Lo Storico Definisce La Sua Materia in Periodi

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Architettura gotica e filosofia scolastica Lo storico definisce la sua materia in periodi, definiti come “parti distinguibili di storia”. Alla rinascita carolingia delle arti, corrispondente in filosofia al fenomeno di Giovanni Scoto Eriugena (810-877). I due campi, dell’arte e della filosofia, accolsero il romanico, oscillante dalla semplicità della scuola di Hirsau e il severo strutturalismo della Normandia al ricco protoclassicismo del sud di Italia e Francia; in filosofia anche vi era una ricca varietà di correnti, dal fideismo intransigente (Pier Damiani, S. Bernardo…), al razionalismo assoluto (Berengario di Tours, Roscellino), al protoumanesimo (scuola di Chartres). Lanfranco e Anselmo di Bec (tra X e XI sec) tentarono di risolvere il conflitto tra ragione e fede, primi che questi principi fossero esplorati da Abelardo. La prima scolastica, nasceva nello stesso ambiente e momento dell’architettura gotica si manifestava nella cattedrale Saint- Denis, al tempo dell’abate Suger. Fu un’opera di “molti maestri di differenti nazioni”. Questo nuovo stile intellettuale e architettonico si diffuse nell’area della Francia intorno a Parigi. Agli albori del XII sec si pensa sia nata la scolastica classica, cioè quando il gotico maturo otteneva i suoi trionfi a Chartres; e qui si raggiunse in entrambi i campi una fase classica, durante il regno di S. Luigi (1226-1270). Qui vissero grandi figure del pensiero scolastico (Alberto Magno, S. Bonaventura, Tommaso d’Aquino) e di architetti del gotico maturo (Jean le Loup, Jean d’Orbais) e le caratteristiche che distinguono la scolastica arcaica con la scolastica classica, sono simili a quelle che distinguono il gotico primitivo dal gotico maturo. Sulla facciata occidentale di Chartres, con il gotico maturo, troviamo un nuovo interesse per la psicologia, fondata sempre sulla biblica distinzione tra il soffio della vita e la polvere della terra. Le statue del gotico maturo di Strsburgo, sono infinitamente più realistiche e gli ornamenti di flora e fauna proclamano la vittoria dell’aristotelismo. L’anima umana era u principio organizzatore e unificatore di un corpo, non un’entità da esso staccata. L’esistenza di Dio era dimostrabile attraverso il creato, non “a priori”. I cinquant’anni successivi al 1270, morte di Luigi, segnano la fase finale della scolastica classica e del gotico classico. Si nota una tendenza alla decentralizzazione. Si sente una sfiducia del potere sintetico della ragione che da luogo a correnti

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Architettura gotica e filosofia scolastica

Lo storico definisce la sua materia in periodi, definiti come “parti distinguibili di storia”.Alla rinascita carolingia delle arti, corrispondente in filosofia al fenomeno di Giovanni Scoto Eriugena (810-877). I due campi, dell’arte e della filosofia, accolsero il romanico, oscillante dalla semplicità della scuola di Hirsau e il severo strutturalismo della Normandia al ricco protoclassicismo del sud di Italia e Francia; in filosofia anche vi era una ricca varietà di correnti, dal fideismo intransigente (Pier Damiani, S. Bernardo…), al razionalismo assoluto (Berengario di Tours, Roscellino), al protoumanesimo (scuola di Chartres). Lanfranco e Anselmo di Bec (tra X e XI sec) tentarono di risolvere il conflitto tra ragione e fede, primi che questi principi fossero esplorati da Abelardo. La prima scolastica, nasceva nello stesso ambiente e momento dell’architettura gotica si manifestava nella cattedrale Saint-Denis, al tempo dell’abate Suger. Fu un’opera di “molti maestri di differenti nazioni”. Questo nuovo stile intellettuale e architettonico si diffuse nell’area della Francia intorno a Parigi. Agli albori del XII sec si pensa sia nata la scolastica classica, cioè quando il gotico maturo otteneva i suoi trionfi a Chartres; e qui si raggiunse in entrambi i campi una fase classica, durante il regno di S. Luigi (1226-1270). Qui vissero grandi figure del pensiero scolastico (Alberto Magno, S. Bonaventura, Tommaso d’Aquino) e di architetti del gotico maturo (Jean le Loup, Jean d’Orbais) e le caratteristiche che distinguono la scolastica arcaica con la scolastica classica, sono simili a quelle che distinguono il gotico primitivo dal gotico maturo. Sulla facciata occidentale di Chartres, con il gotico maturo, troviamo un nuovo interesse per la psicologia, fondata sempre sulla biblica distinzione tra il soffio della vita e la polvere della terra. Le statue del gotico maturo di Strsburgo, sono infinitamente più realistiche e gli ornamenti di flora e fauna proclamano la vittoria dell’aristotelismo. L’anima umana era u principio organizzatore e unificatore di un corpo, non un’entità da esso staccata. L’esistenza di Dio era dimostrabile attraverso il creato, non “a priori”.I cinquant’anni successivi al 1270, morte di Luigi, segnano la fase finale della scolastica classica e del gotico classico. Si nota una tendenza alla decentralizzazione. Si sente una sfiducia del potere sintetico della ragione che da luogo a correnti soppresse durante alla fase classica. La “Summa” fu sostituita con libri meno ambiziosi. L’agostinismo pre scolastico rinasce vigorosamente contro Tommaso e, le dottrine di quest’ultimo, vennero abbandonate. Le dottrine della scolastica classica si irrigidirono a tradizioni scolastiche, o comunque persero presa. Così come il gotico classico fu ridotto e semplificato, oppure troppo ricercato e complicato, ma fu solo alla fine di questo periodo che si manifestò un drammatico mutamento; e non prima della metà del XIV sec (1340, fase di passaggio dalla scolastica classica, alla tarda scolastica). In questo periodo molta della scolastica classica, si era incanalata in poesia, come in Guido Cavalcanti, Dante, oppure al misticismo antirazionale di Meister Eckhart. La filosofia tende a diventare agnostica, avvenendo con il movimento che troverà piena maturità di Guglielmo di Ockham: il nominalismo critico (in opposizione al classico di Roscellino). Il nominalista, in opposizione ad Aristotele, nega l’esistenza agli universali, per riconoscerla solo ai particolari, quindi la scolastica classica (con il problema del principium individuationis, secondo il quale il Gatto Universale, si manifesta in un numero infinito di gatti particolari), si dissolveva nel nulla. Nelle parole di Pietro Aureolo “ogni cosa è individuale per se stessa e per null’altro”. Inoltre riappariva l’eterno dilemma dell’empirismo: dal momento che la realtà appartiene solo a ciò che può essere percepito attraverso la percezione dei particolari attraverso i sensi, e ad atti o stati psicologici (gioia, dolore…) conosciuti attraverso l’esperienza interiore, tutto ciò che è reale, il mondo degli oggetti fisici e degli oggetti psicologici, non può essere razionale, poiché è tutta una percezione interiore. Qualsiasi cosa diventa solo “probabile”. Il soggettivismo predomina, estetico (nel caso del poeta e dell’umanista), religioso (nel caso del mistico) ed epistemologico (nel caso del nominalista).

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Probabilmente nominalismo e misticismo sono gli opposti di una stessa corrente che tagliano il nodo che lega ragione e fede. Il mistico (Eckhart) fa questo per preservare l’integrità del sentire religioso, mentre il nominalista cerca l’integrità del pensiero razionale e dell’osservazione empirica. Entrambi rinviano l’individuo alle risorse dell’esperienza privata sia sul piano sensoriale che psicologico. Intuitus è il fulcro della filosofia sia di Eckhart che di Ockham. Il mistico conta sui propri sensi quali mezzi procuranti immagini visive e stimoli emozionali, mentre il nominalista vi si affida come mezzi, vie d’accesso alla relatà. L’intuitus del mistico, tende all’unitè assoluta, quello nominalista è focalizzato sulla molteplicità delle cose particolari e dei processi psicologici. Così è abolito anche il confine tra finito e infinito, nel senso che il mistico crede all’autoestinzione dell’anima in Dio, mentre il nominalista rende infinito il mondo fisico. Anche l’arte tardoantica si disgregò in molti stili con precetti regionali e ideologiche diverse. Anche questa è caratterizzata da un certo soggettivismo e la dimostrazione è il sorgere di una interpretazione prospettica dello spazio che, tra Giotto e Duccio, cominciò ad essere accettata ovunque. La prospettiva presenta non ciò che viene visto, ma anche il mondo. La prospettiva registra il diretto intuitus dal soggetto all’oggetto, spianando la strada al “naturalismo” e conferendo espressione visiva al concetto di infinito. La prospettiva influenzò molto anche le altre arti, scultori ed architetti cominciarono a percepire le costruzioni non in termini isolati, ma inseriti nei terminii di uno spazio “pittorico”. Anche le arti tridimensionali forniscono i termini per un’esperienza pittorica. Questo varrà anche per il ritratto, dove prima era solo un’immagine sovrapposta su uno stile ben preciso. E’ così che misticismo e nominalismo sono riusciti ad entrare in vari modi nel XIV sec e, alla fine, fondersi nella pittura dei grandi fiamminghi.

Durante la fase più concentrata di questo sviluppo (1130-1270), si trova un nesso molto forte tra l’arte gotica e la filosofia scolastica. Vi è un rapporto di causa effetto, nascente dalla diffusione di quello che possiamo chiamare “abito mentale”. E’ molto difficile isolare una forza, tra le molte, creatrice di abitudini, ma l’area intorno Parigi, nel periodo sopra detto, costituisce eccezione. Qui, infatti, la scolastica aveva un totale controllo nel campo dell’educazione. Il movimento scolastico, iniziato da Lanfranco e Anselmo di Bec, fu continuato e diffuso da domenicani e francescani, così come il gotico, preparato dai monaci benedettini e iniziato da Sugar di Saint-Denis, raggiunse il suo culmine nelle grandi chiese urbane. Anche se i costruttori non avevano letto Tommaso d’Aquino, erano esposti alla sua filosofia in molti altri modi; erano andati a scuola, erano in contatto con chi queste filosofie le diffondeva. Aspetto importante, inoltre, è che non era ancora pienamente evoluto un professionismo urbano; non vi erano rigidi settori o logge per i vari ruoli, così professioni completamente diverse entravano in contatto di continuo. Iniziano le figure professionali, vi è il professore dell’università, il pittore (tutti residenti in città), il gioielliere e l’architetto. Quest’ultimo spesso dirigeva personalmente i lavori, così diventava un uomo di mondo, facendo molti viaggi, e controllando molto severamente i lavori. E’ bene concentrarsi ora sul modus operandi. Le mutevoli opinioni sul rapporto anima-corpo, il problema degli universali contrapposti ai particolari, vennero riflesse nelle arti della rappresentazione piuttosto che in architettura (è chiaro che l’architetto era a contatto anche con quel mondo). Ciò che l’architetto poteva mettere in pratica era quel peculiare metodo di procedere che si imprimeva subito nella mente del laico. Questo metodo deriva dalla stessa ragione d’essere della scolastica, che stabiliva l’unità della varietà. In quel periodo si cercava il complicatissimo accordo tra fede e ragione. La ragione non può fornire prove ai dogmi, ma può provare a chiarirli. Innanzitutto può fornire prove su ogni principio diverso dalla rivelazione, cioè tutti i principi etici, fisici e metafisici; come l’esistenza di Dio, che si può dimostrare con metodi che vanno dall’effetto alla causa; inoltre, anche se solo negativamente, può delucidare il contenuto stesso della rivelazione, cioè può confutare razionalmente le

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critiche che la stessa ragione può porre al contenuto di articoli di fede; e, positivamente può indicare similitudines che mostrano quei misteri per mezzo dell’analogia, come le tre persone della Trinità con l’essere, la conoscenza e l’amore, o quando la creazione divina è paragonata alla creazione artistica dell’uomo. Così, la manifestatio, come delucidazione o chiarificazone è ciò che si può chiamare principio primo della scolastica classica. Questo principio andava applicato alla stessa ragione. Si rendeva necessario mostrare l’autosufficienza e la limitatezza dello stesso sistema di pensiero e, questo, si poteva fare solo attraverso uno schema di esposizione letteraria che avrebbe chiarito i procedimenti stessi del ragionamento; proprio come il ragionamento avrebbe chiarito all’intelletto la natura propria della fede. Da qui il tanto deriso schematismo o formalismo degli scritti scolastici, che giunse al suo culmine con la famosa “Summa”, la quale ha tre requisiti: totalità, disposizione sistematica di parti omologhe e di parti di parti; distinzione e cogenza deduttiva; il tutto intensificato dall’equivalente letterario delle similitudines di Tommaso. E’ quindi naturale che grandi opere di erudizione siano organizzate secondo uno schema di divisioni e suddivisioni, riassumibile in tavola delle materie o sommario, in cui tutte le parti sono contrassegnate da lettere e numeri –se della stessa classe sono ad uno stesso livello logico- così si ottiene una relazione di subordinazione tra (es) la sottosezione a, la sezione 1, capitolo I e libro A e tra, supponiamo, la sottosez b, sezione 5, cap IV e libro C. Questa divisione era precedentemente del tutto sconosciuta; gli scritti classici erano solo divisi in libri. Fu solo agli albori del medioevo che i libri vennero divisi in capitoli, numerati, la cui sequenza, però, non aveva una subordinazione logica. L’insieme è diviso in partes che si potevano suddividere in parti minori; le partes in membra, questiones e, queste, in articoli. All’interno di questi la discussione procede secondo uno schema dialettico che implica un’ulteriore suddivisione e, quasi tutti i concetti, sono divisi in due o più significati. Questo non significa che gli scolastici pensassero in maniera più logica di Platone o Aristotele, ma, sicuramente, sentivano il bisogno di rendere questa logica totalmente esplicita, cioè il principio della manifestatio, determinante l’orientamento e lo scopo del loro pensiero, ne controllava anche l’esposizione, e lo avvicinava a ciò che può essere definito: “il Postulato della chiarificazione per il gusto della chiarificazione”.Questo atteggiamento era molto sentito anche all’epoca. Tommaso stesso lamentava l’inutile moltiplicazione di questioni ed articoli e la tendenza a presentare l’argomento non secondo l’ordine della disciplina stessa, ma secondo le esigenze dell’espressione letteraria. Questa sensazione la ritroviamo in tantissimi testi dell’epoca. Anche lo stesso Dante compila un’opera totalmente trinitaria, così come la “vita nova” è divisa in parti e “parti di parti”. Ciò che vale per la prosa, vale anche per le arti. Anche l’immaginazione doveva essere più “chiara”, con appello ai sensi. Questa preoccupazione condizionò anche la letteratura filosofica poiché l’articolazione intellettuale dell’argomento implicava l’articolazione acustica del discorso attraverso frasi ricorrenti, e l’articolazione visiva della pagina scritta attraverso titoli, numeri e paragrafi. Come la musica si articolò per mezzo di una esatta e sistematica divisione del tempo (minime, brevi, semibrevi etc) così le arti visive si articolarono verso una precisa e sistematica divisione dello spazio, dando così luogo alla “chiarificazione per gusto della chiarificazione”. Per questo basti prendere come esempio il portale del giudizio universale di Autun con quelli di Parigi o di Amiens. Il timpano è chiaramente diviso in tre registri, per cui abbiamo: Cristo sul trono, gli eletti, separati dai risorti e i dannati. Gli apostoli sono posti nelle strombature sopra le dodici virtù e dei vizi corrispondenti, così la Fortezza corrisponde a S. Pietro etc. Nella pittura questo procedimento si trova in vitro. In diverse miniature (fig 6 e 7)… abbiamo questa situazione. Le più note raffigurano Filippo I nell’atto di conferire privilegi e donazioni (la chiesa di Saint- Samson al priorato di Saint Martin) e, mentre nel romanico avremmo visto molti elementi sul ripiano, nel gotico escono dei disegni molto organizzati. L’area racchiusa

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nella cornice è stata divisa in quattro campi che corrispondono alle categorie del re, della gerarchia ecclesiastica, dell’episcopato e della nobiltà secolare.Comunque, fu in architettura che questo discorso raggiunse il livello massimo. Come la scolastica fu governata dal principio della manifestatio, così l’architettura del gotico maturo fu dominata da ciò che si può chiamare principio di trasparenza. La prescolastica separava fede e ragione in modo netto, così come una struttura romanica (fig 8) dà l’idea di uno spazio definito e impenetrabile sia all’interno che all’esterno dell’edificio. Il misticismo doveva annientare la ragione nella fede, e il nominalismo separava completamente l’una dall’altra. Questi atteggiamenti trovano espressione nella chiesa a navata unica del tardogotico. Il suo involucro a capanna da un senso sconfinato (fig 9) creando uno spazio definito e impenetrabile dall’esterno, ma indefinito e penetrabile dall’interno. La cattedrale del gotico maturo, come la “summa” della scolastica classica, mirò prima di tutto alla “totalità”. Nel suo linguaggio figurato tentò di incorporare la totalità del sapere cristiano, teologico, etico e morale. Inoltre la faccenda appare nota nella divisione e suddivisione dell’intera struttura, per cui, alla fine, l’insieme risulterà composto di unità minime (quasi articuli) che risultano omologhe in quanto sono tutte triangolari in proiezione orizzontali e , ciascun triangolo, ha lati in comune con le adiacenti. Così si percepisce una corrispondenza con la gerarchia dei “livelli logici” di un ben articolato trattato scolastico. Dividendo l’intera struttura in tre parti principali: navate, il transetto e lo chevet (abside) e, a loro volta, erano divisibili. All’apice del suo sviluppo i supporti verticali venivano divisi in plastri principali, fusti maggiori, minori e ancora minori; gli elementi traforati delle finestre, delle trifore ed arcate cieche erano suddivisi in montanti e contorni primari, secondari e terziari; le nervature e gli archi erano divisi in una serie di mondanature (fig 22). Tutte le parti che si trovano allo stesso livello “logico”, finirono con l’essere concepite come elementi di un’unica classe così, tutti i dettagli (decorazioni delle zoccolature, forma di pilastri e capitelli), tendeva ad essere soppressa a favore di tipi più standardizzati.Il frazionamento, teoricamente illimitato, dell’edificio corrisponde al terzo requisito dello scritto scolastico: “la distinzione e la cogenza deduttiva”. I singoli elementi, pur formando un’unità indivisibile, devono proclamare, al tempo stesso, la propria identità restando, quindi, separati l’uno dall’altro ( i costoloni da quanto li circonda etc). Bisogna saper dire a quale elemento si riferisce ciascun altro elemento. Lo stile gotico esige che si possa divider non solo l’interno dall’esterno, o la forma delle navate laterali dalla anvata centrale, ma anche l’organizzazione dell’intero sistema dalla sezione trasversale di un pilastro.Esempi di razionalità sono i costoloni e gli archi rampanti. Lo scheletro dei costoloni, molto robusti, presentava molti vantaggi tecnici poiché rendeva possibile costruire le vele senza impalcature (con risparmio di legname e lavoro) e di ridurre il loro spessore; secondo calcoli infatti, un arco con uno spessore doppio rispetto all’altro risulta due volte più resistente; questo significa che le nervature rinforzano la volta. I contrafforti e gli archi rampanti contrastano molto bene le azioni che i secoli imprimono alle volte. La fila superiore di archi rampanti, può aver avuto la funzione di combattere il vento. Tutti questi nuovi elementi avevano, oltre al gran valore estetico, anche un valore logico e strutturale. Con il progredire, questi archi rampanti, impararono a proclamare ciò che facevano in un linguaggio più circostanziato, esplicito e ornato di quanto non fosse richiesto alla semplice efficienza. Non è ne un razionalismo inteso in senso puramente funzionalistico, ne un’illusione intesa nel senso dell’estetica moderna dell’”arte per l’arte”. Siamo invece al cospetto di una logica visiva. La forma dell’esposizione architettonica avrebbe corrisposto alla forma dell’esposizione letteraria, ovvero dal punto di vista della “manifestatio”. I tanti elementi avrebbero garantito una stabilità, così come i tanti elementi della “Summa” ne avrebbero garantito la validità. Ma proprio come sarebbe rimasto deluso se gli elementi letterari non avrebbero contribuito alla costruzione logica del discorso, così sarebbe rimasto deluso se la disposizione degli elementi

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dell’edificio non gli avesse consentito la riesperienza visiva dei processi della composizione architettonica. I fusti, i ritti, costoloni, contrafforti etc costituivano l’autoanalisi e l’autoesplicazione della ragione filosofica. Dove la mentalità umanistica esigeva un massimo di armonia, la mentalità scolastica esigeva un massimo di precisione. Si accettava la chiarificazione gratuita attraverso la forma, così come accettava e pretendeva una gratuita chiarificazione del pensiero attraverso il linguaggio. Al gotico furono sufficienti solo un centinaio d’anni per raggiungere la fase classica. Tuttavia lo sviluppo fu coerente, ma non continuo. La sua forma “finale”, fu raggiunto in una basilica con la navata tripartita. A prima vista la soluzione più naturale sarebbe stata quella di uno sviluppo rettilineo, invece vi fu una lotta tra due differenti soluzioni: il Saint Denis di Suger e la cattedrale di Sens (fig 12) presentarono un modello longitudinale con due torri sulla facciata e un transetto ridotto o assente. D’altra parte vi erano i maestri di Laon, con l’idea di un insieme polinomiale, con un transetto tripartito e varie torri. La soluzione finale per la navata (fig19-22) comportò una successione di uniformi volte quadripartite e di pilastri uniformi e articolati. Se non vi fosse stato adottato il gruppo a più torri, non si sarebbe potuto giungere l’equilibrio tra tendenze longitudinali, così come se non vi fosse stata l’adozione delle volte esapartite e dell’alzato a quattro piano non sarebbe stato possibile riconciliare l’ideale di un’uniforme progressione da occidente ad oriente con gli ideali della trasparenza e il verticalismo. Si perviene alle soluzioni finali, quindi, con l’accettazione e la riconciliazione ultima di possibilità contradditorie. Così si giunge al secondo principio regolatore della scolastica. Se la manifestatio ci ha aiutato a capire il gotico classico maturo, il secondo principio (la concordatia) ci aiuta a capire come sorse il gotico classico.Tutto ciò che all’uomo medievale era dato conoscere, era trasmesso dalle autorità. Tuttavia è chiaro che esistevano dei punti in contraddizione tra essa e, ad esempio, la Scrittura. Abelardo, con il suo “sic e non”, mostrò 158 questioni di “disaccordo” (da problemi più politici a passi della scrittura, come il concubinaggio). La legge, comunque, seppur dono di Dio, era fatta dagli uomini. L’opera di Abelardo non propone soluzioni; tuttavia era inevitabile che queste venissero elaborate, divenendo parte fondamentale del metodo scolastico. Bacone ridusse questo metodo a tre componenti: divisione in molte parti, come fanno i dialettici; le conbsonanze ritmiche, come i grammatici; le armonizzazioni forzate, come i giuristi. Ogni argomento doveva essere formulato come una questio, in cui si inizia con l’elenco di una serie di autorità, messe a confronto con un altro gruppo, procede verso la soluzione ed è seguita da una critica degli argomenti respinti. Un atteggiamento simile a quello della scolastica classica deve supporsi nei costruttori delle cattedrali del gotico maturo. Questi architetti ritenevano che le grandi strutture del passato, avevano una auctoritas simile a quella dei padri della Chiesa sugli scolastici. Due motivi apparentemente contradditori non andavano respinti, ma andavano indagati fino al limite per essere poi riconciliati. Questo può spiegare l’evoluzione del gotico maturo: essa procedeva secondo lo schema: videtur quod- sed contra – respondeo dicendum”. Questo si illustra secondo i tre tipici “problemi gotici” (quaestiones): il rosone sulla facciata, la sistemazione del muro sotto il cleristorio e la conformazione dei pilastri della navata. Le facciate occidentali erano forate da normali finestre, non rosoni, fino a quando Suger lo utilizzò per la facciata occidentale di saint-Denis. Il rosone presentava notevoli problemi di dimensioni. Effettivamente presentava caratteri antigotici. In Francia si sentirono obbligati ad accettare un motivo sancito dall’autorità di Saint Denis. L’architetto di Notre Dame fu fortunato perché disponeva di una navata pentapartita. Coraggiosamente, ignorando questo fatto, costruì una facciata tripartita le cui sezioni laterali erano tanto larghe rispetto alla centrale, che tutti i problemi vennero risolti. Il maestro di Laon, che voleva un gran rosone, ricorse ad un trucco…Non fu prima del 1240- 50 che la scuola di Reims scoprì la soluzione finale. Il rosone fu inserito nell’arco ogivale di una enorme finestra, diventando elastico. Poteva essere abbassato

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in modo da non entrare in conflitto con le volte e lo spazio sottostante poteva essere riempito di pilastrini e vetrate.Per quanto riguarda l’organizzazione del muro sotto il cleristorio lo stile romanico aveva proposto due soluzioni opposte: una poneva l’accento sulla superficie bodimensionale e sulla continuità orizzontale, l’altra sulla profondità e articolazione verticale. (pag 53-54)Il Triforium di Pierre de Montereau è il primo ad esserev etrato ed è il primo a conciliare il Sic di Chartres e Soissons, con il Non di Amiens.Ciò che differenzia l’architettura francese da fenomeni analoghi è senz’altro la sua straordinaria coerenza; e, inoltre, il fatto che il principio videtur quod, sed contra, respondeo dicendum è stato applicato con perfetta consapevolezza. Esiste un elemento di prova che mostra come alcuni tra gli architetti francesi pensavano ed agivano in termini scolastici. Nell’”Album” di Villard de Honnecourt si trova il disegno di una pianta di un “ideale” abside che egli ed un altro maestro, Pierre de Montereau, avevano progettato, secondo la didascalia di poco successiva “inter se disputando” (fig 60). Abbiamo due architetti del gotico maturo che discutono una quaestio e un terzo che fa riferimento a questa discussione con lo specifico termine scolastico “disputare”. Quale è il risultato di questa disputatio? Un abside che combina ogni possibile Sic e ogni possibile Non. La dialettica scolastica ha condotto un pensiero architettonico a un limite che lo fa quasi cessare di essere architettonico.

(La nascita dell'indagine per quaestiones Ad Abelardo (1079-1142) si deve anche la prima messa a punto di un metodo di indagine che diventerà caratteristico di tutta la scolastica E' l'inizio dell'indagare per questioni, della ricerca intellettuale che pone questioni e le risolve, che interpella la tradizione anziché meditarla.Il punto di partenza di questa procedura è il Sic et Non (1121 ca), il libro in cui Abelardo mette a confronto, su 158 problemi morali e teologici, le tesi degli auctores, mostrandone le divergenze e le apparenti contraddizioni. "Appare chiaro - egli scrive nel Prologo - che in un materiale così vasto si possano notare alcune affermazioni da parte dei Santi Padri non solo diverse, ma addirittura opposte" (verum etiam adversa). L'intento è dotarsi di un più raffinato sistema di analisi del significato dei termini, di un migliore utilizzo dei concetti, di una più chiara contestualizzazione dei problemi. Ma alle spalle di queste esigenze ermeneutiche, cioè legate all'interpretazione dei testi, vi è un atteggiamento nuovo nella ricerca della verità, un atteggiamento per molti versi rivoluzionario: "Cerchiamo attraverso il dubbio e ricercando giungiamo alla verità" (Dubitando enim ad inquisitione venimus, inquisendo veritatem percipimus) scrive Abelardo nella sua Logica. E in un altro passo egli afferma che "il ragionare, cioè il dissentire o argomentare, non sono fatti che si compiano nell'intimo della conoscenza, ma fatti che si svolgono nella collettività delladisputatio" (Super topica glossae, trad. it. in Scritti di logica, Nuova Italia, Firenze 1969, p. 294)La ragione umana è uno strumento sufficiente per indagare la verità e anche quando sembra contraddittoria, proprio allora si offre lo spazio per un'indagine dialettica, che valuta le tesi a favore e quelle contrarie e, soppesati tutti gli aspetti della questione, sceglie una risposta e la argomenta.La grande filosofia scolastica strutturerà il suo metodo di insegnamento e di ricerca attraverso la quaestio, nella consapevolezza che nel dialogo, in cui anche gli autori antichi trovano spazio, emerga la via razionale alla verità che Dio ci indica attraverso la fede. La dialettica torna ad essere un procedimento di indagine conoscitiva, in un colloquio tra posizioni diverse, testi autorevoli e unitaria concezione della verità. Il metodo della quaestio

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L'elaborazione razionale della conoscenza avviene così sotto forma di domanda. Inizialmente le quaestiones nascono in margine alla lectio, la lezione del maestro, in cui egli leggeva e commentava un testo antico, un'auctoritas. Progressivamente la quaestio viene a costituirsi come una forma autonoma d'indagine.

1. I. Il maestro propone o assume una questione (quaeritur),2. II. elenca alcune obiezioni (videtur quod),3. III. enuncia la soluzione (sed contra),4. IV. ne dà una trattazione (respondeo)5. V. infine risolve ad una ad una le varie obiezioni prima avanzate (ad primum, ad secundum, …)

Con questo vero e proprio metodo della discussione tra testi si affrontano i punti centrali della teologia e della filosofia medievali, in un progetto di ragione in cui il ruolo della riflessione e dell'argomentazione diventano determinanti rispetto alla meditazione e alla contemplazione delle verità tramandateci. Da Abelardo in poi il filosofo userà la sua intelligenza per interpellare la tradizione, in un dialogo fecondo con le soluzioni già date nel passato ai problemi attuali, con una dialettica nel tempo, in cui tutte le fonti autorevoli sono utilizzate come interlocutori per giungere ad un respondeo accettabile. Siamo lontani dallo stereotipo del medioevo come periodo di oscurità della ragione: la conoscenza della verità è un processo razionale, collettivo, dialettico e costantemente ridiscusso, di cui la scolastica fornirà il metodo e l'agenda di problemi.