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CAPITOLO 8 I LONGOBARDI E L’ASCESA DEL PAPATO (VI-VIII secolo) 1. L’ITALIA LONGOBARDA (VI-VII secolo) 1.1 La penisola in rovina Ancora migrazioni in Europa Nel VI secolo l’Europa non aveva ancora trovato la sua stabilità. Spostamenti di àvari, una popolazione nomade originaria della Mongolia, spinsero verso i Balcani gli slavi, che erano appena arrivati dalle steppe asiatiche e ora minacciavano l’impero bizantino di Giustiniano, e verso ovest i longobardi che, originari probabilmente della Scandinavia, si erano stanziati nel I secolo d.C. in Germania, sul fiume Elba. Nel IV secolo erano calati lungo il Danubio fino in Pannonia, dove si erano stabiliti dopo aver annientato le popolazioni germaniche locali. Non erano entrati però in contatto con i romani né erano federati dell’impero, ma vennero usati da Giustiniano come mercenari contro gli ostrogoti nella guerra che devastò l’Italia tra il 535 e il 553, quando per la loro ferocia i longobardi si fecero conoscere come “i più barbari tra i barbari”. L’arrivo dei longobardi in Italia L’esperienza della guerra gotica servì ai longobardi per conoscere la penisola e constatare che, malgrado le devastazioni, l’Italia offriva ancora la possibilità di un ricco bottino, ma anche, per le sue risorse ancora notevoli, di un proficuo stanziamento. Spinto dagli avari, quindi, e guidato dal re Alboino, nel 568 l’intero popolo dei longobardi, tra 100.000 e 150.000 individui o forse più, si spostò in massa verso i confini orientali della penisola, che offrivano un facile accesso. Passati attraverso le Alpi Giulie, gruppi di longobardi si stabilirono dapprima nel Friuli, dove crearono il primo ducato a Cividale; altri gruppi occuparono Aquileia, i cui abitanti superstiti si rifugiarono sulle isole della laguna della futura Venezia; il grosso del popolo longobardo dilagò invece nella pianura padana, occupando in rapida successione Treviso, Vicenza, Verona, Brescia e Milano. Per conquistare Pavia furono però costretti a un assedio di tre anni, che si concluse nel 572 con la presa della città. Nel loro percorso essi non incontrarono quasi resistenza, perché i bizantini che occupavano la penisola, in gravi difficoltà dopo la

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CAPITOLO 8

I LONGOBARDI E L’ASCESA DEL PAPATO(VI-VIII secolo)

1. L’ITALIA LONGOBARDA (VI-VII secolo)1.1 La penisola in rovina

Ancora migrazioni in EuropaNel VI secolo l’Europa non aveva ancora trovato la sua stabilità. Spostamenti di àvari, una popolazione nomade originaria della Mongolia, spinsero verso i Balcani gli slavi, che erano appena arrivati dalle steppe asiatiche e ora minacciavano l’impero bizantino di Giustiniano, e verso ovest i longobardi che, originari probabilmente della Scandinavia, si erano stanziati nel I secolo d.C. in Germania, sul fiume Elba. Nel IV secolo erano calati lungo il Danubio fino in Pannonia, dove si erano stabiliti dopo aver annientato le popolazioni germaniche locali. Non erano entrati però in contatto con i romani né erano federati dell’impero, ma vennero usati da Giustiniano come mercenari contro gli ostrogoti nella guerra che devastò l’Italia tra il 535 e il 553, quando per la loro ferocia i longobardi si fecero conoscere come “i più barbari tra i barbari”.

L’arrivo dei longobardi in Italia L’esperienza della guerra gotica servì ai longobardi per conoscere la penisola e constatare che, malgrado le devastazioni, l’Italia offriva ancora la possibilità di un ricco bottino, ma anche, per le sue risorse ancora notevoli, di un proficuo stanziamento. Spinto dagli avari, quindi, e guidato dal re Alboino, nel 568 l’intero popolo dei longobardi, tra 100.000 e 150.000 individui o forse più, si spostò in massa verso i confini orientali della penisola, che offrivano un facile accesso. Passati attraverso le Alpi Giulie, gruppi di longobardi si stabilirono dapprima nel Friuli, dove crearono il primo ducato a Cividale; altri gruppi occuparono Aquileia, i cui abitanti superstiti si rifugiarono sulle isole della laguna della futura Venezia; il grosso del popolo longobardo dilagò invece nella pianura padana, occupando in rapida successione Treviso, Vicenza, Verona, Brescia e Milano. Per conquistare Pavia furono però costretti a un assedio di tre anni, che si concluse nel 572 con la presa della città. Nel loro percorso essi non incontrarono quasi resistenza, perché i bizantini che occupavano la penisola, in gravi difficoltà dopo la vittoria sugli ostrogoti, non ebbero l’appoggio della popolazione italica stremata dalla guerra gotica.

Storia di parole Dalla bara alla stambergaL’avvicendarsi di tanti popoli nella nostra penisola ha arricchito la lingua italiana di termini di varia origine. Anche i longobardi hanno dato un loro cospicuo contributo, a partire ovviamente dal nome della Lombardia, del lago di Garda (da ward, la “guardia”, parola che deriva ovviamente dallo stesso termine), di nomi propri come Aldo (l’uomo libero di classe inferiore), Corrado e Federico, ma anche di moltissimi nomi comuni: da bara, il longobardo bāra, dal germanico beran, “portare”, quindi la “lettiga”; a stamberga, da stain, “pietra” e berga, “casa”, fino allo zaino, da zaina, “cesta”.

La provincia bizantina d’ItaliaL’Italia, diventata nel 554, con la Prammatica Sanzione di Giustiniano, provincia dell’impero romano d’Oriente, sottoposta al governo di un esarca, aveva ancora la sua unità, ma non la stabilità necessaria a conservarla: l’aristocrazia italica aveva perso il suo potere e la popolazione era stata falcidiata dalla guerra, dalle razzie e dalla peste bubbonica che nel 565 si era diffusa anche nella penisola. L’impero, d’altro canto, aveva sostenuto spese eccessive e ora si trovava a fronteggiare la minaccia dei persiani: quindi, di fronte all’invasione longobarda, non riuscì a conservare il controllo sull’Italia intera e preferì limitarsi a presidiare le zone di interesse strategico,

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prevalentemente le città e le regioni costiere più facilmente difendibili con la potente flotta imperiale, che i longobardi, privi di navi, non potevano contrastare.

I barbari tra i barbariL’ingresso dei longobardi in Italia segnò una svolta epocale. Mentre altri barbari avevano avuto per lungo tempo contatti con l’impero ed erano affascinati dalla più evoluta cultura romana, i longobardi conservavano intatte le proprie tradizioni e non avevano nessun desiderio di integrarsi. Alboino non aspirava a ottenere da Costantinopoli il titolo di patrizio, cioè di governatore dei territori che aveva conquistato in Italia, né intendeva lasciare nelle mani dell’aristocrazia italica una parte delle terre di loro proprietà e neppure l’amministrazione dello stato, come facevano gli altri barbari nei loro regni. I longobardi si impossessarono al contrario di tutte le terre dell’aristocrazia italica, massacrarono la popolazione, spopolarono le città, distrussero chiese e uccisero religiosi. La loro religione manteneva ancora gli antichi culti pagani o era rigidamente ariana, perché i longobardi intendevano salvaguardare la propria identità rispetto ai romani cattolici e vietavano perciò la conversione al cattolicesimo.

Dida Lunghe barbe e lunghe lanceLa parola “longobardi” è la versione latina del termine germanico Langbart, composto da lang, “lungo”, e Bart, barba. I longobardi portavano infatti lunghe barbe che li differenziano, per esempio, dai franchi accuratamente rasati. Secondo un’altra ipotesi, però, il termine potrebbe derivare da Barte, “lancia”, e significare quindi “dalla lunga lancia”, ma oggi si tende a scartare questa etimologia.

Spostamenti di popoloAnche dopo essere venuti a contatto con la civiltà romana, i longobardi conservarono a lungo la propria struttura sociale, tipica di molti popoli germanici. La popolazione restava divisa in sippe o fare (da fahren, “viaggiare”), gruppi di più famiglie imparentate tra loro, molto coese al loro interno, che si spostavano guidate da un capo clan, definito, con termine derivato dal latino dux, duca. All’interno della famiglia vigeva una struttura rigidamente patriarcale, in cui ogni capofamiglia esercitava il mundio, il potere, sugli altri membri, a partire dalla moglie. La conquista longobarda della penisola non fu organizzata dall’alto, ma condotta autonomamente da singoli duchi. Anzi, inizialmente, i longobardi non miravano neppure a conquistare i territori, ma a saccheggiarli, a sfruttarne i pascoli e il lavoro delle popolazioni, spostandosi sempre più avanti, verso sud e verso ovest, tanto che arrivarono oltralpe, dove però furono respinti dai franchi. Cominciarono a stanziarsi solo col tempo. Ogni fara allora si impossessò di una zona strategica, un luogo fortificato o una chiesa, che dominava sulla campagna circostante e permetteva di controllare un ampio territorio. I longobardi, pochi di numero (si calcola che costituivano forse solo il 5% della popolazione della penisola) e circondati da nemici, si imposero dovunque con la forza, assoggettando come dominatori le popolazioni locali.

Una società arcaicaLa suddivisione in fare, che si spostavano in modo autonomo l’una dall’altra e una volta stanziate costituivano ognuna un ducato a sé stante, presentava vantaggi e svantaggi. Un vantaggio era il fatto che l’esercito non fosse unico e guidato dallo stesso re, perché l’eventuale sconfitta di una fara non comportava la sconfitta dell’intero regno longobardo; era uno svantaggio il frazionamento, che indeboliva il potere centrale e addirittura, in alcuni periodi, rendeva superflua la figura del re.I duchi infatti erano autonomi e avevano potere militare – sia nel corso delle conquiste sia, una volta costituito il ducato, nella difesa dei confini – e potere civile nell’amministrazione del ducato.

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Solo in casi di emergenza essi preferivano eleggere un re, come quando, in occasione della migrazione in Italia, avevano scelto Alboino; ma una volta compiuta la conquista il re diventava superfluo e veniva eliminato (e infatti Alboino fu poi ucciso). A prendere le decisioni era l’assemblea degli arimanni (da heer, esercito e mann uomo), il gruppo dei guerrieri liberi, gli unici ad avere i pieni diritti civili: il popolo longobardo coincideva quindi con il suo esercito (un po’ come accadeva a Sparta). Le altre categorie sociali non godevano dei pieni diritti:

gli aldi, semiliberi, non longobardi, sottoposti a un padrone che su di essi esercitava il mundio e poteva esigere prestazioni in natura e in manodopera, potevano tuttavia possedere terre e in rari casi ottenere la libertà;

i servi, italici o barbari, privi di diritti, servivano nelle proprietà del padrone o coltivavano un terreno ceduto loro in affitto;

gli italici, che in un primo tempo furono mantenuti in uno stato di totale soggezione, nell’VIII secolo furono ammessi come ausiliari nell’esercito longobardo e furono definiti esercitali.

Una volta stanziati in Italia, i longobardi si mantennero nettamente separati dalle popolazioni italiche, continuarono a usare leggi proprie, a risolvere le vertenze con i duelli e ad affidare la giustizia alla faida, la vendetta privata che coinvolgeva l’intero gruppo familiare. Si ritenevano gli unici individui liberi, perché erano i soli a poter usare le armi, mentre consideravano tutti gli altri non liberi e perciò inferiori.

Il secolo buio della storia d’ItaliaIl primo secolo dell’età longobarda è il periodo più buio della storia d’Italia, non solo perché la penisola subì un grave regresso sociale, economico e culturale, ma buio anche nel senso che mancano notizie documentate da fonti del tempo: i longobardi infatti non avevano una scrittura propria né usavano quella latina. Al loro arrivo in Italia non avevano mai neppure coltivato la terra, né allevato animali né tanto meno erano abituati alla vita cittadina. Guerrieri nomadi dediti alle razzie, non mostrarono quindi alcun interesse per le attività produttive della penisola e diedero il colpo di grazia a un’economia già da decenni in sofferenza.L’insicurezza delle strade e di tutte le vie di comunicazione via terra, a volte intransitabili perché prive di manutenzione, rendeva pericolosi i commerci, con conseguente diminuzione anche delle attività artigianali. Così l’economia delle popolazioni italiche regredì allo stadio dell’allevamento e dell’agricoltura; ma anche le zone coltivabili si erano ridotte drasticamente, sia per le razzie delle orde barbariche, sia per il disinteresse dei nuovi padroni, sia per la diminuzione della manodopera disponibile: il decremento demografico conseguente a guerre, carestie, epidemie e alla diffusa povertà aveva infatti ridotto il numero dei lavoratori. La fame arrivò in alcuni periodi a livelli tali che pare si siano verificati nella penisola episodi di cannibalismo. Città in abbandonoLe città, il centro propulsore dell’impero, durante le invasioni avevano visto fuggire, in cerca di luoghi più sicuri, gli abitanti, persino vescovi e preti, aggrediti spietatamente dai nuovi barbari, ed erano, soprattutto quelle dell’interno, in piena decadenza, alcune ridotte a villaggi, quando non del tutto deserte; poche migliaia di abitanti contavano città come Padova o Pavia. Nella stessa Roma, dove nel II secolo viveva un milione di persone, dopo la guerra gotica la popolazione si era ridotta a sole 20.000 unità; il senato non esisteva più, le sfarzose dimore aristocratiche e gli edifici pubblici erano cadenti; i grandi acquedotti imperiali distrutti o inutilizzati, tranne uno (l’acquedotto Vergine, realizzato al tempo di Augusto da Agrippa, che ancora oggi alimenta le grandi fontane al centro di Roma). La città era sotto il controllo dell’impero bizantino, che però preferiva occuparsi della nuova capitale dei suoi domini in Italia, Ravenna, e affidava Roma a una piccola guarnigione di soldati comandata da un duca.

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Soltanto le città sulle coste, ancora sotto il controllo dei bizantini, mantenevano una certa vitalità economica, in particolare nelle regioni meridionali, favorite dalla loro posizione geografica al centro del Mediterraneo e delle rotte commerciali. Tuttavia l’eccessivo fiscalismo dei bizantini pesava anche sull’economia delle città costiere.In questa situazione di regresso generalizzato, ovviamente la cultura ristagnava in tutte le zone d’Italia.

Il regresso economico della curtis Tra i longobardi solo i duchi si stanziarono nelle città, ma in quartieri separati dai cittadini locali: persino le sepolture erano collocate in luoghi diversi. I longobardi non amavano comunque vivere in città, preferivano le campagne. Così, una volta impossessatisi delle terre migliori, organizzarono l’economia intorno alla curtis, una struttura di campagna isolata che ospitava il proprietario con tutti i suoi beni, la famiglia, i servi, gli animali, gli attrezzi. Il senso della proprietà era presso i longobardi tanto forte che li spingeva a uccidere chiunque violasse lo spazio della curtis. Qui si svolgeva un’economia autosufficiente, un’economia detta curtense o “chiusa”, basata sulla produzione di tutto il necessario all’interno della struttura e sullo scambio in natura delle poche merci non prodotte in loco: tornò quindi in uso il baratto e pochissime erano ormai le monete in circolazione. Anche i re erano proprietari di curtes, che amministravano tramite i gastaldi, cui affidavano anche l’amministrazione della giustizia: le curtes regie si definivano perciò iudiciariae.Dalle curtes e dalla loro economia autosufficiente nasceranno i castelli medievali, strutture chiuse e separate, che frammenteranno la società medievale in tanti centri di potere locale.

1.2 Tra longobardi e bizantini: la fine dell’unità d’Italia

La costruzione del regno longobardoUcciso da una congiura di palazzo il re Alboino nel 572 (guidata, secondo la leggenda, dalla moglie) e poi anche il suo successore Clefi, ex duca di Bergamo, nel 574, per un decennio i duchi longobardi si comportarono da re indipendenti, svolsero ognuno una propria politica e condussero una propria espansione nella penisola a scapito dei bizantini: alcuni si diressero verso la Toscana, dove conquistarono Lucca e Chiusi, alcuni verso l’Appennino centrale, dove alcune fare si stabilirono a Spoleto, altri si spinsero fino a Benevento, in Campania. Dell’anarchia che si generò tra i longobardi approfittarono i bizantini per cercare di riprendersi i territori perduti, sovvenzionando una spedizione di franchi in Italia. La minaccia esterna allora indusse i duchi a trovare un accordo per eleggere nel 584 il re Autari (584-590), che riorganizzò il suo popolo, costituì un vero e proprio regno e rafforzò il suo potere con una serie di iniziative:

innanzitutto sposò Teodolinda, una principessa dei bavari, popolo germanico stanziato in Austria, con cui i longobardi avevano rapporti di amicizia e di parentela: l’alleanza rafforzata dal matrimonio era in funzione antifranca;

impresse una svolta al suo potere assumendo il prenome latino di Flavius, che lo avvicinava alla tradizione romana;

costituì un patrimonio della corona, il “demanio reale”, costringendo i duchi a cedere al re metà delle terre ducali e a versare al demanio i tributi che se ne ricavavano. Il re ebbe così a disposizione un patrimonio fondiario superiore a quello dei duchi, che gli assicurò una supremazia politica ed economica, risorse sufficienti ai bisogni dello stato e un esercito numeroso, perché i duchi dovevano fornire alla corona anche soldati;

creò una prima forma di burocrazia con l’istituzione dei gastaldi, funzionari con poteri giudiziari, amministrativi e militari sulle terre del demanio reale, che nel contempo permettevano al re di vigilare sui ducati: Autari poté così arginare le spinte centrifughe dei

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duchi, anche se i ducati di Spoleto e Benevento, lontani dal governo centrale, rimasero sempre piuttosto autonomi;

regolamentò la condizione degli italici, assoggettati fino da allora a ogni arbitrio dei dominatori: li obbligò a pagare un tributo, ma nello stesso tempo in una certa misura li tutelò.

Le violenze e i disordini della fase della conquista diminuirono. I duchi, ormai insediati stabilmente nelle terre sottratte ai nobili romani, si trasformarono in proprietari terrieri e ne assunsero le abitudini: cominciarono a occuparsi di acquisti, vendite, lasciti, eredità e gestione del ducato.

Scheda tra storia e letteratura«Bevi, Rosmunda, nel teschio di tuo padre» Nella sua Historia Langobardorum, “Storia dei longobardi”, lo storico Paolo Diacono racconta la leggenda della morte di Alboino. Il re aveva preso in moglie Rosmunda, figlia di Cunimondo, il re dei Gepidi, che egli aveva sconfitto e decapitato, facendo poi del suo teschio una coppa. Un giorno, durante un banchetto nel palazzo di Verona, forse ubriaco, ordina a Rosmunda di bere il vino nel teschio di suo padre. La regina beve, ma in cuor suo giura vendetta. Ne parla con lo scudiero del re, Elmichi, suo amante, ed egli le suggerisce di coinvolgere il fortissimo Peredeo nel complotto. Quando Peredeo si rifiuta di tradire il re, ella si corica nel letto dell’amante di Peredeo e giace con lui che ignora di avere accanto la regina. Poi, quando le si rivolge chiamandola col nome dell’amante, lei gli si rivela: «Non è come credi, io sono Rosmunda, e certo tu hai fatto ora una cosa tale che o ucciderai Alboino o sarà lui a finirti con la sua spada». Peredeo allora acconsente a uccidere il re. Prima che Alboino vada a riposare nel pomeriggio, Rosmunda elimina tutte le altre armi dalla camera e lega la spada del re al letto, in modo che non possa sguainarla. Mentre Alboino riposa, arriva Peredeo. Il re si sveglia di soprassalto, comprende il pericolo e cerca di estrarre la spada, ma invano. Afferra allora uno sgabello, si difende, ma il fortissimo Peredeo ha la meglio e così «fu ucciso, per decisione di una donna, colui che fu famosissimo per tante stragi di nemici» (Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, II, 28).Fine scheda

Dida Autari sogna un’Italia longobardaAutari divenne ben presto il protagonista di cronache e saghe popolari, come lo era stato Alboino. Una leggenda raccontava che il re era giunto fino all’estrema punta della Calabria e «poiché lì si dice che ci sia una colonna posta in mezzo alle onde del mare, egli la raggiunse a cavallo e la toccò con la punta della sua asta, dicendo: “Fino a qui saranno i confini dei Longobardi”» (Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, III, 32), dimostrando in questo modo di avere ben chiara l’idea che la penisola fosse un’unità geopolitica.

Sul modello di RomaLa vera svolta si ebbe agli inizi del VII secolo. Morto Autari nel 590, la sua vedova Teodolinda sposò Agilulfo (591-616), duca di Torino. Fu lui ad arginare le pretese autonomistiche dei duchi e a costituire un regno unitario, le cui istituzioni si ispirarono al modello romano. Il re e la sua corte si stabilirono in un palazzo, definito “sacro” come quello degli imperatori, che divenne il centro di una prima forma di organizzazione statale. Di essa fecero parte, oltre ai gastaldi, anche i duchi cui furono spesso attribuite le stesse funzioni dei gastaldi. Il sovrano assunse i poteri legislativi finora in mano all’assemblea degli arimanni, si circondò di un comitatus (da comes, “compagno”) formato dai gasindi (G), legati al re con un rapporto di fedeltà personale. Tra essi venivano selezionati alcuni funzionari: il conestabile (da comes stabuli, “conte della stalla”), un alto dignitario con funzioni militari che sovrintendeva alle scuderie del re, e il maggiordomo di palazzo (G). Tuttavia una vera unità il regno longobardo non la raggiunse mai, malgrado nel 626 si desse anche una capitale, Pavia. I 36 ducati ereditari mantennero sempre un potere troppo forte.

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Nel 604 comunque il re volle elevare al trono il figlio Adaloaldo, secondo il rituale bizantino, destinandolo a succedergli, per rendere la monarchia ereditaria anziché elettiva.

GlossarioIl gasindo, termine derivato dall’antico germanico gisind, che significa “compagno”, era un uomo libero che si sottometteva al re, gli giurava fedeltà, gli offriva i propri servigi e ne era ricompensato con doni e privilegi. Il maggiordomo, dal latino maior domus, il “maggiore della casa”, era colui che sovrintendeva la servitù e il buon andamento del palazzo.

Scheda generi e generazioniLa bella regina cattolica

L’affascinante sposa di Autari Donna bella, intelligente, di gusti raffinati e pia, secondo il ritratto che Paolo Diacono, lo storico longobardo vissuto nell’VIII secolo, ne fece nella sua Historia Langobardorum, la cattolica Teolinda ebbe un’enorme influenza sulla politica longobarda in Italia. Figlia del duca bavaro Garibaldo e di una donna longobarda, fu scelta come sposa dal re Autari nel 588, ma il matrimonio avvenne a Verona l’anno seguente, quando Teodolinda raggiunse il re fuggendo dai franchi che minacciavano di invadere la Baviera.Già nei primi mesi di matrimonio affascinò i longobardi, che, alla morte prematura del re nel 590 (forse per avvelenamento), le concessero di mantenere il titolo di regina, di scegliere un nuovo sposo e di trasmettergli la dignità regale. Ella scelse il cognato di Autari e duca di Torino Agilulfo.

La sposa cattolica di AgilulfoTeodolinda entrò ben presto in contatto col papa Gregorio Magno che intrattenne con lei una fitta corrispondenza epistolare, le donò copie delle sue opere e altri doni preziosi conservati oggi nel duomo di Monza. La regina ottenne dal marito l’abrogazione della pena di morte per chi si convertiva al cattolicesimo, una politica di conciliazione con la popolazione italica cattolica, la libertà per i missionari cattolici di predicare il proprio credo e l’edificazione di chiese e monasteri. Insieme al marito diede supporto a Colombano, concedendogli, tra l’altro, il terreno su cui costruire il suo monastero a Bobbio. Spinse Agilulfo a battezzare, nel 603, il figlio primogenito Adaloaldo con il rito cattolico, persuase alcuni dignitari di corte a convertirsi al cattolicesimo abbandonando la religione ariana. Non si convertì invece Agilulfo che preferì rimanere ariano per non inimicarsi il popolo longobardo.

La potente reggenteQuando il re morì nel 616, Teodolinda governò per 10 anni come reggente per il figlio minorenne e attuò una politica di conciliazione coi bizantini, appoggiò la chiesa cattolica, favorì la diffusione del cattolicesimo, ma così facendo suscitò l’ostilità dei duchi longobardi, che temevano una sottomissione a Costantinopoli: i vescovi, infatti, dovevano giurare fedeltà all’imperatore, al quale spettava anche confermare l’elezione del papa. Teodolinda riuscì tuttavia a tenere a freno i duchi, che erano arrivati a progettare di spodestare l’esarca di Ravenna e conquistare Roma. Quando Adaloaldo raggiunse la maggiore età e salì al trono, fece accordi con i bizantini, ma i duchi nel 626 lo detronizzarono. Teodolinda allora si ritirò a vita privata e l’anno dopo morì. Fu sepolta a Monza nella basilica di san Giovanni Battista, che aveva fatto costruire lei stessa, secondo la leggenda su indicazione dello Spirito Santo. Sui resti della basilica oggi sorge il duomo di Monza.Appassionata di arte, Teodolinda aveva fatto costruire anche altri splendidi edifici civili e religiosi, soprattutto a Monza, dove i re longobardi avevano le residenza estiva.

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L’Italia tra longobardi…Agilulfo dovette anche arginare l’espansione dei franchi e, del resto, neanche il braccio di ferro con i bizantini era cessato: nel 593 Agilulfo si spinse fino alle porte di Roma, senza incontrare la resistenza dei bizantini. Fu invece affrontato dal papa Gregorio I che gli offrì un ricco tributo in denaro per allontanarlo dalla città. Nel 603 finalmente Agilulfo concluse un trattato di pace con i bizantini, in funzione antifranca. L’imperatore riconosceva il regno longobardo, la Langobardìa, con capitale Pavia, suddiviso in Langobardia maior (“maggiore”) estesa a quasi tutto il settentrione della penisola fino alla Toscana, e la Langobardia minor, costituita dai ducati di Spoleto e Benevento, separata dalla maior dalla via Flaminia in mano ai bizantini.

…e bizantiniI bizantini, che conservavano l’assoluta supremazia sul mare, riuscirono a mantenere il controllo solo su quelle zone, indispensabili a tutelare i traffici commerciali, che potevano essere difese dalla flotta imperiale. I possedimenti bizantini, a volte anche molto distanti tra loro, costituirono la Romània, cioè il territorio dei romani (dato che essi continuavano a ritenersi e a definirsi romani). Erano innanzitutto quelle regioni che potevano mantenere facilmente i contatti con Costantinopoli attraverso l’Adriatico o il Mediterraneo, come le coste del Veneto, dove si andava formando la città di Venezia, protetta dalla laguna, l’Esarcato, il territorio circostante Ravenna, dove risiedeva l’esarca, corrispondente grosso modo all’attuale Romagna (nome derivato da Romània) e la Pentapoli (costituita da cinque città della costa adriatica: Rimini, Pesaro, Fano, Senigallia, Ancona), oltre a Puglia, Calabria e isole. Altre zone sotto controllo bizantino erano quelle a cui non era possibile rinunciare per la loro importanza: il ducato romano (da dux, “comandante”, il titolo del governatore bizantino), perché i bizantini non potevano perdere il controllo dell’antica capitale del mondo e della sede della Chiesa; la via Flaminia che collegava il ducato romano con l’Esarcato e di fatto spaccava in due l’Italia con un lungo corridoio, e infine il ducato di Napoli.

La penisola spaccataNe risultò un vero e proprio spezzettamento dell’Italia, che distruggeva quell’unità che Roma aveva faticosamente costruito nel III secolo a.C., fondendo in un unico stato le diverse popolazioni della penisola. Né gli ostrogoti col loro regno ben organizzato, né Giustiniano con la guerra gotica, né i longobardi con la loro vasta conquista riuscirono a salvare quell’unità: sarebbero occorsi più di mille anni per ricostruirla. Ora, nell’Italia spaccata in culture, lingue e religioni diverse, ogni città e ogni regione assunse caratteristiche proprie, differenziandosi sempre più dalle altre. La cesura con l’antica cultura determinata dall’arrivo dei longobardi fu tale che si può affermare che il Medioevo in Italia iniziò proprio in questa fase storica.

2. LA SVOLTA NELLA CHIESA CATTOLICA2.1 Il papa, i longobardi e l’imperatore

Il ruolo del papa In tutto l’Occidente, per le popolazioni vessate da invasioni, carestie, epidemie, povertà, unico punto di riferimento sicuro restava il papato. L’autorità dei vescovi e del clero crebbe in special modo nelle città d’Italia, dove mancava un potere politico stabile. A Roma, poi, il papa assunse un ruolo sempre più politico, oltre che sociale, perché cominciò a svolgere le funzioni che sarebbero state di pertinenza dell’imperatore bizantino, ancora a capo, formalmente, della penisola, ma assolutamente disinteressato a occuparsene. Fu così che il prosecutore dell’antica autorità imperiale romana divenne di fatto il papa. Come ogni vescovo, egli collaborava al governo della città, che coincideva con il ducato di Roma, amministrava la giustizia e le finanze locali, e, su incarico dell’imperatore, raccoglieva in Sicilia i contributi in natura, specie il grano, di cui tratteneva una parte da distribuire a Roma. Si occupava addirittura di proteggere la popolazione del ducato, sia

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organizzandone la difesa, sia allontanando i barbari con donativi, sia moderando la violenza degli invasori.

In un’altra direzioneNel VI secolo il papa era ancora formalmente subordinato all’imperatore: veniva eletto dal clero, dal popolo e dai soldati bizantini a Roma e doveva ottenere la ratifica della sua nomina dall’esarca di Ravenna. Riconosceva inoltre nell’imperatore bizantino il protettore legittimo della Chiesa cattolica e si ribellava alla sua autorità solo quando il monarca cercava di interferire nelle questioni spirituali. Quando però le interferenze dell’imperatore si fecero più pressanti, la Chiesa cercò anche una propria indipendenza politica. A spingere il papa in questa direzione fu anche la conquista longobarda di gran parte della penisola. Il papato infatti si venne a trovare in una zona di frontiera tra l’Italia bizantina e quella longobarda, col rischio di vedersi inglobare dall’una o dall’altra potenza o di trovarsi al centro del loro scontro. Occorreva trovare uno spazio politico autonomo dalle due forze: fu allora che la Chiesa gettò le basi del suo potere temporale (G). Un ruolo decisivo in questo processo ebbe papa Gregorio I.

GlossarioPotere temporaleÈ il potere politico esercitato sui possedimenti territoriali della Chiesa. L’aggettivo “temporale” deriva da “tempo” e indica una durata limitata nel tempo, non eterna.

Il papa che cambiò la storiaGregorio I, detto Magno, (590-604), nato intorno al 540 da una nobile e antica famiglia romana, aveva una vastissima conoscenza del diritto e percorse una brillante carriera amministrativa fino a raggiungere la carica di prefetto di Roma, ma poi decise improvvisamente di ritirarsi a vita monastica. Nel 579 il papa lo scelse come suo ambasciatore presso la corte di Costantinopoli, dove rimase sette anni, rivelando una grande abilità diplomatica e un rispetto scrupoloso della legge. Ma a Costantinopoli comprese come fosse impossibile affermare il primato del papato nell’ambito dell’impero. Così, quando fu scelto come pontefice nel 590, egli concentrò il suo impegno sulla cristianità occidentale e operò per un progressivo sganciamento del papato dal controllo dell’imperatore bizantino. Fu il primo a considerare la Chiesa un’istituzione anche politica, avviando la costruzione del potere temporale del papa. Fondato sul grande patrimonio ecclesiastico, cioè il cosiddetto Patrimonium Sancti Petri (“Patrimonio di San Pietro”), il potere temporale era destinato a scontrarsi col potere laico di re e imperatori.

Dida Da prefetto a papaDi fronte alla miseria del presente, la riflessione sulla caducità delle fortune terrene indusse il nobile Gregorio ad abbandonare la carica di prefetto, a fondare alcuni monasteri di regola benedettina nelle sue tenute in Sicilia e a trasformare persino il suo sontuoso palazzo di famiglia sul Celio in un monastero. Furono le alte qualità dimostrate a Costantinopoli come ambasciatore e la fama della sua pietà religiosa, a designarlo quale pontefice una volta tornato a Roma, nel 590.

Il Patrimonio di PietroGrazie alle donazioni e ai lasciti dei fedeli, al fatto che molti ricchi latifondisti entravano a far parte delle alte gerarchie ecclesiastiche e lasciavano alla morte i loro patrimoni alla Chiesa, nel VI secolo il papato possedeva ormai un immenso patrimonio, il più grande dell’Europa occidentale, con proprietà sparse in tutta la penisola, ma anche in Dalmazia, Gallia, Corsica, Sardegna, Sicilia, Africa. Nel corso dell’VIII secolo il patrimonio si ampliò ulteriormente fino a diventare il nucleo dello Stato della Chiesa.

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I beni ecclesiastici erano affidati a una fitta rete di amministratori diretti da Roma che destinava i proventi derivanti dalle proprietà ecclesiastiche a finalità sociali.

Le basi del potere temporale della ChiesaPer affrontare i problemi legati all’organizzazione delle diocesi, ai rapporti col potere politico e all’amministrazione del patrimonio ecclesiastico, Gregorio tenne una vasta corrispondenza epistolare coi vescovi e legò al papato molte famiglie nobili, cui affidò l’amministrazione delle proprietà pontificie o concesse terreni in cambio di un affitto in denaro o in natura. Come qualsiasi proprietario terriero, assicurò protezione ai suoi coloni e ai servi; inoltre razionalizzò l’amministrazione delle vaste proprietà della Chiesa in modo da renderle redditizie e utilizzarne il ricavato per:

mantenere la curia papale e il clero, le chiese povere, i monasteri, provvedere all’amministrazione e alla difesa militare della città, alla manutenzione di mura,

acquedotti e cloache, riscattare i prigionieri che altrimenti sarebbero stati venduti come schiavi, dare assistenza ai profughi che giungevano a Roma fuggendo dai territori devastati

dall’espansione dei longobardi, distribuire ai poveri generi di prima necessità, la cosiddetta “scodella”, ogni primo giorno

del mese, e agli ammalati cibi cotti in ogni strada della città, soccorrere le famiglie aristocratiche cadute in disgrazia.

L’apertura verso i barbari Gregorio si rese conto che i longobardi si erano ormai radicati nella penisola e che la Chiesa doveva prenderne atto per alleviare le sofferenze della popolazione. Era necessario intanto avvicinare al cattolicesimo i barbari, entrando in contatto con la corte, dove un ruolo fondamentale svolgeva la regina cattolica Teodolinda. Con lei il papa intrattenne una proficua corrispondenza, spesso su argomenti più politici che religiosi, e col suo appoggio avviò la conversione di alcuni duchi, riuscì ad arrestare le mire espansionistiche dei longobardi nel Lazio, ottenne che alcuni vescovi e abati rientrassero in possesso dei loro beni e riuscì ad attenuare i soprusi dei dominatori sulle popolazioni. Comunque, provvide anche a rafforzare l’alleanza coi franchi in funzione antilongobarda.

I rapporti tesi con l’imperoLe scelte e il potere di Gregorio Magno crearono tensioni con l’imperatore di Costantinopoli, che non condivideva la sua apertura nei confronti dei longobardi e l’indipendenza della sua politica. Quando il patriarca di Costantinopoli, appoggiato dall’imperatore, assunse il titolo di “patriarca ecumenico”, cioè universale, Gregorio affermò l’unità della Chiesa con a capo il papa e, in polemica con la scelta presuntuosa del patriarca, scelse il titolo di servus servorum Dei, “servo dei servi di Dio”, come espressione di umiltà, virtù cristiana per eccellenza.

Un benedettino che diffuse monachesimo e cattolicesimoSi deve a Gregorio, monaco benedettino, la propagazione della Regola di san Benedetto rispetto alle altre forme di monachesimo diffuse nei secoli precedenti. Grazie al suo appoggio due secoli più tardi tutti i monasteri occidentali sarebbero stati benedettini.Consapevole che la condivisione della stessa fede avrebbe dato garanzia di maggiore stabilità in Europa, Gregorio Magno, attraverso l’opera dei vescovi e dei missionari benedettini inviati anche in zone remote, diede impulso alla conversione degli ariani al cattolicesimo e all’evangelizzazione dei pagani che resistevano nelle campagne. Nel 595 inviò il monaco benedettino Agostino, con una quarantina di altri monaci, per una della delle più importanti imprese missionarie medievali: l’evangelizzazione degli anglosassoni. Giunto a Canterbury, la capitale del regno di Kent, uno dei più importanti in Britannia, Agostino vi costituì la prima diocesi di cui divenne arcivescovo e avviò la nascita della chiesa inglese con la

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fondazione di altre dodici diocesi. Ben presto si convertirono i re di altri regni e nel VII secolo tutta la Britannia divenne cattolica. Quella di Canterbury rimane ancora oggi la diocesi principale della Chiesa inglese e il suo vescovo è il primate d’Inghilterra.

Scheda tra storia e letteraturaDal canto alla letteratura, tutti gli interessi del papa Attivo in tutti i campi, Gregorio Magno ebbe grande interesse per la letteratura e la musica. Si adoperò per la riforma della liturgia romana, in cui inserì il canto sacro, che da lui prese il nome di gregoriano: era un canto corale in latino, monodico – il coro cantava come una voce sola – e senza accompagnamento musicale. Fu anche scrittore ammiratissimo: le sue opere sulla dottrina cristiana gli valsero il titolo di dottore della Chiesa. Celebri i suoi Dialoghi, che narrano la vita e i miracoli di numerosi santi, ma danno anche un quadro vivo delle misere condizioni di vita delle classi umili italiane nel VI secolo. Notevole anche l’epistolario che raccoglie in 14 libri 800 lettere del papa e di importanti personaggi, come Teodolinda, fonte di primaria importanza per conoscere l’epoca in cui Gregorio visse.

3. LA SVOLTA DEL REGNO LONGOBARDO TRA VII E VIII SECOLO3.1 Il regno di Rotari (636-652)

L’editto della svolta Se l’inizio dell’età longobarda era stato il periodo più buio della nostra storia, dopo settant’anni di stanziamento nella penisola i longobardi si erano ormai integrati. Già Agilulfo e Teodolinda avevano impresso una svolta decisiva al loro regno, che nel VII secolo venne consolidata da Rotari (636-652). Innanzitutto, il re riprese l’espansione, distruggendo in Veneto Oderzo, l’ultimo caposaldo imperiale nella terraferma veneta, e costringendo gli abitanti a trasferirsi definitivamente nelle isolette della laguna dove nel IX secolo avrebbero dato vita a Venezia; ma non riuscì ad evitare che i ducati di Spoleto e Benevento raggiungessero l’indipendenza.L’opera per cui il re è passato alla storia è, però, il cosiddetto editto di Rotari, approvato nel 643 dall’assemblea degli arimanni riuniti a Pavia su sua iniziativa. Il re longobardo, a differenza degli imperatori romani, infatti, non poteva emanare leggi in assoluta autonomia. L’editto fu quindi il risultato di un compromesso con l’aristocrazia e, ad esempio, dovette mantenere l’uso del duello per risolvere le controversie, una consuetudine radicata tra i guerrieri aristocratici, che credevano fosse Dio a concedere la vittoria all’innocente.L’editto di Rotari raccoglieva norme tramandate fino ad allora oralmente, valide in quanto consuetudini consolidate, che ora acquistavano valore di legge e, per il semplice fatto di essere scritte, avevano maggior peso giuridico. L’editto, inoltre, contribuiva ad accrescere l’autorità del sovrano, perché faceva prevalere la giustizia pubblica su quella privata.

Scheda cultura e identità L’editto di Rotari

Più vicini ai romaniCoi suoi 388 articoli scritti nel latino giuridico delle leggi romane, anche se con la presenza di molti termini germanici, l’editto di Rotari riguardava solo i longobardi, perché i romani continuavano a usare proprie leggi e appositi giudici giudicavano le controversie tra i due popoli. Eppure Rotari vi introdusse il principio della territorialità delle leggi, tipico del diritto romano, dimostrando così quanta influenza avesse esercitato la cultura latina sui longobardi.

Dalla vendetta alla giustiziaLo scopo dell’editto, dichiarato dallo stesso re nell’introduzione, era quello di porre fine alle violenze e all’insicurezza che regnava nella società, come dimostra la presenza di molte norme

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riguardanti il diritto criminale. L’editto sanciva innanzitutto il passaggio dalla faida, la vendetta privata, al guidrigildo, che stabiliva, come risarcimento di un reato, una ricompensa in denaro nella misura fissata per legge.

Un editto per i reProprio il passaggio dalla vendetta privata alla giustizia regolamentata per legge permise ai sovrani di consolidare il proprio potere. L’editto stabiliva, inoltre, l’ereditarietà del trono, aumentava il controllo militare sul regno e incrementava il patrimonio del re, che divenne il più ricco tra i proprietari terrieri e poté così tenere a freno i duchi. L’editto, integrato e ampliato via via da altri re, rimase in vigore anche dopo la fine del regno longobardo, addirittura fino all’età comunale.

La società vista attraverso l’editto L’editto di Rotari costituisce un documento primario anche per la conoscenza della società longobarda, di cui tracciava un quadro preciso, confermando, ad esempio, la divisione sociale in liberi, semiliberi e servi, a cui attribuiva un diverso valore quando dovevano essere risarciti: il guidrigildo, infatti, variava in base alla gravità del reato e allo stato sociale e giuridico, di libero o non libero, della vittima. Inoltre riconosceva all’accusato il diritto di difendersi giurando sul vangelo o sulle armi, considerate sacre; il giuramento aveva un’importanza enorme e la sua violazione comportava discredito sociale e addirittura, nell’opinione dei longobardi, punizioni divine. L’editto rivela un’economia basata sulla proprietà terriera e sui rapporti di produzione di tipo signorile e strettamente dipendente dall’ambiente naturale: accanto all’agricoltura, ancora molto diffuse erano la raccolta dei frutti, del miele, dei prodotti naturali, e la caccia, tipica di una società aristocratica. Scarsissime invece le attività commerciali. L’unica attività non legata alla terra era quella dei maestri comacini (forse provenienti da Como) che si spostavano per costruire o restaurare edifici. Nell’editto non compare la città come luogo di una specificità economica, ma solo come sede del re, oppure è citata per i problemi di ordine pubblico che vi si dovevano risolvere.

DidaDonne sotto il mundio maschile Alcune norme riguardavano anche le donne, che erano sottoposte al mundio (“potere”) maschile e quindi, ad esempio, l’articolo 204 precisava: «A nessuna donna libera che vive secondo la legge longobarda sia consentito di vivere a suo arbitrio, ma deve restare sempre sotto la tutela (o mundio) di uomini o sotto quella del re. Non può avere la facoltà di donare o di vendere alcun bene mobile o immobile senza la rappresentanza della persona sotto la cui tutela si trova».

FINE SCHEDA

I longobardi e il cattolicesimoNel corso del VII secolo i longobardi si convertirono al cattolicesimo e cominciarono anch’essi a costruire chiese e monasteri di cui molto spesso gli aristocratici diventavano abati. Anch’essi avevano evidentemente scoperto un altro modo per dominare il territorio: le abbazie infatti possedevano spesso proprietà agricole molto estese, che ampliavano ulteriormente con opere di disboscamento e messa a coltura di campi sempre più ampi. Per di più i monasteri spesso erano situati in zone strategiche politicamente e militarmente e contribuivano così efficacemente al controllo territoriale.

DidaMangiare pelle animale

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Malgrado la conversione al cattolicesimo, ancora nel 663 a Benevento è attestato un rito pagano: nei giorni solenni i longobardi appendevano a un albero consacrato a Wotan una pelle animale, i guerrieri si allontanavano a gran velocità a cavallo, per poi tornare di corsa all’albero: i più veloci si impadronivano della pelle dell’animale, la facevano a pezzi e la mangiavano per impossessarsi della forza del dio della guerra che li avrebbe resi invincibili.

3.2 L’ultima fase del regno longobardo (VIII secolo)

La definitiva integrazioneCon il re Liutprando (712-744) il regno longobardo portò a termine il processo di integrazione con il mondo romano: ad avvicinare i due popoli fu soprattutto la diffusione dei matrimoni misti, finalmente permessi dalla legge, e l’uso, anche presso i longobardi, del latino volgare, cioè parlato dal popolo. Anche le sepolture furono collocate in luoghi comuni ai due popoli. I rapporti del re con la Chiesa cattolica migliorarono decisamente: il sovrano, che si presentava come “principe cristiano e cattolico”, rispettava l’autonomia del clero, ma nel contempo interveniva ad appianare i contrasti tra i vescovi. Tutelò la Chiesa, nella quale ormai si riconosceva la stragrande maggioranza dei longobardi, concedendo tra l’altro agli edifici ecclesiastici l’inviolabilità, ponendo le monache sotto la sua protezione, vietando alcune pratiche pagane e introducendo nel diritto matrimoniale longobardo le prescrizioni del cattolicesimo.A livello giuridico Liutprando integrò e apportò innovazioni all’editto di Rotari: emanò norme che tutelavano i debitori poveri, per lo più latini, contro le violenze dei creditori, quasi sempre longobardi; introdusse riforme ispirate al diritto romano e riconobbe validità anche alla legge di Roma. Aggiunse anche leggi riguardanti il commercio, assenti nell’editto, perché evidentemente i commerci erano ripresi, come dimostra anche il ritorno all’uso della moneta e del prestito a interesse.

Tra conquiste e alleanze, l’apogeo del regno Nel lungo periodo del suo governo Liutprando intraprese una politica mirata a dare omogeneità e unità al regno: limitò il potere dei duchi e dell’assemblea degli arimanni; creò, sul modello bizantino, un solido sistema burocratico controllato dal palazzo; cercò di riprendere il controllo sui due ducati di Spoleto e Benevento. In un primo momento volle anche garantire la pace con l’impero, obbligando, ad esempio, il duca di Spoleto a restituire a Bisanzio alcuni territori contesi. Nel 726 però l’imperatore appesantì la pressione fiscale anche sui suoi domini in Italia e per reazione nella penisola divamparono rivolte in diverse città. Liutprando, approfittando del clima infuocato, invase l’Esarcato occupando Bologna e tra il 727 e il 728 ottenne la sottomissione anche di diverse località fortificate dell’Emilia e della Pentapoli. Il re approfittò dei contrasti tra Bisanzio e la Chiesa a proposito delle immagini sacre, di cui parleremo, per occupare, con la scusa di riportare la pace, alcuni territori bizantini nel Lazio. Il regno raggiunse la sua massima potenza e sembrava che il sogno dei re longobardi di unire la penisola sotto il proprio potere fosse prossimo a realizzarsi.

La donazione che fondò lo Stato della ChiesaMa dietro le pressanti richieste della Chiesa, Liutprando, forse preso da scrupoli religiosi oppure consapevole della necessità di godere del favore papale, lasciò il Lazio e donò il territorio laziale intorno al castello di Sutri, che faceva parte del ducato di Roma e che apparteneva quindi all’impero, al Patrimonio di san Pietro. La donazione di Sutri (728) riconosceva così la sovranità territoriale della Chiesa su un territorio giuridicamente bizantino. La scelta di Liutprando dimostra che l’autorità papale, nella penisola, aveva ormai soppiantato non solo quella dell’aristocrazia romana, decimata dai longobardi, ma anche quella di Bisanzio. La nascita in Italia di uno Stato della Chiesa, di cui Sutri costituiva il primo nucleo, renderà di fatto

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impossibile per secoli la riunificazione della penisola: pur privo di un esercito, il papa sarà sempre in grado, con la sua autorità, di mobilitare grandi forze in difesa del suo potere e dell’autonomia del suo stato da qualsiasi potenza tenterà di riunire l’Italia in un’unica formazione statale.

Dida sulla basilica di Santa Giulia a Brescia Un monastero per nobili fanciulleL’ultimo re longobardo nell’VIII secolo fece costruire un monastero femminile per le figlie dell’aristocrazia che, come le ragazze che andavano spose, erano tenute a portare una ricca dote al momento delle loro simboliche nozze con Cristo. Era un’altra delle entrate che arricchivano il patrimonio ecclesiastico. Il monastero di Santa Giulia sorgeva su un quartiere di antiche case aristocratiche romane abbandonate nel IV-V secolo dalla nobiltà in decadenza e sepolte dai detriti calati dalle montagne. I resti di una parte di esse, con bei pavimenti a mosaico, giacevano sotto l’orto delle monache e si sono perciò conservati in buono stato, senza essere danneggiati da nuove costruzioni.

I prodromi della fineNel 729 Liutprando cambiò linea politica: si assicurò l’alleanza dell’esarca, organizzò la riappacificazione tra il papa e l’esarca (ancora in conflitto sul problema delle immagini) e sancì così una potenza senza precedenti nella storia del regno longobardo: non soltanto il re esercitava un effettivo potere su tutti i ducati longobardi, ma era anche arbitro delle poche aree bizantine rimaste in Italia e influenzava la politica papale. Il pontefice non si fidava però dei longobardi e preferiva contare sull’appoggio dei franchi. Liutprando allora strinse alleanza anche col potente maggiordomo dei franchi Carlo Martello e riuscì a impedire che venisse in aiuto del papa quando le truppe longobarde devastarono parte del ducato di Roma. Lo scontro tra i due popoli e la fine del regno longobardo erano in realtà solo rimandati, come vedremo dopo aver parlato di un altro popolo che si era intanto affacciato alla storia: gli arabi.

Dida sulla basilica di San Pietro in Ciel d’oro a PaviaLiutprando morì nel gennaio del 744 e fu sepolto nella basilica di San Pietro in Ciel d’oro a Pavia, accanto al monastero che lo stesso re aveva fatto costruire per custodirvi le reliquie di sant’Agostino. Liutprando, infatti, per evitare il pericolo che pirati musulmani li profanassero, nel 732 aveva fatto prelevare i resti del santo morto nel 430 durante l’assedio vandalo di Ippona in Africa, che erano stati successivamente trasferiti in Sardegna.