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LO SPORT PER TUTTI Pierre de Coubertin e il concetto di patria internazionale Un’intervista impossibile: Pierre de Coubertin e le Olimpiadi londinesi Le carte dei diritti allo sport Sport amico dei bambini

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LO SPORT PER TUTTI

Pierre de Coubertin e il concetto di patria internazionaleUn’intervista impossibile: Pierre de Coubertin e le Olimpiadi londinesiLe carte dei diritti allo sport Sport amico dei bambini

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Pierre de Coubertin e il concetto di patria internazionale

«Vi chiedo di rinnovare una tradizione venticinque volte secolare, i giochi atletici di Olimpia! Nel mondo moderno, ricco di enormi possibilità, che minacciano di trasformarsi in gravi pericoli, l’idea dell’Olimpiade sarà una scuola di nobiltà, di purezza, di educazione sociale. L’Olimpiade servirà anche ad elevare nell’animo dei giovani la concezione dell’onore, il senso del disinteresse sportivo e per affermare il principio che ogni cittadino ha il diritto alla pratica dello sport. Riportare in luce tali principi vuol dire preparare un’umanità più onesta, più forte, più generosa. L’Olimpiade farà comprendere il concetto di patria internazionale, un concetto che pone le radici nel rispetto di tutti i Paesi, perché è l’uomo, il carattere di ciascun individuo, che conta e non il luogo dove egli è nato. Fateci esportare schermidori, corridori, vogatori: questi saranno i prodotti del libero scambio dell’avvenire e il giorno che essi attraverseranno tutte le frontiere la causa della Pace avrà ricevuto un nuovo e potente aiuto! Perciò, vi supplico, fate che io possa rinnovare i Giochi Olimpici!»1. E’ uno stralcio del celebre discorso tenuto in una serata culturale all’Università Sorbona di Parigi venerdì 23 novembre 1892 da Pierre de Coubertin. In

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quell’occasione si festeggiavano i cinque anni di vita dell’Unione delle Società Francesi degli Sports Atletici. Dello sport nell’antichità aveva parlato Georges Bourbon e, dopo di lui, aveva presentato la sua relazione sul medioevo Jean Jules Jusserand. Il non ancora trentaduenne barone parigino (era nato il 1° gennaio 1863), seguendo l’ordine cronologico degli argomenti delle conferenze, affrontò il problema dello sport nel mondo moderno, esplicitando per la prima volta in pubblico un’idea che era nella sua mente da quattro anni. Successivamente de Coubertin sfruttò la convocazione nella medesima università dal 16 al 24 giugno 1894 del Congresso Costitutivo del Comitato Internazionale finalizzata ad uniformare internazionalmente il dilettantismo per riavviare, nel penultimo giorno dei lavori, i Giochi Olimpici2, che non si disputavano più dal 393 d.C. per la soppressione imposta dall’imperatore romano Teodosio I. Il rinnovatore degli antichi Giochi Olimpici pensava di farli iniziare nel 1900, non ritenendo la Grecia, nazione scelta per farli ripartire, ancora pronta per organizzarli. A convincerlo della possibilità di tenere la prima edizione ad Atene nel 1896 – come effettivamente avvenne – fu in quel 1894 Demetrius Vikelas, rappresentante della Società Panellenica di ginnastica nonché membro greco nell’appena costituito Comitato Internazionale Olimpico. La volontà della casa reale, del governo e del popolo della Grecia e la munificenza di George Averoff permisero di superare le difficoltà economiche dell’organizzazione di quella prima

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edizione delle Olimpiadi moderne3. Il discorso fatto nel 1892 da De Coubertin fa capire molto della sua visione del mondo: il valore pedagogico dello sport, la necessità della sua pratica, il suo carattere dilettantistico, l’idea, che nei tempi moderni è stata strumentalizzata a fini spettacolari e commerciali, dello spostamento degli atleti da un Paese all’altro per affratellare nella competizione i popoli in un ideale irenista (il barone parigino fu proposto per il Premio Nobel per la Pace) che gli interessi delle nazioni più potenti e più povere e degli stati totalitari hanno cercato, per fortuna senza riuscirvi, di sradicare dai valori del mondo contemporaneo. Tredici mesi prima della sua morte, avvenuta a Ginevra giovedì 3 settembre 1937, la sua persona (fisicamente provata) non era presente all’“Olympiastadion” nazificato di Berlino, ma la sua voce, proveniente dalla sua abitazione di Losanna e riprodotta via etere dagli altoparlanti dell’impianto ricordò: «L’importante ai giochi olimpici non è quello di vincere, ma di prendervi parte, poiché l’essenziale nella vita non è tanto la conquista, ma lo spirito di combattività»4. Il messaggio di de Coubertin, che invita alla simbolica combattività dello sportivo – la cosiddetta tensione agonistica –, continua ad avere un valore straordinario nella nostra società, in cui la vittoria sportiva ha spesso assunto significati «altri», che tolgono il rispetto per chi non ha ottenuto il successo e vorrebbero giustificare come inevitabili sofisticati comportamenti sleali. Stefano Massa

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  PER SAPERNE DI PIU’ 1 il discorso riportato è pronunciato da Arnoldo Foà nelle vesti di doppiatore all’interno di un programma del 1963 su Pierre de Coubertin (in La Gazzetta dello Sport, Milano, Venerdì 4 Gennaio 1963, Anno 67 – N. 3, pag. 3, nell’articolo Il centenario della nascita di De Coubertin si legge che la RAI ha affidato a Bruno Beneck la realizzazione di un film commemorativo sul fondatore dei Giochi Olimpici moderni, in cui verranno girate scene a Losanna (dove esiste il Museo de Coubertin), ad Atene (sede della prima edizione delle Olimpiadi moderne nel 1896) e ad Olimpia (dove una stele conserva il cuore di de Coubertin); le immagini vennero poi inserite cinque anni dopo 3 Luigi Ferrario L’improvvisa morte del barone De Coubertin, rinnovatore delle Olimpiadi moderne, da La Gazzetta dello Sport, Milano, Venerdì 3 Settembre 1937, Anno XLIII – N. 210 (SECONDA EDIZIONE), pag. 1nella prima puntata di un programma, sempre di Beneck, sulla storia delle Olimpiadi, riproposto nell’agosto 2010 da RaiStoria) 3 Luigi Ferrario Dalle 13 nazioni di Atene alle 53 di Berlino, da La Gazzetta dello Sport, Milano, Martedì 7 Luglio 1936, Anno XLII – N. 161 (PRIMA EDIZIONE), pag. 3 4 Luigi Ferrario In una cornice di austera grandiosità si è aperta a Berlino l’XI Olimpiade, da La “Gazzetta„ della Domenica, Milano, Domenica 2 Agosto 1936, Anno XIV – N. 32 (PRIMA EDIZIONE), pag.

Un’intervista impossibile:

Pierre de Coubertin e le Olimpiadi londinesi

di Giovanni Fabbri

E’ con grande emozione che mi accingo a rivolgere alcune domande ad un grandissimo personaggio, “un

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uomo all’antica”: il barone Pierre de Coubertin, inventore dei Giochi Olimpici moderni, colui che ideò le Olimpiadi ateniesi del 1896.

Buongiorno Barone. Cominciano oggi i Giochi Olimpici di Londra 2012, con quale animo è pronto a seguirli? L’animo e lo spirito di sempre, passa il tempo, cambiano le persone ma certe sensazioni si manifestano sempre allo stesso modo, con la stessa intensità. Il sentimento che mi lega a questa manifestazione è più di un semplice affetto; ogni volta che vedo un atleta difendere i colori del proprio paese, durante i Giochi Olimpici, un brivido percorre il mio corpo. E’ impossibile fare l’abitudine a certe emozioni.

Gli appassionati di sport devono esserle grati se oggi possono seguire questo grande avvenimento, è fiero di ciò? Certo. Sono orgoglioso di aver riportato in vita, ormai più di 100 anni fa, i Giochi Olimpici. Fu una scommessa con me stesso, sono sempre stato un appassionato di sport e non riuscivo a spiegarmi come fosse possibile l’assenza di una manifestazione che potesse mettere in competizione paesi differenti. Tra l’altro presi ispirazione dai giochi che si disputavano proprio al confine tra Inghilterra e Galles, quelli di Much Wenlock. Creati dal mio amico il dottor William Penny Brookes. Sono comunque sicuro che se non lo avessi fatto io nel lontano 1896 sarebbe venuto in mente a qualcun altro, magari qualche anno dopo.

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Forse quel qualcuno avrebbe pensato a questa manifestazione per motivi diversi e non con il semplice intento di riportare alla luce la sana competizione sportiva, ma queste sono solo piccole sfumature. Cosa intende per “motivi diversi”? Mi riferisco ai tantissimi interessi economici che oggi ruotano intorno a questo avvenimento. Se qualcuno avesse pensato di riportare in vita le Olimpiadi anche solo 30 o 40 anni dopo di me, lo avrebbe fatto certamente spinto anche da interessi personali. Poteva nascere il desiderio di arricchirsi grazie alla diffusione dei primi mezzi di comunicazione di massa. Io lo feci solo per passione. Avevo un sogno: ricreare lo spirito sportivo dell’epoca ellenica.

A proposito di spirito sportivo, crede che le Olimpiadi di oggi abbiano ancora questo valore? Credo proprio di sì. Mi fa molto piacere notare che gli atleti odierni diano tanta importanza alle Olimpiadi, non solo per la visibilità che esse garantiscono, ma anche per il significato storico e leggendario che ad esse viene attribuito. Sembrano percepire quello spirito olimpico tipico dei Giochi di un tempo.

Quali sono le più grandi differenze tra le “sue Olimpiadi”, quelle del 1896 per esempio, e quelle di Londra? Stiamo parlando di due avvenimenti quasi antitetici, pensi che ai miei tempi gli atleti statunitensi impiegavano mesi per raggiungere l’Europa e la città ospitante, oggi bastano solo poche ore di aereo per

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spostarsi da una parte all’altra del globo. E’ passato troppo tempo per poter avvicinare questa edizione che sta per cominciare alla prima. Nel 1896 gli sport contemplati erano 9 contro le 39 discipline olimpiche di oggi; gli atleti che presero parte alla prima edizione furono meno di 300; quelli pronti a partecipare alle gare londinesi sono ben 10.500. Insomma con i mezzi dell’epoca feci del mio meglio e, nonostante il grande successo, quei numeri paragonati a quelli di oggi fanno solo sorridere.

Lei è conosciuto anche per essere l’inventore del celebre motto “l’importante è partecipare, non vincere”. La ringrazio di questa domanda perché mi permette di chiarire una volta per tutte un vecchio malinteso. Non fui io a coniare questa famosa espressione, bensì il vescovo anglicano Ethelbert Talbot durante il suo discorso nella cattedrale londinese di Saint Paul, per l’apertura dei giochi del 1908. Fui costretto a ripeterla qualche giorno dopo durante un banchetto al quale parteciparono tutti gli esponenti dei paesi invitati. Mi vidi “costretto” a pronunciare quella frase perché si diffusero, nei giorni precedenti all’inaugurazione di quei giochi, voci riguardanti scommesse e corruzione che sembravano coinvolgere anche alcuni atleti. Sentii il dovere morale di sottolineare che la lealtà e il rispetto per l’avversario sono i valori di riferimento dello sport, anche se considero la vittoria estremamente importante, il coronamento finale dei sacrifici di uno

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sportivo.

Riguardo ai cinque cerchi olimpici però possiamo stare tranquilli, fu lei ad idearli? Assolutamente sì e sono fiero che quel simbolo, risultato di mesi di riflessioni, è diventato uno dei loghi più conosciuti al mondo. Pensai che i cerchi intrecciati rappresentassero le figure geometriche perfette per simboleggiare l’unione dei cinque continenti. Quanto ai colori non pensai ad un colore per ogni continente come viene spiegato oggi, scelsi piuttosto cinque colori che singolarmente potessero essere ritrovati in tutte le bandiere dei paesi europei. Questo perché dei paesi extra-europei ancora si conosceva pochissimo e non fui in grado di prendere in considerazione anche questi ultimi.

Grazie mille Barone, è stato un onore parlare con lei. A presto

Le carte dei diritti allo sport

Carta dei diritti dei ragazzi allo sport 1992 Commissione Tempo Libero dell’O.N.U  

1 Diritto di praticare attività motoria. 

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I genitori devono avviare il bambino all’attività motoria per i ben noti vantaggi psicofisici, che non sono più recuperabili se si inizia tardivamente; il bambino può scegliere, sperimentare, cambiare gli sport che desidera. L’U.N.E.S.C.O. raccomanda che almeno un sesto dell’orario scolastico settimanale sia dedicato all’attività motoria, cioè sei ore alla settimana.

2 Diritto di giocare e divertirsi. L’allenatore deve proporre il divertimento, il miglioramento psicofisico e l’educazione come obiettivo finale e non la vittoria, che crea tensione.

3 Diritto di praticare sport in un ambiente sicuro e sano. Cioè igienicamente a norma, con assistenza vicina in caso di infortunio, con a disposizione un telefono in caso di urgenza,  senza pressioni agonistiche esagerate o selettive, senza pressioni farmacologiche.

4 Diritto di essere allenato da personale adatto a quella fascia di età e qualificato. Per evitare il rischio di esercizi sbagliati o che arrecano sovraccarico delle strutture in crescita o creano problemi psicologici.

5 Diritto di essere trattato con rispetto. Non è raro sentire l’allenatore che urla o ordina degli esercizi pesanti per punizione od osservare un genitore che sgrida il bambino, invece di incoraggiare e fornire il suggerimento tecnico giusto per migliorare e sdrammatizzare l’eventuale errore con una carezza o altro.

6 Diritto del giusto riposo. Lo studio, la malattia, la

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crescita richiedono dei carichi di attività motoria diversi a seconda dei periodi e le pause giuste, gli allenamenti troppo frequenti vanno ridotti e i riposi non devono essere ripresi come una colpa.

7 Diritto del controllo della salute. La competizione va riservata ai bambini in perfette condizioni psicofisiche e che lo desiderino, senza pressioni esterne con il rispetto del trattamento adeguato e il tempo giusto di guarigione e riabilitazione dai traumi, della gradualità della qualità e della quantità del carico di lavoro. Obbligatorio il certificato di stato di buona salute fisica per le attività non agonistiche che lo richiedano ed il certificato di idoneità agonistica per gli sport agonistici dietro indicazione delle rispettive Federazioni sportive per quanto riguarda l’età di inizio.

8 Diritto di competere con giovani di pari capacità. Bisogna sforzarsi di praticare sportiva fra gruppi non solo omogenei per età cronologica ma anche per età ossea o maturità puberale, per avere le stesse probabilità di divertimento e di successo. Per gli sport di contatto l’attività deve essere anche in considerazione del peso.

9 Diritto di pari opportunità. Tutti i bambini devono poter giocare, senza far panchina, senza tenere conto del risultato agonistico, che sarà ricercato più avanti nel tempo.

10 Diritto di non essere sempre un campione. Non sempre il bambino può essere un campione o continuare ad esserlo, chi lo è, può esserlo anche solo per un periodo, e deve sapere che pratica sport per i

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vantaggi che arreca e per divertirsi, perché solo uno su quarantamila sarà un campione anche nella vita futura come professionista.

La Carta dei principi dello sport per tutti

Praticare lo sport è un diritto dei cittadini di tutte le età e categorie sociali. Lo sport per tutti costituisce un fenomeno socialmente rilevante, poiché assolve a primarie funzioni nei processi di crescita degli individui e della collettività. In particolare, lo sport costituisce un elemento irrinunciabile della dimensione educativa, per il ruolo che esso svolge nella formazione del fanciullo e dell’educazione continua degli adulti. Il diritto allo sport è dunque diritto a compiere un’esperienza di maturazione umana e di integrazione sociale. Lo sport per tutti è un’attività umana che si fonda su valori sociali, educativi e culturali essenziali, e rappresenta quindi un eccellente strumento per equilibrare la formazione e lo sviluppo della persona in ogni età. Lo sport per tutti svolge una preziosa funzione sanitaria a beneficio di tutti: tutela la salute ed è fattore di prevenzione contro le malattie. Il diritto allo sport è quindi parte integrante del diritto alla salute. La dimensione associativa dello sport costituisce

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un’importante risorsa di relazione e interazione sociale, una preziosa esperienza di democrazia, partecipazione e corresponsabilità. Lo sport per tutti, in tutte le sue forme e per tutti i cittadini, deve essere affermato, riconosciuto e garantito per assicurare i massimi benefici dell’esperienza sportiva alle singole persone, ai gruppi sociali e alla collettività. Per assolvere le sue funzioni educative, culturali e sociali lo sport deve essere organizzato e praticato sulla base di principi e criteri scientificamente fondati, nel rispetto delle regole disciplinari, di norme di fair play condivise e liberamente accettate, e dei bisogni dei cittadini. Un’adeguata formazione degli operatori è indispensabile per sviluppare lo sport sociale e in particolare per concretizzare la dimensione educativa dell’attività sportiva. L’associazionismo sportivo è essenziale per la promozione e l’organizzazione dello sport secondo criteri di qualità, eticità e regolarità. La specificità che deriva allo sport dalle sue funzioni sociali si basa sulla salvaguardia sia dell’autonomia delle associazioni sportive sia del volontariato che le sostiene. L’associazionismo di sport per tutti, nelle sue varie forme, rappresenta una dimensione rilevante dell’economia sociale. E’ dovere delle Istituzioni Pubbliche a tutti i livelli – nazionale, regionale e locale – garantire le condizioni per la pratica dello sport di tutti i cittadini e per la vita e le attività delle organizzazioni sportive.

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Sport amico dei bambini Lo sport è un elemento fondamentale  per il sano sviluppo dei bambini, tanto da  esser stato riconosciuto dalle Nazioni Unite come un diritto fondamentale. 

Secondo l’art. 31 della Convenzione sui diritti dell’infanzia, “Gli Stati parti riconoscono al fanciullo il diritto al riposo e al tempo libero, a dedicarsi al gioco e ad attività ricreative proprie della sua età e a partecipare liberamente alla vita culturale ed artistica […]”.   Sebbene in tale articolo non venga citato lo sport, la dottrina ha specificato successivamente che le parole riposo, svago, gioco e attività ricreative, benché sembrino apparentemente sinonimi, implicano differenze sostanziali.

Riposo sottintende la necessità di rilassarsi mentalmente e fisicamente, nonché di dormire.

Svago è un termine dal significato più ampio, che fa riferimento al tempo libero ed alla libertà di fare ciò che uno più desidera.

Attività ricreative abbraccia la vasta gamma di azioni svolte per libera scelta, il cui scopo è il piacere e il divertimento: lo sport, le arti creative, i passatempi di carattere scientifico, tecnico, artigianale, agricolo.

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Gioco include tutte le attività dei bambini che non sono controllate dagli adulti e che non richiedono il rispetto di regole precise.

Anche in Italia l’UNICEF si impegna a promuovere una vita sana - fondata sulla salute fisica, mentale e psicologica - dei bambini e degli adolescenti, grazie a sport, svago e attività ricreative.

Lo sport fa bene, e non solo al fisico…

 L’attività fisica regolare apporta innumerevoli benefici al corpo e alla mente:

irrobustisce il fisico e ne previene le malattie sviluppa e aiuta a mantenere sano l’apparato osseo aiuta a controllare il peso corporeo aiuta a ridurre il grasso e la pressione sanguigna riduce lo stress, l’ansia, la depressione e la sensazione di solitudine prepara i bambini all’apprendimento futuro migliora il rendimento scolastico aiuta a controllare vari rischi comportamentali, come l’uso di tabacco, droghe o di altre sostanze, le abitudini alimentari scorrette, il ricorso alla violenza Attraverso lo sport, il divertimento e il gioco i bambini e gli adolescenti imparano alcuni dei valori più importanti della vita.

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  Come dichiarato dal Direttore esecutivo dell’UNICEF Ann Veneman, l’attività fisica promuove non violenza, tolleranza e pace.   Lo sport insegna importanti valori quali amicizia, solidarietà, lealtà, lavoro di squadra, autodisciplina, autostima, fiducia in sé e negli altri, rispetto degli altri, modestia, comunicazione, leadership, capacità di affrontare i problemi, ma anche interdipendenza. Tutti principi, questi, alla base dello sviluppo.

Oltre ad avere un ruolo fondamentale nel trasformare i bambini in adulti responsabili e premurosi, lo sport riunisce i giovani, li aiuta ad affrontare le sfide quotidiane e a superare le differenze culturali, linguistiche, religiose, sociali, ideologiche.

Lo sport è un linguaggio universale in grado di colmare i divari e di promuovere i valori fondamentali indispensabili per una pace duratura.    È un mezzo straordinario per allentare la tensione e favorire il dialogo.    Sul campo di gioco le differenze culturali e le priorità politiche scompaiono.   I bambini che praticano sport capiscono che si può interagire senza coercizione o sfruttamento. Partnership sportive dell’UNICEF Italia. UNICEF e sport nel mondo

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