L'Orario Di Lavoro

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settore lavorativo

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CAPITOLO ____

LA DURATA DELLA PRESTAZIONE DI LAVORO E LE

TIPOLOGIE DI LAVORO AD ORARIO FLESSIBILE

SOMMARIO: 1. Premessa – A) LA DURATA DELLA PRESTAZIONE LAVORATIVA– 2. La disciplina dell’orario di lavoro –3. Il lavoro notturno – 4. Pause, riposi e ferie – B) LE TIPOLOGIE DI LAVORO AD ORARIO

FLESSIBILE - 5. Il lavoro a tempo parziale: le fonti – 5.1. Il lavoro a tempo parziale nel settore privato – 5.2. La normativa promozionale e il principio di non discriminazione – 6. Le altre tipologie di lavoro ad orario flessibile – a) il lavoro intermittente – b) il lavoro ripartito

1. Premessa

La durata della prestazione lavorativa e la disciplina dell’orario di lavoro hanno un molteplice rilievo nell’ambito della disciplina del rapporto di lavoro. È evidente che da un punto di vista strettamente contrattuale essa rappresenta lo strumento per la determinazione della quantità di lavoro svolta dal prestatore e quindi è spia del corretto adempimento dello stesso, ed parametro per la misurazione della retribuzione dovuta. Ma l’orario di lavoro svolto dal prestatore o esigibile da parte del datore è rilevante anche sotto l’aspetto della tutela della salute e della integrità fisica del lavoratore e come tale deve essere oggetto di una disciplina limitativa affichè si eviti, data la continuità della prestazione lavorativa, che il datore di lavoro possa pretendere un adempimento intensivo da parte del lavoratore con ovvio depauperamento delle energie lavorative e di vita di quest’ultimo. La disciplina dell’orario di lavoro coinvolge, quindi, vari interessi di differente estrazione: la salute e la sicurezza del prestatore di lavoro, la possibilità di utilizzare la prestazione lavorativa da parte del datore nella maniera più

La pluralità degli

interessi coinvolti

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confacente alle esigenze dell’impresa, della produzione e della competitività, nonché quella più generale del mantenimento o dell’aumento dei livelli occupazionali derivanti dalla scelta nell’assegnazione delle prestazioni lavorative. La materia dell’orario di lavoro, proprio per questa sua particolare esigenza è stata sempre oggetto sensibile della regolamentazione giuridica e dal punto di vista storico destinataria prima degli interventi legislativi volti a limitare la durata della prestazione e a migliore le condizioni di vita e di salute del lavoratore subordinato. La disciplina organica dell’orario di lavoro si rinviene oggi nel D. Lgs. n. 66/2003, che ha abrogato tutte le precedenti discipline dando attuazione alle direttive comunitarie in materia e creando una regolamentazione organica e completa dell’orario. Prima della riforma del 2003 l’orario di lavoro era disciplinato oltre che dall’art. 36 co. 2 Cost., nel testo ancora oggi vigente, dagli artt. 2107, 2108 e 2109 del codice civile, che riguardavano l’orario di lavoro, lo straordinario, l’orario notturno e il riposo, dal RDL 692/1923, oggetto di svariate ed importanti modifiche. La disciplina vigente dell’orario di lavoro è derivata dalla attuazione della direttiva 93/104 e si è consolidata nel D. Lgs. n. 66/2003. Il detto decreto, è stato oggetto di alcuni interventi correttivi operati con la Finanziaria 2008 (legge n. 244/2007) e da ultimo con la legge di conversione n. 133/2008, la quale è intervenuta in particolare sui cc.dd. “tempi di non lavoro” disponendo “(…) l’abrogazione di tutte le

disposizioni legislative e regolamentari nella materia disciplinata dal decreto legisaltivo medesimo, salve le

disposizione espressamente richiamate (…)”.

A) LA DURATA DELLA PRESTAZIONE LAVORATIVA

2. La disciplina dell’orario di lavoro

L’art. 2 del D. Lgs. n. 66/2003 stabilisce che la disciplina dell’orario di lavoro si applica a tutti i lavoratori appartenenti ai settori pubblici e privati con esclusione di alcuni settori specificamente indicati. Sono espressamente esclusi il lavoro della gente di mare, il personale di volo nell’aviazione civile e i lavoratori mobili, né al personale della scuola di cui al D. Lgs. n. 297/1994. Il D. Lgs n. 213/2004 e la legge n. 133/2008 hanno escluso altresì il personale appartenente alle forse di polizia, alle forze armate e gli addetti alla polizia municipale e provinciale. Per quanto riguarda invece, il personale appartenente al Corpo Vigili del Fuoco, Polizia penitenziaria o giudiziarie, Protezione civile la normativa può non applicarsi in ragione delle particolari esigenze di servizio.

Come è noto, la durata della prestazione lavorativa può essere a tempo pieno o a tempo parziale e ciò in ragione del fatto che l’orario dedotto in contratto sia uguale o inferiore alla durata prevista dai contratti collettivi. L’art. 1 co. 2 definisce l’orario di lavoro come “(…) qualsiasi periodo in cui il

lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell'esercizio della

sua attività o delle sue funzioni (…)”. La previsione che l’orario di lavoro coincida con il doppio requisito della disponibilità al datore di lavoro e dell’esercizio dell’attività permette di

Orario di lavoro

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escludere che nel computo dello stesso possano rientrare i riposi intermedi, le pause brevi il tempo per recarsi sul luogo di lavoro. Nonostante l’art. 36 co. 2 della Costituzione stabilisca che “(…) la durata

massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge (…)” nel decreto n., 66/2003 non si rinviene la determinazione della durata massima giornaliera, assumendo la normativa come parametro la prestazione oraria settimanale. Orbene, dalla disposizione dell’art. 4 possono evincersi due definizioni differenti. L’una relativa alla durata massima della prestazione lavorativa che è calcolata su base settimanale ed è rimessa alla determinazione dei contratti collettivi. L’altra relativa alla durata media della prestazione lavorativa che viene calcolata su un periodo di lavoro non superiore a quattro mesi aumentabile a sei o dodici in forza do ragioni obbiettive organizzative e tecniche specificate dai contratti collettivi. In ogni caso, il lavoratore non potrà svolgere nel periodo di sette giorni un orario per una durata massima superiore alle 48 ore computando l’orario normale e l’orario straordinario (comma 2). Per quanto riguarda l’orario normale di lavoro l’art. 3 stabilisce la sua durata in 40 ore settimanali, con possibilità per i contratti collettivi di stabilire una durata minore e di riferire l’orario normale alla durata media delle prestazioni in un periodo non superiore all’anno. La possibilità di computare l’orario di lavoro in un arco di tempo prolungato – modalità già descritta nell’art. 4 – introduce il sistema dell’orario multiperiodale che costituisce lo strumento per poter flessibilizzare la prestazione di lavoro e permettere l’adeguamento della stessa alle esigenze dell’impresa e delle contingenze economiche, potendo aumentare l’intensità della prestazione lavorativa in determinati momenti, senza incorrere nel lavoro straordinario, compensando successivamente con orari inferiori nel medesimo multiperiodo. L’orario straordinario – ferma restando la dichiarazione di intenti sul contenimento del ricorso al lavoro straordinario – consiste nel superamento dell’orario normale di lavoro (art. 1 co. 2 lett. c). Considerato che l’orario di lavoro normale viene calcolato all’interno del multiperiodo, potrà essere considerato straordinario soltanto quell’orario che superi la media dell’orario normale. Di conseguenza lo svolgimento di un orario di lavoro superiore alle 40 ore durante una settimana non costituisce straordinario se nella successiva il lavoratore abbia svolto un orario inferiore e compensativo. Il comma 2 dell’art. 5 stabilisce che le modalità di ricorso al lavoro straordinario sono determinate dalla contrattazione collettiva e in mancanza della stessa, il datore di lavoro potrà ricorrere al lavoro straordinario solo previo accordo con il lavoratore e comunque nel limite massimo di 250 ore annue. In ogni caso, atteso che la durata massima settimanale della prestazione lavorativa non può superare le 48 ore, ne deriva che il prestatore di lavoro non potrà svolgere più di 8 ore di straordinario a settimana.

Durata massima e

durata media

Orario normale di

lavoro

Orario

multiperiodale

Orario straordinario

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L’art. 5 co. 4 stabilisce che si può ricorrere al lavoro straordinario, anche fuori dai vincoli legali indicati e sempre che non sussistano previsioni contrarie nel contratto collettivo nell’ipotesi in cui sia necessario fronteggiare casi di eccezionali esigenze tecnico-produttive e sempre che non si possano assumere nuovi lavoratori, ovvero nei casi di forza maggiore o casi in cui la mancata esecuzione di prestazioni di lavoro straordinario possa dare luogo a un pericolo grave e immediato ovvero a un danno alle persone o alla produzione; ed ancora in caso di eventi particolari, come mostre, fiere e manifestazioni collegate alla attività produttiva, nonché allestimento di prototipi, modelli o simili, predisposti per le stesse, preventivamente comunicati agli uffici competenti ai sensi dell'articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e in tempo utile alle rappresentanze sindacali aziendali.

Lo svolgimento di lavoro straordinario è compensato a parte con una maggiorazione retributiva fissata dai contratti collettivi, ovvero da riposi compensativi in aggiunta o in alternativa alla stessa. In questo caso, però, l’espressa previsione dell’art. 6 co. 2 del D. Lgs. n. 66/2033 prevede che l’orario straordinario svolto non si computi ai fini della determinazione della durata media della prestazione lavorativa. Qualora, però, difetti, la previsione dei contratti collettivi, nonostante la previsione dell’art. 19 co. 2 della L. n. 133/2008, si dovrebbe ritenere applicabile l’art. 2108 co. 1 c.c. ai fini del calcolo della maggiorazione retributiva, e in ogni caso dovuta la medesima maggiorazione ai sensi dell’art. 36 Cost. Il Decreto n. 66/2003 non prevede, da ultimo, la durata massima della prestazione lavorativa giornaliera, ma soltanto che la durata media massima settimanale potrà essere di 48 ore all’interno del multiperiodo di quattro mesi (aumentabile a 6 o a 12). Considerato, però che l’art. 7 stabilisce il lavoratore ha diritto ad undici ore consecutive di riposo giornaliero, è possibile affermare che la prestazione oraria massima giornaliera sia di 13 ore, che ovviamente dovrà rispettare la durata massima settimanale e la media nel multiperiodo.

3. Il lavoro notturno

L’art. 1 co. 2 lett. d) definisce il periodo notturno come il “(…) periodo di

almeno sette ore consecutive comprendenti l'intervallo tra la mezzanotte e le

cinque del mattino (…)” e il lavoratore notturno come colui che “(…) durante il

periodo notturno svolga almeno tre ore del suo tempo di lavoro giornaliero

impiegato in modo normale (…)” ovvero come colui che “(…) svolga durante il

periodo notturno almeno una parte del suo orario di lavoro secondo le norme

definite dai contratti collettivi di lavoro (…)”. La norma della lettera e) stabilisce inoltre che in difetto di disciplina collettiva è considerato lavoratore notturno qualsiasi lavoratore che svolga, per almeno tre ore, lavoro notturno per un minimo di ottanta giorni lavorativi all'anno. Per poter attivare in azienda il lavoro notturno, il datore di lavoro deve procedere alla consultazione (procedura che può durare al massimo sette giorni) delle rappresentanze sindacali aziendali, ove costituite, aderenti alle organizzazioni firmatarie del contratto collettivo applicato in azienda e in difetto delle organizzazioni territoriali dei lavoratori per il tramite dell’Associazione alla quale il datore di lavoro aderisce o conferisce mandato.

Maggiorazione

retributiva

Periodo notturno e

lavoratore notturno

Attivazione del

lavoro notturno

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L’orario di lavoro notturno non può superare le otto ore in media nelle ventiquattro ore, salvo diversa disposizione dei contratti collettivi e produce per il lavoratore la maturazione del diritto alla maggiorazione retributiva. L’adibizione al lavoro notturno del lavoratore può avvenire salvo la valutazione periodica dello stato di salute del prestatore e lo stesso deve essere adibito al lavoro diurno in mansioni equivalenti, se esistenti e disponibili, qualora sopraggiungano condizioni di salute che comportino l’inidoneità alla prestazione di lavoro notturno. In ogni caso, l’art. 11 statuisce da una parte che i contratti collettivi stabiliscono i requisiti dei lavoratori che non possono essere adibiti al lavoro notturno e dall’altra che è vietata all’adibizione al lavoro notturno (inteso come lavoro dalle ore 24 alle ore 6) delle donne dal momento dell’accertamento dello stato di gravidanza sino al compimento di un anno di età del bambino.

Inoltre lo stesso art. 11 prevede una serie di ipotesi nelle quali il lavoratore non può essere obbligato allo svolgimento del lavoro notturno.

4. Pause, riposi e ferie

La durata della prestazione lavorativa può essere interrotta da una serie di cause tra le quali il legislatore enuncia le ipotesi delle pause, del riposo giornaliero e settimanale e delle ferie. Come detto, l’art. 7 del decreto Lgs. n. 66/2003 stabilisce che il lavoratore ha diritto a undici ore di riposo consecutivo ogni ventiquattrore di lavoro. Dall’individuazione del periodo di riposo giornaliero consegue la determinazione della durata massima della prestazione lavorativa che è, quindi, pari a 13 ore. Il periodo di riposo così individuato, però, non è previsto per i prestatori di lavoro che svolgano “(…) attività caratterizzate da periodi di

lavoro frazionati durante la giornata (…)” Lo svolgimento della prestazione lavorativa, qualora ecceda le sei ore giornaliere, può essere interrotta, ai sensi dell’art. 8, da un intervallo per la pausa della durata di circa 10 minuti, secondo le modalità stabilite dalla contrattazione collettiva, affinché il lavoratore possa essere reintegrato nelle proprie energie psicofisiche, ovvero possa consumare il pasto. L’art. 17, come modificato dalla legge 133/2008, prevede che il regime delle pause e dei riposi giornalieri può essere possono derogato mediante contratti collettivi stipulati a livello nazionale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative. L’art. 36 co. 3 sancisce il diritto del lavoratore al riposo settimanale, così come già lo prevedeva l’art. 2109 c.c., e sulla sua falsariga interviene l’art. 9 del D.Lgs. n. 66/2003 il quale prevede che “(…) Il lavoratore ha diritto ogni sette

giorni a un periodo di riposo di almeno ventiquattro ore consecutive, di regola in

coincidenza con la domenica, da cumulare con le ore di riposo giornaliero (…)”. La legge 133/2008 ha aggiunto che periodo di riposo consecutivo è calcolato come media in un periodo non superiore a quattordici giorni.

Divieti

Riposo giornaliero

Pause di lavoro

Riposo settimanale

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La previsione dell’art. 9 trova però due eccezioni. L’una riguarda le attività di lavoro a turni, le attività di lavoro con orario frazionato durante la giornata, alcune lavorazioni relative alò personale del settore dei trasporti ferroviari e le ulteriori ipotesi stabilite dai contratti collettivi. L’altra è invece relativa alla non coincidenza del riposo settimanale con la domenica relativamente al personale impegnato in attività caratterizzate dal ciclo continuo della produzione tassativamente previste dalla norma. In questo caso, però, ferma restando la turnazione dei lavoratori interessati, stante la particolare gravosità del lavoro domenicale è previsto un corrispettivo aggiuntivo anche sotto forma di riposo compensativo. Da ultimo, al lavoratore è garantito il diritto irrinunciabile al riposo annuale che si concreta nella fruizione di un periodo di ferie, finalizzato al recupero delle energie psicofisiche e alla realizzazione delle esigenze di vita personali e familiari del prestatore. L’art. 36 co. 3 della Costituzione stabilisce che il lavoratore ha diritto ad un periodo di ferie annuali retribuite alle quali non può rinunciare. La medesima previsione si rinviene nel codice civile all’art. 2109 – ribadito dall’art. 10 del D. Lgs. n. 66/2003 – il quale stabilisce che il prestatore di lavoro ha diritto di fruire delle ferie retribuite come orario normale di lavoro e in modo continuativo. L’art. 10 del D. Lgs. n. 66/2003 quantifica le ferie in un periodo non inferiore a quattro settimane per ciascun anno di lavoro, specificando le modalità di fruizione da parte del lavoratore: due settimane consecutive nell’anno di maturazione, e le due settimane residue entro i diciotto mesi successivi al termine dell’anno di maturazione. Il comma 2 dell’art. 10 stabilisce, inoltre, che il periodo minimo di ferie non può essere sostituito dalla indennità economica, salvo che in caso di risoluzione del rapporto. Nonostante le ferie costituiscano un diritto del lavoratore, il tempo del loro godimento è stabilito dal datore di lavoro contemperando gli interessi dell’impresa e del prestatore e dandone a quest’ultimo preventivo avviso. Proprio per la particolare funzione reintegrativa e ricreativa, le ferie non possono essere godute né durante il periodo di preavviso, in particolar modo – secondo la giurisprudenza – con quello relativo al licenziamento, potendo eventualmente il lavoratore optare nell’ipotesi di dimissioni per la sovrapposizione del preavviso e delle ferie. Sotto il medesimo punto di vista, la malattia sospende il decorso delle ferie, così come anche l’assenza per maternità e il congedo matrimoniale.

Ferie

Ferie preavviso e

malattia