di atti normativi e di atti

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amministrativi generali nonché sulle questioni ad essi demandate da leggi o regolamenti.

La previsione di cui all’art. 3 del D. Lgs. n. 3/2004, non innova tanto sulla struttura e composizione dei due organi consultivi centrali, quanto sulla individuazione di un organo consultivo di livello periferico che costituisce organo collegiale di consulenza per il Direttore Generale Regionale e che, come si è visto, assume la denominazione di Comitato regionale di coordinamento.

Una prima notazione di carattere tecnico-formale è costituita dalla osservazione che i due organi consultivi centrali dovrebbero essere disciplinati autonomamente dal Regolamento, con conseguente abrogazione degli artt. 9, 10 e 11 del DPR 307/2001, e pertanto con il mutamento di collocazione per quanto riguarda la loro disciplina. Ciò in ossequio alla disposizione contenuta nel secondo comma dell’art. 3 del D. Lgs. n. 3/2004 che prevede “ …la composizione, i compiti e le incompatibilità dei membri degli organi consultivi sono stabiliti ai sensi dell’art. 11, comma 1…” del D. Lgs. n. 368 del 1998. Il contenuto di quest’ultima disposizione prevede, operandovi il rinvio, che l’organizzazione, la disciplina degli uffici e le dotazioni organiche del Ministero siano stabilite ai sensi dell’art. 17, comma 4-bis, della legge 23 agosto 1988, n. 400, cioè con il più agile e flessibile strumento rappresentato dai regolamenti di organizzazione.

L’art. 17 del Regolamento prevede che il Consiglio Superiore per i beni culturali e paesaggistici esprima pareri :

obbligatoriamente sui programmi nazionali per i beni culturali e paesaggistici e sui piani di spesa annuali e pluriennali;

su schemi di atti normativi e amministrativi generali; su ogni questione tecnico-scientifica di carattere generale

concernente la materia dei beni culturali e paesaggistici; sulle questioni demandate da leggi o regolamenti

Si può notare la prima grande differenza con la previsione di cui all’art. 10 del D.P.R. n. 307/2001, dove il Consiglio veniva sentito a richiesta del Ministro al fine dell'approvazione dei programmi nazionali per i beni culturali e paesaggistici e dei piani di spesa annuali e pluriennali.

La lettera c) inoltre sembra accogliere quella interpretazione di cui si faceva cenno poco sopra riguardo l’esclusione di ogni competenza per il Consiglio su questioni attinenti ad atti di gestione.

Per quanto riguarda la sua struttura, il Consiglio Superiore per i beni culturali e paesaggistici è composto dai presidenti dei Comitati tecnico-scientifici e da otto eminenti personalità del mondo della cultura nominate dal Ministro ( tre delle quali

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vengono designate dalla Conferenza Unificata di cui all’art.8 del D. Lgs. n. 281/1997 - Conferenza Stato - città' ed autonomie locali e Conferenza unificata - ).

Tra le otto personalità viene nominato dal Ministro il presidente del Consiglio (al contrario, il Consiglio per i beni culturali ed ambientali era presieduto direttamente dal Ministro), mentre lo stesso Consiglio elegge a maggioranza tra i propri componenti il vicepresidente.

L’integrazione della composizione dei tre rappresentanti del personale del Ministero, prevista in via ordinaria per il Consiglio per i beni culturali ed ambientali, dovrebbe avvenire, sempre secondo il Regolamento, esclusivamente nei casi della predisposizione del parere obbligatorio sui programmi nazionali per i beni culturali e paesaggistici e sui piani di spesa annuali e pluriennali.

Rispetto alla previsione di cui all ‘ art. 10 del DPR. N. 307/2001 risulta pressoché immutata la disciplina della durata del mandato ( 4 anni con la possibilità della conferma per una sola volta ) e delle incompatibilità, con un'unica variazione relativa alle attività imprenditoriali (ex art. 2195 cod. civ), che non possono essere esercitate dai singoli membri, non più limitatamente alle materie di competenza del Consiglio stesso, bensì ampliate a quelle di competenza del Ministero.

Per quanto riguarda i Comitati tecnico-scientifici, l’art. 18 del Regolamento ne prevede sei (in luogo dei sette individuati dall’art. 11 del DPR n. 307/2001): il comitato tecnico-scientifico per i beni archeologici; il comitato tecnico-scientifico per i beni architettonici e paesaggistici; il comitato tecnico-scientifico per il patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico; il comitato tecnico-scientifico per gli archivi; il comitato tecnico-scientifico per i beni librari e gli istituti culturali; il comitato tecnico-scientifico per l’architettura e l’arte contemporanee.

La riduzione del numero dei Comitati deriverebbe dall’accorpamento in un unico organo per i due antecedentemente previsti, uno per le biblioteche e la promozione del libro e della lettura e l’altro per gli istituti culturali.

Ciascuno di essi è composto da due rappresentanti eletti dal personale tecnico-scientifico dell’amministrazione (in luogo dei tre previsti dalla normativa precedente) ; da un esperto (in luogo di due) di chiara fama in materie attinenti alla sfera di competenza del singolo Comitato, designato dal Ministro; due professori universitari (in luogo di tre) di ruolo nei settori disciplinari direttamente attinenti alla sfera di competenza del singolo Comitato, designati dal Consiglio universitario nazionale. Pertanto, la struttura dei singoli Comitati, nella previsione che ne fa il Regolamento, si snellisce passando da otto componenti a cinque, rispetto alla previsione del 2001.

Analizzando le attribuzioni, si osserva che ai comitati può rivolgersi lo stesso Ministro oltre ai Capi Dipartimenti. In particolare, essi esprimono pareri:

obbligatoriamente sui programmi nazionali per i beni culturali e paesaggistici e sui piani di spesa annuali e pluriennali;

a richiesta del Ministro o dei capi dei dipartimenti sugli schemi di atti normativi e amministrativi generali;

a richiesta dei capi dei dipartimenti competenti, sull’adozione di provvedimenti di tutela di particolare rilevanza, nonché sulle questioni afferenti metodologie e criteri di intervento sui beni culturali;

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obbligatoriamente sui ricorsi amministrativi previsti dalla legge; sulle questioni ad essi demandate da leggi o regolamenti.Purtoppo si deve osservare la mancata soluzione al problema

derivante da una possibile duplicazione di pareri nella stessa materia, quando la competenza sia attribuita anche al Consiglio, come nel caso dei pareri obbligatori in tema di programmi. In effetti, una duplicazione di questo genere, di pareri dei Comitati e del Consiglio non può che comportare un aggravio nell’iter decisionale di riferimento.

Infine, si segnala l’eventuale seduta congiunta di tutti i Comitati ( o di alcuni di essi) per l’esame di questioni di carattere intersettoriale, su richiesta del Ministro o dei capi dipartimenti.

Si è già provveduto ad indicare quali siano gli Istituti periferici, ai sensi dell’art. 19 del Regolamento. Si tratta di aggiungere che a breve dovranno essere adottati i Decreti Ministeriali diretti alla previsione delle diverse articolazioni periferiche del Ministero e alla attribuzione delle singole competenze, vista anche l’abrogazione operata dal Regolamento del DPR n. 441/2001.

In via transitoria, così come è stato previsto dal Decreto Ministro per i beni e le attività culturali del 2.08.2004 e di seguito prorogato nei termini, i responsabili degli uffici periferici di livello dirigenziale non generale continuano a svolgere i compiti loro affidate sino al 31 dicembre 2004.