Lo STATUTO dei DIRITTI del CONTRIBUENTE - IL FISCO · all’attenzione, non solo degli operatori...
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CONVEGNO DI STUDI
Lo STATUTO
dei DIRITTI
del CONTRIBUENTE
Aspetti processuali e sostanziali (L. n. 212/2000)
ROSSANO ● 15 MARZO 2008 PALAZZO S. BERNARDINO, SALA ROSSA
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INDICE DELLE RELAZIONI
Avv. Michele Marincolo, Giudice Tributario (CTP Cosenza)..........................................................................4 “Introduzione al Convegno” Prof. Gianni Marongiu, ordinario di Diritto Tributario Università di Genova. .............................................10 “Lo Statuto del contribuente e i vincoli al legislatore”
Prof. Raffaele Botta, Consigliere di Cassazione SS.UU. .............................................................................38 “L’interpretazione dello statuto del contribuente nelle sentenze della Suprema Corte di Cassazione”
Avv. Giuseppe Falcone, già Consigliere di Cassazione SS.UU. ..................................................................49 “L’ interpello e la tutela giurisdizionale del contribuente in ambito statutario” Dott. Antonio Montesano, Notaio in Paola. ................................................................................................63 “La tutela dell’affidamento del contribuente. Profili di rilevanza notarile” Prof. Francesco D’ Ayala Valva, ordinario di Diritto Tributario Università del Molise. ...............................97 “Il garante del contribuente per una buona amministrazione tributaria.”
Avv. Serafino Trento, Avvocato Tributarista del Foro di Rossano. ...........................................................107 “La motivazione degli atti impositivi”
Prof. Antonio Uricchio, docente di Diritto Tributario Università di Bari. ..................................................145 “Le garanzie in materia di illeciti amministrativi e reati tributari”
Avv. Licia Fiorentini……………………………………………… ..........................................................168 “I vizi degli atti tributari e lo statuto del contribuente”
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INTRODUZIONE AL CONVEGNO
AVV. MICHELE MARINCOLO, Giudice Tributario (CTP Cosenza).
La legge n.212 del 27 luglio 2000, più brevemente conosciuta
come “Lo statuto del contribuente”, ha rappresentato un
importante passaggio nel cammino intrapreso dall’amministrazione
finanziaria verso quel processo di cambiamento nel rapporto tra
Stato-cittadino, con l’intento di dare maggiore democraticità e
trasparenza al prelievo fiscale. Un cammino il cui inizio va
sicuramente ricondotto alla legge n. 241 del 7 agosto 1990 (che,
lo ricordiamo, ha introdotto nuove norme in materia di
procedimento amministrativo, di accesso ai documenti e di
semplificazione dell’azione amministrativa). Non a caso
l’articolo 7 dello Statuto, richiama proprio l’articolo 3 della
legge 241 del 1990, elencando tassativamente gli elementi che
l’amministrazione finanziaria deve indicare negli atti ai fini
della motivazione (ancorché tralasci di comminare un’adeguata
sanzione).
Non v’è dubbio che le disposizioni contenute nello statuto
rappresentino una concreta tutela dei diritti economici dei
contribuenti.
Ma, a distanza di otto anni dalla entrata in vigore di questa
legge, sembra lecito porsi una domanda: queste disposizioni
hanno trovato, nel corsi degli anni, effettiva operatività?
Ossia, sono state effettivamente applicate?
Ebbene, la risposta non credo possa essere del tutto positiva;
anzi, al riguardo diverse sono le perplessità ed i dubbi circa
la sua effettiva applicazione.
L’elenco risulterebbe troppo lungo. E’ sufficiente solo rifarci
alle critiche apparse sulla stampa – specializzata e non – di
questi ultimi giorni con riferimento alla recente legge di
conversione del decreto “mille proroghe”, su cui certamente gli
illustri relatori avranno modo di soffermarsi, anche per i
risvolti di rilevanza costituzionale che la legge sicuramente
contiene.
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Pur tuttavia, la consapevolezza che la ratio dello statuto è
rappresentata comunque (per come dicevo) dalla volontà dello
Stato di voler continuare quel percorso di cambiamento nel
rapporto Stato-cittadino, intrapresa con la 241/90, ha spinto
gli organizzatori di questo convegno, a portare l’argomento –
dopo otto anni dall’entrata in vigore della legge –
all’attenzione, non solo degli operatori del diritto tributario,
ma anche e soprattutto della generalità dei cittadini.
Ed, infatti, nello statuto del contribuente c’è una marcata
attenzione del legislatore alle attese del "cittadino-cliente" e
ai criteri di efficienza, di trasparenza e d’imparzialità che
devono necessariamente caratterizzare l’azione amministrativa.
Attese che, però, ripercorrendo questi otto anni, per alcuni
versi, sono andate deluse.
Ed allora, per evitare che il citato cambiamento rimanga
ristretto in ambiti gestionali o procedimentali del diritto
amministrativo e tributario, è necessario compiere
qualcos’altro; è necessario – a mio avviso – che chi è chiamato
a questo compito, svolga un lavoro formativo più efficace e più
incisivo, al fine di favorire una più ampia riflessione sul
diritto che lo Stato ha d’imporre tributi, essenziale, certo,
per la sua sopravvivenza, ma anche sui suoi limiti a fronte dei
diritti di libertà economica dei cittadini, che sono il
presupposto dell’effettiva libertà delle persone e delle
famiglie (cenno alle politiche fiscali di questi anni).
Il prof. Marongiu – per essere stato uno di quelli che più si è
speso per la sua approvazione – ricorderà sicuramente che la
legge 212 era attesa da molto tempo; tanto è vero che il disegno
di legge governativo fu approvato dal Consiglio dei Ministri
nell’agosto del 1996 (Cfr. Senato della Repubblica, atto n.
1286. Va evidenziato che negli ultimi dieci anni si sono
susseguiti numerosi disegni di legge, presentati sia al Senato
della Repubblica — atto n. 1244 del 1994 —, sia alla Camera dei
Deputati: atti n. 5079 del 1990, n. 254 del 1992, n. 1124 del
1992, n. 1125 del 1992, n. 391 del 1994, n. 324 del 1996, n.
4546 del 1998 e n. 4818 del 1998. Il tema ha interessato anche
la dottrina: cfr. Gianni Marongiu, Contributo alla realizzazione
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della "Carta dei diritti del contribuente", in Diritto e pratica
tributaria, vol. LXII, Padova 1991, parte I, pp. 585-636.
E solo dopo quattro anni di discussioni fu licenziato in via
definitiva un testo tuttora in vigore di appena ventuno
articoli, subendo, tra l’altro, durante il cammino parlamentare,
diverse modifiche.
I giudizi di allora, ancorché contrastanti, furono per lo più
positivi.
Chi non ricorda i titoli dei principali quotidiani di
quell’anno: Fisco più umano, pagherà i propri errori (2), Un
Garante del contribuente (3), Maggiori garanzie per i
contribuenti (4), Varato lo statuto del contribuente. Del Turco:
pagherà anche lo Stato (5), Per lo statuto un debutto dimezzato
(6).
Ed a proposito di giudizi, voglio qui richiamare, fra i tanti,
quello espresso dal Consiglio Nazionale dei Ragionieri
Commercialisti, che, nella circolare n. 32 del 2 agosto 2000,
dava atto che la nuova legge fissa "[...] una serie di
disposizioni volte ad assicurare il rispetto dei diritti
fondamentali del contribuente tra cui si possono individuare,
come si legge nella relazione governativa al provvedimento, una
migliore informazione e chiarezza delle norme tributarie,
un’adeguata conoscenza delle conseguenze delle proprie azioni
sul piano fiscale, la speditezza e tempestività dell’azione
fiscale, la semplificazione degli adempimenti e un equo e
regolare svolgimento delle procedure di accertamento" .
Certo, non mancarono anche i giudizi negativi, determinati dalla
mancanza dei decreti di attuazione ma soprattutto dalla sfiducia
di alcuni nella capacità di ricezione e di applicazione, da
parte dell’amministrazione finanziaria, dei princìpi e delle
regole enunciati dalla legge. Ma dobbiamo, però, riconoscere
che, per la prima volta, con lo statuto del contribuente,
vengono raccolte una serie di norme che codificano i diritti dei
contribuenti, interessati all’attività di accertamento e di
riscossione degli uffici fiscali.
Principi, questi, certamente ovvii ed evidenti, dato che sono
già ampiamente disciplinati nella Carta Costituzionale.
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Eppure, c’è chi ha definito tali principi “tanto banali quanto
rivoluzionari”. Evidentemente perché i diritti dei contribuenti
erano stati talmente dimenticati, calpestati e banalizzati da
norme, circolari, sentenze, comunicati stampa, al punto tale da
determinare il legislatore ad avviare una specifica iniziativa
parlamentare che ha portato poi alla emanazione di una magna
carta dei diritti del contribuente: il così detto appunto
“Statuto del contribuente”.
Grazie, quindi, a quella presa di posizione del Legislatore che
oggi possiamo dire che lo Statuto del Contribuente è una legge
dello Stato e quindi una realtà con cui bisogna necessariamente
fare i conti. Una legge che dal punto di vista formale è una
legge – è vero – come le altre, ma che dal punto di vista
sostanziale è sicuramente una legge dal contenuto normativo di
chiaro stampo costituzionale: violare i principi in essa
contenuti vuol dire – a mio avviso – violare la nostra carta
costituzionale.
Si tratta, in buona sostanza, di una legge importante e, per
alcuni versi, molto impegnativa, per la cui effettiva attuazione
ed applicazione è richiesto, da parte di tutti gli operatori, un
quotidiano sforzo culturale.
Il problema è tutto qui.
Questa legge, così come ogni legge, non vale soltanto per quello
che contiene sul piano formale, ma per quanto si radica nella
coscienza dei consociati, per come viene attuata dai
destinatari, che in base ad essa hanno degli obblighi, e anche
per come viene chiesta e invocata da chi in essa trova la fonte
e lo strumento per la difesa dei propri diritti.
E’ questo aspetto che – mi sembra – si debba maggiormente
evidenziare e che riguarda tutti indistintamente (P.A.
contribuenti, operatori del diritto, giudici ecc.).
Si tratta, cioè, di convincersi che una legge di questo tipo,
pur non essendo da sola sufficiente a cambiare le cose,
costituisce però lo strumento per raggiungere una migliore
tutela dei diritti del contribuente.
E’ vero, si potrebbe obiettare: non sono visibili molte sanzioni
nei casi di violazione dello Statuto.
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D’altra parte, si tratta di una legge che enuncia principi
generali, che da un lato individua gli obblighi dei contribuenti
e dall’altro stabilisce i limiti del potere pubblico. Ma
ribadire sempre principi generali, si contribuisce a tenerli
vivi.
Proprio per questo è importante, per la loro effettiva
applicazione, lottare per la loro difesa, sollevare eccezioni
tutte le volte che vengono violati, dinanzi alle Commissioni
Tributarie o più in generale dinanzi agli organi competenti
(penso soprattutto alla figura del Garante – Prof. D’Ayala).
Così facendo, non solo si contribuisce a riempirli di
significato, ma vuol dire anche esserne gelosi custodi e
soprattutto evitarne la desuetudine.
Nel corso della giornata, gli illustri relatori, si
soffermeranno sicuramente sui risvolti pratici avuti
dall’applicazione dello Statuto del contribuente, grazie
all’opera coraggiosa di molti operatori del diritto.
Pensate, per esempio all’eccezione che non manca quasi mai nei
ricorsi e che viene sollevata quasi per abitudine, ossia la
carenza di motivazione degli atti della Pubblica
Amministrazione. Ebbene, c’è voluto l’articolo 3 della legge 241
del 1990 per ribadire questa necessità nei confronti del
cittadino, così come è stato necessario ribadire tale obbligo di
motivazione anche nei confronti del contribuente, quasi non
fosse questi, innanzi tutto, un cittadino.
Eppure, in termini pratici, seppure a fatica, tutto questo si è
tradotto in un obbligo di reale motivazione degli avvisi di
accertamento ed ha portato anche ad un rinnovato “look” delle
cartelle esattoriali, pena la censura in sede processuale da
parte dei giudici tributari.
Quindi, la necessità di rispettare e far rispettare una legge
dello Stato dalla valenza sostanziale rilevante, come quella di
cui oggi ci occupiamo.
Ed a proposito, mi piace fare un parallelo con l’esperienza
della famosa L. 300 del 1970 (c.d. Statuto dei lavoratori), la
cui forza normativa ha caratterizzato il mondo del lavoro degli
ultimi trenta e più anni.
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Ma mentre in quel caso il soggetto forte dal quale “tutelarsi” è
il datore di lavoro, nel mondo tributario lo Statuto del
Contribuente serve a difendere la parte contribuente dalla
“prepotenza” dello Stato.
E’ sicuramente singolare essere costretti ad emanare un
articolato di legge per arginare e limitare la Pubblica
Amministrazione nell’esercizio delle proprie prerogative nei
confronti dei cittadini: qui, infatti, i titolari degli obblighi
sono soggetti di diritto pubblico ed il loro eventuale
inadempimento crea obiettivamente maggiori difficoltà
nell’effettiva applicazione della norma.
E le difficoltà verso una effettiva e piena applicazione della
legge 212, nascono, a mio avviso, proprio dal considerare tale
aspetto.
Non v’è dubbio che, sotto tale profilo, lo Statuto del
contribuente ha subìto dei duri colpi a causa degli attacchi da
parte dello stesso legislatore che, pur avendone concepito la
nascita, ne ha poi, in parte e contraddittoriamente, favorito la
disapplicazione, laddove, nel corso di questi anni, ha emanato
leggi finanziarie addirittura con la seguente espressa
previsione: “alla presente legge non si applicano le norme dello
Statuto del Contribuente!”
L’ultima, in ordine di tempo (lo ricordavo prima), è stata
l’approvazione della legge di conversione del decreto c.d.“mille
proroghe”, di cui è inutile riportare i commenti negativi e
quali siano state le reazioni.
Sono questi, purtroppo, cattivi esempi, dati fra l’altro, già
all’indomani dell’entrata in vigore dello Statuto, che, pur
essendo stati tutti stigmatizzati, di fatto fanno capire la
enorme difficoltà per una effettiva applicazione.
Ed allora è giunto il momento (per i giudici, gli operati del
diritto, gli autorevoli studiosi ed esperti della materia), di
dovere necessariamente incidere sul contenuto normativo delle
singole disposizioni, proseguendo quella azione di resistenza e
difesa cui tutti sono tenuti a continuare per vedere, finalmente
ed effettivamente, attuati tutti i principi stabiliti dallo
Statuto dei diritti del contribuente.
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Ecco, perché (e mi avvio alla conclusione), mi auguro che anche
da questo convegno possa chiaramente venire fuori un invito
forte – direi quasi un’esortazione – da rivolgere a tutti gli
operatori del settore, perché la difesa dei diritti dei
contribuenti sia costante e provenga, prima di tutto, dal
legislatore; così come auspico un’altrettanta costante
attenzione (ed anche fermezza) da parte dei giudici tributari
tutte quelle volte in cui sono chiamati a pronunciarsi sulla
violazione di norme della legge 212 del 2000.
E’ così, infatti, che si educano i destinatari di provvedimenti
di legge a rispettarne il contenuto.
PRIMA SESSIONE
RELAZIONE INTRODUTTIVA
Prof. Gianni Marongiu, ordinario di Diritto Tributario
Università di Genova.
“Lo Statuto del contribuente e i vincoli al legislatore”
1. A metà degli anni “80”, riflettendo sullo stato, non buono,
della disciplina dei tributi si richiedeva, almeno, “una nuova
politica legislativa e della codificazione fiscale".
"La legislazione fiscale non può essere - come è stato dopo la
riforma del 1971-1973 - analitica ed enumerativa, per casi e
sottocasi, soprattutto in un sistema che estende la libertà
contrattuale fino ad ammettere i contratti innominati e dunque
l'uso indiscriminato di strumenti civilistici per ottenere
risultati fiscalmente non previsti o previsti con la minima
incidenza fiscale. Lo sforzo di inseguire e fotografare con
norme fiscali i processi reali dell'economia ha creato un
apparato normativo la cui inutilità è data e segnata proprio
dalla sua espansione e che ormai si avvita nella paralisys by
analysis, con effetti di blocco e di ritardo dannosi per
l'economia. La legislazione fiscale deve essere ricostruita per
principi (come era nel testo unico delle imposte dirette del
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1958). Il corpo normativo deve essere raccolto in un nuovo testo
unico che non può essere una raccolta delle norme esistenti per
i vari tributi ma che deve contenere una parte generale di
regolazione degli istituti generali e, dunque, comuni ai vari
tributi"1.
In sintesi, all’esigenza della semplificazione applicativa e
amministrativa si affiancava l’altrettanto impellente necessità
dell’arresto della profluvie normativa e della stabilizzazione
dell’ordinamento tributario per evitare che le leggi tributarie
si riducessero a dei “palinsesti di norme incapaci di
sopravvivere alla annuale legge finanziaria”2.
La maggiore trasparenza e conoscibilità delle norme, si
soggiungeva, avrebbe, ovviamente, interagito anche sugli
adempimenti formali onde “semplificazione”, “trasparenza”,
“stabilità” divennero la formula sintetica per coloro, che, da
posizioni di minoranza, intendevano agevolare la realizzazione
della pretesa fiscale.
Obiettivi che rimasero tali ancora per alcuni anni se, nella
relazione al Senato a un disegno di legge costituzionale del
1992 (relativo a una possibile “Carta dei diritti del
contribuente”), si legge: “L’attuale sistema tributario è sempre
più condizionato dalle soluzioni, peraltro sempre più precarie e
di emergenza, immaginate dalle forze di governo per far fronte
ai problemi posti dalla “crisi fiscale dello Stato”.
“In tale contesto è opportuno riportare al centro
dell’attenzione l’esigenza di una piena realizzazione dei
diritti dei cittadini nella coscienza che il “contratto sociale”
delle moderne società si regge essenzialmente sul “patto
fiscale”, patto che implica “diritti” e “doveri” reciproci dello
Stato e del cittadino. In tal modo si può meglio comprendere che
praticare una politica dei diritti non significa affatto
trascurare il momento della “responsabilità” individuale o
collettiva. Il presente disegno di legge prospetta quindi una
“Carta dei diritti del contribuente”.
1 La relazione è pubblicata in Il foro it., 1986, V, col. 119. 2 Così G. MARONGIU, Le riforme tributarie a “costo zero” in Riv. trim. dir. pubbl., 1989, p. 378.
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“La nostra proposta di legge mira essenzialmente a mettere
ordine e a restituire correttezza al rapporto tra cittadino e
amministrazione tributaria anche al di là dei limiti in cui ciò
è reso possibile dall’applicazione all’area tributaria dei
principi fissati nella recente l. 7 agosto 1990, n. 241, sul
procedimento amministrativo.
“L’esigenza di realizzazione di una Carta dei diritti del
contribuente appare oggigiorno indiscutibile, specie se si
considera che la legge n. 241 del 1990, nel dettare nuove norme
in materia di diritto di accesso ai documenti amministrativi, ha
espressamente ribadito che la pubblica amministrazione ha
l’obbligo di improntare la propria azione a “criteri di
economicità, di efficacia e di pubblicità”, così come ha
generalmente garantito in maggior misura la tutela dei diritti
civici nei confronti dell’azione amministrativa.
“Il dato principale dal quale occorre muovere è che il vigente
sistema fiscale incentra la fase di accertamento dei
procedimenti tributari sulla attiva ed esclusiva collaborazione
del cittadino-contribuente, sul quale ricade l’onere di
conoscere ed interpretare una normativa vasta, frammentaria e
complessa, fonte pressochè inesauribile di nuovi obblighi e
vincoli di carattere spesso meramente formale.
“Queste difficoltà di conoscenza e di intelleggibilità della
normativa rappresentano la causa prima della mancata
conformazione dell’attività tributaria ai menzionati canoni di
economicità, efficacia e pubblicità, così come la frammentarietà
costituisce una delle principali cause tecniche delle
diseguaglianze fiscali”3.
* * * * * *
2. Dalle descritte esigenze mossero i progetti, ufficiosi4 e
ufficiali5, di redigere uno Statuto dei diritti del
contribuente.
3 Così la relazione di accompagnamento al d.l.cost. 4 gennaio 1992, atto n. 322, primo firmatario il sen. prof. Vincenzo Visco, pubblicata, assieme al testo dell’articolato, in Dir. prat. trib., 1993, I, pg. 240-254 con un’osservazione di G. Marongiu. 4 Si veda G. MARONGIU, Contributo alla realizzazione della “Carta dei diritti del contribuente”, in Dir.prat.trib., 1991, I, pg. 585-636 e Id., Disposizioni sulla legge tributaria in
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Progetto che incontrò difficoltà sempre maggiori quanto più, dal
1996, entrò in una fase decisiva con la presentazione al Senato
(18 settembre 1996) dello schema di legge approvato dal
Consiglio dei Ministri l’8 agosto 19966.
Ebbene, quando le prospettive di un sollecito varo dello Statuto
si fecero concrete7, apparve sull’orizzonte una minaccia ancor
più sottile e subdola delle dure resistenze in specie
burocratiche8, il suggerimento di approvarlo con la veste di una
legge costituzionale.
Evidente era la trappola ove si consideri che l’“iter” normale
di discussione e approvazione è durato quattro anni, dal 1996 al
2000: i tempi si sarebbero raddoppiati e neppure nella
tredicesima legislatura lo Statuto avrebbe visto la luce e,
molto probabilmente, in una stagione (quali sono stati gli anni
dal 2001 al 2005) connotata dall’uso e dall’abuso dei condoni,
l’antitesi dei principi costituzionali, esso sarebbe stato
definitivamente affossato.
Al riguardo è, quindi, opportuno spendere qualche ulteriore
parola perché, anche a Statuto emanato, qualcuno ha lamentato la
mancata adozione di una legge costituzionale e ha denunciato
questa scelta come un limite, foriero del suo immaginabile, e da
qualcuno fosse auspicato, fallimento.
Un autorevole quotidiano economico scrisse: “Lo Statuto
nonostante pretenda di contenere principi generali
dell’ordinamento tributario, come pomposamente si legge nel suo
art. 1, continua a manifestare i suoi limiti … “Limiti che non
si sarebbero manifestati se anziché approvare una legge
purchessia, si fosse seguito il suggerimento di adottare una
legge costituzionale”. generale, ivi, 1994, I, pg. 337 sg. e qui (pg. 366-368) il testo di un elaborato normativo redatto in collaborazione con il prof. Cesare Glendi. 5 Si veda la più risalente proposta di legge 20 dicembre 1990 (n. 5079) in Dir.prat.trib, 1991, I, 198 sg. e poi ancora il disegno di legge citato alla nota 90. 6 Si veda il testo in Corr.trib., 1996, n. 36, pg. 2805 sg. corredato dalla Relazione di accompagnamento. 7 Si veda G. MARONGIU, Contributo alla realizzazione dello Statuto del contribuente, in Tributi, 1999, p. 3. 8 Si vedano G.MARONGIU, Statuto del contribuente: primo consuntivo a un anno dall’entrata in vigore in Corr.trib., 2001, pg. 2069 sg.; e anche F. D’AYALA VALVA, Il principio di cooperazione nello Statuto dei diritti del contribuente, Roma, 2003, pg. 46 sg.
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Una legge purchessia? Era da più di due lustri che si
susseguivano i progetti ma nessuno era mai arrivato in porto
perché lo Statuto incontrava fortissime, seppure sotterranee,
resistenze, anche perché esso, in un mondo popolato di
frettolosi decreti-legge, era un apprezzabile spezzone di
diritto tributario parlamentare.
L’Europa giuridica avrebbe riso e avrebbe tratto amare
conclusioni sull’affidabilità di un paese nel quale per imporre
la motivazione degli atti tributari non basta(va) la legge del
1990, per imporre il principio di buona fede non basta(va) il
codice civile, per introdurre l’interpello non era sufficiente
una legge ordinaria: ci voleva una legge “Costituzionale”!
In realtà, e a ben guardare, non era opportuno
costituzionalizzare neppure i precetti oggi contenuti negli
articoli 3 e 4 perché il divieto assoluto di retroattività e di
spiccare decreti legge in materia tributaria avrebbe costretto
il legislatore ordinario in un inaccettabile e inopportuno letto
di Procuste, esso sì contrario ai principi costituzionali
proprio per l’impossibilità di affrontare anche gli effettivi
stati di emergenza o di porre rimedio a errori o ingiustizie.
Ma, anche a ritenere di dover riconoscere (in astratto) valenza
costituzionale ai precetti contenuti negli artt. 3 e 4, due
sarebbero state le alternative certamente rovinose, o rinunciare
a tutte le norme successive all’art. 4 o scrivere due Statuti,
uno con dignità di legge costituzionale e uno con dignità di
legge ordinaria: insomma uno Statuto di serie A e uno di serie
B.
E’ facile immaginare gli ulteriori sorrisi per un vero
capolavoro del perpetuo bizantinismo.
Una sola è allora la previa conclusione: di fronte a norme nuove
vale la loro qualificazione formale ma soprattutto l’impegno a
studiarle per coglierne tutte le possibili implicazioni.
E lo Statuto merita di essere studiato e applicato (come accade)
perché esso, anche nella sua qualificazione di legge ordinaria
recante “principi”, “si sta dimostrando, per la sua organicità
e, se si vuole, per la sua solennità, un riferimento
interpretativo importante nella prassi amministrativa e
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giurisprudenziale”9 nonché, si può soggiungere, nella crescita
di una consistente e qualificata produzione dottrinaria.
E’ vero, certamente, che il legislatore lo soffre, tende a
svilirlo e a mortificarlo10 ma in ciò sta il segno della sua
vitalità se non altro perché è la misura dello scostamento della
legislazione dai “buoni e corretti principi” e dà fondo e
spessore giuridico, anche in termini di legittimità
costituzionale, a doglianze che, altrimenti, rimarrebbero le
ennesime giaculatorie11.
E peraltro significativo che il 1° agosto 2007 la Commissione
finanze del Senato, presieduta da Giorgio Benvenuto, abbia
votato, all’unanimità, una mozione affinché, nella
predisposizione della “Finanziaria 2008”, Governo e Parlamento
rispettino soprattutto l’intero art. 3 dello Statuto12
* * * * * *
3. In sintesi, e tornando alla genesi dello Statuto, tutte le
esigenze e le istanze sopra ricordate furono rese concrete dalla
legge 27 luglio 2000, n. 212, recante lo “Statuto dei diritti
del contribuente”, che codifica i principi generali
dell’ordinamento tributario mai formulati prima nel nostro
Paese13. Provvedimento talmente importante e innovativo che ha
dato impulso all’esigenza di ridisegnare l’ordinamento
9 Così R. LUPI, Diritto tributario. Parte generale, Milano, Giuffrè, 2005, ottava ed., p. 34. 10 In una intervista a Giorgio Benvenuto, presidente della Commissione finanze del Senato e tenace sostenitore dello Statuto, si legge a proposito delle norme tributarie retroattive: “Abbiamo contato una violazione nella XIII legislatura e 17 dal giugno 2001 all’aprile di quest’anno. E altre sei da quando il centrosinistra è tornato al Governo”; ma lo stesso senatore soggiunge: “Le tasse che retroagiscono sono il risultato del modo convulso con cui si fanno le leggi fiscali in Italia: sulla pelle del contribuente che deve confrontarsi con continue violazioni dei suoi diritti” (così su Il Sole-24 Ore di sabato 25 novembre 2006, p. 25). 11 Sulle violazioni, perpetrate dal legislatore, degli artt. 2, 3 e 4 dello Statuto si veda la relazione della Corte dei conti depositata il 25 maggio 2007 (rel. il consigliere Stefano Siracusa). 12 Si veda Il Sole 24 Ore di giovedì 2 agosto 2007. 13 A commento, anche con ampi riferimenti alla giurisprudenza e alla letteratura, si vedano Lo Statuto del contribuente, a cura di A. FEDELE e di A. FANTOZZI, Milano, Giuffrè, 2006 (di seguito citato come “Lo Statuto, Milano, cit.”); G. MARONGIU, Statuto del contribuente in Dizionario di diritto pubblico, diretto da S. CASSESE, Milano, Giuffrè, 2006; G. MARONGIU, Lo Statuto dei diritti del contribuente nella quinquennale esperienza giurisprudenziale, in Dir. prat. trib., 2005, I, p. 1007 sg.; A. URICCHIO, Statuto del contribuente, in Digesto disc. priv. sez. comm., agg. 11, Torino, 2003, pg. 845 sg.,nonché il volume collettaneo citato nella nota seguente.
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tributario italiano e non a caso esso era esplicitamente
richiamato nella legge delega per la riforma del sistema fiscale
statale (legge 7 aprile 2003, n. 80)14. Certo quest’ultima non è
stata attuata ma in essa, per la prima volta, si prevedeva la
codificazione15 “articolata in una parte generale” e in una
parte speciale e si soggiungeva che “la parte generale ordina il
sistema fiscale sulla base di più principi e tra questi sancisce
che “le norme fiscali, in coerenza con le disposizioni contenute
nella legge 27 luglio 2000, n. 212, sono informate ai principi
di chiarezza, semplicità, conoscibilità effettiva,
irretroattività”.
Traspare, all’evidenza e immediatamente, che la legge del 2000 è
innovativa non solo perchè l’Italia non ha mai avuto uno
“Statuto dei diritti del contribuente” ma perchè esso va ben al
di là di ciò che suggerisce il suo titolo e di ciò che fino ad
oggi hanno attuato Paesi che lo Statuto hanno da tempo.
Non è certamente questa la sede per procedere a una analisi dei
differenti “Statuti”, o “Carte dei diritti del contribuente”,
adottati in Francia nel 1975, in Australia nel 1982, in Canada
nel 1985 e in Gran Bretagna e negli Stati Uniti nel 1988 16. Può
dirsi, peraltro, senza tema di smentite, che, mentre la più gran
parte delle “Carte” degli Stati aderenti all’OCSE è volta a
informare i contribuenti dei loro diritti nel procedimento
amministrativo di imposizione e a garantirli17, quello italiano
va oltre poiché disciplina “anche il modo di legiferare in
14 Per le speranze suscitate dalla cennata legge delega, andate presto deluse per l’inerzia del Governo, proprio nel 2003, in coincidenza con il centesimo anniversario della nascita di Ezio Vanoni, si tenne a Genova, per iniziativa dell’ANTI, un convegno dedicato al commento dello Statuto: i lavori di M. Beghin, R. Cordeiro Guerra, L. Del Federico, E. Della Valle, G. Marongiu, M. Miccinesi, L. Salvini, S. Sammartino, D. Stevanato, A. Uricchio sono raccolti nel volume collettaneo “Lo Statuto dei diritti del contribuente” a cura di G. Marongiu, Torino, Giappichelli, 2004, di seguito citato come “Lo Statuto,Torino, cit.” 15 Si veda G. MARONGIU, Dallo Statuto del contribuente al codice tributario nel ricordo di Ezio Vanoni, in AA.VV., La politica economica tra mercati e regole, Rubbettino, 2005, pg. 237 sg. 16 Si veda OCSE, Droits et obligations des contribuables: description de la situation légale dans les pays de l’Ocde, Paris, 1990. 17 Si veda F. d’AYALA VALVA, Origini e prospettive dell’istituto del garante del contribuente. Riflessioni dopo il primo quinquennio, Padova, 2006, spec. pg. 9-12.
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materia tributaria, costituendo il primo passo verso la
codificazione fiscale”18.
Significativamente l’art. 1 della legge statuisce che le sue
disposizioni costituiscono principi generali dell’ordinamento
tributario e attuazione degli artt. 3, 23, 53 e 97 della
Costituzione.
Infatti, le disposizioni dello Statuto, in quanto dichiarate
principi generali, assumono una particolare collocazione nella
gerarchia delle fonti del diritto19. E’ ben vero che le
disposizioni speciali possono derogare a quelle generali di
principio ma “è altrettanto vero che la specialità della legge
derogativa dei principi deve essere in qualche modo giustificata
sulla base di esigenze particolari e che, inoltre, i principi
forniscono la chiave interpretativa delle disposizioni speciali,
le quali, per quanto possibile, devono essere conformate ai
principi”20.
A maggior ragione, soggiungo, se tali principi costituiscono
l’attuazione di fondamentali precetti costituzionali.
* * * * * *
18 Così si legge nella relazione della VI Commissione permanente della Camera presentata il 20 settembre 1999 dall’on.le prof. G. Marongiu. 19 Per una considerazione della gerarchia delle fonti del diritto, all’interno di una fonte dello stesso grado, si veda RUSSO-DORIA-LENER, Istituzioni delle leggi civili, Padova, 2004 ove (a pag. 13) si legge:”E’ ravvisabile una gerarchia anche nell’ambito di una fonte di un certo grado. Ad es., nel codice civile esistono disposizioni che vengono ritenute fondamentali (c.d. principi) in ragione del loro livello elevato di generalità. Queste disposizioni informano del loro contenuto le disposizioni particolari ed attribuiscono ad esse uno specifico significato. Sono, quindi, gerarchicamente superiori e le disposizioni particolari se vogliono derogare ad esse devono porsi esplicitamente come norme derogatrici di un principio”. Nel testo si sottolinea la particolare importanza della gerarchia delle fonti dello stesso grado, val quanto dire dei rapporti tra diritto generale e diritto speciale: “Il vero è che raramente si pone un conflitto di fonti (per il contrasto tra le norme poste da esse) risolvibile applicando il criterio “gerarchico”. E ciò perché le fonti di grado superiore contengono norme che hanno un campo di applicazione generale mentre le fonti di grado inferiore hanno un campo di applicazione più ristretto, e a volte assai specifico. La fonte di grado inferiore, quindi, non confligge apertamente e direttamente con la fonte di grado superiore, ma opera in concorrenza e in combinazione con quest’ultima in un campo di applicazione specifico. Esistono, poi procedimenti per “adeguare” il significato delle fonti di grado inferiore al significato delle fonti di grado superiore, le quali esplicano la loro incidenza, (la loro superiorità gerarchica) nell’ambito del procedimento di interpretazione della legge”. 20 Così E. RUSSO, La natura negoziale “determinativa” della dichiarazione dei redditi in Riv.dir.civ. 2005, pp. 395-396.
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4. Lo Statuto, coerentemente, nelle sue prime norme, è volto a
garantire una disciplina tributaria scritta per principi,
stabile nel tempo, affidabile e trasparente e perciò idonea ad
agevolare, nella interpretazione, sia il contribuente che
l’amministrazione finanziaria (anch’essa ha ripetutamente e
giustamente documentato difficoltà nell’intendere e nel gestire
un ordinamento “torrentizio”) e a diminuire gli alibi del primo
nel tentare e realizzare comportamenti “evasivi”.
E’, per altro, riduttivo intendere i precetti dello Statuto
(ancorchè esso non abbia natura di legge costituzionale) come
una sorta di manifesto di buone intenzioni, come qualcuno
frettolosamente scrisse, volto a condannare in astratto i
comportamenti non esemplari del legislatore, ma inidoneo a
ostacolarli in concreto per la mancata sovraordinazione dello
Statuto stesso21.
Innanzi tutto,la lettura dei singoli precetti, congiuntamente
con la clausola di autoqualificazione di cui all’art. 1, comma
primo, esprimente la funzione attuativa di determinate
disposizioni della Costituzione, e in particolare degli artt. 3,
23, 53 e 97 Cost. 22, è stata salutata con favore in quanto
“l’intento di orientare in senso garantistico tutta la
prospettiva costituzionale del diritto tributario merita
particolare apprezzamenti alla luce della tendenza costante, fin
qui manifestata dal legislatore, a sfruttare la propria
discrezionalità in materia, fino a farla trasmodare in
arbitrio”23.
Muovendo dalla riconosciuta e lodata connotazione garantista del
complesso delle norme e delle più puntuali disposizioni dello
Statuto, può allora prospettarsi una ricostruzione che non fonda
la vincolatività delle meta-norme su profili formali, ma,
21 Contro questa lettura riduttiva si veda L.PERRONE, Valenza ed efficacia dei principi contenuti nello Statuto del contribuente, in Diritto tributario e Costituzione, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2007, p. 433 sg. 22 Si vedano a commento G.FALCONE Il valore dello Statuto del contribuente in Il Fisco, 2000, 11038 sg. e S. LOMBARDI, Statuto dei diritti del contribuente e teoria delle fonti, in Riv.dir.trib. 2005, n. 2, pg. 165 sg. e qui ampie considerazioni in specie sugli artt. 3 e 4. 23 Si veda C. PINELLI,Sulle clausole rafforzative dell’efficacia delle disposizioni dello Statuto dei diritti del contribuente (l.n. 212 del 2000) in Foro it., 2001, n.5, p.102 sg.
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all’opposto, sulla rilevanza del contenuto, invece che del
contenente, della legge.
Il che sta a significare che le disposizioni dello Statuto
possono fungere da ausilio interpretativo nella lettura degli
stessi articoli della Costituzione in esso richiamati e i suoi
principi possono e debbono rivestire la funzione di un canone
ermeneutico vincolante per l’interprete.
Ebbene è proprio questa l’impostazione della Corte di Cassazione
che dello Statuto ha colto lo spirito e la valenza.
Lo spirito allorquando ha statuito che “il cosiddetto Statuto
del contribuente è uno strumento di garanzia del contribuente
che serve ad arginare il potere dell’erario nei confronti del
soggetto più debole del rapporto di imposta”24 e ancora che “uno
Stato moderno che operi secondo criteri di efficienza e di
coerenza non deve avere timore di porsi su un piede di parità
con il cittadino (non più suddito)”25.
La valenza quando il Supremo Collegio ha affermato e asseverato
la “superiorità assiologica” dei principi dello Statuto26.
Questa è, quindi, la nuova linea interpretativa, e cioè che va
rifiutata, di una norma (si trattava di una norma del processo
tributario), l’interpretazione che la porrebbe “in patente
contraddizione con la ratio del nuovo processo tributario, che è
ispirato alla tutela dei diritti del contribuente (e in
particolare dell’inalienabile diritto di difesa), nel quadro di
una assimilazione ai caratteri del processo civile, nonché con i
principi “forti” che, alla luce della legge n, 212 del 2000,
caratterizzano l’attuale sistema tributario nella direzione di
un “riequilibrio” delle posizioni delle parti in
contraddittorio”: “imporre al contribuente, ha soggiunto il
Supremo collegio, l’impugnazione cumulativa dell’atto successivo
e dell’atto presupposto del quale sia stata omessa la
notificazione, significherebbe privilegiare immotivatamente
l’amministrazione finanziaria, recuperandone in via processuale
l’azione impositiva esercitata in violazione della specifica
24 Così Cass., sez. trib., 21 aprile 2001, n. 5931. 25 Così Cass. sez. trib., 30 marzo 2001, n. 4760. 26 Così Cass., sez.trib., 12 febbraio 2002, n. 17576: si veda amplius al par.
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scansione procedimentale dettata dalle regole di diritto
sostanziale”27
Da questi primi riferimenti emerge, senza tema di smentita, che
sono forti le “rationes” obiettive sottese allo Statuto e anche
quale è la sua specifica incisività.
Esso vuole fare uscire da una stagione negativa nella quale
l’intento “protezionistico” dell’erario lo si trovava nei
provvedimenti legislativi o emergeva prepotente
nell’interpretazione della giurisprudenza guidata da una
malintesa tutela dell’interesse fiscale (in alcuni non rari casi
sarebbe più corretto parlare di “ragione di Stato”) e ciò
accadeva nonostante che una illustrissima dottrina insegnasse,
già decenni or sono, che “niente nell’art. 53 Cost., sta ad
indicare che all’interesse fiscale sia data una qualsiasi
prevalenza nell’ordine dei valori costituzionali”28.
E vi riesce per più ragioni e sotto diversi profili. In primo
luogo le disposizioni dello Statuto, esprimendo una valutazione
del legislatore, un giudizio di valore, rafforzato
dall’autoqualificazione dello Statuto stesso come legge di
attuazione costituzionale, comportano che eventuali deroghe a
tali disposizioni, qualora non siano sufficientemente
giustificate, possono essere censurate sul piano della loro
costituzionalità. In secondo luogo i principi determinati dal
legislatore rappresentano il parametro per l’interpretazione di
altre disposizioni normative che devono essere sorrette dalla
regola espressa dallo stesso principio. Infine, i principi
statutariamente fissati esprimono precetti la cui forza
espansiva trova fondamento nella volontà del legislatore29.
In sintesi, il richiamo agli artt. 3, 23, 53 e 97 della
Costituzione “sta a significare che le prescrizioni dello
Statuto rappresentano, per espresso e autorevole riconoscimento
del legislatore ordinario, il necessario ed equilibrato
27 Così Cass. sez.un., 25 luglio 2007, n. 16412. 28 Così V. CRISAFULLI, In tema di capacità contributiva, in Giur. cost., 1965, spec. pg. 861-862. 29 Si vedano amplius, M. LOGOZZO, L’ignoranza della legge tributaria, Milano, Giuffrè, 2002, spec. pg. 38 e G. TINELLI, I principi generali, in Atti del convegno di Perugia del 10 marzo 2001 in Il fisco, 2001, n. 39, p. 9.
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contemperamento delle contrapposte esigenze di rango
costituzionale che si fronteggiano in materia tributaria”30.
Ed esse, come la concreta esperienza ha subito dimostrato,
esprimendo valori fondanti dell’ordinamento tributario,
collegati a quelli sanciti dalla Costituzione, sono destinate a
orientare sia l’attività interpretativa che la produzione
normativa assicurando nel contempo la sindacabilità dell’unità e
della coerenza dell’ordinamento: anzi, ha deciso il Supremo
Collegio “quando si tratti di leggi in senso sostanziale emanate
dal Governo su delega parlamentare, quando si tratti, cioè, di
“leggi di parte” la lettura costituzionale deve essere più
penetrante31.
* * * * * *
5. Lo Statuto ha inteso attribuire alle proprie disposizioni il
valore di “principi generali dell’ordinamento tributario” e,
come già sottolineato dalla Corte di Cassazione, questa
autoqualificazione “trova puntuale rispondenza nella effettiva
natura della maggior parte delle disposizioni stesse, quale si
desume dal loro contenuto normativo, dal loro oggetto, dal loro
scopo e dalla loro incidenza nei confronti di altre norme della
legislazione e dell’ordinamento tributario, nonchè dei relativi
rapporti”.
A queste specifiche “clausole rafforzative” di
autoqualificazione delle disposizioni stesse “deve essere
attribuito, perciò – soggiunge la Corte smentendo i pavidi e i
conformisti32 – un preciso valore normativo ed interpretativo
sia sé hanno la funzione di dare attuazione alle norme
costituzionali richiamate dallo Statuto sia sé costituiscono
“principi generali dell’ordinamento tributario”.
“Il legislatore, infatti, ha manifestato esplicitamente
l’intenzione di attribuire ai principi espressi nelle
disposizioni dello Statuto, o desumibili da esso, una rilevanza
del tutto particolare nell’ambito della legislazione tributaria
30 Così P. RUSSO, Manuale di diritto tributario, parte generale, Milano, Giuffrè, 2002, 63. 31 Così Cass., sez. trib., 30 marzo 2001, n. 4760. 32 Per una replica ad alcune prime letture scettiche dello Statuto rinvio alla mia noterella apparsa in Corr. Trib., 2001, 2069 sg.
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e una sostanziale superiorità rispetto alle altre disposizioni
vigenti in materia. Nella categoria dei principi giuridici è
insita inoltre – come si desume dal secondo comma dell’art. 12
delle preleggi – la funzione di orientamento ermeneutico ed
applicativo vincolante nell’interpretazione del diritto”.
Ne consegue, insegna ancora la Corte di Cassazione, che,
enucleati, dall’art. 1, primo comma, quattro enunciati – a)
l’autoqualificazione delle disposizioni dello Statuto come
attuative della Costituzione; b) il valore di tali norme, come
principi generali dell’ordinamento tributario; c) il divieto di
deroga o modifica delle norme, in modo tacito; d) il divieto di
deroga o modifica mediante leggi speciali, “Quale che possa
essere l’incidenza dei quattro enunciati normativi contenuti nel
primo comma dell’art. 1 della legge n. 212 del 2000….. è certo,
però, che alle specifiche clausole rafforzative di
autoqualificazione delle disposizioni stesse come attuative
delle norme costituzionali richiamate e come principi generali
dell’ordinamento tributario, deve essere attribuito un preciso
valore normativo”. E poiché “… il tratto comune ai quattro
distinti significati della locuzione “principi generali
dell’ordinamento tributario” è costituito, quanto meno, dalla
superiorità assiologica dei principi espressi o desumibili dalle
disposizioni dello Statuto e, quindi, dalla loro funzione di
orientamento ermeneutico, vincolante per l’interprete”….. “il
dubbio interpretativo o applicativo sul significato e sulla
portata di qualsiasi disposizione tributaria che attenga ad
ambiti materiali disciplinati dalla legge n. 212/2000 deve
essere risolto dall’interprete nel senso più conforme ai
principi statutari”33.
E “questa prescrizione non è diretta soltanto al futuro
legislatore tributario, ma si riflette come criterio
interpretativo sull’esercizio della stessa attività applicativa
dell’interprete, che è chiamato ad applicare quei principi anche
con riferimento a leggi tributarie che non siano state oggetto
33 Così Cass. sez. trib., 10 dicembre 2002, n. 17576, in Giur. it., 2003, I, 2194, con nota di A. TURCHI, e anche Cass., sez. trib., 30 marzo 2001, n. 4760.
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di correzione, vale a dire virtualmente tutte le altre norme
dell’ordinamento tributario”34.
Fondamentale è, quindi, il ruolo dello Statuto
nell’interpretazione delle disposizioni tributarie di rango
legislativo35, così come il Supremo Collegio, con la sentenza
ora citata (Cass. n. 17576), mostra di condividere
l’impostazione secondo la quale lo Statuto contiene disposizioni
volte a orientare in senso garantistico tutta la prospettiva
costituzionale del diritto tributario, “per cui, dopo questa
sentenza, il collegamento tra diritto tributario e diritto
costituzionale appare più stretto e la Costituzione appare più
vicina”36.
* * * * * *
6. In coerenza con il suo impianto, per cui “le disposizioni
dello Statuto costituiscono principi generali dell’ordinamento
tributario” (e quindi di tutto l’ordinamento tributario), l’art.
1 statuisce, al terzo comma, che “le Regioni a statuto ordinario
regolano le materie disciplinate dalla presente legge in
attuazione delle disposizioni in essa contenute”37.
Soggiunge il quarto comma che “gli enti locali provvedono, entro
sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge,
ad adeguare i rispettivi statuti e gli atti normativi da essi
emanati ai principi dettati dalla presente legge”.
In adesione a una delle interpretazioni prospettate in dottrina
sulle conseguenze del mancato adeguamento allo Statuto da parte
delle province e dei comuni, la giurisprudenza ha correttamente
e inequivocabilmente deciso che le norme dello Statuto (nel caso
concreto si trattava della disposizione che ha reso obbligatoria
l’allegazione dell’atto richiamato al provvedimento impositivo)
sono immediatamente applicabili anche agli atti delle
34 Così Cass., sez. trib. 14 aprile 2004, n. 7080. 35 Al riguardo si veda L. MURCIANO, Statuto del contribuente e fonti del diritto tributario: un’ipotesi interpretativa sull’art. 23 Cost., in Riv.dir.trib., 2002, I, 921 sg. e spec, 950 sg. 36 Così G. FALCONE, Statuto dei diritti del contribuente e Cassazione tributaria, in Il Fisco, 2003, 2221 e sg. 37 Lo stesso terzo comma prevede che “Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano provvedono, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, ad adeguare i rispettivi ordinamenti delle norme fondamentali contenute nella medesima legge”.
- 24 -
amministrazioni locali a prescindere dal termine assegnato agli
stessi per adeguare i rispettivi statuti e regolamenti ai
principi desumibili dallo Statuto38.
Soluzione condivisibile, quella per cui “i principi dello
statuto si applicano ai rapporti fra contribuente ed ente
impositore diverso dall’amministrazione finanziaria dello
Stato”39 anche sé molte delle norme dello Statuto non richiedono
alcun adeguamento: così dicasi della informazione del
contribuente (art. 5), dell’effettiva conoscenza degli atti a
lui destinati (art. 6) e dell’interpello (art. 11) in relazione
al quale appare condivisibile l’opinione secondo cui esso trova
applicazione anche per i tributi locali pur in assenza delle
norme regolamentari dettate al riguardo dall’ente locale40.
Ma un rilievo non minore hanno, per i tributi locali, le norme
che sanciscono la motivazione degli atti pretensivi, la tutela
dell’integrità patrimoniale e il rispetto dell’affidamento e
della buona fede41.
Sarebbe, per altro, limitativo ritenere che abbiano concreta
applicazione solo le norme dello Statuto che attengono allo
specifico e concreto rapporto obbligatorio.
Invero dalla qualificazione dello Statuto sopra evidenziata
discendono conseguenze rilevanti anche sotto il profilo della
sua attuazione nell’ordinamento delle Regioni e degli enti
locali.
Quanto alle prime ciò appare evidente alla luce della nuova
formulazione dell’art. 117 Cost.42 secondo il quale “nelle
materie di legislazione concorrente (fra le quali rientra il
coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario)
spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la
38 Così Cass., sez. trib., 22 marzo 2005, n. 6201. 39 Così Cass., sez. trib., n. 21513 del 2006. 40 Così A. URICCHIO, in Lo Statuto, Torino, cit., pag. 179 sg. e anche A. URICCHIO, L’attuazione dell’interpello negli Enti territoriali, in AA.VV., Il diritto di interpello, a cura di G. CAPUTI, Roma, 2003, pg. 233 sg. 41 A quest’ultimo proposito si veda infra ( al par. ) la sentenza della Corte di cassazione che ha applicato detto principio alla Tarsu. 42 Si veda la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 e a commento M.C. FREGNI, Autonomia tributaria delle Regioni e riforma del titolo V della Costituzione in Diritto tributario e Corte costituzionale, cit., p. 477 sg.
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determinazione dei principi fondamentali, riservata alla
legislazione dello Stato”.
Sebbene nel nuovo titolo quinto della Costituzione non si
precisi la portata di tale locuzione, ritenendosi “principi
fondamentali” quelli stabili e univoci in qualche modo legati
alla tutela dell’unità dell’ordinamento giuridico e ricavabili
dai parametri costituzionali”43, può ragionevolmente concludersi
che tra i “principi fondamentali” di cui all’art. 117 Cost.
rientrano le norme dello Statuto del contribuente sia se emanate
in attuazione degli artt. 3, 23, 53 e 97 Cost. sia se “principi
generali dell’ordinamento tributario”44.
Resta da chiedersi se le norme dei regolamenti comunali e
provinciali che si pongono in contrasto con le disposizioni
dello Statuto debbano considerarsi abrogate, sia pure in modo
implicito. Sebbene la legge non rechi una norma esplicita deve
ritenersi che i regolamenti non adeguati ai principi generali
posti dallo Statuto finiscano per essere viziati da
illegittimità sopravvenuta, la quale trascina con sé tutti gli
atti normativi consequenziali. Tale conclusione, si scrive, non
discende, soltanto, dalla collocazione dello Statuto del
contribuente e dei regolamenti comunali su piani diversi nella
gerarchia formale delle fonti, ma soprattutto dalla capacità
condizionante dello Statuto conseguente alla qualificazione di
principi generali delle disposizioni ivi contenute.
* * * * * * *
7. Lo “Statuto” vuole essere, in primo luogo, un piccolo ma
sostanzioso contributo alla chiarezza e alla trasparenza delle
disposizioni tributarie.
E’ un’esigenza, questa, addirittura elementare perchè le norme
tributarie sono troppo spesso incomprensibili a causa dei rinvii
mediante date e numeri a leggi precedenti e, ciò che è peggio,
43 Così F. GALLO, Prime osservazioni sul nuovo art. 119 Cost., in Rass. trib., 2002, p. 596; così mi pare anche A. FEDELE, Appunti delle lezioni di diritto tributario, Torino, Giappichelli, 2005, p. 119 secondo il quale “l’inserzione nello Statuto del contribuente qualifica incontestabilmente la regola dell’irretroattività come principio generale del diritto tributario, operante anche nelle materie di competenza legislativa regionale se non altro come principio di coordinamento” 44 Così A. URICCHIO, in Lo Statuto, Torino cit., p. 175.
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non facilmente identificabili perchè inserite in provvedimenti
che non hanno natura tributaria.
Al riguardo la legge del 2000 ha enucleato, nei quattro commi
dell’art. 2, alcune regole che così sono formulate:
“Le leggi e gli altri atti aventi forza di legge che contengono
disposizioni di carattere tributario devono menzionare l’oggetto
nel titolo e la rubrica delle partizioni interne e dei singoli
articoli deve menzionare l’oggetto delle disposizioni ivi
contenute;
“le leggi e gli atti aventi forza di legge che non hanno un
oggetto tributario non possono contenere disposizioni di
carattere tributario, fatte salve quelle strettamente inerenti
all’oggetto della legge medesima;
“i richiami di altre disposizioni contenuti nei provvedimenti
normativi in materia tributaria si fanno indicando anche il
contenuto sintetico della disposizione alla quale si intende
fare rinvio;
“le disposizioni modificative di leggi tributarie debbono essere
introdotte riportando il testo conseguentemente modificato”45.
Se questo dispone lo Statuto è agevole dedurre il “bene”
protetto, la conoscibilità effettiva degli articolati normativi.
Essa è garantita, in positivo, disponendo la facile
individuazione delle disposizioni tributarie e in negativo
statuendo che i precetti fiscali non possono essere contenuti in
provvedimenti non tributari (è, in altre parole, la garanzia
dell’omogeneità); inoltre, battendo in breccia una prassi
deteriore, si vuole che i richiami di altre disposizioni
legislative devono indicare, seppure sinteticamente, il
contenuto della disposizione richiamata, mentre le norme
modificative di leggi tributarie debbono riportare il testo
modificato.
Evidente, come si diceva, è l’intento perseguito perchè se, da
un lato, sussiste l’esigenza dell’ente impositore di contare su
risorse determinate in tempi certi per consentire alla mano
pubblica di realizzare i propri compiti, dall’altro chi
45 Per la attenta, diffusa, analisi di questi precetti si veda F. VARAZI, Contributo alla certezza della norma tributaria, in Statuto , Milano, cit,, pg. 73-87.
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contribuisce alla spesa deve poter conoscere l’ammontare e le
modalità della propria partecipazione.
E’ questa un’esigenza sottesa anche ad altre norme dello stesso
Statuto tant’è che, secondo l’art. 5, “l’amministrazione
finanziaria deve assumere idonee iniziative volte a consentire
la completa e agevole conoscenza delle disposizioni legislative
e amministrative vigenti in materia tributaria, anche curando la
predisposizione di testi coordinati e mettendo gli stessi a
disposizione dei contribuenti presso ogni ufficio impositore”.
Ma è un obbligo che grava, innanzi tutto, sul legislatore che,
ai sensi dell’art. 2, deve garantire, ai destinatari delle norme
fiscali, la loro individuazione e la loro, non anodina, lettura.
Il che, si badi, costituisce, logicamente, un “prius” rispetto
alla cronica mutevolezza di cui soffre l’ordinamento (si fa per
dire) tributario italiano.
L’art. 2 costituisce un “prius” perchè vuole garantire non solo
norme chiare e intelleggibili ma anche individuabili e
reperibili da parte di chi a quei precetti è chiamato a dare
ampia applicazione, come è, oggi, per il contribuente.
Significativamente la direttiva del Ministro delle finanze 21
settembre 2000 esige che “d’ora in avanti particolare attenzione
sia riservata alla qualità dei testi normativi perchè è evidente
che lo Statuto in questa parte si rivolge sia al Governo che al
Parlamento”; così come la relazione illustrativa del decreto
legislativo recante le disposizioni correttive di leggi
tributarie vigenti46 sottolinea che l’art. 2 è finalizzato “a
rendere immediatamente percepibile per il contribuente la
portata delle modifiche dei testi”.
Orbene, alla luce di queste considerazioni non è facile
individuare cosa può accadere quando il legislatore adotti una
tecnica legislativa in violazione dell’art. 2 dello Statuto.
46 Si veda il d.lgs. 26 gennaio 2001, n. 32, emanato in esecuzione dell’art. 16 dello Statuto che, assai significativamente, ha delegato il Governo a emanare, “entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge, previo parere delle competenti Commissioni parlamentari, uno o più decreti legislativi recanti le disposizioni correttive delle leggi tributarie vigenti strettamente necessarie a garantire la coerenza con i principi desumibili dalle disposizioni della presente legge”.
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Può concludersi, come si è concluso, che la violazione dell’art.
2 non costituisce di per sè una violazione della Costituzione47
o, come altri ha scritto che “il suo valore rimane
prevalentemente “politico” risultando più difficile prospettarne
un utilizzo forte, nei termini di ragionevolezza e di
rovesciamento del favor legittimitatis prima indicati, da parte
della Corte costituzionale”48. Anche se, soggiunge Varazi,
“Sembra possibile ritenere che una violazione dell’art. 2
fornisca elementi per valutare se vi sia una violazione
dell’art. 3 della Costituzione e come tale possa essere causa di
incostituzionalità della normativa tributaria”49.
Resta, però, a chi scrive un dubbio. E’ vero, infatti, che il
dovere di informazione e di conoscenza costituisce, per il
contribuente, diretta esplicazione dei doveri di solidarietà di
cui all’art. 2 Cost. perchè “la Costituzione richiede dai
singoli soggetti la massima, costante tensione ai fini del
rispetto degli interessi dell’altrui persona umana ed è per la
violazione di questo impegno di solidarietà sociale che la
stessa Costituzione chiama a rispondere penalmente anche chi
lede tali interessi non conoscendone posivitamente la tutela
giuridica”50.
Ma è altrettanto vero che l’art. 3, secondo comma, della
Costituzione impone alla Repubblica di rendere concreta la
conoscibilità della legge, rimuovendo gli ostacoli di ordine
economico e sociale che limitano di fatto la libertà e
l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Il diritto
alla conoscenza compiuta e tempestiva della legge, si impone
quale libertà costituzionale strumentale all’esercizio di ogni
altro potere giuridico soggettivo di livello costituzionale51.
47 Così F. VARAZI, Contributo alla certezza, cit., loc. cit., p. 87. 48 Così L. ANTONINI, Intorno alle “metanorme” dello Statuto dei diritti del contribuente, rimpiangendo Vanoni, in Riv. dir. trib., 2001, p. 619 sg. e spec. 632; Antonini, per altro, soggiunge che una maggiore efficacia si potrebbe, invece, ipotizzare nell’ambito del sindacato di costituzionalità sui decreti legislativi qualora, nel silenzio della legge delega, il Governo apportasse delle deroghe alle disposizioni dell’art. 2 dello Statuto”. 49 Così F. VARAZI, op. ult. cit., p. 87. 50 Così Corte cost. 24 marzo 1988, n. 364. 51 Si veda MIRABELLI, Il rischio”da diritto”: il costo dell’incertezza ed alcune possibili economie, in La certezza del diritto, Milano, 1993, pg. 39 sg.
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Per non dire che la libertà economica e la libera iniziativa
imprenditoriale dei privati sono assicurate solo da un sistema
che garantisca la certezza, la prevedibilità e la conoscibilità
della legge.
Orbene, se la pretesa fiscale (come quella sanzionatoria) si
realizza attraverso la legge (art. 23 Cost.)52 ciò comporta che
anche lo Stato legislatore deve rispettare i suoi doveri
costituzionali e, in primis, quelli attinenti alla formulazione
dei precetti, alla loro struttura e ai loro contenuti. Se ciò
implica, per le norme penali, che esse devono essere, tra
l’altro, “chiaramente formulate”, ebbene uguale esigenza deve
valere per le norme fiscali che limitano la proprietà personale.
Lo insegna oggi, (seppure senza averne fatto ancora
un’applicazione concreta) il Supremo Collegio secondo il quale
“l’esame complessivo di queste disposizioni chiarisce che la
correttezza e la buona fede nei confronti del contribuente
debbono essere osservate non solo dall’amministrazione
finanziaria in fase applicativa, ma anche dallo stesso
legislatore tributario all’atto dell’emanazione delle fonti
normative, come emerge in particolare dall’art. 2 che detta i
criteri di chiarezza e trasparenza che debbono essere osservati
nelle disposizioni tributarie53”.
E’ appena il caso di ricordare, qui, come molto spesso
discipline fiscali innovative si rinvengano nei cosiddetti
maxiemendamenti delle cosiddette “finanziarie” di fine anno e
come la dottrina costituzionalistica sia sostanzialmente
concorde nel segnalare da tempo l’illegittimità costituzionale
del fenomeno degli emendamenti – controprogetti specie quando
esso si abbina alla questione di fiducia.
Ancora più recentemente si è denunciata la prassi dei
maxiemendamenti come “indecorosa e spudorata frode alla
Costituzione, avallata dalla compiacenza dei presidenti delle
due Camere” perché “non può essere seriamente contestato che un
articolo composto di 100 commi od oltre (l’autore era ancora
52 Si veda S.CIPOLLINA, La riserva di legge in materia fiscale nell’evoluzione della giurisprudenza costituzionale, in Diritto tributario e Corte costituzionale , cit., pp. 163 sg. 53 Così Cass., sez. trib., 14 aprile 2004, n. 7080.
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ottimista) è un fatto abnorme, sicuramente proposto al solo fine
di aggirare la Costituzione”54
Orbene, tornando al nostro specifico tema, posto, dunque, che lo
Stato, sul versante sanzionatorio, “deve adempiere ai propri
doveri e quindi deve esistere per l’agente l’oggettiva
possibilità di conoscere le leggi penali”, anche per le norme
tributarie il dovere di conoscerle diventa concretamente
possibile se esse si rendono conoscibili55.
L’art. 2 dello Statuto soddisfa, per l’appunto, questa esigenza
e disciplina il contenuto minimo per la individuazione, la
riconoscibilità e la conoscibilità delle disposizioni fiscali;
con la conseguenza che un precetto tributario che non rispetti
lo stesso art. 2 può contrastare con l’art. 23 Cost. perchè ogni
prestazione personale e patrimoniale può essere imposta solo con
una legge conoscibile.
E’ certo che, se anche dovesse dubitarsi della percorribilità
della strada descritta e della relativa conclusione, nessuno
potrebbe essere punito, si intende neppure con una sanzione
amministrativa, per la violazione di una legge o di una
disposizione che non avesse i requisiti di riconoscibilità
previsti dall’art. 2.
Considerato, infatti, che ai sensi dell’art. 10 dello Statuto
“le sanzioni non sono comunque irrogate quando la violazione
dipende da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e
sull’ambito di applicazione della norma tributaria”, a maggior
ragione esse non possono essere applicate quando (non è incerto
il significato della norma ma) addirittura la norma la si è
dovuta scovare dentro “1300” commi di un unico articolo di legge
privo di titolo, di partizioni interne e delle loro specifiche
individuazioni o quando ci si è imbattuti in una disposizione
fiscale contenuta in un provvedimento che di fiscale non ha
nulla, nè nel titolo nè nell’oggetto o quando, infine, come
54 Così G.U.RESCIGNO, L’atto normativo, Bologna, 1998, p. 139 e anche, con ulteriori riferimenti dottrinali, N. LUPO, Il potere di emendamento e i maxiemendamenti alla luce della Costituzione , in Quaderni regionali, rivista quadrimestrale fondata da F. Cuocolo, 2007, n. 1-2, pp. 243 sg. e spec. 261 sgg. 55 Per le espressioni virgolettate si veda ancora Corte cost. 24 marzo 1988, n. 364.
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spesso accade, siano violati il terzo e il quarto comma
dell’art. 2 dello Statuto56.
In questi casi vale il brocardo “ad impossibilia nemo tenetur” e
se si parla di sanzioni è impossibile imputare una qualche
negligenza (dove sarebbe la colpa?) al contribuente il cui
obbligo di informarsi è subordinato all’altrettanto
imprescindibile dovere dello Stato di rendere possibile e
agibile l’informazione.
* * * * * * *
8. Alla luce di queste prime osservazioni appare già
inequivocabile l’intento del legislatore dello Statuto di
dettare alcune regole che valgano a garantire anche la stabilità
e la ponderatezza della legislazione fiscale.
Intento encomiabile, che ha trovato la sua genesi non solo nella
frequenza degli interventi legislativi, non solo nella loro
sovrapposizione ma anche e soprattutto per l'abuso del decreto-
legge.
Ciò spiega il disposto del citato art. 4, che, recuperando la
volontà dei “padri costituenti”, per anni tradita e mortificata,
statuisce che “non si può disporre con decreto legge
l’istituzione di nuovi tributi né prevedere l’applicazione di
tributi esistenti ad altre categorie di soggetti”.
Evidente è l’intento dello Statuto che vuole proteggere
l’interprete-contribuente non solo dal peso di nuovi tributi,
frettolosamente pensati o peggio realizzati, ma anche dall’onere
gravissimo di intendere la nuova disciplina da solo, senza il
conforto di adeguati lavori preparatori, senza l’ausilio delle
relazioni delle Commissioni tributarie (molto spesso
pretermesse), senza la preconoscenza dell’ordito normativo
proprio della burocrazia che, sovente, nei decreti, detta e
scrive le norme che è poi chiamata a interpretare e applicare.
Una solitudine rischiosa perchè ai nuovi precetti si
accompagnano adempimenti applicativi da eseguirsi in tempi
56 Sulla violazione, da parte del legislatore, dello Statuto, e in particolare del suo art. 2, perchè “le Finanziarie sono sempre più spesso caratterrizzate dalla presenza eccessiva di commi e dalla mancata indicazione del contenuto sintetico della disposizione alla quale si intende fare rinvio” si veda la relazione della Corte dei Conti citata alla nota (11).
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ravvicinati all’entrata in vigore del provvedimento e l’errore,
al riguardo, può essere costoso.
Orbene non si intendono riprendere tutte le osservazioni altrove
svolte sulla fisiologica utilizzazione del decreto-legge, che
non mortifica affatto le possibilità di scelta del legislatore
che, aumentando o diminuendo aliquote di tributi esistenti, può
operare scelte di politica economica non incidenti sulla
struttura dell’ordinamento tributario esistente57.
Si intende, però, sottolineare che il precetto contenuto nello
Statuto si apprezza proprio alla luce dell’insegnamento della
Corte Costituzionale per cui “il difetto dei requisiti del caso
straordinario di necessità ed urgenza, anche una volta
intervenuta la conversione del decreto legge, si traduce in un
vizio in procedendo della relativa legge onde l’esistenza dei
cennati requisiti può essere oggetto di scrutinio di
costituzionalità”58: principio, lo si ricorda, che è stato
ribadito con la sentenza n. 341 del 2003, mentre con altre la
Corte ha ritenuto di prescindere da tale questione perchè era da
escludere l’evidente carenza dei su indicati presupposti (si
vedano le sentenze n. 178 e 196 del 2004).
Orbene, ricordato che un diverso orientamento era stato
adottato, ma senza una specifica motivazione, da altre
sentenze59, la stessa Corte, di recente, ha ritenuto di dovere
ribadire il principio affermato nel 1995 per diverse ragioni,
tutte diffusamente argomentate e anche perchè “affermare che la
legge di conversione sana in ogni caso i vizi del decreto
significherebbe attribuire in concreto al legislatore ordinario
il potere di alterare il riparto costituzionale delle competenze
del Parlamento e del Governo quanto alla produzione delle norme
primarie”.
Pertanto, ha concluso la Corte, in un caso in cui ha dichiarato
incostituzionale un precetto contenuto in un decreto-legge
convertito in legge, “occorre verificare, alla stregua di indici
57 Si veda G. MARONGIU, Lo Statuto del contribuente: le sue “ragioni”, le sue applicazioni, in Dir.prat.trib., 2003, I, pg. 1008 sg. e spec. 1016-1026. 58 Così Corte cost. 27 gennaio 1995, n. 29. 59 Si vedano le sentenze n. 336 del 1996 e n. 419 del 2000.
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estrinseci ed intrinseci alla disposizione impugnata, se risulti
evidente o meno la carenza del requisito della straordinarietà
del caso di necessità e d’urgenza cui provvedere”60.
Procedendo in questa analisi la Corte ha precisato che
“l’utilizzazione del decreto-legge non può essere sostenuta
dall’apodittica esistenza delle ragioni di necessità e di
urgenza, nè può esaurirsi nella constatazione della
ragionevolezza della disciplina che è stata introdotta”.
Occorre, invece, riscontrare se le affermate ragioni di
necessità e di urgenza siano riferibili a tutte le norme
contenute nel decreto legge. Nel caso concreto, la Corte -
considerato che nel preambolo di quello oggetto del sindacato i
requisiti previsti dall’art. 77 della Costituzione erano
invocati per emanare disposizioni in materia di enti locali con
particolare riferimento “alle procedure di approvazione dei
bilanci di previsione”, “alle difficoltà finanziarie dei Comuni
di ridotta dimensione demografica” e “al risanamento di
particolari situazioni di dissesto finanziario”, - ha ritenuto
giustificata la più gran parte delle norme ma ha concluso che
“nulla risulta, nè dal preambolo nè dal contenuto degli
articoli, che abbia attinenza con i requisiti per concorrere
alla carica di sindaco” onde “la norma censurata si connota per
la sua evidente estraneità rispetto alla materia disciplinata
dalle altre disposizioni del decreto-legge in cui è inserita”61:
di qui l’incostituzionalità dell’articolo denunciato per
violazione dell’art. 77 Cost.
Alla luce di queste considerazioni ben si può apprezzare la
capacità espansiva del conseguente insegnamento applicato alle
normative tributarie ove, molto spesso, precetti fiscali sono
inseriti in provvedimenti che non hanno un oggetto precipuamente
tributario, ove molto spesso i primi (contenuti in poche e
sparse disposizioni) sono del tutto estranei alla materia
disciplinata dalle altre disposizioni: con il che le ragioni di
necessità e di urgenza possono essere state appalesate ed
60 Per le frasi virgolettate si veda Corte cost., 23 maggio 2007, n. 171. 61 Così ancora la sentenza n. 171 del 2007.
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esistere con riguardo alle “altre” disposizioni ma non a quelle
tributarie.
Oggi i decreti-legge “omnibus”, questi veicoli di trasporto
“multipurposes”, usati spregiudicatamente come strumenti per
veicolare qualsiasi novità, hanno trovato, al fine, un posto di
blocco nel quale è possibile chiedere se “tutte le norme”
trasportate hanno una evidente ed evidenziata ragione di
necessità e di urgenza.
* * * * * *
9. Alla luce di queste considerazioni è certamente legittimo
l’uso del decreto-legge in materia tributaria al fine di
apportare modificazioni non strutturali al relativo ordinamento
come nel caso in cui, sussistendone le condizioni previste
dall’art. 77 della Costituzione, si vogliano modificare le
aliquote di una o più imposte o tasse.
E’ proprio questo che volevano i “padri costituenti” ed è
proprio la loro volontà che nel tempo è stata tradita come
emerge dai lavori della Commissione economica dell’Assemblea
costituente. “Il problema dell’urgenza – si legge nel relativo
rapporto – è certamente un grave e serio problema; ma pare che
alle maggiori necessità che esso affaccia può essere provveduto
entro la linea delle esperienze fatte in tutti i paesi a regime
parlamentare. I decreti catenaccio, cioè i decreti che portano
variazioni di tariffe, che se conosciute in precedenza darebbero
luogo a speculazioni private ingiustificate ed a forme intese ad
evitare l’aggravio, possono essere esplicitamente ammessi nella
Costituzione e fatti oggetto di particolare regolamento inteso
ad assicurarne la sollecita presentazione e discussione al
Parlamento62”.
L’esigenza esposta fu, nel farsi dello Statuto, sentita in modo
così categorico che un disegno di legge costituzionale sanciva
che “il ricorso al decreto legge è consentito esclusivamente per
apportare variazioni alle aliquote di tributi esistenti”63.
62 Così Ministero per la Costituente, Rapporto della Commissione economica, vol. V, Finanza, Relazione, Roma, 1946, p. 20. 63 Così il d.d.l. cost., 4 giugno 1992 (atto n. 322; primo firmatario il sen. V. Visco) pubblicato in Diritto e pratica tributaria, 1993, I, p. 240 sg. e spec. 246.
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Formulazione a ben guardare non tanto rigorosa quanto rigida
perchè nulla può impedire di pensare che, in casi straordinari
di necessità finanziarie, si possa provvedere anche con mezzi
diversi da quello della variazione delle aliquote.
Lo Statuto più opportunamente (non a caso esso non è stato
approvato con legge costituzionale) ha previsto che “non si può
disporre con decreto legge l’istituzione di nuovi tributi nè
prevedere l’applicazione di tributi esistenti ad altre categorie
di soggetti” (così l’art. 4).
Anche questa regola trova la sua origine in una aspirazione
risalente a una fonte autorevole tant’è che nel citato Rapporto
della Commissione economica si legge: “E’ universale il rilievo
che il sistema della legislazione per decreto legge ha creato
una situazione caotica, frammentaria, insostenibile nella
legislazione tributaria; che il normale cittadino con una
normale diligenza non arriva a conoscere tutti gli obblighi e
tutti gli adempimenti che gli sono richiesti dalle leggi
d’imposta, per cui nella confusione e complicazione delle norme
trova un facile alibi per violare anche gli obblighi essenziali
per la buona amministrazione dei tributi; che gli stessi
funzionari della pubblica amministrazione si orientano
difficilmente nella selva selvaggia delle norme tributarie; che
il troppo rapido variare delle regole dei tributi e l’incauta
introduzione di nuove forme d’imposta rinnova continuamente gli
attriti propri delle nuove imposte, irritando le economie,
rendendo instabili gli accomodamenti e gli equilibri dei
rapporti, creando e mantenendo nocive ragioni di incertezza
nelle previsioni degli operatori. In sostanza questi rilievi si
risolvono e si concludono nell’affermazione che il sistema
tributario per essere efficace, e per essere sopportato coi
minori inconvenienti, deve avere un fondamentale carattere di
permanenza nel tempo, in particolare nella sua struttura
formale; e tale permanenza si pensa di realizzare richiedendo
forme rigorose per l’approvazione delle leggi d’imposta”64.
64 Così Ministero per la Costituente, Rapporto della Commissione economica, cit. p. 20.
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Sembrano parole scritte oggi ed invece sono solo profetiche di
una realtà per provvedere alla quale è occorso elevare il
livello degli interventi.
Ebbene la formulazione adottata dallo Statuto non sembra, una
“mera dichiarazione di intenti politici”, come pure è stato
scritto, perchè da un canto non costringe il legislatore in un
letto di Procuste e, dall’altro, consente un sindacato sulla
ragionevolezza delle scelte del legislatore.
Se ex art. 77 Cost. particolare deve essere la necessità, se
straordinario deve essere il caso, se impellente deve essere
l’esigenza, con specifico riguardo alla materia tributaria il
decreto legge può essere utilizzato non solo per provvedere ad
eventuali urgenti necessità finanziarie con le manovre sulle
aliquote di tributi esistenti ma anche istituendo nuove imposte,
a condizione per altro, che siano straordinarie e cioè non
destinate a durare.
E’ il caso, concreto, della c.d. Socof (1983) o della c.d. ISI
(1992), istituite entrambe per un solo anno per fare fronte a
specifiche, eccezionali necessità.
Lo rilevò la Corte, con riguardo all'imposta straordinaria sugli
immobili che essa “costituisce un tributo la cui istituzione,
come emerge dai lavori parlamentari, aveva il fine di reperire
mezzi per il bilancio dello Stato in una situazione economica
del Paese che appariva di notevole gravità, esigendo dai
cittadini sacrifici straordinari per altro limitati a un solo
anno”65.
La legittimità di questo tributo non fu, allora, contestata
sotto il profilo qui considerato ma se questa censura fosse
stata fatta, ad essa avrebbe potuto replicarsi che, per
sopperire alle straordinarie e urgenti necessità della finanza
pubblica, può utilizzarsi uno strumento legislativo non
ordinario, quale è il decreto legge, e quindi con esso istituire
anche un tributo straordinario, destinato a vivere una breve
stagione, quella dell’emergenza. Insomma una sequenza
ineccepibile: esigenze gravi ed eccezionali, strumento
65 Così Corte cost., 5 febbraio 1996, n. 21.
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legislativo derogatorio delle normali competenze, tributo
straordinario.
Non appare, invece, compatibile con il principio statutario
l’istituzione, con decreto legge, di un tributo ordinario perchè
appare contradditorio provvedere con esso a soddisfare
un’esigenza straordinaria e urgente.
In altre parole è legittimo chiedersi se avrebbe potuto essere
istituita per decreto legge, come avvenne nel lontano 1989, la
tormentatissima ICIAP, l’imposta comunale per l’esercizio
d’imprese, arti e professioni (si veda il d.l. 2 marzo 1989, n.
66, convertito con modificazioni della legge 24 aprile 1989, n.
144) perchè essa non era, e non voleva essere, a differenza
della Socof e dell’ISI, sopra ricordate, una imposta
straordinaria e non intendeva fare fronte a una specifica
eccezionale necessità ma si presentava come una modificazione
strutturale e permanente dell’ordinamento tributario comunale.
Al riguardo non sarebbe valsa neppure la constatazione che,
allora, nessuna imposta chiamava a contribuire alle spese
comunali la ricchezza mobiliare, derivante dall’esercizio di
un’impresa, di un’arte, di una professione.
Era così, infatti, da anni, da decenni onde alla lacuna
strutturale dell’ordinamento tributario comunale non si poteva
certo provvedere con un tributo straordinario, transeunte,
confliggente con l’intento perequativo perseguito che era
strutturale e non eccezionale.
Ecco allora la duplice valutazione che avrebbe dovuto farsi (e
che dovrà farsi) in presenza della norma oggi dettata dallo
Statuto del contribuente.
L’intervento con un decreto-legge, nell’esempio fatto, avrebbe
dovuto trovare giustificazione nell’esigenza straordinaria di
intervenire urgentemente a favore della fiscalità comunale (e la
situazione del 1989 offriva ben più di uno spunto) anche con un
tributo; ma la scelta di un tributo ordinario si sarebbe
scontrata con il canone generale che, oggi, in presenza dello
Statuto, ne preclude in via di principio l’adozione.
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In sintesi la disciplina statutaria ha una sua autonoma valenza
che, con riguardo alla materia tributaria, integra il disposto
dell’art. 77 della Costituzione.
Prof. Raffaele Botta, Consigliere di Cassazione SS.UU.
“L’interpretazione dello statuto del contribuente nelle sentenze
della Suprema Corte di Cassazione”
1. Debbo confessare di essere rimasto sorpreso che il tema
assegnato a questo Convegno fosse lo Statuto del contribuente.
Mi sembra, infatti, che questa non sia più un’epoca di statuti,
anzi non sia più un’epoca di diritti.
Dopo le dolorose vicende dell’11 settembre 2001 e quelle che a a
tale avvenimento sono seguite, è iniziato, in tutto il mondo ed
in tutti gli ordinamenti giuridici, un cammino di regressione
dei diritti e soprattutto della tutela dei diritti.
Si è conseguentemente determinato un (forse dai più inavvertito)
rafforzamento degli “elementi di prepotenza” del legislatore e
dei governi, fino ad arrivare a considerare nel novero delle
possibilità l’utilizzo della tortura come mezzo di
interrogatorio.
Questo oscuro percorso di formazione del diritto e della
giustizia lascia, quindi, abbastanza perplessi sulla possibilità
di parlare efficacemente di tutela dei diritti. Ma proviamo a
riflettere ugualmente sulla realtà attuale di almeno uno del
mezzi di tutela che l’ordinamento giuridico italiano, in anni
precedenti a questi dolorosi sviluppi, ha tentato di
predisporre.
2. Il “cosiddetto” Statuto del contribuente, come lo ha
efficacemente definito il Prof. Marongiu nella sua bellissima
relazione, si compone di due parti.
Se si riflette bene sulla prima parte, in particolare ai quattro
articoli iniziali, è abbastanza agevole scoprire che ci si trova
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di fronte ad una sorta manuale del buon legislatore, che sembra,
a mio avviso, perdere parte della sua forza proprio per essere
(riduttivamente) classificato con “statuto del contribuente”.
E’ noto che il legislatore non sopporta vincoli, quasi sempre li
ritiene intollerabili e uno “statuto” che fosse imperativo, sul
piano generale dell’ordinamento (e non solo) per una disciplina
di settore, potrebbe avere conseguenze di rilievo. Per questo
sembra davvero non condivisibile la lettura riduttiva che di
redente la Corte costituzionale sembra patrocinare nei confronti
di detto statuto.
Eppure è difficile dimenticare che proprio la Corte
costituzionale, certo in anni meno recenti, ha “qualificato” una
particolare categoria di norme come principi supremi
dell’ordinamento costituzionale. Un categoria normativa questa
riprende gli esiti di una polemica antica su quale debba essere
la interpretazione del criterio di gerarchia delle fonti.
Alla gerarchia formale delle fonti del diritto la Corte
Costituzionale, con i principi supremi dell’ordinamento
costituzionale, ha voluto associare definitivamente una
gerarchia materiale delle norme giuridiche.
Gerarchia materiale, che non corrisponde ad una sorta di diritto
vivente rafforzata dal diritto di maggioranza (o di prepotenza
della maggioranza). No. E’ qualcosa totalmente altra.
Nella categoria delle norme che possono ritenersi ad altre
sovraordinate nonostante siano dotate della stessa forza
formale, tradizionalmente si colloca il principio di
irreformabilità della Costituzione c.d. “materiale” se non
attraverso lo “spargimento del sangue”, in quanto comporta la
rottura del patto costituzionale che sta a fondamento della
stessa Costituzione.
Nell’attuale testo costituzionale un siffatto principio viene
esplicitato solo con riferimento alla forma repubblicana dello
Stato (art. 139 Cost.), ma in realtà esso è alla base dei
diritti fondamentali della persona e trova una basilare
espressione nell’art. 2, che è stata definita dalla Corte
Costituzionale e dalla dottrina in forma kelseniana come la
Grundnorm dell’ordinamento costituzionale italiano. Una norma
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che esprime un principio di solidarietà che non si può rompere
se non rompendo l’ordinamento.
L’irruzione sulla scena dei principi supremi dell’ordinamento
costituzionale evidenzia l’esistenza all’interno di uno stesso
quadro normativo di norme, come potremo dire, che sono più
costituzionali di altre, nel senso che hanno un superiore limite
di reformabilità. Questo introduce nell’ordinamento un principio
di organizzazione delle fonti in cui, anche all’interno dello
schema della legge ordinaria, fonti formali si possono
affiancare le a fonti materiali.
3. Lo statuto del contribuente si dovrebbe porre all’interno di
questo disegno costituzionale che vede accanto alle norme
costituzionali – peraltro anch’esse organizzate in una loro
interna gerarchia materiale – quelle fonti che sono definiti
leggi “rinforzate”, fonti cioè che hanno una resistenza passiva
all’abrogazione superiore alla propria collocazione secondo la
gerarchia formale.
Lo statuto del contribuente per non essere declassato a “carta
dei servizi” dovrebbe inserirsi in questo quadro. Esso, infatti,
non si prospetta come una “norma sull’organizzazione della
pubblica amministrazione”, ma esprime principi che sono relativi
alla formazione del diritto, vere e proprie norme sulla norma,
cioè norme procedurali che indicano al legislatore il modo di
confezionare le leggi (nel caso di specie, in materia
tributaria).
Ma proprio per questa caratteristica, i principi espressi dallo
Statuto, in particolare quelli che sono codificati nei primi
quattro articoli, dovrebbero trovare una applicazione più ampia
grazie a un lavoro di esegesi che potrebbe spettare alla Corte
Costituzionale.
I problemi che pongono, ad es., le leggi finanziarie di un
articolo con 1800 commi e l’utilizzo continuo del decreto-legge
trovano la propria radice nel malfunzionamento del Parlamento:
il legislatore è costretto a agire così, non è una scelta, il
prezzo è non legiferare addirittura, perché il procedimento
legislativo è spesso utilizzato in modo alterno dalle forze
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politiche come interdittivo del risultato finale: e spesso un
determinato procedimento diviene, come efficacemente ha detto il
professor Marongiu, un tram per portare a destinazione qualcosa.
E’ piuttosto evidente lo svantaggio che ne deriva al cittadino
(e non al solo contribuente): e allora la Corte Costituzionale
dovrebbe avere il “coraggio” di affermare che una legge fatta
così è incostituzionale e basta, perché viola le norme sulla
corretta procedura legislativa, oltre che porre seri problemi di
conoscibilità delle norme da parte del destinatario (problema
tipico delle c.d. leggi omnibus, oggi tanto utilizzate).
4. Il principio di trasparenza, cui l’ordinamento deve
(dovrebbe) rispondere a partire dalla formazione della norma per
giungere fino all’organizzazione dell’amministrazione, è un
principio generale che comporta che la norma sia semplice, che
la norma sia comprensibile, nei limiti in cui sia possibile per
non snaturare la fondamentale funzione di essere contenitore
predisposto a contenere quello che c’è oggi ma anche quello che
ci sarà.
Il diritto è per sua natura qualcosa che segue sempre gli
avvenimenti: il problema sorge prima all’interno della compagine
sociale e il diritto rappresenta una risposta a quel problema.
Occorre che sia una buona risposta, una risposta che abbia anche
una capacità di resistenza (non si effimera, cioè si risolva in
una “legge provvedimento”).
Come ottenere questo risultato è il problema fondamentale dello
Stato, e soprattutto dell’ordinamento dello Stato italiano, che
si può risolvere solo attraverso una approfondita riforma del
procedimento legislativo da porre nella Costituzione, perché è
solo la Costituzione che può efficacemente costituire un limite
per il legislatore, in special modo quando si tratti di una
Costituzione rigida come quella di cui il nostro paese si è
dotato nel processo costituente del secondo dopoguerra.
L’augurio è che i cittadini abbiano sempre la lungimiranza di
non concedere mai a nessuno una maggioranza tale da consentirgli
di cambiare la Costituzione senza ricorrere al patteggiamento
parlamentare con la minoranza, nel luogo deputato alla massima
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mediazione politica. I padri costituenti non a torto hanno
costruito il procedimento di revisione costituzionale chiedendo
la necessità di specifiche maggioranze “aggravate” che possano
impedire la prepotenza assoluta della maggioranza di rifare la
Costituzione a propria immagine e somiglianza (la tentazione c’è
sempre). All’epoca si riteneva impossibile arrivare ad avere
maggioranze tali che consentissero il mutamento della norma
costituzionale: ma oggi, con la polarizzazione che sempre più
sta subendo il sistema politico il problema potrebbe porsi.
5. La legge ordinaria, invece, non riesce a stabilire, come la
vicenda dello Statuto del contribuente mostra, un efficace
limite al legislatore.
Persino la Corte Costituzionale esclude che possa pensarsi, pur
in un caso così particolare, ad una scissione tra forza
“formale” e forza “materiale” della fonte, al punto che lo
Statuto potrebbe non costituire alcun ostacolo ad una diversa
volontà legislativa, pur quando la ratio legis di questa
particolare fonte del diritto – l’intentio che il legislatore vi
ha espresso – svela che la predetta normativa è nata per
costituire un limite invalicabile, o quanto meno non valicabile
mediante il normale processo legislativo, che aspira ad eccedere
la categoria, i contribuenti, per la quale è stata adottata.
Anzi poiché la sfera di applicazione della norma tributaria
risponde al tradizionale principio “no taxation without
legislation”, la scelta di affidare questo messaggio di regole
di comportamento diretto al legislatore ad uno Statuto del
contribuente potrebbe non essere del tutto impropria e avere una
notevole capacità espansiva nel sistema.
Singolarmente la Corte di Cassazione ha riconosciuto alla prima
parte dello Stato la funzione di chiave interpretativa della
seconda parte dello Statuto medesimo, anzi di più: la Corte ha
dato alla parte introduttiva dello Statuto la consistenza di
parametro di valutazione di conformità “quasi costituzionale” di
altre norme tributarie. Qualcosa di simile a quella attività che
il giudice delle leggi da tempo chiede al giudice del merito e
di legittimità: verificare l’esistenza di una possibile
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interpretazione di una norma in senso costituzionalmente
conforme prima di denunciarne il sospetto di incostituzionalità.
Una corretta applicazione dello Statuto, rafforzato da questa
valenza di canone interpretativo riconosciutogli dalla
giurisprudenza della Corte di Cassazione, potrebbe ridurre
l’intervento del legislatore nell’elaborazione di norme
interpretative, che quasi sempre esprimono il “fastidio” del
legislatore per i “risultati” della giurisprudenza nella
applicazione delle norme (di diritto tributario in particolare,
stante la forza cogente delle esigenze di cassa).
Ma la norma interpretativa è la norma più scandalosa
dell’ordinamento. Lo è ancor più in un ordinamento come quello
italiano perché sconta i tempi lunghi della giustizia, sì da
determinare, a seconda della durata di un processo, trattamenti
differenziati di situazioni regolate dalla stessa disposizione
di legge (in un senso prima del sopraggiungere della norma
interpretativa, in altro successivamente all’entrata in vigore
di questa).
Proprio la consapevolezza di questa possibile ingiustizia, ha
determinato il legislatore dello Statuto ad obbligare il futuro
legislatore a dichiarare espressamente il carattere
interpretativo di una norma che egli stesse per emanare: un
rafforzativo dell’opera che può sempre svolgere la Corte
costituzionale negando ad una norma, che pur si dichiari tale,
di non avere i caratteri per essere realmente una norma
interpretativa.
L’idea di un rafforzamento delle tutele è connaturata
all’esistenza di uno statuto che concerna un rapporto
asimmetrico, come è il caso dello statuto dei lavoratori. In
tutti i rapporti asimmetrici c’è bisogno di una maggiore tutela
nei confronti della parte debole: il contribuente è una parte
particolarmente debole, perché l’altra parte – lo Stato – può
addirittura cambiare le regole del gioco in corso, attraverso la
norma interpretativa.
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6. La “seconda” parte dello Statuto è quella che concerne il
rapporto tra contribuente ed amministrazione, un rapporto
presidiato per la ricordata asimmetricità delle posizioni.
Tuttavia, va anche sottolineato che finora la Corte di
Cassazione ha interpretato i principi dello Statuto in una
prospettiva “in negativo” più che “in positivo”: nel senso cioè
di riconoscere ai principi in questione una forza espansiva
verso il passato, ma esclusivamente una cogenza verso il futuro.
Eppure non sarebbe fuor d’opera dubitare che questo tipo di
legge stabilisca norme solo per l’avvenire. Si tratta, infatti,
di una legge che esplicita principi costituzionali, una legge
che chiarisce quello che già c’era nell’ordinamento, quello che
già c’è, è una sorta di norma interpretativa, se vogliamo, di
quello che volevano esprimere le disposizioni di tutela del
contribuente presenti all’interno del disegno costituzionale.
Potrebbe, quindi, ben trattarsi di norme applicabili anche per
il passato, almeno all’interno di determinati confini. In ogni
caso in esse c’è l’individuazione di principi che sono
indicativi di una tutela che vuole essere rafforzata.
Un principio di questo tipo è stato, per esempio, visto
nell’art. 6 che prescrive la conformazione all’ordinamento
comunitario, imponendo all’amministrazione di non potersi
rifugiare in una astratta negazione di aver ricevuto la domanda
che il contribuente asserisce di aver presentato, ma deve dare
prova di questo, potendo addirittura il giudice, ecco qui
entriamo in una prospettiva processualcivilistica, formarsi un
convincimento sulla base del comportamento processuale tenuto
dalla stessa amministrazione.
Ecco, questo contatto, che è continuo nel disegno di riforma,
tra processo tributario e processo civile, mi rassicura sulla
efficacia della tutela del contribuente che può realizzarsi nel
momento dell’esercizio della giurisdizione, la garanzia di una
indipendenza di giudizio che si sviluppi senza “guida”
predeterminata. Per questo sono prudente nel giudicare sui
limiti dell’autonomia della giurisdizione tributaria, nel senso
che mi turba ogni tentativo di creare una distanza tra istituti
processuali civilistici e istituti processuali tributari. Più di
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tutto mi turbano le istanze, anche assai autorevoli, per la
istituzione di una “Cassazione Tributaria”, che mi sembra
somigliare ad una resurrezione della Commissione Centrale e ad
una possibile morte dell’efficace tutela del contribuente, .
La Cassazione rappresenta l’unitarietà dell’ordinamento dello
Stato e minare l’unità della Corte Suprema significa, può ben
significare, ridurre la giustizia tributaria a giustizia
amministrativa (come giustizia del “principe”), significa
regredire nel percorso che tanto faticosamente si è fatto per
portare il processo tributario al livello degli istituti
processuali civilistici.
La Corte di Cassazione si è sforzata di esprimere questa
vicinanza ai principi processuali civilistici, e posso dire che
le soluzioni più nuove e più interessanti per gli istituti
processualcivilistici lo stanno realizzando le Sezioni Unite
proprio prendendo spunto dalla materia tributaria. E’ stato così
per la rilevanza del giudicato esterno ed attualmente una
ordinanza della Sezione tributaria ha posto il problema della
notifica di una sola copia del ricorso ad un procuratore che
rappresenta più parti, ritenendo che la tutela del diritto di
difesa non sarebbe accresciuta in nulla, anche stante l’attuale
tecnologia (fax, fotocopiatrici, ecc.), dalla notifica di più
copie dello stesso atto.
7. Tra gli altri principi dello Statuto credo abbia una notevole
rilevanza il principio di collaborazione, di cui è figlio il
principio di affidamento: la trasparenza, assicurare la
trasparenza, è un problema fondamentale nel rapporto tra
l’ammini-strazione ed il contribuente.
In base a siffatto principio la Corte di Cassazione ha affermato
che: «i tema di contenzioso tributario, nel caso in cui il
contribuente deduca che la prova di una determinata circostanza
a lui favorevole emerge dalla documentazione detenuta
dall’amministrazione finanziaria (nel caso, bollette e documenti
comprovanti l’avvenuto pagamento), quest’ultima è tenuta, in
forza del principio di collaborazione fra P.A. e privati,
confortato dalla legge n. 212/2000 che ha dettato le
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disposizioni in tema di statuto del contribuente (da cui deriva
una diversa ricostruzione dei loro rapporti anche in materia di
distribuzione dell’onere della prova), a pronunciarsi in maniera
espressa e non generica sull’effettivo possesso degli atti in
questione, potendo in caso contrario il giudice desumere
argomenti di prova dal suo comportamento omissivo» (Cass. n.
21512 del 2004).
Tutto ciò non è forse una conseguenza, uno sviluppo se si vuole,
dei principi espressi dall’art. 97 Cost.? La Corte
costituzionale non ha mancato, ad esempio, di sottolineare che
l’osservanza, sul piano comunitario, dei principi di parità di
trattamento, di non discriminazione, di proporzionalità e di
trasparenza, sul piano interno, costituisce attuazione delle
stesse regole costituzionali della imparzialità e del buon
andamento, che devono guidare l’azione della pubblica
amministrazione ai sensi dell’art. 97 Cost. (v. Corte cost. n.
401 del 2007): un orientamento, a ben vedere, non molto diverso
da quello adottato dalla Corte di Cassazione
nell’interpretazione del principio di collaborazione stabilito
dallo Statuto del contribuente. Un orientamento capace di
ridurre efficacemente l’amministrazione ad interpretare il ruolo
di una delle parti del processo, con il conseguente
accrescimento della sfera di tutela del contribuente.
Nella stessa direzione mi sembra si muova la Corte di
Cassazione, quando, a Sezioni Unite, ha affermato che «la
circolare con la quale l’Agenzia delle entrate interpreti una
norma tributaria, anche qualora contenga una direttiva agli
uffici gerarchicamente subordinati, esprime esclusivamente un
parere dell’amministrazione non vincolante per il contribuente»
(Cass. S.U. n. 23031 del 2007). La circolare esprime la
“dottrina dell’am-ministrazione”, ma non è (e non equivale a)
una norma.
8. Al principio dell’affidamento che emerge dal principio di
collaborazione è strettamente connesso il principio, anch’esso
espresso dallo Statuto, della chiarezza della motivazione degli
atti, perché il contribuente ha diritto a conoscere la pretesa
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tributaria nei suoi esatti confini, per poter efficacemente
esercitare il diritto fondamentale alla difesa.
Una importante presa di posizione in tema di principio di
affidamento, mi sembra che la Corte di Cassazione l’abbia
adottata con la sentenza n. 1231 del 2007, che riprende una più
risalente decisione (la n. 17576 del 2002): «In tema di condono
fiscale, con riguardo alla chiusura delle liti pendenti prevista
dall’art. 2-quinquies del d.l. 30 settembre 1994, n. 564,
convertito nella legge 30 novembre 1994, n. 656, la previsione
della natura perentoria del termine, di cui all’art. 6, comma 3,
del regolamento reso col d.P.R. 28 settembre 1994, n. 591, per
la comunicazione, da parte dell’ufficio, dell’insussistenza dei
presupposti per la definizione, con conseguente decadenza
dell’amministrazione finanziaria dall’esercizio del potere di
reiezione dell’istanza di condono, oltre a non essere contenuta
nella norma regolamentare, non si ricava dalla disciplina
legislativa della materia, nella quale non si riscontra alcun
limite temporale alla comunicazione sull’istanza del
contribuente. L’osservanza del termine posto dal comma 3
dell’art. 6 del regolamento è, del resto, espressamente esclusa,
dal successivo comma 6, per le istanze relative a liti fiscali,
come quella oggetto della controversia di specie, di valore
superiore a lire 20 milioni. Una volta venuta meno la necessità
per l’amministra-zione di osservare il detto termine
regolamentare, in presenza di una comunicazione tardiva
sull’istanza di condono proposta, non è configurabile la
violazione del principio di affidamento del contribuente di
fronte all’azione dell’ammini-strazione finanziaria, ai sensi
dell’art. 10, commi 1 e 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212,
il quale dà luogo ad una situazione tutelabile quando sia
caratterizzata: a) da un’apparente legittimità e coerenza
dell’attività dell’Amministrazione finanziaria, in senso
favorevole al contribuente; b) dalla buona fede del
contribuente, rilevabile dalla sua condotta, in quanto connotata
dall’assenza di qualsiasi violazione del dovere di correttezza
gravante sul medesimo; c) dall’eventuale esistenza di
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circostanze specifiche e rilevanti, idonee a indicare la
sussistenza dei due presupposti che precedono».
Ma ancor più importante potrebbe rivelarsi, per quanto ho prima
detto in ordine alla possibile estensibilità in senso
retroattivo dell’applicazione dei principi dello Statuto,
l’affermazione che la Corte di Cassazione ha fatto nella
sentenza n. 5951 del 2007: «Nel processo tributario, il ricorso
avverso un avviso di mora, emesso dal concessionario per la
riscossione, che venga notificato all’ufficio non competente,
ricorrendo l’ipotesi, prevista dall’art. 6 del d.P.R. 26 ottobre
1972, n. 644, di costituzione in una medesima circoscrizione
territoriale di due distinti ed autonomi uffici distrettuali
delle imposte dirette, assegnatari di differenti servizi, non
può essere ritenuto inammissibile. Ciò in quanto, considerato
che l’atto impugnato non conteneva nella specie alcuna
indicazione nominalistica dell’ufficio finanziario, ritenere
inammissibile il ricorso si porrebbe in contrasto con il
principio della tutela del legittimo affidamento del cittadino,
ora codificato, in materia tributaria, dalla legge 27 luglio
2000, n. 212, ma già costituente, alla luce degli artt. 3, 23,
53 e 97 Cost., un principio fondamentale dell’ordinamento,
vigente anche a prescindere, ed oltre, la portata della
normativa del 2000, ed idoneo ad orientare la soluzione di
questioni, come quella di specie, basata su formalistiche
distinzioni di servizi esplicati nel medesimo settore
impositivo».
Come si vede nell’orientamento della Corte di Cassazione, a
differenza di alcuni segnali di significato incerto che vengono
dalla Corte costituzionale, sembra prevalere l’apertura verso
una lettura dello Statuto costituzionalmente orientata in un
senso forte e non in un senso debole. Vedremo quali saranno i
risultati nel futuro.
E’ certo comunque che lo Statuto del contribuente rimane un
complesso di norme che costituisce un esempio di quello che si
dovrebbe fare per migliorare il processo di formazione
legislativa e la tutela del cittadino dalle tentazioni di
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prepotenza del legislatore e delle maggioranze politiche
temporanee.
Lo Statuto del contribuente è un’esperienza positiva
dell’ordinamento giuridico italiano.
Avv. Giuseppe Falcone, già Consigliere di Cassazione SS.UU.
“L’ interpello e la tutela giurisdizionale del contribuente in
ambito statutario”.
1.L’interpello.
Nell’ambito dello Statuto, l’interpello è probabilmente
l’istituto che ha suscitato il maggiore interesse pratico. Basti
pensare che dal giugno 2001 e fino alla fine del 2005 l’Agenzia
delle Entrate ha dato risposta tempestiva a ben 34.424
interpelli ordinari ed ha reso così un servizio sicuramente
apprezzato dai contribuenti.
Presupposto per esercitare il diritto di interpello è che vi
siano obiettive condizioni di incertezza sulla corretta
interpretazione e applicazione di disposizioni tributarie a casi
“concreti e personali”. L’art. 11 dello Statuto richiede che
l’istanza di interpello venga fatta in maniera “circostanziata e
specifica”. Questo vuol dire che l’esposizione del fatto, o del
comportamento da tenere, assume grandissima importanza al fine
di consentire l’individuazione della norma che deve essere
applicata, nonché il suo ambito di operatività.
Va subito evidenziato che con l’interpello si risolvono soltanto
questioni di diritto attraverso la qualificazione dei fatti e
dei comportamenti che vengono prospettati (comportamenti che non
sono stati ancora tenuti e che si intendono porre in essere). La
risposta che l’Agenzia fornirà non è idonea ad accertare fatti.
Questo è compito che fuoriesce dall’interpello e compete
all’Amministrazione in sede di accertamento.
Di recente, è stato escluso l’utilizzo dell’interpello nel caso
di determinazione del “valore normale” di alcuni immobili (ris.
N.170/E del 13 luglio 2007- Agenzia delle Entrate), sul
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presupposto che a seguito delle modifiche apportate dall’art.
35, comma 2 D.L. n.223/06 (c.d. manovra Prodi), a favore
dell’Ufficio esiste ormai una presunzione relativa, spiegata
anche nella circolare n.6/E del 06.02.2007, basata su una serie
di elementi la cui presenza consente di considerare il
corrispettivo indicato nell’atto come non corrispondente al
prezzo effettivamente pagato. Forse è opportuno segnalare che in
questa materia il contenzioso è destinato ad aumentare in
maniera sensibile per effetto delle presunzioni che le norme
recenti hanno introdotto nelle compravendite immobiliari nel
tentativo di agevolare l’azione accertativa ancorata al c.d.
“valore normale”. Si deve convenire sulla esattezza di questa
risoluzione poichè la ricognizione (o la ricostruzione) dei
fatti non può costituire oggetto di istanza o di risposta di
interpello, costituendo questo solo uno strumento di attività
consultiva dell’Amministrazione in ordine alla interpretazione
delle norme tributarie, e non potendo essere utilizzato per
ottenere una forma di salvacondotto sulle prove che si intendono
utilizzare nel giudizio.
L’interpello è sicuramente uno strumento preventivo, ma non si
può negare che esso venga usato anche quando il contribuente ha
già applicato delle norme, ma è ancora nei termini per
esercitare altre attività giuridicamente rilevanti, quali per
esempio una dichiarazione integrativa e forse anche un
ravvedimento operoso. La conoscenza del pensiero
dell’Amministrazione può essere utile al contribuente che ha
ancora dei margini di tempo per correggere la sua impostazione
iniziale su una questione che si presta a soluzioni differenti,
previo utilizzo di strumenti previsti dall’ordinamento.
La risposta all’interpello ha il valore di un parere e non
costituisce esercizio di potestà impositiva nei confronti del
richiedente. Essa vale esclusivamente per il contribuente che ha
formulato l’interpello, tranne il caso in cui un numero elevato
di contribuenti abbia prospettato la stessa questione a fronte
della quale può essere emanato un atto generale che, quanto a
vincolatività, avrà lo stesso valore giuridico e gli stessi
effetti di una risposta singola.
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Il valore particolare della risposta in sede di interpello
consiste nel fatto che l’Amministrazione è vincolata a tenere
ferma quella risposta, anche se essa dovesse risultare poi –re
melius perpensa- inesatta o errata. La norma prevede, infatti,
la nullità di un provvedimento impositivo o sanzionatorio emesso
in contrasto con la risposta. E’ chiaro che qui la norma fa
prevalere il principio dell’affidamento sul principio di
legalità mentre, al di fuori dell’interpello, nel caso in cui
l’Amministrazione modifichi il proprio orientamento espresso in
altri atti (per esempio in una circolare), prevale il principio
di legalità nel senso che, il contribuente che si sia adeguato
alle indicazioni contenute nella circolare, non pagherà gli
interessi e le sanzioni, ma dovrà pagare l’imposta se
l’Amministrazione manifesta una opinione diversa rispetto a
quella già manifestata. Sia la norma che prevede gli effetti
dell’interpello, e sia la norma che tutelano l’affidamento sono
norme eccezionali e non possono valere oltre i casi in esse
previste.
La mancata risposta nel termine di 120 giorni fa formare il
silenzio-assenso, valido ovviamente nell’ambito del
comportamento descritto nell’istanza. Pare che fino a questo
momento l’Amministrazione abbia sempre dato una risposta.
Il contribuente è libero di accettare la risposta e di
conformare il proprio comportamento ad essa o di disattenderla.
Se si adegua, otterrà una stabilizzazione degli effetti del
rapporto poiché l’Ufficio non potrà più porre in discussione la
soluzione data.
Ritengo che non ci sia la possibilità di impugnare una risposta
che dichiari l’inammissibilità dell’interpello posto che una
tale impugnativa non è prevista da nessuna norma.
-
2.La tutela del contribuente in ambito statutario.
La legge n.212/2000 è intitolata “Disposizioni in materia di
statuto dei diritti del contribuente”.
Il termine statuto fa pensare ad un complesso di norme formulate
per meglio individuare e per meglio tutelare i diritti di una
categoria di soggetti.
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Se lo statuto riconosce situazioni di favore per alcuni
soggetti, in quello stesso momento pone a carico di altri
soggetti una serie di obblighi, il cui adempimento è dato spesso
come un fatto abbastanza generalizzato e prevedibile. Con uno
strumento di questo tipo in effetti si da visibilità normativa
ad orientamenti in linea di massima abbastanza condivisi e
diffusi, o quantomeno auspicati dalla gran parte della gente,
orientamenti che anche a seguito di un riconoscimento esplicito
tendono a diventare un costume. Questo è avvenuto per lo statuto
dei lavoratori che è divenuto patrimonio comune, ormai
tendenzialmente irreversibile, anche se è contenuto in una legge
ordinaria.
La differenza tra i due statuti è che mentre i datori di lavoro
sono soggetti privati, che prima o poi pagano il prezzo di un
inadempimento, nel caso dello statuto del contribuente, le
controparti sono soggetti pubblici, che storicamente hanno
goduto e godono (almeno il legislatore) di un potere di
supremazia e di una sostanziale impunità. Basta pensare che il
legislatore tributario è alla ricerca di un equilibrio fin dagli
anni settanta. Da una parte vi è un livello di evasione molto
alta, e dall’altra vi è una pressione altrettanto alta nei
confronti di chi è conosciuto dal Fisco. Da alcuni anni buona
parte del dibattito politico ruota attorno al problema
tributario proprio perché in questo settore si riscontrano le
più grosse ingiustizie che toccano i cittadini nella
quotidianità. La speranza è che le regole dello statuto, proprio
perché esprimono valori di civiltà, vengano sentite come proprie
non solo dai contribuenti, ma anche da chi deve applicarle,
rispettarle e farle rispettare, sempre che questi soggetti si
convincono che questa è la strada maestra.
Al di là della singola norma, lo statuto deve orientare la
giurisprudenza del futuro, come è stato scritto nel 2000 da un
giurista insigne, Vincenzo Carbone, che all’epoca è stato
presidente presso la Sezione Tributaria, e che da un anno è
Primo Presidente della Cassazione. Nell’articolo apparso su
Guida Normativa del 14.12.2000, Carbone significativamente ed
incisivamente ha scritto che ““Lo statuto del contribuente può
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avere un impatto importante sul diritto tributario, ma perché
ciò avvenga occorre che contribuenti, difensori e interpreti se
ne facciano paladini invocandone l’applicazione e
l’interpretazione da parte dei giudici. Il problema è
l’acquisita consapevolezza della rilevanza dello statuto come
tale, anche se nel caso concreto si invoca una singola,
specifica disposizione. Bisogna evitarne la frammentazione che
accrescerebbe la debolezza dello statuto, aumentando il degrado
di un diritto già eccessivamente casistico, per puntare, invece,
come in un puzzle sulla norma relativa al caso di specie
cogliendo contestualmente lo spirito dell’intero statuto che
tiene insieme le varie parti: dalla tessera musiva si risale al
mosaico. Se attraverso l’interpretazione dei giuristi lo statuto
decollerà, lo dovrà non alla fortuna di una o più disposizioni,
ma al successo della ratio di una tela ordinamentale, percepita
e vissuta come tale: lo statuto che sancisce la tutela del più
debole, meritevole di protezione da parte dell’ordinamento. E’
il percorso di un’idea portante, la tessitura dell’intero
statuto, accompagnata dalla consapevolezza che si può resistere
all’invasione degli eserciti, ma non si resiste all’invasione
delle idee e delle esigenze come la tutela del contribuente di
fronte al Fisco, in un rapporto che ricorda Davide di fronte a
Golia””.
Ecco, a distanza di circa otto anni, le parole del Presidente
Carbone manifestano la loro attualità. Oggi, però, forse si
stanno manifestando anche le difficoltà a fare valere i diritti
scritti nello Statuto, quando la controparte è lo Stato
legislatore, che nella sua posizione di supremazia diverse volte
ha rinnegato quanto aveva scritto nel 2000. Occorre riconoscere
che la Cassazione da subito ha fatto e continua a fare
egregiamente la sua parte, come è emerso dalla relazione
dell’illustre Consigliere Raffaele Botta. Bisogna auspicare che
questa tendenza possa contagiare anche altri livelli
dell’ordinamento, che hanno la capacità di apprezzare sul piano
culturale i valori espressi dallo statuto, anche essi se non
hanno l’involucro della legge costituzionale, ma a quelle norme
hanno voluto dare attuazione.
- 54 -
-
2.1.La tutela delle situazioni giuridiche nell’ambito
statutario.
Nello statuto del contribuente ci sono norme che assegnano
posizioni di diritto soggettivo (la cui tutela è assegnata ai
Giudici Tributari), norme che assegnano genericamente posizioni
di interesse legittimo (e per queste, almeno a livello di atti
generali, la tutela è riservata dall’art. 7, ultimo comma al
Tar), ci sono norme (a mio avviso le più significative e le più
importanti) che riconoscono solo un interesse di fatto e
diffuso, collegato al diritto di cittadinanza (per alcune di
queste la tutela è assegnata al Garante e per altre la tutela
resta affidata o alla Corte Costituzionale o al self restraint
del soggetto passivo).
Per il primo tipo di norme, portatrici di diritti soggettivi ed
affidate alle cure dei Giudici Tributari, pensiamo ad esempio al
principio della obbligatorietà della motivazione, ormai
generalizzata e intesa come strumento che legittima in senso
democratico l’esercizio del potere di accertamento e
sanzionatorio, e la cui violazione comporta sicuramente la
nullità dell’atto.
-
Per il secondo tipo di norme, portatrici di interessi legittimi,
ed affidate alle cure dei Giudici amministrativi, pensiamo ad
esempio alla corretta applicazione dei procedimenti previsti per
l’emanazione degli studi di settore, del redditometro, di atti
generali nelle materie più varie (per ultimo, si veda il
decreto ministeriale in tema di determinazione del valore
normale degli immobili).
Qui, in verità occorre soffermarsi un momento.
L’art. 7, comma 4, dello Statuto ha previsto che la natura
tributaria dell’atto non preclude il ricorso agli organi di
giustizia amministrativa, quando ne ricorrano i presupposti.
Sembrava, in base a questa norma, che anche atti aventi natura
individuale, allorché lesivi di interessi legittimi,
appartenessero alla giurisdizione del giudice amministrativo.
Poi, nel 2001 è stato modificato l’art. 2 del D.Lgs. n.546/1992
- 55 -
ed è sembrato che sia stata creata una giurisdizione esclusiva a
favore dei Giudici Tributari. Poi, nel 2006, il fermo
amministrativo e l’iscrizione di ipoteca (che costituiscono
tipici atti discrezionali) sono stati assegnati alle Commissioni
tributarie.
Intanto, è necessario richiamare le sentenze emesse dalle
Sezioni Unite della Cassazione in tema di autotutela (sentenze
nn.16776/05, 7388/07, 22245/06). Il Supremo Collegio ha
confermato la creazione di una giurisdizione esclusiva anche per
gli atti discrezionali, ed ha spostato il problema sulla
proponibilità della domanda, e quindi sulla impugnabilità
dell’atto di cui si discute.
Al Giudice amministrativo restano sicuramente gli atti generali
(cfr. in questi sensi SS.UU. sent. n.16428/07) che tanta
importanza stanno assumendo nel diritto tributario da quando
sono state introdotte massicciamente le presunzioni, che la
riforma degli anni 70 aveva lasciato ai margini del sistema,
avendo operato una scelta più garantista che poi –purtroppo per
la storia italiana- non è stata attuata con la necessaria
determinazione.
A questo punto, è indispensabile richiamare una sentenza molto
recente delle Sezioni Unite in tema di impugnabilità delle
circolari, sentenza redatta dal qui presente Prof. Botta nella
quale è stato formulato il seguente principio di diritto ““La
circolare con la quale l’Agenzia delle Entrate interpreti una
norma tributaria, anche qualora contenga una direttiva agli
uffici gerarchicamente subordinati perchè vi si uniformino,
esprime esclusivamente un parere dell’amministrazione non
vincolante per il contribuente, e non è, quindi, impugnabile né
innanzi al giudice amministrativo, non essendo un atto generale
di imposizione, né innanzi al giudice tributario, non essendo
atto di esercizio di potestà impositiva””. Su questa base, il
Supremo Collegio ha dichiarato il difetto assoluto di
giurisdizione ed ha cassato senza rinvio. Ritengo di dovere
condividere in pieno e senza riserve i principi affermati in
questa sentenza che –pur ribadendo orientamenti già formulati in
precedenza- ha il pregio di avere con estrema lucidità
- 56 -
ricondotto l’attività dell’Amministrazione nei suoi giusti
limiti assegnando alla circolare il valore di documento di
parte, senza altri ulteriori significati paranormativi. Mi piace
riferire un passaggio specifico che rende molto bene il senso
del principio di legalità, al quale ognuno deve attenersi in
materia tributaria. Si dice nella sentenza che se (la
interpretazione contenuta nella) circolare è errata, l’atto
emanato in difformità sarà legittimo perché è conforme alla
legge, se invece la (interpretazione contenuta nella) circolare
è corretta l’atto emanato in difformità sarà illegittimo per
violazione di legge. Anche per questa via, emerge un principio
al quale sono molto legato: quello che conta, ai fini di
assegnare valore ad un atto, non è la veste giuridica che esso
assume, ma è la validità intrinseca del pensiero che esso
esprime.
Allora, per concludere sul punto, al giudice amministrativo oggi
sono riservate le posizioni di interesse legittimo derivanti
dalla approvazione dei regolamenti, dei Decreti Ministeriali,
degli atti generali quali gli studi di settore, o degli atti
aventi un valore impositivo generale, quali quelli di
determinazione dei valori degli immobili o di altri beni, fatte
a livello centrale ed in via generale ed astratta. Questo
giudice ha il potere di annullamento dell’atto amministrativo,
mentre il giudice tributario ha il potere di disapplicazione
dell’atto ritenuto illegittimo.
Il sistema di tutela che ne esce è senz’altro abbastanza
completo posto che un provvedimento, se è lesivo di una
situazione giuridica, potrà essere annullato dal giudice
tributario se ha natura tributaria o disapplicato da questi se
ha natura amministrativa, e annullato dal Giudice
amministrativo, se si tratta di atto generale.
-
Per il terzo tipo di norme, quelle che sono collegate al diritto
di cittadinanza e che dovrebbero servire a contribuire a creare
una migliore qualità della vita perché trattano di questioni più
generali, mi sembra necessario ed opportuno formulare qualche
- 57 -
riflessione su come lo statuto è stato considerato in questi
ultimi anni dai vari soggetti dell’ordinamento.
Per onestà intellettuale occorre sottolineare subito che
l’Amministrazione Finanziaria, in tutte le sue articolazioni, e
anche altri Enti titolari di un potere impositivo, sia con lo
strumento dell’interpello, e sia nei rapporti quotidiani ed
individuali, hanno interiorizzato lo statuto e lo hanno fatto
diventare strumento abbastanza visibile. Il clima nei rapporti è
sicuramente cambiato a seguito dello statuto.
Anche i Giudici tributari hanno fatto la loro parte soprattutto
attraverso la rimessione di diverse questioni importanti
all’esame della Corte Costituzionale, manifestando così una
grandissima sensibilità verso il tentativo di creare un sistema
normativo più aderente ai valori costituzionali, che era uno
degli scopi dello statuto.
Negli anni immediatamente successivi all’emanazione dello
statuto, da parte della dottrina c’è stata prima un diffuso
senso di scetticismo e di svalutazione della normativa. Forse
questo è accaduto perché gli studiosi conoscevano bene il
sistema e l’evoluzione normativa degli ultimi anni. Certo è che
un argomento così importante nei migliori manuali istituzionali
era appena accennato e che le pubblicazioni organiche
sull’argomento non sono abbondate. Poi, forse anche per la presa
di posizione della Cassazione, c’è stata una consapevolezza
diversa.
Sono però aumentati quelli che hanno insistito sul fatto che la
legge n. 212/2000 è in sostanza una legge ordinaria che può
essere modificata senza alcuna limitazione da ogni legislatore
successivo. Ed è stata così offerta una sponda preziosa al
legislatore che sin dal primo momento, almeno in tema di norme
interpretative e retroattive, e di allungamento dei termini
dell’accertamento, ha apportato diverse deroghe ai principi
dello statuto.
A mio avviso, è stata sprecata una occasione storica per fare un
salto di qualità, ossia per passare da un fatto formale ad un
fatto sostanziale. Ci sono paesi che non hanno leggi scritte o
che ne hanno poche e non per questo alcuni valori resistono meno
- 58 -
nel tempo, con la scusa che il contenitore non è di cemento
armato. Era forse il momento di capire se i principi dello
statuto veramente volevano attuare valori contenuti nelle norme
costituzionali richiamate dallo stesso legislatore, se su quei
principi si poteva essere d’accordo o meno, e se quei principi
meritavano rispetto da tutti o potevano essere rispettati da
qualcuno ad nutum.
Quei principi sono stati definiti dal legislatore come principi
generali del diritto tributario, ossia come principi che devono
guidare l’interprete perché hanno una forza ed uno spessore
superiore ad altri principi o a principi opposti.
Se questi principi esprimono dei valori condivisibili, occorre
sostenere che ad essi si deve attenere anche il legislatore
sulla base dell’antico “Pacta sunt servanda”, utilizzato anche
nei rapporti tra Stati, e cioè ai massimi livelli, allorché non
ci sono né Carabinieri né Giudici ad applicare una sanzione.
Come si vede,allora, il problema non è se la legge è una legge
ordinaria o una legge costituzionale. Il problema è di vedere se
siamo d’accordo o meno su quei principi. Perchè, se siamo
d’accordo, dobbiamo esprimere il nostro fermo dissenso nei
confronti di un legislatore che sul piano culturale fa un
arretramento, molto negativo per le conseguenze che ricadranno
sul sistema in termini di credibilità della massima istituzione
quale è il Parlamento, che non può dire oggi una cosa e domani
un’altra, poiché o sbagliava prima o sbaglia dopo.
Ora, è chiaro che un tale problema non può essere appannaggio
solo della dottrina o della Corte costituzionale, ma deve essere
sentito e vissuto come problema di tutti, dagli operatori del
diritto ma anche da chi, al di fuori del mondo giuridico, pensa
che sia ancora attuale e valida l’esigenza di tendere al
miglioramento dei rapporti tra cittadini e stato e da chi in
definitiva ha a cuore le sorti del proprio Paese.
Già i Romani si erano posti il problema di chi custodisce i
custodi. E la risposta l’hanno data i grandi giuristi che sono
passati alla storia per avere individuato ed indicato i principi
fondamentali del sistema, a prescindere da quello che era il
contenuto delle singole leggi. Anche oggi, l’unico strumento,
- 59 -
nel caso in cui il self restraint non funziona, è quello di
fare capire e di dimostrare –sul piano culturale- da parte delle
persone più attente e più credibili che le soluzioni in deroga
ai principi generali (se non sono legittimate da esigenze vere e
condivisibili) costituiscono un male peggiore di quello che con
esse si voleva evitare. Il male peggiore è proprio quello della
perdita della fiducia.
Quando le deroghe sono tante, bisogna avere il coraggio di
abrogare quei principi generali perché generali non sono più (o
forse non sono mai stati se non nella mente illuminata di chi
ha creduto che anche in Italia ci fossero le condizioni per un
cambiamento, rectius per un miglioramento).
Quello che non può essere fatto è lasciare lo statuto e
devitalizzarlo, perché si torna al passato, ad un passato di
sudditi privi di un diritto di cittadinanza piena, che
sicuramente non era più felice. Il principio dell’affidamento
(che vale innanzitutto nei confronti dello stato legislatore) è
un principio rispettato nelle democrazie più mature poiché vi
sono regole che si possono fare e regole che è meglio non fare.
E qui sta la distinzione tra diritto e legge, che resta attuale
anche in questo momento, pur caratterizzato da forme di
consapevolezza culturale mai conosciute nella nostra storia.
Un legislatore attento si preoccupa di perseguire il diritto, un
legislatore meno attento si accontenta di fare una legge.
Un discorso a parte deve essere fatto per la Corte
Costituzionale, che sembra avere scelto, con riferimento allo
statuto, la strada del valore formale di legge ordinaria
utilizzata dal legislatore del 2000.
Questo è stato scritto nella recentissima ordinanza n. 41/08
depositata il 27.02.2008 a proposito della norma interpretativa
con la quale è stato stabilito che le aree edificabili, a fini
Ici, sono ab imis anche quelle per le quali manca l’approvazione
del piano da parte della Regione o per le quali manca uno
strumento di attuazione, ma è stato scritto anche in precedenza.
Nell’ordinanza n. 41/08 è stato scritto che la norma denunciata
(l’art. 36, comma 2 d.l.n.233/06) ““in quanto dotata della
stessa forza della legge n. 212 del 2000 (che non ha valore
- 60 -
superiore a quello della legge ordinaria, come sottolineatola
questa Corte con le ordinanze n.180 del 2007, n. 428 del 2006 e
n. 216 del 2004) è idonea ad abrogare implicitamente
quest’ultima e, conseguentemente ad introdurre nell’ordinamento
una valida norma di interpretazione autentica, ancorché priva di
una espressa autoqualificazione in tal senso””. La soluzione sul
piano della gerarchia delle fonti è ineccepibile, anche se essa
è insoddisfacente poichè il metro della ragionevolezza, spesso
meritoriamente applicato in molte occasioni negli anni passati,
è rimasto totalmente fuori dalla valutazione.
A me sembra che ci si dovrebbe chiedere se sia ragionevole il
principio generale secondo cui le norme interpretative devono
essere emanate solo in casi eccezionali e con qualificazione
espressa. Se a questa domanda diamo risposta positiva poiché
siamo convinti che sia giusto –in via generale- che
l’interpretazione delle norme non spetta a chi le fa (ma ad
altri, in base al principio della divisione dei poteri, di cui
ancora oggi non possiamo fare a meno), dobbiamo rispondere senza
alcuna remora che non è ragionevole riconoscere forza abrogante
implicita ad una norma emessa senza accertare la ricorrenza
della eccezionalità. L’accertamento della eccezionalità diventa
sul piano culturale indispensabile perché o accettiamo la
validità del principio generale e siamo conseguenti, o
accettiamo la validità della eccezione ed eliminiamo quella
regola generale, che evidentemente tale non è.
-
Altre due vicende, una già definita e una in corso di
svolgimento, meritano di essere esaminate proprio perché esse
hanno le radici nel principio di uguaglianza che lo Statuto
avrebbe dovuto attuare, e la cui attuazione (almeno in queste
due ipotesi) appare molto lontana.
La prima riguarda il problema della nullità delle cartelle non
contenenti l’indicazione del responsabile del procedimento.
E’ accaduto che la Corte Costituzionale, nella ordinanza
n.377/07, ha richiamato la normativa dell’art. 7 dello Statuto,
ed ha precisato che ““l’obbligo imposto ai concessionari di
indicare nelle cartelle di pagamento il responsabile del
- 61 -
procedimento, lungi dall’essere un inutile adempimento, ha lo
scopo di assicurare la trasparenza dell’attività
amministrativa,la piena informazione del cittadino (anche ai
fini di eventuali azioni nei confronti del responsabile) e la
garanzia del diritto di difesa, che sono altrettanti aspetti del
buon andamento e dell’imparzialità della pubblica
amministrazione predicati dall’art. 97, primo comma, Cost. (si
veda, ora, l’art. 1, comma 1, della legge n.241 del 1990, come
modificato dalla legge 11 febbraio 2005, n.15, recante
“Modifiche ed integrazioni alla legge 7 agosto 1990, n.241,
concernenti norme generali sull’azione amministrativa”)””.
E’ accaduto ancora che il legislatore, ritenendo che la mancanza
di questo elemento comporta la nullità, ha fatto una norma che
dichiara la prevede la nullità per il futuro (e cioè per le
cartelle relative ai ruoli che saranno consegnati a partire dal
01.06.2008), e che esclude quella nullità per il passato.
La situazione è diventata a questo punto paradossale poiché se
quell’elemento era veramente così importante da comportare la
nullità della cartella, la soluzione doveva essere una sola: una
norma interpretativa che affermasse la stessa soluzione per il
passato e per il futuro. Se, invece, si riteneva che la mancanza
di quell’elemento (in un atto dovuto, a contenuto vincolato) non
fosse lesiva di alcun interesse concreto (anche perché nessuno
avrebbe potuto negare una eventuale azione di responsabilità in
capo al concessionario, a prescindere dalla individuazione della
persona fisica), una norma che distingue tra passato e futuro
non doveva essere mai fatta sul piano della ragionevolezza.
L’Agenzia delle Entrate, con circolare n.16/E del 6 marzo 2008,
emanata dopo l’entrata in vigore dell’art. 36, comma 4 ter del
d.l.n.248/07, in l. n.31/08, ha invitato gli Uffici a resistere
in giudizio nelle controversie di questo tipo sul presupposto
che l’indicazione del responsabile del procedimento non era
prevista, nell’art. 7, comma 2, lett. a) dello Statuto a pena di
nullità. Il che comporterà il proliferare di un consistente
contenzioso, che dovrà essere risolto con la ricerca di una
soluzione unica per tutte le controversie, per evitare che nel
corso dei vari giudizi si possano creare intollerabili soluzioni
- 62 -
differenti tra loro. Ne va di mezzo il fondamentale principio di
uguaglianza richiamato dal legislatore del 2000 all’art. 1 dello
Statuto e trattato con disinvoltura dal legislatore del 2008,
che per lo stesso vizio ha dato due soluzioni differenti.
-
La seconda vicenda, ancora da definire, è quella che riguarda il
divieto di allungamento dei tempi dell’accertamento previsto
dall’art. 3, comma 3 dello Statuto, secondo il ““I termini di
prescrizione e di decadenza per gli accertamenti di imposta non
possono essere prorogati””.
Anche qui, la veste formale data alla legge dello statuto non
c’entra per niente, perché i soggetti che operano a vario titolo
nell’ordinamento o sono d’accordo sulla validità di questo
principio generale, o non sono d’accordo.
Se sono d’accordo, devono rispettare il principio proprio perché
esso è un principio generale, che può avere una deroga solo in
casi eccezionali (come in tutti i casi della vita).
Se non sono d’accordo, è meglio che dicano chiaramente che
questo principio è irrazionale e va abrogato.
La proroga dei termini previsti a pena di decadenza comporta un
mutamento delle regole mentre la partita ancora è in corso, ed è
chiaro che una proroga fatta e legittimata senza che ci sia
alcun fatto eccezionale, diventa incomprensibile sul piano del
sistema. E infatti, oggi, nel 2008, nessuno può volere, può
legittimare o può auspicare un mutamento delle regole mentre la
partita è ancora in corsa, senza mettere in discussione il senso
stesso della civiltà.
E’ accaduto, come è noto, che la legge n.289/02, da una parte ha
premiato alcuni soggetti (attraverso una rinuncia a fare valere
il potere accertativo e sanzionatorio), e dall’altra ha
penalizzato altri soggetti (che avevano la colpa di non avere
fatto il condono) prorogando di due anni i termini previsti a
pena di decadenza per l’accertamento.
La Commissione Tributaria di Cosenza, a seguito di una eccezione
di illegittimità costituzionale, con una ordinanza esemplare
(sez. XI, 24.08.2007, Pres. Rizzuti, rel. Marincolo, in Corr.
Trib. N.43/07 pag.3509, con commento favorevole di E. De Mita),
- 63 -
ha rimesso gli atti alla Corte Costituzionale che dovrà
risolvere il problema.
Io credo che non basterà rilevare che la legge n. 212/2000 è una
legge ordinaria, poiché questa volta il principio da salvare o
da rinnegare è quello che discende dall’antico “pacta sunt
servanda”.
Si tratta, probabilmente, di valutare se questo principio
merita di restare negli schemi della ragionevolezza che sono
necessari per governare meglio la vita di relazione anche e
soprattutto in una società complessa, o se invece un preteso
senso di modernità può travolgere una regola così elementare che
continua a valere nei rapporti tra amici, tra parenti, tra
cittadini in genere, e che diventa –nei rapporti tra cittadini e
stato- carta che si può stracciare quando si vuole.
Dott. Angelo Gargani, Presidente del Consiglio di Presidenza
della Giustizia Tributaria.
Il cerchio si chiude, mi pare che l'ultima relazione è del
collega Falcone, mi consenti se ti chiamo ancora collega, ha
dato maggiore incisività più di quanto abbia fatto il professor
Marongiu o il collega Botta, peccato che non c'è una voce
contrastante, evidentemente forse non deve esserci. Va bene ora
diamo la parola al dottor Antonio Montesano notaio in Paola.
Dott. Antonio Montesano, Notaio in Paola.
“La tutela dell’affidamento del contribuente. Profili di
rilevanza notarile”.
1. Introduzione.
I principi di buona fede e di tutela dell’affidamento sono
radicati nell’intero ordinamento giuridico, a garanzia dei
rapporti che si instaurano tra soggetti privati, relativamente
alle varie vicende negoziali.
Nel particolare ambito dell’ordinamento tributario, detti
principi hanno trovato espresso riconoscimento con
l’approvazione dello “Statuto dei diritti del contribuente”
- 64 -
(legge 27 luglio 2000, n. 212) che ha segnato la fine dell’era
della supremazia amministrativa nei rapporti tra i due soggetti,
privato e pubblico, dell’obbligazione tributaria.
In particolare:
• le disposizioni dello Statuto dei contribuenti, in
attuazione degli articoli 3 (principio di pari dignità sociale
di tutti i cittadini e di uguaglianza davanti alla legge), 23
(divieto di imporre prestazioni personali o patrimoniali se non
in base alla legge)66, 53 (obbligo di tutti di concorrere alle
spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva)67 e
97 (organizzazione degli uffici della Pubblica Amministrazione
secondo le disposizioni di legge)68 della Costituzione,
costituiscono principi generali dell’ordinamento tributario e
possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da
leggi speciali (articolo 1, comma 1);
• eventuali norme interpretative in materia tributaria
possono essere introdotte soltanto:
in casi eccezionali;
con legge ordinaria, qualificando come tali le
disposizioni di interpretazione autentica (articolo 1, comma 2).
2. Riferimenti normativi
L’articolo 10, comma 1, dello Statuto dei diritti del
contribuente, sotto la rubrica «Tutela dell’affidamento e della
buona fede. Errori del contribuente», dispone che: «I rapporti
tra contribuente ed Amministrazione finanziaria sono improntati
al principio della collaborazione e della buona fede69».
66 Si tratta di una riserva di legge relativa, secondo la quale la legge non deve regolare integralmente il rapporto tributario, ma deve contenere gli elementi necessari per individuare il tributo. Sarà poi un regolamento delegato ad integrare la legge. Si ricorda che, secondo l’opinione della dottrina prevalente, l’art. 23 in esame si applica solo alle imposte e non alle tasse; tuttavia, non mancano, al riguardo, opinioni contrarie. 67 Questa norma, di carattere precettivo e non programmatico, limita la libertà dei cittadini, affermando un loro dovere e un corrispondente diritto dello Stato. 68 Il fine della norma è quello di assicurare il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione. 69 Come è stato precisato (Cass. 10 dicembre 2002, n. 17576, in Il Fisco 2003, pag. 137), «… il termine “collaborazione” allude, per un verso, ai principi di “buon andamento”, “efficienza” ed “imparzialità” dell’azione amministrativa tributaria di cui all’art. 97, comma 1, della Costituzione (richiamato dall’art. 1, comma 1, dello Statuto), e, per l’altro, a comportamenti non collidenti con il dovere, sancito dall’art. 53, comma 1, della Costituzione (anch’esso richiamato dalla predetta
- 65 -
Detta norma fissa le regole generali di comportamento
(“collaborazione” e “buona fede” in senso oggettivo) - che
debbono sempre informare lo svolgimento delle attività di
amministrazione finanziaria e contribuente nei loro reciproci
rapporti; si tratta di regole che devono trovare applicazione
relativamente a tutti i rapporti giuridici tributari, e cioè a
tutte le attività mediante le quali essi si costituiscono, si
svolgono e si esauriscono.
Il comma 2 del medesimo articolo aggiunge: «Non sono irrogate
sanzioni né richiesti interessi moratori al contribuente,
qualora egli si sia conformato a indicazioni contenute in atti
dell’amministrazione finanziaria, ancorché successivamente
modificate dall’amministrazione medesima, o qualora il suo
comportamento risulti posto in essere a seguito di fatti
direttamente conseguenti a ritardi, omissioni od errori
dell’amministrazione stessa»70.
Il comma 3, infine, precisa: «Le sanzioni non sono comunque
irrogate quando la violazione dipende da obiettive condizioni di
incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della
norma tributaria o quando si traduce in una mera violazione
formale senza alcun debito di imposta; in ogni caso non
determina obiettiva condizione di incertezza la pendenza di un
giudizio in ordine alla legittimità della norma tributaria. Le
violazioni di disposizioni di rilievo esclusivamente tributario
non possono essere causa di nullità del contratto71».
3. Profili definitori.
disposizione statutaria) ed imposto a “tutti” i contribuenti, di “concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”; … il termine “buona fede”, se riferito all’amministrazione finanziaria, coincide, almeno in gran parte, con i significati attribuibili al termine “collaborazione”, posto che entrambi mirano ad assicurare comportamenti dell’amministrazione stessa “coerenti”, vale a dire “non contraddittori” o “discontinui” (mutevoli nel tempo); … il medesimo termine, se riferito al contribuente, presenta un’analoga, parziale coincidenza con quello di “collaborazione” ed allude ad un generale dovere di correttezza, volto ad evitare, ad es., comportamenti del contribuente capziosi, dilatori, sostanzialmente connotati da “abuso” di diritti e/o tesi ad “eludere” una “giusta” pretesa tributaria». 70 È evidente che, alla base di siffatte ipotesi, sta la tutela - espressamente limitata all’esclusione dell’irrogazione di sanzioni e/o della richiesta d’interessi moratori - dell’affidamento del contribuente, ingenerato in quest’ultimo dai fatti ivi indicati. 71 Comma modificato dall’articolo 1, comma 1, del D.L. 17 giugno 2005, n. 106, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005, n. 156.
- 66 -
In linea generale, i termini “buona fede” e “affidamento”,
benché siano spesso accomunati, non sono tra loro equivalenti.
In particolare, per “affidamento” deve intendersi la condizione
psicologica propria di chi ha fiducia in qualcosa o qualcuno.
La locuzione “buona fede”, invece, ha due accezioni: una
soggettiva ed una oggettiva. La prima fa riferimento allo stato
psicologico di chi ritiene di avere agito in conformità della
legge (ignoranza di ledere una situazione giuridica altrui),
mentre la seconda consiste in un generale dovere di correttezza
che impone atteggiamenti leali e vieta comportamenti contrari
alle legittime aspettative altrui, originate da un proprio
precedente comportamento.
In ambito tributario, il principio della tutela dell’affidamento
del contribuente costituisce un mero svolgimento dei contenuti
dei principi di collaborazione e di buona fede; «infatti, se in
base ai principi della collaborazione e della buona fede
l’amministrazione finanziaria ha il dovere di esercitare la
propria attività e di adottare le proprie decisioni, oltreché in
modo legittimo (ossia, in base al generale principio di legalità
dell’azione amministrativa), anche in maniera “coerente”,
qualsiasi comportamento dell’amministrazione stessa non conforme
a tali canoni può essere idoneo a costituire, secondo le
circostanze del caso concreto, in capo al contribuente in buona
fede (in senso oggettivo), cui non sia addebitabile alcun
comportamento “scorretto” …, una situazione giuridica soggettiva
di vantaggio, fondata proprio sul convincimento (buona fede in
senso soggettivo) delle apparenti legittimità e coerenza
dell’attività amministrativa tributaria: situazione, che,
secondo le circostanze del caso concreto appunto, in forza del
principio dell’affidamento, è considerata dal legislatore dello
Statuto meritevole di tutela»72.
I presupposti che integrano una situazione di legittimo
affidamento del contribuente di fronte all’azione
dell’Amministrazione finanziaria e che consentono al primo di
72 Cass. 17576/2002, cit.
- 67 -
invocarne la relativa tutela, si possono, dunque, così
sintetizzare73:
a) attività dell’Amministrazione finanziaria idonea a
determinare una situazione di apparente legittimità e coerenza
dell’attività stessa in senso favorevole al contribuente;
b) conformazione in buona fede (in senso soggettivo) da
parte del contribuente alla situazione giuridica apparente,
purché nel contesto di una condotta dello stesso (buona fede in
senso oggettivo) - anteriore, contemporanea e successiva
all’attività dell’amministrazione - connotata dall’assenza di
qualsiasi violazione del generale dovere di correttezza gravante
sul medesimo (affidamento legittimo);
c) eventuale presenza di circostanze specifiche del caso
concreto e idonee a costituire altrettanti indici della
sussistenza o dell’insussistenza dei predetti presupposti74.
3.1. “Buona fede” e “affidamento” nella giurisprudenza
amministrativa.
Il supremo Giudice amministrativo ha sempre considerato i
principi della buona fede e del legittimo affidamento tra i
canoni regolatori ultimi dei rapporti tra Pubblica
Amministrazione e amministrati nelle più diverse fattispecie75.
In particolare, il Consiglio di Stato ha più volte ribadito che
il potere di autotutela deve essere esercitato nella
ponderazione dell’interesse privato, che viene sacrificato, in
comparazione con quello pubblico, avuto riguardo all’affidamento
73 Cass. 17576/2002, cit. 74 Ad esempio, la situazione normativa astrattamente idonea a disciplinare la concreta fattispecie; ovvero, lo stesso fluire del tempo, quale indice della “coerenza” dell’azione amministrativa tributaria e/o dell’affidamento del contribuente e/o del “consolidamento” della situazione giuridica soggettiva favorevole a quest’ultimo. 75 Cfr. Cons. St., sez. V, 22 maggio 1981, n. 206, in Foro amm. 1981, I, 1, pag. 1088; Id., sez. IV, 6 ottobre 1986, n. 651, in Foro amm. 1986, 1, pag. 2064; Id., Ad. plen., 30 settembre 1993, n. 11, in Rass. Avv. Stato 1994, I, 4, pag. 524 con nota di F. Basilica; Id., sez. IV, 17 dicembre 1998, n. 1815, in La legge plus on line, IPSOA. In numerose decisioni è stato affermato il principio secondo cui, la determinazione di recupero di somme indebitamente pagate è un tipico provvedimento di annullamento d’ufficio, destinato ad eliminare gli atti in base ai quali l’indebito pagamento è stato effettuato, talché, alla stregua dei principi generali, essa può essere legittimamente adottata solo se il pubblico interesse perseguito non collida con situazioni giuridiche contrarie, quale quella conseguente, in base al principio dell’affidamento, alla percezione in buona fede, da parte dell’interessato, delle somme non dovute (cfr., tra le altre, Cons. St. 9 marzo 1985, n. 77, in Cons. Stato 1985, I, pag. 257; Id., 23 novembre 1985, n. 559, in La legge plus on line, IPSOA).
- 68 -
riposto nella legittimità dell’azione amministrativa76; tale
ponderazione - necessaria quando dall’annullamento d’ufficio
derivi un danno per il privato - non lo è quando si tratti di
rimuovere un ingiusto vantaggio dallo stesso conseguito.
Inoltre, il potere di annullamento d’ufficio può essere
limitato, sulla base del principio generale della tutela
dell’affidamento del privato, dallo stesso trascorrere del tempo
che abbia consolidato la situazione giuridica di vantaggio
acquisita dal privato medesimo77.
In quest’ottica, si è assistito ad un proliferare di
fattispecie, nei vari settori del diritto amministrativo, nelle
quali è stata data prevalenza al principio della tutela del
legittimo affidamento del cittadino di fronte all’azione della
Pubblica Amministrazione78.
Nella stessa direzione si muovono anche le prime pronunce della
Corte di cassazione, che hanno fatto applicazione delle
disposizioni statutarie79.
4. La valenza costituzionale della tutela del legittimo
affidamento del cittadino.
Il principio della tutela del legittimo affidamento del
cittadino di cui all’art. 10 dello Statuto dei contribuenti,
come si è detto, trova origine nella Costituzione e,
precisamente negli artt. 3, 23, 53 e 97, espressamente
76 Cfr., ex pluribus, Cons. St., sez. IV, 13 gennaio 1984, n. 9, in La legge plus on line, IPSOA; Id., 28 luglio 1992, n. 704, in Riv. amm. 1992, IV, pag. 1300; Id., 11 aprile 1996, n. 399, in La legge plus on line, IPSOA. 77 Cfr., ad es., Cons. St., sez. VI, 29 marzo 1996, n. 520, in La legge plus on line, IPSOA; Id., sez. V, 18 ottobre 1996, n. 1253, ivi; Id., 20 febbraio 1998, n. 161, ivi. 78 Ad es., nell’interpretazione ed applicazione dei bandi di concorso: cfr. Cons. St., sez. V, 30 maggio 1997, n. 582, in La legge plus on line, IPSOA. Ovvero quale limite al potere discrezionale dell’autorità amministrativa, competente alla pianificazione urbanistica, di modificare, senza congrua motivazione, precedenti piani di lottizzazione, proprio in ragione dell’esigenza di tutelare l’affidamento che il cittadino fonda su tali piani: cfr. Cons. St., sez. IV, n. 1785/1999.
79 E così, è stato precisato (Cass., 5 ottobre 2001, n. 12284, in Foro it. 2001, I, pag. 3530; Id., 14 novembre 2001, n. 14141, in La legge plus on line, IPSOA) che la disposizione di cui al primo periodo del comma 4 dell’art. 6 dello Statuto dei diritti del contribuente - secondo cui “al contribuente non possono, in ogni caso, essere richiesti documenti ed informazioni già in possesso dell’amministrazione finanziaria o di altre amministrazioni pubbliche indicate dal contribuente” - è espressiva del “principio di collaborazione” nei rapporti tra contribuente ed amministrazione finanziaria. Cfr., inoltre, Cass., 22 novembre 2001, n. 14782, in La legge plus on line, IPSOA, che ha dato importanza al principio dell’affidamento, basato su un provvedimento concessivo dell’Amministrazione ed ha affermato che il contribuente che si affida al suo creditore e ne attua le disposizioni non può essere penalizzato con la esclusione da un beneficio riguardante le sanzioni. Lo stesso principio è stato espresso nella sentenza 21 marzo 2001, n. 4050, ivi.
- 69 -
richiamati dall’art. 1 dello Statuto medesimo; esso, pertanto, è
immanente in tutti i rapporti di diritto pubblico e costituisce
uno dei fondamenti dello Stato di diritto nelle diverse
articolazioni, limitandone l’attività legislativa e
amministrativa80.
A differenza di altre norme dello Statuto, che presentano un
contenuto innovativo rispetto alla legislazione preesistente, la
previsione del citato art. 10 è dunque espressiva di principi
generali esistenti nell’ordinamento tributario anche prima
dell’entrata in vigore della legge n. 212/2000; per questo
motivo, deve ritenersi che tale disposizione, in forza del
canone ermeneutico dell’interpretazione adeguatrice a
Costituzione, risulti applicabile:
• ai rapporti tributari sorti in epoca anteriore alla
sua entrata in vigore81. È stato, invece, escluso che le norme
di natura procedimentale dello Statuto possano essere applicate
retroattivamente82. Ciò in quanto, tenuto conto dello stato
della legislazione preesistente, le disposizioni di tale natura,
in linea di massima, istituiscono nuove garanzie in favore del
contribuente, o ampliano significativamente garanzie già
previste in misura minore;
• ai rapporti fra contribuente ed ente impositore
diverso dall’Amministrazione finanziaria dello Stato;
• ad elementi dell’imposizione diversi da sanzioni e
interessi, giacché i casi di tutela espressamente enunciati dal
comma 2 del citato art. 10 riguardano situazioni meramente
esemplificative, legate ad ipotesi maggiormente frequenti, ma
non limitano la portata generale della regola, idonea a
disciplinare una serie indeterminata di casi concreti.
Su quest’ultimo punto, attese le rilevanti implicazioni pratiche
ad esso correlate, si tornerà nel prosieguo del presente lavoro
(v. punto 6.1.).
80 Oltre la sentenza 17576/2002, cit., cfr. Cass., 6 ottobre 2006, n. 21513, in La legge plus on line, IPSOA. 81 Cass., 14 aprile 2004, n. 7080 in Il fisco n. 27/2004, fascicolo n. 1, pag. 4238; Id., 17576/2002, cit. 82 Cfr. Cass., 12 ottobre 2001, n. 12462, in La legge plus on line, IPSOA.
- 70 -
Ora è bene precisare che, non sempre la valenza costituzionale
delle norme Statutarie guida i passi del legislatore tributario;
infatti, non sono pochi i provvedimenti legislativi che ne
violano i precetti.
Ad esempio, il D.L. 3 ottobre 2006, n. 262, convertito, con
modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n. 286, si pone in
contrasto con lo Statuto in questione, laddove indica le varie
date di decorrenza degli effetti di alcune disposizioni in esso
contenute. Si fa riferimento alla norma:
• sui paradisi fiscali (art. 1, comma 6);
• sugli immobili in leasing (art. 2, comma 18), che ha
effetto dal 4 luglio 2006;
• sui fringe benefit (art. 2, commi 71 e 72), che
retroagisce al 1° gennaio 2006;
• sulle auto aziendali (art. 2, commi 71 e 72), che
decorre dal 3 ottobre 2006;
• sul riporto delle perdite (art. 2, comma 22), che
decorre dal periodo in corso al 4 luglio 2006;
• sulle società in trasparenza (art. 2, comma 23), che
decorre dal 4 luglio 2006;
• sui contributi per l’editoria (art. 2, commi da 124 a
128), vigente per l’anno 2006.
Lo stesso decreto, inoltre, con riferimento all’imposta sulle
successioni e donazioni, prevede che le disposizioni ivi
contenute si applichino alle successioni apertesi dal 3 ottobre
2006 e agli atti pubblici formati, agli atti a titolo gratuito
fatti, alle scritture private autenticate e alle scritture
private non autenticate presentate per la registrazione, a
decorrere dal 1° gennaio 2007.
Per le donazioni, invece, ai fini dell’applicazione
dell’imposta, a decorrere dalla data di entrata in vigore della
legge di conversione (29 novembre 2006) si tiene conto della
data del rogito notarile.
Per le dichiarazioni di successione già presentate alla data di
entrata in vigore della predetta legge e per i decessi avvenuti
dal 3 ottobre 2006 in poi, le imposte già pagate sono ripetibili
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(se versate in più) perché, in molti casi, non si è tenuto conto
della “franchigia” introdotta per le devoluzioni in linea retta,
mentre restano invariate le liquidazioni per quelle in favore di
altri soggetti.
Appare, dunque, evidente che l’accavallarsi di date e di effetti
della nuova disciplina crea non poche difficoltà non solo agli
operatori del settore e agli interpreti ma, soprattutto, ai
contribuenti, a dispregio della ratio dello Statuto.
5. La tutela dell’affidamento e della buona fede del
contribuente quale limite alla retroattività sfavorevole della
legge tributaria.
Nell’affrontare il problema dei limiti all’efficacia retroattiva
delle leggi interpretative, la Corte Costituzionale, in alcune
pronunce83, li ha individuati - oltreché in quello previsto
esplicitamente per la materia penale (art. 25, comma 2, della
Costituzione) – anche in quelli che attengono alla salvaguardia
di norme costituzionali; tra questi viene annoverato il
principio «della tutela dell’affidamento legittimamente posto
nella certezza dell’ordinamento giuridico»; in particolare, è
stato precisato, quello «sull’affidamento del cittadino nella
sicurezza giuridica è principio che, quale elemento essenziale
dello Stato di diritto, non può essere leso da norme con effetto
retroattivo che incidano irragionevolmente su situazioni
regolate da leggi precedenti»84.
Recependo l’insegnamento del Giudice delle leggi, il Legislatore
statutario, con riguardo alla disciplina dei tributi, statuisce
che: «Salvo quanto previsto dall’art. 1, comma 285, le
83 Cfr. le sentenze n. 211/1997, n. 416 /1999 e n. 525 /2000 (anticipate, tra le altre, dalle sentenze n. 349/1985, n. 822/1988 e n. 390/1995), consultabili nella Sezione «Giurisprudenza» sotto la voce «Ricerca sulle pronunce» del sito http://www.cortecostituzionale.it/. 84 In termini, sentenza n. 525/2000, cit., con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, per violazione dell’art. 3, comma 1, della Costituzione, dell’art. 21, comma 1, della legge 13 maggio 1999, n. 133, nella parte in cui estende anche al periodo anteriore alla sua entrata in vigore l’efficacia della interpretazione autentica, da essa dettata, dell’art. 38, comma 2, del D.Lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, «poiché in questo modo è stato frustrato l’affidamento dei soggetti nella possibilità di operare sulla base delle condizioni normative presenti nell’ordinamento in un dato periodo storico, senza che vi fosse una ragionevole necessità di sacrificare tale affidamento nel bilanciamento con altri interessi costituzionali». 85 Che disciplina l’ipotesi dell’adozione di norme interpretative.
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disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo» (art. 3,
comma 1, primo periodo, della legge n. 212/2000).
Pertanto, «ogni qualvolta una normativa fiscale sia suscettibile
di una duplice interpretazione, una che ne comporti la
retroattività e una che la escluda, l’interprete dovrà dare
preferenza a questa seconda interpretazione come conforme a
criteri generali introdotti con lo Statuto del contribuente e,
attraverso di essi, ai valori costituzionali intesi in senso
ampio e interpretati direttamente dallo stesso legislatore
attraverso lo Statuto»86.
Tuttavia, va precisato che «il c.d. Statuto del contribuente è
uno strumento di garanzia del contribuente e, quindi, mentre
serve ad arginare il potere dell’Erario nei confronti del
soggetto più debole del rapporto di imposta, non può ostacolare
l’approvazione di disposizioni che siano a favore del
contribuente, che si risolvano eventualmente in un ulteriore
autolimitazione del potere legislativo (una sorta di autotutela
legislativa)»87.
In quest’ottica deve essere intesa la natura eccezionale delle
norme interpretative.
In particolare, secondo la Corte di cassazione,
l’irretroattività della legge disposta dall’art. 11 delle
preleggi è una regola generale che può essere derogata solo per
due ordini di motivi:
1. se risulta l’espressa ed univoca dichiarazione del
legislatore;
2. se la nuova norma appaia emessa per precisare il
significato di norme preesistenti ed imponga una variante che
risolva, con intervento chiarificatore del legislatore, un
precedente contrasto interpretativo, fornendone interpretazione
autentica, purché compatibile con il loro tenore letterale88.
86 Cass., 14 aprile 2004, n. 7080, in Corriere trib. 2004, n. 29, pag. 2290, con nota di G. Marongiu. 87 Cass., 21 aprile 2001, n. 5931, in Corriere trib. 2001, 35, pag. 2644, con nota di M. Bruzzone. 88 Cass., 26 aprile 2005, n. 8637, in La legge plus on line, IPSOA. Negli stessi termini, cfr. Corte costituzionale, sentenze n. 376/1995, n. 397/1994, n. 229/1999 e n. 525/2000, consultabili nella Sezione «Giurisprudenza» sotto la voce «Ricerca sulle pronunce» del sito http://www.cortecostituzionale.it.
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Quanto al carattere d’interpretazione autentica di una legge,
come è stato affermato89, «esso dipende esclusivamente dal suo
contenuto caratterizzato dall’enunciazione di un apprezzamento
interpretativo circa il significato di un precetto antecedente,
a cui la norma si ricollega nella formula e nella ratio, e da un
momento precettivo, con il quale il legislatore impone questa
interpretazione, escludendone ogni altra».
Accertata la natura interpretativa di una norma, la stessa deve,
di conseguenza, considerarsi «applicabile anche ai rapporti non
ancora definiti senza che tale efficacia retroattiva possa dar
luogo a dubbi di legittimità costituzionale»90.
5.1. Determinazione della rendita catastale delle turbine e
delle centrali idroelettriche
Così, ad esempio, la Corte di Cassazione91 ha risolto la
questione relativa alla computabilità del valore delle turbine
nella quantificazione della rendita catastale delle centrali
elettriche, sostenendo l’efficacia retroattiva dell’art. 1-
quinquies del D.L. 31 marzo 2005, n. 44, convertito dalla legge
31 maggio 2005, n. 8892.
Questa problematica - intorno alla quale si è sviluppato un
lungo contenzioso tra l’Enel S.p.A., da un lato, e gli Uffici
del Territorio e i Comuni, dall’altro -, trae origine
dall’impugnazione da parte dell’Enel degli atti di classamento -
89 Cass., Sezioni Unite, 4 marzo 1983, n. 1622, in Foro it. 1983, I, pag. 1257; Id., 12 giugno 1986, n. 3928, in La legge plus on line, IPSOA; Id., 10 febbraio 1989, n. 829, ivi; Id., 20 giugno 2003, n. 9895, ivi. Cfr. pure Corte costituzionale, sentenza n. 525/2000, cit., secondo la quale «il legislatore può adottare norme che precisino il significato di altre disposizioni legislative non solo quando sussista una situazione di incertezza nell’applicazione del diritto o vi siano contrasti giurisprudenziali, ma anche in presenza di un indirizzo omogeneo della Corte di Cassazione, quando la scelta imposta dalla legge rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario, con ciò vincolando un significato ascrivibile alla norma anteriore». 90 Cass., 22 gennaio 2004, n. 1026, in La legge plus on line, IPSOA. 91 Sentenza 7 giugno 2006, n. 13319, in La legge plus on line, IPSOA. 92 Secondo tale norma: «Ai sensi e per gli effetti dell’art. 1, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212, l’art. 4 del r.d.l. 13 aprile 1939, n. 652, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 1939, n. 1249, limitatamente alle centrali elettriche, si interpreta nel senso che i fabbricati e le costruzioni stabili sono costituiti dal suolo e dalle parti ad esso strutturalmente connesse, anche in via transitoria, cui possono accedere, mediante qualsiasi mezzo di unione, parti mobili allo scopo di realizzare un unico bene complesso. Pertanto concorrono alla determinazioni della rendita catastale, ai sensi dell’art. 10 del citato decreto-legge, gli elementi costitutivi degli opifici e degli altri immobili costruiti per le speciali esigenze dell’attività industriale di cui al periodo precedente anche se fisicamente non incorporati al suolo».
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con i quali gli Uffici del Territorio rettificavano la rendita
catastale delle centrali elettriche - e degli avvisi di
liquidazione - con i quali i Comuni che ospitano le centrali
ponevano in riscossione l’ICI relativa alle medesime centrali -
emessi sulla base della rendita rettificata, nonché delle
relative sanzioni.
Ciò avveniva all’indomani dell’approvazione della cosiddetta
procedura DOCFA regolata dal D.M. n. 701/1994.
In particolare, la società elettrica, nell’attuare siffatta
procedura di determinazione della rendita, ha riformulato il
classamento delle centrali termoelettriche, omettendo il valore
(assai rilevante) delle turbine, non ritenute dall’ente impianti
fissi, ottenendo così rendite inferiori del 60-70% rispetto alle
precedenti determinate dagli uffici e abbattendo il gettito ICI
dei piccoli comuni di appartenenza. Secondo le società di
produzione, infatti, il valore delle centrali elettriche deve
essere determinato solo dal valore dell’area e dei muri, con
esclusione degli impianti.
Questa tesi, però, contrasta con la prassi interpretativa ed
applicativa delle norme catastali in materia di fabbricati di
categoria D.
Il contenzioso ha generato contrastanti pronunce della
giurisprudenza di merito93 e di legittimità94, fino a richiedere
- quando la questione era già stata rimessa all’attenzione delle
Sezioni Unite della Corte di Cassazione - l’intervento del
legislatore con le disposizioni di cui agli articoli 1, comma
540, della legge n. 311/200495, prima, e 1-quinquies del D.L. n.
44/2005, poi.
93 Cfr. Commissione Tributaria Regionale Umbria 13 marzo 2003, n. 13, consultabile nella sezione «Servizi», sotto la voce «Doc. economica e Tributaria» (cliccando prima su «Estremi», poi su «Giurisprudenza») del sito http://www.cerdef.it/site.php?page=home e Commissione Tributaria Regionale Lazio 17 giugno 2003, n. 261, ivi, per la non computabilità delle turbine; Id., 24 febbraio 2004, n. 48, ivi, e Id., 16 settembre 2005, n. 133, ivi, per l’opposta soluzione. 94 Cfr. Cass., 6 settembre 2004, n. 17933, in La legge plus on line, IPSOA, per la non computabilità delle turbine e Cass., 17 novembre 2004, n. 21730, ivi, in senso favorevole al computo delle turbine. 95 La norma interpretativa di cui alla legge n. 311 del 2004 (Finanziaria 2005) è stata abrogata dall’art. 4, comma 1, del D.L. n. 35/2005, come modificato dalla legge di conversione n. 80/2005: ciò perché, il contenuto generico della disposizione interpretativa aveva preoccupato molte piccole imprese che temevano di veder considerati come immobili i più disparati macchinari e veder così aumentare eccessivamente la loro imposizione fiscale (in specie ai fini ICI).
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Sicché, oggi, è alla luce di queste norme che deve essere
risolta la questione e l’ambito della discussione trova «il
proprio naturale confine nella valutazione della natura
interpretativa dell’intervento del legislatore e della
compatibilità costituzionale della norma approvata»96.
Con riferimento alla prima questione (natura della norma in
esame), deve essere precisato che il citato art. 1-quinquies del
D.L. n. 44/2005 può essere considerato norma d’interpretazione
autentica97 per due ordini di motivi:
1. esso è formalmente qualificato come norma
d’interpretazione dallo stesso legislatore;
2. è volto a chiarire il senso di una norma preesistente
per porre termine al contrasto giurisprudenziale che la
riguarda98.
Ciò posto, va ricordato che, secondo la norma in esame, con
riferimento alle centrali elettriche, una costruzione può essere
definita “stabile” se è costituita «dal suolo e dalle parti ad
esso strutturalmente connesse, anche in via transitoria, cui
possono accedere, mediante qualsiasi mezzo di unione, parti
mobili allo scopo di realizzare un unico bene complesso»99.
L’art. 1-quinquies del D.L. n. 44/2005, in pratica, ha
considerato le turbine quali elementi essenziali costitutivi del
bene “centrale elettrica” (bene immobile per incorporazione di
mobile a immobile) e non rileva il mezzo di unione tra “mobile”
e “immobile”: sia perché quel che davvero conta è
l’impossibilità di separare l’uno dall’altro senza la
sostanziale alterazione del bene complesso (che non sarebbe più,
nel caso di specie, una centrale elettrica), sia perché “mezzo
di unione” idoneo a determinare l’incorporazione non può essere
qualificato solo quello che tale poteva considerarsi al tempo
dell’approvazione del codice civile; al riguardo, infatti, si
deve tener conto del progresso tecnologico e dei mezzi
96 Cass. 7 giugno 2006, n. 13319, cit. 97 Di conseguenza, esso ha efficacia retroattiva. 98 E, come si è detto, proprio questa è, tradizionalmente, una delle ragioni dell’intervento del legislatore in sede d’interpretazione autentica. 99 Del resto, ai sensi dell’art. 812 del codice civile si considerano beni immobili, tra l’altro, le costruzioni, anche se unite al suolo a scopo transitorio.
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utilizzati per venire incontro a specifiche esigenze tecniche
(come accade per le turbine, per le quali devono utilizzarsi
particolari mezzi di unione al suolo, in ragione della necessità
di tener conto della dilatazione cui sono soggette per le
elevate temperature di esercizio)100.
Con riferimento alla seconda questione (compatibilità
costituzionale della norma), non si può certo affermare che
l’articolo de quo sia viziato per irragionevolezza, per aver
stabilito che una determinata norma si interpreti in un senso
riguardo ad alcuni soggetti che ne sono destinatari e in un
senso diverso (addirittura opposto) rispetto ad altri101.
La norma in discussione, infatti, è diretta a risolvere, in via
definitiva, un contrasto ermeneutico insorto relativamente alla
situazione specifica delle centrali elettriche, e non stabilisce
affatto che la norma interpretata sia soggetta ad una diversa
esegesi in situazioni omogenee102.
Né si potrebbe ritenere che, la disposizione in esame, comporti
violazione dell’art. 53 della Costituzione.
Infatti, anzitutto non è prospettabile una lesione del tipo
indicato in relazione alla determinazione della rendita
catastale (che non costituisce né un’imposta, né un presupposto
d’imposta); inoltre, la capacità contributiva, quale idoneità
soggettiva all’obbligazione d’imposta - desumibile dal
presupposto economico al quale l’imposta è collegata - può
essere ricavata, in linea di principio, da qualsiasi indice
rivelatore di ricchezza, secondo valutazioni riservate al
legislatore, salvo il controllo di costituzionalità, sotto il
profilo della palese arbitrarietà e manifesta
100 In termini, cfr. la più volte citata sentenza della Cassazione 7 giugno 2006, n. 13319. 101 Sentenza 7 giugno 2006, n. 13319, cit. 102 Essa, pertanto, non contrasta con l’articolo 3 della Costituzione. Infatti, la situazione delle centrali elettriche è del tutto specifica; inoltre non sussiste alcuna significativa omogeneità tra tutti gli immobili classificabili nel gruppo catastale D, come rivela immediatamente la circostanza che alla loro valutazione catastale si debba procedere, per espressa previsione normativa, mediante stima diretta.
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irragionevolezza103, ipotesi che non sussistono nel caso di
specie104.
5.2. Determinazione di area fabbricabile
Altra questione è sorta con riferimento all’articolo 36, comma
2, del D.L. 4 luglio 2006, n. 223 (convertito, con
modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248), secondo il
quale: «Ai fini dell’applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n.
633, del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, del D.P.R. 22 dicembre
1986, n. 917 e del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, un’area è da
considerare fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in
base allo strumento urbanistico generale adottato dal comune,
indipendentemente dall’approvazione della regione e
dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo».
Questa norma, entrata in vigore il 4 luglio 2006, ha risolto
un’annosa questione che, all’interno della sezione quinta della
Corte di cassazione, ha dato luogo a contrastanti indirizzi
giurisprudenziali.
Infatti, mentre alcune pronunce sostenevano che un suolo può
essere considerato edificabile soltanto sulla base di uno
strumento urbanistico perfezionato con l’approvazione regionale,
altre, invece, ritenevano sufficiente, ai fini della valutazione
fiscale, che un suolo risultasse inserito in una zona di
edificazione di un piano anche soltanto adottato dal comune e
non ancora approvato dalla regione.
La questione era di particolare importanza, sia perché ricorreva
frequentemente, sia perché gli interessi coinvolti erano spesso
notevoli.
5.2.1. Linee generali.
Posto che i maggiori problemi ermeneutici hanno avuto ad oggetto
il concetto di “utilizzabilità a scopo edificatorio”, occorre
103 Corte costituzionale, sentenze n. 362/2000, n. 143/1995, n. 315/1994, n. 42/1992 e n. 226/1984, consultabili nella Sezione «Giurisprudenza» sotto la voce «Ricerca sulle pronunce» del sito http://www.cortecostituzionale.it.
104 Nello stesso senso, Commissione Tributaria Regionale Lombardia, 27 dicembre 2005, n. 131, in GT - Rivista di giurisprudenza tributaria, 2006, 7, 628, con nota di E. Carrasi.
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chiarire cosa deve intendersi con tale espressione, dopo
l’approvazione del D.L. n. 223/2006.
La qualifica di area fabbricabile presuppone l’utilizzabilità
dell’area stessa a scopo edificatorio, in base allo strumento
urbanistico.
Secondo alcune pronunce giurisprudenziali, per aree fabbricabili
si deve intendere, ai fini fiscali (con specifico riferimento
all’ICI), «i terreni immediatamente utilizzabili a scopo
edificatorio, con possibilità legale ed effettiva di rilascio di
concessione edilizia al momento dell’imposizione tributaria,
distinguendosi, nella disciplina dell’imposta, tra le zone
urbanizzate per le quali è consentito il rilascio della
concessione edilizia secondo le previsioni del piano regolatore
generale del comune, ancora prima dell’adozione dei piani
attutivi, e le zone che, pur comprese nelle previsioni del piano
regolatore generale, non sono immediatamente utilizzabili a
scopo edificatorio, essendo il rilascio della concessione a
edificare subordinato all’adozione dei piani particolareggiati o
dei piani di lottizzazione»105.
Dopo la novella del 2006, però, tale tesi non è più sostenibile.
Il testo della legge non consente più di distinguere a seconda
delle “fasi di lavorazione” degli strumenti urbanistici106;
105 Cass., 15 novembre 2004, n. 21573, in La legge plus on line, IPSOA; Id., 16 novembre 2004, n. 21644, ivi. Secondo queste sentenze, «il legislatore ha voluto sottoporre ad imposta, con base imponibile diversa, quelle aree immediatamente utilizzabili a scopo edificatorio, con possibilità legale ed effettiva di rilascio di concessione edilizia al momento dell’imposizione fiscale, distinguendo tra zone urbanizzate, per le quali è consentito il rilascio di concessione edilizia in base al P.R.G., ancora prima dell’approvazione dei piani attuativi, e quelle che, non trovandosi in tale situazione anche se comprese nel P.R.G., devono attendere i piani particolareggiati o i piani di lottizzazione per potere ottenere tale concessione». In altri termini, «il legislatore ha inteso riservare un diverso trattamento fiscale, con la previsione di una base imponibile sul valore reale, per quelle aree la cui utilizzazione a scopo edificatorio è attuale e non rinviata alla adozione e successiva approvazione regionale degli strumenti urbanistici attuativi e, quindi, per quei terreni per i quali il rilascio della concessione edilizia è previsto da provvedimenti definitivi e non in fieri. Se non avesse inteso dire quanto sopra esposto, il legislatore avrebbe potuto limitarsi a definire l’area fabbricabile quella , “compresa nel PRG” oppure quella “destinata all’edificazione”, senza riferimento agli strumenti urbanistici “attuativi” o alle “possibilità effettive di edificare” richiamando, inoltre, i criteri contenuti nella L. n. 359 del 1952 (possibilità legali ed effettive di edificazione)». 106 Si ricorda che, in materia di ICI, già l’art. 11-quaterdecies, comma 16, del D.L. 30 settembre 2005, n. 203, (convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248) aveva anticipato che: «Ai fini dell’applicazione del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, la disposizione prevista dall’articolo 2, comma 1, lettera b), dello stesso decreto si interpreta nel senso che un’area è da considerare comunque fabbricabile se è utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale, indipendentemente dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo». La norma, però, non chiariva se lo strumento urbanistico generale dovesse essere stato approvato dalla regione.
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questo perché, quello che interessa al legislatore fiscale è che
venga adottato un diverso criterio di valutazione dei suoli,
quando questi siano avviati sulla strada (non necessariamente
senza ritorno) dell’edificabilità107.
Ciò dipende, soprattutto, dal fatto che le finalità della
legislazione urbanistica si differenziano da quelle della
legislazione fiscale: la prima tende a garantire il corretto uso
del territorio urbano, e, quindi, lo ius aedificandi non può
essere esercitato se non quando gli strumenti urbanistici siano
perfezionati (garantendo la compatibilità degli interessi
individuali con quelli collettivi); la seconda, invece, mira ad
adeguare il prelievo fiscale alle variazioni dei valori
economici dei suoli, che si registrano e progrediscono, in
parallelo, dal sorgere della mera aspettativa dello ius
aedificandi, fino al perfezionamento dello stesso.
Ne consegue, che le chiavi di lettura dei due comparti normativi
possono essere legittimamente differenti; pertanto, in sede di
valutazione, la minore o maggiore attualità e potenzialità
dell’edificabilità dovrà essere considerata ai fini di una
corretta valutazione del valore venale delle stesse, ai sensi
dell’art. 5, comma 5, del D.Lgs. n. 504/1992, per l’ICI, e
dell’art. 51, comma 3, del D.P.R. n. 131/1986, per l’imposta di
registro108.
5.2.2. Imposta di registro
Con specifico riferimento a quest’ultima imposta, la
problematica in questione discende dal tenore del D.P.R. n.
131/1986. In particolare, si ricorda che:
a) in linea di principio, la base imponibile dell’imposta
di registro, per i contratti di compravendita è costituita dal
valore dei beni trasferiti (art. 43 del citato decreto);
b) per gli atti di trasferimento di beni immobili, «si
intende per valore il valore venale in comune commercio» (art.
51, comma 1, del citato decreto); 107 Normalmente, infatti, già l’avvio della procedura per la formazione del PRG determina una “impennata” di valore, pur con tutti i necessari distinguo (riferiti alle zone e alla necessità di ulteriori passaggi procedurali). 108 Così Cass., SS.UU., 30 novembre 2006, n. 25505, in La legge plus on line, IPSOA.
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c) se l’ufficio ritiene che gli immobili ceduti hanno un
valore venale superiore a quello dichiarato o al corrispettivo
pattuito, provvede alla rettifica, e alla conseguente
liquidazione (art. 52, comma 1, del citato decreto) «avendo
riguardo ai trasferimenti a qualsiasi titolo e alle divisioni e
perizie giudiziarie, anteriori di non oltre tre anni alla data
dell’atto o a quella in cui se ne produce l’effetto traslativo o
costitutivo, che abbiano avuto per oggetto gli stessi immobili o
altri di analoghe caratteristiche e condizioni, ovvero al
reddito netto di cui gli immobili sono suscettibili,
capitalizzato al tasso mediamente applicato alla detta data e
nella stessa località per gli investimenti immobiliari, nonché
ad ogni altro elemento di valutazione, anche sulla base di
indicazioni eventualmente fornite dai comuni» (art. 51, comma 3,
del citato decreto);
d) l’ufficio non può rettificare «il valore o il
corrispettivo degli immobili, iscritti in catasto con
attribuzione di rendita, dichiarato in misura non inferiore, per
i terreni, a settantacinque volte il reddito dominicale
risultante in catasto» (cd. “valutazione automatica”109), salvo
che si tratti di «terreni per i quali gli strumenti urbanistici
prevedono la destinazione edificatoria» (art. 52, comma 4, del
citato decreto).
Proprio con riguardo quest’ultimo punto, come si vede, la norma
originaria non specificava se lo strumento urbanistico dovesse
essere soltanto adottato o anche approvato; di qui le
oscillazioni giurisprudenziali che hanno portato al denunciato
109 Si ricorda che il criterio cosiddetto della “valutazione automatica” ha subito una notevole contrazione in seguito all’entrata in vigore del D.L. n. 223/2006, prima, e della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria per il 2007), poi. In particolare, l’articolo 35, comma 23-ter, del D.L. n. 223/2006 ha aggiunto il comma 5-bis all’articolo 52del D.P.R. n. 131/1986, secondo il quale, le disposizioni dei commi 4 e 5 non si applicano alle cessioni di immobili e relative pertinenze diverse da quelle disciplinate dall’articolo 1, comma 497, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 e successive modificazioni (legge finanziaria 2006). Secondo quest’ultima disposizione, in deroga all’art. 43 del D.P.R. n. 131/1986, «per le sole cessioni nei confronti di persone fisiche che non agiscano nell’esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali, aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo e relative pertinenze, all’atto della cessione e su richiesta della parte acquirente resa al notaio, la base imponibile ai fini delle imposte di registro, ipotecarie e catastali è costituita dal valore dell’immobile determinato ai sensi dell’articolo 52, commi 4 e 5, del D.P.R. n. 131/1986, indipendentemente dal corrispettivo pattuito indicato nell’atto. Le parti hanno comunque l’obbligo di indicare nell’atto il corrispettivo pattuito. Gli onorari notarili sono ridotti del 30 per cento» (cosiddetto “criterio del prezzo-valore”). La forfetizzazione della base imponibile e la conseguente inibizione dei poteri di controllo dell’Amministrazione finanziaria, quindi, trova applicazione nelle sole ipotesi ivi richiamate.
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contrasto e, ora, all’approvazione della legge interpretativa di
cui al D.L. n. 223/2006.
Come è stato precisato110, quest’ultimo provvedimento ha accolto
la tesi sostanzialistica, secondo la quale: «non occorre che lo
strumento urbanistico, adottato dal comune, abbia perfezionato
il proprio iter di formazione mediante l’approvazione da parte
della regione, atteso che l’adozione dello strumento
urbanistico, con inserimento di un terreno con destinazione
edificatoria, imprime al bene una qualità che è recepita dalla
generalità dei consociati come qualcosa di già esistente e di
difficile reversibilità e, quindi, è sufficiente a far venir
meno, ai fini anzidetti, la presunzione del rapporto
proporzionale tra reddito dominicale risultante in catasto e
valore del terreno medesimo, posto a fondamento della
valutazione automatica»111.
In altri termini, dinanzi ad una vocazione edificatoria di un
suolo, formalizzata in un atto della procedura prevista dalla
legislazione urbanistica, l’erario ritiene che, a prescindere
dallo status giuridico formale dello stesso, non sia più
possibile apprezzarne il valore sulla base di un parametro di
riferimento, come il reddito dominicale, che deve considerarsi
superato da più concreti criteri di valutazione economica.
Non interessa, dunque, ai fini fiscali, che il suolo sia
immediatamente ed incondizionatamente edificabile, perché possa
farsi ricorso legittimamente al criterio di valutazione del
valore venale in comune commercio: l’inizio della procedura di
“trasformazione” urbanistica di un suolo, implica, di per sé,
una “trasformazione” economica dello stesso, che non consente
più la valutazione, ai fini fiscali, secondo il criterio del
reddito dominicale112.
Tuttavia, l’aspettativa di edificabilità di un suolo, non
comporta, ai fini della valutazione fiscale, l’equiparazione sic
110 Cass., SS.UU., 30 novembre 2006, n. 25505, cit.
111 Cass., 9 dicembre 2002, n. 17513, in Il Fisco 2003, pag. 762; Id., 27 marzo 2002, n. 4381, ivi 2002, pag. 3926, con nota di F.P. D’Orsogna; Id., 22 marzo 2002, n. 4120, in La legge plus on line, IPSOA; Id., 12 dicembre 2002, n. 17762, in Il Fisco 2003, pag. 294; Id., 18 settembre 2003, n. 13817, in La legge plus on line, IPSOA. 112 Pertanto, se la procedura per la formazione del PRG è stata avviata, la situazione in movimento non consente più di beneficiare del criterio della valutazione automatica.
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et simpliciter all’edificabilità, ma soltanto, l’assoggettamento
ad un regime di valutazione differente da quello specifico dei
terreni agricoli. 113
In conclusione, ai fini dell’applicazione del D.P.R. n.
131/1986:
1. un’area è da considerarsi fabbricabile se
utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento
urbanistico generale adottato dal comune, indipendentemente
dall’approvazione della regione e dall’adozione di strumenti
attuativi del medesimo;
2. in caso di trasferimento di tali aree, non opera
l’inibizione del potere di controllo di cui all’art. 52, comma
4, con la conseguenza che l’accertamento del valore deve essere
effettuato ai sensi dell’art. 51, tenendo conto anche di quanto
sia effettiva e prossima l’utilizzabilità a scopo edificatorio
delle stesse, e di quanto possano incidere gli ulteriori
eventuali oneri di urbanizzazione.
5.2.3. Efficacia (retroattiva o irretroattiva) dell’art. 36,
comma 2, del D.L. n. 223/2006.
Dunque, il citato art. 36, comma 2, del D.L. n. 223/2006 ha
natura d’interpretazione autentica e, in quanto tale, detta
norma ha efficacia retroattiva: essa, cioè, si applica anche
alle fattispecie verificatesi anteriormente alla sua entrata in
vigore.
Va, tuttavia, rilevato che, nonostante l’autorevolezza della
fonte della suesposta tesi114, sul punto in questione esiste
ancora qualche incertezza.
Basti pensare che la Commissione Tributaria Regionale
dell’Emilia Romagna, in una recente sentenza115, si è espressa
in senso opposto a quello sopra precisato ed ha affermato che la
113 In definitiva, non rileva il fatto che, in ipotesi, lo strumento urbanistico possa essere modificato o non approvato, con la conseguenza che il suolo torni ad essere inedificabile. Del resto, l’imposta di registro non ha natura periodica, ma colpisce un evento istantaneo, nella specie il trasferimento di un bene immobile, che costituisce il fatto imponibile, la cui valutazione fiscale deve essere effettuata tenendo conto della situazione vigente al momento in cui si verifica il fatto imponibile stesso. Quindi, nessuna influenza possono avere le variazioni successive, se non rispetto agli eventuali ulteriori atti di trasferimento. 114 Cass., SS. UU., 30 novembre 2006, n. 25505, cit. 115 29 gennaio 2008, n. 91.
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norma in questione, in quanto introduttiva di criteri nuovi, non
ha natura interpretativa ed è applicabile alle sole fattispecie
verificatesi successivamente alla sua entrata in vigore.
I giudici tributari hanno sottolineato, in particolare, che,
dalla sistematicità utilizzata nella redazione e approvazione di
tale disposizione, emerge come il legislatore, quando ha voluto
applicare la norma con effetto retroattivo, lo ha fatto
espressamente, derogando specificamente all’art. 3, comma 1,
dello Statuto dei contribuenti116.
La richiamata sentenza delle Sezioni Unite della Corte di
Cassazione117, secondo i giudici tributari, non contrasterebbe
con questa tesi.
Essa, infatti, avrebbe considerato l’articolo in questione come
norma di interpretazione autentica solo ai fini
dell’inapplicabilità del sistema della valutazione automatica;
ma questa valutazione di fatto, che interferisce con una
determinata situazione giuridica, non produrrebbe l’automatico
superamento dei principi contenuti nello Statuto dei
contribuenti, che rimarrebbe applicabile al di fuori dei casi
specificamente esclusi dal suo ambito di applicazione, secondo
le indicazioni contenute nello stesso articolo 36 del D.L. n.
223/2006.
6. La tutela dell’affidamento e della buona fede del
contribuente quale limite al ripensamento interpretativo
sfavorevole dell’Amministrazione finanziaria.
Il principio della tutela del legittimo affidamento è stato
ravvisato in fattispecie relative alle ipotesi prefigurate
dall’art. 10, comma 2, dello Statuto dei diritti del
contribuente118.
116 Ad esempio, lo stesso articolo 36 del D.L. n. 223/2006, al comma 8 stabilisce, tra l’altro, che: «In deroga all’articolo 3, comma 1, della legge 27 luglio 2000, n. 212, recante disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente, le norme di cui ai precedenti commi 7 e 7-bis si applicano a decorrere dal periodo d’imposta in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto anche per le quote di ammortamento e i canoni di leasing relativi ai fabbricati acquistati o acquisiti a partire da periodi d’imposta precedenti …». 117 Cass. 30 novembre 2006, n. 25505, cit. 118 Cfr. Cass. 22 novembre 2001, n. 14782, cit., secondo la quale: «Il beneficio dell’esclusione della soprattassa, previsto dall’art. 21 della legge n. 154/1989 si applica nel caso di presentazione di
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In particolare, è stato affermato il principio secondo il quale,
le circolari ministeriali in materia tributaria non
costituiscono fonte di diritti e di obblighi; per cui, qualora
il contribuente si sia conformato ad un’interpretazione erronea
data dall’amministrazione finanziaria in una circolare,
successivamente modificata, è esclusa l’irrogazione delle
relative sanzioni proprio in base al principio della tutela
dell’affidamento espressamente sancito al citato art. 10, comma
2119.
In altri termini, se l’interpretazione normativa fornita in
precedenza dall’Amministrazione è erronea e, quindi,
illegittima, l’adozione di un’interpretazione diversa o
addirittura opposta non può fungere da base per la pretesa
dell’amministrato di ottenere comunque un provvedimento
contrario alla legge, ma può giustificare la pretesa del
contribuente di non essere sottoposto a sanzioni.
6.1. L’incidenza del principio della tutela dell’affidamento
sulla possibile debenza del tributo.
Ciò posto, è bene ricordare che la Corte di cassazione, nella
ben nota sentenza n. 17576/2002, si è spinta oltre ed ha
affermato che, nel principio di affidamento legittimo del
contribuente è insita - in ragione sia della sua natura di
principio sia del suo contenuto - una “capacità espansiva” non
limitata alle fattispecie specificamente considerate dal secondo
comma dell’articolo 10 dello Statuto dei diritti del
contribuente; tali fattispecie, pertanto, come si è sopra
anticipato, devono considerarsi meramente esemplificative,
ovvero specifiche espressioni del principio stesso relative a
casi ritenuti dal legislatore maggiormente frequenti.
un’istanza di rateizzazione formulata dal contribuente prima della scadenza del ruolo, poiché tale istanza, anche alla luce delle disposizioni contenute nella legge n. 212/2000 in materia di statuto del contribuente e recante il titolo “ tutela dell’affidamento e della buona fede”, costituisce atto idoneo a manifestare la volontà di adempimento, soprattutto quando tale volontà ha trovato attuazione anche per la parte relativa agli interessi, con la conseguenza che il mancato rispetto della scadenza del ruolo rappresenta fatto puramente formale, privo di rilievo sul piano sostanziale, non avendo il ritardo provocato alcun danno all’amministrazione creditrice».
119 Cass., 14 febbraio 2002, n. 2133, in Corriere trib. 2002, 30, pag. 2713, con nota di A. Benazzi.
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Conseguentemente, possono darsi dei casi in cui - accertata la
sussistenza dei presupposti dell’affidamento del contribuente -
ne consegua necessariamente non soltanto l’inapplicabilità di
sanzioni e/o di interessi moratori, ma addirittura
l’inesigibilità tour court della prestazione tributaria.
In tutti questi casi, il giudice può e deve pronunciare
l’annullamento totale dell’atto impositivo, anche con riguardo
all’imposta, se accerti che la pretesa fiscale è difforme (e
superiore) rispetto a quella determinabile sulla base
dell’interpretazione fornita nella circolare cui il contribuente
si fosse adeguato o, comunque, in contrasto con un atto o con un
comportamento dell’Amministrazione.
Nella stessa logica si pone il principio secondo il quale, «deve
essere ammesso alla definizione agevolata il contribuente che
abbia sostanzialmente rispettato la condizione fissata dalla
disposizione che la introduce, provvedendo al versamento delle
somme iscritte a ruolo non nell’originario termine di scadenza,
ma in quello successivo fissato a seguito di formale
provvedimento di dilazione concesso dall’Amministrazione
finanziaria». Infatti, «la contraria interpretazione … si pone
in evidente contrasto con il principio di affidamento che deve
guidare l’interprete nella valutazione delle vicende attinenti
alla nascita e alla evoluzione dei rapporti tributari» e,
quindi, «il comportamento del contribuente che … sia stato
rispettoso delle prescrizioni ministeriali, non può poi essere
ritenuto illegittimo o comunque preclusivo di benefici»120.
In sintesi, in base a questo orientamento:
120 Cass., 13 novembre 2003, n. 17129, in Corriere trib. 2004, n. 5, pagg. 389 e seguenti, con nota di M. Basilavecchia. Secondo questa sentenza, nel campo di applicazione dell’art. 10, comma 1, dello Statuto dei contribuenti deve essere compreso anche il sostituto d’imposta. Tale affermazione non è scontata, in quanto la disposizione de qua impiega il termine “contribuente” che, in senso proprio, andrebbe riferito al solo soggetto passivo su cui grava effettivamente l’obbligo tributario, non a quei soggetti che, come il sostituto o il responsabile d’imposta, si sostituiscono o si affiancano al contribuente nell’adempimento degli obblighi tributari, avendo però l’obbligo o la possibilità di rivalersi sul contribuente. È però evidente, sottolinea l’Autore (M. Basilavecchia), «che la funzione della norma che sancisce la rilevanza dell’affidamento non può che investire la totalità dei soggetti che si confrontano con l’Amministrazione finanziaria, quale che sia il ruolo dagli stessi svolto sul piano sostanziale e formale di ciascun tributo; così che gli obblighi di collaborazione e di buona fede non possono che riferirsi, nei riflessi attivi e passivi, ad una nozione più ampia possibile di “contribuente” e di “Amministrazione finanziaria”».
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a. se l’atto con il quale l’Amministrazione finanziaria
ha fornito un’interpretazione erronea ha un contenuto
inequivocabile, senza possibilità di prospettazioni alternative,
neppure l’imposta potrà essere pretesa da chi ad esso si sia
attenuto;
b. se l’atto erroneo dell’Amministrazione prospetta una
mera ipotesi interpretativa – un’indicazione preferenziale, ma
non esaustiva - non dovranno essere pretesi interessi né
irrogate sanzioni a chi ad essa si sia attenuto121;
c. fuori dal campo dell’affidamento e della tutela della
buona fede (e quindi a prescindere dall’esistenza di circolari e
di risoluzioni), non potranno essere irrogate sanzioni quando la
violazione dipenda da obiettive condizioni di incertezza sulla
portata e sull’ambito di applicazione della norma tributaria122.
Invero, tale impostazione – secondo la quale, accertata la
sussistenza dei presupposti dell’affidamento del contribuente,
ne consegue necessariamente non soltanto l’inapplicabilità di
sanzioni e/o di interessi moratori, bensì l’inesigibilità tour
court della prestazione tributaria – non va esente da critiche.
È stato, infatti, rilevato che, quella tributaria è una attività
vincolata, la quale trova origine, limiti e fondamento
esclusivamente nella legge123.
Sicché, a fronte dell’art. 10, comma 1, della legge n. 212/2000
- che ha introdotto la possibilità di utilizzare, anche in
materia tributaria, il fondamentale principio dell’affidamento -
si pone il comma 2 della stessa norma, per il quale
l’affidamento potrà essere la causa dell’abbattimento delle
sanzioni e degli interessi (che non si giustificherebbero per la
buona fede del contribuente, che ha seguito le indicazioni
dell’Amministrazione), ma non potrà essere in alcun caso la
causa di un abbattimento dell’imposta (che è disciplinata in
maniera oggettiva dalla legge soltanto).
121 G. Marongiu, Lo Statuto dei diritti del contribuente, in Il Fisco 2006, I, 20. 122 Così statuisce il comma 3 dell’art. 10 dello Statuto. 123 In termini, G. Falcone, Statuto dei diritti del contribuente e Cassazione tributaria, in Il Fisco 2003, 15, 221.
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E in questo senso, sul piano dei principi generali, vi è una
giurisprudenza che ha riconosciuto il diritto
dell’Amministrazione di agire in via di autotutela e di
annullare o revocare, ad esempio, condoni o accertamenti con
adesione illegittimi, in quanto in contrasto con la legge124.
Si deve concludere, allora, che un affidamento da tutelare non
può fare venir meno l’obbligo di pagare un’imposta che discende
dalla legge, e che viene dall’interprete solo accertata e
dichiarata in un provvedimento di autotutela, che va a
ripristinare la legalità.
Una conferma puntuale e sistematica a questa impostazione
discende, secondo una parte della dottrina125, dalla lettura
della norma sull’interpello, contenuta nell’art. 11 dello
Statuto medesimo, laddove il legislatore ha previsto al comma 2,
terzo periodo, che: «Qualsiasi atto, anche a contenuto
impositivo o sanzionatorio, emanato in difformità dalla risposta
… è nullo».
In questo caso, la nullità dell’atto impositivo (difforme dalla
risposta) è sancita giustamente dalla legge e l’interprete non
può che dichiararla; in tal caso, l’Amministrazione ha consumato
il suo potere e, su quella questione, nei confronti di quel
contribuente, non potrà più fare nulla di diverso.
In altri termini, il legislatore ha posto un limite
all’autotutela e ha voluto sanzionare con la nullità qualsiasi
intervento (impositivo o sanzionatorio) contrastante con la
risposta fornita dall’Amministrazione nel caso specifico.
Ma, proprio questa previsione particolare e specifica
dell’interpello conferma, secondo questi Autori, la validità e
la legittimità della norma generale di cui al comma 2 dell’art.
10 dello Statuto, che lascia intatto il potere di autotutela
sotto il profilo impositivo e lo azzera solo sotto il profilo
sanzionatorio e degli interessi.
124 Cfr. Cass., 11 luglio 2002, n. 10102, in Il fisco n. 33/2002, fascicolo n. 1, pag. 5371; Id., 24 luglio 2002, n. 10800, in La legge plus on line, IPSOA.
125 G. Falcone cit; E. Grassi I reiterati interventi del giudice di legittimità sulla tematica concernente lo Statuto dei diritti del contribuente, con particolare riguardo al principio dell’affidamento in Il Fisco, 2005, 32, 4943.
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In conclusione, secondo questa tesi, la tutela dell’affidamento,
per quanto forte possa essere, non può esentare il contribuente
dal pagamento dell’imposta, quando l’imposta è oggettivamente
dovuta; l’estensiva applicazione della tutela dell’affidamento,
infatti, confligge con principi fondamentali dell’ordinamento,
primo fra tutti il principio dell’indisponibilità
dell’obbligazione tributaria126.
6.2. Principio di buona fede nel rapporto con i principi
generali del diritto comunitario e, in particolare, con la
nozione comunitaria di affidamento.
La Corte di Giustizia delle Comunità europee ha da tempo e
costantemente affermato che quelli della tutela del legittimo
affidamento e della certezza del diritto costituiscono principi
generali del diritto e dell’ordinamento comunitari127.
In particolare attuazione di tali principi, la Corte comunitaria
- sulla base della premessa secondo cui il diritto di esigere la
tutela del legittimo affidamento si estende a chiunque si trovi
in una situazione dalla quale risulti che l’amministrazione
comunitaria gli ha dato aspettative fondate128 - ha stabilito,
tra l’altro, che la revoca di un atto amministrativo favorevole
è generalmente soggetta a condizioni molto rigorose.
Sicché, è senz’altro innegabile che ogni istituzione
comunitaria, la quale accerta che un atto da essa emanato è
viziato da illegittimità, ha il diritto di revocarlo entro un
termine ragionevole con effetto retroattivo; tale diritto,
tuttavia, può essere limitato dalla necessità di rispettare il
legittimo affidamento del destinatario dell’atto.
A tal fine, è necessario verificare che:
126 In quest’ottica è stato precisato (C. Scalinci, Verso una “nuova” codificazione: uno statuto di principi tra ricognizione, determinazione e clausole in apicibus, in “Rassegna Tributaria” n. 2/2003, pag. 656, nota 109) che, la capacità espansiva delle norme statutarie può trovare terreno in altre disposizioni dello Statuto, come, per esempio, l’art. 7. comma 2, lett. c) che, limitandosi a stabilire taluni aspetti del modello di effettività del diritto di difesa, quali la doverosa informazione sui modi e sui tempi degli atti impugnabili, ben può essere considerato esemplificativo e non esaustivo dell’informazione stessa, a tutela del diritto medesimo. 127 Cfr., sentenze 3 maggio 1978, in causa 112/77, e 21 settembre 1983 in cause riunite 205-215/82. 128 Cfr. sent. 19 maggio 1983, in causa 289/81; nonché Tribunale di primo grado, sent. 17 dicembre 1998, in causa T-203/96.
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1. nessun interesse di ordine pubblico prevalga
sull’interesse del destinatario a conservare una situazione che
egli poteva considerare stabile;
2. che il destinatario non abbia provocato l’atto
mediante indicazioni false o incomplete.
In proposito, la Corte ha precisato che il momento determinante
per stabilire quando nasce il legittimo affidamento del
destinatario di un atto amministrativo è rappresentato dalla
notifica dell’atto stesso e non dalla data della sua adozione o
della sua revoca129.
7. L’affidamento e l’emendabilità degli errori della
dichiarazione fiscale.
In un sistema improntato ormai, per effetto dell’entrata in
vigore dello Statuto del contribuente, ai principi di tutela
dell’affidamento e della buona fede, deve riconoscersi al
contribuente la possibilità di far valere, attraverso la
procedura del rimborso – disciplinata compiutamente dall’art. 38
del D.P.R. n. 602/1973 - «ogni tipo di errore (materiale o di
diritto, ancorché non rilevabile ictu oculi dalla dichiarazione)
commesso in buona fede nel momento della redazione della
dichiarazione e da cui sia derivato un pagamento indebito»130.
A queste conclusioni, invero, si è giunti non senza qualche
difficoltà, a causa dei contrastanti orientamenti che si
registrano nel panorama nella giurisprudenza di legittimità131.
E precisamente, secondo la tesi, per così dire, restrittiva
(maggioritaria), fondata sulla necessaria osservanza dei termini
prescritti dalla legge per la presentazione delle dichiarazioni
tributarie, la correzione delle dichiarazioni stesse doveva
ritenersi esclusa oltre la scadenza di detti termini, a meno che
129 Cfr. sent. 17 aprile 1997, in causa C-90/95; cfr. anche sentt. 26 febbraio 1987, in causa 15/85, e 20 giugno 1991, in causa C-248/89. 130 Cass. 10 settembre 2001, n. 11545, in La legge plus on line, IPSOA; Id., SS.UU., 25 ottobre 2002, n. 15063, ivi. Si ricorda che la prova dell’inesistenza dell’obbligazione tributaria a causa di un errore e la prova del verificarsi di un indebito grava sul contribuente, che deve fornire gli elementi costitutivi della sua pretesa. 131 Si veda, al riguardo, M. Logozzo, Le SS.UU. della Cassazione riconoscono la ritrattabilità della dichiarazione tributaria, in Corriere tributario, 1 / 2003, p. 55.
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non si trattasse di errori materiali o di calcolo risultanti
ictu oculi dal testo della medesima dichiarazione.
Il fondamento di tale filone giurisprudenziale rispondeva
all’esigenza di dare “stabilità” ad un atto giuridico
assoggettato a precisi vincoli di forma e di tempo che importano
una sostanziale irritrattabilità.
Del resto, è stato precisato, se si riconoscesse al contribuente
la facoltà di modificare radicalmente la dichiarazione
originaria (al di là, dunque, dei casi di errori materiali o di
calcolo) «si vanificherebbero tutte le norme che disciplinano ed
assoggettano a limiti temporali rigorosi le dichiarazioni del
contribuente stesso»132.
L’orientamento, per così dire, “liberale” (minoritario),
viceversa, affermava la rettificabilità da parte del
contribuente degli errori, anche non materiali e di calcolo,
contenuti nella dichiarazione, sul rilievo che la stessa
dichiarazione ha natura di manifestazione di scienza (non
costitutiva, quindi, del debito d’imposta) e, in quanto tale, si
inserisce nell’ambito del procedimento di accertamento dei
tributi.
La ritrattabilità doveva essere fatta valere nei termini
previsti per azionare il rimborso d’imposta ovvero per impugnare
gli atti impositivi, essendo destinate a rimanere irritrattabili
soltanto le dichiarazioni riferite a rapporti tributari che, per
il trascorrere del tempo e/o per il sopravvenire di decadenze,
si dovevano ritenere esauriti133.
Oggi, soprattutto dopo la pronuncia delle Sezioni Unite della
Cassazione134, che ha accolto la tesi cosiddetta “liberale, si
può affermare, con una certa tranquillità, che al potere
dell’ufficio di rettificare la dichiarazione deve corrispondere
il potere-dovere del contribuente di correggere la stessa anche
a suo favore, soprattutto allorché l’errore commesso comporti 132 Cass. 3 aprile 1997, n. 2885, in Foro it. 1997, I, pag. 1385; Id. 13 agosto 1992, n. 9554, cit.. 133 Cass., 1° agosto 2000, n. 10055, in Giur. imposte 2000, II, pag. 1294 e Giur. it. 2000, pag. 2193. Secondo la citata sentenza, non derogano a questo quadro di esigenze di un rigoroso rispetto delle modalità e dei termini di presentazione le dichiarazioni in tema di IVA, rispetto alle quali tali esigenze si fanno - anzi - tanto più nette, ove si considerino - ad esempio - i meccanismi di detrazioni d’imposta operanti a favore del cessionario del bene o della prestazione di servizio. 134 Sentenza 25 ottobre 2002, n. 15063, cit.
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l’applicazione di un’imposta superiore a quella realmente
dovuta.
Ad esempio, la dichiarazione è stata ritenuta rettificabile nei
seguenti casi:
⎯ errore sull’esistenza del presupposto tributario135;
⎯ errore materiale136;
⎯ errore od omissione137;
⎯ erronea valutazione di una situazione giuridica o
erronea rappresentazione di circostanze di fatto138;
⎯ errore “di diritto” circa la qualificazione come
reddito imponibile di una determinata imposta139.
Ed invero, sulla base dell’indirizzo che riconosce
all’emendabilità degli errori (anche non meramente materiali o
di calcolo), contenuti in dichiarazioni (o, comunque, in atti
dello stesso contribuente costituenti il presupposto
dell’imposizione fiscale), valenza di principio generale del
sistema tributario140, «il contribuente può procedere alla
rettifica di errori di qualsiasi genere, anche dopo la scadenza
del termine per la presentazione della dichiarazione e tale
rettifica, se formulata, deve essere presa in considerazione
dall’ufficio ai fini della liquidazione dell’imposta dovuta»141.
E ciò anche alla luce del principio - esistente ancor prima
dell’espresso riconoscimento contenuto nell’art. 10 della legge
n. 212/2000 - della collaborazione e della buona fede, che deve
caratterizzare i rapporti tra contribuente ed amministrazione
finanziaria.
135 Commissione Tributaria Centrale, sez. II, 11 ottobre 1972, n. 8988. 136 Commissione Tributaria Centrale, 24 novembre 1978, n. 16278, in Corriere trib., 1980, 1795. 137 Cass. 23 gennaio 1985, n. 271, ivi, 1985, 857. 138 Commissione Tributaria Centrale, sez. XX, 15 gennaio 1991, n. 260, in Corriere trib., 1991, 1225. 139 Cass. 27 giugno 1994, n. 6157, in Il fisco, 1994, 11470. 140 Ciò in quanto, come è stato affermato (Cass. 20 giugno 2002, n. 8972, in La legge plus on line, IPSOA) «la dichiarazione non ha valore confessorio, né costituisce fonte dell’obbligazione tributaria - inserendosi nell’ambito di un più complesso procedimento di accertamento e di riscossione. Inoltre, i principi della capacità contributiva e di buona amministrazione rendono intollerabile un sistema legale che impedisse al contribuente di dimostrare, entro un ragionevole lasso di tempo, l’inesistenza di fatti giustificativi del prelievo. Ai citati principi costituzionali si aggiunge quello di legalità dell’amministrazione».
141 Cass. 20 giugno 2002, n. 8972, cit. Questa sentenza, sebbene circoscritta alla tematica della dichiarazione di successione, costituisce una novità giurisprudenziale di notevole rilievo, ponendosi in antitesi rispetto all’orientamento, per così dire, restrittivo sino a quel momento manifestato dai giudici di legittimità in materia di ritrattabilità della dichiarazione tributaria.
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Non solo. Il principio di buona fede, che impone al contribuente
di tenere un comportamento, per così dire, leale nei confronti
dell’Amministrazione Finanziaria, non può essere inteso nel solo
senso di consentire, al contribuente stesso, di dichiarare o
correggere situazioni a sé sfavorevoli e favorevoli
all’amministrazione e non anche nel senso contrario di
correggere situazioni a sé favorevoli e sfavorevoli all’altra
parte142.
In altri termini, l’interesse fiscale o pubblico non può
realizzarsi a danno del contribuente e a vantaggio
dell’amministrazione, consentendole di trattenere somme
indebitamente riscosse solo perché risultanti da un’errata
dichiarazione; se così fosse verrebbe violato l’obbligo di
correttezza a carico del Fisco che, prima ancora di essere
sacralizzato nello Statuto del contribuente, trova la sua fonte
nell’art. 97, comma 1, della Costituzione, nella parte in cui
sancisce il principio del buon andamento dell’azione
amministrativa.
7.1. Ritrattabilità della dichiarazione di successione, in
particolare.
La Corte di Cassazione, in una nota sentenza,143 ha stabilito
che, in tema di imposta di successione, il contribuente può
procedere alla rettifica di errori di qualsiasi genere,
contenuti nella dichiarazione, anche dopo la scadenza del
termine per la sua presentazione; tale rettifica, se fondata,
deve essere presa in considerazione dall’ufficio, ai fini della
liquidazione dell’imposta dovuta, ex art. 33 del D.Lgs. 31
ottobre 1990, n. 346 (Testo Unico in materia di imposta sulle
successioni e donazioni).
Il caso è paradigmatico.
Alcuni soggetti presentano, in qualità di eredi, una
dichiarazione di successione nella quale attribuiscono a un bene
ereditario un determinato valore.
142 F. Moschetti, Emendabilità della dichiarazione tributaria, tra esigenze di stabilità del rapporto e primato dell’obbligazione dovuta per legge, in Rass. trib., 2001, n. 4, 1168. 143 Sentenza 20 giugno 2002, n. 8972, cit.
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Successivamente, l’ufficio del registro-successioni notifica ai
medesimi eredi un avviso di liquidazione dell’imposta,
determinata in base ai valori dichiarati.
I contribuenti, affermando di avere per errore attribuito al
detto cespite un valore superiore a quello risultante dalla
moltiplicazione della rendita catastale per il coefficiente di
legge, provvedono al pagamento di una somma inferiore a quella
dovuta in base al valore dichiarato, dandone notizia all’ufficio
mediante lettera raccomandata e presentando, altresì, dopo il
decorso di sei mesi dalla data di apertura della successione144,
una nuova dichiarazione nella quale indicano il valore che
ritengono corretto.
L’ufficio notifica nuovo avviso di liquidazione per la
differenza tra il pagato e il preteso.
Si apre, così, un contenzioso tra Fisco e contribuenti che si
conclude a favore di questi ultimi145.
In particolare, secondo la Cassazione, la regola contenuta
nell’art. 33, comma 2, del D.Lgs. n. 346/1990, secondo il quale:
«In sede di liquidazione l’ufficio provvede a correggere gli
errori materiali e di calcolo commessi dal dichiarante nella
determinazione della base imponibile …», lungi dal prevedere un
potere discrezionale conferito esclusivamente
all’amministrazione finanziaria, deve considerarsi espressione
del principio della collaborazione e della buona fede contenuto
nell’art. 10, comma 1, dello Statuto dei diritti del
contribuente.
Ne consegue che il contribuente può procedere alla rettifica di
errori di qualsiasi genere, anche dopo la scadenza del termine
per la presentazione della dichiarazione.
Ovviamente – prosegue il Collegio - l’ipotesi dell’errore deve
essere ben distinta da quella dell’indicazione consapevole di un
valore diverso da quello precedentemente dichiarato (e cioè il
144 Detto termine di sei mesi dalla data di apertura della successione entro il quale la dichiarazione deve essere presentata è oggi fissato, come noto, in 12 mesi dalla medesima data. 145 Si ricorda, tuttavia, che sia la Commissione Tributaria Provinciale che la Commissione Tributaria Regionale avevano accolto la tesi del Fisco, sul rilievo che la dichiarazione può essere rettificata dagli eredi soltanto entro il termine utile per la sua presentazione: scaduto il termine, la rettifica può avvenire solo per errori di diritto.
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vero e proprio ius poenitendi), facoltà che deve essere
esercitata nei termini previsti per la presentazione della
dichiarazione.
7.2. Limiti temporali all’emendabilità della dichiarazione.
In relazione ai limiti temporali dell’emendabilità della
dichiarazione, occorre operare, secondo la giurisprudenza, una
necessaria distinzione.
In particolare, «quando si tratta di errore materiale o di
calcolo, rilevabile ictu oculi dalla stessa denunzia, per la sua
rettifica non è necessario uno specifico atto d’impugnazione da
proporsi entro un termine di decadenza, essendo esso
correggibile anche d’ufficio146 o su una qualunque
sollecitazione dell’interessato, entro il termine di
prescrizione del diritto al rimborso in base al principio della
falsa demonstratio non nocet»147.
Nell’ipotesi in cui, invece, il contribuente intenda far valere
precisazioni o rettifiche diverse dai meri errori materiali o di
calcolo, occorre utilizzare le stesse forme e rispettare gli
stessi termini previsti per la dichiarazione che si intende
correggere, la quale viene così sostituita da quella
successivamente presentata148.
146 Ad esempio, per le imposte sui redditi, per mezzo dell’art. 36-bis, comma 2, lett. a), del D.P.R. n. 600/1973. 147 Cass., 23 gennaio 1985 n. 277, in Corriere trib., 1985, 857. 148 In tal senso, Cass., 27 aprile 1988, n. 3174, in Corr. trib., 1988, 1571; Id., 13 agosto 1992, n. 9554, ivi, 1992, 730; Id., 5 febbraio 1996, n. 946, in Riv. not. 1996, II, pag. 1219. Quest’ultima, in particolare, afferma che, «al di fuori degli errori materiali o di calcolo, contenuti nella dichiarazione del contribuente - per la cui correzione non è necessario uno specifico atto d’impugnazione, da proporsi entro un termine di decadenza, dovendosi procedere d’ufficio alla correzione dell’errore ed al rimborso della somma indebitamente versata entro il termine di prescrizione del diritto del contribuente - a questo è consentito correggere gli errori - sia di fatto che di diritto - in via di “ritrattazione” con obbligo per l’Ufficio di tenerne conto, solo presentando una dichiarazione “sostitutiva” con le modalità e nel termine stabiliti dalla legge per l’adempimento dell’obbligo tributario. Pertanto, la denuncia di successione, rettificativa di quella originaria con riferimento al valore dichiarato dei vari cespiti ereditari, presentata oltre i termini di cui all’art. 39 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637, non assume funzione sostitutiva di quest’ultima e non costituisce, quindi, base per il calcolo dell’imposta di successione dovuta. Ne deriva che la mancata tempestiva impugnazione dell’avviso di liquidazione dell’imposta principale, emesso sulla base dei valori risultanti dalla denuncia originaria, rende l’imposta principale definitiva ed incontestabile, escludendo la possibilità di far valere, nei confronti del Fisco, con altri mezzi, gli “errori di valutazione”, asseritamente contenuti nella prima denuncia, per ottenere la riduzione dell’imposta principale dovuta». Nella specie, il contribuente aveva proposto istanza di rimborso in via amministrativa, chiedendo la riliquidazione dell’imposta principale sulla base della dichiarazione
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Al riguardo, le pronunce succedutesi nel tempo mostrano un certo
qual favor per il comportamento virtuoso del contribuente che
adegua quanto dichiarato alla realtà dei fatti e delle norme149.
In questa prospettiva, è stato ritenuto che la rettifica da
parte del contribuente possa aver luogo anche in sede
contenziosa, sino a quando il rapporto non si sia
definitivamente esaurito150, in virtù del principio secondo il
quale un’imposta non può considerarsi definitivamente dovuta
solo in quanto oggetto di dichiarazione151.
Una considerazione a parte merita l’ipotesi della rettifica
della dichiarazione dei redditi, in ordine alla quale entra in
gioco l’istituto della dichiarazione integrativa in diminuzione,
previsto dall’art. 2 del D.P.R. n. 435/2001, che ha aggiunto,
all’art. 2 del D.P.R. n. 322/1998, il comma 8- bis: sulla base
di tale disposizione, la dichiarazione dei redditi (e la
dichiarazione IRAP e quella dei sostituti d’imposta) può essere
integrata dal contribuente per correggere errori od omissioni
che abbiamo determinato un maggior reddito o, comunque, un
maggior debito d’imposta.
Come è stato rilevato, il profilo più delicato è quello della
ristrettezza dei tempi per la presentazione della dichiarazione
in diminuzione, la quale può essere presentata “non oltre il
termine prescritto per la presentazione della dichiarazione
relativa al periodo d’imposta successivo”152.
rettificativa e, successivamente, aveva presentato ricorso alla Commissione Tributaria avverso il silenzio - rifiuto dell’Ufficio. 149 Si è sostenuto, ad esempio, che ove la dichiarazione dei redditi contenga un errore – derivato nella specie da una erronea certificazione resa al contribuente dall’Inps e da questi utilizzata in buona fede per la redazione della dichiarazione – costui può rettificare la dichiarazione prodotta, nel termine di cinque anni che è concesso all’Amministrazione finanziaria dall’art. 43 del D.P.R. n. 600/1973 per la rettifica della stessa; in tal modo, il contribuente potrà ottenere il rimborso di quanto indebitamente versato, indipendentemente dalla scadenza del termine per l’impugnazione del ruolo. In termini, Comm. centr., sez. III, 18 aprile 1991, n. 2987, in Riv. dir. trib., 1991, II, 601; Id., sez. IX, 15 novembre 1997, n. 5561, in Giur. imp., 1998, 365; Id., sez. I, 21 aprile 1998, n. 2059, in Giur. imp., 1998, 763. Secondo quest’ultima pronuncia, la rettificabilità in sede contenziosa deriva dal fatto che oggetto della cognizione del Giudice – nel processo tributario – è l’accertamento della sussistenza o meno del rapporto d’imposta e del conseguente debito del contribuente. 150 In questi termini Comm. centr., sez. XIX, 31 maggio 1989, n. 3906, in Giur. imp., 1989, 453. 151 Cfr. Comm. trib. di Reggio Emilia, sez. VII, 13 ottobre 1993, n. 703, in Boll. trib., 1994, 1364. 152 Cfr. M. Logozzo, “Le dichiarazioni integrative in aumento e in diminuzione”, in Corr. Trib. n. 9/2002, pag. 745, secondo il quale, la ristrettezza dei termini per la presentazione della dichiarazione in diminuzione può essere spiegata solo se si considera che ciò consente al contribuente di utilizzare in compensazione il credito
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Ora, non sembra possibile affermare che il termine previsto per
la dichiarazione integrativa in diminuzione sia il termine
ultimo per la ritrattazione: siffatta interpretazione del comma
8-bis dell’art. 2 del D.P.R. n.322/1998, infatti, segnerebbe un
arretramento rispetto alle più recenti posizioni della
giurisprudenza di legittimità153.
È stato quindi affermato che, nel caso in considerazione,
superato l’anno dal momento della sua presentazione, «la
dichiarazione erronea potrà essere ritrattata con gli strumenti
“classici”, ossia la proposizione dell’istanza di rimborso entro
i termini stabiliti dalla legge (per le imposte sui redditi art.
38 del D.P.R. n. 600/1973) ovvero il ricorso contro un atto
d’imposizione (avviso di accertamento, iscrizione a ruolo,
avviso di liquidazione, ecc.) per sottoporre al giudice la
cognizione dell’intero rapporto tributario, compresa la parte
oggetto di dichiarazione erronea»154.
7.3. La rettifica della dichiarazione, considerazioni
conclusive.
Dall’esame delle pronunce sopra richiamate possono trarsi le
seguenti conclusioni.
Come affermato da una parte della giurisprudenza, la rettifica
della dichiarazione è ammissibile fino allo spirare del termine
previsto per l’esercizio dell’attività di accertamento.
Secondo questa tesi, che evidentemente attribuisce alla dichiarazione natura di dichiarazione di
scienza155, l’intento di far prevalere la realtà sull’apparenza deve essere considerato
preminente rispetto al generale interesse relativo alla certezza dei rapporti giuridici; di
conseguenza, la dichiarazione risulta sempre emendabile, purché non sia intervenuta la
prescrizione di ogni debito restitutorio dell’Amministrazione156.
d’imposta scaturente da detta dichiarazione con il debito d’imposta della dichiarazione del periodo successivo e attribuisce all’Amministrazione un congruo lasso di tempo per effettuare il controllo della nuova dichiarazione. 153 E. De Mita, “Un passo verso la codificazione”, in Il Sole 24-Ore del 30 ottobre 2002, pag. 25. 154 M. Logozzo, op. cit. 155 Si rinvengono, infatti, tre contrapposti orientamenti dottrinali che configurano la dichiarazione come: 1) dichiarazione di volontà; 2) confessione stragiudiziale; 3) manifestazione di scienza.
156 Principio cristallizzato nell’art. 10, comma 1, della legge n. 212/2000, secondo il quale «i rapporti tra contribuente e Amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede»: ed è, senza alcun dubbio, conforme alla buona fede provvedere alla restituzione di somme non dovute.
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SECONDA SESSIONE
Prof. Francesco D’ Ayala Valva, ordinario di Diritto Tributario
Università del Molise.
“Il garante del contribuente per una buona amministrazione
tributaria.”
SOMMARIO: .1 Alla ricerca di una migliore tutela dei diritti dei cittadini. – .2.– I Garanti dei diritti del contribuente..
– .3 Competenza per materia – .4 L’ambito regionale di intervento –5 I problemi di un organo collegiale –6 La
temporaneità dell’incarico – .7 Qualificazione e professionalità del Garante – .8 L’autonomia dell’organo ed
indipendenza economica . –9 La segnalazione al Garante ed i moderni processi di comunicazione fiscale –.10 Il
potere di attivazione dell’autotutela –.11 Riflessioni conclusive.
1. Alla ricerca di una migliore tutela dei diritti dei
cittadini.
Il Garante del contribuente non ha avuto, presso l’ampio
pubblico dei contribuenti ma anche degli stessi giuristi, quella
risonanza che le funzioni ad esso attribuite permettevano di
poter sperare. Ad oltre otto anni di distanza dalla sua
istituzione questa nuova figura stenta ad imporsi, in parte
soffocata dalla presenza di altre Authority157 di maggiore
rilevanza158 ed impatto mediatico, quale quella sugli scioperi o
sulla Privacy, in parte travolta dalla vivacità delle tematiche
normative, annunziate ed, alle volte, solo limitatamente attuate
negli ultimi otto anni159. L’alba del nuovo millennio è stata,
infatti, caratterizzata da una vasta produzione normativa,
continuata, anche con maggiore vigore, negli anni successivi,
157 IACOLARI M.A., La rappresentanza e la mediazione degli interessi nell’ordinamento tributario italiano, ESI, 2007, 157, nota 5; V. ONIDA, “La Costituzione”, Mulino, 2004, 105. 158 M. CLARICH, Autorità indipendenti. Bilancio e prospettive di un modello, Il Mulino, Bologna 2005; G. GRASSO, Le autorità amministrative indipendenti della Repubblica tra legittimità costituzionale e legittimità democratica, Giuffré, Milano, 2006; la proliferazione di Autorità-Garanti è ora oggetto di riesame, con ipotesi di accorpamento lì dove lo spazio dei confini delle competenze si sta dimostrando di complessa gestione. 159 Anche per il garante del contribuente era stato presentato, alla fine della legislatura, un progetto di legge di ampliamento dei relativi poteri, senza alcuna possibilità temporale di un suo esame ed approvazione.
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tendente ad aggiornare il diritto scritto160 con il diritto
vivente161. L’interpretazione evolutiva162 delle norme sembrava
mostrare, alle volte, dei limiti sempre più insuperabili e
l’emersione ed il consolidarsi di alcuni principi generali
richiedeva sempre di più una loro collocazione in nuovi atti
normativi.
L’intervento del legislatore non si è limitato agli atti comuni
di normazione163, ma si è volto anche alla carta costituzionale,
proprio nell’intendimento di adeguarla alle nuove esigenze. Il
riferimento è alla riforma del titolo V della parte seconda
della Costituzione164, preceduta da altre significative
innovazioni, pur sempre riguardanti le Regioni165 e le fonti di
autonomia territoriale in genere166, proseguita poi con
160 L’evoluzione della semplificazione dell’apparato normativo si è spinto verso una sostanziale abrogazione della precedente normativa, tramite una legge delega. Sul punto vedi alcune riflessioni di P. AQUILANTI, Abrogare le leggi più vecchie, e anche quelle di mezza età, Foro it. 2005, V, 162. 161 Una forte spinta all’evoluzione del diritto vivente è stata fornita dalla nuova attenzione all’”Etica” ed alle sue connessioni con il diritto, specie negli affari. Sul punto vedi G. VISENTINI, Etica e affari. Una prospettiva giuridica, Luiss University Press, 2005, passim.; CAPRIGLIONE F., Etica della finanza e finanza etica, Laterza, 1997, 5, evidenzia che si è in presenza di una tendenza al superamento dell’interpretazione utilitaristica, che in passato ha caratterizzato la rilevanza teorica del mercato. Ciò da luogo ad una lettura dei fenomeni sempre più orientata alla valorizzazione di alcuni principi (quali la solidarietà, la redistribuzione, l’equità, ecc.) che appaiono destinati ad attenuare la rigida applicazione delle categorie proprie della scienza economica ed a consentire un’impostazione etica dei rapporti intersoggettivi. L’Autore intravede una concezione dei rapporti economici nella quale liceità della proprietà privata, libertà d’iniziativa, libertà di associazione dovrebbero essere ispirate alla “cultura del dare”. Da questa riflessione consegue che proprio nel campo tributario si riscontra, in misura maggiore, la scelta egoistica ed asociale dell’evasore che non “ da”, negando la partecipazione alle spese pubbliche, in relazione alla propria capacità contributiva e nella misura determinata dal legislatore. 162 GUASTINI R., Le fonti del diritto e l’interpretazione, Giuffrè, 1993, 385, ricorda che mutando le circostanze storiche (sociali, culturali, etc.) nelle quali una legge deve essere applicata, deve mutare (“evolversi”) altresì il modo di interpretarla. Dello stesso Autore vedi L’interpretazione dei documenti normativi, in Trattato di diritto civile e commerciale, Giuffré, 2004, 196. 163 Lo sforzo di adeguare le norme alle nuove esigenze non si è tuttavia esaurito ed è stato di recente auspicato da G. ALPA, Riti e normative da semplificare, Il sole 24 ore, sabato 4 marzo 2006, n. 62, 21, nella qualità di Presidente del Consiglio nazionale forense. In particolare, prendendo le mosse dai progetti normativi sui cosiddetti servizi legali, ha dichiarato che l’avvocatura chiede al futuro legislatore di ricevere uno statuto normativo proprio, in relazione al ruolo che essa assolve nel sistema costituzionale, nell’ambito di amministrazione della giustizia, nella soluzione stragiudiziale delle controversie e nel predisporre e concretare le operazioni, che sono il motore dell’economia. Si auspica, quindi, uno “Statuto dell’avvocatura” idoneo ridisegnare la professione forense in forma unitaria, sottraendola ad iniziative non coordinate. E interessante notare che in questo caso è stata invocata la particolare forma normativa “Statuto”, riconoscendo la particolare valenza di tale “forma” nell’ambito della legislazione ordinaria, sulla scia forse dello statuto dei diritti del lavorator prima e del contribuente poi. 164 A. RUGGERI, Fonti, norme, criteri ordinatori, Lezioni, Giappichelli, 2005, quarta edizione, 4, afferma che le novità sono state di tale ampiezza da non consentirgli di salvare neppure un rigo della precedente trattazione relativa alle fonti regionali e locali in genere. 165 La pressione su un nuovo rapporto stato enti locali faceva perno anche su un diverso criterio di ripartizione dei tributi. Di una rotazione dell’asse del prelievo fiscale dal centro alla periferia parlano G. TREMONTI G. VITALETTI, Il federalismo fiscale. Autonomia municipale e solidarietà sociale, Laterza, 1994.
166 A. FEDELE, Appunti dalle lezioni di diritto tributario, Giappichelli, Torino, 2005, 34, evidenzia come nella nuova formulazione del titolo V della carta costituzionale il contenuto della nozione “sistema tributario” sembra mantenere il suo significato, designando l’insieme di tutti gli istituti fiscali presenti nell’ordinamento giuridico. Osserva che, invece, nuova appare la nozione di “sistema tributario dello Stato”, che
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ulteriori interventi del legislatore con la legge costituzionale
recante “Modifiche alla Parte II della costituzione”167,
disattesa dal referendum confermativo168. Ricordare l’evoluzione
normativa fa prendere coscienza della nuova difficoltà
dell’interprete nel cercare di cogliere la portata della
normativa precedente alla luce del differente e mutante quadro
normativo, nel quale è pur sempre chiamata ad operare.
In un contesto di particolare effervescenza normativa169, alle
volte condannata ad esaurirsi nella sola enunciazione di un
provvedimento170, è stato emanato un testo normativo di
particolare rilievo171, più conosciuto come Statuto dei diritti
del contribuente, finalizzato ad introdurre nel sistema
normativo una nuova forma di tutela indiretta del contribuente.
E’ stato puntualmente osservato172 che l’approvazione, dopo una
lunga e complessa vicenda parlamentare, della legge 27 luglio
2000, n. 212, costituisce una novità importante nel panorama
legislativo. Pur con una certa frammentarietà e con il
dichiarato intento di limitare l’intervento ai soli profili di
garanzia per il contribuente, la legge si caratterizza come vera
e propria legge generale, volta a fissare “principi generali”
identifica i soli tributi erariali, contrapposti a tutti gli altri. Sul punto vedi da ultimo A. DI PIETRO, Federalismo e devoluzione nella recente riforma costituzionale: profili fiscali, Rass. Trib., 2006, 1, 245; P. SELICATO, La nuova autonomia degli enti territoriali, Dir. prat. trib., 2005, I, 1196; S. PELLEGRINI, L’autonomia tributaria delle regioni è condizionata dalle leggi statali di coordinamento, Dir. prat. trib., 2005, II, 1291. 167 G.U. 18 novembre 2005, n. 269; A. PIZZORUSSO, Le riforme costituzionali: una transizione per destinazione sconosciuta, Foro it. , 2005, V, 217.
168 Ricordare l’evoluzione normativa fa prendere coscienza della nuova difficoltà dell’interprete nel cercare di cogliere la portata della normativa precedente alla luce del differente e mutante quadro normativo, nel quale è pur sempre chiamata ad operare. E’ appena il caso di ricordare il passaggio di consegne tra l’Amministrazione delle Finanze e le Agenzie fiscali, con i complessi problemi interpretativi sul soggetto legittimato ad agire ed a contraddire nel processo tributario; l’assenza di una normativa intertemporale ha portato la Corte di Cassazione a soluzioni inizialmente contraddittorie e, quindi, ad una ipotesi elastica tra agenzia centrale e locale. 169 G. MARONGIU, Dallo Statuto del contribuente al Codice tributario nel ricordo di Ezio Vanoni, in AA VV, La politica economica tra mercati e regole, Rubettino, 2005, 243, afferma che alla stabilità normativa giova, indubbiamente, una disciplina per principi che è, esattamente, l’antitesi di quanto è avvenuto negli ultimi venti anni durante i quali la gran massa di provvedimenti normativi sono connotati da discipline, di settore, per dettagli e continuamente rinnovatesi. 170 G. NAVARRINI, Le forme rituali della politica, Laterza, 2001, 170, evidenzia come la presentazione di un disegno di legge alle volte non corrisponde al desiderio di vederlo subito approvato, ma anche più limitatamente di essere presente sulla scena politica come fabbrica di notorietà. 171 BRONZETTI G., Il Garante del Contribuente: realtà e prospettive, Riv. dir. trib., 2007, n. 5, I, 547. 172 A. FANTOZZI A. FEDELE, Statuto dei diritti del contribuente, Prefazione, Giuffrè, 2005, VI; F. D’AYALA VALVA, Dall’ombudsman al garante del contribuente, Studio di un percorso normativo, in Riv. Dir. trib., 2000, 1037.
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della materia173 e con l’esplicita previsione di clausole
“autorafforzative”174.
Nella legge possono enuclearsi, unitamente alla affermazione di
principi generali tratti dalla Costituzione, anche nuovi
istituti, che costituiscono un insieme di particolare rilevanza
in quanto esplicitazione ed attuazione concreta dei principi
costituzionali con la stessa norma riaffermati. La
giurisprudenza della Corte di cassazione, dopo una iniziale
perplessità derivata dalle prime prese di posizione della
dottrina, ha accolto con favore il messaggio contenuto nelle
disposizioni dello Statuto, richiamandole ed approfondendone il
contenuto175. In particolare, con la sentenza n. 17.576 del 10
dicembre 2002176, di rilevante valore interpretativo e di
173 LONGO A., I valori costituzionali come categoria dogmatica.Problemi e ipotesi, Novene, Napoli, 2007, 143, parla di maggior contenuto di valore del principio rispetto alla norma o se si preferisce una sua maggior prossimità rispetto al valore costituzionale cui da attuazione. 174 C. PINELLI, Sulle clausole rafforzative dell’efficacia delle disposizioni dello Statuto del contribuente, Foro it., 2001, V, 102. 175 G. MARONGIU, Lo Statuto dei diritti del contribuente, Giappichelli, Torino, 2008.
176 In Riv. Dir. trib., 11/2004, II, 661, con nota V. MASTROIACOVO, Ancora sull’efficacia dello Statuto dei diritti del contribuente, 672; E. DE MITA, Lo Statuto del contribuente alla prova della gerarchia, Dir. prat. trib., 2004, II, 847. E’ utile ricordare i passi più salienti della pregevole sentenza dovendo in qualche maniera rileggere l’intero apparato normativo tributario alla luce dei principi indicati dallo statuto. :- "Le disposizioni della presente legge, in attuazione degli articoli 3, 23, 53 e 97 della Costituzione, costituiscono principi generali dell'ordinamento tributario e possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali" (comma 1). In particolare la Corte ha affermato che l'autoqualificazione delle disposizioni della legge come "principi generali dell'ordinamento tributario" trova puntuale rispondenza nella effettiva natura della maggior parte delle disposizioni stesse, quale si desume dal loro contenuto normativo, dal loro oggetto, dal loro scopo e dalla loro incidenza nei confronti di altre norme della legislazione e dell'ordinamento tributario, nonché dei relativi rapporti. Ha precisato che quale che possa essere l'incidenza dei quattro enunciati normativi contenuti nel comma 1, dell'art. 1 della L. n. 212 del 2000 (e cioè:autoqualificazione delle disposizioni dello Statuto come attuative delle norme costituzionali richiamate e come "principi generali dell'ordinamento tributario"; divieto di deroga o modifica delle disposizioni stesse in modo "tacito", ovvero mediante leggi speciali), complessivamente considerati, sull'efficacia delle disposizioni statutarie dal punto di vista del sistema costituzionale delle fonti (vale a dire, ad esempio, sul piano della loro "forza" "attiva" e "passiva", ovvero della loro attitudine ad essere qualificate quali possibili parametri, "integrativi" delle norme costituzionali "attuate", nel giudizio di costituzionalità delle leggi) - delicato e complesso problema, questo (relativo, in altri termini, alla possibilità ed alla efficacia di "norme sulla normazione" contenute in fonti pari ordinate a quelle che si intendono disciplinare) è certo, però, che alle specifiche "clausole rafforzative" di autoqualificazione delle disposizioni stesse come attuative delle norme costituzionali richiamate e come - principi generali dell'ordinamento tributario" deve essere attribuito un preciso valore normativo. Infatti, quest'ultima espressione, in particolare, deve essere intesa come formulazione sintetica di quattro diversi e specifici significati: in primo luogo, quello di "principi generali del diritto, dell'azione amministrativa e dell'ordinamento particolare tributari" (artt. 3 e 5-19, che dettano disposizioni volte sia a disciplinare l'efficacia temporale delle norme tributarie, sia ad assicurare la "trasparenza" dell'attività stessa, sia, come è stato rilevato esattamente in dottrina, ad "orientare in senso garantistico tutta la prospettiva costituzionale del diritto tributario"); in secondo luogo, quello di "principi fondamentali della legislazione tributaria", tesi a vincolare in vario modo l'attività del futuro legislatore tributario, statale e regionale, sia nella scelta della fonte di produzione (artt. 1, comma 2, e 4) e del relativo oggetto (art. 2, comma 2), sia nella tecnica di redazione delle leggi (art. 2, commi 1, 3 e 4); in terzo luogo, quello di "principi fondamentali della materia tributaria", in relazione all'esercizio della relativa potestà legislativa "concorrente" da parte delle regioni ed infine, quello di "norme fondamentali di grande riforma economico sociale", in relazione all'esercizio della potestà legislativa "esclusiva" da parte delle regioni ad autonomia speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano. Ha ancora affermato che tanto premesso - e tenuto conto, da un lato, che, alla base delle predette quattro "clausole rafforzative" dell'efficacia delle disposizioni
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indirizzo anche per il legislatore, ha affermato che le
disposizioni contenute nello Statuto debbono essere interpretate
ed applicate alla luce di quanto affermato nell'art. 1 della
stessa legge. L’autoqualificazione come principi generali
dell’ordinamento tributario delle norme dello statuto devono
statutarie sta, comunque, l'esplicita intenzione del legislatore, acché le disposizioni stesse (al di là di ogni eventuale ostacolo "formale” o sistematico) magis valeant nella legislazione tributaria; e, dall'altro, che è insita nella categoria dei "principi giuridici" la funzione di orientamento ermeneutico ed applicativo vincolante nell'interpretazione del diritto (cfr., ad esempio, art. 12, comma 2, secondo periodo, delle disposizioni sulla legge in generale) - il tratto comune ai quattro, distinti significati della locuzione principi generali dell'ordinamento tributario" è costituito, quantomeno, dalla "superiorità assiologica" dei principi espressi o desumibili dalle disposizioni dello Statuto e, quindi, dalla loro funzione di orientamento ermeneutico, vincolante per l'interprete: in altri termini, il dubbio interpretativo o applicativo sul significato e sulla portata di qualsiasi disposizione tributaria, che attenga ad ambiti materiali disciplinati dalla L. n. 212 del 2000, deve essere risolto dall'interprete nel senso più conforme ai principi statutari. Siffatta prospettiva appare ulteriormente confermata da quanto stabilito nell'art. 16, comma 1, dello Statuto, laddove il Governo viene delegato "ad emanare uno o più decreti legislativi recanti le disposizioni correttive delle leggi tributarie vigenti strettamente necessarie a garantirne la coerenza con i principi desumibili dalle disposizioni della presente legge".È noto che tale delega è stata esercitata dal Governo con l'adozione del (solo) del D.Lgs. 26 gennaio 2001, n. 32. Ma, al di là del concreto esercizio della delega, conta sottolineare la volontà esplicita del legislatore delegante - ovviamente consapevole della mole enorme "delle leggi tributarie vigenti" e, quindi, della inevitabilità di limitare la delega alla emanazione delle "disposizioni correttive strettamente necessarie a garantire la coerenza delle leggi tributarie vigenti con i principi statutari" (e cioè, alla emanazione di quelle disposizioni relative alle "leggi tributarie vigenti" di più frequente applicazione: come è dimostrato dal contenuto, quantitativamente modesto, delle modificazioni apportate dal D.Lgs. n. 32 del 2001) - di riaffermare, in consonanza con l'art. 1, comma 1, la necessità di "garantire la coerenza delle leggi tributarie vigenti (id est: di tutte le leggi tributarie vigenti) con i principi desumibili dalle disposizioni" dello Statuto. In altre parole - se le "disposizioni correttive" del D.Lgs. n. 32 del 2001 per definizione, "garantiscono la coerenza" delle (sole) leggi ivi considerate con i principi statutari - identica coerenza deve essere assicurata non soltanto nell'esercizio dell'attività del futuro legislatore tributario, ma anche nell'esercizio dell'attività dell'interprete, che tali principi è chiamato ad applicare anche con riferimento a leggi tributarie "non corrette" dal legislatore delegato, e cioè a "tutte le altre" leggi tributarie vigenti. Il predetto valore ermeneutico dei principi statutari si fonda su un duplice rilievo. In primo luogo, su quello, secondo cui l'interpretazione conforme a Statuto si risolve, in definitiva, nell'interpretazione conforme alle norme costituzionali richiamate, che lo Statuto stesso dichiara esplicitamente di attuare nell'ordinamento tributario. In secondo luogo e conseguentemente, su quello, secondo cui (alcuni de)i principi posti dalla L. n. 212 del 2000 - proprio in quanto esplicitazioni generali, nella materia tributaria, delle richiamate norme costituzionali - debbono ritenersi "immanenti" nell'ordinamento stesso già prima dell'entrata in vigore dello Statuto e, quindi, vincolanti l'interprete in forza del fondamentale canone ermeneutico della "interpretazione adeguatrice" a Costituzione: cioè, del dovere dell'interprete di preferire, nel dubbio, il significato e la portata della disposizione interpretata conformi a Costituzione. Lo Statuto, pertanto, qualifica gli elementi (non procedimentali) contenuti nel testo come principi generali; poichè questi sono l’attuazione del disposto costituzionale, retroagiscono tendenzialmente al momento della sua promulgazione. I principi della "collaborazione", della "buona fede" e dell'"affidamento". e della “cooperazione”, nei rapporti tra contribuente ed Amministrazione finanziaria, sanciti dai primi due commi dell'art. 10 e dal settimo comma dell’articolo 12 della L. n. 212 del 2000, anche perché immediatamente deducibili, rispettivamente, dai principi di "buon andamento" e di "imparzialità" dell'Amministrazione, di "capacità contributiva" e di eguaglianza (sub specie del rispetto del canone della ragionevolezza), garantiti dagli artt. 97 comma 1, 53 comma 1, e 3 comma 1, della Costituzione - debbono essere annoverati tra quelli "immanenti" nel diritto e nell'ordinamento tributari già prima dell'entrata in vigore dello Statuto dei diritti del contribuente (prima, cioè, del 1° agosto 2000: cfr. art. 21 della L. n. 212 del 2000). L'art. 10, comma 1, si riferisce ad un unico principio "della collaborazione e della buona fede", trattando i due diversi termini quasi come espressione di un'endiadi; può osservarsi, innanzitutto, che il termine "collaborazione" allude, per un verso, ai principi: di "buon andamento", "efficienza" ed "imparzialità" dell'azione amministrativa tributaria di cui all'art. 97, comma 1, della Costituzione (richiamato dall'art. 1, comma 1, dello Statuto), e, per l'altro, a comportamenti non collidenti con il dovere, sancito dall'art. 53 comma 1, della Costituzione (anch'esso richiamato dalla predetta disposizione statutaria) ed imposto a "tutti" i contribuenti, di "concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva"; in secondo luogo, che il termine "buona fede", se riferito all'Amministrazione finanziaria, coincide, almeno in gran parte, con i significati attribuibili al termine "collaborazione", posto che entrambi mirano ad assicurare comportamenti dell'Amministrazione stessa "coerenti", vale a dire "non contraddittori" o "discontinui" (mutevoli nel tempo); ed infine, che il medesimo termine, se riferito al contribuente, presenta un'analoga, parziale coincidenza con quello di "collaborazione" ed allude ad un generale dovere di correttezza, volto ad evitare, ad esempio, comportamenti del contribuente capziosi, dilatori, sostanzialmente connotati da "abuso" di diritti e/o tesi ad "eludere" una "giusta" pretesa tributaria.
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costituire un nuovo faro nell’interpretare anche il tessuto
normativo precedente e nello stesso tempo indirizzare i
comportamenti sia dell’Amministrazione che del contribuente
La figura del Garante del contribuente 177 è posizionata alla
fine delle disposizioni, quasi a suggellare la funzione di
tutela, diretta ed immediata, delle stesse norme e di quelle
tributarie in genere. In particolare non può sfuggire il
collegamento con il riaffermato principio di collaborazione e
della buona fede178, come modalità necessaria del rapporto tra
fisco e contribuente, la cui tutela difficilmente può trovare
concreta attuazione dinanzi agli organi giudiziari ordinari. Il
Garante, pertanto, si inserisce in questo spazio equidistante
tra le distinte posizioni del contribuente e l’Amministrazione
finanziaria in tutti i profili nella quale si manifesta.
Le Agenzie fiscali, che sono subentrate all’Amministrazione
Finanziaria, nonostante i ripetuti interventi di
riorganizzazione e controllo di efficienza179, nel loro agire,
in relazione anche ai mutati contesti normativi, evidenziano
profili comportamentali alle volte, ma sempre con minore
frequenza rispetto ai precedenti periodi, sul confine della
legalità. Il Garante si inserisce, quindi, in uno spazio rimasto
scoperto da un’efficace tutela giudiziaria180. Il livello di
“alegalità”, vale a dire di prassi o comportamenti
differenziati, che si collocano tra il sistema delle norme,
rigidamente uniforme per tutto il territorio nazionale, e
l’estrema varietà delle situazioni e dei contesti socio-
economici locali, con “performances” così diverse, sono idonee
ad incrinare, in concreto, il sistema delle garanzie e delle
aspettative dei cittadini contribuenti.
177 L. SALVINI, Il Garante del contribuente, in AA.VV., Lo statuto dei diritti del contribuente, Giappichelli, 2004, nella relazione al convegno tenuto a Genova il 24 ottobre 2003 riporta una indagine dalla quale emerge che la figura e le funzioni del Garante del contribuente sono (ancora) marginalmente conosciute dai cittadini. 178 E. DE MITA, Statuto fondato sull’affidamento, Il sole 24 ore, 22 ottobre 2006, 21. 179 R. GALULLO, Riorganizzazione del fisco, Il Sole 24 ore, 23 gennaio 2006, ricorda che l’Agenzia delle Entrate agisce non solo sul versante assunzioni, per rafforzare i settori informazioni al contribuente, controlli e lotta all’evasione fiscale, ma promuove anche una massiccia opera di riqualificazione del personale. 180 G. ZAGREBESLSKY, La domanda di giustizia, G. Einaudi, 2003, 26, ricorda che la giustizia non si esaurisce nella legalità.
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Questa situazione, non risolvibile con i mezzi tradizionalmente
predisposti dall’ordinamento181, ha favorito lo studio di una
figura estranea alla struttura dell’amministrazione finanziaria
statale. Si tratta,dell’introduzione nel nostro sistema
tributario di un nuovo soggetto, che si inserisce nel
tradizionale rapporto obbligatorio fisco-contribuente182.
Da questa originaria matrice, tendente a tutelare il cittadino
nei confronti della pubblica amministrazione183, si è sviluppata
anche in Italia una pluralità soggetti, con finalità più
delimitate ed oggetti diversi184, tra i quali possono
identificarsi alcuni, il cui scopo è quello di tutelare anche il
cittadino, che riveste la qualifica di contribuente.
.2 I Garanti dei diritti del contribuente.
Va innanzi tutto rilevato che la norma sul Garante del
Contribuente, pur inserita in un contesto esprimente i principi
generali del diritto tributario desumibili dalla Carta
Costituzionale, richiama o per meglio dire fotografa soggetti,
rapporti e tributi vigenti nel contesto normativo e culturale
proprio del lungo iter di approvazione della legge. Dopo un
quinquennio l’interprete non può non riconoscere che
l’orizzonte, nel quale era prevista l’operatività del Garante, è
ormai molto mutato e richiederebbe un sostanzioso intervento
normativo, per renderlo, nel rispetto delle finalità che ne
181 F. d’AYALA VALVA, Spunti sulle tutele del contribuente e dell’interesse fiscale collettivo, in Atti Convegno Nuove forme di tutela delle situazioni giuridiche soggettive nelle esperienze processuali, Messina 26 settembre 2003, Pubblicazione della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Messina, giuffrè, 2004, 247. 182 BRONZETTI G., Il Garante del Contribuente: realtà e prospettive, Riv. dir. trib., 2007, n. 5, I, 551. 183 N. BOBBIO, L’età dei diritti, Einaudi,1997, 262 afferma che non pare dubbio che le varie tradizioni si stiano avvicinando e stiano formando insieme un unico grande disegno di difesa dell’uomo, che comprende i tre sommi beni della vita, della libertà e della sicurezza sociale. Il nuovo rapporto cittadino stato si inserisce, quindi, in questo cambiamento, che mette al centro dell’attenzione l’uomo cittadino e non l’uomo suddito. 184 L’affermazione dei nuovi diritti della persona ha fatto emergere situazioni che progressivamente hanno richiesto una qualche nuova forma di tutela. Da questi si è affermata la figura del “consumatore”, in tutti i profili ove possa estrinsecarsi ed anche indipendentemente dalla qualità di “cittadino”, che sta avendo una considerevole attenzione. Sul punto vedi G. FERRARA, Contributo allo studio della tutela del consumatore. Profili pubblicistici, Giuffrè, Milano, 1983, 377, ove richiama la figura dell’Ombudsman, che vede codificata nella figura del difensore civico. G. ALPA, Il diritto dei consumatori, Laterza, 2002, 4, afferma che la scoperta del “consumatore” è piuttosto recente ed è un dato tipico delle società opulente e avviene gradualmente in tutti i paesi occidentali. Puntualizza che alla scoperta del consumatore non fa seguito l’adozione immediata di misure legislative a sua difesa. Richiama infine (pag. 439) tra gli strumenti di tutela l’ombudsman in alcune sue applicazioni concrete, soffermandosi in particolare sull’ombudsman bancario.
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hanno motivato l’istituzione, più aderente alle mutate
disposizioni.
Rinunciando a creare un Garante del contribuente unico a livello
nazionale ed anticipando la successiva approvazione delle norme
costituzionali regolanti i nuovi rapporti Stato, Regioni ecc., è
stata operata la scelta di istituire tale soggetto presso ogni
Agenzia Regionale delle entrate, confermando la funzione di
collegamento più immediato tra il cittadino e gli uffici
tributari locali. La creazione di questo nuovo organo, di
derivazione costituzionale e con specifiche funzioni e finalità,
prima della nuova suddivisione dei rapporti istituzionali dei
nuovi enti locali non può essere sottovalutata e ci si può
chiedere se la nuova potestà normativa attribuita
successivamente a questi ultimi possa in qualche maniera
scalfire o addirittura sostituire le funzioni attribuite al
Garante del contribuente. La questione non appare teorica in
quanto le regioni, nei loro statuti, tendono ad inserire anche
la figura del garante del contribuente di ambito regionale, con
funzioni analoghe a quelle attribuite al garante previsto nello
Statuto del contribuente.
Il differente assetto Stato, regioni ed enti locali e la futura
regolamentazione della materia tributaria porterà alla ribalta
la figura del Garante ed i rapporti con questi nuovi soggetti.
La localizzazione regionale del Garante del contribuente ed i
nuovi o anche vecchi tributi regionali o locali ha già portato
momenti di contatto con le istituzioni locali e la emersione
della necessità di nuove regole a tutela del contribuente locale
ed a favore di una migliore organizzazione delle strutture e dei
soggetti che, a vari livelli, gestiscono i tributi locali185.
Una soluzione già si intravede alla luce della più recente
giurisprudenza della Corte Costituzionale in tema di ICI186.,
185 Sul punto vedi le osservazioni ed i richiami di F. BATTOCCHI, Il garante del contribuente, in AA.VV., Statuto dei diritti del contribuente, Giuffrè, 2005, 727
186 La Corte Costituzionale ha avuto l’occasione di precisare che per tributi erariali si intendono anche i precedenti tributi, identificati quali tributi locali per la destinazione del gettito e non per l’origine, negandone la disponibilità da parte dei nuovi enti territoriali locali. Con la recentissima sentenza n. 75 del 24 febbraio 2006 la stessa Corte ha ribadito il proprio pensiero, censurando l’art. 27 della legge regionale Friuli Venezia Giulia 4 marzo 2005, n. 4, poiché quest ultima interveniva su materia non attribuita alla potestà legislativa regionale. In particolare ha affermato: “La potestà legislativa della Regione nella materia tributaria deve esercitarsi «in armonia con i principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato» e deve limitarsi all'«istituzione di tributi
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valevole per tutti i tributi locali di origine statale, per i
quali i nuovi enti non possono incidere se non nei limiti
previsti dalle singole normative impositiva, ricomprendono sia i
tradizionali tributi erariali che tutti quelli in precedenza
istituiti dallo Stato sotto qualsiasi denominazione corrente
come tributi locali, comunali o altro. Da ciò può affermarsi che
sussiste la competenza del Garante del contribuente, di diretta
derivazione Statutaria (l. n. 212/2000), su tutti i tributi
preesistenti e le relative regolamentazioni ed uffici ad essi
demandati. Da questo spartiacque emerge altresì che i nuovi
Garanti, di derivazione statutaria regionale o comunque locale,
potranno svolgere la loro funzione di tutela esclusivamente nei
confronti dei nuovi futuri tributi locali ed i relativi uffici
ad essi preposti.
La costituzione nello Statuto del contribuente di una pluralità
di garanti non è stata seguita anche dalla previsione di un
organo di collegamento o coordinamento tra i vari Garanti;
questa scelta può essere vista quale ulteriore garanzia “di
piena autonomia” del singolo Garante, così come recita il
secondo comma dell’art 13; d’altro canto non esclude,
nell’ambito del potere di auto disciplinare le proprie regionali prevista nell'articolo 51». Quest'ultimo articolo, a sua volta, stabilisce che l'istituzione dei tributi regionali deve essere effettuata con legge regionale, «in armonia col sistema tributario dello Stato, delle Province e dei Comuni». Dal combinato disposto di tali norme risulta, dunque, che la potestà impositiva della Regione può concernere solo i tributi regionali, e cioè quei tributi che la Regione medesima ha facoltà di istituire ai sensi di detto art. 51. L'ICI non è istituita dalla Regione e, quindi, non è un tributo regionale ai sensi dello statuto. È, invece, un tributo erariale, istituito dalla legge dello Stato (art. 1 del citato d.lgs. n. 504 del 1992) e da questa disciplinato (v., ex plurimis, le sentenze numeri 37, 381 del 2004 e n. 397 del 2005), salvo quanto espressamente rimesso all'autonomia dei Comuni (art. 4 del d.lgs. n. 504 del 1992 e art. 59 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, recante «Istituzione dell'imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell'Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali»). Ne consegue che l'impugnato art. 27 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia n. 4 del 2005, nell'introdurre casi di esenzione dall'ICI, interviene su materia non attribuita dallo statuto alla competenza del legislatore regionale e si pone, perciò, in contrasto con l'evocato art. 5 dello statuto medesimo.” La Corte, per fugare altri dubbi e precisando il suo pensiero sul contenuto dell’espressione finanza locale ha anche precisato che: “Tale conclusione non è smentita dal richiamo della norma impugnata all’art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 9 del 1997, secondo cui «spetta alla regione disciplinare la finanza locale». Tale articolo, essendo norma di mera attuazione statutaria in tema di ordinamento degli enti locali, può riguardare, infatti, solo quella parte della finanza locale presa in considerazione dallo statuto e non quei tributi comunali che, come l'ICI, sono invece previsti e istituiti esclusivamente dalla legge statale e, nei limiti da questa indicati, disciplinati dai regolamenti comunali.” Ha quindi preso posizione suo rapporto con il nuovo testo della carta costituzionale affermando che: “La Regione Friuli-Venezia Giulia non ha potestà legislativa in materia di ICI, non solo ai sensi delle norme statutarie, ma neanche ai sensi del combinato disposto degli articoli 117, terzo comma, Cost. e 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001. Essendo infatti l'ICI tributo statale, la sua disciplina rientra nella competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tributi erariali, di cui all'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. Tale riserva di competenza impedisce che le norme denunciate rientrino nella invocata potestà legislativa concorrente e non consente, nella specie, di effettuare la comparazione richiesta dal citato art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001 tra le forme di autonomia garantite dalla Costituzione e quelle statutarie”.
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iniziative, la operatività di periodiche conferenze comuni, in
vista, ad esempio, della presentazione della relazione
sull’attività svolta al Ministro delle finanze ed agli altri
uffici.
Sotto questo aspetto si è operata la scelta di creare più
collegi di Garanti, con competenza territoriale, pari alle
regioni, con ciò avvicinando la nuova figura alla struttura
territoriale del difensore civico regionale; i due organi
rimangono, comunque, distinti per competenze e sotto la veste
formale, in quanto quest’ultimo è un organo monocratico, ove si
assommano tutti i poteri; nello stesso tempo, la scelta di un
organo collegiale, pur analoga ad altre figure di Autorità o
Garanti, distingue quello del contribuente proprio in relazione
alla diffusione regionale, non presente nelle altre tipologie,
collocate in un unico ufficio centralizzato.
Particolare rilievo si deve dare ai rapporti con soggetti
privati appaltatori di servizi di accertamento, liquidazione e
riscossione di tributi di qualunque natura, previsti
esplicitamente nell’ultima parte dell’articolo 14 dello Statuto;
la generica previsione di applicabilità della stessa legge a
questi ultimi soggetti non sembra tutelare nella medesima misura
i contribuenti. Gli istituti dell’autotutela e dei procedimenti
disciplinari, posti a garanzia, mal si adattano ai soggetti
privati e richiederebbero uno sforzo interpretativo estensivo di
particolare portata.
.3 La competenza per materia.
La localizzazione presso l’Agenzia regionale delle entrate non
può, tuttavia, significare sotto altro profilo, che la funzione
sia limitata ai soli tributi di competenza di tale ufficio,
potendosi ben ritenere, alla luce della giurisprudenza della
Corte costituzionale sopra riportata, che questa sussista anche
per tutti i tributi “erariali”. E’ stato da taluni posta in
dubbio la possibilità di una tale estensione dei poteri del
Garante. Si ipotizzerebbe un Garante su base regionale, con
competenza circoscritta ai soli tributi tradizionalmente
denominati erariali; questo convincimento viene legato alla
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circostanza che mentre in numerosi articoli dello Statuto viene
indicata genericamente l’amministrazione finanziaria, le
attività esterne propriamente propulsive, quali le segnalazioni,
le comunicazioni e le relazioni, riguardano le direzioni
generali delle imposte, i comandi della guardia di finanza o lo
stesso Ministro, omettendo qualsiasi riferimento ad entità
territoriali locali.
La limitata competenza ipotizzata non sembra poggiare su basi
incontrovertibili. Lo Statuto nella sua intitolazione parla di
“contribuenti”, non dividendoli in alcun modo in relazione al
destinatario della contribuzione né alla fonte dell’obbligo.
L’art. 1 dello Statuto, dopo aver premesso che (tutte) le
disposizioni della stessa legge, in attuazione degli articoli 3,
23, 53, e 97 della Costituzione, costituiscono principi generali
dell’ordinamento tributario, invitava le Regioni a statuto
ordinario (regolano), le Regioni a statuto speciale e le
province autonome di Trento e Bolzano (provvedono) e gli enti
locali (provvedono) ad adeguare i rispettivi ordinamenti i primi
alle norme fondamentali dello Statuto e gli ultimi ai principi.
I termini per tali adempimenti erano di gran lunga antecedenti
all’entrata in vigore del nuovo testo dell’art. 119 della
Costituzione e, quindi, nessun serio dubbio potrebbe opporsi a
ritenere parte integrante della normativa di tali enti locali
l’intero impianto dello Statuto.
Va ricordato, infine, il disposto dell’articolo 17 della
medesima legge il quale recita che le disposizioni si applicano
anche nei confronti dei soggetti che rivestono la qualifica di
concessionari e di organi indiretti dell’amministrazione
finanziaria, ivi compresi i soggetti che esercitano l’attività
di accertamento, liquidazione e riscossione di tributi di
qualunque natura.
La competenza del Garante dovrebbe ora trovare corrispondenza in
tutti i tributi richiamati dall’art. 1 D.Lgs. n. 546 del 31
dicembre 1992 sul processo tributario, nel testo novellato anche
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da ultimo con il d.l. 30 settembre 2005, n. 203 convertito con
modificazioni nella l. 2 dicembre 2005, n. 248187.
Certamente utile alla delimitazione della competenza del Garante
può essere il richiamo agli elementi per la qualificazione di
una legge come tributaria, così come ricordati dalla Corte
Costituzionale nella recente sentenza n. 11 del 12 gennaio 1995,
in tema di referendum abrogativo, ove è stato affermato che
questi sono necessariamente costituiti dall’ablazione delle
somme con l’attribuzione delle stesse ad un ente pubblico e la
loro destinazione allo scopo di approntare i mezzi per il
fabbisogno finanziario dell’ente medesimo188. Di conseguenza
qualsiasi prelievo con tali caratteristiche potrà essere motivo
d’intervento del Garante presso l’ente (finanziario)189.
Il richiamo al D.lg. n. 546/92 pone il quesito se sia di
competenza del Garante anche la segnalazione di disfunzioni,
irregolarità, scorrettezze, prassi anomale o irragionevoli degli
uffici del territorio preposti all’intestazione, delimitazione,
figura, estensione, classamento dei terreni e la ripartizione
dell’estimo tra compossessori a titolo di promiscuità di una
stessa particella, nonché degli uffici demandati alla
delimitazione della consistenza, classamento delle singole unità
immobiliari, urbane e l’attribuzione della rendita catastale.
Una lettura restrittiva della norma limitata, alla sostanza del
tributo, ne escluderebbe la competenza; una tale interpretazione
non sembra condivisibile, stante lo stretto collegamento delle
operazioni catastali con il presupposto di numerosi tributi
erariali e locali. In ogni caso il generico richiamo “agli
187 L’ampliamento della giurisdizione tributaria avviene anche ad opera della giurisprudenza della Corte di cassazione, che ad esempio con la recentissima sentenza n. 618 del 13 gennaio 2006 (Corr. Trib. 9/2006, 717) ha riconosciuto che spetta al giudice tributario la giurisdizione in materia di diritti camerali. Sul punto rinvio al mio lavoro Il “nuovo processo tributario” in attesa di una revisione dopo l’ampliamento della giurisdizione delle Commissioni, in Il Fisco, 31/2006, 4741; nonché a F. PISTOLESI, Le nuove materie devolute alla giurisdizione delle commissioni tributarie, Giur. Imp., 2002, n. 6,1463.. 188 La natura tributaria di un prelievo è oggetto di un rinnovato studio, stante alcune recenti innovazioni sulla struttura e destinazione dei prelievi. Sul punto vedi da ultimo A. FEDELE, Appunti, cit., 16, R. LUPI, Società, diritto e tributi, Il sole 24 ore, 2005, 119; id, Diritto tributario, Parte generale, Giuffrè, 2005, VIII ed, 35. 189 G. GAFFURI, Diritto tributario, V ed. Cedam, 2006,, 16, distingue invece i tributi in generale da altre figure similari, quali i contributi, pur riconoscendo (pag. 14) che la linea di confine tra i due generi di rapporti è di difficile tracciamento. Afferma ancora che la nozione eterogenea e assai allargata desumibile dalle norme processuali non può essere scambiata per un’attendibile definizione di prelievo fiscale in senso proprio, che resta ancorata a presupposti specifici e peculiari e ai criteri fissati dai principi della Costituzione in materia.
- 109 -
uffici dell’amministrazione finanziaria” non può precludere
l’intervento del Garante presso gli stessi ora agenzie.
Sotto lo stesso profilo il Garante potrà esaminare le istanze
relative a questioni in materia di sanzioni irrogate dagli
uffici finanziari, non espressamente collegate ad un tributo, o
il mancato tempestivo rimborso di somme riscosse coattivamente e
riconosciute indebite dalle commissioni tributarie190. Non
dovrebbero esservi dubbi sulla competenza anche per i tributi
doganali, essendo previsto l’invio della relazione semestrale
del Garante nonché di tutte le segnalazioni dei comportamenti
dell’amministrazione, che possano determinare un pregiudizio ai
contribuenti o conseguenze negative nei rapporti con
l’amministrazione, anche ai direttori compartimentali delle
dogane.
Sullo sfondo potranno rimanere tutte le altre prestazioni
patrimoniali, quali i contributi ai consorzi di bonifica o il
canone televisivo, ove il profilo tributario della prestazione è
diluito dall’interesse del singolo alla stessa prestazione. Le
reiterate sentenze della Corte di Cassazione, che hanno
affermato la natura tributaria di questi ultimi, militano verso
una competenza del Garante anche per tali prestazioni. Di
rilievo infine è la controversa collocazione del contributo
previdenziale, collocato storicamente nella parafiscalità 191.
Ove venisse confermato l’orientamento della più recente dottrina
sulla natura tributaria del prelievo192 tutte le relative
questioni ricadrebbero nella competenza, per materia, del
Garante del contribuente e quindi delle Commissioni tributarie.
I disservizi sottoponibili all’attenzione del Garante
potrebbero, infine, riguardare i concessionari della riscossione
oppure tutti gli altri differenti soggetti che esercitano
l’attività di accertamento, liquidazione e riscossione di
190 Le sezioni unite della Corte di Cassazione, con la recentissima sentenza n. 15, depositata il 4 gennaio 2007, ha affermato che spetta al giudice ordinario, e non al giudice tributario, la competenza a giudicare sulle liti che riguardano il risarcimento del danno per comportamento illecito dell’amministrazione finanziaria, anche se tale comportamento derivava dalla illegittima richiesta di pagamento di una tassa automobilistica già regolarmente pagata dal contribuente. 191 G. FALSITTA, Manuale di diritto tributario, Cedam, 2005, vol. I. 192 P. PURI, Destinazione previdenziale e prelievo tributario. Dalla parafiscalità alla fiscalizzazione del sistema previdenziale, Collana diretta da G. Falsitta e A. Fantozzi, Giuffrè, 2005, 141.
- 110 -
qualunque natura, trovando applicazione l’intera normativa dello
Statuto del contribuente anche a questi soggetti, pur se
formalmente estranei alla amministrazione finanziaria, ma
espressamente destinatari delle disposizioni, ai sensi dell’art.
17 dalla più volte richiamata legge n. 212/2000. Nei confronti
di questi ultimi manca una norma che regoli i poteri del
Garante, ma questa lacuna potrebbe essere oggetto della
segnalazione semestrale o annuale dello stesso Garante. La
lacuna normativa è divenuta di pressante attualità dopo
l’ampliamento della giurisdizione tributaria anche alla “ganasce
fiscali”193. L’ampia libertà per l’uso di tali strumenti di
coazione offre un ampio margine di intervento del Garante ove
tali poteri non vengano utilizzati non solo legittimamente ma
anche correttamente
E’ compito del Garante esaminare preliminarmente la propria
competenza per materia, in relazione alla segnalazione scritta,
e comunicare immediatamente all’autore della segnalazione la
propria decisione in caso di diniego. In quest’ultimo caso
trattandosi di un atto definitivo emesso da un organo
amministrativo si può pensare ad una sua ricorribilità al
T.A.R.. Si può così ipotizzare un nuovo veicolo interpretativo,
a cura questa volta del giudice amministrativo, sulla natura di
talune decisioni del Garante del contribuente e poi sulla
tipologia di alcune prestazioni imposte, sia pure sotto il più
limitato profilo della competenza del Garante del contribuente.
.4 L’ambito regionale di intervento.
La norma tace sulla competenza territoriale dell’ufficio del
Garante. E’ pur vero che il domicilio fiscale del contribuente
radica la relativa competenza con gli uffici tributari, ma è
altrettanto vero che i rapporti tributari possono essere
incardinati anche con altri uffici, per i quali è irrilevante la
residenza. E’ sufficiente a tal fine ricordare l’ICI sulla
seconda casa, ubicata in altro comune, di altra regione e
l’eventuale richiesta di rimborso riconosciuta fondata dallo
193 F. d’AYALA VALVA, Le Ganasce fiscali ed il giudice tributario. Un porto sicuro, un attracco difficoltoso, in Riv. Dir. Trib., 2006, n. 9, I, 621.
- 111 -
stesso comune e rimasta sospesa per inerzia del provvedere. Il
collegamento territoriale potrebbe variare secondo il rilievo
dato al domicilio del richiedente o dell’ufficio non
ottemperante.
Utilizzando il principio del foro del convenuto, la competenza
territoriale del Garante dovrebbe essere radicata per tutte le
questioni riguardanti gli uffici o enti territoriali con sedi
nella propria regione, rimanendo irrilevante l’eventuale
differente domicilio fiscale del richiedente. Ove, invece, la
localizzazione territoriale del Garante dovesse essere intesa
quale modo per l’esercizio più immediato del servizio al
cittadino, non si potrebbe escludere una competenza per tutte le
segnalazioni pervenute da soggetti residenti nella regione e ciò
indipendentemente dalla localizzazione dell’ufficio ove si
lamenta il disservizio. La questione ha la sua rilevanza anche
per le ipotesi nelle quali un singolo ufficio dell’Agenzia
deleghi l’espletamento di alcune attività ad altro ufficio della
stessa agenzia localizzato in altra regione (all’ufficio di
Reggio Calabria sono state attribuite delle funzioni relative a
pratiche di contribuenti residenti nel Lazio).
Anche in caso di diniego, per incompetenza territoriale, il
Garante dovrà comunicare immediatamente all’istante, la propria
risoluzione con l’indicazione del Garante ritenuto competente.
Questa scelta, tuttavia, potrebbe essere vista come una
sostanziale negazione della tutela richiesta e, quindi, sarebbe
più opportuna l’immediata trasmissione della segnalazione del
Garante che si ritiene incompetente al Garante, ritenuto
territorialmente competente, ed analoga comunicazione al
contribuente della stessa trasmissione. Il procedimento non
esclude, certamente, l’ipotesi di conflitto di competenza
territoriale, ove il secondo neghi anch’esso la propria
competenza; in mancanza di un organo gerarchico superiore, la
questione dovrebbe poter essere risolta dal secondo Garante.
.5 I problemi di un organo collegiale.
Il garante del contribuente, a differenza del difensore civico,
è un organo collegiale, costituito da tre membri, operante in
- 112 -
piena autonomia. La scelta e la nomina di detti soggetti spetta
ad un organo istituzionalmente estraneo all’Amministrazione
Finanziaria, ma non avulso dalle problematiche tributarie, e
precisamente al Presidente della Commissione Tributaria
Regionale194, nella cui circoscrizione è compresa l’Agenzia
Regionale delle entrate. Inoltre il Presidente della Commissione
Tributaria Regionale assicura l’assoluta indipendenza nella
nomina dei membri dell’organo. Pur essendo libera la scelta,
questa deve ricadere su prefissate specifiche tipologie di
soggetti, istituzionalmente portatori di un’alta
professionalità, idonea allo scopo voluto dalla norma.
L’organo è composto di un presidente e da due membri; il
Presidente deve essere scelto tra magistrati, professori
universitari di materie giuridiche ed economiche, notai, sia a
riposo sia in attività di servizio; non è richiesta al
designando la residenza nella regione al momento della nomina né
l’obbligo di fissarvi la residenza per la durata
dell’incarico195. Per i magistrati, non essendovi nella norma
altra qualificazione, si deve intendere quelli ordinari,
amministrativi e militari, con ciò escludendo tutti coloro che
svolgono una qualche funzione giudiziaria onoraria; non vi
rientrano, quindi, sia i giudici tributari sia i giudici di
pace. Il Consiglio Superiore della Magistratura è restio a
concedere il nulla osta a magistrati in servizio e questa scelta
può condividersi, in relazione alla necessità di non distrarre
le limitate forze giudiziarie dai gravosi compiti del proprio
ufficio istituzionale. Alla luce delle nomine dei magistrati fin
qui effettuate queste sono ricadute su soggetti di alta qualità
in pensione, per lo più giudici tributari196. Per la categoria
194 Di recente è stata risolta positivamente dal TAR di Napoli la questione sulla possibilità che il Presidente f.f. della commissione tributaria regionale possa nominare i Garanti della propria regione, difformemente decisa in precedenza dal Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria. 195 L’art. 7 del d.ls. 31 dicembre 1992, n. 545 prevede, invece, espressamente tra i requisiti generali dei componenti delle commissioni tributarie, alla lettera f), “avere o aver dichiarato di voler stabilire la residenza nella regione nella quale ha sede la commissione tributaria. Analogamente non sussiste per il Garante del contribuente il divieto previsto espressamente per i componenti delle commissioni tributarie, nel terzo comma dell’art. 8 del medesimo d.ls n. 545, “Nessuno può essere componente di più commissioni tributarie”. 196 Il Consiglio della giustizia tributaria, in un primo moment,o aveva ritenuto sussistere una incompatibilità tra la funzione di giudice tributario e quella di componente del collegio del Garante del contribuente, sia come presidente che come membro. Tale presa di posizione, presupponeva la sussistenza di un potere di ingerenza del primo sulle scelte demandate al Presidente della Commissione tributaria regionale, agente non in una funzione
- 113 -
“professori universitari” va notato che l’art. 5 lettera b) del
D. lgs. 545/1992, sull’ordinamento degli organi speciali di
giurisdizione tributaria, richiama i “docenti di ruolo
universitari”, e quindi si potrebbe ipotizzare che per il
Garante possa essere considerata una difforme e più ristretta
platea. Certamente in questa categoria sono considerati i
professori universitari di ruolo, fuori ruolo o a riposo,
compresi nella prima e nella seconda fascia dell’ordinamento
universitario. Per quanto riguarda i notai, fermo restante il
limite del superamento del concorso ed il loro permanere nel
relativo albo, non è previsto l’obbligo di residenza nella
regione né lo svolgimento dell’attività nella stessa.
Gli altri due membri devono, a loro volta, avere una distinta
provenienza, al fine evidente di mantenere una necessaria
pluralità di esperienze professionali. In particolare, la scelta
del secondo membro, deve ricadere su un dirigente
dell’Amministrazione finanziaria e su un Ufficiale Generale e
Superiore della Guardia di Finanza, scelti in una terna formata
per ciascuna delle Direzioni Regionali delle Entrate,
rispettivamente per i primi dal Direttore Generale del
Dipartimento delle entrate e per i secondi dal Comandante
Generale della Guardia di Finanza. Va osservato che la scelta
del dirigente dell’Amministrazione finanziaria deve essere
effettuata dal Direttore regionale delle entrate, di ciascuna
regione, ma, anche in questo caso, non è prescritto che il
designato abbia o non abbia svolto la propria attività nella
regione o sia ivi residente. La scelta dell’ufficiale generale
è, invece, demandata per tutte le regioni unicamente al
comandante Generale della G. di F., anche qui senza alcun
vincolo territoriale di provenienza o di residenza.
Per una maggiore garanzia di neutralità ed al fine di evitare
commistioni o possibili esami di proprie attività o di quella
svolta dal precedente ufficio, è previsto che questi soggetti
giurisdizionale, nonché l’adozione di una interpretazione più ampia dei casi di incompatibilità previsti dall’art.8 del d.lvo n. 545/1992. La presa di posizione cel Consiglio era stata probabilmente influenzata dalla circostanza che lo stesso soggetto avrebbe ricoperto le due funzioni nella stessa regione. Da ultimo (settembre 2006) il Consiglio ha rimeditato il proprio pensiero, dichiarando la sospensione dell’incarico da giudice tributario, per tutto il tempo in cui lo stesso soggetto va a ricoprire le funzioni di Garante del contribuente. Anche in questo caso non si è tenuto conto dell’eventuale differente localizzazione delle due funzioni.
- 114 -
debbano essere a riposo da almeno due anni. Il maggior decorso
del tempo dall’inizio del pensionamento, per questa categoria
rispetto a quanto previsto per i professionisti, risulta
coerente con la necessità di un distacco dalla precedente
attività proprio per quei soggetti facenti parte
dell’amministrazione, della cui eventuale inefficienza si debba
trattare.
La scelta, per ogni regione, deve ricadere su di una triade e,
quindi, sarà necessario un preventivo accordo di ogni Direttore
regionale con il Comando generale della G. di f. per la
formalizzazione tempestiva della triade, da sottoporre al
Presidente di ogni commissione tributaria regionale.
Il terzo membro deve essere scelto anch’esso in una terna,
formata per ciascuna Direzione Regionale delle entrate, dagli
ordini degli avvocati, dottori commercialisti e ragionieri
collegiati; questi soggetti devono essere già pensionati al
momento della nomina e, quindi, il pensionamento può avvenire
anche dopo l’indicazione nella terna finale.
La formazione della triade, mentre appare più semplice
nell’ambito regionale, poiché fornita da tre ordini o collegi
professionale, non sembra tenere conto della difforme
consistenza numerica degli albi e dei collegi professionali e
nella mancanza nell’ambito della regione di un organo di
coordinamento interno tra ordini e collegi professionali, tale
da esprimere tempestivamente la terna. Il tenore della norma
potrebbe indicare che, in ogni regione, gli ordini ed i collegi
congiuntamente debbano esprimere la terna da sottoporre al
Presidente della commissione tributaria. Un eventuale disaccordo
nella presentazione potrebbe portare all’impossibilità per il
Presidente di effettuare la scelta, mancando l’elemento dal
quale trarre il terzo membro del collegio. Il disaccordo nella
composizione della terna potrebbe essere il più vario, iniziando
dalla paralisi nella presentazione dell’unica terna, alla
presentazione di più terne formate da differenti ordini o
collegi professionali.
Va osservato che per ciascuna categoria la terna deve essere
“formata” dai soggetti rispettivamente indicati, ma ciò non
- 115 -
impedisce che le due terne siano composte solo da soggetti
provenienti da una sola figura professionale nell’ambito delle
due categorie (b/c dell’art. 13); la norma, infatti, richiede
che la terna debba essere formata con l’accordo dei
rappresentanti, ma non implica anche la necessità della
contemporanea presenza nella terna di tutti i profili
professionali. La prima terna potrebbe, quindi, essere composta
nell’ambito di una singola regione da soli rappresentanti
dell’amministrazione finanziaria e la seconda dai soli
rappresentanti del collegio dei ragionieri. Quello che conta è
la sola volontà dei rappresentanti, identificati dalla norma, di
fornire, concordemente, una terna, nella quale il presidente
dovrà effettuare la scelta.
La nomina non prevede uno specifico atto di accettazione né
formule particolari di rispetto della normativa, come ad esempio
prescritto dall’art. 10 del D.Lgs. n. 545 del1992 prima
dell’immissione del giudice tributario nelle funzioni. Si può
ritenere che sarà comunque necessaria l’apposizione da parte del
presidente della commissione tributaria di un termine per
l’accettazione che potrà avvenire anche con una semplice
dichiarazione indirizzata al Presidente della commissione
tributaria; decorso tale termine il soggetto deve intendersi non
accettante e spetterà al Presidente scegliere un nuovo membro,
tratto dalla categoria del non accettante. Poiché l’organo non
prevede una sospensione dell’attività indirizzata ad un
interesse pubblico, le nuove nomine vengono effettuate
tempestivamente, in modo tale da far subentrare il nuovo
soggetto accettante al momento della scadenza del precedente.
.6 La temporaneità dell’incarico.
L’incarico ha una durata quadriennale ed è rinnovabile, tenendo
presenti professionalità, produttività ed attività già svolta.
Il rinnovo dell’incarico dei membri del collegio del Garante del
contribuente, avvenuto dopo il primo quadriennio, ha fatto
emergere alcune riflessioni. Va ricordato che il problema della
rinnovabilità degli incarichi è stato da qualche tempo oggetto
di attenta analisi dalla dottrina, ravvisandosi proprio un
- 116 -
momento di rottura tra l’indipendenza dell’organo e la potestà
di rinnovo dell’incarico. A tal fine può essere ricordata la
sentenza n. 25 del 22 gennaio 1976, della Corte Costituzionale
che ebbe a dichiarare l’illegittimità della norma sulla
riconferma dei membri del Consiglio di Giustizia Amministrativa
della Regione Siciliana in sede giurisdizionale. In quella sede
la Corte ebbe ad affermare che il carattere temporaneo della
nomina per i membri designati dalla Giunta Regionale, ed
estranei ai ruoli organici del Consiglio di Stato, non
contrasta, di per sé, con i principi costituzionali, che
garantiscono l’indipendenza e con essa l’imparzialità dei
giudici siano essi ordinari o estranei alle magistrature: a tal
fine non appare necessaria un’inamovibilità assoluta, specie per
i membri laici, che ben possono essere nominati per un
determinato e congruo periodo, senza che perciò venga meno
l’indipendenza dell’organo o del singolo giudice. L’indipendenza
è, invece, compromessa per l’effetto della disposizione, che
prevede, al termine di un primo periodo, la possibilità di
riconferma dell’incarico, secondo il discrezionale apprezzamento
di un organo strettamente collegato con la funzione svolta dal
giudice. Sotto questo profilo l’estraneità del presidente della
commissione tributaria all’attività del Garante assicura una
tranquillizzante garanzia di indipendenza ed imparzialità.
Il rinnovo dell’incarico, al pari della scelta iniziale, appare
lasciato alla completa discrezionalità del Presidente, il quale
tuttavia, dopo la nomina, non è destinatario di alcuna
comunicazione diretta dell’attività del Garante e, quindi, non
sembra essere messo formalmente in condizione di poter valutare
l’opportunità di una conferma di tutti o di alcuni dei membri
dell’organo collegiale. Poiché il rinnovo del singolo componente
deve tener presente la “professionalità, produttività e attività
svolta” si rende necessario riconoscere un potere di esame e
controllo del singolo soggetto in scadenza; con la conseguenza
che il Presidente della commissione tributaria regionale
dovrebbe essere legittimato ad effettuare un controllo diretto
sull’attività svolta dal singolo nel periodo quadriennale, per
acquisire i relativi elementi di giudizio. In ogni caso il
- 117 -
collegio dei garanti potrà inviare anche al Presidente della
commissione tributaria copia delle relazioni periodiche
sull’attività svolta, che gli stessi garanti sono tenuti a
presentare al Ministro ai sensi del comma 12 dell’art 13 dello
statuto. Il richiamo alla “professionalità, produttività e
attività svolta” deve costituire uno degli elementi del giudizio
per il rinnovo, ma non un elemento vincolante, in quanto la
scelta può ben ricadere su altro soggetto esterno qualora le
caratteristiche personali e la professionalità riconosciuta
possano far ritenere quest’ultimo più meritevole per la
copertura della carica di Garante. Il mancato rinnovo
dell’incarico ha provocato alcuni ricorsi al Tar, tutti
rigettati con la conferma della più ampia discrezionalità della
scelta del presidente della commissione regionale.
Non risulta, inoltre, alcuna menzione della procedura da
adottare nell’ipotesi di rinuncia o impedimento di taluni
membri. La legge 31 luglio 1997, n. 249, sull’istituzione
dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, prevede
espressamente che in caso di morte, di dimissioni o di
impedimento di un commissario, la Camera competente procede
all’elezione di un nuovo commissario, il quale resta in carica
fino alla scadenza ordinaria del mandato dei membri.
L’applicazione di tale procedura anche al garante del
contribuente non sembra corretta, potendosi ipotizzare una nuova
nomina quadriennale. La sostituzione del Presidente è certamente
più agevole, non essendo subordinata da alcuna attività di
terzi, mentre la sostituzione degli altri membri potrebbe essere
subordinata alla preventiva presentazione di una nuova triade,
nella quale effettuare la scelta. L’organo nelle more non
sarebbe in condizione di operare, con nocumento della funzione,
che richiede invece una sollecita trattazione delle
segnalazioni. Anche questa sembra essere una lacuna della
disposizione che non prevede membri supplenti.
La rinuncia all’incarico deve essere formalizzata e portata a
conoscenza del Presidente della commissione tributaria, perché
possa attivare la procedura di nomina di altro membro. La norma
non prevede ipotesi di decadenza o di sospensione dall’incarico.
- 118 -
Certamente una condanna penale, in relazione a fatti che
incidano sull’attività del garante, costituisce elemento
sufficiente per una tale declaratoria. Può costituire ancora
motivo di decadenza la mancata partecipazione, non giustificata,
a più riunioni collegiali tale da impedirne la funzionalità
previa contestazione dei fatti rilevati. In questo caso il
Presidente o il membro più anziano nella funzione, ed in via
subordinata per età, potrebbe informare il Presidente della
Commissione Tributaria Regionale perché provveda alla
sostituzione.
La norma non prevede l’ipotesi di astensione di un membro per un
interesse diretto o indiretto nella questione da esaminare
oppure l’ipotesi di temporanea indisponibilità del membro per
malattia o cause familiari. La questione non è di facile
soluzione, non essendo previsti sostituti per i membri del
collegio e non potendo lo stesso essere operativo in assenza di
un suo membro. Da alcuni collegi si è distinta un’attività
istruttoria, delegabile ad un solo componente, dalle attività
propriamente decisionali per le quali l’organo collegiale deve
operare nella sua interezza.
.7 Qualificazione e professionalità del Garante.
Da un esame dei vari collegi regionali si può subito rilevare
una concreta garanzia di imparzialità, non sempre riscontrabile
in una composizione collegiale di diversa estrazione; inoltre
l’alta qualificazione prevista costituisce di per sé garanzia
per la funzione alla quale gli stessi soggetti sono chiamati. La
norma non prevede ulteriori elementi soggettivamente
qualificanti i candidati, quali pubblicazioni scientifiche,
partecipazione a convegni in qualità di relatore, partecipazione
a commissioni di studio ecc.; questo deve essere inteso non
nella possibilità di arbitrio nella scelta da parte del
Presidente della Commissione Regionale, ma come un elemento
comune di base per tutti i candidati, che devono rientrare nelle
categorie (professionali) indicate; inoltre per gli altri membri
la scelta in una terna prefissata, comporta che sia già avvenuto
un vaglio da parte dei rispettivi uffici o organi
- 119 -
rappresentativi professionali sulle qualità e l’idoneità dei
soggetti proposti.
E’ stata già rilevata la diversa posizione dei membri, e la
prevalenza della qualifica di pensionato rinvenibile in tutte le
tre categorie. La previsione può essere intesa nell’opportunità
di non disperdere sicure acquisite qualificazioni professionali
in dipendenza della circostanza della maturazione dell’età
pensionabile. Il sistema attualmente in vigore prevede un limite
di anni lavorativi ed alle volte agevola l’uscita del lavoratore
ancora in vede età per il solo fatto dell’avvenuta maturazione
di un periodo minimo di contribuzioni, al fine di far subentrare
nuove energie o per rinnovar i dirigenti (spoil system). La
conseguenza è la presenza sul mercato del lavoro di soggetti
idonei e disponibili ad alcune funzioni, non altrimenti
inseribili in un processo lavorativo standardizzato. A questi
soggetti si rivolge la parte della normativa, favorendo la
prosecuzione di un’attività lavorativa professionale, che
altrimenti andrebbe perduta. In questo senso può ricordarsi la
figura del giudice di pace, che attinge proprio (di preferenza)
i propri membri da soggetti, che, in possesso di una laurea in
giurisprudenza, hanno svolto un’attività lavorativa qualificata
e, pur cessando la precedente attività, intendono offrire alla
società , sia pure sotto altri profili, le proprie energie
lavorative e capacità intellettuali.
La norma non indica un limite d’età dei membri, con ciò
confermando la responsabile scelta che deve essere effettuata
dal Presidente della commissione tributaria. In altre
situazioni, come per la nomina dei giudici tributari, la norma
prevede un limite di età massimo per la permanenza
nell’incarico, eliminando possibili situazioni di imbarazzo e di
aspettative197.
.8 L’autonomia dell’organo ed indipendenza economica.
197 L’identificazione normativa di una età massima, per la chiamata o rinnovo alla funzione di Garante del contribuente, sarebbe auspicabile, anche se, in sede di ricorso la tar contro il mancato rinnovo per età avanzata, si è fatto presente che la gravosa funzione di Presidente della Repubblica è stata egregiamente ricoperta anche da ultra ottuagenari.
- 120 -
La norma, in un breve ma espressivo inciso, afferma che il
Garante opera” in piena autonomia”. La dizione è meno estesa di
quella prevista dalla legge 14 novembre 1995 n. 481 per tutte le
Autorità, ove si parla di “piena autonomia e con indipendenza di
giudizio e di valutazione”.
Dal testo breve della norma non si rinvengono limiti o regole
nell’attività del Garante e, quindi, sarà compito dei singoli
garanti l’eliminazione di tutti i vincoli che dovessero
frapporsi al conseguimento delle finalità volute dalla norma
istitutiva. Autonomia non vuol certamente dire libertà di non
osservare la normativa vigente, ma solo non essere soggetto alle
direttive di altri uffici o autorità. Vuol anche affermare che
in tutte le attività di accesso o di richiesta dati non può
essere opposto il rispetto di procedure predisposte per il
pubblico. Sotto altro profilo l’operare in piena autonomia deve
poter significare che ogni singolo ufficio del Garante ha il
potere di auto organizzare la propria struttura e che non
possono essere sollevate difficoltà da parte della Direzione
regionale in relazione alle scelte operative.
Ancora in relazione all’autonomia, quale caratteristica
dell’organo di non avere condizionamenti economici, va rimarcato
che il compenso per l’attività svolta ed i rimborsi spettanti ai
membri sono determinati con decreto del Ministro delle Finanze.
Può ben sollevarsi il dubbio sull’effettiva indipendenza
dell’organo subordinato, quanto alla sua attività, direttamente
dal soggetto controllato o dagli organi del medesimo. Questione
ora riproposta con il taglio al compenso precedente, disposto
dal Ministero, in ossequio alla generale direttiva precedente
legge finanziaria. Nelle relazioni annuali è stata evidenziata
la difficoltà di un controllo delle agenzie o degli uffici non
ubicati nel capoluogo della regione non essendo previsto un
idoneo servizio, ma il tutto lasciato alla buona volontà, anche
economica dei singoli garanti.
Per quanto riguarda le funzioni di segreteria e tecniche,
assicurate dagli uffici delle Agenzie Regionali delle entrate,
presso il quale è istituito, può legittimamente sollevarsi il
dubbio della mancanza di una vera autonomia organizzativa
- 121 -
dell’organo, pur riconoscendo una generale fattiva
collaborazione delle Direzioni. Spetta in ogni modo all’organo
collegiale organizzare la struttura dell’ufficio in piena
autonomia in relazione dell’evolversi delle esigenze.
.9 La segnalazione al Garante ed i moderni processi di
comunicazione fiscale.
Dopo aver esaminato la struttura dell’ufficio del garante ormai
consolidatasi, può rilevarsi che l’attivazione della funzione è
molto informale, essendo sufficiente anche una segnalazione
inoltrata per “iscritto” dal contribuente o da qualsiasi altro
soggetto interessato.
La circostanza che la norma preveda una segnalazione “per
iscritto” non è stata ritenuta preclusiva di altre forme. La
norma non prevede specifiche modalità per l’invio e, quindi,
oltre alle classiche modalità della presentazione diretta dello
scritto presso l’ufficio protocollo o accettazione, della
spedizione a mezzo posta e dell’eventuale ma più formale uso dei
servizi dell’ufficiale giudiziario, dovrebbe essere ammesso
anche l’invio a mezzo Fax. Non è richiesta specificatamente la
sottoscrizione manuale della segnalazione, né l’autentica della
firma o l’accompagno della segnalazione con la fotocopia del
documento dell'autore della segnalazione. La segnalazione deve,
invece, contenere l’indirizzo del mittente, perché possa
ricevere l’informazione dell’esito da parte del Garante.
I Garanti hanno preso in esame anche le segnalazioni pervenute
per posta elettronica. Quest’ultimo mezzo ha ormai raggiunto una
sufficiente diffusione e permette una legittima acquisizione
della segnalazione. Tra i primi compiti del Garante vi è stato
quello di istituire, attraverso le reti telematiche, un canale
di scambio tra la segreteria del Garante ed il contribuente, con
la finalità di rendere più celere sia l’invio della
segnalazione, che la richiesta di chiarimenti in ordine alla
stessa, che infine l’invio dell’informativa finale allo stesso
autore della segnalazione. L’adozione di idonee strutture
- 122 -
elettroniche ha consentito, per altro verso, una più rapida
comunicazione delle richieste ai vari uffici e l’evasione delle
stesse da parte di questi ultimi.
E’ stato osservato che uno dei principali obiettivi della
Pubblica amministrazione, nell’impiego della tecnologia, è
quello di aumentare la competitività dello Stato e, quindi, la
sua efficienza come impresa erogatrice di servizi. Il suo
atteggiamento deve, dunque, comprendere un ruolo d’utilizzo,
consapevole, ponderato ed efficiente, sia uno di garanzia, ossia
di tutela contro possibili effetti perversi derivanti dalla
scarsa o erronea regolamentazione della tecnologia stessa. La
struttura della segreteria del Garante deve rispondere anche a
tali esigenze, ed essere in grado di valutare anche le capacità
operative nuove degli uffici, dei quali si lamenta
l’inefficienza.
Può pertanto ritenersi che, indipendentemente dalla modalità per
mezzo con il quale la segnalazione è pervenuta, questa permette
la conoscenza della circostanza lamentata e l’attivazione del
Garante, avendo la facoltà di operare anche indipendentemente
dalla tipologia della segnalazione. Il distinguo potrebbe avere
una rilevanza sulla eventuale informativa da inviare all’autore
della segnalazione prevista dal sesto comma dell’art. 13, ma
questo adempimento potrebbe essere comunque effettuato, ove
fosse identificabile l’indirizzo dell’autore, proprio
nell’ambito di un più efficiente servizio da rendere al
contribuente. La norma non prevede la presentazione dello
scritto per il tramite di un soggetto terzo, sia esso
procuratore o rappresentante. Certamente non è vietata la
presentazione per il tramite di uno dei soggetti previsti
dall’art. 63 del d.p.r. 600/72, ma in tal caso è necessaria la
procura scritta, che potrà essere apposta sullo stesso
documento. Legittimati alla segnalazione sono il contribuente o
qualsiasi altro soggetto interessato.
Il testo della norma porta ad alcune considerazioni poiché non
chiarisce il rapporto tra il soggetto che effettua la
segnalazione e l’oggetto della stessa, potendosi identificare
distinte posizioni. La norma potrebbe essere intesa sotto il
- 123 -
profilo soggettivo della necessaria qualificazione sostanziale
di “contribuente” per essere legittimato alla segnalazione, con
ciò escludendosi ogni soggetto che, per avventura, non rivesta
tale qualità; inoltre potrebbe ipotizzarsi la necessità che la
qualità di contribuente sia rivestita non nella generalità dei
casi, ma in relazione specifica al fatto ed al tributo
segnalato. Il dubbio nasce dalla contrapposizione testuale tra
“contribuente” e “qualsiasi altro soggetto interessato”
legittimato a presentare la segnalazione scritta; inoltre non è
definito se l’interesse alla segnalazione derivi in relazione ad
una circostanza che abbia, comunque, attinenza alla posizione
del soggetto, che effettua la segnalazione, oppure se sia
ammissibile la segnalazione da parte di un soggetto, che venendo
a conoscenza di un fatto, che rivesta le caratteristiche di
“maladministration”198, sia anche interessato alla segnalazione,
198 La Dottrina aveva già identificato alcune figure tipiche, riscontrabili nella realtà. Sono state così
evidenziate alcune forme che portano al fallimento dell’attività amministrativa: 1. la tendenza ad uccidersi di lavoro ovvero a lavorare in maniera antieconomica, in quanto i risultati desiderati vengono ottenuti a costi ingiustificatamente elevati; 2. comportamento controproducente: i risultati effettivamente ottenuti sono contrari a quelli desiderati; 3. l’inerzia che si ravvisa quando, ad uno stimolo interno o esterno, non fa seguito alcuna risposta; 4. l’inefficacia della stessa azione amministrativa, quando la risposta ottenuta consiste esclusivamente in un diversa disposizione degli input e degli output, senza che si produca alcun risultato significativo; 5. l’insoddisfazione perenne, quando ad un aumento di produzione, consegue unicamente una maggiore richiesta. A queste figure sono state affiancate altre ipotesi: A. eccesso e carenza di organizzazione, alle quali consegue pesantezza burocratica per procedure ritualizzate e corruzione; B. sprechi organizzativi: in quanto il personale viene addetto a compiti del tutto superflui; C. la sindrome del bastone conseguente a controlli e minacce controproducenti; D. dimostrazioni di forza con influenze negative derivanti dall’attuazione di misure che, nella realtà, suscitano antagonismi o scatenano meccanismi di risposta perversi; E. ritardi nell’attuazione di interventi necessari che rendono inutili e senza scopo le conseguenti attività; F. fittizia riorganizzazione della struttura, quando i cambiamenti assumono il significato di risposte simboliche, limitandosi ad interventi di facciata che lasciano inalterata la sostanza; G. sub-ottimizzazione quando le singole unità non tengono conto delle finalità globali; H. presenza di obiettivi conflittuali e mancanza di coordinamento; I. frammentazione professionale derivante da continue modifiche nell’attuazione dei compiti e delle spese. Altro autore ha evidenziato che la cattiva amministrazione derivava da disfunzioni imputabili ad assiomi autogiustificativi, quali: a). perseguire obiettivi astratti, senza definire una serie di obiettivi intermedi, che possano essere misurati, valutati e giudicati; b). intraprendere diverse attività contemporaneamente, senza fissare delle precise priorità da rispettare; c). perseguire la logica del “grasso è bello”, ovvero ciò che garantisce i risultati è l’abbondanza e non la competenza; d). essere dogmatici, anziché empirici; e). ignorare l’esperienza passata e ciò che da essa si può imparare; f). credersi immortali e non essere disposti ad abbandonare programmi inconcludenti. Alcune malattie delle amministrazioni pubbliche, derivanti da un male inteso concetto di professionalismo incline a degenerare, sono state così sintetizzate: 1. la perversità il professionismo finisce per diventare nemico degli stessi scopi che dovrebbe servire e si oppone a qualsiasi innovazione; 2. il tradimento – si oppone ai gradini dell’umanità in nome di una malintesa salvaguardia delle proprie procedure; 3. l’egoismo – il professionismo punta ad acquisire sempre maggiori poteri, privilegi e retribuzioni più elevate; 4. l’amore per la complessità e per i gergalismi – la tendenza a collaborare ed a utilizzare metodi di lavoro e gerghi sempre più complicati e laboriosi come strumento per conservare o accrescere il proprio status professionale; 5. timore delle definizioni rigorose – il professionismo è contrario alle decisioni e alle definizioni rigorose, che consentirebbero di adottare dei parametri di misura in base ai quali valutare le prestazioni; 6. l’insofferenza per tutte le forme di controllo – in particolar modo se esercitato dall’opinione pubblica “non informata”; 7. l’autovalutazione – la vanità, la tendenza ad attribuire un valore eccessivo ai risultati professionali conseguiti in passato; 8. la segretezza – il professionalismo non ha mai tollerato la presenza di occhi inquisitori; 9. la mancanza di creatività – le spinte al miglioramento vengono per lo più dai profani e incontrano l’opposizione dei professionisti; 10. l’abuso di potere – il professionalismo si è dimostrato poco cavalleresco,
- 124 -
tesa al miglior funzionamento della struttura amministrativa.
Sotto questo profilo va ricordata la possibilità, estesa a
chiunque sia interessato, di effettuare segnalazioni
telefoniche, per fatti aventi rilevanza fiscale alla Guardia di
Finanza; tale servizio è stato qualificato di pubblica utilità,
poiché nato per fornire ai cittadini un filo diretto per tutti i
problemi che riguardano il fisco. E’ stato così evidenziato che
si tratta di uno sforzo dell’amministrazione per aiutare i
contribuenti a superare difficoltà amministrative e
burocratiche, offrendo a tutti una sponda immediata e facile da
raggiungere, coerente con l’obiettivo di ricostruire un rapporto
di fiducia e di comunicazione attiva e partecipata fra i
cittadini e le istituzioni, in relazione ad una trasformazione
di tutta l’amministrazione fiscale, sempre più aderente al
disposto dell’art. 97 Cost..
Qualora la notizia non pervenga da una specifica segnalazione
scritta, si può ritenere che questa possa essere acquisita per
il tramite di qualsiasi mezzo di informazione, quali la stampa,
la televisione o anche le notizie diffuse tramite internet.
Sotto questo profilo emerge il diverso atteggiarsi del potere
dell’organo, in quanto dalla posizione passiva di ricezione
della segnalazione fatta pervenire nell’ufficio, si passa
gradatamente dalla posizione di acquisizione dei fatti, per il
tramite di notizie diffuse da terzi con carattere di generalità,
alla ricerca diretta della notizia. Si passa, evidentemente, ad
una difforme e più delicata funzione, che richiederebbe
specifici poteri ispettivi per l’acquisizione e contestuale
valutazione dei dati. Sotto questo profilo la normativa sembra
indirizzata ad una regolamentazione restrittiva di tali poteri,
anche se non sono vietate attività di accertamento o di ricerca
delle eventuali disfunzioni degli uffici. Si potrebbe, infatti,
valorizzare il richiamo alle funzioni tecniche, operato dal tirannico o addirittura crudele nei confronti dei deboli affidati alla sua tutela; 11. la malignità – all’interno del professionismo si combatte una guerra di calunnie e di offese contro gli innovatori, insinuando che si tratti di elementi anormali, con poco senso pratico, deboli, squilibrati, privi di capacità di giudizio, ignoranti, arruffoni, plagiari, e spinti da motivazioni egoistiche o dalla ricerca dell’autorealizzazione e dell’interesse personale. In tal senso, S. Cassese, “Maladministration” e rimedi, Foro It., V, 1992, 247; ancora, sulle “storture” del concetto di buona amministrazione, da ultimo, Id., “L’ideale di una buona amministrazione”, Editoriale Scientifica, Napoli, 2007.
- 125 -
quinto comma dell’art. 13, per ipotizzare la creazione di una
struttura tecnica idonea a realizzare l’acquisizione di tali
notizie. Non è altresì prevista una qualche attività di
elaborazione o approfondimento del dato, oggetto della
segnalazione, ma questa deve intendersi compresa nei poteri del
Garante, non dovendo questo fungere da mero ripetitore delle
segnalazioni dei cittadini.
Il sesto comma dell’art. 13 prevede la possibilità di richiesta
di documenti o chiarimenti agli uffici competenti. Per quanto
attiene al termine “documenti”, si può ritenere che questo
riguardi qualsiasi atto in possesso dell’ufficio, ed
indipendentemente dalla sua struttura cartacea o elettronica. La
richiesta di documenti dovrà essere circoscritta all’argomento
della segnalazione. E’ evidente che la richiesta non potrà che
riferirsi a specifiche fattispecie, essendo dubbio che possa
riguardare la generalità dei comportamenti. La risposta
dell’ufficio dovrà essere sollecita e in ogni modo non dovrà
superare i trenta giorni. La mancata risposta o il superamento
immotivato del termine potrà essere motivo di ulteriore
segnalazione al direttore regionale, quale distinto disservizio
percepito direttamente dal Garante.
Un potere autonomo del Garante è quello previsto in relazione
all’accesso agli uffici finanziari. Questo potere potrebbe
essere inteso nel senso che l’accesso non è limitato dall’orario
di apertura al pubblico, ma a quello in cui è svolto il
servizio; potrebbe inoltre significare che il Garante può
predisporre autonomi accessi, indipendentemente da eventuali
precedenti segnalazioni di disservizi. Tuttavia l’unico potere
di controllo, espressamente previsto, ma collegato al potere di
accesso, riguarda quello della funzionalità dei servizi di
assistenza e di informazione al contribuente. Si tratta di
particolari servizi, progressivamente ampliati a favore del
cittadino contribuente, di grande utilità, per i quali tuttavia
va considerata la tipologia dell’intervento del garante.
L’intervento potrebbe essere indirizzato verso un rilievo
dell’insufficienza quantitativa o qualitativa dello stesso, con
monitoraggio eventuale del servizio ed in particolare delle
- 126 -
risposte rese ai quesiti. La qualità delle risposte non potrebbe
essere limitata alla semplice esattezza, ma anche alla modalità
formale della risposta, sotto il profilo della sua
differenziazione in relazione anche al soggetto richiedente. La
funzionalità del servizio dovrebbe riguardare il tempo in cui
esso è reso nell’arco della giornata per gli sportelli aperti al
pubblico e la loro sufficienza in relazione alla domanda. Il
controllo andrebbe analogamente esteso anche ai servizi che non
prevedono accessi materiali agli uffici poiché resi
telefonicamente quali i “Call center” o per posta elettronica.
Anche in questo caso non è inibito un monitoraggio delle
modalità di espletamento del servizio. Di certamente minore
portata, ma ugualmente indicativo, è il potere di controllo
dell’agibilità degli spazi aperti al pubblico. Il controllo non
dovrebbe essere limitato agli uffici dell’amministrazione
finanziaria in senso stretto, ma anche agli uffici degli enti
locali, soggetti attivi di tributi, degli stessi concessionari
della riscossione ed infine delle commissioni tributarie, poiché
locali aperti al pubblico e messi a disposizione
dall’Amministrazione Finanziaria. Non sembra che la norma possa
essere intesa in forma restrittiva, limitando il potere di
controllo dell’agibilità degli spazi aperti al pubblico
esclusivamente a quelli ove si svolgono servizi d’assistenza e
d’informazione al contribuente da parte della sola
amministrazione finanziaria. Il potere di controllo non può
certamente essere lasciato al solo gusto soggettivo del Garante,
ma dovrà tener presente gli standard previsti anche in sede
europea. Di particolare rilevanza è anche la competenza
territoriale generale sull’intero territorio della Regione e
quindi sugli uffici ivi aventi sede. La qual cosa comporta la
necessità dell’accesso anche nelle sedi degli uffici fuori dalla
sede propria del Garante, ostacolata dal limitato rimborso delle
spese vive e dall’assenza di mezzi propri dell’ufficio che
assicurino una decorosa logistica per le attività esclusive.
La segnalazione al Garante deve avere per oggetto situazioni
identificabili come disfunzioni, irregolarità, scorrettezze,
prassi amministrative anomale o irragionevoli o qualunque altro
- 127 -
comportamento suscettibile di inclinare il rapporto di fiducia
tra cittadini e Amministrazione Finanziaria. Va rilevato che
l’elenco delle tipologie non sembra dover essere inteso in senso
tassativo, potendosi ipotizzare situazioni analoghe, che, pur
non concretizzandosi in una violazione di norme, realizzano
fattispecie non identificabili come buona amministrazione, sotto
il profilo voluto dall’art. 97 della carta costituzionale199.
In particolare, il contribuente che lamenti disfunzioni,
irregolarità, scorrettezze, prassi amministrative anomale o
irragionevoli o qualunque altro comportamento suscettibile di
incrinare il rapporto di fiducia tra cittadini e amministrazione
finanziaria, ha la possibilità di partecipare
all’amministrazione, per il tramite del Garante, detti fatti,
che, per le tradizionali vie dell’autocontrollo della gestione,
non potrebbero facilmente emergere. Questa segnalazione ha una
doppia valenza, sia diretta per l’interessato istante, che si
attende una correzione del fatto evidenziato (autotutela
negata); sia in relazione ad un mutamento dei comportamenti,
concretamente adottati, ritenuti dall’istante come non conformi
all’attesa di una buona amministrazione (cambiamento della
procedura).
Il fatto, oggetto della segnalazione, potrebbe avere dei profili
di rilevanza penale, che dovranno essere oggetto di denuncia
all’autorità competente.
.10 Il potere di attivazione dell’autotutela.
Di particolare rilevanza è l’inedito potere attribuito al
Garante di “attivare le procedure di autotutela”. Nel contesto
grammaticale di un sofferto periodo, questo sembra essere un
potere consequenziale, e in ogni caso successivo, a quello di
rivolgere chiarimenti all’ufficio, in ordine alla pervenuta
segnalazione di prassi amministrative anomale o irragionevoli,
ma non limitate a queste sole ipotesi. Questo potere risulta
circoscritto in relazione agli “atti amministrativi di
199 R. LUPI, Diritto tributario, cit., 213, riconosce che con la creazione del garante, quello che avrebbe potuto essere un mero servizio reclami è divenuto una struttura indipendente che – pur senza sovrapporsi ai poteri dei giudici tributari – ha maggiore voce in capitolo nei rapporti con i vertici regionali e nazionali dell’amministrazione finanziaria.
- 128 -
accertamento o di riscossione notificati al contribuente”.
Dall’insieme della previsione normativa sembra emergere una più
limitata competenza, rispetto al potere di autotutela, riservato
agli uffici dall’art. 68 del D.P.R. 27 marzo 1992, n. 287, nel
quale si prevede l’annullamento totale o parziale dei propri
atti, riconosciuti illegittimi o infondati. Partendo da questa
premessa, va subito rilevato che si deve trattare di atti
“notificati” e detta circostanza esclude l’intervento nelle
ipotesi sia di atti, per i quali non è prevista la notifica, sia
gli stessi avvisi di accertamento o di riscossione non
notificati. Il riferimento è a tutte le situazioni previste
dall’ultimo comma dell’art. 19 del D.Lgs n. 546/1992 ed a tutte
quelle altre ove la Corte Costituzionale ha riconosciuto
sussistere il diritto di difesa dinanzi alle commissioni
tributarie. Inoltre il riferimento specifico a tali atti
sembrerebbe escludere qualsiasi iniziativa nei confronti di atti
della G. di f., non rientrando quelli indicati tra le competenze
di quest’ultimo corpo.
Dopo l’abrogazione della norma, che prevedeva l’avviso di mora,
la cartella di pagamento rimane il principale atto di
riscossione da notificare al contribuente, ai sensi dell’art. 26
del D.P.R. n. 602/1973. Va tuttavia considerato che l’art. 50
dello stesso D.P.R. n. 602, nel testo modificato dall’art. 16
del D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, con effetto dal 1 luglio
1999, ha introdotto nel tessuto normativo un nuovo atto,
denominato “avviso”, che deve essere notificato al contribuente,
assoggettato a riscossione coattiva, qualora l’espropriazione
non sia iniziata entro un anno dalla notifica della cartella.
Detto atto deve contenere l’intimazione a adempiere l’obbligo
risultante dal ruolo entro cinque giorni dalla notifica, va
redatto in conformità al modello approvato con Decreto del
Ministro delle finanze e perde efficacia trascorsi centottanta
giorni dalla notifica. Trattandosi di un atto prodromico alla
riscossione la competenza del Garante non potrebbe essere
esclusa. Stante la genericità del richiamo agli atti di
accertamento e di riscossione va considerata l’ipotesi
dell’ipoteca sul bene immobile e la possibilità di un intervento
- 129 -
del garante nell’ipotesi di sproporzione tra il valore
dell’immobile, anche qualora questo fosse l’unico posseduto dal
debitore, ed il credito tributario che si vuole tutelare oppure
l’inerzia del concessionario nella eliminazione di una tale
garanzia tributaria dopo una decisione favorevole della
commissione tributaria. Per quanto attiene gli altri avvisi di
accertamento l’espressione non deve essere intesa in maniera
restrittiva, ma seguendo l’insegnamento della Corte
Costituzionale, vanno ricompresi tutti gli atti con i quali
l’ammistrazione esterna una sua volontà impositiva e quindi
anche un eventuale avviso di liquidazione.
Delimitato l’ambito di applicazione della norma, va esaminato il
significato da attribuire alla locuzione “attiva le procedure di
autotutela”. La questione è certamente rilevante poiché nel
corso del quinquennio i casi pratici hanno portato all’emersione
di incerti confini200. Il termine “attiva” potrebbe contenere
una portata molto ampia, fino ad ipotizzare un intervento
diretto del garante nella procedura medesima; questa estensione
non sembra condivisibile in quanto non coerente con la figura
generale dell’Ombudsman, che tradizionalmente non ha il potere
di intervenire sull’attività dell’ufficio, ed inoltre estranea
alla figura del Garante, quale soggetto che non fa parte della
Amministrazione201. Solamente una norma esplicita potrebbe
attribuire poteri positivi o sostitutivi di un ufficio. Si può
ricordare una sola eccezione al principio è costituita dalla
figura del “commissario ad acta”, nominato dalla commissione
tributaria nell’ambito di un giudizio di ottemperanza, quale
soggetto espressamente autorizzato a sostituirsi all’ufficio
inadempiente. Nel nostro caso non sono riportati tali poteri e,
quindi, l’attivazione delle procedure di autotutela sembra
limitata ad un sollecito “qualificato” dal quale nasce l’obbligo
dell’ufficio di esaminare l’istanza202.
200 S. MUSCARA’, La giurisdizione (quasi) esclusiva delle commissioni tributarie nella ricostruzione sistematica delle SS.UU. della Cassazione, in Riv. Dir. trib., 2006, n.1 II, 33. 201 A. BUSCEMA, Garante del contribuente, in AA VV, Statuto del contribuente, Cedam, 2002, 183 ed autori ivi citati. 202 Sulla impugnabilità del rifiuto espresso o tacito dell’amministrazione a procedere ad autotutela vedi la recentissima sentenza della corte di cassazione SS. UU. n. 16776, del 10 agosto 2005, con nota di F. CERRIONI,
- 130 -
Il contenuto di detto sollecito può essere visto sotto più
profili, in ogni modo destinati a far evolvere l’istituto. Parte
della dottrina ritiene che non vi sia in capo al contribuente,
che richiede all’ufficio un provvedimento in autotutela, un
correlativo diritto al riesame della pratica né il diritto-
dovere dell’ufficio di attivarsi a seguito della stessa istanza.
Così posta la questione e senza ulteriori approfondimenti in
questa sede, il potere del Garante sembra ora militare verso il
subentro di una forma di doverosa risposta all’istanza del
contribuente da parte dell’ufficio. L’attivazione della
procedura da parte del Garante non dovrebbe significare anche un
giudizio (positivo) di merito della stessa istanza in
autotutela, non risultando alcuna specifica previsione in tal
senso e potrebbe essere vista come un’indebita intromissione
nell’attività degli uffici203. L’operazione dovrebbe essere
simile alla delibazione dell’istanza di sospensione dell’atto
impugnato, prevista dall’art. 47 del d.lgs n. 546/1992.
Un maggior potere di valutare la conformità alla legge del
comportamento degli organi ispettivi è invece previsto dall’art
12 della medesima legge n. 212/2000. In questo caso il
contribuente, che si ritenga leso dalle modalità con le quali i
verificatori procedono all’ispezione, può rivolgersi al Garante.
Quest’ultimo, valutata la segnalazione, potrà richiedere
chiarimenti sui fatti esposti ed eventualmente sollecitare la
cessazione, in via di autotutela, dell’attività posta in essere
con modalità non conformi alla legge204. Il richiamo a modalità
ispettive “non conformi a legge” evidenzia un differente profilo
del potere di intervento del Garante, atto ad interrompere
procedure illegittime, potenzialmente idonee a far travolgere un
successivo atto di accertamento, basato su di un processo
verbale già riconosciuto illegittimo. Vi è da un lato una sorta
di richiesta cautelare da parte del contribuente (interruzione
della procedura illegittima e di per sé dannosa per l’istante) e Procedimenti di autotutela, dovere di riesame e tutela giurisdizionale in ambito tributario, Riv. Giur. Trib., 2005, n. 11, 1003. 203 F. D’AYALA VALVA, L’attivazione delle procedure di autotutela tributaria, Riv. Dir. trib. , 2004, 145. 204 F. D’AYALA VALVA,Il contribuente sottoposto a verifiche fiscali e l’intervento del Garante, Riv. Dir. trib., 2003, I, 179; F. NICCOLINI, Il codice di comportamento dei verificatori fiscali alla luce dello Statuto del contribuente, Rass. Trib., 2004, n. 4, 1415.
- 131 -
dall’altro una sorta di delibazione sulla procedura in essere,
avente per oggetto il rispetto della normativa, analogo a quello
che potrebbe, in un secondo momento, effettuare il giudice
tributario, in funzione demolitoria dell’atto di accertamento
impugnato.
Il ruolo del Garante troverà, in futuro, nuova linfa in
relazione alla procedura di adesione al verbale di
constatazione, ex art. 5 bis d.lgs. 218/1997205. In particolare,
la suddetta norma prevede che il contribuente possa aderire ai
verbali di constatazione per gli accertamenti parziali in
materia II.DD. ed IVA, entro 30 giorni successivi alla data
della consegna del verbale. Innanzitutto, ci si domanda se la
procedura prevista per l’adesione al verbale di constatazione
non rappresenti, da un lato, una deminutio delle prerogative di
difesa del contribuente, visto che la norma statutaria prevede
il termine più amplio di 60 giorni dalla consegna del verbale
per produrre osservazioni e richieste. Dall’altro, la stessa, ad
un primo rapido approccio, non sembra neanche rispettare il
canone di buona amministrazione, inteso nel significato
“statutario” del termine, considerato che la fretta di chiudere,
in via anticipata, rilievi fiscali parziali, pur rispondendo a
criteri di celerità e certezza del gettito, potrebbe celare
errori materiali e/o impositivi, con conseguente violazione del
canone della giusta imposizione ex art. 53 Cost.. Lasciando per
il momento aperti gli interrogativi sui rimedi amministrativi e
giudiziali avverso una adesione definitiva (?) “ingiusta”, il
Garante, quale figura super partes, attraverso il controllo
della correttezza delle operazioni di verifica, potrà influire
sulla corretta attuazione dello strumento di adesione,
indirettamente monitorando l’intelligibilità del verbale di
constatazione e, dunque, la legittima e chiara determinazione
dell’imponibile e dell’imposta verificata.
Accanto a queste funzioni, che possono ritenersi analoghe a
quelle del difensore civico, sono previsti degli specifici
“richiami” agli uffici affinché rispettino il disposto
205 L’art. 5 bis è stato inserito nel contesto della d.lgs. 218/1997 dal D.L. 25 giugno 2008 n. 112 – L. 06 agosto 2008 n. 133.
- 132 -
dell’articolo 5 e dell’articolo 12 dello statuto. Si tratta di
norme eterogenee, tese sostanzialmente al miglioramento della
stessa amministrazione. Il significato del richiamo, tende alla
mera segnalazione di non adeguati servizi. In particolare l’art.
5 prevede la messa a disposizione “gratuita”, anche in via
elettronica, dei testi di legge coordinati, le circolari e le
risoluzioni emanate dalla amministrazione finanziaria e
l’intervento del garante potrebbe essere di stimolo in tal
senso. Il sesto comma termina con la previsione di una
comunicazione dell’attività svolta alla direzione regionale o al
comando di zona della Guardia di finanza, nonché agli organi di
controllo, prevedendosi anche l’invio di un’informativa al
contribuente. Di particolare rilevanza, per il miglior
funzionamento dell’amministrazione, è la previsione del potere
di rivolgere raccomandazioni ai dirigenti degli uffici, ai fini
della tutela del contribuente e della migliore organizzazione
dei servizi206.
Il garante è, quindi, tenuto a segnalare agli uffici competenti
i casi di particolare rilevanza in cui le disposizioni in vigore
ovvero i comportamenti dell’amministrazione determinano un
pregiudizio dei contribuenti o conseguenze negative nei loro
rapporti con l’amministrazione.
E’ previsto il potere dovere di segnalazione diretta al
Ministero delle finanze, perché eserciti i poteri di rimessione
in termine dei contribuenti nelle ipotesi di cause di forza
maggiore, che possono aver impedito il tempestivo adempimento
degli obblighi tributari ivi compresi i versamenti dei tributi.
Va innanzi tutto distinta tale ipotesi da quella in cui il
mancato adempimento degli obblighi tributari sia dipeso da
eventi eccezionali ed imprevedibili in quanto distintamente
previsti dal secondo comma dell’art. 9; questi ultimi casi sono
tradizionalmente riferibili a calamità naturali eccezionali, che
possano coinvolgere vaste aree del paese. Nel primo caso,
invece, vanno annoverati episodi che coinvolgono la sfera
personale in maniera così determinante da impedire ad un
soggetto l’adempimento degli obblighi tributari; l’ipotesi
206 BRONZETTI G., Il Garante del Contribuente: realtà e prospettive, Riv. dir. trib., 2007, n. 5, I, 559.
- 133 -
potrebbe riguardare un contribuente oggetto di sequestro. Al
Garante dovrebbe spettare il potere istruttorio, per valutare la
sussistenza della causa di forza maggiore e, nel caso di
insufficienza probatoria, potrebbe invitare il contribuente a
fornire ulteriori elementi di prova su quanto affermato. La
funzione del Garante in questo caso andrebbe proprio indirizzata
verso una funzione di concreto esercizio di una “attività di
tramite” attivo tra il contribuente ed il Ministero. Ove non si
dovesse riconoscere questa attività istruttoria di
collaborazione, sarebbe lecito chiedersi il motivo per il quale
la segnalazione di una causa di forza maggiore per un
contribuente debba transitare per il tramite dell’ufficio del
Garante e non piuttosto della direzione regionale delle entrate,
ubicata nella stessa sede.
Il Garante è tenuto a presentare una relazione semestrale
sull’attività svolta al Ministro delle finanze, al direttore
regionale dell’agenzia delle entrate delle dogane e del
territorio nonché al comandante di zona della Guardia di
finanza, individuando gli aspetti critici più rilevanti e
prospettando le relative soluzioni. Il tenore della norma indica
certamente lo svolgimento di un’attività particolarmente
impegnativa, che richiede un continuo monitoraggio dei casi
trattati e delle soluzioni adottate con successo dagli uffici;
richiede inoltre un’approfondita attività di studio teso a
prospettare le soluzioni più idonee per risolvere i lamentati e
più rilevanti disservizi. Si tratta di un’attività, che potrebbe
spaziare dal ricercare soluzioni nuove, nell’ambito dei
procedimenti previsti dalle norme, ed ipotesi di emendamenti
normativi, qualora, nell’ambito delle norme in vigore, non fosse
possibile adottare comportamenti e procedure diverse da quelle
disapprovate.
Inoltre ogni singolo garante regionale, con relazione annuale,
riferisce al Governo ed al Parlamento dati e notizie sullo stato
dei rapporti tra fisco e contribuenti nel campo della politica
fiscale. Si tratta di una ulteriore specifica funzione, che
implica una particolare alta professionalità, che si distingue,
- 134 -
quanto alla qualità dei dati da elaborare, da una semplice
elencazione dell’attività svolta.
.11 Riflessioni conclusive.
Le strutture delle amministrazioni dello Stato ed ora delle
regioni e degli enti sotto ordinati non sempre riescono a
adeguarsi, con sufficiente immediatezza, all’evolversi delle
esigenze politiche, economiche e sociali. Da qui la bontà della
scelta di istituire un nuovo soggetto “di spinta”.
Il “Garante del contribuente”, analogamente al difensore civico,
rientra tra le figure istituite a tutela del cittadino
specificatamente nei confronti dell’apparato amministrativo. A
differenza da altri soggetti non ha il potere di incidere
direttamente sul fatto oggetto della segnalazione, ma solo
quello di indicare ad un’autorità politica ed agli uffici
dell’amministrazione finanziaria il disservizio lamentato. Si
tratta, pertanto, di un soggetto idoneo a farsi ascoltare,
probabilmente più per il carisma personale, che per gli
effettivi poteri che può esercitare. Per il cittadino è
certamente una figura che può “fare da tramite”, nel senso
originario dell’Ombudsman, perché gli uffici diano seguito alle
proprie istanze. La funzione di garanzia risiede proprio nel
differente atteggiarsi di questa figura, rispetto alla generica
disponibilità dell’amministrazione ad auto regolarsi in
direzione di una maggiore efficienza. Su queste premesse le
aspettative, in termini qualitativi, risultano rispettate.
Il termine “Garante del contribuente” sembra, tuttavia,
sovradimensionato, rispetto al servizio che può essere
concretamente svolto in favore di quest ultimo; le funzioni
svolte, o che possono essere svolte, dal Garante sembrano più
indirizzate a fornire elementi conoscitivi concreti e
tempestivi, ed anche servizi, in relazione alle segnalazioni per
eventi eccezionali ed imprevedibili ai sensi dell’art. 9, alla
amministrazione delle finanze al fine di migliorare il proprio
servizio. Sotto quest’ ultimo profilo sembra riduttivo pensare
che l’attività svolta dal Garante sia indirizzata unicamente a
favore del contribuente in quanto la reale funzione sembra
- 135 -
piuttosto quella di ridurre i casi di cattiva amministrazione e
stimolare l’esercizio dell’autotutela da parte della stessa
amministrazione intesa in senso lato, nei casi in cui la norma
prevede la sua applicabilità.
L’istituzione del Garante del contribuente va salutata
positivamente, quale segno di una differente attenzione nei
confronti dei soggetti, che partecipano alle spese pubbliche,
sopportandone l’onere; l’istituto, anche alla luce delle
esperienze degli ultimi anni, appare sguarnito di una reale
potere di garantire e rimediare ad alcuni disservizi lamentati
(Prometeo incatenato), a differenza di quanto avviene per talune
autorità amministrative indipendenti e per lo stesso difensore
civico, ora dotato dalla legge 15 maggio 1997, n. 127 (Bassanini
bis) del potere di nominare un commissario ad acta, nei
confronti della stessa amministrazione inadempiente. In questo
senso non si rinviene una sostanziale differenza nell’ipotesi di
avvenuto riconoscimento del credito vantato dal contribuente,
per effetto di una sentenza definitiva o per espresso
riconoscimento dell’ufficio; nel primo caso è attivabile il
giudizio di ottemperanza, con la rapida nomina di un commissario
ad acta, mentre nel secondo caso il contribuente, dinanzi
all’inerzia (beffa-sono state attivate le procedure ed il
rimborso sarà effettuato quando vi saranno fondi disponibili), è
costretto ad attivare un più lungo e dispendioso processo
tributario, per poter usufruire, alla fine, della procedura del
giudizio di ottemperanza. In quest’ultimo caso, e con le idonee
garanzie, si potrebbe attribuire al Garante il potere di
nominare un commissario ad acta, per il sollecito pagamento
delle somme. Si tratterebbe di un potere circoscritto, di natura
amministrativa, sostitutivo, in casi di evidente inerzia
sindacabile dal Garante.
E’ auspicabile che le funzioni vengano adeguate al mutato
contesto normativo, specie in relazione alla differente
tipologia ora acquisita dalla mitica e tradizionale figura della
- 136 -
Amministrazione Finanziaria207, e che siano progressivamente
riformulati, ampliandoli, i poteri e gli ambiti di intervento
del Garante del Contribuente, nella più generale riforma
tributaria, attuata in via strisciante e non coordinata.
Avv. Serafino Trento, Avvocato Tributarista del Foro di Rossano.
“La motivazione degli atti impositivi”
Prima di entrare nell'argomento, mi piace sottolineare come il
convegno di oggi abbia visto unite non solo la Athena, la
Universitá Telematica "Giustino Fortunato" ma anche l'Ordine
degli Avvocati di Rossano e il Consiglio Notarile di Cosenza.
Questo rappresenta un elemento importante, perché la
collaborazione fra le varie associazioni, credo che sia
importante per la riuscita delle manifestazioni. Con l'entrata
in vigore della legge 27.07.2000 numero 212, del cosiddetto
statuto dei diritti del contribuente, i rapporti fra il
cittadino contribuente e gli enti impositori sono profondamente
cambiati. Gli illustri relatori che mi hanno preceduto e credo
anche quelli che seguiranno, hanno trattato e tratteranno i
punti più importanti di questo statuto, che è stato introdotto,
appunto, dalla legge 212, ma anche poi dal decreto legislativo
32 del 2001 che è stata emanata in attuazione dell'articolo 16
di tale legge. Pertanto io mi limiterò a fare delle brevi
considerazione sul tema, argomento specifico, che mi è stato
assegnato: la motivazione degli atti impositivi. Come già diceva
la alla professoressa Bassano, la motivazione è un elemento
essenziale non solo degli atti in positivo, ma per tutti gli
atti, siano essi amministrativi che giudiziari. Tant'é che la
mancanza o la contraddittorietà della motivazione costituisce
motivo di impugnativa dell' atto, costituisce motivo di ricorso
per Cassazione. Però stasera parliamo, accenniamo brevemente
alla motivazione degli atti impositivi dell'amministrazione 207 CAMMELLI M., La pubblica amministrazione, Il Mulino, 2004, 40, riconosce che è stato messo in discussione il postulato dell’unità amministrativa, che dell’unicità dell’interesse generale è stato per lungo tempo corollario e garanzia.
- 137 -
finanziaria ed alle conseguenze che derivano da una mancata o da
una insufficiente motivazione. Debbo dire per la verità che la
motivazione degli atti impositivi non è, in assoluto, stata
introdotta dalla legge, lo statuto del contribuente, dalla legge
212 del 2000, ma che già l'articolo 42 del d.p.r. 600 del '73
che era la disciplina all'accertamento dei redditi prevedeva
l'obbligo della motivazione. Stabiliva infatti questo articolo
che l'avviso di accertamento deve essere motivato in relazione a
quanto stabilito dalle disposizioni di cui ai precedenti
articoli che sono stati applicati e con la specifica indicazione
dei fatti e delle circostanze che giustificano il ricorso a
metodi induttivi o sintetici e delle ragioni del mancato
riconoscimento di deduzione e detrazione. Già prima della
entrata in vigore dello statuto del contribuente, io ricordo,
anche per aver fatto il presidente di commissione tributaria per
parecchi anni, che uno dei motivi più ricorrenti nelle
impugnative da parte dei contribuenti erano diretti alla
mancanza di motivazione, anche se nella vecchia normativa era un
po' più aleatorio il concetto di motivazione così come poi è
stato invece specificato dalla legge 212. Però appunto con le
disposizioni dell'articolo 46 la discrezionalità
dell'amministrazione era eccessiva e il contribuente perciò non
era messo nelle condizioni di poter valutare compiutamente le
ragioni dell'accertamento al fine di poter disporre una adeguata
difesa. Lo statuto dei diritti del contribuente ha quindi
introdotto nuovi principi di chiarezza sull'obbligo della
motivazione degli atti che vengono notificati ai contribuenti.
L'articolo 7 della legge 212 del 2000 stabilisce espressamente
che gli atti dell' amministrazione finanziaria sono motivati
secondo quanto prescritto, e questo è il punto importante, dall'
art. 3 della legge 7 agosto del 1990 n.141, la legge che
riguarda appunto la motivazione di tutti i provvedimenti
amministrativi e deve indicare i presupposti di fatto, le
ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione
dell'amministrazione. Aggiunge questa norma, è molto importante,
che se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto,
questo deve essere allegato all'atto che lo richiama. Con il
- 138 -
richiamo all'articolo 3 della legge 241/90, lo statuto dei
diritti del contribuente interviene direttamente sugli atti
tributari e dispone quindi che tutti gli atti impositivi
dall'amministrazione debbano essere motivati, debbono cioè
indicare espressamente i presupposti di fatto e di diritto
posti alla base come fondamento del provvedimento
amministrativo. Il contribuente deve essere messo in condizione
di conoscere compiutamente tutti gli elementi sia di fatto che
di diritto che hanno determinato la decisione
dell'amministrazione. Qual'è lo scopo di questa norma? Lo scopo
di questa norma è proprio quello di fornire delle sufficienti
indicazioni sulla pretesa tributaria onde consentire al
contribuente la conoscenza effettiva dell' atto che
l'amministrazione gli ha notificato, allo scopo di rendere più
comprensibile l'operato dell' amministrazione, e di mettere il
contribuente in condizioni di poter capire meglio le pretese
formulate nei suoi confronti così da consentirgli di valutarne
la fondatezza e quindi l'opportunità di esperire l'azione
giudiziale e in caso positivo di contestarlo efficacemente,
anche allo scopo di poter predisporre una più opportuna e
adeguata difesa dalle pretese dell'amministrazione finanziaria,
soprattutto nel caso di contenzioso. E tutti gli elementi
conoscitivi debbono essere forniti all' interessato, non solo
tempestivamente, inserendoli cioè ab origine nel provvedimento
amministrativo, ma anche con quel grado di determinatezza ed
intelligibilità che permetta al medesimo contribuente un
esercizio non difficoltoso del diritto di difesa. La motivazione
in sostanza assolve ad una funzione processuale di garanzia del
diritto di difesa ed ha anche una funzione di trasparenza
dovendo essere indicate le ragioni di fatto e di diritto che
hanno indotto la amministrazione alla emanazione dell' atto. E'
da ribadire che, come appunto prevede l'articolo 7, nel caso in
cui l'amministrazione faccia riferimento ad un altro atto,
questo deve essere allegato all' atto che lo richiama. Sul
punto, anche la circolare del Ministero delle Finanze n. 150E
del 01/08/2000 ha chiarito che l' obbligo di una tale
allegazione da parte degli uffici sussiste anche per gli atti
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che in precedenza siano stati notificati allo stesso
contribuente; per esempio all'avviso di rettifica deve essere
allegato il precedente atto di accertamento anche se in passato
già notificato. L' obbligo della motivazione è previsto non solo
per gli atti dell'amministrazione finanziaria ma anche per
quelli delle amministrazioni locali e per i vari tributi della
fiscalità locale. In proposito, infatti, è da osservare che lo
statuto dei diritti del contribuente che all'articolo 16 aveva
disposto che il governo entro 180 giorni dalla sua entrata in
vigore provvedesse ad emanare, mediante uno o più decreti, le
disposizioni correttive delle leggi tributarie vigenti,
strettamente necessarie a garantire la coerenza con i principi
desumibili dalle disposizioni dello statuto medesimo. In
attuazione di tale disposizione il governo ha emanato il decreto
legislativo n. 32 del 26/1/2001 con il quale ha introdotto una
serie di disposizioni che hanno la finalità di correggere le
norme tributarie vigenti anche in tema di fiscalità locali a che
permette al contribuente di avere maggiori tutele nei confronti
delle azioni intraprese sia dalla amministrazione finanziaria
che dall'amministrazione locale. Tale decreto all'articolo 6 nel
modificare le singole discipline ha ribadito ed espressamente
previsto l'obbligo della motivazione anche per gli atti di
liquidazione e di accertamento in materia di fiscalità locale,
stabilendo che la motivazione dell' accertamento deve essere
fatto in relazione ai presupposti fatto e alla regioni
giuridiche che lo hanno determinato. Con questo decreto, però,
il legislatore ha aperto una porta più favorevole
all'amministrazione, intendendo agevolare il compito
dell'amministrazione. Infatti, mentre prima con la legge 212 era
obbligatorio comunque e sempre l' allegazione dell'atto
richiamato, con questo decreto il legislatore ha previsto che è
obbligatoria l' allegazione dell' atto, salvo che quest'ultimo
atto non ne riproduca il contenuto essenziale, quindi escludendo
la allegazione totale dell'atto. E' evidente che con tale
disposizione il legislatore oltre ad agevolare il compito
dell'amministrazione, ha lasciato una maggiore discrezionalità
all'ente impositore che può decidere cosa sia importante, far
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conoscere al contribuente tramite l'avviso di accertamento,
quale sia cioè il contenuto essenziale riprodotto nell'atto e
che impedisca l' allegazione dell'atto richiamato. In tal modo
non vi è certezza che possano ritenersi soddisfatte le
aspettative del contribuente e si creano delle situazioni che
spesso sono fonti di controversie. Come ho detto l'obbligo della
motivazione deve essere osservato non solo con riferimento agli
atti dell'amministrazione finanziaria, agli avvisi di
accertamento e liquidazione dei tributi locali ma è necessario
anche per l'irrogazione delle sanzioni; atteso che nonostante il
provvedimenti di irrogazione delle sanzioni sia contestuale
all'avviso di accertamento, lo stesso in ogni caso è ritenuto un
atto autonomo ed è pertanto necessario che anche esso sia
autonomamente motivato. Purtroppo spesso capita che specialmente
per quanto attiene alle sanzioni, l'amministrazione non ometta
completamente la motivazione. Purtroppo capita anche che poi il
contribuente nemmeno le eccepisca in sede di ricorso alle varie
commissioni, anche se trattandosi di nullità dovrebbe e potrebbe
essere rilevata anche d'ufficio dalle commissioni tributarie
decidenti. Perché spesso si chiede a proposito delle sanzioni,
si dice, si chiede di non pagarle che non sono dovute per la
difficoltà di interpretazione, ma difficilmente si chiede
l'annullamento dell'irrogazione della sanzione per la mancata
motivazione della stessa, motivazione, ripeto, che è necessaria
anche per le sanzioni. Accertata quindi la obbligatorietà della
motivazione degli atti impositivi occorre brevemente esaminare
quali siano le conseguenze della mancata o insufficiente
motivazione degli stessi. Non vi è dubbio, d'altra parte anche
nel diritto processuale civile è così, non è dubbio che la
mancanza o insufficiente motivazione determini la nullità
dell'atto. Ora, la dottrina per riguarda questo punto, sempre
ha sostenuto che, poiché l' atto di accertamento amministrativo
ha natura sostanziale e non solo processuale, la motivazione non
solo è necessaria ma deve contenere sotto pena di nullità tutti
presupposti di fatto e le circostanze di diritto che hanno
determinato il provvedimento dell'amministrazione, e deve essere
inserito nell'atto impositivo. La Cassazione in un primo momento
- 141 -
si era opposta a tale indirizzo perché aveva ritenuto che
l'avviso di accertamento in realtà doveva essere considerato
solo come il primo atto del processo tributario cioè un mezzo
processuale per instaurare il contraddittorio. Per cui, secondo
le prime decisioni della Cassazione la motivazione dell'atto
doveva indicare solo i criteri astratti in base ai quali
l'avviso di accertamento era stato emesso salvo poi anche nel
corso del processo l'onere dell'ufficio di provare i fatti
giustificativi di tale accertamento. Questo per la verità era,
diciamo, una tesi contrastante con la dottrina ma è una tesi
che sostanzialmente non poteva essere condivisa perché si dava
all'amministrazione la possibilità di dire: " io non te l'ho
messa la motivazione totale, completa, nell'accertamento, però
nel processo indico e specifico i motivi per cui sano la
nullità". La stessa Cassazione ha successivamente cambiato
indirizzo, infatti con la sentenza 5924 del 21/4/2001la
cassazione ha affermato che l'avviso di accertamento ed in
particolare l'avviso di cui agli articoli 42 e ss. del d.p.r.
600/73 è atto non processuale e non specificatamente funzionale
al processo ma amministrativo; quindi ha recepito la tesi
dottrinaria sul punto esplicativo della potestà impositiva
dell'amministrazione finanziaria in sé e per sé perfetto e
pienamente efficace, sicuramente non espressivo di una pretesa
la cui fondatezza debba essere necessariamente vagliata in sede
giurisdizionale traendone la conclusione della inapplicabilità
della disciplina della sanatoria delle nullità. Qua parlava a
proposito della notificazione degli atti processuali alla
notifica dell'avviso dell'accertamento. E con la sentenza 59234
del 3 dicembre 2001 la stessa suprema corte dopo aver ribadito
che l'avviso di accertamento non è atto processuale bensì
amministrativo esplicativo in particolare della potestà
impositiva dell'amministrazione finanziaria dalla natura
sostanziale ha affermato che la motivazione costituisce un
requisito di legittimità dell'avviso di accertamento richiesto a
pena di nullità, articolo 42 comma due del d.p.r. 600/73, che il
contribuente può chiedere che sia dichiarato in giudizio è con
la modalità prescritta dall'articolo 61 del citato decreto. Il
- 142 -
processo tributario infatti dice in questa sentenza della
cassazione che è diretto ad accertare la legittimità oltre che
la fondatezza della pretesa tributaria, sulla base dell'atto
impugnato ed alla stregua dei presupposti di fatto e di diritto
in esso indicati entro i limiti delle contestazioni mosse dal
contribuente. Quindi la motivazione concorre a delimitare la
materia del contendere nel successivo eventuale giudizio. Questo
spiega perché l'amministrazione non possa in sede di giudizio
addurre ragioni di rettifica diverse da quelle già indicate
nell'atto impugnato. A proposito dell'allegazione degli atti,
cui far riferimento anche lo statuto del contribuente, la
Cassazione ha affermato della motivazione può assolvere alla
funzione informativa che le è propria facendo riferimento ad
elementi di fatto offerti da documenti diversi solo se tali
documenti sono allegati o sono comunicati al contribuente. Nel
corso degli anni abbiamo assistito ad un progressivo rifiorire
del dibattito in tema di motivazione degli atti impositivi
dell'amministrazione finanziaria e degli enti locali. La suprema
corte ha mostrato e mostra ormai sempre maggiore attenzione al
tema della motivazione affermando la nullità degli atti che
provvedono alla rettifica del reddito o all'accertamento di
altri tributi in maniera sbrigativa senza specificare i
presupposti che sono alla base dell'accertamento così come la
legge impone. In particolare con la sentenza 1905 del 30 gennaio
2007 la Suprema Corte ha ribadito in linea generale che la
motivazione dell'avviso di accertamento come si ricava anche
dalla più recente legislazione, e fa riferimento alla legge 241
del '90 sul processo amministrativo, la 212 del 2000 ed il
decreto legislativo n. 32 del 2001 costituisce strumento
essenziale di garanzia del contribuente, soggetto inciso nella
propria sfera giuridica dall'amministrazione finanziaria
nell'esercizio del suo potere di imposizione fiscale. Il giudice
di legittimità ha osservato che la previsione dell'obbligo della
motivazione si inserisce nell'ambito di quella norme dello
statuto del contribuente, oltre all'articolo 7 che
specificatamente lo contempla, gli articoli 2, 5, 6, 10 che sono
espressivi di principi generali anche di rango costituzionale,
- 143 -
immanenti nell'ordinamento tributario e costituiscono perciò
criteri guida per orientare l'interprete e l'esegesi della norma
tributaria, anche anteriormente vigenti, le quali assolvono la
essenziale funzione di garantire la conoscenza e l'informazione
del contribuente nel quadro dei principi generali di
collaborazione, trasparenza e buona fede che devono improntare,
in quanto espressivi di civiltà giuridica, i rapporti tra fisco
e contribuente. Pertanto, secondo la Suprema Corte, nell'avviso
di accertamento, al fine di realizzare in pieno la anzidetta sua
finalità informativa debbono confluire tutte le conoscenze
dell'ufficio, e deve essere esternato con chiarezza, sia pure
sinteticamente, l'iter logico giuridico seguito per giungere
alla conclusione prospettata, fermo restando che tale contenuto
della motivazione si atteggia in concreto, diversamente, in
relazione alle singole norme applicabili nel caso specifico. Un
problema non trascurabile, l'avevo già accennato in questa breve
relazione, è quello della motivazione per relationem, cioè il
riferimento ad elementi di fatto offerti da altri documenti. In
proposito, sempre la sentenza 1905 del 2007 ha ribadito il
principio secondo il quale prima delle modifiche apportate dallo
statuto dei diritti del contribuente è dal decreto legislativo
32 del 2001, il requisito motivazionale dell'avviso di
accertamento poteva essere assolto per relationem, cioè mediante
il riferimento ad elementi di fatto offerti da altri documenti,
ma sempre a condizione che gli stessi fossero conosciuti dal
destinatario, presupposto sempre più degli atti anteriori che
deve ritenersi sussistente in re ipse quando il riferimento
attiene al verbale di ispezione e verifica compiuto alla
presenza del contribuente, a lui comunque già notificati o
comunicati nei modi di legge. Quando invece i verbali oggetto di
relazione riguardano un soggetto diverso l'amministrazione ha
all'onere di dimostrare, sia pure eventualmente tramite
presunzione, l'effettiva e tempestiva conoscenza dei documenti
stessi da parte del contribuente, non essendo sufficiente il
riferimento ad atti nei quali il contribuente possa procurarsi
la conoscenza, perché ciò comporterebbe una più o meno
accentuata e non giustificata riduzione del lasso di tempo lui
- 144 -
concesso per valutare la fondatezza dell'atto impositivo con
indebita menomazione del diritto di difesa. Invece, per quanto
attiene gli atti successivi sembrerebbe da escludere la
motivazione per relationem, perché appunto, come già o più volte
detto, lo statuto del contribuente ha imposto l'obbligo di
allegazione dell'atto richiamato o comunque di sua riproduzione
nel atto notificato. Per la verità, l'indirizzo della Corte di
Cassazione è stato fatto proprio dalla giurisprudenza, direi
quasi unanime, delle commissioni tributarie che hanno
approfondito il tema ed hanno ribadito la nullità degli atti
impositivi affermando che l'assoluta mancanza di motivazione
mina la possibilità per il contribuente di conoscere l'iter
logico giuridico seguito, con gravi conseguenze sulla
possibilità di reagire ad atti arbitrari illegittimi ed erronei
ed incidendo così sulla possibilità di agire in giudizio a
tutela dei propri diritti ed interessi legittimi, quindi in
violazione dell'articolo 24 della Costituzione. In tal senso
deve ritenersi che l'obbligo di motivazione, affermano le
commissioni tributarie, debba essere valutato con particolare
rigore. Avviandomi alla conclusione mi preme di fare un accenno
anche alle motivazioni delle cartelle di pagamento, che pur non
costituendo esse stesse un atto impositivo, la presentano
comunque il mezzo attraverso cui l'amministrazione finanziaria e
gli enti locali provvedono alla riscossione delle somme dovute a
seguito degli accertamenti. In proposito, la suprema Corte di
Cassazione con le sentenze numero 18415 del 16 settembre 2005 e
28318 del 21 dicembre 2005 ha affermato che quando la cartella
di pagamento non è stata preceduta da avviso di accertamento
debbono ritenersi applicabili i principi di ordine generale
indicati per ogni provvedimento amministrativo dall'articolo tre
della legge 490 espressamente recepiti in materia tributaria
dall'articolo 7 della legge 212, atteso che una diversa
interpretazione si vorrebbe in un contrasto insanabile con
l'articolo 24 della Costituzione. Quindi se la cartella non
segue ad un avviso di accertamento, anche la cartella deve
indicare i motivi per cui c'è la imposizione. Con la sentenza
18385 del 16 settembre 2005 la Suprema Corte ha affermato che
- 145 -
l'ente impositore ha sempre l'obbligo di chiarire nella cartella
esattoriale, sia pure succintamente, le ragioni dell'iscrizione
a ruolo dell'importo preteso, in modo da consentire al
contribuente un non eccessivamente difficoltosa esercizio del
diritto di difesa. In conclusione, non può esservi dubbio
alcuno, in ordine alla obbligatorietà sotto pena di nullità
della motivazione degli atti impositivi da parte
dell'amministrazione finanziaria e degli enti locali. Vi
ringrazio dell'attenzione e vi auguro un buon proseguimento.
Prof. Antonio Uricchio, docente di Diritto Tributario Università
di Bari.
“Le garanzie in materia di illeciti amministrativi e reati
tributari”
Grazie presidente, innanzitutto vorrei ringraziare anche gli
organizzatori di questo interessante incontro denso di
problematiche, e ovviamente gli amici che sono ancora presenti
nonostante l'orario ormai avanzato, dopo una giornata
particolarmente densa e ricca anche di numerosi spunti di
riflessione. Il tema come ricordava il presidente della nostra
sessione è quello del rapporto fra statuto del contribuente e
disciplina sanzionatoria tributaria, quando l'amico,
l'organizzatore del convegno, l'avvocato Marincolo mi aveva
invitato a soffermarmi su questo invito, su questa tematica ho
avuto qualche momento di perplessità, perché la disciplina in
materia di statuto del contribuente guarda soprattutto alle
garanzie del contribuente, quindi il rapporto fra normativa
sanzionatoria di carattere tributario e normativa dello statuto
che guarda ai profili dei diritti e delle garanzie degli
elementi che interessano la posizione del contribuente sembrano
porsi in una posizione di profondo conflitto. Già in precedenza
- 146 -
il professor è D' Ayala Valva ha consentito di ricomporre questo
apparente conflitto fra norme di carattere sanzionatorio e norme
che invece investono le garanzie del contribuente, e soprattutto
il professor D' Ayala Valva c'ha fatto capire come la disciplina
in materia di statuto del contribuente in veste invero non solo
le garanzie del contribuente e le posizioni soggettive che il
contribuente vanta nei confronti dell'amministrazione
finanziaria, a me interessa l'intero ordinamento tributario,
guarda alle garanzie del contribuente ma anche ai doveri che il
contribuente anche vanta, che deve anche considerare, guarda
alla posizione del contribuente ma guarda anche alla posizione
dell'amministrazione finanziaria. Bisogna però sottolineare che
nell'ambito della disciplina dello statuto del contribuente le
disposizioni che investono gli illeciti di carattere tributario
sono abbastanza scarne, è anzi la disciplina degli illeciti di
carattere tributario sebbene sono più o meno coeve sotto il
profilo temporale, la disciplina sulle sanzioni penali
tributarie è del 2000, si tratta di appena pochi mesi prima
dello statuto del contribuente delle disposizioni che riguardano
le sanzioni amministrative risalgono a qualche anno prima, al
1997 e le disposizioni tra discipline sanzionatorie disciplina
dello stato del contribuente sembrano tra loro abbastanza rive
di quel necessario collegamento che semmai invece occorre nel
momento in cui si guarda il fenomeno dell'illecito tributari
assumere. Bisogna anche dire che alcune delle disposizioni che
interessano le illecito tributario non sono nemmeno state
coordinate, basti pensare che la disciplina sull'interpello,
l'articolo 11, guarda esclusivamente all'interpello di carattere
ordinario, mentre la disciplina dell'articolo 16 del decreto
legislativo del 74 guarda all'interpello era regolamentato dalla
legge del 1991 in materia di comitato consultivo per
l'applicazione delle norme antielusive, quindi guardava
all'interpello speciale senza che invece anche nel momento in
cui sono entrate le disposizioni dello statuto del contribuente
anche alla normativa in materia di illecito penale prendesse in
considerazione il profilo dell'illecito tributario e soprattutto
l'eventuale ipotesi che il contribuente avesse eccepito
- 147 -
nell'ambito del proprio comportamento e elementi forniti
dall'amministrazione nell'ambito dell'interpello tributario.
Addirittura oggi l'interpello che era regolamentato dalla legge
del 1991 è stata di fatto superata in vista appunto
dell'abolizione del comitato per l'applicazione delle norme
antielusive mentre la disciplina prevista dallo statuto del
contribuente in materia di interpello ordinario invece non è
stata nemmeno menzionata dalle norme di carattere tributario.
Allora, fatto questa necessaria premessa volevo soprattutto
soffermarmi fra rapporto fra disciplina sanzionatoria tributaria
penale e disposizioni dello statuto del contribuente. Il tema si
deve necessariamente collegare al profilo che è stato ampiamente
affrontato, presi in considerazione, se le disposizioni dello
statuto possano investire sulla materia sanzionatorio tributare
oppure semplicemente esprimano delle indicazioni meramente
programmatiche la cui inosservanza è inidonea anche ad incidere
sul profilo della responsabilità sotto il profilo sanzionatorio
amministrativo e sotto il profilo della responsabilità penale. È
stato ricordato anche nel corso della mattinata come soprattutto
nella fase immediatamente successiva all'entrata in vigore della
legge 212, molti erano convinti che le disposizioni contenute
nello statuto proprio perché esprimessero dei principi di
carattere programmatico, fossero del tutto a incidere sotto il
profilo della responsabilità sia di natura penale che di natura
anche amministrativa. Quindi le disposizioni contenute nello
statuto, pur avendo qualche valore di carattere programmatico,
non avrebbero potuto incidere sulle disposizioni in materia di
responsabilità sotto il profilo penale. Nello stesso tempo si
riteneva che i profili della responsabilità penale e
amministrativa fossero completamente estranei, completamente
sganciati, rispetto alle norme dello statuto. Il profilo della
responsabilità penale era completamente sganciato rispetto alle
garanzie che i contribuenti avrebbero potuto anche affidare.
Responsabilità da un lato e diritti di garanzia dall'altro
dovevano muoversi su piani completamente sganciati fra di loro,
del tutto privi di quel collegamento. Il contribuente avrebbe
dovuto rispondere anche dinnanzi alle responsabilità sotto il
- 148 -
profilo della pubblica amministrazione ma non avrebbe potuto far
valere quelle garanzie che lo statuto del contribuente riteneva
assicurare. Ora mi pare che le disposizioni dello statuto del
contribuente prima di tutto non possano essere con considerate
come norme meramente programmatiche e quindi come tali avrebbero
potuto dispiegare profonde conseguenze quando ci muoviamo su un
profilo completamente diverso quale rapporto tra amministrazione
finanziaria e contribuente, ma soprattutto mi pare che le
disposizioni dello statuto, proprio per la complessità dei
principi che esprimono, proprio per il loro valore che trascende
le disposizioni manifeste cui inizialmente si riteneva di poter
intravedere, le disposizioni dello statuto del contribuente
attraversano in modo orizzontale, in modo verticale l'intero
sistema sanzionatorio amministrativo oltre che poi i profili
immediatamente riferibili alla posizione dell'amministrazione
finanziaria e all'attività che la pubblica amministrazione può
esercitare. Allora, componendo questi aspetti, si deve
innanzitutto respingere l'idea che il profilo sanzionatorio sia
sganciato rispetto al momento delle garanzie, ma soprattutto si
deve anche respingere l'idea che le disposizioni dello statuto
del contribuente esauriscano il proprio valore sotto un profilo
meramente programmatorio, di principio, e quindi non possono
dispiegare effetti ben precisi nel momento in cui si guarda le
disposizioni di carattere anche sanzionatorio, amministrativo e
penale.se guardiamo le norme dello statuto del contribuente si
deve innanzitutto riconosce come riflessi di carattere
sanzionatorio, amministrativo e penale siano molteplici. Già nel
corso della mattinata, lo diceva il professor Marongiu, è poi
anche in precedenza il professore D' Ayala Valva, si è avuto
modo di sottolineare come le disposizioni collocate
nell'articolo 2 dello statuto, la chiarezza e la trasparenza
delle disposizioni legislative. Le disposizioni contemplate
nell'articolo 10, il principio di buona fede, di affidamento; le
disposizioni contenute nei commi secondo e terzo dell'articolo
19 possono dispiegare profonde considerazioni sotto il profilo
esplicitamente tributario. Infatti se l'articolo 2 che
l'articolo 10 dello stato del contribuente ci fanno agevolmente
- 149 -
comprendere come appunto talune disposizioni che sono contenute
nella normativa sanzionatorio penale, l'articolo 10 del decreto
472 del 97, penso poi ai principi più volte manifestati dalla
Corte Costituzionale con riferimento alle clausole di esclusione
della responsabilità, possono appunto discendere nel momento in
cui le disposizioni di carattere, contenute nelle statuto,
possano far applicazione nell'ambito dell'ordinamento
tributario. Si deve ricordare che le disposizioni in materia
sanzionatorio a e amministrativa e quelle di carattere penale
che a loro volta avevano avuto verso la fine degli anni 81
esplicita affermazione nell'ambito dell'ordinamento penale
inducono a ritenere che a fronte di disposizioni che non
esprimono in modo chiaro il diritto alla conoscenza come
ricordava stamattina il professor Marongiu, che esprimano delle
indicazioni da parte dell'amministrazione finanziaria non del
tutto rispondenti a quegli elementi che derivano dalla posizione
del contribuente, penso a punto alle situazioni che oggi trovano
largo riscontro nell'ordinamento positivo, inducono a farci
riconoscere come appunto si possano invocare disposizioni che
trovano una prima collocazione nelle disposizioni a punto dello
statuto, ma che poi trovano un agile collegamento con le
disposizioni contenute nell'ordinamento, anche di carattere
ordinario. L'articolo 10 dello statuto del contribuente, per
esempio nell'enunciare il principio di buona fede, di tutela
dell'affidamento, poi il secondo comma e il terzo comma
dell'articolo 10 dello statuto del contribuente possono offrire
elementi significativi nel momento in cui si va ad dare un campo
applicativo,una sfera applicativa, le disposizioni dello Stato.
Il contribuente che si conformi alle disposizioni provenienti
dall'amministrazione finanziaria può appunto invocare un
atteggiamento coerente con le disposizioni dello statuto per,
per esempio, evitare l'applicazione di carattere sanzionatorio.
L'articolo 10 terzo comma dello statuto che, per esempio,
esclude l'applicabilità di disposizioni di carattere
sanzionatorio quando il contribuente si sia per esempio
conformato a disposizioni di carattere penale che esauriscono la
loro sfera applicativa nell'ambito dell'applicazione delle
- 150 -
sanzioni penali, costituiscono un'efficace momento di raccordo.
Tant'è vero che nell'articolo 6 dello statuto del contribuente
si esclude l'applicabilità di sanzioni penali nel momento in cui
il contribuente abbia semplicemente dato applicazione a
disposizione di carattere penali ovvero non abbia dato
applicazione a queste stesse disposizioni, ma non abbia posti in
essere comportamenti che invece abbiano determinato una
violazione sostanziale delle disposizioni di carattere
tributario. Anche poi con riferimento all'articolo due lo
statuto del contribuente, norma che è stata semplicemente
interpretata come norma programmatica, priva di un significato
avere proprio, mi pare che non potendo distinguersi fra norme di
carattere programmatico e norme di carattere precettivo, tutte
le disposizioni comprese quelle che individuano le modalità che
in precedenza il professor Marongiu definiva come "modalità di
reperimento" o che possiamo più in generale definire quelle
disposizioni che orientano la lettura delle disposizioni
consentono anche al contribuente di dare applicazione alle
disposizioni medesime; diciamo che anche questi aspetti possono
essere facilmente invocati nell'ambito dell'ordinamento
tributario. Quindi volendo riassumere i profili che emergono dal
confronto fra norme dello statuto e norme della disciplina
sanzionatoria, si deve senz'altro riconoscere che il
coordinamento fra l'articolo 2 e l'articolo 7 offre ulteriori
elementi che possono anche consentire di applicare norme di
carattere sanzionatorio in funzione dell'esplicazione di
disposizioni di carattere tributario. Questi aspetti poi
meritano di essere ulteriormente approfonditi se si guarda ad un
altro elemento che la Corte di Cassazione negli ultimi tempi ha
più volte evidenziato, le disposizioni dello statuto del
contribuente vanno non solo lette e interpretate e definite
nella loro sfera applicativa ma devono anche consentire un
fondamentale strumento di interpretazione secondo le
disposizioni dello statuto. Quindi al di là del significato che
l'espressione adoperate dal legislatore può assumere, le norme
devono assolvere ad un ulteriore funzione cioè quella di
orientare l'attività interpretativa del contribuente e del
- 151 -
soggetto stesso. Questi altri elementi possono ulteriormente
consentire di dare applicazione a norme di carattere
sanzionatorio. Pensiamo presente le disposizioni contenute
nell'articolo 7, per esempio, della legislazione in materia
penale, del decreto 482 del 1997, che nell' individuare i
criteri di applicazione delle disposizioni transitorie impongono
anche una valutazione di carattere complessivo che si presta ad
essere meglio collegata alle disposizioni dello statuto del
contribuente. Per esempio l'articolo 7 in materia dello Stato
del contribuente fa riferimento a comportamenti che poggiano
sull'atteggiamento del soggetto, per esempio il richiamo al
dovere di collaborazione, il richiamo ai principi di buona fede,
il richiamo dei comportamenti che consentano anche di
ristabilire un equilibrato diritto fra contribuente e
amministrazione finanziaria possano diventare strumenti utili
nella determinazione per esempio dei criteri di determinazione
della prestazione di carattere tributario. Un comportamento del
contribuente che si conformi ai principi di collaborazione, ai
principi di buona fede, può meglio consentire l'applicazione di
carattere tributario delle disposizioni riguardanti le sanzioni.
Molto spesso gli uffici finanziari quando applicano norme di
carattere tributario tendono soprattutto ad applicare minimi e
massimi ma senza guardare al comportamento soggettivo fra il
contribuente e amministrazione finanziaria che invece va
definito, costruito e immaginato alla luce di quei principi come
buona fede, collaborazione e tutela dell'affidamento, che
possono rilevarsi particolarmente efficaci. C'è un altro aspetto
che va approfondito, questa volta è il rapporto tra le
disposizioni in materia di retroattività; di applicazione delle
disposizioni di carattere interpretativo e di applicazione delle
disposizioni in materia di decreto-legge, quindi le disposizioni
1,3,4 dello statuto del contribuente e le disposizioni ancora
una volta in materia di sanzione. già nel corso della mattinata
questi temi sono stati approfonditi e soprattutto si è potuto
verificare come molto spesso norme, come quelle definite sulle
metanorme, hanno una funzione di mera indicazione programmatica,
per cui il legislatore quando utilizza norme interpretative,
- 152 -
attraverso disposizioni di rango successivo o anche superarlo.
Quando nell'ottica di norme riguardanti le disposizioni in
materia di retroattività o in materia di utilizzo di sanzioni,
anche qui il legislatore può spesso ignorare quella loro stessa
portata alla luce della r deroga abilità o della possibilità di
superare, attraverso norme ulteriori di rango modificativo, le
disposizioni riguardanti la materia dello statuto del
contribuente. Anche queste considerazioni, mi pare, non possano
essere sostenute e possono anche meglio analizzarsi e valutarsi
nel momento in cui si guardano profili di carattere
sanzionatorio. La legislazione dello statuto del contribuente
prevede la clausola dell'autoqualificazione e prevede la
derogabilità se non in modo espresso, salvo una disposizione di
rango transitorio oppure modificativo qualora in ossequio al
principio della sovranità popolare si intende seguire questa
particolare impostazione. È accaduto così negli ultimi tempi che
norme interpretative siano state frequentemente adoperate è che
anche norme che adottino decreti legge oppure norme di carattere
interpretativo possano essere frequentemente adottate. Si è
visto proprio nella relazione di questa mattina del notaio di
Paola che il legislatore molto spesso adopera altre espressioni,
si utilizzano forme di questo genere senza però rispondere in
modo rigoroso alle disposizioni sia in materia di statuto del
contribuente che alle disposizioni in materia di retroattività.
A mio parere, la soluzione che andrebbe anche ulteriormente
sviluppata nella giurisprudenza, le norme contenute
nell'articolo 1,3,4 dello statuto del contribuente sono norme
condizionanti, cioè norme che presuppongono l'adozione da parte
del legislatore ordinario di quelle tecniche e di quelle
modalità che lo statuto contempla. Quindi se viene adottata una
norma che rispetta le prescrizioni poste dall'art.1, perché vi
sia stata per esempio una violazione, oppure l'articolo 3 o
articolo 4, solo in presenza di queste condizioni le
disposizioni di rango successivo possono ritenersi rispondenti
alle disposizioni dello statuto. Se una norma ordinaria, quindi,
interpreta la norma sotto il profilo, per esempio come si è
visto nel corso della disposizione di stamattina, senza una
- 153 -
precisa indicazione in tal senso, quindi il legislatore
qualifica una norma come di rango generico ma non imponga il
rispetto delle condizioni previste dallo statuto, allora questa
disposizione proprio perché non risponde all'efficacia
condizionante che la norma debba comportare può operare soltanto
per il futuro. La corte di cassazione con una sentenza molto
recente, la sentenza 22 gennaio del 2007, chiarisce che quando
una disposizione ancorché qualificata come retroattiva non
presenti quelle connotazioni in termini di retroattività può
operare esclusivamente per il futuro. Quindi la disposizione
opera per il futuro ma non opera per il passato, in altri
termini se la norma presenta un'efficacia condizionante può
operare per il futuro ancorché la disposizione stessa
sembrerebbe operare per il passato. Ora si riguarda i profili di
carattere sanzionatorio di elementi possono assumere particolare
importanza perché appunto le disposizioni di carattere
sanzionatorio muovono il profilo della retroattività o
irretroattività a seconda del comportamento posto a carico del
soggetto privato. Il soggetto privato può giovarsi di situazioni
di rango anche interpretativo, lui favorevole, quando la
disposizione di rango retroattivo givi nei suoi confronti,
mentre poi la disposizione posta dall'articolo 3 dello statuto
del contribuente opera per il futuro se il comportamento giova
nei confronti di quest'ultimo. Le disposizioni dello Stato del
contribuente evidenziano i due momenti, il soggetto che opera
per il futuro si trova in una clausola, quella dell'articolo tre
dello statuto del contribuente per lui favorevole, la norma
retroattiva opera solo se si tratta di una norma lui favorevole,
la norma successiva opera invece in senso superfluo. Questo
profilo induce quindi chiaramente ad operare in una funzione che
collega la disposizione di carattere transitorio,favor rei,
ovvero la disposizione di carattere sanzionatorio a seconda del
comportamento stesso. Ancora una volta, tirando il comportamento
del contribuente e quindi operando sotto il profilo
classificatorio bisogna considerare che le norme dello statuto
del contribuente sono di carattere retroattivo e operano in
senso interpretativo, diversamente per quanto concerne invece
- 154 -
comportamenti del contribuente. Guardando ancora e profili che
interessano agli elementi sanzionatori bisogna appunto
comprendere che il legislatore tributario nell'assumere il
principio di fissità, nell'assumere il principio di
classificazione, opera in funzione auto limitativa della propria
sovranità popolare, è in questa prospettiva i principi di
garanzia che lo statuto del contribuente offre e in particolar
modo i principi generali dell'ordinamento che condizionano
l'ordinamento tributario possono dispiegare i suoi effetti sia
sotto il profilo sostanziale che sotto il profilo invece
processuale sanzionatorio. Grazie.
Avv. Licia Fiorentini.
“I vizi degli atti tributari e lo Statuto del contribuente”
1.- Premessa. 2.- Rapida panoramica sul regime delle invalidità nel sistema tributario: nullità ed annullabilità
dell’atto tributario, secondo i dettami degli artt. 21 septies ed octies L. 241/1990. 2.1.- Riflessioni circa
l’esaustività dogmatica del richiamo all’art. 21 septies L. 241/1990 in tema di nullità, a tutela delle prerogative
statutarie. 2.2.- Nullità nello Statuto del contribuente: mancata indicazione del responsabile del procedimento. 2.3.-
Ancora, in tema di annullabilità dell’atto tributario. Sulla natura meramente formale o sostanziale delle norme
statutarie. 3.- Conclusioni.
1.- Premessa.
Scopo di questo lavoro non è quello di arginare compiutamente il
mare magno delle invalidità dei provvedimenti tributari208,
espresse e latenti nello Statuto del contribuente, ma, più
semplicemente, di esaminare alcuni singoli temi di invalidità,
alla luce del perenne confronto dialettico tra i principi che
regolano la materia amministrativa e quelli che, in via speciale
e, di certo, autonoma, regolano la materia tributaria, specie in
tema di tutela del giusto procedimento209.
208 Per un’analisi completa della problematica, vedi F. Tesauro, “L’invalidità dei provvedimenti impositivi”, in Boll. Trib., n. 19/2005, pp. 1445 ss.. 209 Si pensi, da ultimo, alla pronunzia della sentenza della Cass., SS.UU. 25 luglio 2007 n. 16412, la quale, risolvendo il contrasto di giurisprudenza sul tema, ha affermato che “l’omissione della notificazione di un atto presupposto costituisce vizio procedurale che comporta la nullità dell’atto
- 155 -
In particolare, la questione delle invalidità si è, da ultimo,
riproposta con prepotenza nel panorama statutario per dare voce
e corpo al polverone innalzatosi, dapprima con la ordinanza
della Consulta210, con la quale si è riesumato dall’oblio
l’interrogativo circa il peso da dare all’art. 7, comma 2, L.
212/2000211 sull’inserimento dell’indicazione del responsabile
del procedimento nel contenuto tassativo degli atti tributari
dell’Agenzia delle Entrate e dell’Agente della Riscossione; poi,
con l’intervento successivo del Legislatore212, con il quale
quest’ultimo ha voluto fornire una risposta inequivocabile pro
futuro, con la previsione di una nullità testuale per l’ipotesi
di mancata indicazione del responsabile del procedimento nelle
cartelle di pagamento, escludendo il medesimo rigore
sanzionatorio per il passato.
La conseguenza dell’istantaneo risveglio della parola imponente
del Legislatore in un tanto laborioso, quanto faticoso processo
di definizione razionale e coerente del regime delle invalidità
dei provvedimenti tributari, rischia di rallentarne un
consequenziale notificato e tale nullità può essere fatta valere dal contribuente mediante la scelta di impugnare, per tale semplice vizio, l’atto consequenziale notificatogli – rimanendo esposto alla successiva azione dell’amministrazione, esercitatile soltanto se siano ancora aperti i termini per l’emanazione e la notificazione dell’atto presupposto – o di impugnare cumulativamente quest’ultimo (non notificato) per contestare radicalmente la pretesa tributaria”, in banca dati fisconline, www.ilfisco.it., dando il giusto risalto alla necessità che le regole sul procedimento vengano rispettate dall’amministrazione finanziaria. Sul tema A. Cissello, “I vizi degli atti tributari nella segmentazione del prelievo. L’omessa notifica dell’atto presupposto”, in Il fisco, n. 8, 2008, pp. 1359 ss 210 Cfr. Corte Cost., ord. 05 novembre 2007 n. 377 (Pres. Bile, Red. Cassese), con la quale è stata dichiarata “manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 2, della L. 212/2000, sollevata in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 97 della Costituzione. L’obbligo di indicazione del responsabile del procedimento non costituisce un adempimento di scarsa utilità posto a carico dei concessionari della riscossione bensì ha lo scopo di assicurare la piena informazione del cittadino / contribuente e garantire il diritto di difesa, altrettanti aspetti del principio di buon andamento ed imparzialità della Pubblica Amministrazione”, in banca dati fisconline, www.ilfisco.it. 211 Sul tema, vedi Abruzzese “Il principio di trasparenza negli atti dell’amministrazione finanziaria alla luce dello Statuto dei diritti del contribuente”, in Giust. It., 2001, 9 ss.; Buscema, Forte, Santilli, “Statuto del contribuente, analisi dottrinale ed evoluzione giurisprudenziale”, Padova, 2002, pp. 733 ss.; Magistro, “L’avviso di accertamento”, in Corr. Trib., 2002, 733 ss.. 212 D.L. 31 dicembre 2007 n. 248 (G.U. 31 dicembre 2007 n. 302), legge di conversione 28 febbraio 2008 n. 31, art. 36, rubricato “disposizioni in materia di riscossione”, comma 4 ter: “la cartella di pagamento di cui all’art. 25 del Dpr 602/1973, e successive modificazioni, contiene, altresì, a pena di nullità, l’indicazione del responsabile del procedimento di iscrizione a ruolo e di quello di emissione e notificazione della stessa cartella. Le disposizioni di cui al periodo che precedente si applicano ai ruoli consegnati agli agenti della riscossione a decorrere dal 1° giugno 2008. La mancata indicazione dei responsabili dei procedimenti nelle cartelle di pagamento relative a ruoli consegnati prima di tale data non è causa di nullità delle stesse”, in banca dati fisconline, www.ilfisco.it. Sul punto, è interessante notare come l’Agenzia delle Entrate si sia subito adeguata all’iniziativa legislativa con il provv. 22 aprile 2008, prot. N. 44128, in banca dati fisconline, www.ilfisco.it.
- 156 -
inquadramento unitario e sistematico, contribuendo apertamente a
creare non poche perplessità, in ordine alla capacità di
adattamento delle norme amministrativistiche, in tema di
invalidità, al sistema speciale tributario. Le zone di ombra sui
limiti alla validità del provvedimento tributario potrebbero
essere sintomo di un “tallone di Achille” dello Statuto,
ovverosia la portata immediatamente precettiva del suo tessuto
normativo, a scapito dell’effettiva tutela del contribuente.
2.- Rapida panoramica su alcuni profili problematici legati al
regime delle invalidità nel sistema tributario: nullità ed
annullabilità, secondo i tratti designati dagli artt. 21 septies
ed octies L. 241/1990.
Il primo interrogativo da porsi nell’ambito della tematica delle
invalidità, consiste nel chiedersi quando il provvedimento
tributario possa dirsi compiutamente emanato dalla
Amministrazione Finanziaria e/o dal Concessionario ed, in
particolare, se lo stesso debba trovare specchio in un prototipo
indefettibile. Qualora la risposta possa dirsi affermativa, ci
si chiede quale debba essere la sanzione correlata al “vizio”
dell’atto tributario.
Innanzitutto, vista l’indiscussa trasferibilità, all’ambito
tributario, dei principi dettati dalla L. 241/1990, il primo
passo verso una connotazione più puntuale delle invalidità non
può che prendere le mosse da una prima analisi degli artt.
21septies ed octies L. 241/1990, rispettivamente disciplinanti
il regime della nullità ed annullabilità del provvedimento
amministrativo.
2.1.- Riflessioni circa l’esaustività dogmatica del richiamo
all’art. 21 septies L. 241/1990 in tema di nullità, a tutela
delle prerogative statutarie.
La disciplina amministrativistica distingue quattro ipotesi di
nullità, rispettivamente due legate a vizi intrinseci ed altre
due legate a vizi estrinseci dell’atto.
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.- carenza degli elementi essenziali dell’atto, da intendere
come nullità strutturale;
.- atto viziato da difetto assoluto di attribuzione;
.- atto adottato in violazione o elusione del giudicato;
.- altri casi espressamente previsti dalla legge, da intendere
come nullità testuale.
L’analisi della normativa porta, dunque, a rilevare che
quest’ultima, a differenza del regime civilistico delle nullità
ex art. 1418 c.c., non prevede espressamente “nullità virtuali”,
ovverosia quelle che, in ambito contrattuale, sono determinate
dalla contrarietà a norme imperative213.
Il primo interrogativo consiste, dunque, nel chiedersi se il
regime tributaristico delle invalidità debba discostarsi in
tutto o in parte da quello amministrativistico ed abbracciare,
al pari del sistema civilistico, anche nullità “sistematiche”.
In via affermativa, abbiamo, da ultimo, assistito ad una
pronunzia della Suprema Corte a Sezioni Unite, volta a
proteggere la sequenza procedimentale stabilita dalla legge, a
tutela della posizione soggettiva del contribuente e del suo
diritto di difesa, sanzionando con la nullità l’emanazione
dell’atto successivo, non preceduto dalla notifica dell’atto
presupposto, ove previsto214. Qualche interrogativo sulla
connotazione “virtuale” della predetta nullità nasce dal
constatare che il richiamato art. 21 septies L. 241/1990
riconduce la categoria delle nullità strutturali alla carenza
degli elementi essenziali dell’atto e non, in senso più ampio,
agli atti essenziali della procedura.
213 F. Gazzoni, “Manuale di diritto privato”, XII ed., Ed. Scientifiche italiane, Napoli, 2006, pp. 988 ss. 214 Qualche interrogativo sulla sussistenza delle nullità virtuali in ambito tributario potrebbe porsi in relazione alla sentenza della Cass., SS.UU. 25 luglio 2007 n. 16412, la quale, risolvendo il contrasto di giurisprudenza sul tema, ha affermato che “l’omissione della notificazione di un atto presupposto costituisce vizio procedurale che comporta la nullità dell’atto consequenziale notificato e tale nullità può essere fatta valere dal contribuente mediante la scelta di impugnare, per tale semplice vizio, l’atto consequenziale notificatogli – rimanendo esposto alla successiva azione dell’amministrazione, esercitatile soltanto se siano ancora aperti i termini per l’emanazione e la notificazione dell’atto presupposto – o di impugnare cumulativamente quest’ultimo (non notificato) per contestare radicalmente la pretesa tributaria”, in bancadati fisconline, www.ilfisco.it. Sul tema A. Cissello, “I vizi degli atti tributari nella segmentazione del prelievo. L’omessa notifica dell’atto presupposto”, in Il fisco, n. 8, 2008, pp. 1359 ss..
- 158 -
Ciò potrebbe palesare l’insufficienza del regime
amministrativistico delle invalidità a sopire le difficoltà
ricostruttive dei “vizi invalidanti” dell’atto e/o del
procedimento tributario, non espressamente codificati, ma
conseguenza sistematica della portata direttamente precettiva
dello Statuto del contribuente, a tutela del coacervo di
principi costituzionali inderogabili. Sembra opportuno
sottolineare che gli ostacoli ad una ricostruzione coerente ed
unitaria della teoria delle invalidità e, di conseguenza, le
difficoltà a far valere i diritti del contribuente nella
patologia del procedimento215, spinge autorevole dottrina216 a
valorizzare la figura del Garante217, quale incentivo alla
corretta cooperazione e collaborazione tra l’Amministrazione
finanziaria ed il contribuente nella fisiologia del rapporto.
2.2.- Nullità nello Statuto del contribuente: mancata
indicazione del responsabile del procedimento.
Circa le nullità testuali, lo Statuto del contribuente ne
conosce svariate tipologie, tra le quali ricordiamo la nullità
comminata dall’art. 6, comma 5, per l’ipotesi di iscrizione a
ruolo derivante dalla liquidazione di tributi risultanti da
dichiarazioni, non preceduta dall’invito a fornire
chiarimenti218, nonché l’art. 11, comma 2, seconda parte, il
quale, in via del tutto innovativa, sanziona, con la nullità
espressa, l’atto emanato dall’amministrazione finanziaria in
difformità alla sua stessa risposta all’istanza di interpello, o
215 Sulle difficoltà che si incontrano, nel panorama attuale, nella ricostruzione del diritto del contribuente al contraddittorio in fase di verifica fiscale ex art. 12 L. 212/2000, se non per le ipotesi espressamente previste dalla legge, vedi S. Capolupo, “Manuale dell’accertamento delle imposte”, V ed., Ipsoa, 2007, pp. 1048 ss., nonché S. Salvini, “La nuova partecipazione del contribuente (dalla richiesta di chiarimenti allo Statuto del contribuente ed oltre), in Riv. Dir. trib. n. 1/2000, pp. 39 ss. 216 In tal senso, F. d’Ayala Valva, “Il contribuente sottoposto a verifiche fiscali e l’intervento del Garante”, in Riv. Dir. trib., fasc. 2, 2003, p. 190; Idem, “Dall'ombudsman al garante del contribuente. Studio di un percorso normativo”, in "Riv. Dir. Trib.", 2000, pagg. 1037-1119. 217 S. Capolupo, Garante del contribuente ed atti degli enti locali, in "il fisco" n. 23/2005, fascicolo n. 1,pag. 3467; 218 In tal senso, ex plurimis, sent. n. 52 del 25 febbraio 2008 (dep. il 10 marzo 2008) della Comm. trib. reg. di Napoli, Sez. staccata di Salerno, Sez. V, in bancadati fisconline, www.ilfisco.it..
- 159 -
in difformità dall’interpretazione o il comportamento tenuto dal
contribuente, nelle ipotesi di silenzio – assenso219.
Le nullità strutturali, ovverosia i vizi radicali attinenti alla
struttura dell’atto, viceversa, devono essere ricavate dal
sistema, considerato che, differentemente dalla normativa
civilistica, nella quale sono elencati, come tali, gli elementi
essenziali del contratto, quella tributaria non qualifica gli
elementi essenziali dell’atto tributario, ovverosia quelli che
lo connotano, sotto il profilo soggettivo, oggettivo, causale e
volontaristico220, a meno che non si ritenga che l’art. 7 L.
212/2000 sia esaustivo ed inequivocabile in tal senso, ma se
così fosse stato, alcun dibattito sarebbe potuto sorgere circa
l’essenzialità dell’indicazione del responsabile del
procedimento, ai fini della validità dell’atto.
Tipica espressione di provvedimento impositivo, affetto da
nullità strutturale, è quello carente di motivazione, ex art. 7,
comma 1, L. 212/2000.
L’essenzialità del requisito della motivazione, intesa anche
come indicazione dell’imponibile accertato, delle aliquote
applicate e delle imposte liquidate, è stata esplicitata
dall’art. 42 Dpr 600/1973, con il quale il Legislatore, mediante
il riconoscimento espresso di una comminatoria testuale di
nullità per l’ipotesi di mancata indicazione della motivazione
nel contesto de quo, ha inteso confermare e riconoscere, in via
generale, la natura strutturale della motivazione, ai fini della
validità dell’atto tributario.
Ultimamente abbiamo, poi, assistito ad un intervento
legislativo, alquanto bizzarro, in materia di indicazione del
responsabile del procedimento221, ex art. 7, comma 2, dello
Statuto del contribuente.
219 Gianni Marongiu “Lo Statuto dei diritti del contribuente”, Giappichelli, Torino, 2008. 220 Sul tema, V. Azioni, “La nullità del provvedimento tributario alla luce della L. 11 febbraio 2005, n. 15”, in Il Fisco, 2006, 13, 1932; G. Livrieri, “Il regime di invalidità dell’atto tributario dopo le modifiche alla L. n. 241/1990: riflessi sull’obbligo di motivazione”, in Il Fisco, 2007, 27, 3990. 221 Sulla figura del responsabile del procedimento nel diritto amministrativo, in dottrina, tra tutti, Cassese, “Trattato di diritto amministrativo. Diritto amministrativo speciale”, Milano, 2003. Vedi anche, sull’indicazione del responsabile del procedimento nelle cartelle di pagamento, Cucchi, “La nuova disciplina della riscossione coattiva mediante ruolo (c.d. esecuzione esattoriale)”, Padova, 1999, nonché, alla luce dello Statuto del contribuente, Abruzzese “Il principio di trasparenza negli atti
- 160 -
In particolare, dopo che la Consulta222 ha ritenuto che
“l’obbligo di indicazione del responsabile del procedimento non
costituisce un adempimento di scarsa utilità”, la giurisprudenza
di merito, ha recepito siffatta interpretazione, connotando in
modo differenziato l’invalidità derivante dalla violazione
dell’art. 7, comma 2, citato, ora ritenendo configurabile il
vizio di nullità, ora quello di illegittimità dall’atto 223. Da
qui, l’impellenza sentita dal Legislatore di dire la sua in
merito alla tipologia dell’eventuale vizio, statuendo che “la
cartella di pagamento di cui all’art. 25 del Dpr 602/1973, e
successive modificazioni, contiene, altresì, a pena di nullità,
l’indicazione del responsabile del procedimento di iscrizione a
ruolo e di quello di emissione e notificazione della stessa
cartella. Le disposizioni di cui al periodo che precedente si
applicano ai ruoli consegnati agli agenti della riscossione a
decorrere dal 1° giugno 2008. La mancata indicazione dei
responsabili dei procedimenti nelle cartelle di pagamento
relative a ruoli consegnati prima di tale data non è causa di
nullità delle stesse”224.
dell’amministrazione finanziaria alla luce dello Statuto dei diritti del contribuente”, op. cit., pp. 9 ss.; Buscema, Forte, Santilli, “Statuto del contribuente, analisi dottrinale ed evoluzione giurisprudenziale”, op. cit. , pp. 733 ss.; Magistro, “L’avviso di accertamento”, op. cit., 733 ss.. 222 Cfr. Corte Cost., Ord. 05 novembre 2007 n. 377 (Pres. Bile, Red. Cassese), cit.. 223 Ad esempio, CTR Roma, 24 gennaio 2008 n. 7, in bancadati fisconline, www.ilfisco.it, ha ritenuto che “la mancata indicazione del responsabile del procedimento nel corpo della cartella di pagamento notificata al contribuente costituisce manifesta violazione dell’art. 7, comma 2, dello Statuto del contribuente con conseguente illegittimità dell’atto della riscossione”; conforme CTP Lucca, 12 dicembre 2007, banca dati fisconline, www.ilfisco.it. Per la diversa sanzione della nullità della cartella non recante l’indicazione del responsabile del procedimento, vedi CTP Bari, 10 dicembre 2007 n. 445, in bancadati fisconline, www.ilfisco.it, secondo cui “è nulla la cartella di pagamento che non rechi l’indicazione espressa del responsabile del procedimento in violazione dell’art. 7 dello Statuto del contribuente dovendosi ritenere generalmente applicabili anche ai procedimenti tributari, fatte salve le esplicte eccezioni, le disposizioni di cui alla L. 2411990. Tale adempimento è volto a garantire la trasparenza e piena informazione del destinatario dell’atto, nonché fonte di responsabilità diretta del funzionario incaricato, oltre ad assicurare il pieno diritto di difesa e tutelare il buon andamento e l’imparzialità della pubblica amministrazione, bene giuridico costituzionalmente rilevante ex at. 97 Cost.”. Nello stesso senso, vedi anche CTP Lecce, 12 dicembre 2007 n. 517, in bancadati fisconline, www.ilfisco.it. In senso contrario, CTR Venezia, 14 giugno 2007 n. 49, in bancadati fisconline, www.ilfisco.it, secondo cui “l’art. 7 dello Statuto del contribuente non commina alcuna specifica sanzione di nullità nell’ipotesi in cui nella cartella di pagamento notificata al contribuente sia omessa l’indicazione del responsabile del procedimento. Peraltro, la sanzione della nullità degli atti riflette una patologia talmente grave che deve trovare manifesta giustificazione ed espressione nella normativa di riferimento”. 224 D.L. 31 dicembre 2007 n. 248 (G.U. 31 dicembre 2007 n. 302), legge di conversione 28 febbraio 2008 n. 31, art. 36, rubricato “disposizioni in materia di riscossione”, comma 4 ter, citata.
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Occorre, innanzitutto, notare la natura mista di tale
disposizione, interpretativa per il passato, innovativa per il
futuro. In specie, il Legislatore, disponendo la nullità
testuale della cartella di pagamento per i “ruoli consegnati225
agli agenti della riscossione a decorrere dal 1° giugno 2008”,
ha indirettamente riconosciuto l’essenzialità dell’indicazione
del responsabile del procedimento all’interno della struttura
della cartella di pagamento, dando, in qualche misura, risalto
alla volontà normativa, quale espressa nello Statuto del
contribuente, circa il contenuto tassativo dell’atto tributario,
quale previsto del comma 2 dell’art. 7 citato.
Qualora, dunque, il legislatore non avesse aggiunto l’altra
parte di norma, di natura interpretativa, volta ad escludere la
nullità dell’atto per il medesimo vizio, in relazione ai ruoli
consegnati prima del 01 giugno 2008, avremmo potuto pensare che
la questione circa la gradazione di invalidità, adottata per
l’ipotesi di mancata indicazione del responsabile del
procedimento, si fosse risolta come per l’ipotesi di carenza di
motivazione dell’atto ex art. 7, comma 1, L. 212/2000, sul cui
vizio, in tema di imposte sui redditi, il legislatore era
intervenuto con la sanzione della nullità testuale, di tal fatta
riconoscendo implicitamente l’essenzialità dell’elemento de quo
per qualsiasi altro atto di natura tributaria, affetto, dunque,
da nullità strutturale.
Diversamente a dirsi, la legge non ha di certo seguito la
falsariga passata, escludendo espressamente che la riconosciuta
invalidità potesse costituire motivo di nullità strutturale
dell’atto per le ipotesi di invalidità pregresse.
D’altra parte, qualora lo stesso avesse ritenuto che la mancata
indicazione del responsabile del procedimento non potesse essere
225 Si rifletta, sul punto, che il momento spartiacque della consegna del ruolo, previsto dalla norma, essendo attività interna dell’amministrazione finanziaria non compare nella cartella di pagamento, ponendosi, la norma de qua, in evidente contrasto con i principi della trasparenza amministrativa, oltre a non essere criterio adeguato al nuovo assetto normativo, il quale, volto a tutelare il momento esterno ed intellegibile del procedimento, ha voluto espellere dal suo fulcro, ovvero abrogare, tutte le norme che in qualche modo dessero rilievo alla formazione e consegna del “ruolo”, non monitorabili dal contribuente. Con il riferimento alla consegna del ruolo, il Legislatore ha, in qualche modo, reso discutibile ed indefinita il termine iniziale di efficacia della normativa, facendola divenire una mera condizione sospensiva di natura potestativa. La norma, sotto il profilo de quo, si espone a fortissimi dubbi di incostituzionalità.
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inserito tra i vizi formali o tra le violazioni delle norme sul
procedimento, non invalidanti in relazione ad atti vincolati
secondo l’art. 21 octies, comma 2, L. 241/1990, lo stesso non
avrebbe sentito l’esigenza di salvare il salvabile226,
riconoscendo la gravità del vizio per ruoli ancora non
consegnati.
Ci si domanda, quale scenario si sta prospettando in relazione a
giudizi ancora pendenti aventi ad oggetto cartelle di pagamento?
Innanzitutto, i giudici del merito non potranno che chiedersi se
le invalidità pregresse siano atte a provocare, a prescindere da
una diretta declaratoria di nullità dell’atto, l’annullamento
autonomo della cartella di pagamento per illegittimità di natura
invalidante, o se, l’intervento normativo, appositamente volto
a salvare i crediti dell’Amministrazione finanziaria ante legem,
debba ritenersi lesivo di vizi di identica natura e portata, con
evidente violazione dell’art. 3 Cost..
In particolare, l’indicazione del responsabile del procedimento
rappresenta il presupposto procedimentale, affinchè si possa
instaurare un corretto dialogo tra Amministrazione finanziaria e
contribuente, a tutela del coacervo di principi costituzionali
con esso protetti, quali il buon andamento, l’imparzialità
dell’Amministrazione finanziaria, da un lato, e la tutela del
diritto di difesa del contribuente, dall’altro. Il significato
sostanziale del quale è carico l’art. 7, comma 2, citato,
potrebbe far pensare che le norme poste a tutela del
procedimento, quali espresse dallo Statuto, siano principi
fondamentali del sistema tributario, come tali connotati da
imperatività. Se così stessero le cose e qualora il Legislatore
non avesse escluso in via interpretativa il vizio della nullità
per il passato, la violazione di siffatta norma posta a tutela
del procedimento, avrebbe dovuto rappresentare, se non una
nullità di natura strutturale (e l’avverbio “tassativamente”
confermerebbe siffatta tesi), una nullità di natura virtuale,
connessa al significato inderogabile dello Statuto.
226 Sulla gestione “soluta” del potere legislativo, vedi C. Ricci, “Norme intruse ed abuso dei decreti legge: la dichiarazione di incostituzionalità per carenza “evidente” dei presupposti di necessità ed urgenza”, Riv. Dir. fin. e sc. delle fin., 2008, 4, pp. 97 ss..
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L’esclusione normativa di siffatta impostazione interpretativa
porta, pertanto, solo a riflettere circa la natura invalidante
dell’illegittimità segnata. Rammentando la portata precettiva
dello Statuto, si dovrebbe escludere che i vizi del procedimento
e, nel caso di specie, la mancata chance di un giusto
procedimento in contraddittorio tra le parti, si possa ridurre
alla categoria delle mere irregolarità formali227, proprio in
virtù dei diversi interessi in gioco che contraddistinguono la
materia tributaria rispetto a quella amministrativa, ove il
modello ivi partecipativo correlato alla posizione giuridica
soggettiva di interesse legittimo vantato dal privato non sembra
trovare lo speculare parallelo in ambito tributario nel
parametro costituzionale della giusta imposizione ex art. 53
Cost.228, alla quale anelano, attraverso l’esaltazione delle
rispettive posizioni, sia l’amministrazione finanziaria ex art.
97 Cost. che il contribuente ex art. 24 Cost..
Sotto questo profilo è il Legislatore stesso che ha escluso la
natura non invalidante dell’illegittimità de qua, nella misura
in cui per le ipotesi future ha riconosciuto la gravità della
violazione, sanzionandola con la nullità.
Tra l’altro, anche se si ritenesse che le ipotesi di mancata
indicazione del responsabile del procedimento antecedenti alla
consegna del ruolo rappresentino vizi non invalidanti229, ci si
dovrebbe chiedere quali dovranno essere le loro sorti alla luce
dell’introduzione legislativa in discorso.
Sul punto, è facilmente percepibile che le eccezioni di
invalidità in corso non potranno che essere risolte in due modi
dal giudice del merito: potrà essere riconosciuta la natura
227 Ancora, nel diritto amministrativo, sulla figura del responsabile del procedimento, Renna, “Il responsabile del procedimento nell’organizzazione amministrativa, in Dir. amm., 1994, 13 ss; Russo, “La legge n. 241/1990 ed i nuovi aspetti della responsabilità amministrativa”, in Cons. Stato, 1992, 133 ss.. 228 Sull’argomento, vedi E. De Mita, “Principi di diritto tributario”, IV ed., Milano, 2004, pp. 83 ss.. 229 Si pensi, ad esempio, al principio consolidato, secondo cui la mancata indicazione dell’organo giurisdizionale competente, richiesto tassativamente tra gli elementi dell’atto tributario dall’art. 7, comma 2, L. 212/2000, non è vizio invalidante dell’atto, qualora il ricorso sia stato correttamente e tempestivamente presentato. In giurisprudenza, ex plurimis, Cass. Sez. V, 19 dicembre 2002 n. 7558, in banca dati fisconline, www.ilfisco.it.
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invalidante del vizio di illegittimità dell’atto230, salvando i
giudizi in corso dalle lungaggini di una eventuale rimessione
della questione di costituzionalità della norma interessata;
oppure demandando alla Consulta, come da ultimo è stato anche
fatto231, la questione di legittimità costituzionale di una
norma che, pur riconoscendo espressamente la nullità della
cartella, mancante di indicazione del responsabile del
procedimento, al contempo lanci una scialuppa di salvataggio per
tutte quelle già emesse, affette dal medesimo vizio.
2.3.- Ancora, in tema di annullabilità dell’atto tributario.
Sulla natura meramente formale o sostanziale delle norme
statutarie.
Il problema generale delle invalidità, ove non sia espressamente
comminata la nullità dell’atto tributario, si complica in
relazione al vizio dell’annullabilità del provvedimento
amministrativo. L’analisi della problematica parte dall’art. 21
octies della L. 241/1990. In particolare, l’attenzione della
norma de qua cade sul secondo comma, ove è previsto che non sia
annullabile “il provvedimento adottato in violazione di norme
sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura
vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto
dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in
concreto adottato”.
In particolare, la norma sembra volta a salvare gli atti
vincolati emessi in violazione delle norme sul procedimento o
sulla forma degli atti, salvo previo giudizio in ordine alla
correttezza del contenuto dell’atto.
C’è, in particolare, da chiedersi quali risvolti abbia tale
norma di stampo amministrativistico sul sistema tributario,
ricordando che lo Statuto del contribuente rammenta, al suo
230 Vedi nota di riferimento 13. 231 La CTR Venezia con ord. n. 8, 11 marzo 2008, dep. 10 giugno 2008, ha provveduto alla trasmissione degli atti alla Consulta, promuovendo la questione di legittimità costituzionale dell’art. 36, comma 4 ter, D.L. 31 dicembre 2007 n. 248, sollevata in riferimento agli artt. 3, 24, 97 Cost., perché lesiva “del principio di uguaglianza, del principio di difesa nonché dei principi di imparzialità e buon andamento dell’attività della Pubblica Amministrazione”, in bancadati fisconline, www.ilfisco.it.
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interno, delle norme che sono state ritenute tipicamente poste a
tutela del giusto procedimento, come il termine utile al
contraddittorio anticipato ex art. 12, comma 7, L. 212/2000232,
per la cui violazione il Legislatore non ha previsto alcuna
comminatoria di nullità testuale, né tantomeno la stessa
potrebbe essere ricondotta, per carenza di un elemento
essenziale dell’atto, alla categoria della nullità strutturale.
Sul tema, circa il presupposto della restrizione del regime di
annullabilità degli atti a quelli aventi carattere vincolato,
occorre, innanzitutto, chiedersi se i provvedimenti impositivi
emanati dall’amministrazione finanziaria abbiano siffatta natura
o meno.
Pur non essendo questa la sede per addentrarsi in una
trattazione complessa circa la natura vincolata o meno degli
atti tributari, non sembra possa negarsi che l’atto tributario
sia connotato dall’assoluta assenza di discrezionalità
amministrativa233 nel potere di imposizione, strettamente
connesso alla sussistenza dei presupposti fattuali e di legge
che giustifichino, in linea di principio, l’obbligo del privato
alla contribuzione, secondo indici di capacità patrimoniale
diretta, o comunque indiretta.
Tralasciando, dunque, tale aspetto e dandolo per presupposto
della nostra analisi sommaria e panoramica, il pericolo insito
nell’applicazione della norma de qua è che qualsiasi violazione
di legge, afferente norme procedimentali o sulla forma degli
atti, non sia manifestazione di un vizio invalidante, o
comunque, non rappresenti un autonomo motivo di annullamento,
avulso da un previo esame meritorio circa l’illegittimità
sostanziale dell’atto, ovvero l’infondatezza della pretesa234.
232 Sull’argomento, vedi V. Azzoni, “Brevi note circa l’avviso di accertamento emanato in violazione del termine utile al contraddittorio anticipato (art. 12, comma 7, L. 212/2000)”, in Il Fisco, 2007, 8, pp. 1 – 59; Lombardi, “omessa redazione del processo verbale di verifica e violazione del principio del contraddittorio”, in Boll. Trib., 2005, 13, pp. 1026 ss.. R. Miceli, Il diritto del contribuente al contraddittorio nella fase istruttoria, in "Riv. Dir. Trib.", 2001, II, pag. 371. 233 Lupi, Motivazione degli atti impositivi e (ipotetici) riflessi tributari delle modifiche alla legge n. 241/1990, in "Dialoghi di diritto tributario" fasc. 4, 2005, pagg. 535-544 234 Sulla trasformazione in atto della natura del giudizio, da mero giudizio di “impugnazione – annullamento”, a “giudizio sul rapporto giuridico”, nel diritto amministrativo, vedi “Procedimento amministrativo – portata applicativa dell’art. 21 octies, comma 2, L. 241/1990”, a cura di L. Carbone, M. D’Adamo, in Corr. Giur., 2008, 1, 29.
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Il legame a doppio filo e la dipendenza dell’eccepita violazione
di norme sul procedimento o sulla forma dell’atto con una
eventuale infondatezza della pretesa ivi vantata, fa sì che il
riconoscimento della violazione della norma procedimentale o
sulla “forma” dell’atto, qualora sia applicata la disposizione
in esame, non trovi alcun tipo di autonoma tutela giudiziale,
non potendo – di per sé – condurre all’annullamento dell’atto
illegittimo, ma al più concorrere nella quantificazione di una
eventuale condanna alle spese, nell’ipotesi di annullamento
dell’atto infondato.
La Suprema Corte a Sezioni Unite235, dal canto proprio, si è
mostrata profondamente sensibile alla tematica del rispetto del
procedimento, intendendo comminare la nullità, forse virtuale,
in ogni caso sistematica, dell’atto emanato in violazione delle
regole sul procedimento. Alla luce di quest’ultimo intervento,
al quale poteva seguire il riconoscimento della validità
dell’atto - perché in concreto legittimo e/o fondato, seppur
emesso a seguito di una sequenza procedurale incompleta, ovvero
illegittima – sembra opportuno ridimensionare la completa
aderenza dell’art. 21 octies citato alle peculiarità della
materia tributaria ed alle fondamenta sostanzialistiche, sulle
quali si poggiano, sia lo Statuto del contribuente, che la
derivata tutela del procedimento, inteso quale espressione
primaria dei principi da quello promanati, di buona
amministrazione236, da un lato, e di tutela della difesa del
privato, dall’altro, fermo restando che i rapporti tra le parti
debbano comunque essere improntati a collaborazione e buona
fede237.
La mancanza di una teoria unitaria delle invalidità e le
problematiche connesse alle difficoltà di individuare le diverse
graduazioni di vizi invalidanti, impaccia qualsivoglia analisi
235 Si rimanda alla nota di riferimento n. 6. 236 F. d'Ayala Valva, Il volto nuovo del fisco. Riflessioni sull'attuazione dell'art. 97 della Corte costituzionale, in Nuovi studi politici, 2003. 237 E. Della Valle, “L’affidamento nella certezza del diritto tributario (studi preliminari)”, Atena, Roma, 1996.
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delle differenze tra categorie giuridiche di invalidità
(annullabilità e nullità).
In particolare, seguendo l’art. 21 octies L. 241/1990 si rischia
di annullare totalmente qualsiasi forma di tutela del
contribuente per vizi dell’atto o del procedimento, per i quali
non vi sia alcuna comminatoria espressa di nullità, qualora
l’esame giudiziale del merito riveli una sostanziale fondatezza
della pretesa.
Occorre riflettere sulla possibilità che l’art. 21 octies
citato, acriticamente trasposto nel sistema tributario delle
invalidità, possa anche sanare nullità sistematiche latenti ed
espresse e, dunque, tutti quei vizi che, pur coinvolgendo
istanze garantistiche statutarie, anziché essere sottoposte ad
una previa declaratoria di nullità, portino ad un giudizio di
accertamento negativo, per raggiungimento dello scopo.
La confusione tra le prerogative proprie di ogni tipologia e
regime di vizio, d’altra parte, è facilmente percepibile nella
diatriba giurisprudenziale in tema di mancata indicazione delle
aliquote d’imposta concretamente applicate all’accertamento, ex
art. 42 Dpr 600/1973. Nonostante, difatti, la norma preveda che
il difetto de quo comporti la nullità espressa dell’atto, si è
discusso a lungo sulla natura invalidante o meno del vizio,
riconosciuta, in parte, a prescindere dall’accertamento
meritorio delle conseguenze del vizio238, ma in parte, nelle
sole ipotesi in cui “il giudice di merito ritenga che tale
omissione non abbia pregiudicato il contribuente”239.
3.- Conclusioni.
Seppur la tematica delle invalidità debba dirsi ancora oggi
irrisolta, è opportuno non cadere in categorizzazioni assolute,
che portino ad affermare che le violazioni delle norme sul
238 In tal senso, Cass., sez. V, 27 febbraio 2008 n. 15381, in bancadati fisconline, in www.ilfisco.it. 239 In tal senso, Cass., Sez. V, 05 febbraio 2008 n. 9784, in bancadati fisconline, in www.ilfisco.it. Non ci sarebbe da meravigliarsi se ci si trovasse dinanzi al disconoscimento del vizio invalidante della mancata indicazione delle aliquote, qualora il giudice ritenesse fondata nel merito la pretesa.
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procedimento o sulla “forma” degli atti siano mere irregolarità
o, comunque, vizi “non invalidanti”.
Se così fosse, a distanza di oltre otto anni dall’entrata in
vigore della L. 212/2000, si dovrebbe ritenere che tutte le
norme statutarie, preposte a tutela del giusto procedimento,
siano mere formalità e che la dinamica del rapporto non possa
trovare in esso adeguate garanzie. Pertanto, le gradazioni delle
invalidità, a tutt’oggi, non possono ritenersi cristallizzate
nelle specie volute dalla L. 241/1990, bensì assumono colori
distinti ed, a tratti, sorprendenti, non solo nella dinamica del
diritto vivente delle aule giudiziarie, ma anche nelle scelte
del Legislatore.
Nel lento percorso di affermazione delle garanzie statutarie di
buona amministrazione e difesa del contribuente, attraverso la
leale collaborazione tra le parti nel procedimento e nel
processo240, molte problematiche rimangono ancora irrisolte, sia
in relazione allo stato di avanzamento del sistema tributario
verso una effettiva attuazione dei principi costituzionali e
statutari, sia la capacità dello Statuto di raccogliere domande
autonome e concrete di tutela di singole situazioni soggettive
attive, e rispondere ad esse con una sanzione “invalidante”241.
Gli interrogativi strettamente connessi sono in linea generale
ancora imbrigliati, trovando, di volta in volta, singole
risposte, esemplificative, ma non sempre convergenti. E se, come
vuole Kierkegaard, è vero che “i concetti astratti sono, come la
linea retta, invisibili; visibili solo nelle concrezioni”242, lo
Statuto del contribuente è la nostra linea retta ed i suoi
contenuti, plasmati nella attuazione, ne sono la concrezione.
FINE
240 F. d’Ayala Valva, “L’onere della prova ed il principio di collaborazione fra pubblica amministrazione e contribuente nella fase amministrativa e nella fase processuale”, in “Riv. Dir. Trib”. Fasc. 4, 2002, 264-281. 241 Sulla necessità di tutela effettiva del cittadino, in relazione a tutte le situazioni giuridiche soggettive, a prescindere da categorizzazioni assolute, vedi A. Proto Pisani, “Le tutele giurisdizionali dei diritti”, Jovene, Napoli, 2003, pp. 709 ss.. 242 S. Kierkegaard, “Papirer”, a cura di P.A. Heiberg – V. Kuhr – E. Torsting, Kobenhavn, 1909 – 1949, II, A, 496.
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