L'Ora di Giurisprudenza n. 3 anno I

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Numero 3 Anno I - Dicembre 2010 Caro Presidente, ti scrivo E’ la mattina del 2 dicembre e noi, i ragazzi del sindacato universitario Ricomincio da- gli Studenti, aspettiamo trepidanti l’arrivo del Presidente della Repubblica con la vo- glia di rappresentare chi crede in noi e di portare le istanze di un gruppo di studenti racchiuse in una lettera.Un gesto apparen- temente semplice che credevamo potesse addirittura rimanere senza alcuna risonan- za nell’opinione pubblica. Invece nel giro di poche ore Federica Assanti, Consigliera a Lazio Adisu, Stefano Rocca, Consigliere di Amministrazione, Alessandro Sucameli, Consigliere di Facoltà, erano su molti dei maggiori quotidiani e su svariati siti inter- net ripresi nell’atto di consegnare la nostra lettera nelle mani del Presidente della Re- pubblica. “Lettera degli studenti a Napolitano. Il pre- sidente: risponderò”, recitava il Messagge- ro, “Lettera degli studenti di Roma3 a Na- politano : questa riforma nega il diritto allo studio”, scriveva La Repubblica,“Studenti a Napolitano, almeno tu non ci abbando- nare”, riportava Libero. Per citare solo alcuni articoli. “Abbiamo deciso di scriverle questa lette- ra per esprimere il nostro disagio e la no- stra frustrazione nel vedere il nostro futuro scivolarci pian piano dalle mani. Lei incar- na il ruolo più importante tra le istituzioni: è il garante della nostra costituzione. La legge fondamentale che, tra le costituzioni europee, è la più bella.” Così ci siamo rivolti al nostro presidente, per chiedere anche a lui di non abbando- narci proprio come recitava il nostro stri- scione fuori dalla facoltà. Abbiamo voluto accogliere Napolitano con le parole “Pre- sidente almeno tu non ci abbandonare” sperando così di sintetizzare il messaggio non solo nostro, non solo di Roma3, ma di tutti gli studenti italiani o che studiano nel nostro paese. Il disagio di una genera- zione che ha manifestato e sta esprimendo il suo dissenso nei modi più svariati nel- la speranza di attirare l’attenzione di una maggioranza sorda e ipocrita. Non ci aspettavamo che il presidente rima- nesse così colpito dal nostro entusiasmo tanto da prometterci una risposta quanto più possibile esauriente alla nostra richie- sta di aiuto. E la sua risposta non è mancata di arriva- re il 7 dicembre: ”Ho letto con attenzione la vostra lettera e debbo dirvi che mi ha innanzitutto colpito il tono appassionato con cui rappresentate la fatica e la qualità del vostro impegno per adempiere, in con- dizioni difficili, la fondamentale missione dello studiare, del formarvi e del preparar- vi alle sfide del lavoro e della vita.” Poi il capo dello Stato ha aggiunto che avrebbe tenuto in forte considerazione i nostri rilie- vi nei modi che gli sono consentiti e che la nostra carta non potrà dirsi mai svuotata, ma anzi dovrà essere considerata anche da noi studenti universitari quale punto di ri- ferimento. È stato con queste parole che il Presidente ha mantenuto la sua promessa di rispon- derci, convincendoci ancora di più che il tempo che dedichiamo alla difesa dei nostri diritti di studenti non è vano. For- se peccheremo di superbia, ma il nostro semplice gesto è stato importante e la gior- nata del 2 dicembre rappresenta per noi una grande vittoria che ci porta a dire, con soddisfazione,che questo è solo l’inizio. Sara Quaranta Cristina Valiante

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Il periodico di facoltà di Ricomincio dagli Studenti - Giurisprudenza

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1Numero 3 Anno I - Dicembre 2010

Numero 3 Anno I - Dicembre 2010

Caro Presidente, ti scrivo

E’ la mattina del 2 dicembre e noi, i ragazzi del sindacato universitario Ricomincio da-gli Studenti, aspettiamo trepidanti l’arrivo del Presidente della Repubblica con la vo-glia di rappresentare chi crede in noi e di portare le istanze di un gruppo di studenti racchiuse in una lettera.Un gesto apparen-temente semplice che credevamo potesse addirittura rimanere senza alcuna risonan-za nell’opinione pubblica. Invece nel giro di poche ore Federica Assanti, Consigliera a Lazio Adisu, Stefano Rocca, Consigliere di Amministrazione, Alessandro Sucameli, Consigliere di Facoltà, erano su molti dei maggiori quotidiani e su svariati siti inter-net ripresi nell’atto di consegnare la nostra lettera nelle mani del Presidente della Re-pubblica.“Lettera degli studenti a Napolitano. Il pre-sidente: risponderò”, recitava il Messagge-ro, “Lettera degli studenti di Roma3 a Na-politano : questa riforma nega il diritto allo studio”, scriveva La Repubblica,“Studenti a Napolitano, almeno tu non ci abbando-nare”, riportava Libero. Per citare solo alcuni articoli.“Abbiamo deciso di scriverle questa lette-

ra per esprimere il nostro disagio e la no-stra frustrazione nel vedere il nostro futuro scivolarci pian piano dalle mani. Lei incar-na il ruolo più importante tra le istituzioni: è il garante della nostra costituzione. La legge fondamentale che, tra le costituzioni europee, è la più bella.” Così ci siamo rivolti al nostro presidente, per chiedere anche a lui di non abbando-narci proprio come recitava il nostro stri-scione fuori dalla facoltà. Abbiamo voluto accogliere Napolitano con le parole “Pre-sidente almeno tu non ci abbandonare” sperando così di sintetizzare il messaggio non solo nostro, non solo di Roma3, ma di tutti gli studenti italiani o che studiano nel nostro paese. Il disagio di una genera-zione che ha manifestato e sta esprimendo il suo dissenso nei modi più svariati nel-la speranza di attirare l’attenzione di una maggioranza sorda e ipocrita.Non ci aspettavamo che il presidente rima-nesse così colpito dal nostro entusiasmo tanto da prometterci una risposta quanto più possibile esauriente alla nostra richie-sta di aiuto. E la sua risposta non è mancata di arriva-

re il 7 dicembre: ”Ho letto con attenzione la vostra lettera e debbo dirvi che mi ha innanzitutto colpito il tono appassionato con cui rappresentate la fatica e la qualità del vostro impegno per adempiere, in con-dizioni difficili, la fondamentale missione dello studiare, del formarvi e del preparar-vi alle sfide del lavoro e della vita.” Poi il capo dello Stato ha aggiunto che avrebbe tenuto in forte considerazione i nostri rilie-vi nei modi che gli sono consentiti e che la nostra carta non potrà dirsi mai svuotata, ma anzi dovrà essere considerata anche da noi studenti universitari quale punto di ri-ferimento.È stato con queste parole che il Presidente ha mantenuto la sua promessa di rispon-derci, convincendoci ancora di più che il tempo che dedichiamo alla difesa dei nostri diritti di studenti non è vano. For-se peccheremo di superbia, ma il nostro semplice gesto è stato importante e la gior-nata del 2 dicembre rappresenta per noi una grande vittoria che ci porta a dire, con soddisfazione,che questo è solo l’inizio.

Sara QuarantaCristina Valiante

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2 L’Ora di Giurisprudenza

Nonostante le temperature, l’ inver-no è caldo. A renderlo tale sono gli studenti con la loro rabbia, gli stri-scioni e i cori con cui rivendicano un futuro dignitoso.Hanno reso le città invivibili, oc-cupato i maggiori monumenti delle città italiane e bloccato il traffico co-stringendo i cittadini a interminabili code. A Roma, al passaggio del cor-teo lungo il muro Torto, si è assistito a un lungo applauso da parte degli automobilisti che, nonostante fos-sero intrappolati nel traffico da ore, hanno voluto incoraggiare i ragazzi, anche con un abbraccio o una stretta di mano.La protesta studentesca cela il mal-contento di una generazione per cui il precariato, al momento, è l’ unica certezza.Sono stati definiti “professionisti dell’odio”; il ministro della Pubbli-ca Istruzione, recitando la parte del-la mamma apprensiva, ha mandato una video-lettera struggente in cui si chiedeva agli studenti, allora sui tetti, di non farsi strumentalizzare. Il TG-PDL nella persona del suo direttore, Emilio Fede, ha suggerito di “menare questi ragazzi” per dare un esempio di civiltà. E bravo Fido, ops Fede.Il capo dei professionisti dell’amo-re , invece, non ha neanche preso in considerazione che a sfilare per le strade di Roma, dietro a quei cartelli colorati, ci fossero degli studenti. Per lui, che fa del “in Italia va tutto bene” (e se va male è colpa dei comunisti) la sua filosofia di vita, a bloccare le strade italiane erano esclusivamente i centri sociali.Non è così, la protesta è animata da-gli studenti, quelli veri, che vivono l’ Università, frequentano le lezioni e sono disposti a sottrarre ore allo studio pur di cercare di cambiare il paese in cui vivono.Coloro che protestano sanno per cosa lo fanno, sanno perché non si può parlare di riforma del merito, di lotta al baronato. E, soprattutto, sanno che non si può essere etichettati come una banda di perditempo dal fanto-matico Governo del fare...danni. Si va avanti, non è importante quello che dice chi ha rovinato questo pa-ese, stavolta in gioco c’è il futuro di tutti. In questo numero abbiamo cer-cato di dare una visione d’insieme di quello che sta succedendo, dalla crisi in cui versa il Governo alla riforma, passando per la situazione del nostro Ateneo.Buona lettura.

Alessia Ragusa

La promessa di una rivoluzione

Per tracciare una linea di somma, per potere de-finitivamente concludere un’analisi, sarebbe ne-cessario scrutare con occhio critico e, a volte, clinico, una situazione di per sé conclusa. Così è nella medicina, così è nell’arte, così anche nella politica. Oggi ci rendiamo conto che gli anni del berlusconismo, dal ‘94 ad oggi, si avviano verso la conclusione. Eppure quel sogno virtuale continua ancora oggi ad avere i suoi effetti sul nostro paese. Viviamo in un programma, in una diretta continua dove la realtà viene rigorosamente calpestata sen-za alcuna decenza. E’ difficile far venire i nodi al pettine, ma noi ci proveremo ugualmente. Il falli-mento del Governo è un fallimento che deve essere svelato a cominciare dalle sue promesse. Promesse di miracoli, di cieli limpidi, un governo del fare che ci ha portato a diventare il paese con la crescita economica minore di tutta l’Europa e con un debito pubblico superiore a tutti i paesi della Comunità che contano. Senza contare che, nonostante i tagli effettuati dal ministro Tremonti, la spesa pubblica italiana è addirittura cresciuta dall’ultima semile-gislatura di Romano Prodi. E sotto i colpi dell’ac-cetta sono cadute la cultura, la ricerca, l’università, la scuola, il mondo del lavoro, la sanità, l’immigra-zione, i servizi pubblici. Il racconto, falso, di una crisi che non c’era, di una crisi già superata, di una crisi per la quale il nostro paese sarebbe do-vuto essere preso a modello, oggi è un racconto mutato. Oggi, nel giro di pochi mesi, la crisi c’è, è pericolosa e giustifica tutti i tagli compiuti dal Governo, che decide anche di regalare un bengodi di 4 o 5 miliardi di euro ai possessori di 100 mi-liardi fuggiti, evasi e riciclati con il più “schifo-so” condono della nostra storia. Questo non è un fallimento? Il Governo e la maggioranza tutta si è arrogato il diritto, indecente se analizzato secondo l’etica e la moralità politica, di porre ad ordine del giorno d’inizio legislatura, leggi o proposte di leg-ge unicamente rivolte al Presidente del Consiglio, abdicando al sano e basilare principio che l’Am-ministrazione della Cosa Pubblica debba occuparsi unicamente degli interessi dei cittadini tutti e non di cittadini eletti. Con i problemi del premier han-no deviato l’attenzione della massa su questioni di “netto rilievo politico”. Ruby, Noemi, BungaBun-ga, Bingo Bongo e tante altre ville, villette, feste e vacanze russe. E ancora barzellette, insulti, battute,

corna, scherzetti ad altri Primi Ministri. L’immagi-ne del “Berlusconi uno di noi e uno di tanti” ha rap-presentato una caratteristica tutta italiana. Un pic-colo grande uomo che parlava di donne, di feste, di promesse ad personam (anche quelle), di promesse mai mantenute (quasi tutte). E dalla televisione lo vedevamo all’Aquila ad abbracciare e consolare i terremotati e a portare tra la città Obama duran-te il G8, a Napoli dove l’immondizia non esisteva più perchè lui aveva risolto il problema. Poi però sulle nostre TV, in alcuni tele giornali (solo alcuni naturalmente), scorrono le immagini degli aquilani massacrati di botte davanti al parlamento (Obama è andato in giro per l’Aquila, gli aquilani non rive-dono la loro casa da quasi due anni), la rivolta delle cittadine vicino a Napoli, con scontri e feriti che mettono in crisi un programma di avvelenamento già bell’e pronto.E ancora, la considerazione che nei nostri con-fronti hanno gli altri Stati, ora chiara al mondo dalla fuga di notizie di Wikileaks. Gli occhi degli americani costantemente puntati per monitorare i nostri “scambi economici e trattati internazionali” con due delle nazioni “più” democratiche e liberali di tutto il pianeta. Russia e Libia. Ma l’immagi-ne è sempre la stessa, il premier divertito e confi-denziale con il “macho” Putin e “l’ipocondriaco” Gheddafi. Senza dimenticare altri momenti di alta politica internazionale come quando il nostro Premier definì “Kapò” il tedesco eurodeputato al Parlamento di Strasburgo Shulz. Noi ridevamo, ci risentivamo, discutevamo di queste scenette, della sua moralità, della sua santità o del suo eroismo. Ma dimenticavamo di guardare i prezzi, dimenti-cavamo di informarci su ciò che si votava in Parla-mento, dimenticavamo la crisi e il significato stes-so delle parole “crisi economica”. Oggi però, oggi ci troviamo a vagare per tre, quattro supermercati cercando l’offerta più conveniente, con i giovani che sognano di essere sfruttati come schiavi per poter pagare l’affitto della loro camera a 30 anni, con gli anziani che sono preoccupati per i loro ni-poti e i nipoti preoccupati per il futuro dei loro figli. Perchè le persone che oggi non ce la fanno sono molte di più di quelle che hanno ancora il tempo di sognare. 16 Anni di Berlusconi. Dopo che la colpa per il fallimento è stata data ai comunisti, ai gior-nali di sinistra, ai magistrati, ai marocchini e agli immigrati, quanto dovremo aspettare affinchè la colpa ve la prendiate voi, berluscones?

Riccardo Bucci

Cambiare costa... meno

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3Numero 3 Anno I - Dicembre 2010

Nell’estate di quest’anno è iniziato l’iter che dovrebbe portare alla creazione, nella nostra Università, della Fondazione di diritto priva-to. Per mesi è stato quasi inesistente il coin-volgimento delle componenti accademiche (studenti, docenti, ricercatori, personale)nella discussione su questo progetto e anche dopo la convocazione da parte del Rettore di un assem-blea aperta, non sono arrivate le risposte che tutti noi cercavamo. Inoltre la Fondazione non è l’unico progetto che il Rettore ha in mente per il nostro Ateneo; si aggiungono, infatti, la “Scuola d’eccellenza Astre” e l’“Agenzia per la ricerca”. Abbiamo intervistato rispettiva-mente il Senatore Accademico Cesare Cagnet-ta e il Consigliere di Amministrazione Stefano Rocca,entrambi eletti con RDS.

Intervista a Cesare Cagnetta, Senatore Accademico

Quali sono le vere finalità di questi progetti?Per quanto riguarda la Fondazione, essa do-vrebbe essere uno strumento per ricevere fondi dai privati, dovrebbe cioè avere come scopo il “fund rising”, ma di fatto vi è un unico ente fondatore, ossia Roma Tre, senza privati che investono. Questo determinerebbe lo svuota-mento delle casse dell’ateneo per la creazione di una struttura parallela che richiederebbe ov-viamente risorse. Si potrebbe aggiungere, inol-tre, che è l’attuale classe dirigente dell’ateneo che decide la creazione della Fondazione pri-vata, rendendo Presidente di questa il Rettore uscente.Parlando della “Scuola d’eccellenza Astre”, in-vece, il rischio è quello di propagandare una valorizzazione del merito (come si sta facendo a livello nazionale con il ddl Gelmini), mentre di fatto si favorisce un sistema clientelare e ne-potistico. Infatti, se non vengono chiaramente definiti i criteri in base ai quali verranno scelti gli studenti “meritevoli”, partendo dalla parità della valutazione, si rischia di alimentare un si-stema discrezionale che crea da una parte una formazione di alto livello per una piccolissima élite (ottanta studenti l’anno in tutto l’ateneo) e dall’altra un’università di massa alla quale verrebbero sottratti i migliori docenti, i quali sarebbero chiamati a insegnare nella “Scuola d’eccellenza”.Per quanto riguarda, infine, l’Agenzia per la Ricerca, questa struttura, che dovrebbe favorire la partecipazione a bandi per la ricerca a livello regionale ed europeo, contiene, però, un limite stringente. Essendo, infatti, affidata a questa Agenzia la facoltà di scegliere il tipo di ricerca sul quale investire e quali docenti e ricercatori far accedere ai bandi ed essendo questa stessa

Agenzia inserita all’interno della Fondazione a partecipazione di privati, si rischia di avere una forte influenza su quella che dovrebbe essere la ricerca libera.

Quali sono le principali criticità?Uno degli aspetti più critici dell’istituzione della Fondazione di diritto privato a Roma Tre consiste in quella che si può definire come du-plicazione della struttura, in quanto ci sarà una proliferazione di organi e incarichi paralleli a quelli dell’Università; questa duplicazione comporterà sia un costo necessario per costitui-re il patrimonio iniziale della Fondazione sia la retribuzione del personale che lavorerà all’in-terno di questa Fondazione, dal Presidente ai Consiglieri di amministrazione. Inoltre, nono-stante gli studenti di Roma Tre paghino già più del dovuto attraverso le tasse universitarie, non vi è alcuna garanzia che i servizi erogati dalla Fondazione non comportino un ulteriore aggra-vio economico per gli studenti. Si deve anche osservare che nella fase di stesura dello Statuto si è data molta importanza all’organigramma, vale a dire all’assegnazione delle poltrone, mentre si è affrontato in modo vago l’argomen-to dei servizi che questa Fondazione dovrebbe offrire. Verrebbe poi da chiedersi perché tali servizi non potrebbero (o forse dovrebbero) es-sere erogati dall’università pubblica.

Cosa avete ottenuto in commissione?Abbiamo, ad esempio, ottenuto la modifica dell’articolo 1 dello Statuto, il quale prima dell’emendamento da noi presentato prevedeva la possibilità di avere la sede legale della Fon-dazione all’estero. L’articolo 5, invece, preve-deva il trasferimento di beni mobili e immobili (come strutture, facoltà, dipartimenti) dall’u-niversità alla Fondazione, la quale avrebbe poi potuto alienarli, ossia venderli. Sono stati da noi presentati, inoltre, emendamenti volti a riportare lo Statuto alla coerenza con il re-golamento generale dell’ateneo; quest’ultimo veniva, infatti, più volte derogato dallo Statu-to della Fondazione, soprattutto negli articoli riguardanti l’organigramma e i membri dell’a-teneo che presterebbero servizio nella Fonda-zione.

Intervista a Stefano Rocca,Consigliere d’Amministrazione

Com’è il bilancio di Roma Tre?L’anno scorso si riuscì ad approvare il bilancio soltanto a costo di numerosi tagli nei servizi e nella manutenzione ordinaria, come la vigi-lanza e la pulizia. Un taglio che potrebbe non interessare gli studenti ma che ha toccato la maggior parte dei dipendenti di Roma3, è stato il taglio dei buoni pasto.Per quanto riguarda l’approvazione del bilan-cio di quest’anno accademico c’è un grave ritardo nella procedura, che potrebbe avere conseguenze sopratutto per quanto riguarda l’approvazione dei bilanci. Roma3, infatti, non è ancora a conoscenza del Fondo di finanzia-mento Ordinario, ovvero i fondi erogati dallo Stato che poi vengono amministrati dalle sin-gole università in virtù del principio di auto-

nomia.Adesso c’è un certo ritardo nel proce-dimento. L’anno scorso si riuscì ad approvarlo solo a costo di tagli nei servizi e nella manu-tenzione, e per quanto riguarda i dipendenti di Roma3, con il taglio dell’erogazione , appun-to, dei buoni pasto. Quest’anno, la situazione versa in grave stallo, come anche spiegato nel comunicato dell’ 8 dicembre,rivolto ai Consi-glieri degli Studenti, dal rettore Fabiani. Infatti, il Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO), ovvero i fondi destinati dallo Stato alle varie Università, che poi li gestiscono in autonomia attraverso gli organi preposti, non è stato anco-ra comunicato dallo Stato. L’iter dettato dallo Statuto prevede il passaggio in Senato Accade-mico dell’esame del bilancio, affinché questi detti le linee guida e successivamente le passi al Consiglio d’Amministrazione che le vaglia e approva il bilancio finale. Se il bilancio non sarà approvato entro la fine di gennaio o l’i-nizio di febbraio si potrebbe generare un buco che toccherà in particolare il rinnovamento dei contratti. In più, il Ddl Gelmini, se promulgato, comporterà dei tagli che impediranno di paga-re tutti gli stipendi provocando riduzioni nella quantità e qualità della didattica.

Sul versante economico ,quali sono le critici-tà di queste proposte?L’idea del Rettore sarebbe di portare finanzia-menti dai privati con un operazione di fund rising che permetterebbe di porre rimedio ai tagli. Di fatto, però, l’Università cederebbe an-che parte dei suoi immobili, con costi impor-tanti nel lungo periodo.Le criticità però si concentrano su aspetti quali la creazione di due classi di studenti parallele, una divisione tra chi è “eccellente” e chi non lo è. Ricordiamo che solo 40 studenti a semestre sarebbero ammessi a questi corsi aggiuntivi che toglierebbero risorse all’ intera università in favore di pochi. In particolare, si creerebbe uno squilibrio, in quanto si trasferirebbero una parte di fondi pubblici a una fondazione privata portando d una situazione di pseudo-privatiz-zazione.

Cosa pensate di poter ottenere in CdA? Prima di tutto ci occuperemo di verificare il rapporto tra fondi disponibili e necessari. Quin-di, ci impegneremo a fare uno studio di fattibi-lità e quindi di presentare degli emendamenti per cercare di correggere un progetto che come abbiamo visto, presenta non poche criticità.Dato che non abbiamo ancora elementi certi è senza dubbio ancora difficile procedere ad una discussione dal punto di vista economico.

Marta de RubertisValeria Pescini

Fondazione privata a Roma Tre. Intervista a Cesare Cagnetta e Stefano Rocca

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4 L’Ora di Giurisprudenza

In questi mesi, mentre si consumava la crisi di governo, per mostrare una sicurezza che non hanno il Ministro Gelmini e il governo hanno bombardato l’opinione pubblica di spot elettorali sulla riforma universitaria.Caval-cando lo sfacelo dell’università, la destra ha abusato dei termini meritocrazia, lotta ai pri-vilegi e rigore, ma la distanza tra questi slogan e le implicazioni del DdL Gelmini è abissale. Esaminiamone i punti cardine, iniziando dal-la tanto lodata lotta ai privilegi.

PARENTOPOLI: uno dei “meriti” del DdL Gelmini è la lotta al nepotismo negli atenei. La riforma blocca l’assunzione di parenti, ma solo all’interno dei singoli dipartimenti e non (come aveva proposto l’opposizione) nell’intero ate-neo. Va da sé che per un barone non è difficile far passare un parente da un dipartimento a un altro.

LOTTA AI BARONI: il disegno di legge sem-bra piuttosto favorire la creazione di alcuni po-teri personali. D’altra parte, se questa riforma mettesse davvero in pericolo il potere dei ba-roni, questi ultimi l’avrebbero avversata. Basta osservare l’approvazione che il DdL Gelmini ha suscitato presso la CRUI (la Conferenza dei Rettori) per rendersene conto. Questa, in-fatti, ha espresso preoccupazione per il rinvio del voto del DdL e lo stesso Enrico De Cleva, Presidente della CRUI, ha dichiarato grande soddisfazione l’approvazione alla Camera della riforma.

POTERE DEI RETTORI: il Governo parla di limitare l’incarico dei rettori a sei anni. In realtà, già attualmente gli anni di mandato sono limitati dagli statuti degli atenei, generalmente a quattro. Di fatto, dunque, il Governo farebbe

esattamente il contrario di ciò che dice, alzando gli anni di mandato. In più, i rettori potranno anche essere docenti di altri atenei, consenten-do così uno scambio di poltrone tra rettori.

PRIVATI NEI CDA: il DdL prevede l’ingres-so di privati nel Consiglio di Amministrazione, senza che questi stanzino risorse per l’univer-sità. Tale norma rafforzerebbe la posizione del Rettore nel CdA, diminuendo il peso decisiona-le della componente studentesca tramite la ridu-zione dei suoi membri a vantaggio dei privati.

Vediamo adesso invece i punti, strettamente connessi ai precedenti, che riguardano la me-ritocrazia.

CONCORSI: il governo ha garantito una mag-giore equità nell’abilitazione dei docenti uni-versitari, tramite una commissione nazionale sorteggiata e composta da ordinari. E’ l’enne-simo spot mediatico, poiché l’abilitazione non prevede nessun criterio di merito, comparazio-ne di titoli o graduatorie. Inoltre, essa “non co-stituisce titolo di idoneità né dà alcun diritto relativamente al reclutamento in ruolo o alla promozione […]” (art. 16 comma 4). L’abili-tazione nazionale è quindi del tutto formale, mentre le scelte reali si svolgono a livello loca-le, con chiamata diretta dei docenti dall’albo e senza alcun controllo sui criteri adottati.

RICERCA: il governo dimostra disinteresse per la ricerca di base. La riforma, infatti, aboli-sce la figura del ricercatore a tempo indetermi-nato e prevede solo la ricerca part-time per un massimo di 6 anni, rendendo così i ricercatori più facilmente ricattabili da baroni e ordinari. In quest’arco di tempo, inoltre, lo Stato non stanzierà risorse sufficienti per poi procedere all’assunzione di quei ricercatori, creando così

un canale senza alcuno sbocco.Malgrado ciò, il centro-destra si è focalizzato sul merito di aver delegato la valutazione della qualità della ricerca alla futura Agenzia Nazio-nale per la Ricerca, che per ora resta un’entità indefinita. Piuttosto che parlare di slogan, biso-gnerebbe parlare di prerogative di tale agenzia.

RAZIONALIZZARE GLI SPRECHI: con questa curiosa perifrasi il governo indica i tagli orizzontali che ha operato sui Fondi di Finan-ziamento Ordinario per l’Università. Appellan-dosi ai pur consistenti sprechi nel nostro sistema accademico, il centro-destra ne ha approfittato per togliere la spina alla cultura. L’obiettivo è quello di creare un’università pubblica di basso livello e una privata di eccellenza per chi può permetterselo.

ATENEI “VIRTUOSI”: è la strategia del ba-stone e della carota, già collaudata con i tagli per gli anni ‘09 e ‘10. Togliendo i fondi alle università e stabilendo di assegnarle solo per quelle che rispondono a dei criteri di “efficien-za”, il Governo ha ridotto il potere contrattuale dei rettori, mettendo gli atenei in competizione in una grottesca guerra fra poveri. L’assegna-zione di questi fondi è una ripartizione “merito-cratica” di una quota fissa del FFO. Anche qui i criteri sono del tutto arbitrari. Fino ad ora la ripartizione è avvenuta senza tener conto del divario Nord/Sud o delle differenze tra i vari atenei. Bisogna inoltre considerare che i fondi non vengono assegnati a dipartimenti o facoltà virtuose, ma su base di ateneo, all’interno del quale si verifica un livellamento tra dipartimen-ti e facoltà positivi e negativi, annullando di fatto l’obiettività del dato.

David De Concilio

La riforma piu' bella del mondo

Il governo parla di meritocrazia e lotta ai baroni, mentre di nascosto

rafforza i poteri occulti dell’università. Ecco come.

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5Numero 3 Anno I - Dicembre 2010

Giorni di protesta, giorni di riforma, autunno caldo, atenei in rivolta, tetti occupati, presìdi, fondazioni, eccellenze, baroni. Questa, la fiumana di parole che attraversa l’etere da qualche mese.Tutta l’Italia è invasa dalle proteste contro la riforma universitaria, pro-posta dai tecnici del ministero per bocca del ministro Gelmini, e contro i tagli orizzontali del ministro Tremonti che stanno dando il colpo di grazia al sistema istruzione italiano.Ogni ateneo d’Italia è alle prese con la chiusura dei bilanci, nell’incer-tezza economica più totale derivante dall’incognita sul fondo di finan-ziamento ordinario che il MIUR destina ogni anno alle università, in parole povere i consigli d’amministrazione di tutti gli atenei non sanno quanti soldi arriveranno per quest’anno dal Ministero.Anche nella migliore delle ipotesi il nostro Ateneo, con i fondi che arri-veranno dal ministero, avrà un disavanzo tale da non poter coprire l’in-tero monte stipendi del personale. In questa situazione di incertezza eco-nomica il rettore Guido Fabiani ha ben pensato di non puntare verso la riduzione degli sprechi, l’amministrazione virtuosa e lo smembramento dei sistemi baronali, ma di creare un fondazione ex D.P.R. 254/2001 senza un adeguato studio di fattibilità economica e con scopi vaghi a tal punto da non garantire il carattere strumentale dell’ente. Nel progetto del Rettore c’è anche l’idea di dar vita anche una scuola d’eccellenza, chiamata ASTRE, e ad una agenzia privata che gestirà la ricerca. Questi progetti, così come il Ddl Gelmini, hanno destato forti perplessita in co-loro che tutti i giorni vivono la realtà universitaria. E’ così che è nato un forte movimento di protesta che coinvolge gran parte della popolazio-ne studentesca. Quest’ultima, in aperta contestazione con il Rettore, ha dato vita ad una serie di sit-in, presìdi e occupazioni che hanno investito lestrutture dell’Ateneo in varia misura.Il movimento, a giudizio di chi scrive, ha riconosciuto un’eccessiva di-sparità tra i poteri del Rettore e quelli dei suoi oppositori negli organi istituzionali, per questo ha deciso di mobilitarsi, la prima volta, occu-pando il tetto della struttura adiacente al rettorato di via Ostiense 159. Studenti, studentesse e ricercatori di Roma Tre hanno manifestato il loro disappunto esibendo striscioni e intonando cori di protesta, chiedendo la liberazione degli studenti arrestati durante le manifestazioni e affer-mando che nessuna repressione è in grado di intimidire il movimento. Gli occupanti hanno dimostrato senso di responsabilità nel non provo-care alcun danno alle strutture. Questo primo atto dimostrativo è stata l’ anticipazione di quella che sarebbe stata l’occupazione della Facoltà di

Lettere e Filosofia dopo l’assemblea d’Ateneo, svoltasi il 29 novembre scorso.L’occupazione ha preceduto l’adesione del movimento di Roma Tre alla manifestazione nazionale del 30 novembre in cui si è dato vita ad un corteo che, partendo dalla facoltà di lettere e passando per il rettorato, ha marciato per le vie di Roma sud fino a raggiungere gli altri cortei studenteschi che hanno tentato di avvicinarsi alla blindatissima Piazza Montecitorio. Ci sono stati scontri e il corteo, dimostrando una gran-dissima maturità di piazza, ha resistito alle cariche della polizia, si è riorganizzato e ha paralizzato la città passando per il Muro Torto, fino ad occupare la stazione Termini, tra i volti increduli e anche qualche applauso di incoraggiamento dei passanti.Il primo dicembre è nato un movimento spontaneo di studenti al Dams nella struttura distaccata della facoltà di lettere e filosofia.La mobilitazione del Dams ha prodotto una serie di eventi che hanno dato a questa occupazione un valore fondamentale nell’ambito della protesta. In questa sede sono stati oraganizzati incontri informativi sul ddl Gelmini, sui tagli alla cultura, allo spettacolo e all’università ed hanno avuto luogo eventi culturali, come, ad esempio, proiezioni di film, incontri con professionisti del cinema, omaggi a registi e concerti di gruppi emergenti. Il tutto nasce da una organizzazione spontanea di studenti che, avendo acquisito consapevolezza della gravità della si-tuazione politica nel settore della cultura, hanno deciso di uscire dalla passività e iniziare a lottare affinché lo studio e la cultura in genere non diventino ancor di più un privilegio di pochi, ma siano aperti a tutti e liberi da ogni condizionamento.Le proteste sono proseguite con una nuova occupazione di lettere e con, il giorno dopo, un’assemblea tenutasi a Scienze Politiche che ha portato all’occupazione della facoltà nel tardo pomeriggio. Il giorno successivo anche Architettura si dichiarava facoltà occupata. Questo straordinario stato di mobilitazione a Roma Tre ha prodotto una prima vittoria nel contrastare sia la riforma voluta dal Ministro della Pubblica Istruzione, sia i progetti di fondazione privata del rettore Fabiani,provocando lo slittamento delle sedute di Senato Accademico e Consiglio d’Ammini-strazione previste nei giorni 14 e 15 dicembre.Gli studenti attraverso un loro comunicato hanno dichiarato di aver vin-to una battaglia ma affermano che la protesta continuerà ad oltranza fin-chè non verrano ritirati del tutto i progetti di sviluppo del rettore Fabiani.

Marco Salfi

Giorni di protestaLa mobilitazione del nostro Ateneo nel dettaglio

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6 L’Ora di Giurisprudenza

“Se dovessi essere costretto ad una vita che non è vita,la farei finita anch’io”,queste le parole del maestro Monicelli durante i giorni del caso Welby. Parole che sono il manifesto di un pensiero laico che poi si è realizzato nel compimento del suicidio.Ultimo moto di rivoluzione di un uomo ispirato a valori antropologica-mente antifascisti,libertari,socialisti.Ennesimo scatto di volontà sorretto da una imprescindibile tendenza al rispetto per se stessi e per la propria dignità. Da esempio e monito a quella sua Italia “imbrogliona,maschile e colta”.Italia derubata. Italia che dovrebbe rendersi libera con una serie infinita di scatti di volontà e magari anche di orgoglio.Senza però mai confidare nella speranza che è una “trappola inventata dai padroni”,e gli Italiani secondo Monicelli sono votati alla dittatura,alla sottomissione ,a chinare il capo dinanzi ai padroni.Gli Italiani non sono coraggiosi,sperano,appunto,che qualcun altro deci-da per loro. Sono consapevolmente incapaci di autodeterminarsi, schiavi di tutto.

Quegli Italiani che per vent’anni si affidarono al “pagliaccio che stava lassù e che ha fatto fare le guerre coloniali e costruire falangi,che guida-va lui ,decideva lui,ed eravamo tutti contenti”,che adesso si sono affidati “all’imprenditore che si è fatto da solo,che è diventato miliardario e che avrebbe fatto diventare tutti milionari”.E il riscatto è lento e doloroso.Monicelli esortava gli studenti dell’Istituto di Stato per la cinematogra-fia e la televisione a ribellarsi,a protestare a spingere con la forza,a non tacere mentre si tagliava il loro futuro con la manovra finanziaria.“Succederà che questo schermo rimarrà nero, senza immagini, senza pa-role. Succederà che i lavoratori di domani di cinema e televisione non avranno un futuro. Perché - si legge sulle immagini che scorrono - si sta tagliando il loro presente, si stanno negando i loro diritti di studenti. Succederà che l’unica scuola di cinema e televisione pubblica in Italia perderà materie fondamentali. E succederà anche che non sarà l’unica. Ragionieri, geometri, agrari,educatori, ricercatori tutti nella stessa barca, anzi, tutti parte di una nuova armata Brancaleone”.Armata Brancaleone siamo un po’ tutti. La subalternità del popolo che si è adeguato ad un modello cuturale degradante che poteva essere previsto ed evitato,che non ha mai ricercato la sua indipendenza. In fondo,l’Italia non aveva mai conosciuto grandi condottieri o generali coraggiosi,aveva sostanziato la sua natura più vera nell’essere una culla ampia e acco-gliente della cultura.Ma si è smarrita. La solidarietà potrebbe essere un’ancora di salvezza.L’egoismo è il male che va estirpato. Quell’egoismo che trova radici nelle menti dei deboli.Produrre ricchezza a danno degli altri esattamente come contravvenire alle leggi dello Stato per i propri interessi fa scatenare il senso della ribelllione,l’intolleranza a iniziative dannose per la società intera.La rivoluzione,secondo Monicelli sarebbe un passaggio obbligatorio,più che necessario,giusto.La disobbedienza e la felicità andrebbero di pari passo,a quel punto.Grazie, Maestro.

Federica Assanti

Ci vorrebbe una bella bottaOmaggio al Maestro

La mafia, e in particolar modo la ‘ndrangheta, non è un problema unicamente meridionale, non è affare che riguarda solo “i terun”. Quan-te volte lo abbiamo sentito dire nei nostri unici seminari di “Storia della criminalità organiz-zata” da Enzo Ciconte? Questo libro analizza e racconta scrupolosamente le ragioni di una verità poche volte emersa nei media naziona-li, o peggio, emersa solo in caso di operazioni ed eventi eclatanti. La ‘ndragheta al nord è forte, interagisce a tutti i livelli con la classe dirigente ed ha addirittura una sede centrale e numerosi “locali”. Gli ‘ndranghetisti hanno il controllo di una parte ampia del territorio, hanno molti soldi e li prestano a usura, si sono impossessati di case, alberghi, bar, ristoranti, pizzerie, supermercati, imprese, sono presenti nei grandi appalti dell’Alta velocità e hanno aggredito quelli dell’Expo 2015. È la mafia dei colletti bianchi, degli uomini cerniera,

degli insospettabili, degli uomini invisibili. L’autore getta finalmente luce su questa re-altà finora sommersa, fa nomi e cognomi di politici, imprenditori, professionisti legati a doppio filo alla ‘ndrangheta e che pure conti-nuano a occupare posti di prestigio e di potere in Lombardia e in tutto il Nord. Ciconte, dopo aver passato in rassegna le piaghe tradizionali (la mancanza di lavoro che condanna i gio-vani all’emigrazione e la presenza pervasiva della mafia nei gangli decisivi della società) aggiunge questa considerazione che anche se dedicata alla Calabria assume carattere nazio-nale e deve far riflettere, soprattutto noi gio-vani: “C’è l’altro macigno rappresentato da classi dirigenti impresentabili e sconfitte per-ché hanno fallito il loro compito storico di far rinascere la Calabria su basi del tutto diverse rispetto al passato recente e lontano. Anche se è doveroso – ma tanto difficile – fare i dovuti

distinguo, c’è una grossa parte di politica‘m-biscata,impastata con la ‘ndrangheta e a lei legata da vincoli che sembrano inestricabili…”.

Pierdanilo Melandro

Direttore:Alessia RagusaRedazione:

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