l'Italiano Contemporaneo

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Riassunto linguistica

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L'Italiano Contemporaneo, D'Achille Paolo

La Lingua Italiana OggiLa diffusione dell’italiano nel mondo è in costante crescita, ma non è comunque paragonabile all’inglese, al francese e allo spagnolo. Anche in Italia non tutto usano l’italiano (italofoni): esso convive da sempre con i dialetti locali. Tutti i dialetti derivano dal latino volgare e hanno la stessa dignità della lingua italiana. Eccezione per il friulano e il sardo che vanno considerati sistemi linguistici autonomi. Tra le caratteristiche principali dell’italiano, che nel loro complesso costituiscono il tipo linguistico italiano, vi sono: la frequenza delle parole accentate sulla penultima sillaba; la possibilità di esprimere concetti di grandezza e piccolezza aggiungendo ai nomi suffissi vezzeggiativi, accrescitivi, ecc; la relativa libertà dell’ordine delle parole all’interno di una frase.Rispetto alle altre lingue romanze (che derivano dal latino) l’italiano, morfologicamente e fonologicamente deriva dal fiorentino del Trecento (Le Tre Corone). Prima dell’Unità, infatti, l’italiano, al di fuori della toscana, era una lingua nota a un numero di persone alquanto ridotto. Successivamente, grazie alla scolarizzazione, l’italiano ha progressivamente ampliato i propri ambiti d’uso. Nel corso del novecento, inoltre, l’italiano ha rinunciato, anche in poesia, agli arcaismi e ha fortemente ridotto la polimorfia, che creava grossi problemi alle persone poco colte. La lingua standard è l’uso linguistico che l’intera comunità riconosce come corretto: il modelli di lingua proposto dalle grammatiche.

Le varietà dell’italiano contemporaneoOgni lingua presenta una serie di variabili, dette assi di variazione.

La variabile diamèsica è quella legata al mezzo materiale in cui avviene la comunicazione, che distingue la lingua dei testi parlati. (es. Nel parlato non abbiamo problemi a dire a me non mi piace la panna.)

La variabile diacronica è quella legata al tempo: il passare del tempo determina inevitabilmente un mutamento nell’uso linguistico, che di solito avviene prima nel parlato e poi nello scritto. (es. nel parlato sono in declino i pronomi, egli, esso, ella, essi, che cedono sempre più il posto a lui, lei, loro.)

La variabile diatòpica è quella legata allo spazio: una stessa lingua assume caratteristiche diverse a seconda delle singole zone in cui è usata. (es. melone e cocomero sono usati al sud,anguria al nord.)

La variabile diastràtica è quelle legata alla posizione sociale del parlante e quindi dipende dal genere, dall’età, dalla classe sociale, dal livello di istruzione.

La variabile diafàsica è quella legata alla situazione comunicativa, all’argomento trattato, al grado di confidenza che si ha con l’interlocutore.

LessicoSi definisce lessico il complesso delle parole di una lingua. Tale definizione è però poco precisa perché l’unità fondamentale del lessico non è la parola bensì il lessema, che può essere formato da più parole tra loro combinate, come problema base, effetto serra. La linguistica ha elaborato il concetto di arbitrarietà del segno: anzitutto il nome delle cose è generalmente immotivato e proprio l’individuazione delle cose varia da lingua a lingua. Lo studio del lessico è la lessicologia, mentre la semantica studia specificamente i significati delle parole. Il lessico si arricchisce continuamente di nuove entrate (i neologismi) e al tempo stesso subisce delle perdite (gli arcaismi). Naturalmente nessun italiano conosce e usa l’intero lessico della propria lingua. Tullio De Mauro ha individuato circa 7000 lessemi che costituiscono il vocabolario di base della nostra lingua. Altri 45000 lessemi appartengono alvocabolario comune e compaiono in testi più complessi. Insieme, i due vocabolari, costituiscono il vocabolario corrente. Altri due settori del lessico da ricordare sono le voci gergali (le parole proprie di linguaggi usati da gruppi ben definiti) e i regionalismi (parole che non sono estese sull’intero territorio nazionale ma solo in alcune regioni o subregioni). Dal punto di vista etimologico i lessemi posso essere divisi in tre componenti:

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1 - Le parole di origine latina

2 - I prestiti o forestierismi, i dialettismi (‘ndrangheta)

3 - le neoformazioni

Per coniare nuove parole si utilizzano prevalentemente i meccanismi di formazione delle parole, e in questo caso si parla di neologismi combinatori. Abbiamo però anche i neologismi semantici, quando nuovi significati si aggiungono a voci già esistenti, come nel caso dei nuovi valori assunti da sito, icona, navigare e scaricare.

Fonetica E FonologiaIl ramo della linguistica che studia i foni (suoni) è la fonetica. Le vocali in italiano sono gli unici foni su cui può cadere l’accento. Un’altra branca della linguistica è la fonologia, lo studio deifonemi, cioè le più piccole unità distintive di una lingua. Lo studio delle lettere dell’alfabeto e delle altre annotazioni usate (punto, virgola, apostrofo) è chiamato grafematica. Il sistema fonologico dell’italiano è costituito da 7 vocali, 2 semiconsonanti e 21 consonanti.

Le vocali sono a - ε - e - i - כ - o - u. La ε si legge come è (aperta), la e come è (chiusa). La כ si legge come ò (aperta), la o come ó (chiusa).

Le semiconsonanti sono la j (si pronuncia come i) e la w (si pronuncia come u).

Le consonanti sono 21: p - b- t - d - k (si pronuncia c) - g - m - n - л (si pronuncia gn) - ts (si pronuncia z dura) - dz (si pronuncia z morbida) - tf (si pronuncia c) - dз (si pronuncia g) - f - v - s- z- ƒ (si pronuncia sc) - l - λ (si pronuncia gl) - r.+

In italiano i foni non vengono pronunciati isolati, ma in gruppi tra loro legati detti sillabe, il cui elemento fondamentale è il nucleo, che può essere preceduto da un attacco e seguito da una coda; questa insieme al nucleo forma la rima. (es. attacco mancante a-mo; attacco con una consonante mo-do; attacco con tre consonanti stra-no; attacco con semiconsonanti uo-vo, ie-ri). Nell’italiano quasi tutte le parole finiscono con vocali e più categoricamente finisce in vocale la parola che si trova alla fine di una frase.

L’accento italiano può cadere sull’ultima sillaba (parole ossitone (es. lunedì)), sulla penultima (parole parossìtone (es. matìta)) e sulla terzultima (parole proparossitone (es. tàvolo, lìbero)). Le parole formate da più di tre sillabe spesso portano anche un accento secondario.

Morfologia FlessivaLa morfologia analizza le forme delle parole e le modificazioni che possono presentare per assumere funzioni e valori diversi. Lo studio delle varie forme individuate, dette forme flesse, costituisce appunto la morfologia flessiva. L’elemento minimo dell’analisi morfologica è il morfema (o, a, no, avo). Sulla base morfologica le lingue del mondo sono state suddivise in Lingue Analitiche e Lingue Sintetiche che tendono ad unire in una sola parola più morfemi. Alle lingue sintetiche appartengono le lingue flessive, in cui la parola e costituita da un elemento chiamato desinenza. Un importante funzione della flessione è che l’espressione di alcuni significati attraverso i morfemi desinenziali consente un notevole risparmio di altre parole, e quindi una più facile memorizzazione. Nei nomi italiani la flessione marca la categoria del numero (singolare/plurale) e del genere (maschile/femminile).

Gli aggettivi

Gli aggettivi sono divisi in due classi, la prima con più forme flesse (es. buono/buona/buone/buoni) e la seconda con due (grande/grandi). Ci sono anche gli aggettivi invariabili, come pari o come viola, rosa, blu. Sugli aggettivi è marcato morfologicamente anche il grado: si realizza con l’avverbio più, il superlativo assoluto con l’aggiunta di avverbi comemolto e assai e con il suffisso -issimo o vari prefissi come -arci, -stra, -ultra.

I pronomi

L’italiano è una lingua che consente la caduta del pronome (lingua PRO-drop), a parte il presente e l’imperfetto congiuntivo (voglio che tu vada; non sapevo che cosa tu facessi). Nel parlato sono in declino i pronomi, egli, esso, ella, essi, che cedono sempre più il posto a lui, lei, loro. I pronomi

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atoni, o clitici, sono mi, ti, ci, vi ecc.

Il sistema verbale

Delle tre coniugazioni la prima comprende i verbi che terminano all’infinito i -are, la seconda in -ere, la terza, in ire. Il presente, il passato e, all’indicativo, il futuro, sono detti tempi deittici. Nel tempo passato si distinguono tre forme: l’imperfetto (negli anni sessanta si ballava il twist), il passato prossimo (ho bevuto del vino) e il passato remoto (Dante nacque nel 1265). Glia altri tempi (futuro anteriore e trapassato, prossimo e remoto) sono detti tempi anaforici.

Morfologia LessicaleLa morfologia lessicale studia i meccanismi attraverso io quali da parole già esistenti si formano parole nuove. È possibile formare parole derivate da altre già esistenti con l’aggiunta di determinati prefissi e suffissi, oppure parole composte con altre già in uso o con confissi di origine latina o greca.

La derivazione

È il meccanismo più usato in italiano per formare nuove parole. La derivazione può realizzarsi in vari modi:

- con la conversione: un verbo può diventare un nome (sapere → il sapere), un aggettivo un nome ecc.

- con la suffissazione: si aggiunge un suffisso a destra della base (lavora-re → lavora-tore, libr-o → libr-aio).

- con la prefissazione: con l’aggiunta di un elemento, detto prefisso, a sinistra della base (capace → in-capace, avventura → dis-avventura).

È possibile inoltre la conversione dei verbi (i fari abbaglianti, i cantanti, l’andante, l’abitato, veduta panoramica, il crescendo rossiniano).

La composizione

La composizione si realizza accostando due o più lessemi che vengono poi univerbati, cioè trattai come una sola parola anche nello scritto. In italiano i più frequenti sono

- nome + nome: cassapanca e caffellatte formati da elementi coordinati e cane poliziotto in cui il secondo determina il significato del primo.

- aggettivo + nome: gentiluomo, che sembra però poco produttivo al contrario del tipo

- nome + aggettivo: cassaforte, pettirosso, caschi blu)

- aggettivo + aggettivo: è tuttora molto produttivo (giallorosso, pianoforte, marxista leninista, italoamericano).

- verbo + nome: è molto presente anche questo tipo di composizione (lavapiatti, accendisigari, portacenere).

- verbo + verbo: si formano per lo più con la ripetizione del medesimo verbo (fuggifuggi) o con l’accostamento di verbi dal significato contrario (saliscendi, tiremmolla).

- preposizione + nome: senzatetto, dopocena.

La composizione neoclassica

La composizione neoclassica utilizza elementi propri del latino e soprattutto del greco, combinati tra loro (glottologia “studio della lingua, cardiopatia “sofferenza del cuore”). In questi composti possono rientrare anche più di due elementi (si pensi a otorinolaringoiatra, formato da ben quattro confissi). Questa composizione è nata soprattutto nel linguaggio delle scienze: il lessico latino e greco ha fornito così un serbatoio inesauribile a cui attingere.

Abbreviazioni, sigle, acronimi e parole macedonia, accorciamenti e retroformazioni

L’italiano contemporaneo ha sviluppato una serie di meccanismi che non servono s formare nuove parole, ma a ridurre parole già esistenti.

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- le abbreviazioni si trovano prevalentemente nello scritto (s. “santo”, pag. “pagina”, prof “professore”).

- le sigle riducono sintagmi formate da più parole alle sole lettere iniziali di queste (ct “commissario tecnico”, doc £denominazione di origine controllata”).

- le sigle vengono chiamate anche acronimi quando esse sono formate anche con pezzi delle parole del sintagma (Polfer “polizia ferroviaria”).

- le parole macedonia, simile alle precedenti, sono formate da pezzi di varie parole (cantautore, cartolibreria).

- gli accorciamenti si hanno quando parole complesse di una certa lunghezza vengono troncate dalla parte finale (bicicletta → bici, frigorifero → frigo).

- le retroformazioni, usate spesso nel gergo giovanile, sono simili agli accorciamenti (benzina → benza, spinello → spino).

Le politematiche

Si definiscono politematiche sintagmi formati da più unità tra loro separate ma che semanticamente costituiscono un unico lessema (sala da pranzo, camera da letto, avviso di garanzia, fare appello, per via di, tra l’altro).

SintassiLa sintassi studia la frase e le diverse unità più piccole da cui essa è costituita; definisce funzioni come quelle di soggetto, di predicato, di complemento. Il nucleo della frase è costituita dal verbo. Possiamo avere verbi monovalenti, che richiedono solo un argomento, cioè il soggetto (verbi intransitivi assoluti come dormire, tossire); verbi bivalenti, a cui si lega anche un secondo argomento (verbi transitivi come vedere, amare o intransitivi come credere); verbi trivalenti che richiedono tre argomenti (transitivi come dire, dare o intransitivi come andare);verbi tetravalenti che ne ammettono quattro (tutti transitivi come tradurre). In italiano esistono anche verbi zerovalenti che non richiedono neanche l’espressione del soggetto e sono i verbi atmosferici come piovere, nevicare. Nella frase si individuano anche altri elementi, come icircostanti - legati a un singolo elemento del nucleo, come gli avverbi modali, che modificano il verbo (piove forte) - e le espansioni - collocate al di fuori del nucleo, come il complemento di nucleo (tutte le mattine mi alzo alle sette) -. Altre prospettive di studio partono dal sintagma, l’unità più piccola dal punto di vista sintattico, che si distingue in sintagma verbale, sintagma nominale, sintagma preposizionale, sintagma aggettivale. L’italiano conserva una certa libertà nell’ordine delle parole. Le frasi che presentano una sequenza diversa da quella SVO sono dette frasi marcate. Nel parlato si tende a staccare il complemento iniziale dal resto della frase con una pausa: si parla di dislocazione a sinistra (A Parigi, ci vado spesso per lavoro). Ladislocazione a destra si ha quando i complementi assumono un valore tematico a dispetto della loro posizione postverbale (Non ci vado da mesi, al cinema). Bisogna distinguere nelle frasi le interrogative totali o polari, così dette perché richiedono la risposta si o no (hai finito?), dalle interrogative disgiuntive, che offrono un’alternativa (Ti piace il mare o la montagna?), e dalle interrogative parziali, eventualmente precedute da avverbi come quando, dove, come, ecc. Quando all’interno della frase troviamo almeno due nuclei parliamo di frase multipla. Si parla di frase composta se il rapporto tra queste frasi è di coordinazione (è venuta zia Anna e mamma è uscita con lei). Si parla di frase complessa se il rapporto tra le frasi è di subordinazione, cioè una sola è autonoma e le altre dipendono dalla principale (Francesco, che in questo periodo mi sembra distratto, non ha capito il problema).

Le Varietà ParlateIl parlato, soprattutto nell’italiano, è spesso accompagnato dal linguaggio dei gesti, tradizione ricca e vitale del nostro paese. Inoltra il parlato può servirsi di elementi non articolati, come risate, colpi di tosse, ecc. Inoltre, l’utilizzazione della voce, grazie al volume, al tono, al ritmo, può veicolare il significato del messaggio. Non mancano riduzioni della parola, come ‘giorno perbuongiorno, e variazione come na! che indica un no enfatico. Lui e lei sostituiscono a egli e ellae agli inanimati, invece di esso ed essa; i plurali essi ed esse cedono il posto a loro. Per quel che riguarda i verbi la caratteristica principale del parlato è la riduzione nell’uso dei modi e dei tempi. Il presente indicativo sostituisce non solo il passato ma anche il futuro (vengo domani). L’imperfetto è forse il

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tempo più in espansione (volevo chiederti) e spesso sostituisce il congiuntivo (se venivi, vedevi). Un importante funzione testuale è quella dei segnali demarcativi, che indicano l’inizio e la fine di un discorso (allora, chiaro?), e dei segnali fàtici, che assicurano il contatto con l’interlocutore, sollecitandone la partecipazione (sai, dai, ho reso l’idea?). Entrambi sono segnali discorsivi. Come i connettivi, che indicano il tipo di relazione tra le varie parti del testo (fatto sta, perché poi, a proposito). Una funzione importante dei segnali discorsivi è anche quella di riempire le pause, dando così a chi parla il tempo di pianificare almeno una parte del suo discorso. Bisogna ricordare inoltre i segnali di sfumatura, che hanno la funzione di attenuare le affermazioni (praticamente, per dire). Si definisce come italiano regionale quella varietà parlata in una determinata area geografica che denota caratteristiche in grado di differenziarla dall’italiano standard. Esso è nato dall’incontro della lingua nazionale con il dialetto e rappresenta per molti aspetti la nuova realtà dialettale del nostro paese. Un primo elemento di differenziazione regionale è l’intonazione, che in alcune regioni assume caratteri interrogativi anche se in realtà gli enunciati sono affermativi. Molto nette sono anche le peculiarità sul piano fonetico: particolarmente soggetti a variazioni regionali sono l’apertura o la chiusura delle vocali e e o e la sonorità delle consonanti s e z. Il lessico costituisce un altro settore di forte differenziazione regionale.

Il parlato giovanileIl linguaggio dei giovani è stato classificato come una varietà diafàsica (quella legata alla situazione comunicativa, all’argomento trattato, al grado di confidenza che si ha con l’interlocutore). Un uso linguistico proprio delle generazioni più giovani si può individuare già nei primi anni sessanta e poi soprattutto dopo il sessantotto. I fenomeni più caratteristici sono gli accorciamenti e le retroformazioni (matusa (vecchio) per Matusalemme), l’uso di sigle, il gioco di parole. Se molti elementi tipici del gergo giovanile hanno una vita effimera, altri possono entrare addirittura nella lingua comune (è il caso di stai in campana).