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1 LITURGIA « CULMEN ET FONS » “CONVERSI AD DOMINUM” dicembre 2013 - anno 6 n. 4 www.liturgiaculmenetfons.it

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LITURGIA«CULMEN ET FONS»

“CONVERSI AD DOMINUM”dicembre 2013 - anno 6 n. 4

www.liturgiaculmenetfons.it

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“Conversi ad Dominum”L’ORIENTAMENTO NEL CULTO

don Enrico Finotti

dicembre 2013 - LITURGIA CULMEN ET FONSwww.liturgiaculmenetfons.it

La liturgia è essenzialmente un atto di cultoa Dio. Lo afferma con chiarezza sia la def inizionedi liturgia già proposta dall’enciclica Mediator Deidi Pio XII

- La sacra Liturgia è il culto pubblico che ilnostro Redentore rende al Padre, come Capo dellaChiesa, ed è il culto che la società dei fedeli rende alsuo Capo e, per mezzo di Lui, all’Eterno Padre: è,per dirla in breve, il culto integrale del Corpo misticodi Gesù Cristo, cioè del Capo e delle sue membra –

sia la successiva def inizione di liturgiaripresa dal Vaticano II (SC7)

- Giustamente perciò la liturgia èconsiderata come l’esercizio della funzionesacerdotale di Gesù Cristo … in essa il culto pubblicointegrale è esercitato dal corpo mistico di GesùCristo, cioè dal capo e dalle sue membra -.

Come si può costatare, la dimensionecultuale è geneticamente costitutiva della naturastessa della liturgia. Elevare tutto il popolo ad unrapporto diretto con Dio, il più possibile libero daogni distrazione, è l’intento e la meta dell’azioneliturgica. L’orientamento dello spirito, della mentee del cuore ad Deum è quindi atteggiamentoimprescindibile e condizione primaria edessenziale per porre un atto liturgico che siaconforme alla sua natura più vera e profonda.

Col termine orientamento, dunque, siintende riferirsi a questo sguardo interiore edesteriore a Dio, che nella tradizione liturgica,orientale e occidentale, si esprime con modalitàgestuali differenti, ma concordi nell’unico obiettivo:ricercare e contemplare il volto di Dio.

Data la costituzione dell’uomo di anima ecorpo, non è possibile non conformareall’orientamento interiore dello spirito la posizione,gli atteggiamenti e i gesti corporei. Infatti,pretendere di adorare con la sola anima senzacoinvolgere anche il corpo è porsi in uno statoinnaturale, costringendo l’anima a subire unacontinua frizione con le distrazioni esteriori chefrenano e feriscono il moto dello spirito nell’attodi volgersi a Dio. Dunque nella celebrazione

liturgica l’anima e il corpo insieme, in mutuasimbiosi, devono orientarsi al Signore:

Tutto il complesso del culto che la Chiesarende a Dio deve essere interno ed esterno. È esternoperché lo richiede la natura dell’uomo composto dianima e di corpo; perché Dio ha disposto che«conoscendoLo per mezzo delle cose visibili, siamoattratti all’amore delle cose invisibili» (cfr. MissaleRomanum, Prefazio della Natività)…(Mediator Dei)

Se è vero che tutta la vita del cristiano sideve svolgere sotto lo sguardo di Dio davanti allasua presenza e nell’obbedienza alla sua legge - e intal senso si possa parlare dell’intera vita come‘liturgia’, culto a Dio gradito - tuttavia, soltanto neimomenti propri del culto l’orientamento a Dio èdiretto, mentre in ogni altra azione è sempreindiretto, in quanto si deve porre attenzione aglialtri, alle cose, alle situazioni, al mondo. Possiamoallora rilevare che il volgersi in modo diretto edesclusivo al Signore, lasciando ogni altradistrazione, segna il passaggio da una attivitàqualsiasi a quella specif ica del culto, sia pubblicache individuale.

Poiché Dio è invisibile si rende necessariala mediazione dei simboli che richiamino Lui, lasua misteriosa presenza e la sua azione salvif ica.Sono i segni del sacro che si devono distinguereda tutto il complesso delle creature, che elevanocertamente al Signore, ma in modo indiretto eriflesso. Non distinguere suff icientemente il sacrodal profano incrina non poco l’orientamentoliturgico, anzi lo estingue in quanto lo priva delsuo scopo: distogliere lo sguardo dalle creature perelevarlo al Creatore. Senza tali segni le cose delmondo diventano opache ed equivochecostituendo una distrazione dal soprannaturale,che invece i segni sacri indicano in modo diretto eimmediato. In realtà è appunto il sacro autentico(ossia conforme alla vera fede) che interpretarettamente il profano e ne svela la sua origine ef inalità riconducendo ogni cosa a Colui che l’hacreata. Senza questa necessaria mediazione del‘sacro’ – dopo il peccato originale - le creature sioscurano e il loro fascino ci distoglie con facilitàdal loro Autore ed esse stesse perdono la loroidentità. Infatti, come ben si esprime il ConcilioVaticano II, “La creatura senza il Creatore svanisce”(GS 36).

Ecco allora il motivo per cui l’orientamentonel culto ha sempre espresso movimenti e segnicorporei ben noti con lo scopo di innalzare lo spiritoal mistero divino: elevare gli occhi e le braccia alcielo, volgersi al sole nascente, verso oriente o versoGerusalemme, guardare all’altare e alla croce,contemplare il SS. Sacramento o una sacraimmagine, ecc. Senza tali gesti la liturgia perde lasua forza e la sua visibilità e non potrà piùmanifestare quella sua intrinseca coralità, che laconf igura come un atto pubblico e comune delpopolo di Dio.

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IN QUESTO NUMERO

Immagine di copertina: Benedetto XVI celebra

sull’altare della Sistina (10 gennaio 2010)

2 “CONVERSI AD DOMINUM”’ - L’ORIENTAMENTO

NEL CULTO

don Enrico Finotti

6 LE DOMANDE DEI LETTORI

a cura della Redazione

10 L’ADESIONE INTERIORE ALLE NORME

LITURGICHE

mons. Athanasius Schneider

12 ALCUNE NOTE SULLA SECOLARIZZAZIONE

DELLA LITURGIA

padre Giovanni Cavalcoli o.p.

15 CONSIDERAZIONI SUL SACRAMENTO DELLA

PENITENZA

padre Giovanni Cavalcoli o.p.

17 I SANTI SEGNI

mons. Orlando Barbaro

_______________________

LITURGIA “CULMEN ET FONS”

Rivista trimestrale di cultura religiosa a cura della Associazione

Culturale Amici della Liturgia via Stoppani n. 3 - Rovereto.

Registraz. Tribunale di Trento n. 1372 del 13/10/2008

Direttore Responsabile: Massimo Dalledonne.

Tipografia “Centro Stampa Gaiardo” Borgo Valsugana (TN)

Redazione: Liturgia ‘culmen et fons’ - Editrice FEDE & CULTURA

viale della Repubblica n. 15, 37126 - VR

REDAZIONE

d. Enrico Finotti, Sergio Oss, Marco Bonifazi, Ajit Arman, Paolo

Pezzano, Mattia Rossi, Giuliano Gardumi, Fabio Bertamini.

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L’identità della liturgiaQual è allora lo scopo della liturgia? E’

quello dell’adorazione. All’uomo che si prostra conumiltà davanti alla divina Maestà Dio risponde conla santif icazione della sua creatura: due movimentiascendente e discendente che non possono maimancare e devono comporsi nel dovuto equilibrio.Nella liturgia domina l’orientamento di tutti adPatrem e in essa il rapporto reciproco tra i fratellinon è mai diretto (faccia a faccia), ma laterale:insieme, ma rivolti al Signore con lo sguardo a Lui,nel canto della sua lode, nell’ascolto della sua parola,nell’adesione al suo Sacrif icio.

Ogni altra attività invece si relaziona inmodo diretto con gli altri, con le cose e le inf initevicende della vita profana, pur semprenell’orizzonte religioso attinto dall’orazione.

Non è parte quindi della liturgia l’interaattività pastorale che si svolge nel mondo e ineriscealle mutevoli situazioni della vita. Anzi, percelebrare degnamente il culto santo, si deve usciredalla mobilità e materialità dell’affanno quotidianoper entrare al cospetto di Dio e conversare cuore acuore con Lui. Da questa estraneazione ne nasceuna potente carica caritativa che poi trasforma ilmondo. Nel contesto odierno però il ritiro sulmonte per celebrare la liturgia non è compreso e sipretende di cogliere il mistero nel tumulto dellavita e nel grigiore del quotidiano nei quali però ilmistero è svilito e silenziato. Non è possibile nondistinguere i due ambiti, come tutta la storia dellasalvezza testimonia: il ritiro sul monte per la liturgiaè condizione indispensabile per trasformare larealtà e dare vigore ed eff icacia ad ogni operaumanitaria. La confusione degli ambienti el’inquinamento dell’azione sacra con la profananon produce alcun frutto di vita spirituale, masemplicemente la secolarizzazione della fede e lamondanizzazione della Chiesa.

Occorre allora attraversare la soglia peraccedere al santuario lasciando fuori il mondo epoi riuscire da quella soglia colmi della graziadell’Onnipotente per trasf igurare il mondo. Quellasoglia oggi è rimossa e l’adorazione è distrutta dalrumore del mondo che estingue il silenzio nelquale si ode la voce di Dio. Vi è un singolare eviolento andirivieni in cui il mondo invade il recintosacro, non per accedere a esso ma per estinguerloe non ascoltarne più la voce.

Per questo Dio stabilì f in dall’antichità le normeper la costruzione del santuario e per la degnacelebrazione del culto a Lui. Il Verbo incarnato poi,nei giorni della sua vita terrena (Eb 5,7), ci diedeesempio di silenzio e di ritiro per stare col Padre,oltre che di fedele osservanza delle leggi cultuali,già da Lui comandate f in dall’antica Alleanza.

Inoltre il concetto di activa participatio sideve intendere nel modo giusto, ossia disporre,

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attraverso i riti e le preci - per ritus et preces(SC48) - stabilite dalla Chiesa, l’intera assemblealiturgica e al suo interno i singoli fedeli, ad unprofondo ed autentico orientamento interiore edesteriore verso Dio e il suo mistero. Ogni elementoche non dovesse assecondare questoorientamento essenziale, anche se introdotto innome della partecipazione attiva, produce l’effettocontrario: la distrazione da Dio e dal suo mistero.Un sintomo eloquente di vera partecipazione attivanella liturgia lo si riscontra con certezzaallorquando al termine della celebrazionel’assemblea rimane spontaneamente in silenzio ein atteggiamento di venerazione e devozione.Quando, invece irrompe immediatamente ilmovimento convulso, le chiacchiere e magari gliapplausi vi è il sintomo evidente che la liturgia siè svolta nella dissipazione senza aver realizzatoalcun effettivo orientamento al mistero, ossia hafallito proprio nella sua f inalità più specif ica.

Un fenomeno attualeAssistiamo nelle nostre comunità cristiane ad

un fenomeno ‘globalizzante’ per il quale lacelebrazione liturgica sembra essere diventatal’unica manifestazione della vita della parrocchiae in essa entra con larghezza ogni genere di attivitàpastorale, a tal punto che l’edif icio stesso dellachiesa assomiglia ad un locale multiuso dove ogniiniziativa viene accolta senza alcun discernimento.

Si intende che con questa prassil’orientamento ad Deum nell’esercizio del cultoviene alquanto compromesso se non addiritturadel tutto dimenticato.

Possiamo individuare le radici di questosquilibrio in tre cause concatenate tra di loro:l’invasione della ‘pastorale’ nel rito; lo scambio ela confusione degli ambienti; l’eccessivaaccentuazione sociologico-umanitaria dellacelebrazione stessa.

1. L’ invasione della ‘pastorale’ nel rito: tuttoe di tutto nella Messa

L’inserimento nella Messa di alcuniSacramenti e sacramentali, se fatto concompetenza e misura, secondo le modalitàstabilite nei libri liturgici, è conforme allatradizione della Chiesa. E’diverso però il caso diattività tipicamente pastorali che non hannocarattere cultuale-liturgico e che devono essererealizzate nei tempi e negli ambienti loro propri.Infatti, attività, pur a carattere religioso, maattinenti alla cultura, allo spettacolo, al folcloredebbono trovare spazio nei luoghi a ciò deputati.

Nella Messa quindi succede di tutto: i riti sonomodulati con estrema libertà a seconda dellacircostanza e con un totale asservimento al tipodi assemblea volta a volta convocata, senza piùun chiaro senso del sacro. Anniversari,

accoglienza di ospiti, discorsi di circostanza,consegna di riconoscimenti, testimonianze, piccoliintrattenimenti con i bambini, cartelloni, applausi,giornate sociali, associazioni di vario genere,raccolta di fondi a scopo umanitario, ecc. invadonol’Ordo Missae e ne alterano la struttura, l’equilibrioe la bellezza, infarcendolo di elementi estranei, dilungaggini noiose e di soggettivismi sterili.

Si è ormai dimenticata l’affermazione conciliareche la liturgia non è l’unica attività della Chiesa: Lasacra liturgia non esaurisce tutta l’azione dellaChiesa (SC 9) e anche quella che afferma l’eccel-lenza della liturgia su tutte le altre attività ecclesiali:Perciò ogni celebrazione liturgica, in quanto operadi Cristo sacerdote e del suo corpo, che è la Chiesa,è azione sacra per eccellenza, e nessun’altra azionedella Chiesa ne uguaglia l’eff icacia allo stesso titoloe allo stesso grado (SC 7).

Si rende urgente una considerazione che aiutia mettere ogni cosa al suo posto. E’ necessarioristabilire i giusti conf ini distinguendo il momentoliturgico da tutto il resto e recuperando l’identitàpropria della liturgia che deve mantenere la suanatura cultuale e il suo ambito sacro in modo taleche da un lato la liturgia assolva degnamente alsuo scopo e dall’altro le molteplici altre attività noninvadano il territorio liturgico profanando ilsantuario, perdendo esse stesse la fonte della lororigenerazione spirituale.

Coloro che volessero ancora sostenere che unasimile libertà sia conforme allo spirito della riformaliturgica del Vaticano II si scontrano con la notaaffermazione conciliare che afferma: Regolare lasacra liturgia compete unicamente all’autorità dellaChiesa…di conseguenza assolutamente nessunaltro, anche se sacerdote, osi, di sua iniziativa,aggiungere, togliere o mutare alcunché in materialiturgica (SC 22).

2. Lo scambio e la confusione degli ambienti:chiesa, oratorio, sagrato, teatro, piazza...

Non solo nelle nostre umili chiese parrocchiali,ma anche nelle cattedrali e in importanti basiliche,si tende ad ospitare ogni genere di manifestazioniche, pur conservando una certa relazione al sacro,non sono tuttavia atti propriamente di culto, mapiuttosto di natura culturale, artistico e folcloristi-co.

Ciò si verif ica quando nelle chiese si tengonoconcerti, recitals, drammatizzazioni, conferenze,tavole rotonde, congressi, ecc. Sembra ormai questauna scelta ritenuta opportuna, anzi un segno diapertura mentale, di incontro culturale, diaccoglienza dei lontani e disponibilità degliambienti ecclesiastici.

La chiesa in questo modo non è più il luogodel silenzio, della preghiera e della meditazione,ma quella sala sociale dove succede di tutto. Per dipiù è diventata un’abitudine che nel luogo sacro sipassi dai convenevoli iniziali al silenzio, limitato

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strettamente al tempo della celebrazione e subitorotto con immediatezza al termine di essa,sciogliendosi talvolta in un clima chiassoso dapiazza.

Importanti valori vengono così oscurati, comeil senso del sacro, l’orientamento a Dio, il climadell’orazione, la dimensione personale dellapreghiera nel silenzio e nel raccoglimento.

In questa situazione che senso può aver avutocorredare le nostre parrocchie di importantistrutture pastorali: teatri, auditorium, oratori, saledi riunione e di catechesi, ambienti ricreativi,cortili, sagrati, ecc.? La tradizione della Chiesa,infatti, conosce nelle strutture ecclesiali diversiambiti che proteggono l’ambiente liturgico edispongono in modo distinto e conveniente i luoghidelle altre attività ecclesiali. Chiesa e strutturapastorale è un binomio necessario, che devemantenere rigorosamente la distinzione e alcontempo l’intrinseco legame.

Ci sono anche coloro che concepiscono la chiesanon tanto come casa di Dio nella quale Egli stessoè presente e convoca il suo popolo per il culto, macome casa del popolo di Dio, luogo in cui lacomunità si esprime in ogni sua manifestazione.

Ma quale potrà essere allora il signif icato dellaDedicazione del tempio, come luogo santo,esclusivo per la liturgia e la conservazione eadorazione del SS. Sacramento?

E’ chiaro che coloro che crescono in una taleimpostazione non comprenderanno assolutamenteil senso dell’orientamento a Dio e la tipicità dellapreghiera e della sua più alta espressione, la liturgia.Essi non potranno far altro che incontrare sempree solo ciò che ‘noi facciamo’ nella continuacreatività e mutevolezza, senza poter accedere aciò che Dio opera nel silenzio e nella sobrietà delsuo mistero.

3. L’eccessiva accentuazione umanitaria delrito: rivolti solo all’assemblea con unosguardo esclusivamente orizzontale

Anche il modo concreto di celebrare rivelaquasi una ormai spontanea impostazionesociologica in ogni elemento rituale: la processioneintroitale soprattutto in certe celebrazioni solennitende ad essere un passaggio tra la gente e unreciproco salutarsi anziché un incedere sacro delsacerdote che guarda all’altare e orienta ad esso losguardo di tutti i fedeli; i riti introitali sembranoormai impiegati unicamente a ‘fare comunità’ e,dopo eccessivi discorsi di saluto e di accoglienza,gli elementi cultuali di accesso alla divina Maestà(come l’atto penitenziale) sono come travolti daun f iume esorbitante di parole e perdonototalmente la loro forza: ciò che emerge è ilsocializzare più che l’adorare. La liturgia dellaParola è pure piegata ad un criterio antropologicosociologico che sconf ina spesso in una espressionetipica della drammatizzazione e dello spettacolo;

la sacralità dei riti che circondano l’ambone el’evangeliario decade lasciando il posto di unacomune comunicazione priva di respirosoprannaturale che non richiama l’incontrocultuale con il Signore presente che parla al suopopolo; l’omelia diventa un intrattenimentodialogico e di dibattito almeno con i bambini; laprghiera dei fedeli raccoglie senza regola uninsieme di espressioni sentimentali e spontaneisticicon contenuti ripetitivi e attenti solo ad unacronaca giornalistica e locale; la processioneoffertoriale in certe occasioni si riduce ad unagglomerato di amenità portando presso l’altarequalsiasi cosa in un clima ormai totale di solidarietàf ilantropica senza alcun alito di offerta interiorein unione al sacrif icio di Cristo; la liturgiaeucaristica scorre via veloce senza quella sacralitàche le è conforme e la sua dimensione ascendentesembra estinta in nome di una totale versioneconviviale; i riti di congedo in analogia a quelliiniziali riprendono quello scambio di comu-nicazioni e quella libertà dell’incontro vicendevoleche tanto assecondano la mentalità antropologicae tutto si risolve in un comune incontroumanitario, nel quale tuttavia sembra che ilsoprannaturale e il sacramento non abbiano piùquel peso e quell’eff icacia di grazia che dovrebberoemergere sovrani in una vera e autenticacelebrazione della sacra liturgia. Infatti, tutti sitrovano a loro agio al di là di quel indispensabileverif ica che dovrebbe discernere in ognuno, ilcredente dal non credente, la vita di grazia dallavita nel peccato, il senso dell’eterno e della suamaestà e la visione terrenista, agnostica ed atea.Tale effetto non può essere certo scambiato perl’unità, la pace, la concordia, l’universalità el’accoglienza richiesti dal Signore. Questa altissimameta in realtà passa attraverso il pentimento e laconversione che possono insorgere unicamente sei santi misteri sono celebrati nelle condizioni difedeltà e di dignità che il Signore stesso ha stabilitoe la sua Chiesa ha sempre richiesto.

Conclusione

Con tale prassi, assai diffusa, anzi considerataespressione di vivacità e di aggiornamento non èpiù possibile intravvedere un’educazione al sensodel sacro, né parlare di orientamento ad Deum.Infatti ogni cosa è rivolta al mondo e ogniattenzione è riservata alla gente. Il conversare e ilrelazionarsi reciproco è prevalente e talvoltaesclusivo. Di questo passo i fedeli che esprimesseroancora un desiderio di pietà e di intimità riflessivaed adorante dovranno cercarlo fuori della liturgiadiventata la celebrazione del nostro stare insieme,delle nostre feste e delle nostre attività. Il sensostesso di Dio e della sua misteriosa presenzasvanisce. La presenza reale della SS. Eucaristia èdel tutto ignorata e la stessa comunione diventaun rito simbolico e globale di tutti i presenti senza

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alcun discernimento. Ma quale potrà essere laformazione spirituale dei bambini e giovani cheancora frequentano, condizionati da simili liturgiee quali impressioni simili esperienze potrannolasciare nella loro anima, qualora non trovasseropiù alcuna differenza tra la chiesa e il mondo, trala piazza e la casa di Dio, tra il linguaggio correntee quello dell’azione sacra?

“Non sembra che questo costume sia unprogresso, non contribuendo assolutamente a unapastorale di qualità. Perciò occorrono dei sericorrettivi, distinguendo gli ambienti (chiesa,sagrato, oratorio, teatro), def inendo i conf ini dellediverse azioni ecclesiali (liturgia, spettacolo,socializzazione, folclore, ecc.). È inevitabile che ciòrichieda maggior impegno e preparazione, tuttaviapotrà garantire il f rutto di una più sicuramaturazione, di una più nobile celebrazione e diuna più degna testimonianza”1.

Il Signore però non abbandona la sua Chiesa edè consolante che molti giovani, laici e sacerdoti,stiano riscoprendo il senso vero e sacro dellaliturgia e abbiano una spiccata e vigile attenzioneai veri fondamenti di una celebrazione liturgicasecondo il cuore di Cristo nella perenne tradizionedella Chiesa. Ad essi il nostro sursum corda per lanobile e grata missione di un autentico ritorno aDio nel senso più profondo del conversi adDominum.

1 FINOTTI, E.., Vaticano II 50 anni dopo, Fede&Cultura, 2011,p. 341

1. Spettabile redazione vorrei unchiarimento: nel mio recente pellegrinaggioa Roma il nostro parroco ha celebratosovente ad un altare laterale delle basilicheche abbiamo visitato. Ma ciò è possibile dopola riforma del Concilio?

(lettera f irmata)

Questa domanda è quanto mai opportuna perchéin sintonia col tema trattato in questo numerodella rivista Conversi ad Dominum. Si devericonoscere che celebrare la parte sacrif icale dellaMessa (dall’offertorio alla comunione) rivolti nelmedesimo senso verso il quale guarda l’interaassemblea, secondo la tradizione costante dellaChiesa, suscita in modo immediato ed eff icacequel comune (sacerdote e popolo) guardare adDeum che è costitutivo della liturgia. Taleorientamento si realizza anche quando si celebrasull’antico altare al di là del fatto che la chiesa siaf isicamente orientata: tutti sono rivolti al Signoresecondo l’invito del prefazio: Sursum corda.Habemus ad Dominum

Occorre osservare che la celebrazione verso ilpopolo è una soluzione ancora recente, chenecessita di ulteriore valutazione. Infatti ilvolgersi ad oriente è la norma originale, antica esecolare dell’intera Chiesa, in oriente e inoccidente. Ne è eloquente testimonianza la prassiliturgica ancor attuale di tutte le liturgie orientali.Il diritto liturgico vigente, tuttavia, consideraambedue le posizioni: quella antica e semprevalida del volgersi all’altare classico con al centrola croce (l’oriente liturgico) e quella postconciliaredi volgersi verso l’assemblea dei fedeli su un altarenuovo f isso o mobile, pur con l’orientamentointeriore sempre ad Deum.

Il fatto che in questi ultimi decenni postconciliarisi sia adottata la soluzione ad populum nonsignif ica che in un clima di rinnovata ecompetente rif lessione si possa ritornare ad unequilibrio più saggio che non dimentichil’orientamento rituale ad Patrem, ma lo integricon animo sereno con la nuova modalità adpopulum. Ciò ha per molti un sapore anticonciliaree tradizionalista, ma non è così per chi vuoleessere intellettualmente onesto, teologicamentepreparato e pastoralmente sensibile.

Le domande dei lettoria cura della Redazione

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E’ bene mettere in evidenza anche alcune possibiliderive della attuale prassi ad populum:

1. La riduzione della Messa da sacrif icio a solamensa. Le due anime sono essenziali e indissolubili,ma richiedono ambedue una adeguata espressionevisibile: il volgersi al Padre nella prece eucaristicasi compone col volgersi ai fedeli nella santacomunione. Nella celebrazione esclusiva epermanente ad populum la spinta ascendente delSacrif icio (offertorio-canone) è ritualmente piùdebole, mentre il rapporto orizzontale del convivio(comunione) tende ad essere totalizzante.

2. L’incrinatura dell’unicità dell’altare e della suacontinuità storica. Un altare posticcio permanentepone il problema di un duplice altare e della dignitàdell’altare stesso, inoltre crea una frattura nellacontinuità sempre attuata con l’altare di sempre.Gli altari storici e monumentali devono esseretotalmente abbandonati? Si tratta di valutare ladiversa conf igurazione tipica di ogni chiesa.

3. Il sacerdote non appare più in atto sacrif icalerivolto in persona Christi ad Patrem portando sudi sé il popolo cristiano. Infatti se quando insegna(ambone) o guida (sede) l’assemblea con l’autoritàdel Signore si volge al popolo, quando invece rendepresente il sacrif icio incruento dell’altare si deverivolgere al Padre con quelle modalità ritualiinequivocabili che conf igurino il sacerdote nelmedesimo modo che il Signore stesso assunseimmolandosi sulla croce. La centralità della croceribadita da Benedetto XVI, anche e soprattutto perl’altare al popolo, vuole assicurare questadimensione sacrif icale, che tende a non essere piùpercepita.

In conclusione è necessario accogliere con paririspetto le due modalità oggi previste dalla Chiesasenza voler escludere in modo polemico una ascapito dell’altra. E’ necessario che vi sia nellaChiesa un rinnovato clima di accoglienza perpermettere a sensibilità e tradizioni diverse diattuare senza inutili discriminazioni le due formedi celebrare il divin Sacrif icio.

2. Un tempo i nostri sacerdoti, durantel’adorazione eucaristica stavano in ginocchiodavanti all’altare, ora stanno sempre seduti oall’ambone per animare … anche il rosario èproposto dall’ambone … praticamente non sivede più il sacerdote inginocchiato e rivoltoall’altare. Vi sono disposizioni in merito?

(un’adoratrice)

Anche questa domanda è pienamente in tono coltema Conversi ad Dominum. Si tratta di valutare seresta ancora nella prassi liturgica attuale unrichiamo almeno minimale all’orientamento.Sembra poter constatare che effettivamente nella

pratica rituale di molte comunità non vi sia ormaipiù un momento tassativo nel quale il sacerdote sivolga verso l’altare nel modo tradizionale. Comemai?

Se si considera ad esempio l’esposizione-adorazione-benedizione eucaristica si noterà chel’intero rito si svolge sul lato dell’altare che guardail popolo in analogia con la posizione del sacerdotenella Messa. Sembra infatti che il fatto ormaiassodato di celebrare sempre rivolti al popolo nonconsideri più la possibilità di un accesso all’altarediverso come potrebbe essere il lato anteriore. Edecco che il sacerdote espone il SS. Sacramento eimparte la benedizione nel versante verso il popolo.Anche l’adorazione è proposta in quella posizione,provocando tuttavia alcune conseguenze: ilsacerdote, qualora si inginocchi, scompare dietroall’altare e così non appare più alla testa del popolonel suo gesto di prostrazione adorante. Talvoltaper l’assenza dei gradini il sacerdote stesso sta inpiedi, oppure si reca all’ambone per l’animazioneo alla sede per la riflessione. Così anche nei riti delculto eucaristico fuori della Messa l’orientamentoè scomparso e il popolo f inisce per non vedere maiil sacerdote rivolto insieme all’intera assembleaverso il Signore. E così per analogia quasi tutti glialtri riti e pii esercizi vengono presieduti standoversus populum, come il rosario, la via crucis, ecc.

E’ allora necessario assumere la posizione orientataverso l’altare per l’adorazione del SS. Sacramento,richiedendo che almeno una pedana circondil’altare per potersi agevolmente inginocchiare.Qualora mancassero i gradini dell’altare non sideve escludere l’uso dell’inginocchiatoio. Anchela recita del rosario dovrebbe essere fattaguardando all’immagine della Vergine.

3. La nostra è una chiesa molto bella, ma èsempre invasa da cartelloni e oggetti di ognigenere. Si dice per far partecipare i bambini.Anche i turisti ci ripetono che tutto questomateriale dovrebbe essere tolto almeno perun certo buon gusto, che rispetti la sacralitàe la bellezza artistica della chiesa… (unsacrista)

Nelle nostre abitazioni la gente oggi ha acquisitouna spiccata sensibilità nella proprietà degliambienti e nella disposizione dell’arredo e in genereama l’ordine e la pulizia. Diff icilmente i genitoripermettono ai loro bambini di invadere con i lorogiochi o disegni le parti nobili della casa. Di solitosi tende a creare la stanza dei bambini col disordinetipico della loro vivacità. Ora la Chiesa ha semprefatto così. Mentre nelle sale dell’oratorio vi eranogli spazi per i vari gruppi personalizzati a secondadell’età, la chiesa è sempre stata mantenuta conproprietà, decoro e sacralità. E’ curioso che mentrein casa ci si ispira al buon senso, in chiesa sia

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dimenticata con tanta superf icialità ogni regola dibuon gusto e di proprietà.

Non si capisce perché le foto dei comunicandi edei cresimandi o l’itinerario della catechesi o glieventi del folclore locale debbano essere esibite inchiesa, talvolta in presbiterio e in zona di massimaattenzione. Si tratta di distinguere l’ambiente dellapreghiera e della celebrazione da quello delle altreattività pastorali. Questa invasione di campoinnanzitutto lede la bellezza dell’arte, la visibilità ele linee di splendidi altari, lo spazio sacro e lasobrietà e proprietà dei vari settori della chiesa. Ifedeli, ma anche i visitatori hanno diritto di pregaree di contemplare la loro chiesa in tutto lo splendoredella sua genialità e di gustare il fascino delle opered’arte in essa contenute in un ambiente che rispettisia l’oggettiva struttura e monumentalità, sia lasacralità propria di un edif icio religioso. Non tuttociò che è buono e che fa parte di una normale vitaecclesiale è anche conforme al luogo sacro. Lachiesa è luogo di preghiera, di silenzio e dicontemplazione. Essa deve elevare e facilitarel’incontro soprannaturale col Signore, ricorrendoai carismi propri dell’arte con materiali e creazionidi sicura qualità, lontani dalla mediocrità e senzadistrazioni di sorta.

Questa confusione degli ambienti, invece, si ritorcecontro una sana educazione religiosa sia degliadulti che dei bambini. Infatti, gli adulti vedendola chiesa trattata come un’aula di scuola o dioratorio assumono a poco a poco l’idea che la chiesae la liturgia siano cose puerili e debbano essererivolte permanentemente ai fanciulli (giova-nilismo). All’oggettistica si aggiungerà poi unaritualità, un linguaggio e una musica pure infantili.Verrebbe così a mancare nel popolo cristiano ilsenso ‘virile’, serio e importante della liturgia, qualeopera del popolo nella sua più alta espressionepubblica e comune. La liturgia potrebbe così darela medesima impressione che i nonni hanno nelpartecipare al recital della scuola materna o simili.A lungo andare una pastorale liturgica impostataprevalentemente in questo modo f inisce perderesponsabilizzare il popolo cristiano nel suocomplesso e nei fedeli adulti che rivestono ruolieducativi, culturali e sociali: essi non avrebbero piùla percezione della liturgia nella sua espressionepiù alta e matura, quale culmine e fonte della vitadella Chiesa. Che ne è, infatti, oggi della liturgiasolenne? Da essa sono sgorgate le manifestazionipiù elevate della civiltà cristiana, la costruzionedelle cattedrali, l’impiego della pittura, dellascultura, della letteratura e della musica,imprimendo nella società il senso dellatrascendenza e, nel mentre si proclamava nel cultocorale e solenne i diritti e il primato di Dio, siponevano le basi della dignità e dei diritti dell’uomocon le annesse confraternite e strutture per le operecaritative. Possiamo dilapidare un così grandepatrimonio e oscurare questa grandiosa prospettiva

in nome di una riduzione banale, debole e senzafondamento della liturgia, travolta dalla f ranainesorabile dell’eff imero?

Ma gli stessi bambini e giovani sono danneggiati sulpiano educativo della crescita e in futuro dellapartecipazione attiva alla liturgia e alla vita dellaChiesa. Essi infatti collegherebbero la liturgia, sempresu loro misura, ad un’esperienza che con l’età dovràessere abbandonata in vista dell’entrata nel mondodegli adulti. Essi non essendo mai venuti a contattocon l’alta e nobile forma della liturgia della Chiesa(riti, canti, tradizioni, ecc) f iniranno per abbandonareben presto la forma infantile della loro liturgia pervolgersi ad altri lidi che troveranno fuori dellacomunità cristiana, ritenuti più conformi al progettodi una maggiore maturità umana e sociale. Insommala ‘messa per i bambini’ e la ‘liturgia giovanilistica’, sesono proposte come esperienze permanenti e nonepisodiche, diventerebbero la fucina di futuri nonpraticanti e forse di non credenti. In tal senso nonpotrebbe far pensare a ciò forme di catechesi e dicelebrazione che hanno come esito il congedo dallachiesa dopo la Confermazione?

Possiamo ritenere suff iciente che la grande formadella liturgia sia introdotta solo in un’età adulta? Chesarebbe se si dovesse cominciare ad insegnare lalingua italiana solo nell’età della maturità? Il bambinof in dai primissimi anni è in grado di ricevere il gustoartistico, musicale ed estetico con grande porosità enon è indifferente che questo contatto col bello, ilnobile e lo splendore del vero sia stato o no offertof in dal risveglio della vita cristiana. I grandi genif ioriscono in ambienti elevati, così i santi colgono ilnettare della sacralità e bellezza liturgica f in dallapiù tenera età. Ma occorre offrirla loro con generositàe fede nell’azione della grazia, che opera non nellenostre invenzioni e teorie, ma nella fedeltà allaliturgia della Chiesa, celebrata in modo conforme allasua più vera e nobile identità.

4. Recandomi per la confessione in un vicinosantuario sono stata colpita dalla posizioneraccolta e immobile di un sacerdote raccolto inpreghiera. Mi sono chiesta: ma anche i sacerdotipregano? Siamo abituati a vederli trafelati inmille cose e anche durante la Messa sembranotutti presi dalla conduzione del rito e pare cheper loro la calma della preghiera non ci sia,impegnati come sono nel tenere desta l’at-tenzione della gente. Un sacerdote, dimenticodi tutto e raccolto in preghiera, mi è parso unanovità e mi ha colpito al punto che non hovoluto disturbarlo… (lettera f irmata)

Anche se questa testimonianza non si riferiscedirettamente alla liturgia è tuttavia interessante peril tema qui trattato Conversi ad Dominum.

I fedeli attenti e sensibili osservano i loro sacerdoti edai loro comportamenti ne traggono considerazioni

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interessanti. Possiamo chiederci: perché questostupore se dovrebbe essere normale che unsacerdote preghi? Passando dal caso dell’orazionepersonale a quello specif ico della liturgia potremmointerrogarci sul modo di celebrare e verif icare se ilsenso della preghiera passi suff icientemente dall’arscelebrandi dei ministri di ogni ordine e gradoall’assemblea convocata. Infatti se non passa questadimensione cosa altro dovrebbe offrire la liturgiadal momento che essa stessa è di sua natura lapreghiera pubblica e integrale del popolo di Dio?

Forse è opportuno mettere in luce quali dovrebberoessere le fondamentali disposizioni interiori e irelativi gesti esteriori che il sacerdote deve assumerenell’azione liturgica:

* posizione latreutica: il sacerdote rappresenta ilSignore stando alla testa del popolo rivolto a DioPadre nello stesso senso dell’assemblea. Egli tieneil posto di Cristo sommo sacerdote che, quale capodella Chiesa, guida e precede i fratelli nella lodeadorante al Padre. Ciò si verif ica in particolarenell’offerta del Sacrif icio eucaristico e in tutti queiriti che, volgendosi alla divina Maestà, esprimonol’adorazione, la lode e la supplica. Tipico dellaposizione latreutica è il gesto delle mani elevate ogiunte e l’orientamento del corpo e dello sguardoverso un simbolo sacro. L’altare è il luogo santo cheè tutto pervaso dall’ascesa latreutico-sacrif icale:corpo, mani e occhi si elevano nella comuneattrazione verso il mistero.

* posizione kerigmatica: il sacerdote con l’autoritàdel Signore si volge al popolo per annunciare espiegare la parola di Dio. E’ la posizione che siassume nella liturgia della parola e in particolarenell’omelia. La sede e l’ambone sono, infatti, luoghiadatti all’istruzione e alla guida del popolo.

* posizione epicletica: il sacerdote si volge ai fedeliper agire su di loro santif icandoli con i medesimigesti comandati dal Signore. Ciò si verif ica quandoil sacerdote celebra i sacramenti, amministra ilCorpo di Cristo e imparte le benedizioni. Tipicodell’epiclesi è l’imposizione delle mani e ilrelazionarsi ad homines.

Queste tre dimensioni si vedono chiaramente nellavita del Signore come si legge nel santo Vangelo.Infatti, Gesù si ritira in preghiera, eleva gli occhi alcielo, rimane a lungo in intimità col Padre f ino alvertice ascendente dell’offerta del suo sacrif icio,incruento nel cenacolo e cruento sulla croce(aspetto latreutico); annuncia la parola e spiega aidiscepoli e alle folle la dottrina celeste (aspettokerigmatico); opera i miracoli nella potenza delloSpirito e risana tutti, f ino a donare a loro il suoCorpo e il suo Sangue (aspetto epicletico).

Sembra che oggi gran parte della liturgia, almenonella sua attuazione pratica, si sia ridotta ai soli duemovimenti kerigmatico-catechistico ed epicletico-comunicativo con la scomparsa o la forte riduzionedella posizione latreutico-contemplativa.

Occorre inoltre affermare che l’aspetto latreuticocoinvolge intimamente gli altri due e ne costituiscel’orizzonte necessario. Infatti, sia l’annunzioliturgico della Parola, sia l’amministrazione delsacramento sono intrinsecamente atti di culto, inquanto il discepolo si sottomette al maestro divinoche insegna e al medico celeste che risana. Eccoperché sia la liturgia della parola come ilconferimento del sacramento devono esserecelebrati in un clima cultuale di adorazione e dilode, stando alla presenza di Dio che parla e operala nostra salvezza. La crisi dell’aspetto lateutico,quindi, colpisce non solo questo aspetto primario ecentrale della liturgia, ma anche quella didascalicae sacramentale, che perdono la loro intrinsecaf inalità e sacralità. Infatti, parola e sacramentohanno come loro f ine l’adorazione beatif icante,quaggiù nell’oscurità della fede, lassù nella lucedella gloria.

Il fatto che la posizione orante del sacerdote vengaoscurata non è allora cosa di poco conto e rivelaquel def icit sacrif icale che è appunto segnalato dalsensus f idei di tanti fedeli.

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INTERVISTA A MONS. A. SCHNEIDER,VESCOVO AUSILIARE DI ASTANA

KAZAKHSTAN (II parte)

L’adesione interiore allenorme liturgiche

L’osservanza delle norme liturgiche stabilitedalla Chiesa subisce oggi una diffusadisaffezione quasi fossero un ostacolo allalibertà dello spirito e alle esigenze dellaconcreta assemblea. La loro fedele attuazioneaiuta o estingue l’adorazione interiore?

Il fatto che ci siano delle precise normeliturgiche da osservare fedelmente, appartiene allaRivelazione Divina. Dio stesso ha regolato il Suoculto nell’Antica Alleanza (cf. i Libri di Esodo eLevitico). Le norme liturgiche devono però essereeseguite con adesione interiore, cioè con il cuore,anche questo atteggiamento è legge divina (Is.29,13: “Questo popolo Mi onora con le labbra,mentre il suo cuore è lontano da Me”). Fareun’opposizione tra queste due leggi divine (normeesteriori e attenzione del cuore), o un’opzione traqueste due leggi, sarebbe contro la verità Divina.Un tale contrasto ha spesso caratterizzato variecorrenti ereticali, che trascuravano oppurerif iutavano le norme esterne, ad es. i Gnosticicristiani nel II secolo; gli Albigesi nel XII-XIIIsecolo; i Calvinisti nel XVI secolo; i Pentecostalicattolici e i Progressisti cattolici di vari gradi ainostri giorni. Il modello più sublimedell’osservanza esteriore delle norme liturgiche eallo stesso tempo della loro attuazione con il cuorelo ha dato Gesù Cristo stesso. Dio Lo ha esauditoa causa della riverenza, con la quale Gesù hapraticato la preghiera: “Egli nei giorni della Suavita terrena offrì preghiere e suppliche… e fuesaudito a causa della Sua riverenza” (Eb. 5, 7). IlSignore, la Sua Santissima Madre Maria e sanGiuseppe hanno fedelmente osservato tutte lenorme liturgiche. San Tommaso d’Aquino dicenell’inno “Pangue lingua”, che Gesù ha osservatopienamente l’antica legge del culto Divino:“observata lege plena”, poiché Lui non è venutoad abolire la legge, ma a portarla a compimento ealla perfezione (cf. Mt. 5, 17). Lo spirito liturgicodel Divino Salvatore si esprime quindi nella fedeleosservanza delle norme esteriori insieme conl’attenzione interiore del cuore; questo era, è erimarrà sempre una caratteristica essenziale dellaliturgia della Chiesa. Gli Apostoli hanno trasmesso

questo spirito e la Chiesa per duemila anni lo hafedelmente conservato. Trascurare le normeliturgiche esteriori ha sempre avuto odore dieresia.

San Tommaso d’Aquino spiegaval’indissolubile connessione tra gli atti interni e gliatti esterni dell’adorazione e del culto:”Prestiamoa Dio riverenza ed onore non per lui stesso, che insé è così pieno di gloria, che nessuna creatura puòaggiungergli nulla, ma per noi: poiché mediantela riverenza e l’onore che prestiamo a Dio la nostramente a lui si sottomette, raggiungendo così lapropria perfezione. Infatti ogni essere raggiungela perfezione per il fatto che si subordina a unarealtà superiore: il corpo, p. es., per il fatto che èvivif icato dall’anima, e l’aria perché è illuminatadal sole. Ora, l’anima umana per unirsi a Dio habisogno di essere guidata dalle cose sensibili:poiché, come dice l’Apostolo, “le perfezioni divineinvisibili, comprendendosi dalle cose fatte, sirendono visibili”. Perciò nel culto divino ènecessario servirsi di cose materiali come di segni,mediante i quali l’anima umana venga eccitata alleazioni spirituali che la uniscono a Dio. La religione,quindi, abbraccia atti interni, che sono principalied essenziali per la religione; e atti esterni, che sonosecondari e ordinati a quelli interni.” (Sommateologica, II-II, q. 81, a. 7 c).

Riguardo alle norme liturgiche la ChiesaRomana manteneva sempre il principio formulatonel III secolo dal santo Papa Stefano I: “nihilinnovetur, nisi quod traditum est”. Innovazioni concarattere di rottura o di contrasto con la tradizioneerano sempre rigettate da parte della ChiesaRomana. Nell’inizio del V secolo il santo PapaInnocenzo I (nell’epistola a Decenzio, vescovo diGubbio) si opponeva a tali innovazioni,affermando in questa lettera la seguente norma:ciò che hanno trasmesso gli Apostoli, i sacerdotidevono integralmente osservare; nessuna diversitàe nessuna varietà sia ammessa nella celebrazionedel santo Sacrif icio; tali innovazioni non sono statetramandate, ma apparsero perché ciascuno haintrodotto quello che a lui piaceva (“unusquisquenon quod traditum est, sed quod sibi visum fuerit”);tali innovazioni arbitrarie scandalizzano il popolo(“f it scandalum populis”), tali innovazionicorrompono per umana presunzione le antiquetradizioni (“traditiones antiquas humanapraesumptione corruptas”). La Chiesa Romananelle norme liturgiche costodiva sempre le regoleantiche trasmesse dagli Apostoli o dagli uominiApostolici (“regulas veteres, quas ab Apostolis velapostolicis viris traditas Ecclesia Romanacustodit”: Ep. 17, 9). Nelle posteriori riformeliturgiche la Chiesa Romana seguiva sempre “lanorma antica dei Padri” (“pristina norma Patrum”).Questa “norma antica dei Padri” è stata messa inrisalto sia da San Pio V (nella Bolla “Quamprimum”) sia dal Concilio Vaticano II (cf.

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Sacrosanctum Concilium, 50). Inoltre il ConcilioVaticano II ha formulato questo principio: “Non siintroducano innovazioni se non quando lo richiedauna vera e accertata utilità della Chiesa, e conl’avvertenza che le nuove forme scaturiscanoorganicamente, in qualche maniera, da quelle giàesistenti” (Sacrosanctum Concilium, 23).

Giacché nella liturgia della Santa Messa siottiene con la massima eff icacia la santif icazionedegli uomini nel Cristo e la glorif icazione di Dio(cf. Sacrosanctum Concilium, 10), una veraparticipazione attuosa dei fedeli nella sacra liturgia,deve essere sempre interna e allo stesso tempoesterna, come lo ha insegnato il Concilio VaticanoII: “Ad ottenere però questa piena eff icacia, ènecessario che i fedeli si accostino alla sacra liturgiacon retta disposizione d’animo, armonizzino la loromente con le parole che pronunziano e cooperinocon la grazia divina per non riceverla invano (cf. 2Cor 6,1). Perciò i pastori di anime devono vigilareattentamente che nell’azione liturgica non solosiano osservate le leggi che rendono possibile unacelebrazione valida e lecita, ma che i fedeli viprendano parte in modo consapevole, attivo ef ruttuoso (scienter, actuose et f ructuose).”(Sacrosanctum Concilium, 11).

L’opzione preferenzialeper il più povero

Gesù Eucaristico, ovvero Gesù Cristorealmente, personalmente sostanzial-mente presente sotto le specieeucaristiche, in Corpo, sangue, Anima eDivinità, è davvero il più povero, il piùdebole e il più indifeso nella Chiesa.Esiste una povertà maggiore della pover-tà delle specie eucaristiche? Una perso-na divina ha liberamente scelto nonsoltanto di assumere la povertà dellanatura umana, occultando la Sua propriadivinità, ma per di più ha scelto di occul-tare l’esteriorità della Sua propria naturaumana, rendendosi presente sotto lespecie visibili e materiali del pane e delvino. Nell’Ostia Santa Gesù ha rivelato erealizzato in maniera insuperabile questaverità: “Da ricco che era, si è fatto pove-ro per voi” (2 Cor 8,9). Nella presenzaeucaristica Gesù si è spogliato nonsoltanto della Sua ricchezza divina eumana ma anche della Sua forza epotenza divina e umana. Che cosa c’è dipiù fragile e debole della piccola OstiaSanta? E non soltanto l’Ostia Santa maogni suo piccolo frammento è l’interoGesù Eucaristico! Che povertà e chedebolezza! Ed è in virtù di questa pover-tà e di questa debolezza che Gesù hafatto di sé il più inerme nella Chiesa e inquesto mondo. Nel Suo stato eucaristicoil Figlio di Dio ha rivelato e realizzato ilSuo più profondo auto-spogliamento (cf.Fil 2,7).Esiste oggi nella Chiesa a livello quasiuniversale, una pratica liturgica di trattareil corpo eucaristico di Cristo nel rito dellaComunione in una maniera daevidenziare un sorprendenteminimalismo di culto esteriore di adora-zione, una preoccupante incuria neiconfronti dei frammenti dell’Ostia Santaed una indifferenza incomprensibilerispetto alla vulnerabilità (vale a direl’essere indifeso) dell’Ostia consacratadurante la distribuzione della Comunio-ne...(A. Schneider, Corpus Christi, pag. 89-

90, Libreria Editrice Vaticana)

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LITURGIA E DOGMA

Alcune note sullasecolarizzazione dellaliturgia

padre Giovanni Cavalcoli o.p.

docente di Teologia Sistematica

Accademico Pontif icio

Il gesto esterno o il modo di pronunciare leformule di rito nella celebrazione liturgica nontoccano necessariamente la sostanza delsacramento, che può restare valido ed eff icace peri fedeli, e tuttavia, se sono inappropriati oinadeguati o inadatti ad esprimere correttamentee dignitosamente gli atti essenziali da compiere,soprattutto in relazione alle norme della Chiesa,possono essere addirittura il segno indiretto,magari inconsapevole, di una visioneprofanata della stessa liturgia, che così nonè più un atto di fede, ma una faccendaumana come quella del cuoco, dell’attoreo del prestigiatore.

Non c’è bisogno di spendere molteparole per ricordare quel fenomenoincrescioso per non dire scandaloso, moltodiffuso e poliforme, che potrebbe esserdesignato col nome di “liturgia secolaristica”o per converso “secolarismo liturgico”,molte volte denunciato dalle persone pie,devote e attente alla sacralità dellecelebrazioni liturgiche, proprio così comesono prescritte dalla riforma promossa dalConcilio Vaticano II, al quale indebitamenteinvece si appellano coloro, purtropponumerosi anche tra i sacerdoti e forse anchevescovi, i quali pretendono di avallare illoro secolarismo profanatore con lacopertura dell’autorità del Concilio o delcosiddetto “spirito del Concilio”.

Il secolarismo liturgico è uno degliaspetti del più generale fenomeno delsecolarismo teologico e morale, che hacorrotto non solo la liturgia, la qualemaggiormente ne risente, ma anche altrisettori della vita e dello stesso pensierocristiano, come la concezione della Chiesa,del sacerdozio, della vita religiosa, dellaspiritualità, della morale e della teologia. Ilsenso stesso del divino è stato compromes-

so, diventando una specie di buonismo pacioccone,facilone ed abitudinario.

Nel secolarismo, come dice la parola stessa,emerge, come fosse un assoluto, il “secolo”, ossia ilmondo o, se vogliamo, l’umano, il profano, il laicale,l’eff imero, il terreno, la storia, l’”orizzontale”, comesi diceva qualche decennio fa. Naturalmente Dioviene ammesso, ma non come veramentetrascendente, non come Dio “che abita nei cieli”, ma,con la scusa dell’Incarnazione, come Diomaterializzato, mondanizzato, storicizzato,banalizzato. Non si distinguono più le due naturedi Cristo ma si appioppano senz’altro alla naturadivina miserie proprie della natura umana, la suamutabilità, la sua fragilità, la sofferenza, la stessaignoranza. Viene fuori un “Dio” disgraziato che nonha pietà, ma fa pietà.

Anche quando si parla di “trascendenza”, di“soprannaturale”, di “grazia”, come nella teologia diRahner, tutto ciò è posto in una visuale di fondo ditipo idealistico-immanentista, nella quale il reale sirisolve nel mio pensiero, per cui tutto, anche Dio sirisolve nell’uomo e nel pensiero e nell’attivitàdell’uomo.

Quanto alla teologia della liberazione, ilsecolarismo è evidente ed esplicito con la sua

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tendenza ad assegnare al cristianesimo come f inequello di instaurare la giustizia, la pace, la libertà ela felicità semplicemente in questo mondo, con unaconcezione della Chiesa di tipo meramente politico,“dal basso” (Iglesia popular), una Chiesa quindisenza gerarchia, dove non è Cristo, ma il popoloche sceglie i pastori.

Nel secolarismo sono colpiti evidentemente ivalori più elevati, che stanno più vicino al “cielo”:appunto la liturgia, l’ascetica, la mistica, la santità,la religione, la teologia. Viceversa restano abbastanzaimmuni quei valori che per loro naturaappartengono a questo mondo, come la condizionelaicale con tutte quelle attività terrene che lecompetono (economia, lavoro, commercio, politica,scienza, tecnica, medicina, educazione,giurisprudenza, matrimonio, attività militari, ecc.),anch’esse ovviamente via alla santità, ma che perloro natura restano conf inate a questo mondo enon riguardano quello futuro.

In sostanza, nel secolarismo si ha unaprofanazione del sacro e simultaneamenteun’esagerata valutazione del profano, del “secolare”,che tende a sostituirsi al sacro, considerato una cosaormai desueta, mitologica, primitiva, propria di unareligiosità medioevale, superstiziosa e superata.

Osserviamo allora che il medico esperto, dapiccoli fenomeni esterni nel paziente,apparentemente insignif icanti, riesce adiagnosticare una grave malattia, anche se è veroche ci sono persone che sembrano vicine alla morte,ma in realtà hanno una costituzione f isica cosìrobusta, che le conduce alla tarda vecchiaia.

Così da piccoli segni è possibile, se facciamoattenzione, riconoscere un’impostazione di fondosecolarista. Di questi segni ormai ne sono notimolti, sui quali pertanto non intendo fermarmi,come per esempio il protagonismo del celebrante,la fretta e la sciatteria oppure all’opposto le inutililungaggini con le quali si celebra la Messa, gliinterventi arbitrari del celebrante nel mutare,aggiungere e togliere, dettati da un’eccessivapreoccupazione di adattarsi alle circostanze, cosache però a volte mette e rischio l’essenza della Messa,una sguaiata ed inopportuna festosità, anche nelleMesse per i defunti, che fa dimenticare l’aspettodella mestizia e del sacrif icio, i canti chiassosi eprofani nella Messa, la mancanza di intervalli disilenzio, di raccoglimento e di atteggiamentireligiosi. Celebrazioni dove non c’è la pietà, la pietas,ma che fanno pietà.

Vorrei invece qui fermarmi su sei punti, chenon mi pare vengano messi abbastanza in luce ecolti nel loro signif icato secolaristico.

Primo. Il modo col quale il celebrante parla epronuncia le formule del rito, soprattutto il Canoneo Preghiera eucaristica. Non si ha l’impressione checreda veramente a ciò che dice. Manca il tono della

supplica, dell’implorazione, dell’invocazione daparte di chi sente il dolore per i propri peccati, ilpericolo della dannazione e invoca con f iducia ladivina misericordia. Il tono della voce è invece quelloche potrebbe avere il vigile urbano che dàindicazioni a un passante su come trovare una datastrada o dell’impiegato postale che istruisce il clientesugli aumenti delle affrancature. Confusione tra ilsacro e il profano.

Secondo, la direzione dello sguardo, che incerti momenti anche per prescrizione rubricisticadovrebbe essere rivolto verso il cielo. Il CanoneRomano prescrive, infatti, nel momento solennedell’epiclesi che il celebrante, ad imitazione diCristo, volgae lo sguardo al cielo, cioè al Padre, cheè nei cieli. Perché nelle chiese antiche la volta èaffrescata? Evidentemente per aiutare l’occhio aguardare in alto. Qual è quel celebrante che siattiene a questa norma, una cosa che dovrebbeessere spontanea? Così parimenti capita checelebranti e popolo al Padre Nostro “che sei nei cieli”,invece di volgere lo sguardo verso l’alto, come delresto vediamo in tutta l’iconograf ia agiograf ica dasempre, eccoli tutti a guardare in basso o allapredella dell’altare o le scarpe dei concelebranti edei fedeli. Oppure, bene che vada, in unatteggiamento che andrebbe meglio per lameditazione o l’esame di coscienza o, peggio,assomiglia alla meditazione buddista alla ricerca delDio immanente coincidente con l’autocoscienza.Guardare non in alto (il sacro) ma in basso (ilprofano).

Terzo. La manìa di aggiungere spiegazioni,commenti, excursus, raccomandazioni, esortazioni,battute di spirito, avvisi all’interno del rito,credendo forse di essere più “pastorali”, quasi che ilrito non sia suff icientemente espressivo ointeressante da se stesso, ma avesse bisogno diintegrazioni o supplementi, come avviene in quellereligioni sincretistiche dove si pensa che Cristo, laMadonna e i Santi non bastino, ma occorrano altreassicurazioni con idoli o personaggi o santoni presida chissaquali superstizioni indigene primitive, chesconf inano nella magia e nel folklorismo.Inserzione indebita del profano nel sacro.

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Quarto. Dopo la consacrazione il celebranteinnalza sull’altare il pane e il vino consacrati. Chesenso ha questa elevazione? Un tempo venivanoelevati ad una certa altezza, al di sopra del capo delcelebrante. Perché? Per signif icare che l’offerta erafatta a Dio, a quel Dio che è nei cieli, al di sopradell’uomo.

Era un gesto molto signif icativo nella lineacon l’offerta del sacrif icio. Non solo, ma il celebranterestava un certo tempo in questo gesto d’offerta, inmodo che le oblate potessero essere contemplatedal popolo e ad esse potesse volgersi uno sguardoorante ed adorante con la posizione del corpo inginocchio.

Invece oggi talvolta l’elevazione non apparecome un devoto atto di offerta ed un invito allacontemplazione orante, fatto con “timore etremore”, ma il celebrante si limita a mostrare leoblate ai fedeli tenendole più in basso del suo capo.Non si tratta più di una vera elevazione, di un veroatto religioso, ma di una esibizione e per giuntaaffrettata, tanto che i fedeli non hanno neppure iltempo di guardare, contemplare, adorare, pregare,ammirare.

Si alza e si abbassa l’ostia e il calice di scatto,con una sola mano, come si potrebbe fare permostrare un bicchiere o una mela, mentre un temposi usavano entrambe la mani con movimento lentoe solenne, a signif icare la partecipazione e ilconcorso del nostro intero essere anima e corpo,ad un Mistero grande e di inf inita maestà, Rextremendae maiestatis, così come faremmo seavessimo in mano un dono preziosissimo da offriread un’altissima personalità.

Sembra che ci sia in qualche celebrante unaspecie di paura o di ritegno ingiustif icato, quasiun imbarazzo. Perché? L’eucaristia sembra a volteessere diventata un oggetto sì importante, ma inf in dei conti una cosa che si mostra per unmomento un po’ come il negoziante mostra unastoffa o un prodotto che può interessarel’acquirente. Evidente perdita del senso del sacro ecaduta nella profanità.

Quinto. Scomparsa degli inginocchiatoi.Perché? L’inginocchiarsi, f ino alla prostrazione, intutte le religioni è chiaro segno esternodell’adorazione. E’ l’atteggiamento di chi implora,di chi supplica. Il fedele vuol mostrare la propriabassezza e miseria davanti alla maestà divina,similmente a come ci si abbassa o ci si inchinadavanti ad un dignitario o a un sovrano.

Ancora mancanza del senso dellatrascendenza divina e del rispetto per il sacro. Diodiventa come uno di noi, uno uguale a noi, colquale si può trattare a tu per tu, dandogli ciò che cipiace e chiedendogli ciò che ci è utile.

Sesto. Il saluto f inale. Oramai capita spessoche dopo “la Messa è f inita, andate in pace” si sen-

tono aggiungere parole di saluto di tipo profano,come se si fosse al termine di una conferenza o diun comizio o di un qualunque incontro fra amici:“Buona sera! Arrivederci! Auguri!”. Invece lo ite,missa est aveva un alto signif icato sacro e religioso.

Il termine “missa” è il participio passato di“mittere”: mandare, inviare: era l’assicurazione chel’offerta, cioè Cristo, è stata regolarmente inviataal Padre, un po’, mi si scusi il paragone profano,come avviene nel computer quando, dopo avermandato un messaggio, esce l’avviso: “il messaggioè stato inviato”. Già quindi quel “Messa è f inita”di per sè è una banalità, come se bisognasseinformare i fedeli che la Messa è f inita. L’aggiuntapoi di quel “buonasera” rende ancora più banale ilmomento conclusivo che invece nelle anticheintenzioni della liturgia doveva essere un attosolenne e toccante, atto a stimolare gioia esperanza, come l’ultima rassicurante parola che ilMistero era compiuto, consummatum est, come adire; “state tranquilli, siate lieti, l’offerta di Cristoè stata inviata al Padre, è giunto al Padre!”.

Sono piccole cose, me ne rendo conto, mapenso che possano essere, anche se non lo sononecessariamente, i sintomi di quella profanazionedel sacro che tutti da tempo lamentiamo, sottopretesto della “pastoralità”, e di renderci piùattraenti ed interessanti, e invece f iniamo per farepietà o per disgustare chi ha il vero senso del sacroe della liturgia, con la conseguenza di diminuirepiù o meno gravemente la vera comunicazionedella grazia e del signif icato e del valore del ritoed ottenere quindi scarsi per non dire nulli risultatispirituali.

L’errore di fondo è, oltre alla riduzione delsacro al profano, l’idea che il sacro non basti madebba essere integrato dal profano. Non ci si rendeconto invece che la liturgia è un’azione sacra, doveil sacro basta a se stesso.

Il profano può introdurre al sacro, mentrequesto è fondamento del profano. Ma quando lospirito è entrato nell’orizzonte del sacro, questocampeggia da solo senza bisogno di poveriamminicoli come quelli che vengono dal secolo,per cui non occorre più il profano, esso deve restarfuori, così come quando il sole splende amezzogiorno, non è necessario accendere unacandela.

E’ il profano che ha bisogno del sacro e nonviceversa. Si tratterebbe allora in f in dei continient’altro che di seguire fedelmente le normeuff iciali della liturgia. La Chiesa è la grandemaestra del sacro e sa quello che fa. Siamo alcunidi noi preti che presuntuosamente vogliamoinsegnare alla Chiesa sulla base delle nostremeschine “modernità” e non sappiamo quello chefacciamo.

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LITURGIA E DOGMA 2

Considerazioni sulsacramento dellapenitenza

padre Giovanni Cavalcoli o.p.

Il sacerdote che si dedica con impegno alministero della confessione puòconstatare oggi quanti equivoci e quantaignoranza esistono nei fedeli per ciò cheriguarda non dico il fervore nelconfessarsi, ma l’essenza stessa e i f ini delsacramento della penitenza, con i suoiimprescindibili presupposti, come il sensodel peccato, il contenuto e lo scopo delsacramento, nonché le disposizioniinteriori necessarie per la validità delsacramento.

Capita che chi viene in confessionalesi ritiene in dovere, forse aspettandosi lalode dal confessore, di garantirgli di essersicomportato bene come farebbe un reo inlibertà vigilata che regolarmente vaall’uff icio di polizia per dichiarare la suaprecedente buona condotta. Oppure c’èchi scambia il confessionale per lo studiodi un avvocato, al quale denunciare tortisubiti o per il gabinetto di uno psicologo,al quale parlare delle proprie turbeemotive.

Altri sanno certamente che ilsacerdote dev’essere un consigliere e unconsolatore della sofferenza, per cuiscambiano la confessione per un colloquiodi direzione spirituale, e allora succedeche non parlano dei propri peccati, ma deipropri “problemi”, magari cominciando anarrare la propria vita a partire da moltianni addietro.

Quello che soprattutto si nota,nell’attuale atmosfera di buonismo per cuisi pensa di essere comunque e sempreinnocenti, benintenzionati e in grazia diDio, è la coscienza lassa, addormentataovvero ottusa, drogata da una falsateologia e una falsa pastorale che insistonosu di un falso concetto della misericordiadivina, sul fatto che ci salveremmo tutti,che l’inferno non esiste e che Dio perdonasempre, anche chi non si pente.

Del resto di cosa dovremmo pentirci se siamotutti buoni? Dei due eccessi della coscienza, loscrupolo (un tempo molto diffuso) e la rilassatezza,oggi si incontrano quasi sempre i rilassati, mentregli scrupolosi, i perfezionisti e i rigoristi sonopochissimi. Si tratta di uno spirito tipicamenteprotestante, che al limite toglie ogni ragion d’essereallo stesso sacramento: “Dio è buono e perdona: diche cosa dovrei pentirmi?”.

La tendenza diffusa non è quella di esagerarela colpa ma di minimizzarla o addirittura di negarla.Capita a volte che il fedele non accetti neppure lanorma morale, per esempio in campo sessuale, per

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cui evidentemente se la trasgredisce, non glie neimporta nulla. Magari lo dice al confessorecandidamente, ma anche con una certa sup-ponenza, quasi in tono di sf ida. Ma comprensi-bilmente il confessore, proponendogli di pentirsi,si sente opporre un rif iuto: “se non faccio del male,di che dovrei pentirmi?”. Non riescono nonvogliono cogliere l’oggettività e l’universalità dellalegge morale o pensano di saperne di più del preteo del Magistero della Chiesa. Qui ovviamentemancano persino i presupposti per confessarsi.

In questa atmosfera di buonismo e disoggettivismo, molti non credono all’esistenza dellacattiva intenzione e della cattiva volontà, che puresono costitutivi dell’essenza del peccato comemateria della confessione: la cosiddetta “pienaavvertenza e deliberato consenso”. Non c’è il falsoo il cattivo; c’è solo il “diverso”.

Se hanno peccato, lo hanno fatto “senzavolere” o non sapendo che era peccato. Confondonoil peccato con l’errore o sbaglio in buona fede. Nonammettono di aver avuto una cattiva volontà o unacattiva intenzione: “Ho fatto sempre tutto il beneche potevo”, dicono. Non sono mai cattivi, sonosempre buoni. Quali peccati dovrebberoconfessare? Alcuni vengono in confessionale e laprima cosa che dicono, quasi a mettere le maniavanti è: “Non ho peccati”, come uno che andassedal medico e gli dicesse. “Dottore, godo buonasalute, non ho alcun disturbo”. il medico gli direbbe:“Che cosa è venuto a fare?”. A volte in confessionalesembrano mancare la logica e il buon senso.

Sembra a volte mancare un elementare sensodi giustizia. Così per esempio si accusano di azionimagari oggettivamente proibite, ma commessesenza sapere che lo erano, oppure di attioggettivamente cattivi ma commessi senza cattivaintenzione, in quanto scusati da una causa di forzamaggiore o da un motivo ragionevole eproporzionato, come per esempio il non esser andatialla Messa domenicale per esser stati trattenuti dadoveri inderogabili, oppure perché malati odoggettivamente impossibilitati, nonostante ognibuon volere...

A volte manca il senso del peccato veniale.Molti stentano a valutare l’entità della loro colpa.Per “peccato” intendono quello mortale; mancandoquesto, si ritengono innocenti. Si deve fare allorail paragone con i delitti dei quali tratta i codicepenale e lo stesso buon senso. Fanno un’immensafatica a riconoscere il peccato veniale, per cui ilconfessore deve impartire un’accurata catechesi perspiegar loro l’esistenza e la natura di questo tipo dipeccato, che in f in dei conti è il più frequente eripetitivo, e come esso si può togliere anche senzaconfessarsi, ma con semplici atti penitenzialipersonali.

Altri vanno avanti a forza di “forse”, “puòdarsi”. Occorre allora ricordare loro che i peccati

dei quali dobbiamo rispondere a Dio devono essereaccertati, così come in un tribunale il giudice noncondanna il reo se del suo reato non ci sono provesuff icienti. Alcuni poi si astengono dallaS.Comunione per aver commesso un semplicepeccato veniale o addirittura per un atto del quale- per esempio la rinuncia alla Messa domenicale incaso di malattia o impossibilità f isica - erano deltutto scusati.

Insomma siamo in una situazione di grandeconfusione ed ignoranza. La mia impressione è chequesti penitenti non siano curati dai loro confessori.Qua e là sono evidenti gli influssi criptoprotestanti,soprattutto riguardo alla tendenza buonista e“misericordista”, se così posso esprimermi.

Mi accorgo di aiutarli facendo due paragoni:quello della vita medica e quello dell’igiene f isica.Quasi tutti a questo punto capiscono ed alcuni anzimi ringraziano. Altri rimangono sorpresi e quasiincreduli, pur praticando la confessione da decennie non essendosi confessati da poco tempo: segnoevidente che sono abituati male dal loro confessore.Si direbbe che certi confessori lascino parare questepovere anime a ruota libera, dando poi alla f ineun’ “assoluzione” che non so quanto basti o se bastia render valido il sacramento.

C’è molto da fare per noi confessori. Nonvorrei che tanti preti abbiano troppo poca stima deiquesto ministero importantissimo per il quale siconoscono a fondo le anime e c’è la possibilità peril sacerdote di suscitare vocazioni al sacerdozio oalla vita religiosa o di essere una vera guida allasantità.

Le immagini del presente numero

di Liturgia ‘culmen et fons’

In copertina e a pagina 9: Benedetto XVI celebra

sull’altare della Sistina “conversus ad Dominum”;

- pagina 6: Madonna della Consolazione, Pietro

Perugino, Perugia, sec. XV;

- pagina 12: Trasfigurazione del Signore, Pietro

Perugino, Perugia , sec. XV;

- pagina 15: Crocifissione, Raffaello Sanzio,

Londra, sec. XVI;

- pagina 17: Ascensione del Signore, Pietro

Perugino, Lione, sec. XV

RADIO MARIAGli insegnamenti del Concilio Vaticano II

secondo lunedì del mese

ad ore 21,00

a cura di don Enrico Finotti

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GOCCE DI LITURGIA

I santi segni(quinta parte)

mons. Orlando Barbaro

Patriarcato di Venezia

13. LA CENERE

Nel giorno della solennità di San Marco,l’altare con il corpo del Santo e la splendidaiconostasi erano impreziositi da corone di verdifoglie e splendidi garofani e boccioli di rosa rossi;sembrava un prato f iorito quasi a richiamare ilrosso sangue del Martire Marco che ha fecondatola terra della Chiesa rendendola fertile di nuovafede. Passano i giorni e ben presto quello

splendore, in una successione inesorabile, sideteriora, marcisce f ino ad emettere un odoresgradevole che ci obbliga a toglierlo e a gettarlonei rif iuti. Il processo continuerà e di tutta quellabellezza non resterà che cenere, grigia cenere.Tutta questa è la più eloquente metafora della vitaperché non succede solo ai f iori, ma a qualsiasiessere animato o inanimato presente sulla terra,succede anche all’uomo: la bellezza esplosiva deglianni della fanciullezza, dell’adolescenza e dellagiovinezza ben presto lasciano lo spazio ad un lentoma inesorabile declino, f ino a concludersi in quelsepolcro che agli occhi mortali segna l’ultima tappa,perché è lì che ognuno diventa cenere.

E’ quanto la liturgia vuol ricordarci nelprimo giorno di quaresima attraverso un rito moltosuggestivo: l’imposizione delle ceneri. I gioiosi eridenti rami di ulivo che abbiamo agitato ladomenica delle palme dell’anno precedente peracclamare Cristo che entra in Gerusalemme qualere di pace, ora sono ridotti a cenere, ed il senso diquella imposizione sul nostro capo ci è svelato dalleparole del ministro: “Memento homo quia pulvises, et in polvere reverteris!” “Pensaci uomo, seipolvere, ed in polvere ritornerai !”.

Ma perché questo richiamo?... saquasi da tentativo di terrorismo psicologico,una prassi adoperata talvolta nel passato chegiocava sulla paura per convincere i fedeli acomportamenti retti. In realtà il f ine ci è benespresso dalla seconda formula liturgica cheaccompagna il rito: “Convertiti e credi alVangelo!” La conversione è l’aprire il nostrocuore e la nostra mente alla Verità, e la Veritàè Cristo, morto e risorto, garanzia di undestino di eternità. Se ti fermi a ciò cheappare, anche se bello ed esaltante, e noncerchi il senso più profondo di ciò che guardi,hai una visione falsa della vita e rischi diperdere il vero fondamento della tuasperanza, di quella speranza checostantemente ti proietta verso l’oltre di Dio,vero senso e valore della tua vita. Nondimenticare quindi questo segno, e non perintristire la tua vita, ma piuttosto per trovarela vera gioia che non può essere eff imeracome le cose che passano, ma si radicanell’eternità di Dio.

14. L’INCENSO

“Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò aBetània, dove si trovava Lazzaro, che egliaveva risuscitato dai morti. E qui gli fecerouna cena: Marta serviva e Lazzaro era unodei commensali. Maria allora, presa una libbradi olio profumato di vero nardo, assaiprezioso, cosparse i piedi di Gesù e li asciugò

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con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì delprofumo dell’unguento”.(Gv 12,1-3). A questo gestodi profonda pietà, che coinvolgeva tutti i sensi, daltatto all’olfatto, la grettezza di Giuda anteponepresunte motivazioni di carità: si potevanoadoperare meglio i soldi occorsi per comperare quelprezioso unguento, ma Gesù risponde “«Lascialafare…». I riti liturgici godono di una dimensionespesso dimenticata, quella dell’inutilità, non hannof inalità “economiche”, ed in questo sono rispostaadeguata a quella gratuità che è all’origine del porsidi Dio nei nostri confronti. Dice il Guardini:“Simbolo della preghiera è l’incenso, e proprio diquella preghiera che non mira ad alcuno scopo; chenulla vuole e sale come il Gloria dopo ogni salmo,che adora e vuol ringraziare Dio, «perché è cosìgrande e magnif ico».1 L’incenso bruciato che saleverso il cielo riempiendo di gradevoli effluvi la chiesaè il modo attraverso il quale noi vogliamo esprimereal Signore il nostro amore, la fragranza della nostrapreghiera e che trova nella lode del Signore la suapiù grande ed eff icace espressione. Sono le nostreopere santif icate dalla Grazia che unite all’unicosacrif icio di Cristo salgono come offerta gradita alPadre, perché le ridoni a noi nel suo Figlio.Incensiamo l’altare che per noi è Cristo, incensiamoil pane ed il vino “frutti della terra e del nostrolavoro, perché diventino per noi cibo e bevanda disalvezza” Incensiamo i ministri ed il popolo di Dio,chiesa vivente e corpo mistico di Cristo, incensiamole specie divine consacrate, incensiamo il corpo deinostri cari offrendolo alle mani misericordiose diDio in attesa della risurrezione. Questo segno èspesso disatteso nelle nostre celebrazioni, siadducono motivazioni spesso poco convincenti: ibambini sono allergici al fumo, è una formasuperata di culto, e mille altri motivi di questo tipo…Credo che tutto questo porti ad un impoverimentodel nostro gesto liturgico; certo sia fatto conmoderazione, ma anche questa è un’eredità che nonè giusto perdere.

15. LUCE E CALORE

Tutti noi ben conosciamo il racconto pasquale deidiscepoli di Emmaus narrato a noi dall’EvangelistaLuca (24, 13-34). Noi vediamo nella struttura delracconto i tratti e i riti fondamentali della liturgiaeucaristica; ma c’è qualcosa di più, l’Evangelista ciaiuta ad entrare dentro lo spirito più profondo dellacelebrazione, ce ne dà gli elementi che qui, perbrevità, indico in due espressioni tratte dal raccontostesso: “E cominciando da Mosè e da tutti i profetispiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva alui. … Ed essi si dissero l’un l’altro: «Non ci ardevaforse il cuore nel petto mentre conversava con noilungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?»”(24,27.32). Si tratta della luce e del calore. Ambeduehanno un unico contesto, che è il contesto liturgico,

e collocano l’ esperienza liturgica del credentenell’alveo divino dell’Amore, perché “Dio è amore”

Questo amore, che è Dio, nella liturgiaviene esperimentato in una forma particolare. Diceil Guardini: “L’amore di cui parliamo è questo: èl’amore che attua l’unione non nell’essere, ma in unmovimento. … Qui vi è un cero: porta luminositàuna f iammella. Il nostro occhio ne vede la luce el’accoglie in sé, se ne compenetra diventando unacosa sola con essa; eppure non la tocca. ….Profondasimilitudine di quell’unione che si compie tra Dio el’anima nella conoscenza. … Perciò « conoscere Dio» vuol dire: unirsi con Lui, come l’occhio nellaf iamma nella visione della luce”. Lo stesso valga peril calore, parole straordinarie che ci portano alcuore dell’esperienza liturgica, esperienza unica dicomunione come grazia data dalla Trinità, maanche di mistero come reale bisogno ditrascendenza insito nel “limite” dell’uomo cheproprio perché consapevole di questo limite anelaal Tutto, alla Pienezza, a Dio.

Ci sono linguaggi che assecondano questamodalità di celebrare come altri che la rendonopiù diff icile. L’antropologo Victor Turner afferma:“Io credo che una causa dell’imponente ritiro dallavita istituzionale della Chiesa da parte di molticattolici i quali continuano a considerarsi cristiani(e sono addolorati come vedove per la morte dellapersona amata) – è la generale trasformazione delleforme rituali sotto l’inf luenza di teorici diformazione positivista e materialista”2 Forse il suogiudizio è un po’ eccessivo, ma partecipando adalcune celebrazioni si ha la sensazione che in questogiudizio ci sia qualcosa di vero. La tristezza deidiscepoli di Emmaus sta in quel “noi speravamoche…” al quale si contrappone il richiamo di Cristo:“«Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla paroladei profeti!”. Non siamo noi la luce, non siamo noiil fuoco, solo nell’aprirci a Lui, Luce e Calore,troveremo pace per le nostre anime.

16. IL PANE E IL VINO

“L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente:”. Cosìsi esprime il salmo 42, ed esprime in termini plasticiun desiderio profondo dell’uomo che va oltre lamera conoscenza, che non si ferma ad una formadi amore spirituale, ma che sente che il suo

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insistente anelito trova risposta e soddisfazione solonell’essere unito a Lui anche nell’essere e nel vivere.L’immagine del bere e del mangiare ben esprimel’appagamento di un desiderio che, se non fosseofferto a noi dalla rivelazione e dalla liturgia,rasenterebbe il blasfemo. In questo modo lo devonoaver colto gli uditori della sinagoga di Cafarnaoquando Gesù si è espresso così: “[…]la mia carne èvero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangiala mia carne e beve il mio sangue rimane in me e ioin lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandatome e io vivo per il Padre, così anche colui chemangia me vivrà per me”. (Gv 6,55-57) Cosìcommenta il Guardini: “Questo mistero trova cosìlimpida espressione appunto nelle f igure del panee del vino. Il pane è nutrimento, onesto, cherealmente nutre. Sapido e vigoroso, da nonannoiarci mai. Il pane è verace. E buono é pure:prendi la parola nel suo senso caldo e profondo. Manella f igura del pane Dio diventa vitale nutrimentoper noi uomini. Sant’Ignazio di Antiochia scrive aifedeli di Efeso: «Spezziamo un pane: che esso ci siapegno dell’immortalità»3. È un cibo che nutre tuttoil nostro essere con il Dio vivente e fa sì che noisiamo in Lui ed Egli in noi”. C’è poi il vino, essodisseta ma non solo: l’acqua disseta, il vino, comedice il Siracide “rallegra il cuore,”(40,20). Scriveancora il Guardini: “Senso del vino non è solo dispegnere la sete, bensì d’essere la bevanda dellagioia, della pienezza, della esuberanza. «Com’è bellala mia coppa piena di ebbrezza!», dice il salmo.Comprendi cosa signif ica questo? Che qui ebbrezzaha un signif icato completamente diverso daeccesso? Bellezza scintillante è il vino, profumo eforza che tutto dilata e trasf igura. Ed è sotto laf igura del vino che Cristo elargisce il suo Sanguedivino. Non come bevanda ragionevolmentemisurata, bensì come sovrabbondanza dellaprelibatezza divina”.4 Segni semplici che veicolanocontenuti esaltanti, primizie di senso e di speranza,anticipo di vita eterna.

17. L’ALTARE

L’uomo è immerso in una natura di cui si senteparte. La può toccare, la può modif icare, la puòusare secondo i propri f ini e i propri progetti.Eppure se rivolge lo sguardo dentro di sé, se cercadi raggiungere con il desiderio la parte più nascostadel suo essere, sente il bisogno di un senso che lemiriadi di cose che lo circondano sembranoincapaci di dargli. Fin dai primordi la necessità diuna trascendenza dentro la quale immergersi perappagare il desiderio di inf inito, di eternità, diforza oltre ogni debolezza ha caratterizzato l’agiredell’uomo. Il limite che talvolta lo disarma non èmai accettato a cuor leggero, specialmente quandoi marosi della vita lo fanno sentire piccolo vascelloin balia delle onde. Ed allora sorgono i recinti sacri,i graff iti rupestri per esorcizzare le paure, sorgono

le religioni per aiutare l’uomo a percepire il proprioessere in riferimento ad un essere che lo supera eche si pone come garanzia per la sua vita.L’affermazione di Cristo “sine me nihil potestisfacere”, “senza di me non potete fare nulla”(Gv 15,5),è la risposta a questo bisogno, è l’affermazioneesplicita di una trascendenza che non aliena l’uomo,ma lo introduce pienamente nella verità per poteraccedere alla vita in modo pieno e compiuto.Quando entro in un edif icio sacro, la sua strutturaarchitettonica riproduce l’intero mondo delcredente. C’è la navata, l’aula riservata ai fedeli incui si percepisce lo spirito della casa, quello spiritofatto di rapporti, di condivisione, di vicinanza maanche di legame che solo il tetto comune porta allaribalta diventandone segno inconfondibile. Comedicevamo, c’è però anche il bisogno di un oltre, diun qualcosa che ti aiuti a trovare in tutte questesensazioni un senso ed una prospettiva. Eccol’altare. Così si esprime Pavel Florenskij, poliedricoautore russo della prima metà del secolo scorso,nel suo volume “Iconostasi”: “La chiesa, […] è la scaladi Giacobbe`, che dal visibile eleva verso l’invisibile,ma l’altare nella sua interezza, come un tutto uni-co, è già il luogo dell’invisibile, una sfera staccatadal mondo, uno spazio non-mondano. L’altare nellasua interezza è il cielo”5. Ed ancora, quasi acompletamento, così scrive Guardini: “Esso sta nellaparte più santa della chiesa, elevato dai gradini sulresto dello spazio, […], distaccato come il santuariodell’anima. Saldamente eretto sullo zoccolo sicuro,come il volere verace dell’uomo che non ignoraDio ed è deciso a impegnarsi per Lui. E sullo zoccolola «mensa», un luogo ben preparato su cui èpresentata l’offerta. Nessuna angolosità,superf icie tutta libera. Nessuna penombra né azionenell’oscurità, bensì aperta a tutti gli sguardi. Così, comel’offerta ha da aver luogo nel cuore. Tuttadispiegata dinanzi allo sguardo di Dio, senza riservené secondi f ini”6. Ed allora rispettiamo l’altare, evitiamodi trasformarlo in mensola su cui appoggiare tuttociò che vogliamo, l’essenzialità sia la caratteristicaprima, le candele, i f iori, i candidi lini, il messale e leofferte per la celebrazione eucaristica, niente di più.Sia segno forte e signif icativo di quella trascendenzache ogni uomo cerca e che, proprio in quella mensache nel mistero diventa uno in Colui che è nello stessotempo altare, vittima e sacerdote, si offre.

------------------------1 Opera citata, p. 1662 TURNER V., Simboli e momenti della Comunità,Morcelliana Brescia II Ed. 2003, p.123 Opera citata p. 1734 Idem5 FLORENSKIJ A. P., Iconostasi. Saggio sull’icona, Ed.Medusa, Milano 2oo8, p. 436 Opera citata, p. 176

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