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23 GIANNI MARONGIU * LO STATUTO DEI DIRITTI DEL CONTRIBUENTE SOMMARIO: 1. Le ragioni dello Statuto: il nuovo ruolo del contribuente, i rilevanti co- sti dell’obbedienza fiscale e la pesante incidenza dell’enorme “pressione legislativa”. 2. Il ragionato rifiuto di uno Statuto approvato con legge costituzionale. 3.La sua incidenza anche sull’attività del legislatore. 4. Le disposizioni dello Statuto quali principi generali dell’ordinamento tributario: la loro valenza nell’attività interpretativa. 5. La tutela dall’abu- so dei decreti legge: i divieti contenuti nell’art. 4 dello Statuto e la loro incidenza sulle scelte del legislatore fiscale. 6. L’irretroattività quale principio generale dell’ordinamento e di quello tributario nella giurisprudenza della Corte costituzionale e nello Statuto: la tutela dell’affidamento. 6.1. L’applicazione del principio anche ai rapporti anteriori allo Statuto, ai tributi non periodici, alle ipotesi di c.d. pseudo retroattività e mai alla re- troattività in bonam partem per il contribuente. 6.2. L’interpretazione autentica. 7. L’art. 10 dello Statuto e i riflessi della tutela dell’affidamento anche sull’azione amministrativa: l’influenza della dottrina pubblicistica e privatistica. 7.1. La tutela dell’affidamento e della buona fede. 7.2. Le applicazioni giurisprudenziali e l’incidenza anche sulla possibile non debenza del tributo. 7.3. L’affidamento e l’emendabilità degli errori. 7.4. Affidamento e processo tributario. 8. Lo Statuto e i principi ispiratori dell’azione amministrativa. 9. La semplificazione amministrativa. 10. L’effettiva conoscenza degli atti. 11. Interpello e inter- pelli. 12. La chiarezza e la motivazione degli atti. 13. La compensazione. 14. I diritti del contribuente nelle verifiche fiscali. 15. Il Garante. 16. Conclusioni. 1. Le ragioni dello Statuto: il nuovo ruolo del contribuente, i rilevanti costi dell’ob- bedienza fiscale e la pesante incidenza dell’enorme “pressione legislativa” Ho ricordato altrove le esigenze [G. MARONGIU (I.1)] dalle quali mossero i pro- getti, prima ufficiosi [G. MARONGIU (I.2)] poi ufficiali (si veda la più risalente pro- posta di legge 20 dicembre 1990 (n. 5079) in Dir.prat.tribut., 1991, I, 198 sg. e poi ancora il disegno di legge ivi, 1993, I, 240-254), di redigere uno Statuto dei diritti del contribuente. E ho narrato anche le difficoltà che dovettero incontrare i secondi specie quando, nel 1996, entrarono in una fase decisiva, per opera dell’allora ministro delle finanze. In questa sede è sufficiente ricordare che, in tutti gli anni “80” e nei primi “90”, si visse in una situazione ben lontana dal modello costituzionale di impo- sizione perché il “potere” tributario era concentrato in uno solo soggetto. Il governo, o meglio la burocrazia, scriveva la legge impositiva, nuotando nell’abuso dei decreti-legge, la interpretava e la imponeva con le proprie circolari, la applicava con i propri atti di accertamento, la modificava continuamente, an- cora per decreto legge, e, se su qualche grossa questione di principio si trovava soccombente, invocava e otteneva una norma “interpretativa”. D’altro canto una normativa casistica, rinnovantesi giorno dopo giorno, ottun- (*) Università degli Studi di Genova. Voce del Dizionario di diritto pubblico – Vol. VI - Giuffrè 2006

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Lo statuto dei diritti deL contribuente

Sommario: 1. Le ragioni dello Statuto: il nuovo ruolo del contribuente, i rilevanti co-sti dell’obbedienza fiscale e la pesante incidenza dell’enorme “pressione legislativa”. 2. il ragionato rifiuto di uno Statuto approvato con legge costituzionale. 3.La sua incidenza anche sull’attività del legislatore. 4. Le disposizioni dello Statuto quali principi generali dell’ordinamento tributario: la loro valenza nell’attività interpretativa. 5. La tutela dall’abu-so dei decreti legge: i divieti contenuti nell’art. 4 dello Statuto e la loro incidenza sulle scelte del legislatore fiscale. 6. L’irretroattività quale principio generale dell’ordinamento e di quello tributario nella giurisprudenza della Corte costituzionale e nello Statuto: la tutela dell’affidamento. 6.1. L’applicazione del principio anche ai rapporti anteriori allo Statuto, ai tributi non periodici, alle ipotesi di c.d. pseudo retroattività e mai alla re-troattività in bonam partem per il contribuente. 6.2. L’interpretazione autentica. 7. L’art. 10 dello Statuto e i riflessi della tutela dell’affidamento anche sull’azione amministrativa: l’influenza della dottrina pubblicistica e privatistica. 7.1. La tutela dell’affidamento e della buona fede. 7.2. Le applicazioni giurisprudenziali e l’incidenza anche sulla possibile non debenza del tributo. 7.3. L’affidamento e l’emendabilità degli errori. 7.4. affidamento e processo tributario. 8. Lo Statuto e i principi ispiratori dell’azione amministrativa. 9. La semplificazione amministrativa. 10. L’effettiva conoscenza degli atti. 11. interpello e inter-pelli. 12. La chiarezza e la motivazione degli atti. 13. La compensazione. 14. i diritti del contribuente nelle verifiche fiscali. 15. il Garante. 16. Conclusioni.

1. Le ragioni dello Statuto: il nuovo ruolo del contribuente, i rilevanti costi dell’ob-bedienza fiscale e la pesante incidenza dell’enorme “pressione legislativa”

Ho ricordato altrove le esigenze [g. marongiu (i.1)] dalle quali mossero i pro-getti, prima ufficiosi [g. marongiu (i.2)] poi ufficiali (si veda la più risalente pro-posta di legge 20 dicembre 1990 (n. 5079) in Dir.prat.tribut., 1991, i, 198 sg. e poi ancora il disegno di legge ivi, 1993, i, 240-254), di redigere uno Statuto dei diritti del contribuente.

E ho narrato anche le difficoltà che dovettero incontrare i secondi specie quando, nel 1996, entrarono in una fase decisiva, per opera dell’allora ministro delle finanze.

in questa sede è sufficiente ricordare che, in tutti gli anni “80” e nei primi “90”, si visse in una situazione ben lontana dal modello costituzionale di impo-sizione perché il “potere” tributario era concentrato in uno solo soggetto.

il governo, o meglio la burocrazia, scriveva la legge impositiva, nuotando nell’abuso dei decreti-legge, la interpretava e la imponeva con le proprie circolari, la applicava con i propri atti di accertamento, la modificava continuamente, an-cora per decreto legge, e, se su qualche grossa questione di principio si trovava soccombente, invocava e otteneva una norma “interpretativa”.

D’altro canto una normativa casistica, rinnovantesi giorno dopo giorno, ottun-

(*) università degli Studi di Genova.Voce del Dizionario di diritto pubblico – Vol. Vi - Giuffrè 2006

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deva il controllo giurisdizionale, il ruolo nomofilattico della Corte di Cassazione – che, per effetto delle consistenze, allora enormi, del contenzioso, interveniva a distanza di anni, e quindi a “cose fatte”, quando la interpretazione più non era diritto vivente – e rendeva sempre più difficile il controllo, ex post, della Corte costituzionale costituendo uno splendido alibi per chi tutto intendeva giustificare invocando una supposta ragione fiscale o la specificità delle leggi tributarie [e. de mita (i.3)].

E ciò accadeva nonostante che il contribuente desse alla realizzazione della pretesa tributaria un contributo decisivo con tutti gli inerenti, rilevanti costi [m. ferrera (i.4)].

Per queste ragioni, seppure da posizioni di minoranza, si insisteva per l’ab-bandono di una legislazione empirica e tecnicamente difettosa, per il ritorno a una disciplina di principi, per il recupero della certezza del diritto “che si per-segue con definizioni semplici e chiare, perché altrimenti il metodo legislativo seguito toglie alla legge ogni funzione di garanzia e le assegna solo il ruolo di consacrazione formale di quelle che saranno le valutazioni della finanza [e. de mita (i.5), p. Xii].

2. Il ragionato rifiuto di uno Statuto approvato con legge costituzionale

Ebbene, quando le prospettive di un sollecito (si veda lo schema di legge ap-provato dal Consiglio dei Ministri l’8 agosto 1996 in Corr.trib., 1996, n. 36, pg. 2805 sg. corredato dalla relazione di accompagnamento) varo dello Statuto si fecero concrete, apparve sull’orizzonte una minaccia ancor più sottile e subdola delle dure resistenze, in specie burocratiche [g. marongiu e f. d’ayala valva (ii.1)], il suggerimento di approvarlo con la veste di una legge costituzionale.

Evidente era la trappola ove si consideri che l’“iter” normale di discussione e approvazione è durato quattro anni, dal 1996 al 2000: i tempi si sarebbero raddoppiati e neppure nella tredicesima legislatura lo Statuto avrebbe visto la luce e, molto probabilmente, in una stagione (quali sono stati gli anni dal 2001 al 2005) connotata dall’uso e dall’abuso dei condoni, l’antitesi dei principi costi-tuzionali, esso non avrebbe visto mai più la luce.

al riguardo è, quindi, opportuno spendere qualche ulteriore parola perché, anche a Statuto emanato, qualcuno ha lamentato la mancata adozione di una legge costituzionale e ha denunciato questa scelta come un limite, foriero del suo immaginabile, e da qualcuno fosse auspicato, fallimento.

un autorevole quotidiano economico scrisse: “Lo Statuto nonostante pretenda di contenere principi generali dell’ordinamento tributario, come pomposamente si legge nel suo art. 1, continua a manifestare i suoi limiti … “Limiti che non si sarebbero manifestati se anziché approvare una legge purchessia, si fosse se-guito il suggerimento di adottare una legge costituzionale”.

una legge purchessia? Era da più di due lustri che si susseguivano i progetti ma nessuno era mai arrivato in porto perché lo Statuto incontrava fortissime, sep-pure sotterranee, resistenze, anche perché esso, in un mondo popolato di frettolosi decreti-legge, era un apprezzabile spezzone di diritto tributario parlamentare.

L’Europa giuridica avrebbe riso e avrebbe tratto amare conclusioni sull’affida-bilità di un paese nel quale per imporre la motivazione degli atti tributari non

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basta(va) la legge del 1990, per imporre il principio di buona fede non basta(va) il codice civile, per introdurre l’interpello non era sufficiente una legge ordinaria: ci voleva la Costituzione!

in realtà, e a ben guardare, non era opportuno costituzionalizzare neppure i precetti contenuti negli articoli 3 e 4 perché il divieto assoluto di retroattività e di spiccare decreti legge in materia tributaria avrebbe costretto il legislatore ordinario in un inaccettabile e inopportuno letto di Procuste, esso sì contrario ai principi costituzionali proprio per l’impossibilità di affrontare anche gli effettivi stati di emergenza o di porre rimedio a errori o ingiustizie.

Ma anche a ritenere di dover riconoscere valenza costituzionale ai precetti contenuti negli artt. 3 e 4 due sarebbero state le alternative certamente rovinose, o rinunciare a tutte le norme successive all’art. 4 o scrivere due Statuti, uno con dignità di legge costituzionale e uno con dignità di legge ordinaria: insomma uno Statuto di serie a e uno di serie B.

È facile immaginare gli ulteriori sorrisi per un vero capolavoro del perpetuo bizantinismo.

3. La sua incidenza anche sull’attività del legislatore

in sintesi, e tornando alla genesi dello Statuto, tutte le esigenze e le istanze sopra ricordate furono rese concrete dalla legge 27 luglio 2000, n. 212 recante lo “Statuto dei diritti del contribuente” che codifica i principi generali dell’ordi-namento tributario mai formulati prima nel nostro Paese. È un provvedimento talmente importante e innovativo che esso è esplicitamente richiamato nella legge delega per la riforma del sistema fiscale statale (legge 7 aprile 2003, n. 80) [g. marongiu (iii.1)]. Certo quest’ultima non è stata attuata ma in essa, per la prima volta, si prevede la codificazione “articolata in una parte generale” e in una par-te speciale e si soggiunge che “la parte generale ordina il sistema fiscale sulla base di più principi e tra questi sancisce che “le norme fiscali, in coerenza con le disposizioni contenute nella legge 27 luglio 2000, n. 212, sono informate ai principi di chiarezza, semplicità, conoscibilità effettiva, irretroattività”.

Per l’appunto la legge del 2000 è innovativa non solo perchè l’italia non ha mai avuto uno “Statuto dei diritti del contribuente” ma perchè esso va ben al di là di ciò che traspare del suo titolo e da ciò che fino ad oggi hanno attuato paesi che lo Statuto hanno da tempo.

non è certamente questa la sede per procedere a una analisi dei differenti “Statuti” nell’ambito oCSE, anche per le difficoltà di una comparazione. Può dir-si, peraltro, senza tema di smentite, che, mentre la più gran parte degli Statuti è volta a informare i contribuenti dei loro diritti nel procedimento amministrativo di imposizione e a garantirli, il nostro va oltre poichè disciplina anche il modo di legiferare in materia tributaria.

4. Le Le disposizioni dello Statuto quali principi generali dell’ordinamento tribu-tario: la loro valenza nell’attività interpretativa

Lo Statuto, nelle sue prime norme, è, quindi, volto a garantire una disciplina

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tributaria scritta per principi, stabile nel tempo, affidabile e trasparente e perciò idonea ad agevolare, nella interpretazione, sia il contribuente che l’amministra-zione finanziaria (anch’essa ha ripetutamente e giustamente documentato diffi-coltà nell’intendere e nel gestire un ordinamento “torrentizio”) e a diminuire gli alibi del primo nel tentare e realizzare comportamenti “evasivi”.

Se ne trova una prima conferma nei precetti contenuti nei quattro commi dell’art. 2 ma, senza nulla togliere ad essi, è di tutta evidenza la diversa valenza di quelli ulteriori contenuti negli artt. 1, 3 e 4 dello Statuto per i quali “le dispo-sizioni tributarie non hanno effetto retroattivo”, “l’adozione di norme interpreta-tive in materia tributaria può essere disposta solo in casi eccezionali e con legge ordinaria, qualificando come tali le disposizioni di interpretazione autentica” e, ancora, “non si può disporre con decreto-legge l’istituzione di nuovi tributi”.

Sembra di leggere in trasparenza la controstoria degli ultimi vent’anni perché ognuno sa bene quanti tributi, anche non occasionali, sono stati istituiti per decreto-legge e quante leggi interpretative sono state emanate per imporre, con efficacia retroattiva, soluzioni favorevoli alla parte pubblica ancorchè rigettate, e anzi proprio perché rigettate, dalla più autorevole giurisprudenza e quindi in assenza di un qualificato contrasto interpretativo.

È, per altro, riduttivo intendere i precetti dello Statuto come una sorta di manifesto di buone intenzioni, come si è opportunatamente precisato [a. uric-chio (iv.1)], volto a condannare in astratto i comportamenti non esemplari del legislatore, ma inidoneo a ostacolarli in concreto. Esso ha dato, invece, impulso al dibattito sul ruolo dei principi generali che non sembrava né vivo né vivace se tutti lamentavano il piegarsi della dottrina sull’esegesi di una raffica di nor-miciole transeunti e caduche.

L’art. 1 dello Statuto dispone, infatti, al suo primo comma che “le disposizioni della presente legge, in attuazione degli artt. 3, 23, 53 e 97 della Costituzione, costituiscono principi generali dell’ordinamento tributario e possono essere de-rogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali” [g. falcone, S. lombardi (iv.2)].

Ebbene la Corte di Cassazione, in apprezzatissime sentenze, smentendo i pa-vidi e i conformisti (per la replica ad alcune prime letture scettiche dello Statuto rinvio alla mia noterella apparsa in Corr. trib., 2001, 2069 sg.) enucleati, dall’art. 1, primo comma, quattro enunciati - a) l’autoqualificazione delle disposizioni dello Statuto come attuative della Costituzione; b) il valore di tali norme, come principi generali dell’ordinamento tributario; c) il divieto di deroga o modifica delle norme, in modo tacito; d) il divieto di deroga o modifica mediante leggi speciali - ha soggiunto: “Quale che possa essere l’incidenza dei quattro enunciati normativi contenuti nel primo comma dell’art. 1 della legge n. 212 del 2000….. è certo, però, che alle specifiche clausole rafforzative di autoqualificazione delle disposizioni stesse come attuative delle norme costituzionali richiamate e come principi generali dell’ordinamento tributario deve essere attribuito un preciso valore normativo”. E poiché “… il tratto comune ai quattro distinti significati della locuzione “principi generali dell’ordinamento tributario” è costituito, quanto meno, dalla superiorità assiologica dei principi espressi o desumibili dalle dispo-sizioni dello Statuto e, quindi, dalla loro funzione di orientamento ermeneutico, vincolante per l’interprete”….. “il dubbio interpretativo o applicativo sul signi-ficato e sulla portata di qualsiasi disposizione tributaria che attenga ad ambiti

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materiali disciplinati dalla legge n. 212/2000 deve essere risolto dall’interprete nel senso più conforme ai principi statutari” (così Cass. sez.trib., 12 febbraio 2003, n. 17576, in Riv.dir.fin., 2003, ii, 37 sg. e anche Cass., sez. trib., 30 marzo 2001, n. 4760; si veda anche, per un identico ordine argomentativo con riguardo ai vincoli posti dalla legge n. 142/1990, Corte cost. 9 aprile 1997, n, 111).

Fondamentale è, quindi, il ruolo dello Statuto nell’interpretazione delle dispo-sizioni tributarie di rango legislativo [l. murciano (iv.3)] così come il Supremo, con la sentenza ora citata (Cass. n. 17576), mostra di condividere l’impostazione secondo la quale “lo Statuto contiene disposizioni volte a orientare in senso ga-rantistico tutta la prospettiva costituzionale del diritto tributario, per cui, dopo questa sentenza, il collegamento tra diritto tributario e diritto costituzionale ap-pare più stretto e la Costituzione appare più vicina” [g. falcone (iv.4)].

Si comprende così perché, in una concreta fattispecie (ed è solo un esempio; si controverteva sulla decorrenza degli interessi liquidabili su crediti di imposta) la Corte di Cassazione abbia statuito che “se si commette l’errore di identificare il legislatore con il Ministero delle finanze, allora la norma in esame può anche essere intesa nel senso che abbia voluto garantire all’Erario il minore esborso possibile. Ma se, invece, la volontà legislativa deve essere ricostruita in ragione dei canoni costituzionali di razionalità, uguaglianza, imparzialità e buon anda-mento della Pubblica amministrazione (ai quali si richiama anche il recente Sta-tuto del contribuente, art. 1, 1° comma, della L. 27 luglio 2000, n. 212), la norma deve essere esaminata non soltanto nell’ottica degli interessi erariali, ma anche in quella degli interessi del contribuente. anche quando, come nella specie, si tratti di leggi in senso sostanziale emanate dal Governo su delega parlamentare. anzi, proprio quando si tratti di “leggi di parte”, la lettura costituzionale deve essere più penetrante” (così Cass., sez. trib., 30 marzo 2001, n. 4760).

5. La tutela dall’abuso dei decreti legge: i divieti contenuti nell’art. 4 dello Statuto e la loro incidenza sulle scelte del legislatore fiscale

alla luce di queste prime osservazioni appare inequivocabile l’intento del le-gislatore dello Statuto di dettare alcune regole che valgano a garantire anche la stabilità e la ponderatezza della legislazione fiscale.

intento encomiabile, ripeto, che ha trovato la sua genesi non solo, e non tan-to, nella frequenza degli interventi legislativi, non solo nella loro sovrapposizione ma anche e soprattutto per l’abuso del decreto-legge.

Ciò spiega il disposto del citato art. 4, che, recuperando la volontà dei “padri costituenti” per anni tradita e mortificata, statuisce che “non si può disporre con decreto legge l’istituzione di nuovi tributi né prevedere l’applicazione di tributi esistenti ad altre categorie di soggetti”.

orbene non intendo ripercorrere tutte le osservazioni che altrove ho svolto sulla fisiologica utilizzazione del decreto-legge, sul controllo della Corte costitu-zionale sull’esistenza dei requisiti previsti dall’art. 77 Costituzione e come, pur nel loro rispetto, non si mortifichino le possibilità di scelta del legislatore che può aumentare o diminuire aliquote di tributi esistenti e quindi operare scelte di politica economica che, però, non incidono sulla struttura dell’ordinamento tributario esistente [g. marongiu (V.1)].

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intendo, però, sottolineare che il precetto contenuto nello Statuto si apprezza proprio alla luce dell’insegnamento della Corte costituzionale per cui “il sindacato sull’esistenza e sull’adeguatezza dei presupposti della necessità e dell’urgenza che le-gittimano il Governo ad emanare decreti-legge, può essere esercitato – a prescinde-re dai problemi relativi all’identificazione dei suoi limiti – solo in caso di “evidente mancanza” dei requisiti stessi” (così, all’interno di una giurisprudenza non sempre univoca, Corte cost. 27 gennaio 1995, n. 29 e id. 6 febbraio 2002, n. 16).

Evidenti sono allora le conseguenze in ordine alla possibile deroga dell’art. 4 dello Statuto.

Se ex art. 77 Cost. particolare deve essere la necessità, se straordinario deve essere il caso, se impellente deve essere l’esigenza, con specifico riguardo alla materia tributaria il decreto legge non potrà mai essere utilizzato, in linea di principio, per istituire un tributo destinato a durare, un tributo che connoti, per usare il linguaggio della tradizione, la fiscalità ordinaria.

Ciò non significa, essendo lo Statuto derogabile, che il legislatore, nello spe-cifico, non possa ricorrere anche al decreto-legge ma a condizione che esso sia reso necessario dalla riscontrata e comprovata ricorrenza di una situazione eccezionale che consenta di derogare al principio generale contenuto nell’art. 4 dello Statuto.

in altre parole un qualsiasi decreto-legge può essere dichiarato incostituzio-nale nel caso di “evidente mancanza” dei requisiti costituzionali che lo legit-timano; un decreto-legge istitutivo di un tributo va dichiarato incostituzionale ove la Corte non accerti l’esistenza di una specifica, eccezionale ragione che, nel concreto, lo giustifichi.

ovviamente nessuno può dubitare della legittimità di un decreto che comporti aumenti di aliquote di tributi esistenti perché impellente può essere la necessità di incrementare il gettito, ma proprio questa pacifica conclusione pone un serio e ul-teriore interrogativo quando lo stesso scopo (l’aumento di gettito) è raggiunto indi-rettamente mutando in peggio la disciplina esistente di un tributo, di un istituto.

il che significa chiedersi se la comprovata necessità di un maggior gettito giustifichi qualsiasi norma contenuta in un decreto-legge o se il nuovo precetto contenuto in ciascuna di esse debba essere giustificato da una particolare ne-cessità e da una specifica esigenza.

È il problema che pose, con l’ordinanza del 30 ottobre 2000, la Commissione tributaria provinciale di Bologna quando sollevò, anche con riferimento all’art. 77 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale della disciplina, nuova, dettata nel 1996 (all’interno di un ponderoso decreto legge) per l’am-mortamento finanziario dei beni gratuitamente devolvibili alle scadenze di una concessione[g. marongiu (V.2)].

Dubbio che la Corte costituzionale ha ritenuto non fondato perché “il caratte-re straordinario della situazione cui si è riferita la manovra finanziaria disposta alla fine del 1996, per adeguare i conti pubblici ai parametri previsti dal Trattato di Maastricht, è già stato posto in rilievo da questa Corte”, onde, sono ancora parole della Corte, “considerata l’importanza di tale adeguamento, non può dir-si che la straordinaria necessità e urgenza richiesta dall’art. 77 Cost. manchi in modo evidente”(così Corte Cost, 6 febbraio 2002, n. 16).

Ma la risposta della Corte non mi sembra risolvere appieno il dubbio pro-posto dal giudice remittente.

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anche la Commissione bolognese ben sapeva che il decreto di fine anno nel suo complesso era volto a realizzare i mezzi necessari all’ingresso dell’italia nell’unione Europea, ma essa chiedeva che il dubbio fosse risolto anche su un altro versante, quello attinente l’esistenza dei requisiti costituzionali con riguardo alla specifica normativa dettata per gli ammortamenti finanziari.

inequivocabile, nell’ordinanza di rinvio, era infatti, il riferimento “a una nor-mativa esistente da tempo nell’ordinamento” e implicito il quesito e cioè quale fosse la situazione straordinaria e urgente che ne giustificasse la modificazione.

Se questo era il ragionevole dubbio dei giudici bolognesi esso mi sembra rimasto tale perché se fosse sufficiente la necessità di maggiori risorse per giu-stificare (non solo un esplicito aumento delle aliquote ma) anche il mutamento specifico di uno o di più tessuti normativi volto ad ottenere surrettiziamente solo ed esclusivamente lo stesso scopo, ebbene le “necessità” di gettito tutto giustificherebbero e tutto potrebbe essere innovato, nell’ordinamento fiscale, per decreto-legge onde esso, nei fatti più non sarebbe eccezionale, come volevano i padri costituenti, come sancisce la Costituzione e come prevede lo Statuto del contribuente.

6. L’irretroattività quale principio generale dell’ordinamento e di quello tributario nella giurisprudenza della Corte costituzionale e nello Statuto: la tutela dell’af-fidamento

Di questo programma, e cioè della manifestata volontà di procedere per prin-cipi, si trova una importante applicazione nella norma per la quale “le disposi-zioni tributarie non hanno effetto retroattivo”, ulteriormente rinforzata dal pre-cetto per il quale “il ricorso alle norme interpretative in materia tributaria è ammesso solo in casi eccezionali e con legge ordinaria qualificando come tali le disposizioni di interpretazione autentica” (in relazione a questa tematica bene si può apprezzare l’ulteriore precetto dello Statuto per il quale “relativamente ai tributi periodici le modifiche introdotte si applicano solo a partire dal periodo di imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle di-sposizioni che le prevedono”).

al riguardo non si può certo riandare a tutto quanto è stato scritto dai lontani anni “60” in cui la questione di legittimità costituzionale delle norme tributarie retroattive fu posta soprattutto con riguardo all’art. 53 Cost. [f. moSchetti, k. tipke, v. maStroiacovo (vi.1)].

È sufficiente ricordare il consolidato insegnamento della Corte Costituzionale per la quale l’irretroattività in sé “costituisce un principio generale del nostro ordinamento (art. 11 preleggi) e, se pur non elevato, fuori della materia penale, a dignità costituzionale (art. 25 comma 2 Cost.), rappresenta pur sempre una regola cui, salva un’effettiva causa giustificatrice, il legislatore deve ragionevol-mente attenersi, in quanto la certezza costituisce un indubbio cardine della ci-vile convivenza e della tranquillità dei cittadini” (così Corte cost., 4 aprile 1990, n. 155).

“Sicchè, sono ancora parole della Corte, il legislatore ordinario, nel rispetto di tale limite, può emanare norme retroattive purché esse trovino adeguata giu-stificazione sul piano della ragionevolezza e non si pongano in contrasto con

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altri valori e interessi costituzionalmente protetti così da incidere arbitrariamente sulle situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti” (così Corte cost, 13 ottobre 2000, n. 419 e anche Corte cost. 4 novembre 1999, n. 416 e Corte cost., 24 luglio 2000, n. 341).

Valori fra i quali si pongono: a) “l’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, principio che quale elemento essenziale dello Stato di diritto, non può essere leso da norme con effetti che incidano irragionevolmente su situazioni regolate da leggi precedenti” (così le sentenze 4 novembre 1999 n. 416 e n. 211 del 1997) [p. carnevale (vi.2)]; b) e “il principio del rispetto delle funzioni co-stituzionalmente riservate al potere giudiziario, ciò che vieta di intervenire per annullare gli effetti del giudicato o di incidere intenzionalmente su concrete fattispecie sub judice” (così Corte cost., 22 novembre 2000, n. 525).

orbene se questo è l’insegnamento della Corte, il precetto contenuto nello Statuto, che è principio generale dell’ordinamento tributario, lo conforta e lo irrobustisce con riguardo alla disciplina dei tributi là dove statuisce che “salvo quanto previsto dall’art. 1, comma 2 (per le norme interpretative), le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo”.

infatti, insegna il Supremo Collegio, “proprio perché a queste specifiche clau-sole rafforzative di autoqualificazione delle disposizioni stesse deve essere attribu-ito un preciso valore normativo e interpretativo” “ogni qualvolta una normativa fiscale sia suscettibile di una duplice interpretazione, una che ne comporti la retroattività e una che l’escluda, l’interprete dovrà dare preferenza a questa se-conda interpretazione come conforme a criteri generali introdotti con lo Statuto del contribuente e attraverso di essi ai valori costituzionali intesi in senso ampio e interpretati direttamente dallo stesso legislatore attraverso lo Statuto” (così Cass., sez. trib., 14 aprile 2004, n. 7680, in Corr. trib. 2004, n. 28, con nota di G. Marongiu; la sentenza è importante non solo per l’affermazione di principio ma per la concreta applicazione fattane in un rilevante caso concreto).

in perfetta adesione all’insegnamento della dottrina e della giurisprudenza, e cioè perché “l’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica è un elemento essenziale dello Stato di diritto” (così Corte cost. 4 novembre 1999, n. 416), lo Statuto ha confermato che anche le norme interpretative non possono che essere eccezionali, la regola generale essendo la irretroattività delle disposizioni fiscali (amplius si veda infra al par 6.2).

Certo si possono derogare questi principi “costituzionalmente protetti” ma l’interprete deve, di volta in volta, accertare se una norma fiscale retroattiva trova conforto in una specifica ed effettiva causa giustificatrice.

6.1. L’applicazione del principio anche ai rapporti anteriori allo Statuto, ai tributi non periodici, alle ipotesi di c.d. pseudo retroattività e mai alla retroattività in bonam partem per il contribuente

Dalle considerazioni svolte – ha soggiunto la Corte di Cassazione, relativamen-te alla materia tributaria – consegue “che il principio della tutela del legittimo affidamento deve essere applicato, ove ne sussistano i presupposti e secondo le circostanze del caso concreto, in tutti i rapporti tributari, anche se sorti, quale quello di specie, in epoca anteriore all’entrata in vigore della legge n. 212 del 2000”( così Cass., n. 17576 del 2002 cit.).

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il principio generale, ben si intende, si applica a tutti i tributi e non solo a quelli periodici. È vero, infatti, che a questi ultimi si riferisce il secondo perio-do del primo comma dell’art. 3 dello Statuto, ma il primo periodo dello stesso primo comma statuisce come regola generale che “le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo”: e questo precetto è talmente generale e “incisivo” che non può non ricomprendere, tutti i tributi, anche quelli istantanei.

Come pure la tutela dello Statuto, va precisato, è volta a precludere l’emana-zione di norme tributarie retroattive a danno del contribuente e non certo di quella che, rispetto ai soggetti passivi, si risolvano in scelte in bonam partem. Lo ha puntualizzato la Corte di Cassazione che “il cosiddetto Statuto del contribuente è uno strumento di garanzia del contribuente e, quindi, mentre serve ad argi-nare il potere dell’erario nei confronti del soggetto più debole del rapporto di imposta, non può ostacolare l’approvazione di disposizioni che siano a favore del contribuente, che si risolvano eventualmente in un ulteriore autolimitazione del potere legislativo (una sorta di autotutela legislativa)” (così Cass., 21 aprile 2001, n. 5931).

Soggiungo che l’insegnamento della Corte costituzionale, fondato sull’affida-mento, può trovare applicazione in tutti i casi astrattamente ipotizzabili e “non soltanto quando la legge ponga a base della prestazione un fatto verificatosi nel passato o quando essa alteri, modifichi o trasformi, con effetto retroattivo, gli elementi essenziali dell’obbligazione tributaria e i criteri di valutazione che vi sono connessi, quali risultano da una precedente normativa” (così Corte cost., 16 giugno 1964, n. 45): in questi casi, di vera e propria retroattività, si possono delineare “sotto il profilo della non ragionevolezza, problemi di affidamento e di retroattività quando la tassazione incida sul passato, con aggravio impositivo rispetto a specifici rapporti” (così Corte cost., 24 luglio 2000, n. 341).

Ma uguale tutela deve riconoscersi nei confronti di quei precetti che, pur intervenendo prima della chiusura di un periodo di imposta, siano allo stesso applicabili ridisciplinando atti od operazioni anteriori alla novella normativa poi-chè, anche in tal caso, si assiste alla rivalutazione di un fatto passato ad opera di una legge successiva e si possono, quindi, porre problemi di incostituzionalità per violazione del principio dell’affidamento.

anche in questo caso nel relativo sindacato dovrà ricercarsi la specifica cau-sa giustificatrice della normativa sopraggiunta ed essa potrà essere rinvenuta nell’esigenza di evitare evasioni, frodi o abusi nonché nella necessità di rendere chiara una disciplina dall’interpretazione controversa.

Dubito che possano valere le esigenze di cassa perché, se esse fossero suf-ficienti, la retroattività della norma tributaria cesserebbe dall’essere eccezionale e giustificata solo da obiettive, specifiche esigenze, come deve essere, essendo evidente che l’applicazione di una disciplina nuova, più pesante, restrittiva e pu-nitiva (non solo per il futuro ma) anche per il passato comporta, ovviamente, un incremento del gettito [g. marongiu (Vi.3)].

6.2. L’interpretazione autentica

nella stessa logica, lo Statuto ha inteso sottolineare l’eccezionalità delle norme interpretative, opponendosi, così, al loro uso e abuso perpetrato per lustri.

E ancora una volta ha intercettato l’insegnamento della Corte costituzionale come si evince dalla disamina del dubbio che la Cassazione prospettò con rife-

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rimento agli artt., 3, primo comma, e 24, secondo comma, della Costituzione, nei confronti di una norma che sanciva l’interpretazione autentica dell’art. 38, comma 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.

La Corte ribadito che “occorre in particolare soffermarsi sull’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica”, ricordato che “Tale principio deve valere an-che in materia processuale, dove si traduce nell’esigenza che le parti conoscano il momento in cui sorgono oneri con effetti per loro pregiudizievoli, nonché nel legittimo affidamento delle parti stesse nello svolgimento del giudizio secondo le regole vigenti all’epoca del compimento degli atti processuali (cfr. la sentenza n. 11 del 1998)” così ha deciso: “La norma impugnata dà una interpretazione del citato art. 38, comma 2, che non era fra quelle accolte in sede giudiziale ed era nettamente minoritaria anche nella dottrina: come rileva il giudice a quo, anche il contribuente più scrupoloso difficilmente avrebbe potuto pensare che la notifica delle sentenze tributarie di secondo grado, ricorribili per cassazione, dovesse essere effettuata presso l’avvocatura distrettuale dello Stato, ma tutt’al più presso quella generale.

“Sono state così rese inefficaci, ai fini della decorrenza del termine breve di impugnazione, le notifiche operate sia presso l’avvocatura generale, sia presso i singoli uffici finanziari, consentendo all’amministrazione la possibilità di ricor-rere contro decisioni che, altrimenti, avrebbero dovuto essere ritenute coperte dal giudicato.

“La volontà di chiarire il senso dell’anzidetto art. 38, comma 2, del D.Lgs. n. 546 del 1992 e le eventuali pur legittime, considerazioni di convenienza del legislatore non avrebbero, quindi, dovuto portare a dichiarare applicabile anche per il passato la nuova disciplina delle notifiche delle sentenze tributarie, poiché in questo modo è stato frustrato l’affidamento dei soggetti nella possibilità di operare sulla base delle condizioni normative presenti nell’ordinamento in un dato periodo storico, senza che vi fosse una ragionevole necessità di sacrificare tale affidamento nel bilanciamento con altri interessi costituzionali (cfr. la sen-tenza n. 211 del 1997).

“Detta fondamentale esigenza di garanzia si arresta, peraltro, nel momento in cui la norma interpretativa è entrata in vigore.

“Deve, pertanto, dichiararsi illegittima, per violazione dell’art. 3 della Costi-tuzione, la sola parte della norma impugnata che estende anche al passato l’in-terpretazione autentica dell’art. 38, comma 2, del D.Lgs. n. 546 del 1992” (così Corte cost, 22 novembre 2000, n. 525).

7. L’art. 10 dello Statuto e i riflessi della tutela dell’affidamento anche sull’azione amministrativa: l’influenza della dottrina pubblicistica e privatistica

Lo Statuto dei diritti del contribuente esplicitamente richiama non solo gli artt. 3, 23 e 53 della Costituzione ma anche l’art. 97 [f. d’ayala valva (vii.1)] secondo il quale “i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministra-zione”.

il riferimento non deve stupire perchè già il Supremo Collegio insegnò e insegna che anche “l’amministrazione finanziaria non è un qualsiasi soggetto

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giuridico, ma è una pubblica amministrazione. Tale veste, come le attribuisce speciali diritti funzionali che assicurino nella maniera più ampia e spedita il per-seguimento delle sue finalità nell’interesse collettivo, così, per la stessa ragione, la obbliga all’osservanza di particolari doveri prima fra tutti quelli dell’imparzialità espressamente sancito dall’art. 97 della Costituzione” (così Cass., sez. i, 29 marzo 1990, in Dir. prat. tribut., 1990, ii, 1230).

E la stessa Corte di Cassazione non si limitò a ricordare la norma costitu-zionale ma ne fece applicazione in una specifica controversia tributaria.

importante questa sentenza perché se, da tempo, i privatisti avevano avviato la discussione sull’applicabilità del principio di buona fede all’obbligazione tribu-taria [f. benatti (vii.2)], il riferimento all’art. 97 consentiva di recuperare anche le intuizioni e l’insegnamento dei giuspubblicisti.

Costoro, infatti, insegnavano e insegnano che “se è vero che l’imparzialità può essere vista sotto un profilo oggettivo come norma di comportamento dell’am-ministrazione e come tutela della stessa amministrazione, collegandosi così al principio di legalità e a quello di uguaglianza, non può nemmeno escludersi che essa debba essere vista sotto il profilo soggettivo che, in definitiva, significa non tanto che l’amministrazione debba proporsi il perseguimento di interessi obiet-tivi, quanto il dovere di adozione di criteri di equità, di buona fede, di parità di trattamento ciò che qualifica la sua azione come quella di un soggetto teso alla soddisfazione di fini pubblici.

“L’imparzialità si risolve, dunque, in un dovere di buona fede oggettivo” [f. benvenuti, p. virga (vii.3)]

in sintesi la nozione di buon andamento non si riduceva più solo alla rapidità,alla semplicità, all’efficacia dell’attività amministrativa ma coinvolgeva anche il rispetto della fiducia creata nei cittadini e la lealtà dell’agire onde una volta assunto un dato comportamento il soggetto pubblico è tenuto a non di-scostarsene rispetto ai rapporti in essere.

Ebbene, sotto la duplice spinta della dottrina, privatistica e pubblicistica, anche la giurisprudenza teorica e pratica tributaria, quella più sensibile, a metà degli anni ’80, iniziò a ragionare in termini di buona fede e di affidamento [g. marongiu (vii.4)] contribuendo a formare il convincimento che, in applicazione del principio dell’affidamento, “se in una sua circolare l’amministrazione finan-ziaria ha espresso l’avviso che una certa fattispecie non è tassabile e poi muta orientamento, deve astenersi dal sottoporre ad imposta la fattispecie verificatasi prima del mutamento di opinione” [f. teSauro, g. falSitta (vii.5)].

Di lì a pochi anni, proprio chi all’approfondimento del tema e all’afferma-zione della soluzione testé ricordata ha dato un contributo importante chiudeva il proprio lavoro con l’auspicio che “la legge recante lo Statuto dei diritti del contribuente, in atto all’attenzione del Parlamento, nel garantire il diritto all’in-formazione, disciplini espressamente l’emissione e gli effetti delle circolari inter-pretative” [S. Sammartino (vii.6)].

7.1. La tutela dell’affidamento e della buona fede

Ebbene l’auspicio si è avverato e il nostro paese si è così allineato ai modelli legislativi più avanzati, Stati uniti, Gran Bretagna, Francia.

Statuisce, infatti, l’articolo 10 dello Statuto che “i rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione

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[f. d’ayala valva (vii.7)] e della buona fede” [e. della valle, m.c. fregni, a. colli vignarelli, d. Stevanato (vii.8)].

Se anche il principio di collaborazione non é privo di pratiche conseguenze (secondo la Corte di Cassazione nel caso in cui un contribuente deduca in giu-dizio che la prova di una determinata circostanza a lui favorevole emerge dal-la documentazione detenuta dall’amministrazione finanziaria, questa è tenuta a pronunciarsi in maniera espressa e non generica sull’effettivo possesso degli atti in questione proprio in virtù del “principio di collaborazione”) (si veda Cass. 14 novembre 2001, n 14141), ben altro è il rilievo della “buon fede”.

Se nel 1999 si scriveva, correttamente, che “il riconoscimento della tutelabilità dell’affidamento muove in italia i primi passi” [g. falSitta (vii.9)], la disciplina intervenuta l’anno dopo è andata ben oltre i “primi passi”.

È sufficiente leggere il ricordato articolo 10 e coordinarlo, ove ve ne fosse necessità, con l’articolo 5 sul dovere di informazione.

E invero, se l’amministrazione finanziaria ha l’obbligo di portare a conoscen-za dei contribuenti tempestivamente, e con i mezzi idonei, tutte le circolari e le risoluzioni emanate, non si può non creare il generale convincimento che la stessa amministrazione si comporterà in coerenza con le interpretazioni e le indicazioni date, esplicitate e diffuse nelle stesse circolari.

il che non significa che l’amministrazione non possa mutare orientamento interpretativo ma per il futuro e quindi salvaguardando le informazioni date, gli impegni assunti e i conseguenti affidamenti.

7.2. Le applicazioni giurisprudenziali e l’incidenza anche sulla possibile non deben-za del tributo

in sintesi, proprio dal primo comma dell’art. 10, che esplicitamente richiama la buona fede, ne escono rafforzate le conclusioni già assunte quando il prin-cipio generale di buona fede non era ancora normativizzato in quanto si tratta di principio immanente nel diritto e nell’ordinamento tributario.

Fermo rimanendo che buona fede e affidamento [m. logozzo, e. della valle (vii.10)], per quanto vengano avvicinati, non costituiscono “fenomeni sovrappo-nibili” e che l’una e l’altro non devono connotare solo l’azione amministrativa ma anche le scelte del legislatore: è significativo al riguardo che, secondo l’art. 3 dello Statuto, “i termini di prescrizione e di decadenza per gli accertamenti di imposta non possono essere prorogati [v. ficari (vii.11)].

Per affidamento si intende, infatti, lo stato psicologico di chi ha fiducia in qualcosa o in qualcuno mentre il sintagma buona fede, come è noto, ha due accezioni una soggettiva ed una oggettiva. in particolare, con esso si fa riferi-mento sia allo stato psicologico di chi ritiene di avere agito jure (ed in tal caso si parla di buona fede soggettiva), sia ad una regola di correttezza che impone atteggiamenti leali, non capziosi e vieta il c.d. “venire contra factum proprium” e cioè il tradire le legittime aspettative altrui, originate da un proprio precedente comportamento (e qui si parla di buona fede oggettiva).

Si può, quindi, muovere dalla premessa e concludere (scrive la Corte di Cas-sazione), con specifico riferimento al principio della “tutela del legittimo affida-mento del cittadino nella sicurezza giuridica” – quale “elemento essenziale dello Stato di diritto”, ancorato dalla Corte costituzionale al principio di eguaglianza dinanzi alla legge, sub specie del rispetto del canone della ragionevolezza, di

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cui all’art. 3 comma 1 Cost. – che il principio stesso, mutuato da quelli civi-listici della buona fede e dell’affidamento incolpevole nei rapporti fondati sul-la autonomia privata, è immanente in tutti i rapporti di diritto pubblico – e, quindi, anche in quelli tributari – e costituisce un preciso limite all’esercizio sia dell’attività legislativa, sia dell’attività amministrativa, e tributaria in particolare; nonché, come già sottolineato, un altrettanto preciso vincolo ermeneutico per l’interprete delle disposizioni tributarie in forza di quanto stabilito dall’art. 10 comma 1 dello Statuto.

“Da ciò consegue, in particolare, relativamente alla materia tributaria che il principio della tutela del legittimo affidamento – il quale, proprio perché esistente ed operante anche nel diritto e nell’ordinamento tributari già prima dell’entrata in vigore dello Statuto, è stato soltanto reso esplicito dalla disposizione da ulti-mo citata – deve essere applicato, ove ne sussistano i presupposti e secondo le circostanze del caso concreto, in tutti i rapporti tributari, anche se sorti, quale quello di specie, in epoca anteriore all’entrata in vigore della legge n. 212 del 2000” (così Cass., 10 dicembre 2002, n. 17576).

ne consegue che, ove ne sussistano i presupposti e secondo le circostanze del caso concreto (per la loro puntuale indicazione si veda ancora Cass. n. 17576), il giudice può e deve pronunciare l’annullamento totale dell’atto impositivo, anche con riguardo all’imposta, se accerti che la pretesa fiscale è difforme (e superio-re) rispetto a quella determinabile sulla base dell’interpretazione fornita nella circolare cui il contribuente si fosse adeguato o e comunque in contrasto con un atto o con un comportamento dell’amministrazione.

Lo ha riconosciuto lo stesso Supremo Collegio là dove ha deciso che, nel caso concreto, “non si tratta, pertanto, di una delle ipotesi prefigurate dall’art. 10, comma 2, della legge n. 212 del 2000, con conseguente, limitata efficacia del principio di affidamento alla non irrogabilità delle sanzioni e/o all’inapplicabilità di interessi moratori” (così ancora Cass., n. 17576, cit.).

nella stessa logica si pone la sentenza per la quale “deve essere ammesso alla definizione agevolata il contribuente che abbia sostanzialmente rispettato la condizione fissata dalla disposizione che la introduce provvedendo al versamento delle somme iscritte a ruolo non nell’originario termine di scadenza ma in quel-lo successivo fissato a seguito di formale provvedimento di dilazione concesso dall’amministrazione finanziaria”. infatti, “la contraria interpretazione prospettata dal Ministero si pone in evidente contrasto con il principio di affidamento che deve guidare l’interprete nella valutazione delle vicende attinenti alla nascita e alla evoluzione dei rapporti tributari” e quindi “il comportamento del contri-buente che, come nella specie, sia stato rispettoso delle prescrizioni ministeriali, non può poi essere ritenuto illegittimo o comunque preclusivo di benefici” (così Cass., sez. trib. 13 novembre 2004, n. 17129 in Corr.trib., 2004, n. 5, p. 389 sg. con nota di M. Basilavecchia ).

in sintesi, è configurabile la conclusione per cui a) se l’atto dell’amministra-zione ha un contenuto inequivocabile, senza ombra di dubbi e di prospettazioni alternative, neppure l’imposta potrà essere pretesa da chi ad esso si sia attenuto come le ovvie conseguenze sulla non debenza degli interessi e delle sanzioni, men-tre b) se l’atto dell’amministrazione prospetta una mera ipotesi interpretativa, una indicazione preferenziale ma non esaustiva non dovranno essere nè pretesi inte-ressi nè irrogate sanzioni a chi ad essa si sia attenuto [g. marongiu (vii.12)].

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Fuori dal campo dell’affidamento e della tutela della buona fede (e quindi a prescindere all’esistenza di circolari e di risoluzioni in un senso o nell’altro) non potranno essere irrogate sanzioni quando la violazione dipenda da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma tributaria (così statuisce il terzo comma dell’art. 10 dello Statuto) [l. del fede-rico (vii.13)].

7.3. L’affidamento e l’emendabilità degli errori

Coerentemente la Corte di Cassazione ha statuito che “in un sistema im-prontato ormai, per effetto dell’entrata in vigore dello Statuto del contribuente, ai principi di tutela dell’affidamento e della buona fede, deve riconoscersi al contribuente la possibilità di far valere, attraverso la procedura del rimborso, disciplinata, compiutamente dall’art. 38 (del d.p.r. n. 602/1973) ogni tipo di er-rore (materiale o di diritto, ancorchè non rilevabile ictu oculi dalla dichiarazio-ne) commesso in buona fede nel momento della redazione della dichiarazione e da cui sia derivato un pagamento indebito” (così Cass., sez. trib., 10 settembre 2001, n. 11545). “ovviamente, ha precisato la Corte, la prova dell’inesistenza della obbligazione tributaria a causa di un errore e la prova del verificarsi di un indebito grava sul contribuente, che deve fornire gli elementi costitutivi della sua pretesa”.

orientamento che ha trovato applicazione anche con riguardo alla emendabi-lità, da parte del contribuente, degli errori, anche non meramente materiali o di calcolo, contenuti in dichiarazioni o, comunque, in atti dello stesso contribuente costituente presupposto dell’imposizione.

Ed invero, ha osservato la Corte suprema, sulla base “dell’indirizzo che ri-conosce un’ampia emendabilità, espressione di un principio generale del siste-ma tributario (operante non solo nel campo delle imposte indirette, considerato che: a) la dichiarazione non ha valore confessorio; b) essa non costituisce fonte dell’obbligazione tributaria, ma si inserisce nell’ambito di un più complesso pro-cedimento di accertamento e di riscossione; c) i principi della capacità contri-butiva e di buona amministrazione rendono intollerabile un sistema legale che impedisse al contribuente di dimostrare, entro un ragionevole lasso di tempo, l’inesistenza di fatti giustificativi del prelievo), ne consegue che “il contribuente può procedere alla rettifica di errori di qualsiasi genere, anche dopo la scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione e tale rettifica, se formulata, deve essere presa in considerazione dall’ufficio ai fini della liquidazione dell’im-posta dovuta” (così Cass., sez. trib. 20 giugno 2002, n. 8972, in Riv. dir. tribut., 2002, n. 11, pg. 723 sg.).

7.4. Affidamento e processo tributario

il principio di collaborazione e buona fede è talmente pervasivo che esso connota da sé anche il processo tributario.

Lo insegna la Corte di Cassazione statuendo che al funzionario rappresentante dell’amministrazione finanziaria deve essere riconosciuto il potere di rinunciare al ricorso in appello proposto dall’ufficio, anche in assenza di delega specifica al riguardo, con conseguente legittimità, in caso di accettazione della rinuncia da parte del contribuente, della dichiarazione di estinzione del processo ex art. 44

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D.Lgs. 32 dicembre 1992 n. 546 (così Cass. sez. trib., 15 marzo 2005, n. 5270, in Riv. dir. trib., 2005, ii, pg. 120 sg. con nota di C. Todini).

Ebbene per giungere a questa conclusione il Supremo Collegio non si è limi-tato a disaminare il ruolo del funzionario e i suoi poteri ma ha anche precisato che “la controversia che ne occupa non può essere risolta sulla base di una rigida e puntigliosa disamina dei poteri del funzionario presente in udienza.

“È invece necessario – ha soggiunto la Cassazione – valutare il rilievo esterno dell’attività del funzionario stesso rispetto alle parti con cui entra in relazione nella qualifica, soprattutto in un momento in cui anche attraverso lo Statuto dei diritti del contribuente, si stanno facendo i massimi sforzi per avere anche in italia un Fisco “civile” e per introdurre un sano rapporto di dialogo e di aperta collaborazione tra contribuenti e uffici dell’amministrazione”.

onde, ha concluso la Corte, alla luce delle norme e dei principi sopra richia-mati “e quindi anche dell’art. 10 dello Statuto, in presenza di un funzionario che dichiara di rinunciare al ricorso chiedendo la compensazione delle spese, eserci-tando il potere di valutare lo svolgimento del processo, prendendo le decisioni ritenute più opportune in ordine al possibile esito dello stesso, anche valutando i conseguenti oneri che potrebbero gravare sull’amministrazione in caso di soc-combenza, il ricorso si appalesa infondato” (così Cass., ult.cit.).

8. Lo Statuto e i principi ispiratori dell’azione amministrativa

Lo Statuto ha confermato e consolidato una nuova stagione anche là dove ha riconosciuto al contribuente: a) il diritto a essere informato, assistito e ascoltato; b) il diritto a conoscere in modo certo le conseguenze fiscali delle proprie azio-ni; c) il diritto alla speditezza e alla tempestività dell’azione fiscale; d) il diritto alla semplificazione dei propri adempimenti; e) sancendo il passaggio, in alcune significative norme, dal diritto all’informazione al diritto al contradditorio (si vedano gli artt. 6, 5° comma, e 12, 7° comma dello Statuto).

al riguardo non mancai di sottolineare la pervicacia con cui il legislatore italiano insisteva nel sottrarre la materia tributaria anche alle più generali di-scipline di principio confortato dalle considerazioni di un pregevole lavoro nel quale precisato che “certo non tutti i principi contenuti nella legge n. 241 del 1990 sono suscettibili di essere applicati in materia di accertamento tributario”, si soggiungeva opportunamente e incisivamente: “ancora una volta, dunque, la materia tributaria viene esclusa dall’ambito della codificazione delle norme ge-nerali amministrative, in ragione della (pretesa) peculiarità del sistema delineato dalle norme fiscali. E ciò si noti, soggiungeva l’autore, accade in un provvedi-mento normativo a carattere generale, destinato come tale ad applicarsi alla totalità dei multiformi procedimenti amministrativi. Tra i quali vi sono alcuni procedimenti, quale ad esempio quello di accertamento delle violazioni da parte degli ispettori del lavoro, che hanno caratteristiche assai simili, sotto il profilo che interessa, a quello di accertamento tributario. insomma ancora una volta il legislatore sembra manifestare una sorta di “timor reverentialis” nei confronti della materia tributaria, quando, come si è accennato e come meglio si vedrà nel corso di questo studio, nell’ordinamento attuale nulla appare resistere in via di principio alla estensione dei principi della partecipazione” [l. Salvini (viii.1)].

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nulla di eccezionale, si badi bene, perché uguale timore reverenziale mostrava la giurisprudenza quando escludeva l’applicabilità dei principi dettati, in generale, per le sanzioni amministrative a quelle tributarie.

Sta di fatto che quello descritto era il clima culturale che, ancora agli inizi degli anni “90”, molti accettavano e pochi criticavano.

9. La semplificazione amministrativa

nell’art. 6 dello Statuto sono contestualmente disciplinate la conoscenza degli atti e la semplificazione. Quanto alla seconda il 4° comma impone nuove speci-fiche incombenze agli uffici finanziari al fine di non aggravare gli adempimenti del contribuente destinatario di un atto. non possono, pertanto, essere richiesti documenti e informazioni già in possesso dell’amministrazione finanziaria o di altre amministrazioni pubbliche indicate dal contribuente.

in buona sostanza l’amministrazione finanziaria deve procurarsi d’ufficio tutte le informazioni necessarie ai fini dell’istruttoria della pratica oggetto di una richie-sta da parte del contribuente sia nel caso siano reperibili all’interno della strut-tura (esempio: documenti da allegare alle richieste di rimborso), sia nel caso in cui siano in possesso di altra amministrazione pubblica indicata dal contribuente (esempio: certificato di casellario giudiziario o di camera di commercio).

al riguardo la Cassazione, rilevato che anche prima dello Statuto l’ordina-mento offriva tutela al contribuente attraverso l’art. 18 della legge n. 241/1990, ha soggiunto: “Costituendo tale norma l’espressione di un più generale princi-pio operante anche nel processo (Cons. Stato, ad. Plen, n. 7/1998), confortato anche dallo Statuto del contribuente, ne discende che qualora l’attore avesse dichiarato in giudizio che la prova di una determinata circostanza emergeva dalla documentazione detenuta dall’amministrazione, quest’ultima avrebbe dovuto pronunciarsi in modo non generico od immotivato sull’effettivo possesso e sul reale contenuto degli atti in questione, in quanto il principio di collaborazione fra pubblica amministrazione e privati comporta una diversa ricostruzione dei loro rapporti anche per quel che riguardava l’onere della prova” (così Cass., sez. trib., 5 ottobre, 2001, n. 12284, in Riv. dir. trib, 2002, ii, pg. 264 sg. con nota di F. D’ayala Valva).

Di tale principio, la stessa Corte ha fatto applicazione anche in una diversa controversia.

a fronte dell’asserzione di un Comune che l’amministrazione finanziaria era in possesso della dichiarazione dei redditi presentata dai soggetti partecipanti ad un Comitato di gestione, la Corte di Cassazione, rilevato che l’ufficio finanziario non poteva limitarsi ad invocare l’applicazione delle regole sull’onere della prova inteso in senso soggettivo, ha sostanzialmente ritenuto applicabile il principio dell’acquisizione dei documenti d’ufficio anche all’accertamento tributario e alla sua proiezione processuale, invitando di conseguenza la Commissione tributaria regionale a verificare le posizioni delle parti, senza astratti richiami all’onere della prova e ponendo in essere i poteri istruttori previsti dall’art. 7 del D.Lgs. n. 546/1992 (si veda Cass. 10 febbraio 2001, n. 1930; con la sentenza n. 16097 del 22 dicembre 2000 la stessa Corte precisò che il 4° comma dell’art. 6 non poteva applicarsi ai procedimenti in corso).

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10. L’effettiva conoscenza degli atti

Le garanzie informative apprestate dallo Statuto operano non solo con l’in-formazione del contribuente (art. 5), ma anche con l’effettiva conoscenza degli atti a lui destinati (art. 6) e con l’interpello (art. 11). il tutto si collega, poi, ai principi della collaborazione e della buona fede cui si deve improntare il rap-porto tra contribuente e amministrazione finanziaria.

Per altro, mentre l’informazione è soprattutto preordinata alla diffusione di un insieme di conoscenze dell’amministrazione pubblica chiamata ad assicurarla e si rivolge a una massa indistinta di soggetti, la conoscenza, garantita dal rispetto di forme e modalità tipiche (comunicazione e notificazione), ha un contenuto più circoscritto riguardando singoli atti e soggetti determinati.

Lo ha riconosciuto anche la Corte di Cassazione quando ha statuito che l’art. 44 del d.P.r. n. 602/1973 deve essere interpretato nel senso che gli interessi decorrono fino alla data di emissione dell’ordinativo in quanto ritualmente e tempestivamente notificato.

“Tale conclusione, ha osservato la Corte, è confortata oggi anche dal princi-pio di conoscenza degli atti sancito dall’art. 6 della già citata legge n. 212/2000 per il quale l’amministrazione finanziaria deve assicurare l’effettiva conoscenza da parte del contribuente degli atti a lui destinati.

“Quindi, sono sempre parole della Corte, prima che il contribuente abbia conoscenza degli atti che incidono sulla sua posizione debitoria o creditoria nei confronti del fisco, gli atti stessi non possono produrre effetti”.

E infatti, considerato che il citato art. 6 va inquadrato “nell’enunciazione di cui all’art. 1, secondo il quale le disposizioni dello Statuto costituiscono principi generali dell’ordinamento tributario, e si tratta di un principio che deve aiutare l’interprete a ricavare dalle norme il senso che le rende compatibili con i principi costituzionali citati, nella specie (ha concluso il Supremo Collegio) il senso da attribuire al riferimento alla data dell’ordinativo di pagamento (art. 44, comma 1 del d.P.r. n. 602 del 1973) che renda la norma compatibile in particolare con i principi di uguaglianza e di buona andamento e imparzialità della pubblica amministrazione, non può che essere quello colto dai giudici di merito, e con-diviso dal Collegio per le ragioni esposte” (così Cass., sez. trib., 30 marzo 2001, n. 4760, in Il fisco, 2001, p. 7777).

11. Interpello e interpelli

il diritto a conoscere le conseguenze fiscali delle proprie azioni è una speci-ficazione del diritto ad essere informati e impegna l’amministrazione finanziaria a rendere noti gli adempimenti che conseguono ad una determinata operazione, per consentire, all’interessato, di valutarne l’impatto sulla propria vita privata o d’affari.

L’apprezzabile tentativo di estendere l’angusto ambito oggettivo di applicazio-ne delle norme già vigenti in materia di interpello ha trovato al fine concreta attuazione nello Statuto dei diritti del contribuente che lo ha espressamente disciplinato all’art. 11 [a. comelli (iX.1)].

È sufficiente scorrerlo per comprendere quanta strada sia stata fatta rispetto

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ai progetti degli anni ‘90 e anche rispetto alla disciplina specifica dettata per quelle ben note e limitate ipotesi in cui l’interpello era già da qualche anno pre-visto e disciplinato: ci si riferisce al cd. interpello antielusivo, al cd. interpello disapplicativo, nonché ai servizi di consulenza giuridica.

in primo luogo le disposizioni dello Statuto si pongono come «i principi generali dell’ordinamento tributario» in virtù della qualificazione recata dall’art. 1, primo comma, e in quanto attuazione delle norme costituzionali e ciò rileva, quanto meno sul piano interpretativo, consentendo l’utilizzazione di detti principi in funzione integrativa delle lacune dell’ordinamento.

in secondo luogo, l’interpello esce dai limiti angusti in cui era previsto e di-venta istituto di generale applicazione, tant’è che «ciascun contribuente può inol-trare per iscritto all’amministrazione finanziaria, che risponde entro centoventi giorni, circostanziate e specifiche istanze di interpello concernenti l’applicazione delle disposizioni tributarie a casi concreti e personali qualora vi siano obiettive condizioni di incertezza sulla corretta interpretazione delle disposizioni stesse».

non si indugia in questa sede sui presupposti dell’interpello, sull’oggetto della relativa istanza, sui requisiti, sulle modalità di presentazione (del che si è ampia-mente scritto anche a commento del d.m. 26 aprile 2001, n. 209) [m. miccineSi, g. marongiu (iX.2)] nonché sui soggetti abilitati ad attivarlo. Con riguardo a questi ultimi ci si limita a ricordare la dottrina per la quale nella locuzione “contribuen-te” usata nell’art. 11 dello Statuto si deve ricomprendere chiunque intenda avere maggiori lumi sulla disciplina dei tributi esistenti nel nostro sistema tributario e quindi anche i soggetti non residenti [e. della valle (iX.3)]: tesi che ha avuto poi il consenso della stessa amministrazione (si vedano le circolari dell’agenzia delle Entrate del 13 febbraio 2003 n. 9 e del 16 maggio 2005, n. 23/E ).

Si sottolinea che radicalmente diversi dal passato e fortemente innovativi sono gli effetti perché la risposta dell’amministrazione finanziaria, soggiunge il secondo comma dell’art. 11, «vincola l’amministrazione con esclusivo riferimento alla questione oggetto dell’istanza di interpello e limitatamente al richiedente» e «qualora essa non pervenga al contribuente entro il termine di cui al comma primo, si intende che l’amministrazione concordi con l’interpretazione o con il comportamento prospettato dal richiedente».

ne consegue, soggiunge la legge, che «qualsiasi atto anche a contenuto im-positivo o sanzionatorio, emanato in difformità dalla risposta, anche se desunta ai sensi del precedente periodo, è nullo».

in sintesi, l’art. 11 è una delle disposizioni più innovative e importanti dello Statuto, essendo volta a dare certezza e sicurezza a tutti.

Significative le Direttive del Ministro delle finanze del 21 settembre 2000, per le quali “l’amministrazione deve cogliere l’opportunità, rappresentata dal diritto di interpello, di migliorare i rapporti con i contribuenti per improntarli ai prin-cipi di correttezza e di buona fede”.

L’auspicio si è avverato e l’istituto negli anni successivi è definitivamente de-collato e ha trovato amplissima applicazione, come attesta il continuo interesse per esso della stessa amministrazione (dalle circolari del 2001 alla più recente dell’agenzia delle Entrate del 16 maggio 2005, n. 23/E ). oggi, non resta quindi che condividere la conclusione di chi lo ritiene applicabile anche ai tributi locali [a. uricchio (iX.4)].

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12. La chiarezza e la motivazione degli atti

L’art. 7 dello Statuto, intitolato significativamente “chiarezza e motivazione degli atti” stabilisce, al 1° comma, che gli atti dell’amministrazione finanziaria sono motivati secondo quanto prescritto dall’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, dovendo indicare i presupposti di fatto e le “ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione”; e al 2° comma precisa l’ulte-riore contenuto degli atti dell’amministrazione finanziaria e dei concessionari della riscossione (la disposizione va, poi, collegata agli artt. 1 ss. del d.lg. 26 gennaio 2001, n. 32 che, nell’integrare e modificare le disposizioni dettate dalle singole leggi d’imposta, definisce il contenuto della parte motivazionale degli atti di accertamento, di liquidazione e di riscossione adottati dalle amministrazioni finanziarie e locali) [m. beghin (X.1)].

La norma integra le previsioni contenute nelle disposizioni riguardanti la mo-tivazione degli atti di accertamento dei vari tributi, delle cartelle di pagamento (si veda Cass. 20 maggio 1999, n. 14305) e di tutti gli atti che sono suscettibili di impugnativa davanti alle Commissioni tributarie, rafforzando le garanzie di esercizio del diritto di difesa. Conseguentemente, esso ha elevato alla dignità di requisito essenziale per la validità dell’accertamento, che è atto di natura sostanziale, la circostanza che all’avviso siano allegati gli atti richiamati nella relativa motivazione; in buona sostanza, il legislatore, così superando le incertez-ze derivate dalla previgente normativa, in vigenza della quale si erano registrati orientamenti non sempre univoci, ispirati da maggiore (si veda Cass., sez.trib., 3 dicembre 2001, n. 15234, in Corr.trib., 2002, n. 10, p. 869 sg.; secondo questa sentenza “la motivazione può assolvere la funzione informativa che le è propria facendo riferimento ad elementi di fatto offerti da documenti diversi solo se tali documenti sono allegati o comunicati al contribuente, ovvero per altro verso da lui conosciuti”) o minore (si veda Cass., sez. trib., 2 agosto 2000, n. 10148) garan-tismo, ha ritenuto che allorquando l’amministrazione, nella compilazione degli avvisi di accertamento, ritenga di fare riferimento, nella motivazione, ad altri atti, questi debbono essere allegati e quindi, del pari, notificati [r. miceli (X.2)].

L’innovazione normativa – ha precisato il Supremo Collegio – esprime l’esi-genza, in attuazione di precetti costituzionali, di superare una concezione mera-mente formale e tecnica, di principio del contraddittorio e dell’inviolabilità del diritto di difesa, enunciando un principio di effettività del contraddittorio, che costituisce elemento caratterizzante non solo della funzione giurisdizionale ma della maggior parte delle attività dei pubblici poteri.

“in tale ottica – ha concluso la Corte – i giudici di appello si ritiene siano incorsi nel denunciato vizio di violazione dell’art. 7, comma 1, della legge n. 212/2000 per non aver considerato che l’avviso di accertamento di che trattasi era stato notificato dopo l’entrata in vigore della citata legge, che, per garantire l’effettività del contraddittorio, ha valorizzato, rendendola obbligatoria (“deve”), l’allegazione dell’atto richiamato” (così Cass., sez. trib., 22 marzo 2005, n. 6201, in Il fisco, 2005, n. 16, p. 6604 sp.): in questa sentenza la Corte ha precisato che la norma è immediatamente applicabile anche agli atti delle amministrazioni locali a prescindere dal termine assegnato agli stessi per adeguare i rispettivi statuti e regolamenti ai principi desumibili dello Statuto.

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13. La compensazione

in passato, l’operatività in materia tributaria della compensazione fu esclusa dalla dottrina e dalla giurisprudenza sulla base di varie considerazioni: talora si ravvisò l’ostacolo insormontabile nel carattere indisponibile del credito tributa-rio; altre volte, nell’art. 224 del r.D. 22 maggio 1924, n. 827 (regolamento della contabilità di Stato) o, ancora, nell’art. 1246, n. 3, c.c., secondo cui non sono compensabili i crediti per loro natura impignorabili, quali sono per l’appunto quelli derivanti da rapporti di diritto pubblico e quindi in specie, quelli tributari [m.c. fregni (Xi.1)].

il legislatore, per altro, già negli anni “90” era intervenuto, seppure con di-sposizioni circoscritte a specifiche fattispecie, per battere questa incomprensibile e superata preclusione (si veda soprattutto l’art. 17 del d.lgs. n. 241 del 1997).

al riguardo proprio lo Statuto dei diritti del contribuente, all’art. 8, rubricato «Tutela della integrità patrimoniale», ha perentoriamente disposto, al primo com-ma, che «L’obbligazione tributaria può essere estinta anche per compensazione», generalizzando così l’istituto a tutto il diritto tributario [a. fedele, p. ruSSo (Xi.2)]: un contenuto ancora una volta fortemente innovativo come è comprovato anche dal secondo comma per il quale è ammissibile “l’accollo del debito di imposta altrui”[f. bruno (Xi.3)].

Dalla formulazione del comma 1 dell’art. 8 parrebbe che nessun problema interpretativo possa seriamente porsi. a ben guardare, però, un esame più ap-profondito si impone perchè i commi 6 e 8 dello stesso art. 8 contemplano l’in-tervento di norme regolamentari in materia che non hanno ancora visto la luce e proprio la loro mancanza ha indotto alcuni commentatori a ridimensionare la portata del principio enunciato dal comma 1 dell’art. 8: nell’attesa dell’emana-zione dei ricordati decreti, la compensazione non potrebbe essere invocata dai contribuenti se non entro i confini, angusti, nei quali essa è attualmente prevista in singole leggi di imposta.

Questa interpretazione è stata fatta propria recentemente anche dalla Corte di Cassazione secondo la quale, pur prendendo atto che « il cosiddetto statuto dei diritti del contribuente all’articolo 8 recepisce per l’obbligazione di impo-sta i generali canoni del codice civile sull’estinzione per compensazione», prima dell’emanazione dei regolamenti sopra ricordati, «l’estinzione per compensazione del debito tributario si determina allo stato della legislazione tributaria solo se espressamente stabilita» (così Cass., 20 novembre 2001, n. 14579 e n. 14588).

Soluzione che se ha convinto qualche commentatore, fortunatamente non ha chiuso il dibattito perché una simile lettura finisce col frustrare le finalità di tu-tela del contribuente che sono proprie dello Statuto: saremmo infatti in presenza di un principio, quello dell’integrale compensabilità di tutti i crediti e i debiti di natura tributaria, che non potrebbe operare fino al momento in cui l’esecutivo (gravemente inadempiente) non abbia provveduto ad emanare i corrispondenti regolamenti di attuazione.

occorre, dunque, comprendere se siffatta interpretazione dell’art. 8 risulti in linea con la ratio e la peculiarità dei contenuti propri delle disposizioni racchiuse nello Statuto del contribuente.

al riguardo, non si può dimenticare il richiamo contenuto nell’articolo 1 del-lo Statuto, secondo il quale «Le disposizioni della presente legge, in attuazione

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degli articoli 3, 23, 53 e 97 della Costituzione, costituiscono principi generali dell’ordinamento tributario e possono essere derogate o modificate solo espres-samente e mai da leggi speciali».

Come si è acutamente notato [p. ruSSo (Xi.4)], l’espresso collegamento delle norme dello statuto con i più rilevanti principi costituzionali in materia tri-butaria palesa l’intento del legislatore ordinario di realizzare il necessario ed equilibrato contemperamento delle contrapposte esigenze di rango costituzionale che si fronteggiano in materia tributaria: quelle che si sostanziano nell’interesse fiscale facente capo all’amministrazione finanziaria e quelle sottese ad alcuni diritti fondamentali dei quali è titolare il contribuente.

affermazione che si rivela calzante pure con riguardo all’istituto della compen-sazione onde persuasive appaiono le sottili argomentazioni di chi ha concluso che “l’inerzia del Governo nell’emanare la normativa di attuazione prevista dal citato art. 8 non deve ridondare a svantaggio del contribuente impedendogli di concretizzare il diritto alla compensazione delle obbligazioni tributarie previsto in modo chiaro e pre-ciso, oltre che incondizionato, dal legislatore del 2000 [r. cordeiro guerra (Xi.5)].

14. I diritti del contribuente nelle verifiche fiscali

il nuovo contesto all’interno del quale si inquadra il rapporto tra contribuente e amministrazione finanziaria ha indotto il legislatore dello Statuto a rafforzare i diritti e le garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali [viotto (Xii-1)]. L’art. 12, in primo luogo, rispetto a quanto sancito dagli artt. 52 d.p.r. n. 633, e 32 e 33 d.p.r. n. 600, introduce un’ulteriore condizione con riferimento agli accessi, alle ispezioni e alle verifiche nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali, agricole e artistiche effettuabili solo nei casi di effettive esigenze di indagine e controllo sul luogo (comando generale della Guardia di Finanza, circ. 17 agosto 2000, n. 250400, Boll.trib., 2000, 1311) e garantendo la massima riservatezza e discrezione nell’attività ispettiva (comando generale della Guardia di Finanza, circ. 15 marzo 2002, n. 98000, Boll.trib., 2002, 686).

Considerata la natura particolarmente invasiva di questo potere istruttorio, la norma [S. Sammartino (Xii.2)] consente al contribuente di richiedere che l’esame dei documenti contabili e amministrativi possa svolgersi presso l’ufficio dei verifi-catori o presso lo studio del professionista che lo assiste e stabilisce una durata massima di permanenza degli operatori civili e militari nella sede del contribuen-te (trenta giorni, prorogabili per altri trenta in caso di particolari complessità dell’indagine) prevedendo tempi e modalità per la sua effettuazione.

Va, poi, segnalato che, riprendendo quanto già stabilito nella direttiva del Ministero delle Finanze (direttiva 18 dicembre 1996, n. 29181), l’art. 12, 2° co, dispone che, quando inizia la verifica, il contribuente ha diritto ad essere infor-mato delle ragioni che la giustificano e dell’oggetto che la riguarda, così come della facoltà di farsi assistere da un professionista abilitato dinanzi alle Com-missioni tributarie, nonché dei suoi diritti e degli obblighi.

nella prospettiva di una tutela più ampia e dei nuovi istituti che la presidia-no lo Statuto soggiunge che “il contribuente, nel caso ritenga che i verificatori procedono con modalità non conformi alla legge, può rivolgersi anche al Garante del contribuente secondo quanto previsto dall’art. 13” [f. d’ayala valva (Xii.3)].

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nel rispetto del principio di cooperazione con l’amministrazione finanziaria il contribuente, nei sessanta giorni successivi al rilascio della copia del proces-so verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, può comunicare osservazioni e richieste che devono essere oggetto di valutazione da parte degli uffici finanziari [r. Schiavolin (Xii.4)].

al fine di avviare un vero e proprio contraddittorio tra le parti, l’ultimo com-ma dell’art. 12 cit. [l. Salvini, r. miceli (Xii.5)], stabilisce che “l’avviso di accerta-mento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza” ed è evidente che, nel caso di notificazio-ne dell’avviso anteriormente allo spirare del termine per controdedurre, l’ufficio dovrà adeguatamente motivare le ragioni di urgenza che ne hanno condizionato l’attività e il giudice dovrà adeguatamente valutarle.

15. Il Garante

Completa il sistema delle garanzie la disciplina riguardante l’istituzione e le funzioni del Garante del contribuente contenuta nell’art. 13 dello Statuto [f. d’ayala valva (Xiii.1)].

a differenza di altre autorità cosiddette indipendenti, previste in altri ambiti (garante della privacy, della concorrenza, delle telecomunicazioni), l’ufficio del Garante del contribuente non opera a livello unico nazionale, ma ha la propria sede in ogni regione (e nelle Province autonome di Trento e di Bolzano), pres-so la sedi della Direzione regionale delle entrate (o delle province autonome) al fine – questo è stato l’intento del legislatore – di rendere il nuovo ufficio più vicino al contribuente.

non è il caso di ricordare la composizione dell’organo, la durata dell’incarico e la qualificazione e professionalità del Garante (profili che sono ampiamente trattati, unitamente alle questioni che si pongono, sulla rinuncia o sulla cessa-zione dall’incarico nel citato lavoro di Francesco D’ayala Valva.).

È, invece, opportuno indugiare sui poteri che il Garante esercita nei confronti di tutti gli uffici finanziari delle agenzie delle entrate, delle dogane e del territorio che operano nella regione di riferimento: è dubbio che il Garante abbia compe-tenza con riferimento agli enti locali a meno che questi non abbiano adottato apposite disposizioni regolamentari in tal senso [S. capolupo (Xiii.2)].

Quanto ai poteri, dalla lettura dell’art. 13 emerge chiaramente che, seppu-re ampi (importante è soprattutto lo stimolo all’adozione delle procedure di autotutela), essi consistono soprattutto nella segnalazione e nella denuncia di disfunzioni e di irregolarità, non spingendosi sino alla sostituzione degli uffici nell’adozione degli atti di propria competenza ovvero nella rimozione degli atti che si assumono viziati. Frettolosamente, si è quindi liquidata la nuova autorità assumendo che essa offre solo un simulacro di tutela, priva di effettiva incisi-vità.

Personalmente, pur non sottovalutando le difficoltà a fare conoscere la nuo-va istituzione, non condivido questa opinione perché essa ha segnato, invece, l’apertura di una strada nuova che attende solo di essere esplorata e percorsa in modo proficuo.

Va registrata, quindi, con soddisfazione l’opinione di chi (come Livia Salvini),

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pur sottolineando che l’attribuzione di funzioni più incisive non può che giovare, ha argomentativamente soggiunto che “non è per questo necessario modificare profondamente la disciplina che attualmente regola l’attività dei Garanti” onde “anche sotto questo profilo l’impianto dello Statuto appare in realtà coerente e lungimirante [l. Salvini (Xiii.3)].

16. Conclusioni

Queste ultime parole e la riscontrata attenzione della più qualificata giurispru-denza smentiscono le scettiche previsioni di chi aveva pronosticato e auspicato il fallimento dello Statuto e a consuntivo ne hanno fatto bilanci negativi.

Si è scritto, infatti, anche di recente, a riprova dell’inadeguatezza dello Sta-tuto, che esso non sarebbe riuscito a contenere le violazioni perpetrate dal le-gislatore che si sono anche conteggiate.

osservo che il legislatore di qualsiasi ordine e grado è sempre stato insoffe-rente delle regole sopraordinate e che se i tentativi di violazione e quelle perpe-trate fossero la misura del successo del quadro ordinatore, altro non resterebbe che registrare il bilancio negativo della stessa Costituzione, violata centinaia, migliaia di volte.

il metro è, invece, la capacità intrinseca dei protagonisti dell’esperienza giu-diziale di reagire e da questo punto di vista, l’attestato interesse della dottrina, la stessa novità dei temi trattati, nonché la applicazione dei principi statutari da parte della giurisprudenza, e, in primis, della Corte di Cassazione, comprovano il successo dello Statuto dal quale nessuno riesce più a prescindere.

il che non significa che più e meglio non si possa fare e quindi scrivere, al fine, il codice tributario del quale lo Statuto anticipa alcuni principi [c. Scalinci (Xiv.1)].

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BiBLioGraFia:

i. Le ragioni dello statuto. 1. g.marongiu, Per una carta dei diritti del contribuente, in Biblioteca della libertà, Torino, Centro Einaudi, 1995 n.130 p.21 ss; 2. g.marongiu, Contributo alla realizzazione della “Carta dei diritti del contribuente” in Dir.prat.tri-but. 1991, i p.585 ss e g.marongiu, Disposizione sulla legge tributaria in generale, in Dir.prat.tribut. 1994, i p.333; 3. e.de mita, Fisco e Costituzione, Milano, Giuffrè 2003 iii, Premessa; 4. m.ferrera, Verso la rivolta fiscale ? Cittadini e tasse in italia, in Biblioteca della libertà, 1986, ottobre – dicembre, p.121 ss; 5. e.de mita, interesse fiscale e tutela del contribuente, Milano, Giuffrè, 1987 p.12

ii. il rifiuto di uno statuto approvato con legge costituzionale. 1. g.marongiu, Sta-tuto del contribuente: primo consuntivo a un anno dall’entrata in vigore, in Corr.trib. 2001 p.2069 ss; f.d’ayala valva, il principio di cooperazione nello Statuto dei diritti del contribuente, roma 2003 p.46 ss.

iii. La sua incidenza anche sull’attività legislativa. 1. Lo Statuto dei diritti del con-tribuente, a cura di G.Marongiu, con scritti di m.beghin, r.cordeiro guerra, l.del federico, e.della valle, g.marongiu, m.miccineSi, l.Salvini, S.Sammartino, d.Stevanato e a.uricchio, Torino, Giappichelli, 2004 di seguito citato come Lo statuto cit.

iV. Lo statuto e i principi generali. 1. a.uricchio, Lo Statuto e gli enti locali, in Lo Statuto cit. spec p.159 ss; 2. g.falcone, il valore dello Statuto del contribuente, in Fisco 2000 p. 11038 e S.lombardi, Statuto dei diritti del contribuente e teoria delle fonti, in riv.dir.tribut. 2005 n.2 p.165 ss; 3. l.murciano, Statuto del contribuente e fonti del diritto tributario: un’ipotesi interpretativa sull’art.23 Cost., in riv.dir.tribut. 2002 i p.921 ss e spec.p.950 ss; 4. g.falcone, Statuto dei diritti del contribuente e Cassazione tributaria, in Fisco 2003 p.2221 ss.

V. La tutela dall’abuso dei decreti legge. 1. g.marongiu, Lo Statuto del contribuente: le sue “ragioni”, le sue applicazioni, in Dir.prat.tribut. 2003 i p.1008 e spec.p. 1016 ss; 2.g.marongiu, Dubbi di legittimità costituzionale sulla nuova disciplina fiscale degli ammortamenti finanziari dei beni gratuitamente devolvibili in Dir.prat.tribut. 2000, i, p.3 ss e g.marongiu, retroattività, affidamento e esigenze di cassa, in Dir.prat.tribut. 2001, ii, p.831 ss

Vi. L’irretroattività. 1. f.moSchetti, il principio della capacità contributiva, Padova Ce-dam 1973, p.325 ss., k.tipke, La retroattività nel diritto tributario, in Trattato di di-ritto tributario, diretto da a.amatucci, Padova, Cedam 1994p.439-441; v.maStroiacovo, i limiti alla retroattività nel diritto tributario, Milano Giuffrè 2004; 2. p. carnevale, “al fuggir di giovinezza … nel doman s’ha più certezza” (brevi riflessioni sul proces-so di valorizzazione del principio di affidamento nella giurisprudenza costituzionale) in Giur.cost. 1999 p.3625 ss; 3. g.marongiu, retroattività, affidamento e esigenze di cassa, in Dir.prat.tribut. 2001, ii, p.831 ss

Vii. La tutela dell’affidamento. 1. f. d’ayala valva, il volto nuovo del fisco.riflessioni sull’attuazionee dell’art. 97 della Corte Costituzionale, in nuovi studi politici, 2003, p.1; 2.f.benatti, Principio di buona fede e obbligazione tributaria, in Boll.tribut. 1986,p.947 ss.; 3. f.benvenuti, Per un diritto amministrativo paritario, in studi in memoria di Enrico Guicciardi, Padova, Cedam, 1975 p.818 ss.; p.virga, Diritto am-ministrativo. i principi, Milano, Giuffrè 1989 p.9 4. g.marongiu, i conti transitori di riassicurazione nella determinazione del reddito imponibile, in Dir.prat.tribut. 1991, ii, p.1388 ss.; 5. f.teSauro, istituzioni di diritto tributario, ii ed. Torino utet 1991, i, p.40; g.falSitta, rilevanza delle circolari “interpretative”e tutela giurisdizionale del contribuente, in Studi in onore di E.allorio, Milano, Giuffrè, 1987; ii, p. 1693 ss.; 6. S.Sammartino, Le circolari interpretative delle norme tributarie emesse dall’ammini-strazione finanziaria, in Studi i n onore di Victor uckmar, Padova Cedam 1997, ii, p.1077 ss; 7. f.d’ayala valva, il principio di cooperazione tra amministrazione e con-tribuente. il ruolo dello Statuto, in riv.dir.tribut. 2001, i, p.915 ss. 8. e.della valle, affidamento e certezza del diritto tributario, Milano, Giuffrè 2001, e.della valle, La

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tutela dell’affidamento del contribuente, in rass.tribut. 2002, p.459 ss, m.c.fregni, obbligazione tributaria e codice civile, Torino, Giappichelli 1998 p.230, a.colli vi-gnarelli, Considerazioni sulla tutela dell’affidamento e della buona fede nello Statuto dei diritti del contribuente, in riv.dir.tribut. 2001, i, p.669 ss., d.Stevanato, Buona fede e collaborazione nei rapporti tra fisco e contribuente, in Lo Statuto cit. p.149 ss.; 9. g.falSitta, Manuale di diritto tributario, pt.g. iii ed.Padova Cedam 1999 p.411; 10. m.logozzo, L’ignoranza della legge tributaria, Milano, Giuffrè 2002 p.220, e.della valle, La tutela dell’affidamento e della buona fede nei rapporti tra contribuente e fisco, in Corr.tribut. 2002 p.3968; 11.v.ficari, La decadenza dell’amministrazione tra disapplicazione del decreto ministeriale che accerta il mancato funzionamento dell’ufficio e Statuto del contribuente, in riv.dir.tribut.2001, ii, p.552; 12. g.marongiu, Statuto del contribuente, affidamento e buona fede, in Corr.trib. 2001 p. 2613; 13. l. del federico, Le garanzie dello Statuto in tema di illecito tributario, in Lo Statuto cit. p.33.

Viii. i principi guida dell’azione amministrativa. 1. l.Salvini, La partecipazione del privato all’accertamento (nelle imposte sui redditi e nell’iva) Padova, Cedam 1990 p.28.

iX. interpello e interpelli. 1. a.comelli, La disciplina dell’interpello: dall’art.21 della legge 413/1991 allo Statuto dei diritti del contribuente, in Dir.prat.tribut. 2001, i, pag.605; 2. m.miccineSi, L’interpello, in LoStatuto cit. p.91, g.marongiu, Spigolature sul diritto di interpello, in Corr.trib. 2002 n.9; 3. e.della valle, i contribuenti non residenti, in Lo Statuto, cit. p.47 ss.; 4. a.uricchio, Lo Statuto e gli enti locali, in Lo Statuto, cit. p.159.

X. La motivazione degli atti. 1.m.beghin, La motivazione, in Lo Statuto cit. p.9; 2.r.miceli, Motivazione per “relationem”: dalle prime elaborazioni giurisprudenziali allo Statuto dei diritti del contribuente, in riv.dir.tribut., i, p.1145 ss.

Xi. La compensazione. 1.m.c.fregni, obbligazione tributaria e codice civile, cit. p.446; 2.a. fedele, L’art.8 dello Statuto dei diritti del contribuente, in riv.dir.tribut.2001, i, p.883, p.ruSSo, La compensazione in materia tributaria, in rass.tribut. 2002, p.1895; 3. f.bruno, i patti di accollo dei tributi alla luce dello Statuto del contribuente, in riv.dir.tribut.2002, i, p.963; 4. p.ruSSo, Manuale di diritto tributarioo, pt.g. Mila-no, Giuffrè 2002, p.63; 5. r.cordeiro guerra, La compensazione, in Lo Statuto cit. p.23.

Xii. Le verifiche fiscali. 1.viotto, i poteri di indagine dell’amministrazoine finanziaria nel quadro dei diritti inviolabili di libertà sanciti dalla Costituzione, Milano, Giuffrè, 2002; 2. S.Sammartino, i diritti del contribuente nella fase delle verifiche fiscali, in Lo Statuto cit., p.125-148; 3. f.d’ayala valva, il contribuente sottoposto a verifiche fiscali e l’intervento del Garante, in riv.dir.tribut. 2003, i, p.179 4. r.Schiavolin, Poteri istruttori dell’amministrazione finanziaria, in D.comm. Xi Torino, 1995, p.196; 5. l. Salvini, La nuova partecipazione del contribuente (dalla richiesta di chiarimenti allo Statuto del contribuente e oltre), in riv.dir.tribut. 2000, i, p.37, r.miceli, il diritto del contribuente al contraddittorio nella fase istruttoria, in riv.dir.tribut. 2001, ii, p.371.

Xiii. il garante del contribuente. 1. f.d’ayala valva, Dall’ombudsman al garante del con-tribuente. Studio di un percorso normativo, in riv.dir.tribut. 2000, p.1037-1119; 2. S.capolupo, Garante del contribuente ed atti degli enti locali, in Fisco 2005, p.3467; 3. l.Salvini, il garante del contribuente, in Lo Statuto, cit. p.107.

XiV. conclusioni. 1. c.Scalinci, Verso una “nuova codificazione”: uno Statuto di principi tra ricognizione, determinazionee clausole in apicibus, in rass.tribut. 2003, p.619