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189 ANGELA FRANCESCA GERACE MACCHIA GRIGIA, UNA STORIELLA FANTASTICA DI CAMILLO BOITO 1 C. Benedetti, Lʼenunciazione fantastica come esperienza dei limiti, in AA. VV., La narrazione fantastica, Pisa, Nistri-Lischi, 1983, p. 289. 2 Pubblicata col titolo La macchia grigia. Storiella vana, su «Nuova Antologia» (36), dicembre 1877; in seguito nel volume Senso. Nuove storielle vane, Milano, Treves, 1883. Camillo Boito non era peraltro completamente estraneo al genere ʻfantasticoʼ. Già Un corpo, una delle Storielle vane (1875), nonché i racconti Santuario e Il demonio muto della successiva raccolta del 1883 (quantunque in maniera meno sinistra) registrano una brusca virata tematica dalle peculiari inclinazioni dello spirito razionale tipico dellʼarchitetto e del critico dʼarte alle tinture fosche e alle atmosfere inquiete peculiari del narratore scapigliato. But the curse liveth for him in the eye of the dead men (S.T. Coleridge, La ballata del vecchio marinaio) La moderna teoria critica ravvisa lo status del ʻmodo fantasticoʼ nello sviluppo di una «particolare reazione che occupa il soggetto di fronte agli avvenimenti narrati e che si manifesta come percezione, sentimento, emozione o condizione psichica» 1 generando quella topica ʻincertezza intellettualeʼ che, lungo il circuito comunicativo narratore-lettore, si muove gradualmente quanto inesorabilmente dal primo al secondo. La ʻstoriellaʼ Macchia grigia 2 , partorita dallʼacume inventivo del- lʼeclettico Camillo Boito, sfruttando il criterio dellʼanalisi introspettiva, insinuatrice magistrale di unʼinsolita forma di agghiacciante unheimlich che trascina lʼIo leggente in un vortice risucchiante ogni certezza e si- curezza razionale, raggiunge un esito tra i più originali della narrativa fantastica italiana dellʼultima metà del XIX secolo. Il turbamento psicologico e lʼabilità visionaria sono requisiti presso- ché essenziali al protagonista di un racconto fantastico. Se Roger Caillois,

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ANGELA FRANCESCA GERACE

MACCHIA GRIGIA, UNA STORIELLA FANTASTICA DI CAMILLO BOITO

1 C. Benedetti, Lʼenunciazione fantastica come esperienza dei limiti, in AA. VV., La narrazione fantastica, Pisa, Nistri-Lischi, 1983, p. 289.

2 Pubblicata col titolo La macchia grigia. Storiella vana, su «Nuova Antologia» (36), dicembre 1877; in seguito nel volume Senso. Nuove storielle vane, Milano, Treves, 1883. Camillo Boito non era peraltro completamente estraneo al genere ̒ fantasticoʼ. Già Un corpo, una delle Storielle vane (1875), nonché i racconti Santuario e Il demonio muto della successiva raccolta del 1883 (quantunque in maniera meno sinistra) registrano una brusca virata tematica dalle peculiari inclinazioni dello spirito razionale tipico dellʼarchitetto e del critico dʼarte alle tinture fosche e alle atmosfere inquiete peculiari del narratore scapigliato.

But the curse liveth for him in the eyeof the dead men(S.T. Coleridge, La ballata del vecchio marinaio)

La moderna teoria critica ravvisa lo status del ̒ modo fantastico ̓nello sviluppo di una «particolare reazione che occupa il soggetto di fronte agli avvenimenti narrati e che si manifesta come percezione, sentimento, emozione o condizione psichica»1 generando quella topica ʻincertezza intellettuale ̓ che, lungo il circuito comunicativo narratore-lettore, si muove gradualmente quanto inesorabilmente dal primo al secondo.

La ʻstoriella ̓Macchia grigia2, partorita dallʼacume inventivo del-lʼeclettico Camillo Boito, sfruttando il criterio dellʼanalisi introspettiva, insinuatrice magistrale di unʼinsolita forma di agghiacciante unheimlich che trascina lʼIo leggente in un vortice risucchiante ogni certezza e si-curezza razionale, raggiunge un esito tra i più originali della narrativa fantastica italiana dellʼultima metà del XIX secolo.

Il turbamento psicologico e lʼabilità visionaria sono requisiti presso-ché essenziali al protagonista di un racconto fantastico. Se Roger Caillois,

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LA TENTAZIONE DEL FANTASTICO

per il quale il genere «significa anzitutto inquietudine e rottura», inserisce «i deliri della follia» nel novero delle situazioni caratteristiche di ciò che definisce «fantastico istituzionalizzato»3, secondo Carla Benedetti far «parlare folli o presunti folli è un procedimento che il racconto fantastico ha sempre usato»4.

Il protagonista della narrazione boitiana, plausibile soggetto affetto da una cronica forma di paranoia nevrotica5 o da un isolato attacco di follia visionaria, rivela invece, ad unʼanalisi più circospetta ed approfondita, il marchio di ̒ narratore fantasticoʼ. L̓ Io narrante, che si rivolge ad un me-dico esponendo previamente il proprio male (una «macchia color cenere, mutabile e informe» [p. 171] che gli offende la vista) e raccontando in seguito gli avvenimenti che ne hanno probabilmente causato la genesi, non descrive accuratamente il suo aspetto individuale, né menziona il proprio status sociale, concentrando invece lʼattenzione sullʼatto narra-tivo ed esplicativo del ʻproblema ̓che lo tormenta nonché dellʼantefatto che ne ha preceduto la comparsa. L̓ insolita ̒ macchiaʼ, che si materializza esclusivamente con lʼavvento delle ombre manifestandosi nellʼintera durata delle ore lucifughe6, produce dapprima un mero fastidio a livello ottico, per poi gradualmente impedire lʼindividuo nelle sue attitudini abituali, procurandogli anche dolore fisico durante il sonno notturno7.

Nella speranza che il ̒ dottore ̓possa «penetrare nelle cause, rimontare al seme», il protagonista racconta «le circostanze»8 nelle quali il male

3 Ponendo questʼultimo nel ̒ cuore ̓dellʼunico ̒ fantastico ̓da lui riconosciuto come tale, il «fantastico insidioso»: «[…] invece di un fantastico dichiarato, io cerco decisamente un fanta-stico insidioso che accade dʼincontrare nel cuore stesso del fantastico istituzionalizzato come un elemento estraneo o fuori posto: un fantastico secondo, un fantastico, per così dire, rispetto al fantastico» (R. Caillois, Nel cuore del fantastico, Milano, Feltrinelli, 1984, pp. 11, 13).

4 C. Benedetti, Lʼenunciazione fantastica come esperienza dei limiti cit., p. 349.5 «La nevrosi è il risultato analogo di una perturbazione similare della relazione tra lʼio e

il mondo esteriore» (T. Todorov, La letteratura fantastica, Milano, Garzanti, 2000, p. 152).6 «La sera, di mano in mano che cresce lʼoscurità, si fa più intensa di contro a me»

(Macchia grigia, p. 171).7 «Notate poi che, quando chiudo gli occhi per dormire, io sento la mia macchia dentro

di me. E allora è un supplizio diverso. La macchia non si aggira più intorno a se stessa, ma cammina, corre. Corre in su, e nel correre tira in su la pupilla; sicché mi pare che il globo dellʼocchio debba rovesciarsi, arrotolando dentro nellʼorbita. Poi corre in giù, poi corre dalle parti, e il globo dellʼocchio la segue, e i legamenti quasi si schiantano, ed io dopo un poco mi sento dolere, proprio effettivamente dolere gli occhi» (ibidem, p. 173).

8 Ibidem.

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si è primariamente manifestato, narrando la storia dellʼintensa quanto fulminea avventura con una montanara giovane e passionale, che lʼuomo ha prima sedotto e poi abbandonato, e proseguendo nella descrizione del rimorso che tale colpa ha seminato nel suo animo e del successivo, fatalistico incontro col vecchio padre della ragazza il quale, terribilmente affranto per la morte della figlia da poco avvenuta, annega nel Chiese durante la notte per essere infine riconosciuto dal narratore medesimo.

Sin dallo spazio metanarrativo del titolo il tema del racconto entra prepotentemente in scena, acquisendo concretezza in virtù della manovra narrativa con cui la voce narrante delega al lettore implicito il compito di focalizzare lʼattenzione sullʼoggetto crudamente verbalizzato, in conformità ad uno dei procedimenti che il modo fantastico utilizza per sollecitare lʼintervento dellʼIo leggente nellʼinterpretazione dellʼevento riportato.

La trasmissione dellʼesposizione autodiegetica è affidata alla scrittura di un assai topico ʻmanoscrittoʼ9, ed impugnata da un narratore in prima persona contemporaneamente testimone e interprete della vicenda che narra10. L̓ ottica interna, soggettivamente focalizzata e pertanto parziale, dellʼIo protagonista induce un Io esterno, lʼIo lettore, ad una semplice e allettante penetrazione nellʼuniverso rappresentato, nonché ad una sua progressiva quanto inconscia identificazione con il demiurgo di tale mondo fittizio11.

9 «Parto stasera; vi consegnerò io stesso domani questo manoscritto» (ibidem, p. 188). Il racconto scapigliato «si offre al lettore come riscrittura di confidenze e confessioni orali o come edizione di manoscritti, diari, taccuini, foglietti, lettere, scartafacci, albi, testamenti, “breviari bruciacchiati” e “carte sparse”» (G. Rosa, La narrativa degli scapigliati, Bari, Laterza, 1997, p. 84).

10 Secondo Emanuella Scarano la funzionalità del narratore in prima persona al modo fantastico deriva dal fatto che «in ogni genere di racconto, la prima persona grammaticale del narratore personaggio, testimone o interprete, sottintende di necessità lʼapprensione soggetti-va, e quindi limitata, del reale ed esclude lʼonniscienza oggettivizzante» (E. Scarano, I modi dellʼautenticazione, in AA. VV., La narrazione fantastica cit., p. 375).

11 «Il racconto fantastico difficilmente può fare a meno di unʼottica interna focalizzata e soggettiva» (L. Lugnani, Verità e disordine: il dispositivo dellʼoggetto mediatore, in AA. VV., La narrazione fantastica cit., p. 226). Secondo lʼanalisi di Todorov le proprietà strutturali del racconto fantastico si riscontrano nell ̓«enunciato», nellʼ«enunciazione», nellʼ«aspetto sintattico»; parlando del secondo aspetto il critico afferma che «nelle storie fantastiche, il narratore dice di solito “io”». Colui che narra in un racconto fantastico è pertanto un ʻnar-ratore-personaggioʼ, o narratore rappresentato, e ciò perché «la prima persona ʻnarrante ̓è quella che permette più facilmente lʼidentificazione del lettore con il personaggio, giacché,

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LA TENTAZIONE DEL FANTASTICO

Ma unʼaltra presenza, anchʼessa tipica componente del circuito fan-tastico, si affaccia immediatamente sulla scena del processo narrativo: il dottore, narratario intradiegetico del racconto, cui si rivolge il protago-nista alla ricerca di una cura per il suo difetto visivo12. Remo Ceserani individua, tra gli altri, quale particolare configurativo del fantastico anche «la frequente presenza nel racconto di destinatari espliciti (come i partecipanti a una discussione, gli ascoltatori diretti del racconto, i partners in uno scambio epistolare) che attivano al massimo e autenti-cano la finzione narrativa»13. Difatti tale soggetto intermediario, diretto depositario dellʼinquietante sentimento di unheimlich dellʼenunciatore, sovente richiama su di sé la ritrosia che questi oppone al ritorno del ri-mosso ed alla sua verbalizzazione più o meno diretta, veicolando a sua volta lʼimmedesimazione del lettore, di cui è richiesta la collaborazione critica nel processo di attualizzazione del testo14. Elemento indicativo della concezione boitiana incline a riconoscere la necessità di un coin-

come è noto, il pronome “io” appartiene a tutti. Inoltre, per facilitare lʼidentificazione, il narratore sarà un ʻuomo medio ̓nel quale ogni lettore (o quasi) potrà riconoscersi. Così si penetra nellʼuniverso fantastico nel modo più diretto possibile» (T. Todorov, La letteratura fantastica cit., pp. 86-87). Ancora secondo Carla Benedetti lungo lʼasse personaggio-lettore «la particolare relazione soggettiva è vissuta in primo luogo dal personaggio coinvolto nella vicenda (esitazione, paura, turbamento, resistenza a credere ai propri occhi ecc.) e di conse-guenza dal lettore che si identifica o entra in relazione con lui» (C. Benedetti, Lʼenunciazione fantastica come esperienza dei limiti cit., p. 291).

12 La figura del medico, confessore dei mali equivoci del narratore, è presente, ad esempio, nel racconto di G. De Maupassant, Chi lo sa?. Anche qui il narratore è talmente consapevole della realtà immodificabile delle cose da ritenersi pazzo per aver assistito allʼinverosimile: «Se non fossi assolutamente sicuro di tutto ciò che ho visto, se fossi certo che i miei processi mentali furono chiari e precisi, […] non potrei far altro che credermi un allucinato, vittima dʼuna strana visione. Chi lo sa, dopotutto?/ Ora mi trovo in un ricovero per malati di mente. Vi sono entrato di mia volontà: per paura, per autodifesa. Una sola persona conosce per intero la mia storia: il medico che qui ha cura di me» (G. De Maupassant, Chi lo sa?, in AA.VV., Fantasmi francesi, a cura di G. Pilo e S. Fusco, Roma, Newton, 1994, p. 59).

13 «[…] e sollecitano e facilitano lʼatto di identificazione del lettore implicito e quello del lettore esterno al testo» (R. Ceserani, Le radici storiche di un modo narrativo, in AA. VV., La narrazione fantastica cit., p. 17). Ancora: «In numerosi racconti fantastici il narratore si rivolge direttamente a un destinatario fittizio» (C. Benedetti, Lʼenunciazione fantastica come esperienza dei limiti cit., p. 293).

14 «Per lʼautore di Senso, la narrativa dʼorientamento verista, fondata sullʼoggettivismo impersonale, punta alla ʻmortificazione della fantasia del lettore ̓ […], rinunciando così a quella sfida a tutto campo fra io narrante e io leggente che è il fulcro della miglior letteratura scapigliata» (G. Rosa, La narrativa degli scapigliati cit., p. 41).

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volgimento della soggettività leggente nella dinamica della cooperazione interpretativa è, oltre che la vena ironica che percorre lʼintera parabola narrativa, anche il gioco strategico della citazione intertestuale, nel no-stro caso petrarchesca15, evidente particolarmente nella parte iniziale del racconto quale riferimento mirante a lanciare una provocazione culturale al lettore implicito, attento o ingenuo che sia.

Tipico del fantastico è inoltre il personaggio «dalla sensibilità razio-cinante messa a dura prova da fenomeni inesplicabili»16 ed è sufficiente una rapida connessione di tale tratto tematico alla sensibilità scapigliata nei confronti dellʼindividuo ̒ scienziato ̓(considerato duplicemente come garante di certezze e al contempo sconfinante, in virtù di una ricerca analitica esasperata, in parametri extra-naturali che non gli competono) per districare rapidamente il nodo centrale della questione: lʼuomo che ostenta piena fiducia nelle proprie capacità cognitive si rivela il sog-getto più esposto alla caduta nel tetro baratro del dubbio conoscitivo, preda potenziale della follia17. Fra le varie coppie oppositive ricorrenti in testi fantastici compaiono infatti i binomi «veglia/sogno, sanità/paz-zia, realtà/allucinazione, realtà/apparenza»18, spie tematiche miranti a smascherare lʼossatura nascosta di racconti apparentemente afferenti alla sfera dʼinfluenza dello ʻstranoʼ. Macchia grigia sviluppa lʼambigua

15 «Non ho mai avuto bisogno di occhiali; posso anzi imbrancarmi fra quegli animali di sì altera vista, che, come dice il Petrarca, incontro al sol pur si difende» (Macchia grigia, p. 171). Il narratore, riferendosi allʼaquila, cita i primi due versi del sonetto Son animali al mondo de sì altera (n. 13) dei Rerum vulgarium fragmenta. Petrarca è tra lʼaltro una fonte ricorrente nelle opere dello scrittore.

16 R. Ceserani, Il fantastico, Bologna, Il Mulino, 1996, p. 39.17 «La ̒ normalità ̓di colui che racconta, mai messa in questione in altri tipi di narrazione

ottocenteschi, nel racconto fantastico diviene invece elemento rilevante e problematico […]. La relazione intersoggettiva tra enunciatore e destinatario del racconto fantastico è sempre, più o meno esplicitamente, giocata sullʼopposizione normalità/follia: ogni traccia che il narratore lascia nel proprio enunciato diventa significativa, agli occhi del destinatario, in quanto prova della sua normalità o anormalità» (C. Benedetti, Lʼenunciazione fantastica come esperienza dei limiti cit., p. 338). Le figure del medico e del sindaco impersonano il polo oppositivo della ʻscienza ̓speculare a quello dellʼʻarteʼ.

18 G. Goggi, Assurdo e paradigma di realtà: alcuni nodi del fantastico, in AA. VV., La narrazione fantastica cit., p. 76. Il «racconto fantastico ottiene il suo scopo tramite lʼattivazione e lʼarticolazione di alcune categorie sceniche del tipo naturale/sovranaturale, razionale/sovra-razionale, noto/ignoto, esistente/inesistente, identico/altro, certo/impossibile ecc., attualizzate in modo che la relazione dʼopposizione che le caratterizza risulti, anziché confermata, messa in questione» (L. Lugnani, Verità e disordine cit., p. 177).

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LA TENTAZIONE DEL FANTASTICO

contrapposizione ragione/follia, interiorizzata dallʼignaro protagonista. È noto come lʼattendibilità del narratore fantastico derivi parimenti dalla consapevole messa alla prova del proprio scetticismo, come dal vaglio dimostrativo di una totale assenza di disturbi patologici attestante la piena saviezza e lʼequilibrio psichico del soggetto: così la razionalità del narratore boitiano risiede tanto nella fedele e coerente trascrizione degli eventi19, quanto nella ricerca di spiegazioni scientifiche in merito alla malattia che lo ossessiona. Mercé lʼestrema precisione puntuale ed analitica con cui lʼemittente dellʼenunciazione permea la minuziosa descrizione dellʼinfima irradiazione oculare, le sue stesse dichiarazioni (dirette e indirette) ne autentificano la credibilità. Lungi dal figurarsi un ʻvisionarioʼ20, lʼIo si dichiara semplicemente affetto da un «gran fastidio» rivolgendosi esplicitamente alla «scienza oculistica»21 al fine di poterne ricavare una cura, ma quantunque egli si spinga ad azzardare qualche ipotesi in merito allo status della ʻmacchiaʼ, tuttavia non riesce (se non alla fine del racconto) nellʼintento di fornirne altro se non unʼaccurata descrizione che, comunque, lo sgomenta22.

La tematizzazione dellʼopposizione razionalità/follia avviene quindi attraverso la contrapposizione tra due momenti (primo indizio del sistema

19 «Dal carattere trasgressivo della storia fantastica scaturisce quindi per il narratore la necessità di autenticarla, ossia di esibire le prove atte a convincere il lettore che la storia raccontata è tutta vera, anche se non tutta verisimile» (E. Scarano, I modi dellʼautenticazione cit. p. 357).

20 Quantunque, secondo Todorov, «Visionario è colui che vede e non vede, grado superiore e insieme negazione della visione» (T. Todorov, La letteratura fantastica cit., p. 127).

21 «Questa macchia grigia, chʼio vedo dentro ai miei occhi, può essere la più comune della vostra scienza oculistica; ma mi dà gran fastidio, e vorrei guarire. Esaminerete con i vostri ordigni eleganti, quando verrò costà fra una quindicina di giorni, cornea, pupilla, retina e il resto»; «Certo (dottore mio, non ridete) è offesa la retina: vʼè qualche punto cieco, un piccolo spazio paralizzato, uno scotoma insomma»; «Vi dirò dunque in quali circostanze mi si è manifestata la malattia, che dovete guarire. E, abbiate pazienza, lo dirò nei più indiffe-renti particolari, giacché so come da una di quelle inezie, le quali sfuggono allʼattenzione dei profani, voi scienziati potete cavare la scintilla, che rischiara poi le verità più riposte» (Macchia grigia, pp. 171, 173).

22 «Ho accennato a queste immagini tanto per procurare di farmi intendere; ma veramente non cʼè ombra di forma»; «Quando mi sembra di trovare certe analogie con certi animali, con qualche oggetto, sia pure fantastico, con qualche cosa insomma di definibile, ecco che quel disegno in un attimo si contorce e si rimuta indecifrabilmente. E ̓una cosa laida, volgare. Se si potesse annasarla, puzzerebbe. Sembra una larga pillacchera di fango; sembra una chiazza animata, una lacerazione purulenta che viva. È un orrore» (ibidem, p. 171-172).

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binario e del dualismo tomatico che impregna lʼintero racconto) vissuti dal protagonista e ribaltati, nella diegesi narrativa, a livello dellʼintrec-cio: il tempo dellʼanalisi razionale e scientifica della malattia, e il tempo del delirio23 (cronologicamente precedente rispetto al primo ed evocato in analessi), cui fa seguito la comparsa del misterioso disturbo visivo. Se «la descrizione dei sintomi morbosi patiti» induce a considerare il narratore come «reso inaffidabile dalla ʻmacchia grigia ̓di un rimorso pervicacemente negato»24 (rischio peraltro costante del racconto a foca-lizzazione ristretta e interna), tuttavia anche gli attimi di alterazione dello stato coscienziale vengono retrospettivamente e freddamente analizzati dalla soggettività narrante alla luce loro propria: ulteriore indicazione del processo di autenticazione che lʼIo rappresentato, naturale testimone degli eventi fatalistici vissuti e della inconcepibile loro conseguenza, attua in funzione della propria attendibilità di fronte ai suoi interlocutori, non sottraendosi neppure alla verbalizzazione (di per sé fortemente compro-mettente dal punto di vista della razionalità fino ad allora difesa ed osten-tata) dellʼescalation finale in cui i contorni della ̒ macchia ̓finalmente si definiscono delineando lʼorrenda figura del ʻvecchio ̓persecutore.

La cognizione che lʼammissione temeraria dellʼinesplicabile inficereb-be la credibilità sino ad allora acquisita è percepita dallʼIo interno quasi come meno esacerbante della rinunzia allʼauspicio di una spiegazione razionale e non basta a distoglierlo dal dovere25 di raccontare ciò di cui si è reso, suo malgrado, testimone: la presenza ossessiva e la finale tra-

23 «Mi posero a letto con una febbre da cavallo. Le impressioni di quella mattina, le fatiche della sera precedente, i rimorsi, produssero il loro effetto: avevo delle allucinazioni spaventose. Gli occhi infiammati mi dolevano assai» (ibidem, p. 187-188). Già di per sé lʼattestazione da parte dellʼIo narrante del periodo di delirio vissuto potrebbe confermarne lʼattendibilità in quanto perfettamente in grado, allʼatto di scrittura, di distinguere i mo-menti di lucidità dai momenti di follia: «Talvolta può accadere che il lettore presti fiducia persino a un narratore coincidente con un personaggio su cui grava, già nella finzione e, per così dire, ufficialmente il sospetto di follia: ad esempio un narratore che teme di essere pazzo»; «Chi teme di essere folle si dimostra ancora capace di discernere tra il possibile e lʼimpossibile, e soprattutto tra ciò che una mente sana può accettare e ciò che invece appartiene al mondo della follia» (C. Benedetti, Lʼenunciazione fantastica come esperienza dei limiti cit., pp. 339-340).

24 G. Rosa, La narrativa degli scapigliati cit., p. 120.25 «Si tratta del dovere di comunicare i dati di cui si è a conoscenza, e soprattutto di

comunicarli così come sono, senza interpolazioni arbitrarie o tentativi di interpretazione» (C. Benedetti, Lʼenunciazione fantastica come esperienza dei limiti cit., pp. 333-334).

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sformazione della ʻmacchia ̓nella figura di una terribile nemesi, nonché lʼassurda ammissione di una imprevidente lacerazione nel paradigma di realtà razionale26. Presentando così un enunciato limpido e coerente lʼIo narrante, se non può godere completamente della massima fiducia da parte del destinatario (reale o virtuale) delle sue rivelazioni, può comunque es-sere classificato quale ̒ narratore di confineʼ, in bilico tra sanità e malattia, ma non ancora assoggettato alle leggi di questʼultima, e proiettato verso un esorcismo della propria condizione ed unʼaffrancazione dallʼinsolito fardel-lo attraverso «lʼatto liberatorio del racconto-confessione»27 epistolare.

Il notevole merito di fedeltà del protagonista viene inoltre attestato dalla scelta di concentrare nei segmenti incornicianti il testo gli elementi del discorso maggiormente a rischio di giudizio incerto: il particolare valore della cornice nel testo fantastico è infatti legato alla «sua natura intimamente evenemenziale» che la integra pienamente nella narrazione in quanto esplicativa di «un tratto di storia completamente inserito entro le convenzioni del verisimile e quindi automaticamente attendibile»28.

Il modulo dellʼeffetto-cornice testifica maggiormente la ricchezza dellʼimpianto stilistico-formale e concettuale del racconto di Boito, la cui originalità risiede nella scelta di collocare lʼʻevento fantastico ̓non nel cor-po centrale della narrazione, bensì nei due segmenti, iniziale e conclusivo, che incorniciano il testo. Lucio Lugnani, in Verità e disordine, dopo aver sostenuto che nel racconto fantastico «spiccano generalmente nitide le immagini centrali dʼuna sequenza dagli orli confusi e sfocati, dallo sfondo indecifrabile», riferendosi a Berenice di E.A. Poe afferma: «qui invece, complementarmente, nitidissimi e incisivi sono proprio gli orli, ossia i due

26 Il ̒ fantastico del terrore ̓secondo Caillois, «si situa interamente sotto il segno dellʼaltro mondo» e tra le sue caratteristiche menziona anche le «vendette dei defunti» che, assieme alle altre ̒ apparizioni ̓topiche del modo fantastico, lacerano «la trama delle certezze scientifiche, così solidamente intessuta da sembrare immune allʼassalto dellʼimpossibile» (R. Caillois, Dalla fiaba alla fantascienza, a cura di P. Repetti, Roma-Napoli, Edizioni Theoria, 1985, p. 43).

27 G. Rosa, La narrativa degli scapigliati cit., p. 43. Il protagonista del citato racconto di Maupassant, Chi lo sa?, rivela, nellʼapertura della propria narrazione, lʼassoluta necessità di mettere la sua assurda storia per iscritto: «Adesso, voglio scriverla. Non so esattamente perché… forse per liberarmene, perché sento che mi opprime, dal di dentro, come un incubo intollerabile. Eccola» (G. De Maupassant, Chi lo sa? cit., p. 59).

28 E. Scarano, I modi dellʼautenticazione cit., 1983, p. 387. La Scarano afferma inoltre che il «racconto fantastico fa larghissimo uso della cornice o dellʼeffetto-cornice. Si può anzi dire che la predilezione per questo procedimento è rilevante quanto quella della prima persona» (E. Scarano, I modi dellʼautenticazione cit., p. 385).

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momenti di sicura presenza alla realtà da parte del protagonista, e larvale, fuori fuoco, illegibile è il centro»29; tale è parimenti il punto di partenza dellʼatto narrativo in Macchia grigia in cui però sʼinnesta, quale elemento innovativo e sovraordinario, lʼanaloga messa a fuoco tanto dellʼevento fantastico (espresso nel modulo della cornice) quanto delle sedi principali del testo che vogliono costituire, nellʼottica del narratore, un contributo da fornire al narratario quale agevolazione alla personale ricostruzione della catena di cause-effetti posta allʼorigine della lugubre visione.

Il motivo cardine della contrapposizione diadica ragione/follia è coa-diuvato da altre coppie antagonistiche, tutte connesse in maniera gerarchi-ca alla principale e topiche tanto del modo fantastico quanto dellʼuniverso scapigliato: il dualismo arte/scienza, che vede opposti il protagonista (af-fetto da questa inspiegabile interferenza visiva che impedisce ed al con-tempo potenzia i suoi organi ottici) e il medico-scienziato (esponente di quella nuova area del sapere, paurosamente allʼavanguardia nel periodo postunitario, che ambiguamente ammalia ed atterrisce gli autori scapi-gliati)30, lʼopposizione salute/malattia, la lotta eros/thanatos e il contra-sto luce/ombra, questʼultimo sviluppato nellʼimpianto naturalistico della narrazione31, come pure nelle confidenze del malato al suo medico32, po-stulando una realtà proiettata ʻoltre ̓se stessa e sconfinante nellʼuniverso dellʼinconscio.

29 L. Lugnani, Verità e disordine: il dispositivo dellʼoggetto mediatore cit., p. 183. Sempre a proposito di Berenice Lugnani scrive: «né si possono considerare trascurabili lʼinquietu-dine, lʼirresolutezza conoscitiva, il disagio, il senso di disordine e di squilibrio che vengono narrati e sollecitati nel lettore al di là del testuale scioglimento della storia» (ibidem, p. 197). Affermazione che risulta pienamente valida anche per il racconto di Boito.

30 «E tuttavia, nessun clinico potrà mai comprendere e […] cogliere la genesi della “mac-chia grigia” che oscura lʼiride del narratore protagonista della Storiella vana di C. Boito» in quanto soltanto «ʻlʼebbrezza dellʼimmaginazione ̓[…], di cui gli artisti sono i primi e privile-giati detentori, potrà darne conto» (G. Rosa, La narrativa degli scapigliati cit., pp. 34-35).

31 «Ora le nuvole mettono in ombra il dinanzi del quadro, e il sole brilla nel fondo; ora il sole splende sul dinanzi, e il fondo rimane buio» (Macchia grigia, p. 174).

32 «Odio le tenebre. La sera, di mano in mano che cresca lʼoscurità, si fa più intensa di contro a me […] una macchia color cenere […]. Durante il crepuscolo o mentre splende la luna, è pallidissima, quasi impercettibile; ma nella notte diventa enorme»; «Anche di giorno sʼio entro, mettete, in una chiesa buia, rischio di trovare quella sudiceria sotto lʼombra fitta dellʼorgano»; «Il sole è già tramontato, e la scrivania rimane in una penombra, che mi basta a gettare sulla carta in furia queste parole, ma che non mi lascerebbe rileggerle. Volevo finire prima di accendere il lume, e la macchia si giova della mezza oscurità per lacerarmi il cer-vello…» (ibidem, pp. 171, 172, 188).

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LA TENTAZIONE DEL FANTASTICO

Si è detto come il corpo centrale del racconto sia dedicato alla de-scrizione degli avvenimenti che accaddero al protagonista nei «due mesi e mezzo passati nella Val Sabbia» di cui «le prime due settimane furono tutte calma, altre due tutte fuoco, e il rimanente tristezze e terrori»33. Catalizzatore dellʼintera vicenda è la relazione, breve e intensa, che lʼIo narrante intrattiene con una giovanissima montanara di Idro, fanciulla dalla bellezza selvatica (pittoricamente delineata da Boito, amante del tratteggio naturalistico negli elementi descrittivi individuali come paesaggistici), nella quale spiccano i bianchissimi denti34 (inquietanti quanto quelli di una troppo famosa Berenice)35 e dai modi semplici che non tardano a rivelarsi violentemente passionali non appena viene coin-volta nel rapporto con lʼuomo conosciuto. La «passione quasi ferina» (p. 176) della fanciulla turba lʼIo protagonista non più dei moti violenti che lʼagitavano a contatto con «gli abbracciamenti suoi, furiosi e disperati» (p. 176)36, in una rapida escalation che provoca il suo repentino allon-tanamento e lʼabbandono della ragazza dopo due settimane di incontri travolgenti. Anche lʼossessione del desiderio sessuale e la natura violenta dellʼamore percepito quale trappola ̒ vampiresca ̓costituiscono altrettanti

33 Ibidem, p. 173.34 «Poteva avere dai sedici ai diciassette anni: abbronzita, ma sotto la tinta del sole sʼin-

dovinava lʼincarnato fresco; nella bocca piccola splendevano i denti, ammirabili di regolarità e bianchezza; negli occhi vʼera un certo che di selvatico e di curioso, una timidità un poco impertinente» (ibidem, p. 175).

35 Il tema inquietante dei ʻdenti ̓(sui quali la forza descrittiva dello scrittore indugia, tra gli altri, anche nel racconto Il demonio muto) è presente anche in unʼaltra ʻstoriella vana ̓boitiana, Notte di Natale, in cui viene abilmente sfruttato tutto il potere perturbante della figura tematica. Ma anche in Macchia grigia nella descrizione del sindaco spiccano «i denti candidissimi», mentre lo stato sconvolgente dellʼesperienza della scrittura viene paragonato dal protagonista alla condizione di «colui al quale duole un dente e va per farselo strappare», con lʼaccurata analisi degli stadi emotivi che il fantomatico individuo attraversa prima di decidere se sottoporsi o meno allʼoperazione dentistica (ibidem, pp. 183-184).

36 «mi aspettava sullʼuscio del casolare a cominciare dallʼalba, spesso mi veniva incontro sino a Idro, mi trascinava, mi violentava, mi buttava in terra come se volesse sbranarmi»; «poi gli abbracciamenti suoi, furiosi e disperati, mi facevano paura, e non di meno io non potevo pensare ad altro che a lei». Altro motivo satellite connesso ai ʻtemi del tuʼ, e nel rac-conto appena accennato, è quello dellʼossessione amorosa (ibidem, p. 176). Nel racconto di Prosper Mérimée, La Venere dʼIlle, lʼattrazione che la diabolica statua infonde in chiunque la osservi deriva dal fatto che «lʼenergia, anche nelle passioni malvagie, eccita sempre in noi lo stupore e una specie di ammirazione involontaria» (P. Mérimée, La Venere dʼIlle, in AA.VV., Fantasmi francesi cit., p. 47).

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motivi satelliti del fantastico e, specificamente, due tematiche sviluppate allʼinterno della vasta rete dei todoroviani ̒ temi del tu ̓ove la sensualità, distorta e corrotta, si trasforma in elemento essenziale e vitale37.

Non ci si trova in presenza di un avvenimento soprannaturale, ma forse ad un presentimento di esso, se è vero che, todorovianamente, il soprannaturale «fa sempre la sua comparsa in unʼesperienza dei limiti, in stati ʻsuperlativiʼ»38 per cui proprio la sessualità immoderata e quasi perversa di Teresa, il suo spirito incontinente e straripante in un eccesso di desiderio, la rendono «veggente»39 nella certezza di non rivedere lʼuomo ardentemente bramato e nel sospetto che qualcosa di più terribile possa capitare ad entrambi. Lo sviluppo mortale della passionalità sfrenata, as-sociato allʼimpressione «di essere in faccia ad un cadavere bruciato» che lʼuomo percepisce nel rivedere la fanciulla al di là di una perfetta, quanto fedifraga, ʻsoglia ̓sia fisica («La fanciulla stava sullʼuscio»: p. 176) che naturalistica («mi trovai di contro al casolare dallʼaltra parte della stra-dicciuola; gli alberi ed i cespugli mi nascondevano»: p. 176)40, accenna timidamente ad un altro tema-satellite del fantastico: la necrofilia.

I ̒ temi del tuʼ, oltre ad argomentare la dinamica oppositiva eros/tha-natos, e a sigillare la vittoria definitiva del secondo sul primo, esplicano «la relazione dellʼuomo con il suo desiderio, e di conseguenza con il suo inconscio»41. Tuttavia vero leitmotiv del racconto è il tema della ʻvistaʼ, assieme a quello, centrale, degli ʻocchi ̓e, appena menzionato, dello ʻspecchioʼ, rimandanti ai «temi dello sguardo»42. Rammentando

37 Punto di partenza della riflessione todoroviana sui ʻtemi del tu ̓è il desiderio sessuale: «La letteratura fantastica si dedica alla descrizione particolare delle sue forme immoderate e delle sue diverse trasformazioni, o, se si vuole, delle sue perversioni» (T. Todorov, La lette-ratura fantastica cit., p. 143).

38 Ibidem, p. 132.39 «Io promettevo, giuravo, ma ella mi continuava a guardare con gli occhi senza lagrime,

e, fatta veggente dalla passione, insisteva: – Non torni più; lo sento qui nel cuore che non torni più» (Macchia grigia, p. 176).

40 La ̒ frode ̓delle ̒ soglie ̓risiede nel fatto che esse non preludono ad alcun evento inspie-gabile o fantastico. La ʻsoglia naturalistica ̓scaturisce qui da un eccesso descrittivo occultato dalla velocità con cui il narratore ripercorre i luoghi dei paesaggi, dapprima minuziosamente descritti, pressoché senza accorgersene, generando così un allusivo pseudo-ʻeffetto soglia ̓che introduce la successiva sconcertante visione dellʼaspetto trasformato della fanciulla.

41 T. Todorov, La letteratura fantastica cit., p. 144.42 Ibidem, p. 124.

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LA TENTAZIONE DEL FANTASTICO

la tensione connettiva tra i ʻtemi dellʼio ̓e il campo della ʻfolliaʼ43 (già esplorato), si può considerare come anche i motivi dellʼimpedimento oculare e del difetto ottico siano sensibilmente relazionati ad una perce-zione incerta del reale e allʼottica parziale del soggetto, rischiosamente proiettato nel buio della ʻpazzia ̓dalla torturante pillacchera. Se, fin da fonti bibliche, lʼocchio è la «lucerna del corpo»44, fungendo da confine tra la luce e le tenebre dellʼanima, e se, freudianamente, risulta fonda-mentale il valore che lʼoggetto perturbante (allontanato e soggiacente al campo del percettibile) assume per il soggetto45, allora gli eventi vissuti dallʼIo narratore si rivelano immediatamente contigui allʼuso dellʼatto visivo, peculiare funzione dellʼocchio. Il protagonista, che inizialmente, in maniera indicativa, dichiara di non aver mai «avuto bisogno di oc-chiali», consumato dal rimorso46 tenta in ogni modo di dimenticare la propria colpa nei confronti della fanciulla irretita e ingannata, rivelando la coincidenza di apparizione reale e rimozione inconscia attraverso lʼimpiego fisico dei suoi organi ottici: essi non vedono mai il vecchio padre della fanciulla47 sino a quando lʼIo narrante non lʼha lasciata, né il riconoscimento del vecchio medesimo avviene se non quando lʼuomo è già cadavere annegato, mentre la vista del narratore viene potenziata

43 «Se la rete dei temi del tu dipende direttamente dai tabù e quindi dalla censura, non diversamente accade per quella dei temi dellʼio […]. Non a caso, questʼaltro gruppo rimanda alla follia» (ibidem, p. 163).

44 «Se dunque il tuo occhio è terso, tutto il tuo corpo sarà illuminato. Ma se per caso il tuo occhio è malato, tutto il tuo corpo sarà nelle tenebre./ Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanta sarà lʼoscurità?» (Mt, 6, 22-23). E ancora, nella parabola della lampada nel Vangelo: «La lucerna del corpo è il tuo occhio. Se il tuo occhio è buono, anche il tuo corpo è nella luce; se invece è malato, anche il tuo corpo è nelle tenebre. Perciò, bada che la luce che è in te non sia tenebra» (Lc, 11, 34-35).

45 Esso «è qualcosa che è stato respinto (rimosso o superato) e che il soggetto non può in alcun modo assumere di nuovo nel suo campo» (C. Benedetti, Lʼenunciazione fantastica come esperienza dei limiti cit., pp. 299-300).

46 «Invece di andare a Brescia o a Milano tornai a Garbe. Avevo lʼanima rósa dal rimor-so»; «[…] tornai a Garbe, dove, a forza di ripetere a me stesso, che il tempo rimedia a tutti i mali, anche gli strazi della passione e dellʼabbandono, trovai qualche momento di pace. Non ostante, dormivo poco, tormentato comʼero da sogni orribili e da inquietudini febbrili» (Macchia grigia, pp. 171, 177).

47 «Lo vede? Guardi bene, lì in fondo – e mʼindicava il luogo, ma io distinguevo appena di lontano un uomo, che aveva la barba bianca»; «Un uomo […] guardava molto attentamente lʼacqua del fiume. Uscivano tra le sue dita delle ciocche di barba bianchissima; la faccia mezzo nascosta dal cappello tirato sulla fronte, non si vedeva bene» (ibidem, pp. 175, 177).

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similmente a quella di un «lupo cerviere» (p. 171) (durante le ore diur-ne) in seguito alla comparsa della ʻmacchiaʼ. I movimenti riposti della psiche, rimuovendo ed esiliando nei più remoti meandri i morsi corrosivi dellʼanima, si esternano negli ʻocchi ̓del soggetto che patiranno lʼim-placabile vendetta finale in quanto vedenti solo ciò che vogliono, solo quando è inevitabilmente necessario che ciò avvenga, fino allʼinesorabile riaffiorare della verità.

Conforme al meccanismo che ricorda lʼesplicazione di un paradigma indiziario, lʼIo-protagonista si rivela analogo al detective proiettato alla ricerca di un colpevole esterno, non riconoscendo (o soltanto intuendo) dʼessere lʼedipico detentore dellʼultimo indizio, e scoprendo ex-abrupto una gelida realtà proprio grazie alla ʻvistaʼ, «il senso che permette, per eccellenza, di rendere conto delle verità delle cose»48, che rende possibile lʼagnizione finale.

Perdendosi in minuziose, quanto ingombranti descrizioni e riman-dando continuamente la narrazione dellʼevento cardine la cui prosecu-zione trova ripugnante, il narratore-personaggio costruisce una tipica enunciazione fantastica basata sul rifiuto inconscio del soggetto di un fenomeno che, benché direttamente esperito, viene escluso dallʼambito del conoscibile e dellʼammissibile. Il valore della rimozione viene dunque esplicato indirettamente, attraverso la ̒ soglia ̓visiva, ma vieppiù tramite le figure simboliche del ʻponte ̓e dei ʻdentiʼ. Le presenze ricorrenti del ʻponteʼ49, quale luogo di incontro dellʼIo con il vecchio (e di entrambi, con il ʻdestinoʼ), e delle acque turbinose che lottano al di sotto di esso50, tematizzano la prima immagine, tra i cui vari significati conviene ram-mentare quello del «ponte-anello di congiunzione tra i genitori» e del

48 M. Milner, La fantasmagoria. Saggio sullʼottica fantastica, Bologna, Il Mulino, 1989, p. 167. L̓ intero racconto risulta, in realtà, intriso di tale paradigma indiziario e giallistico, orchestrato dallʼautore disseminando allʼinterno della narrazione numerosi falsi indizi e di-vertendosi a smentirne la validità di ʻsoglie ̓o ʻelementi rivelatori ̓di verità nascoste.

49 «Vi dicevo dunque, dottore, che il dì 24 dello scorso ottobre passavo sul far della sera dal Ponte dei Re accanto a Garbe»; «continuò a fissare lʼacqua vicino alla pila del ponte, dove, stringendosi per attraversare le due arcate, gorgoglia impetuosamente» (Macchia grigia, p. 177). Il ʻponte ̓è presente e descritto anche nel resto della narrazione.

50 «È una lotta formidabile tra lʼacqua che corre e i sassi colossali che tentano di sbarrarle la via. E le onde, incalzate da quelle che sono dietro, e queste cacciate innanzi dalle altre più lontane, a cominciare dai rigagnoli nascenti nelle nubi, quanta fatica, quanta astuzia devono adoperare, e come sʼaffannano a spuntarla di proseguire il loro cammino!» (ibidem).

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LA TENTAZIONE DEL FANTASTICO

«ponte-legame tra vita e non-vita (morte)»51. Simbolo del luogo fisico rappresentante il percorso vita-morte, il ʻponte ̓ è un passaggio che conduce il ʻvecchio ̓verso lʼaldilà (attraverso le acque di un vorticoso Acheronte) e il protagonista verso il riscontro con lʼineludibile destino, mercè quel famoso processo del ̒ ritorno del rimosso ̓che genera nellʼIo il riaffiorare al livello precosciente della propria colpa52.

La figura dei ʻdentiʼ, accennata a livello descrittivo, diviene invece pregnante nellʼesempio che il soggetto dellʼenunciazione, per giustifi-carsi con il narratario (e, per suo tramite, col lettore implicito), esplica nella comparazione tra sé medesimo e «colui, al quale duole un dente e va per farselo strappare»53. Non si può negare che «lʼaccecamento e lʼestrazione dei denti» (simboli della castrazione nello studio di Sandor Ferenczi)54, posti «al servizio della rimozione», perturbino la soggettività narrante ancor prima che il destinatario delle sue confessioni (proprio in quanto connessi ad una colpa latente e non conscia), e conducano lʼIo allʼespressione della finale e risoluta volontà di autoaccecamento edipico che, concludendo il paradigma giallistico sotteso alla narrazione, allude

51 S. Ferenczi, Il simbolismo del ponte, in Fondamenti di psicoanalisi. II Prassi. Scritti sulla terapia attiva e altri saggi, Rimini, Guaraldi Editore, 1973, p. 187. Se inteso quale esplicativo del simbolo fallico, il «corso dʼacqua largo e pericoloso» rappresenta il luogo «dal quale si origina la vita, al quale per tutta la vita si desidera tornare» (ibidem, p. 186).

52 Spiegando il ʻsigaro acceso ̓della ʻleggenda di Don Giovanni ̓Ferenczi rimanda «ad una variante del simbolo del ponte nella quale […] ritornano in misura massiccia elementi inconsci rimossi» (S. Ferenczi, Il simbolismo del ponte e la leggenda di Don Giovanni, in Fondamenti di psicoanalisi cit., p. 190), mentre nel saggio Il simbolismo del ponte, egli rinvia ad una sua precedente descrizione del «dinamismo di rimozione» che opera allʼorigine dei ʻsimboli ̓in generale (S. Ferenczi, Il simbolismo del ponte cit., p. 188).

53 «Bisogna che io entri finalmente nel cuore del mio racconto. Vi siete accorto che mi ripugna; infatti nello scorrere gli sgorbi buttati sulla carta conosco di avere fatto come colui, al quale duole un dente e va per farselo strappare. Esce lesto, quasi correndo; ma, di mano in mano che si avvicina alla casa del dentista, rallenta i passi, finché, giunto alla porta, si ferma perplesso, chiedendo a se medesimo: – Il dente ora mi duole o non mi duole? –. E così torna indietro un buon tratto di via; e ogni inezia gli serve per tirare in lungo, un avviso sulla cantonata, un cane che abbaia. Poi si vergogna, e sale fino allʼuscio, e quando, risoluto, ha già in mano il cordone del campanello, domanda a se stesso di nuovo: “Me lo devo far cavare sì o no?”» (Macchia grigia, p. 183-184).

54 «Il simbolismo dei denti e quello degli occhi starebbero a dimostrare come organi del corpo (in particolare i genitali) possano essere rappresentati non solo attraverso oggetti del mondo esterno, ma anche attraverso altri organi del corpo. Probabilmente è questa la forma più primitiva della formazione dei simboli» (S. Ferenczi, Il simbolismo degli occhi, in Fon-damenti di psicoanalisi cit., p. 209).

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55 «Richiamandosi a esperienze psicoanalitiche, ho cercato di interpretare lʼautoacceca-mento di Edipo come unʼautoevirazione e ho affermato che spesso gli occhi sostituiscono sim-bolicamente i genitali» (ibidem, p. 206). Pur prediligendo lʼinterpretazione connessa al ̒ ritorno del rimosso ̓quale genesi degli eventi vissuti dallʼIo e dello statuto di ʻfantastico cerebrale perturbante ̓del racconto, la fondamentale caratteristica di ̒ opera aperta ̓dello stesso permette altri tentativi di analisi. Se si volesse affrontare unʼinterpretazione prevalentemente psicoana-litica si potrebbe rilevare il vortice dʼincomunicabilità bloccante il rapporto ʻtriangolare ̓tra i personaggi: lʼIo protagonista, Teresa e il vecchio, considerando, lungo la linea edipica sottesa alla struttura narrativa, la perturbante relazione che lega il narratore alla fanciulla e ravvisan-dovi quasi un incestuoso legame madre-figlio. Oppure, riflettendo sulla simbologia del ponte e dellʼacqua, scegliendo di ravvedere nel timore del protagonista nei confronti della ragazza una fuga dellʼIo da se stesso riconosciuto come Altro e dallʼimpotenza sessuale prima latente e poi conscia; nello studio di Ferenczi, coloro i quali sognavano il ̒ ponteʼ, in genere, «soffrivano di impotenza sessuale e si difendevano mediante la debolezza del loro organo genitale dalla pericolosa vicinanza della donna» (S. Ferenczi, Il simbolismo del ponte cit., p. 186).

56 Questo lʼincipit del racconto: «Questa macchia grigia, chʼio vedo dentro ai miei occhi, […]» che si chiude con la terribile affermazione del protagonista «O guarisco o mi strappo gli occhi» (Macchia grigia, pp. 171, 188).

57 «Chi non ha rimorsi vive colà nella quiete del paradiso, senza giornali, senza botteghe da caffè, senza pettegolezzi, guardando lo specchio del lago» (ibidem, pp. 173-174).

58 «[…] negli occhi vʼera un certo che di selvatico e di curioso, una timidità un poco impertinente» (ibidem, p. 175). Gli ̒ occhi ̓di Teresa subiscono un cambiamento impressionante riflettente la situazione inconscia della fanciulla: essi sono dapprima «sinceri», poi «senza lagrime» ed infine «spenti» (ibidem, pp. 175, 176, 177).

59 Gli ʻocchi ̓del vecchio sono «infossati» da vivo e demoniaci da morto, ma è sempre sullo ̒ sguardoʼ, giudice severo, che si concentra lʼattenzione dellʼIo narratore: «Il soffitto della stanza mi crollava sul capo; la folla mi stritolava. Credevo di essere nellʼinferno, in mezzo ai diavoli, giudicato dalla voce cavernosa e dagli occhi di un cadavere grigio» (ibidem, pp. 179, 187).

60 Il vecchio «guardava molto attentamente lʼacqua del fiume», mentre il protagonista,

anche a possibili, seppure improbabili, varianti interpretative del tema psicanalitico55.

Se il termine ʻocchi ̓ principia e conclude in maniera inquietante la strana confessione56, motivi analoghi permeano lʼintera narrazione ricorrendo in figure specifiche: lo ʻspecchio dʼacqua ̓(fondamentale in quanto luogo della vista e del ritrovamento del corpo del vecchio) in cui ci si può rimirare, indicativamente, solo se non si hanno rimorsi57; gli ʻocchi come specchio dellʼanima ̓che già rivelano lʼindole selvatica di Teresa58, nonché la reale funzione del padre (i cui occhi sono «da de-monio»)59, fino alla semplice menzione, o velata evocazione, di termini o espressioni sempre inerenti al campo semantico dellʼottica, quasi un monito a rammentare lʼonnipresenza del tema ossessivo della ʻvistaʼ60.

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trascinato da tale sguardo, ammette: «Guardai abbasso anchʼio, credendo che vi fosse qualcosa di curioso da vedere; non avvertii niente di strano, ma quel gioco di onde, a cui non avevo mai badato, mi piacque». Infine si ha un celato richiamo alle varianti del ʻriflesso ̓nelle de-scrizioni naturalistiche inerenti allʼacqua: «Se il masso non solleva molto la testa, lʼacqua gli corre su, e scende poi in cascate gaie […]: è un cristallo terso, curvo, regolare, una campana lucida, un ombrello trasparente, con qualche filetto opaco di vetro di Murano»; «finalmente accade che ella si smarrisca in uno spazio dove il caso ha messo un insormontabile sostegno di pietre, e allora si ferma impaurita, perde la bussola, sʼaccascia e da turbine diventa specchio» (ibidem, pp. 177, 178).

61 T. Todorov, La letteratura fantastica cit., pp. 152, 144.62 R. Ceserani, Le radici storiche di un modo narrativo, in AA. VV., La narrazione

fantastica cit., p. 22.63 Anche nellʼepilogo del racconto compare la figura del «buon sindaco» che, afferma

In Macchia grigia i ̒ temi dello sguardoʼ, fondandosi su «una rottura dei limiti tra psichico e fisico», sono da interpretare, todorovianamente, come esplicativi del freudiano «sistema percezione-coscienza»61 proprio dellʼuomo così come il tema della follia, topico del fantastico, risulta avvinto alle dimensioni delle problematiche percettive mentali per cui il «tema del folle si collega con quello […] della persona lacerata, e anche con quello del visionario, del conoscitore di mostri e di fantasmi»62.

Tratto compositivo e tematico del racconto è il sistema binario, già accennato, per cui il numero ʻdueʼ, costitutivo e indicativo degli ʻocchiʼ, ricorre durante lʼintero sviluppo della narrazione: due sono le mete principali del protagonista, Garbe e Idro e «dopo due settimane al più» (p. 176) il narratore promette a Teresa di far ritorno; «due giorni» la fanciulla «disse di no» al suo amante e «due giorni soli» il vecchio padre «ha potuto vivere dopo morta la sua Teresa» (pp. 176, 187); due volte il protagonista si sofferma a parlare col vecchio prima di lasciarlo solo nella notte e due volte lʼIo narrante si ferma alle capanne dei car-bonai per chiedere notizie dellʼuomo scomparso. La ʻvista ̓cui si affida la scienza esatta e in cui confida la parte razionale dellʼIo si contrappone alla ̒ visione ̓distorta del reale causata dalla ̒ macchia ̓allʼalter ego celato, mentre unʼocculta doppiezza è sottesa ai tre personaggi che affiancano il narratore nella ricerca del vecchio: lʼoste di Sabbio è «una specie dʼidalgo, […] che tiene il pugno al fianco, maravigliato di non trovarvi la spada»; il consigliere comunale «veste da contadino», ma «scrive da letterato» (p. 181); il sindaco, figura doppia nellʼesercizio dei mestieri (scienza medica e magia), racconta «una interminabile filza di storielle, parte da stare allegri, parte da spaventare» (p. 183)63.

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lʼIo protagonista, «veniva a visitarmi due volte al giorno, e mi stava accanto delle lunghe ore, porgendomi egli stesso le medicine e raccontandomi piano, quando gli sembravo un po ̓quieto, qualche storiella, che non mi faceva sorridere» (Macchia grigia, p. 188).

64 «L̓ onda è avveduta: sceglie per solito il cammino migliore. Ma qualche volta si trova chiusa tra i sassi, e allora, non potendo aspettare, scatta in uno sprazzo e via; talʼaltra si caccia distrattamente in un laberinto, e gira e rigira, […] perde la bussola, sʼaccascia e da turbine diventa specchio» (ibidem, p. 178).

65 «La fanciulla stava sullʼuscio, immobile, esposta senza riparo ai raggi del sole. Nel

Lo stesso anziano padre della ragazza sembra un semplice pasto-re, ma, «già caporale sotto lʼAustria, leggeva e scriveva come un no-taio» (p. 175), laddove nella sua accurata descrizione ricorre la divisio-ne della struttura sintattica in dittologie terminologiche come «dolore profondo»/«sinistra melanconia»; «occhi infossati»/«labbra nericce»; «pietà»/«terrore» (p. 179, il corsivo è mio); ed altresì a livello numeri-co, il multiplo di ʻdue ̓riecheggia nella «ventina di piccoli biglietti» (p. 179) che lʼuomo, gettandoli, consegna al vento e al fiume. Il vecchio è il ʻdoppio ̓contrastivo del narratore: come il primo ha dato a Teresa il suo amore di padre, così il secondo lʼha amata con passione; come lʼuomo sconvolto attende il destino, anche lʼIo, inconsciamente, aspetta lʼevo-luzione finale degli eventi; come il vecchio sa di andare in un paese che ʻnon conosceʼ, così il narratore attende lʼapprodo ad una condizione sconosciuta; e la medesima angoscia che lo sferzava al rimorso di aver abbandonato Teresa, percuote il padre di questa (fino ad ucciderlo) per poi ritornare allʼIo narrante, come nemesi persecutoria, sotto forma di apprensione sia per lʼuomo che non riuscirà a salvare dalla morte, sia per se stesso, braccato dalla fantasmatica ̒ macchiaʼ. Il tema del ̒ doppio ̓ricorre intensamente in prossimità del primo incontro del protagonista con il ʻvecchioʼ, quasi a sancire tematicamente la specularità dei due personaggi: è in quei passi che la sottile linea vita-morte stabilita dal ʻponteʼ, percepita dallʼuno e presto fisicamente oltrepassata dallʼaltro, viene rinsaldata dal regime vorticoso delle acque del fiume che si quie-tano a ʻspecchio ̓dopo aver effettuato un percorso labirintico64; ʻspec-chio ̓e ʻlabirinto ̓costituiscono due figure del ʻdoppioʼ. Per ben ʻdue ̓volte, inoltre, ingannati da una mirabile orchestrazione narrativa, si cre-derebbe di assistere allʼapparizione di un fantasma: quando sʼintravede la sagoma della fanciulla ormai prossima alla morte e quando il narra-tore, immerso in «un sepolcro di tenebre», scorge improvvisamente la «massa grande, biancastra»65 quasi fluttuante sulle onde del fiume; infine

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LA TENTAZIONE DEL FANTASTICO

primo istante non la riconobbi: la carnagione era diventata dʼun rosso cupo, i capelli le cade-vano sulla fronte e sulle spalle a ciocche sconvolte, il viso appariva stranamente smagrito e allungato, il labbro inferiore pendeva in giù, gli occhi spenti fissavano innanzi senza vedere; non so perché, credetti di essere in faccia ad un cadavere bruciato»; «Avevo ripreso la canna per ritentare la sorte, quando vidi correre a precipizio con le onde e fermarsi alla diga una massa grande, biancastra. Non capivo che cosa fosse, e pure un brivido mi corse dalla testa ai piedi» (ibidem, pp. 176-177, 184-185).

66 G. Finzi, Introduzione a Racconti neri della scapigliatura, Milano, Mondadori, 1980, p. 7.

67 «Parrebbe cioè che il racconto fantastico abbia bisogno di fissare un piano di realtà normale e unʼottica normale sui quali misurare gli scarti indotti dai passaggi dei soglia» (L. Lugnani, Verità e disordine cit., pp. 266-267).

68 R. Caillois, Dalla fiaba alla fantascienza cit., pp. 25. Nella Presentazione al saggio di Caillois Paolo Repetti, citando Maurice Blanchot, afferma: «…gli scrittori che hanno perseguito la ricerca dello strano sono stati in primo luogo maestri del naturale. Ossessionati dal pensiero di rendere comune lʼinsolito e reale lʼimmaginario, si sono sforzati con i mezzi più disparati di conferire un carattere rigoroso di verosimiglianza, o meglio ancora una vera forza di necessità, a invenzioni deliranti o incredibili» (P. Repetti, Presentazione a R. Caillois, Dalla fiaba alla fantascienza cit., pp. 9-10).

69 «Camillo Boito è un piccolo Maupassant nostrano, col fiato un po ̓grosso in confronto del maestro, ma con una vitalità naturalistica che va tenuta per buona» (I. Calvino, Gli amori difficili dei romanzi coi film, in Saggi, II, Milano, Mondadori, 1999, p. 1904).

70 Non si dimentichi il debole di Camillo Boito per gli scorci paesaggistici impressio-nisticamente delineati.

71 Un unico esempio, descrittivo di un tramonto colto nellʼatto della sua genesi, varrà

i ̒ due ̓segmenti della cornice accolgono, come già ricordato, lʼelemento formalmente fantastico del racconto. La scansione binaria appartiene a quegli spunti dualistici, tanto cari agli scrittori scapigliati, che Camillo Boito sperimenta (anche attraverso le coppie oppositive già individuate) intessendone sottilmente la struttura del testo, permeandone la rete stili-stica, concettuale e tematica, inscenando il tema «della duplicità stessa delle cose umane fra razionale e irrazionale»66.

La presenza di un impianto realistico, seppur minimo, quale termine di contrasto con lʼavvenimento inspiegabile postulato dalla narrazione, è elemento necessario al racconto fantastico67 che, come afferma Caillois, «presuppone la solidità del mondo reale, ma per meglio distruggerla»68. Similmente in Macchia grigia il narratore, sotto lʼovvia egida dellʼau-tore implicito, «piccolo Maupassant nostrano»69 formato dalla notevole attività di critico dʼarte70, dipinge numerosi intermezzi naturalistici, partorendo vere e proprie rappresentazioni pittoriche ricche di colorita vivacità espressiva71, ma allusive al mistico riflusso di unʼinevitabile

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disgregazione della realtà nella sub-realtà nascosta, nonché provviste di un espressionismo latente che ʻmacchia ̓qua e là alcune zone dʼombra, sottili smagliature indicative di unʼimminente possibile rottura sia della logicità costitutiva, sia dei fattori costanti e rassicuranti propri del mondo naturale e umano.

Una crepa, sottesa alle maglie narrative del motivo naturalistico, si riscontra in prossimità del primo falso indizio (seminato per depistare le indagini di un avventuroso lettore attento che ricercasse apparizioni sovrannaturali) che il racconto fornisce rispetto al suo status di testo fantastico, ossia nella ʻsoglia naturalistica ̓che precede la scoperta, da parte del protagonista, di una Teresa completamente differente da colei che aveva lasciato, e nella descrizione a tinte fosche della fanciulla fo-tografata nellʼespressione raggelante di ʻcadavere bruciatoʼ. Ma anche le sublimi descrizioni delle acque del fiume in tempesta che precedono (sempre segnando il solito, finto, ʻeffetto sogliaʼ) la prima visione del cadavere del vecchio72, sono indiziate di schiudere una microfrattura nella rete tematica, anticipatoria della sconcertante rivelazione conclusiva e della successiva comparsa della misteriosa ʻmacchia grigiaʼ.

Altro elemento centrale, quantunque non immediatamente percepi-

per tutti i numerosi schizzi incommensurabilmente delineati nel corso del racconto: «Era una bella sera, un resto dʼestate. La vòlta del cielo tutta serena, tutta di una tinta appena digradata da ponente a levante con un po ̓di giallo, un po ̓di verde, uno poco di paonazzo, mostrava nondimeno, quasi sullʼorizzonte, una zona isolata di nubi dense. Una striscia sottilissima, limpidissima dʼaria brillava tra le nubi ed il mare. Il sole, che era rimasto nascosto un poco di tempo da quelle nubi, scendeva dal loro lembo inferiore per tuffarsi nelle onde quiete. Prima il suo oro, quando non si vedeva di esso che il segmento di sotto, parve una lumiera sospesa alle nuvole; poi il cerchio infiammato toccò con la circonferenza per un minuto nuvole e mare; poi si cacciò pian piano nellʼacqua, mostrando nel segmento di sopra il fuoco incan-descente di una immane bocca da forno» (Macchia grigia, p. 172). Per «i nostri scapigliati, orrido o no, è il ʻvero ̓che conta, lʼenigmaticità del reale globale, quellʼassoluto naturale che comprende, ripetiamolo, i poli positivo e negativo, ragione e sragione, buono e cattivo, bello e brutto, aldiquà e aldilà: perché il mistero è ʻdentro ̓il quotidiano, lʼassurdo permea le cose che viviamo, lʼirrazionale è nella vita stessa» (G. Finzi, Introduzione a Racconti neri della scapigliatura cit., p. 9). Tale nozione racchiude in sé il fondamentale tema del ʻdualismo ̓tanto diffuso nelle linee scapigliate.

72 «Il Chiese, battendo contro ai sassi, faceva una musica da assordare: cʼerano dentro tutti i toni, tutti gli accordi, e il vento vʼaggiungeva le estreme note acute. A un poco per volta si finiva ad assuefare gli occhi allʼoscurità e a distinguere qualche cosa: […] anche il verde cupo dellʼacqua»; si veda inoltre lʼumanizzazione delle acque del fiume durante la lotta ingaggiata dalle onde che mandano «bava in vece di sangue […] con un frastuono da far tremare un eroe» (Macchia grigia, pp. 184, 178).

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LA TENTAZIONE DEL FANTASTICO

bile, è il ʻfatalismo ̓latente che si sprigiona dalla natura delle vicende narrate73 (una sua tematizzazione è, ad esempio, la «forza quasi invo-lontaria» (p. 179) che trascina il protagonista dal vecchio che osserva le acque dal ponte) e che trova il suo primordio nello sviluppo del desi-derio sessuale del narratore per quella fanciulla rustica e fresca quanto pura e impreparata ad affrontare i tormenti di un coinvolgimento totale e snervante di una relazione amorosa. Nuovamente i ʻtemi del tu ̓che, esplicativi della «fatalità dellʼattrazione fisica, del corpo, del senso, della cieca passione»74, esordiscono nella catena di cause ed effetti trascinante inesorabilmente verso lʼoblio e la malattia dellʼIo. Il tema della ʻfatali-tà ̓si palesa allʼinterno della mise en abyme di un ennesimo quadretto naturalistico per cui, nel delinearsi dei moti delle acque, lo «spettacolo del contrasto fatale tra il moto e lʼimmobilità, eterno e dʼogni attimo, mette nellʼanima un timido scoramento, e nello stesso tempo fa sorridere di un così cieco impeto nellʼoperare e di una così orba caparbietà nel resistere» facendo riflettere sulla massima immediatamente successiva per cui la «natura, come la vita, è una catena di vani sogghigni» (pp. 177, 178)75. La centralità del ʻdestino ̓nel racconto del «crudo e gelido Camillo»76 è comprovata da tale parallelismo vita-natura e deriva quindi, paradossalmente, dal fondamentale legame che connette lo scrittore al gusto della rappresentazione del ̒ vero ̓nella quale si stagliano, invisibili, ma persistenti, micro-soglie facilitanti lʼingresso di ʻfantasmi ̓quali la malattia, «lʼincubo, lʼabnorme, la morte» (nonché «lʼamore strampalato, orripilante o necrofilo»)77 nel tranquillo mondo della realtà codificata

73 Le manifestazioni del fantastico «sono tanto più terribili quanto più il loro scenario è familiare, le loro vie più subdole o fulminee, e quanto più si presentano con un non so che di fatale e dʼirrimediabile che si sprigiona da una rigorosa concatenazione degli eventi» (R. Caillois, Dalla fiaba alla fantascienza cit., p. 27).

74 A. Borlenghi, Introduzione a Narratori dellʼOttocento e del primo Novecento, I, Ric-cardo Ricciardi Editore, Milano-Napoli, 1961, p. XXXIX.

75 Da notare anche la riflessione successiva dellʼIo narrante sulla «piccolezza dellʼuomo in faccia alla volontà delle cose insensate» posta sempre alla fine della contemplazione di un paesaggio naturale (Macchia grigia, p. 186). Inoltre, il vecchio, interrogato, dice di attendere «il destino» (ibidem, p. 180).

76 Secondo unʼespressione calviniana, «i più dotati (in due direzioni opposte) sono i fratelli Boito: Arrigo, sempre sovraccarico e congestionato e il crudo e gelido Camillo» (I. Calvino, Unʼantologia di racconti «neri», in Saggi cit., p. 1691).

77 «Il fatto che fa scattare quella molla del diverso segna lʼuscita dalla quotidianità e

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e razionale, ʻsoglie ̓che, proprio in virtù dellʼestremo realismo che le precede, acquistano maggior fulgore inquietante appiccando la scintilla della riflessione nella mente del lettore. Il tutto stemperato da saltuarie note ironiche78, abilmente disposte nel corpus narrativo ed atte a semi-nare un segno tangibile della presenza di un autore dalla garbata vena irrisoria esercitata attraverso lʼumorismo straniante e giocato sulle af-fermazioni dellʼIo narrante, spesso scombinanti, in virtù del loro status superstizioso79, lʼeffetto di ricercata aulicità precedentemente sfoggiata nellʼapproccio scientifico allʼinfausta malattia, o anche solo finalizzate a porre antifrasticamente in risalto la statura di personaggi quali il sindaco80, il segretario comunale e lʼoste di Sabbio. La vena ludica è altresì per-seguita tramite lʼadozione della medesima prospettiva del personaggio, spesso ricca di ossequiata ironia nel rivolgersi al suo illustre medico: «E, abbiate pazienza, lo dirò nei più indifferenti particolari, giacché so come da una di quelle inezie, le quali sfuggono allʼattenzione dei pro-fani, voi scienziati potete cavare la scintilla, che rischiara poi le verità più riposte» (p. 173). A completare lʼideale quadro di elementi fantastici concorre infine lʼespressività terminologica dai toni fortemente cupi che corredano lo stile formale del testo: «fantastico», «orrore», «inorridire»,

dalla sua apparente sicurezza. È ossessione che porta alla pazzia […]. È allucinazione che dal corpo filtra e si propaga nella mente […] o che, viceversa, malignamente, trasferisce il malessere simbolico della psiche al corpo, presentandosi cioè come somatizzazione di una paura o di un rimorso» (G. Finzi, Introduzione a Racconti neri della scapigliatura cit., p. 12). È questʼultimo il caso del protagonista del racconto di Boito.

78 L̓ intervento ironico del narratore nel testo fantastico è stato studiato da Lugnani: «Cʼè innegabilmente nei racconti di Mérimée, di Gautier e di Pirandello […] una grande capacità di distanziamento ironico e il barlume di un sorriso che proviene dalla più distaccata e su-prema istanza enunciativa, quella di chi regge le fila di tutto e di tutti (narratori compresi), e spesso addirittura da fuori del testo o dai suoi retroscena, dagli autori e dai loro alter-ego» (L. Lugnani, Verità e disordine cit., p. 288).

79 «Ho letto come sulla retina, nellʼocchio dei condannati a morte, sʼè trovato, dopo recisa la testa, il ritratto degli ultimi oggetti, in cui i disgraziati avevano ficcato lo sguardo. La retina dunque, non solo rimane fuggevolmente dipinta: in certi casi resta veramente scolpita». Qui lʼironia velata è addirittura tematizzata dal personaggio nel parentetico intercalare di «(dottore mio, non ridete)» (Macchia grigia, p. 173).

80 Che incarna allusivamente i due poli opposti arte/scienza, avendo praticato la medicina, ma vantando anche un approccio al «segreto della magia» («Un dì, avendo visto nella Piazza dei Signori un giuocatore di bussolotti, gli si fece amico, andò a desinare con lui più volte, finché imparò il segreto della magia, pensando che se la medicina falliva, questʼaltra arte lo avrebbe potuto soccorrere»: ibidem, p. 183).

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LA TENTAZIONE DEL FANTASTICO

«paurosamente», «terrori», «cadavere bruciato», «sepolcro», «tetra», «straziante», «fatale» (pp. 172, 173, 177, 184)81.

Nel 1880 lo stesso Boito, osservando «per una ̒ Mostra nazionaleʼ, il disagio in cui la nuova narrativa poneva i lettori», affermava: «Il romanzo vi sminuzza, vi trita la verità, in modo che non rimane ormai nulla da aggiungervi di proprio…Vuole svelarvi lʼanimo di un personaggio? Ve lo piglia nel candore dellʼinnocenza e, seguendolo ad ogni ora, quasi ad ogni minuto, vi fa assistere alla sua corruzione, finché le piaghe, moltiplican-dosi, allargandosi, accumulandosi, diventano cosa puzzolente e laida»82. Curiosamente è esattamente da qui che parte lo scrittore medesimo per poi culminare nella presentazione di un soggetto protagonista e nella rivelazione del male intrinseco che lo consuma attraverso unʼanalettica auto-esamina del personaggio stesso. E, spingendosi oltre, lʼautore gio-ca con vari tipi di codici narrativi componendoli abilmente in unʼunica struttura che raccoglie descrizioni realistiche, paradigmi indiziari, finti sketch ʻneri ̓e soprannaturali, conseguendo il risultato di un racconto mirabilmente concepito e composto, privo di brusche virate tematiche e di disorganici contraccolpi stilistici, dai toni sostenuti, ma mai esage-rati, incline allʼindole equilibrata del suo regista. La parabola finale di Macchia grigia, che sembra concretizzare la maledizione inviata allʼIo narrante dallo «sguardo immobile»83 del cadavere del vecchio, attualizza direttamente lʼantico motivo «del temibile e desiderabile commercio dei viventi col regno dei morti e del ritorno dei trapassati»84, ma soprattutto evidenzia il nuovo dominio del modo fantastico in cui il soprannatura-le, non più universo demoniaco ed infero, diventa un oscuro varco che inoltra in un nuova forma di terrificante unheimlich costituita da «feno-meni fisici e psichici altrettanto innominabili per lʼuomo illuminato, e

81 E ancora: «sangue», «destino», «capezzale», «moribondo», «brivido», «inferno», «cadavere», «terribile», «L̓ occhio è da demonio», «sembra che ci voglia mangiare vivi», «soffio da tomba» (ibidem, pp. 178, 180, 184, 185, 187, 188).

82 A. Borlenghi, Introduzione a Narratori dellʼOttocento e del primo Novecento cit., p. XXXVIII.

83 «Il vecchio del Ponte dei Re fissava gli occhi nel mio volto, sinistri, minacciosi. Sentivo in quello sguardo immobile un supremo rimprovero. Alle orecchie mi ronzava un soffio da tomba, che diceva: – Tu mi hai lasciato morire: sii maledetto» (Macchia grigia, p. 187). Si affaccia qui un altro motivo satellite del fantastico: il ritorno del morto vivente.

84 L. Lugnani, Verità e disordine cit., p. 247.

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altrettanto inquietanti per il soggetto, perché ne rappresentano lʼalterità irriducibile – la follia, lʼinconscio, gli istinti visti come ʻnatura interna allʼuomoʼ, e tutte le manifestazioni della natura che sfuggono al nostro dominio conoscitivo»85.

In qualsiasi narrazione che presenti spunti fantastici è impossibile trovare la soluzione dellʼevento senza infrangere il modello percettivo delle certezze acquisite e tuttavia il timore del narratore di fronte alla propria incertezza (o lacuna) conoscitiva non sarebbe giustificato se lʼorrida ̒ macchia ̓fosse naturalmente percepita come mero difetto visivo. Essa è invece un male molto più profondo che mina alle fondamenta il consuetudinario approccio dellʼindividuo alla realtà fenomenica attra-verso parametri raziocinanti, né può essere qualificata quale ʻfenomeno strano ̓o afferente ad un perpetuo stato allucinatorio del protagonista in quanto la stessa, dolorosa, smania dellʼIo di ricercarvi e trovarvi una spiegazione, nonché la conclusione della narrazione, interrotta sulla risoluta volontà del protagonista a trovare una cura o piuttosto a ʻstrap-parsi gli occhiʼ, creano, nella percezione del lettore, una sensazione di dubbio gnoseologico in merito allʼattendibilità o alla finzione conscia o inconscia del soggetto enunciante. Il racconto potrebbe pertanto rientrare nellʼambito todoroviano dello ʻstranoʼ86 se non fosse per lʼontologica e soggettiva indecisione in merito al reale statuto dellʼinquietante contagio persecutore e per lʼincertezza e lʼequivocità del rapporto stabilitosi tra narratore e lettore implicito: elementi che, bloccando la naturale attività ermeneutica individuale, generano la raggelante esitazione e lʼinespli-cabilità ʻfantastica ̓perpetuandole sino a narrazione ultimata.

Se si imputa il contrassegno del ʻfantastico ̓allʼinspiegabile status della ʻmacchiaʼ, corroborante si rivela lʼassunto di Roger Caillois che nellʼelencare i temi del genere nomina «la ̒ cosa ̓indefinibile e invisibile, ma che pesa, è presente, uccide o fa del male»87. Rilevando invece il

85 C. Benedetti, Lʼenunciazione fantastica come esperienza dei limiti cit., p. 312.86 Lo ̒ stranoʼ, secondo Todorov, «è legato unicamente ai sentimenti dei personaggi e non

ad un avvenimento materiale che sfidi la ragione (il meraviglioso, invece, si caratterizzerà mediante la sola esistenza di fatti soprannaturali, senza implicare la reazione che provocano nei personaggi)», laddove invece «il fantastico si definisce come una percezione particolare di avvenimenti strani […]» (T. Todorov, La letteratura fantastica cit., pp. 50, 95).

87 R. Caillois, Dalla fiaba alla fantascienza cit., p. 45.

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LA TENTAZIONE DEL FANTASTICO

ʻfantastico ̓nella problematica e perturbante condizione del narratore-personaggio88 risalta immediatamente la presenza di unʼimpasse cognitiva e la suggestione dubitativa del soggetto dellʼenunciato di fronte allʼenig-maticità del reale, palesata attraverso lʼossessiva comunicazione di un riscontro col mistero e lʼassurdo irrazionale allʼinterno della normalità quotidiana, nonché trasferita sullʼIo leggente tramite il processo di iden-tificazione. Nel tentativo di esorcizzare il ʻfantasma ̓della colpa e di far rientrare nei parametri razionali del riconoscimento di una patologia me-dica lʼincognita manifestazione della ̒ macchia grigia ̓il narratore impiega lo strumento della scrittura, coinvolgendo i lettori nella partecipazione alla propria ʻesitazioneʼ, e nella sfida ad una sua possibile decodifica, generando un fantastico subdolo e cerebrale, emancipato rispetto ai con-sueti canoni del genere, che «si sottrae e si mostra con rara parsimonia, come se il suo potere si misurasse dal suo riserbo»89.

88 Essendo caratteristica fondamentale di tale modo narrativo il «percorso conoscitivo che comporta per un soggetto il confrontarsi con una crisi e una falla del proprio paradigma di realtà» (G. Goggi, Assurdo e paradigma di realtà: alcuni nodi del fantastico cit., p. 133).

89 R. Caillois, Nel cuore del fantastico cit., p. 81.