L'Italia da Paese di grande emigrazione a Paese di grande immigrazione

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Marco Martini L’ITALIA DA PAESE DI GRANDE EMIGRAZIONE A PAESE DI GRANDE IMMIGRAZIONE EDIZIONI ISSUU.COM

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E' il frutto di un convegno-seminario universitario di storia contemporanea svoltosi a Pietrasanta (Lucca) nei mesi di marzo-aprile 2008 ed organizzato dal "Comitato Culturale Angelo Corsetti" in collaborazione con l'Università degli Studi di Firenze e diretto dal Prof. Zeffiro Ciuffoletti, a suo tempo mio maestro ed al quale dedico questo articolo, che si vuole collocare in una posizione intermedia tra storia e cronaca di attualità, facendo sempre attenzione, tuttavia, a non cadere in sterili polemiche.

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Marco Martini

L’ITALIA DA PAESE DI GRANDE EMIGRAZIONE A

PAESE DI GRANDE IMMIGRAZIONE

EDIZIONI ISSUU.COM

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SEMINARIO DI STORIA: L’ITALIA DA PAESE DI GRANDE EMIGRAZIONE A PAESE DI GRANDE IMMIGRAZIONE

PIETRASANTA (LU), V. S. Agostino, 9 – AULA MAGNA – h. 16,30/17,30 1.Lezione introduttiva del Prof. Zeffiro Ciuffoletti (Ordinario di “Storia del Risorgimento”, Università di Firenze), merc. 26/03/08, h.16,20/17,30. L’emigrazione in Italia è stato un fenomeno presente ancor prima dell’Unità, ma il picco è raggiunto nel 1913, quando lasciano il Paese 760000 emigranti. Stando a quanto ha affermato Aldo Moro nel 1975 in occasione dell’ultima conferenza sull’emigrazione, dall’Italia sarebbero partiti 25 milioni di abitanti. Si devono tuttavia distinguere due flussi migratori, uno verso l’esterno ed uno verso l’interno; entrambi tali flussi, come ha sottolineato Maurizio Degl’Innocenti in un noto volume sull’argomento, possono inoltre essere stabili o temporanei (questi ultimi sono detti anche “stagionali”). Molte navi, nelle stagioni morte, abbassavano i prezzi dei biglietti, e ciò favorì l’emigrazione. Molti nordafricani migrarono in Italia ed in Spagna. Secondo Ciuffolotti, l’Italia non è attrezzata per accogliere grandi flussi migratori, in quanto è stata un Paese di emigranti, ma non di immigrati. La prima legge sull’emigrazione in Italia fu formulata dal socialista Martelli, approvata nel 1990. Tale legge arriva in Italia quando il Paese è già oggetto di immigrati; prima di tale legge, i flussi migratori in Italia, erano regolati dagli uffici di polizia. In seguito alla legge Martelli, la regolamentazione degli immigrati in Italia è stata affidata alle sanatorie. Oggi l’Italia ha l’indice di immigrazione più alto in Europa, il 5,2%, senza considerare i clandestini, che sono stati stimati a circa 700000 in base all’ultima sanatoria, una cifra superiore all’immigrazione legalizzata. Da molti Paesi, come la Francia e gli U.S.A., sono state adottate severe misure restrittive sull’immigrazione: gli Stati Uniti hanno addirittura costruito un muro con il Messico. In Italia, l’immigrazione avviene da due distinti bacini di utenza: l’immigrazione comunitaria (proveniente dall’Europa Orientale) ed extracomunitaria (asiatica, ma prevalentemente nordafricana). Negli anni ’60, ’70 e ’80 in Italia e nei Paesi dell’Europa Occidentale vi fu anche un’immigrazione politica, da parte dei dissidenti provenienti dall’Est europeo, spesso intellettuali. La legge Bossi-Fini è l’ultima legge sull’immigrazione, varata durante l’ultimo governo di centro-destra. L’Italia che emigrava era un’Italia contadina, povera di industrie e molto politica, come sottolinea pascoli ne La grande proletaria si è mossa, in occasione della conquista giolittiana della Libia. L’Italia rimane un Paese contadino fino agli anni ’50. Fino agli anni ’60, l’Italia è un Paese povero, che deve fare i conti con i gravi problemi della ricostruzione postbellica. L’Italia del boom passa da Paese agricolo a Paese industrializzato, le donne iniziano a lavorare e cambia, di conseguenza, la fisionomia della famiglia. Nel 1975 l’Italia ha raggiunto un certo benessere, con l’avvento degli elettrodomestici e dell’automobile. L’Italia è un Paese di emigrazione, ma gli emigrati sono spesso intellettuali e ricercatori: è la “fuga dei cervelli”, che hanno fatto la fortuna dei Paesi che li hanno ospitati, come gli U.S.A. A partire dal 1975 gli emigranti italiani non sono quindi più camerieri, minatori ed operai, come negli anni ’50; le università di Harward e Boston hanno elevato il loro nome grazie all’arrivo di medici specialisti italiani. Cronologicamente si possono distinguere 3 fasi dell’emigrazione italiana: 1)la prima, dalla fine dell’ ‘800 fino al 1913, in cui partono dall’Italia quasi 9 milioni (ma il dato, ritenuto troppo elevato, è stato contestato) di italiani su 30 milioni di abitanti. Gli emigranti sono poveri non qualificati, che emigrano verso gli U.S.A., un Paese accogliente soprattutto perché scarsamente abitato; 2)la seconda fase migratoria inizia con la “Grande Guerra” e si conclude con la seconda guerra mondiale (1915/1945). Le stesse guerre mondiali offrono “posti di lavoro” al fronte, ma alla fine del primo conflitto mondiale emerge il problema dei reduci che, privi di lavoro, con le case in macerie, trovano una facile occupazione nei ranghi del fascismo. Il regime fascista vieterà l’emigrazione degli italiani, in base al fondamento dell’autarchia; 3)la terza fase è compresa dal secondo dopoguerra mondiale ai giorni nostri, con uno spartiacque dovuto al crollo del muro di Berlino (1989) e del “socialismo reale” (1991). Forte, in Italia, è stata anche l’emigrazione interna: 19 milioni di contadini emigrano verso le città. L’Italia sta diventando, a partire dagli anni ’80, un Paese di immigrazione: con il governo socialista di Bettino Craxi, sia pure corrotto, l’Italia si è affermato come il 5° Paese più industrializzato del mondo, oggi è il 9°, l’Italia ha perso quindi 4 posizioni, è diventato un Paese con un’economia stagnate e con un incremento economico dello 0,6%, rispetto al 2% dell’Europa ed al quasi 10% della Cina, che paga tale “balzo in avanti” sottopagando la propria manodopera e costringendola a ritmi di lavoro inauditi, consistenti in circa 12 ore di lavoro giornaliero. L’attuale flusso migratorio in Italia ha inoltre contribuito a rompere l’unità etnico-religiosa del Paese. Il problema attuale degli immigrati in Italia è quello del passaggio dall’accoglienza ai pieni diritti di cittadinanza, poiché solo la cittadinanza impone diritti, ma anche corrispondenti doveri.

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2. L’emigrazione nella storia d’Italia, Prof. Maurizio degl’Innocenti (Professore Ordinario di “Storia del Risorgimento”, Università di Siena), giov. 03/03/08, h. 16,15/17,30. Dall’Unità d’Italia fino al 1974/75, in circa 100 anni, secondo i dati ISTAT, sarebbero emigrati dall’Italia circa 25-26 milioni di italiani, di cui 6 milioni negli U.S.A., 3 milioni in Argentina, altri in Sud America, in Canada ed in Europa. Si distinguono due doppie tipologie dell’emigrazione: una economica ed una politica, una proveniente dall’estero ed una dall’interno (dal Sud al Nord). Tra i 20 ed i 30 milioni sono stati gli emigrati durante le due guerre mondiali: si tratta anche di migrazioni di popoli, per motivi di persecuzione etnica (gli ebrei) o politica. Nel 1913 circa 870000 italiani emigrano all’estero. Si distinguono un fenomeno di espulsione dal luogo d’origine e dal luogo di lavoro nel quale una persona viveva ed operava ed un fenomeno di attrazione verso nuovi posti di lavoro. Tra fine ‘800 e primo ‘900 si verifica il vertice del fenomeno migratorio: è la fase della colonizzazione degli U.S.A. e dello sviluppo dei mezzi di comunicazione (ferrovie, piroscafi). Dopo ilm1974/75 l’Italia cessa di essere un Paese di emigrazione e inizia ad essere un Paese di forte immigrazione, extracomunitaria e non. Ciò è dovuto al fatto che l’Italia è stata un Paese industrializzato. Ben diversa era la situazione dell’Italia nel 1861:su 100 italiani, 70 sono agricoltori, 12 operai dell’industria e 12 nel terziario. Cinquant’anni dopo, la percentuale si è modificata di poco a vantaggio dell’industria. Dopo quasi 100 anni l’industria supera l’agricoltura ed il terziario occupa il 33% della popolazione. Nel 1951, dopo 2 guerre mondiali e dopo la formazione del triangolo industriale di Genova, Milano e Torino, ancora il 42% degli italiani è rurale, mentre, nello stesso periodo, in Francia, solo il 24% lavora nell’agricoltura. La città attrae la popolazione proveniente dalle campagne:è il fenomeno dell’urbanesimo. Nel 1861 Torino ha 173000 abitanti, nel 1911 ben 400000 (c’era già la FIAT), nel 1961 ha 1 milione di abitanti. Torino diventa la terza città “meridionale” di abitanti, dopo Napoli e Palermo. Nel 1870 Roma è capitale d’Italia ed ha 2 milioni di abitanti, vent’anni dopo ha 2800000 abitanti. Dalla fine dell’Ottocento la vita umana è in crescita costante; nel secondo ‘800, la vita media della donna è di 35 anni, oggi ha superato gli 80, ed 1 bambino su 5 moriva nel primo anno di vita. Dal 1892 al 1901 la popolazione italiana subisce un incremento del 10%.. Dopo l’Unità d’Italia si verifica il fenomeno della grande emigrazione: molte sono le famiglie numerose, soprattutto al Sud, in cui la nascita di un figlio rappresenta braccia utili per lavorare la terra. Nel 1926 in Italia ci sono 100000 automobili, nel 1984 sono 20 milioni: si nota una progressione esponenziale. L’agricoltura è povera e frazionata (latifondo, mezzadria), non specializzata. Nel 1874/75 si verifica una grave crisi agricola, in Italia, soprattutto per quanto riguarda il grano: grazie ai piroscafi arriva il grano dal Mar Nero, meno caro di quello italiano. Gli U.S.A. rappresentano una frontiera in continuo allungamento: dopo la prima guerra mondiale, si registra un’impennata dell’emigrazione, ma U.S.A. e Canada hanno posto dei limiti. Dal 1955 al 1963/64 si assiste al miracolo economico italiano: l’Italia diventa sempre più un Paese industrializzato ed avanzato. Si verifica un grande flusso migratorio dal Sud al Nord, dalle campagne all’industria. Al momento dell’Unità d’Italia circa 7-8 italiani su 10 sono analfabeti. Negli anni ’60, nelle città, compare la TV insieme agli elettrodomestici come il frigorifero, assenti nelle campagne. Il regime fascista, nella sua fase iniziale, dal 1922 al 1925, non era contrario all’emigrazione, perché costituiva una valvola di sicurezza e di sfogo, anche a costo di una certa perdita di manodopera. Non fu assunta alcuna misura restrittiva verso gli emigrati, anche perché molti risparmi degli emigrati all’estero tornano in Italia per finanziare le famiglie, ma anche perché la circolazione del denaro contribuì a finanziare progetti, come l’ampliamento della rete ferroviaria. In seguito, il fascismo incrementerà la politica demografica ed ostacolerà l’emigrazione estera ed interna: tuttavia l’emigrazione interna prosegue, ma quella estera è fortemente frenata da una legge del 1938, perché l’Italia ha bisogno di “8 milioni di baionette”. Dopo la seconda guerra mondiale, l’Italia continua ad essere un Paese di emigrazione interna, dal Sud al Nord, ma negli ultimi 15 anni si è registrata un’inversione di tendenza: la popolazione è diminuita nelle grandi città ed aumentata nei piccoli centri, insieme alle industrie.

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3. Immigrazione e comunicazione, Dott. Simone Visciola (Ricercatore di “teoria e tecniche delle comunicazioni di massa”, Facoltà di Scienze Politiche), Università di Firenze, merc. 09/04/08, h. 16,15/17,45. Con il termine “immigrazione” s’intende l’ingresso in un Paese di gruppi di persone provenienti da un’altra realtà statuale. I motivi possono essere di carattere economico, di persecuzione politica o religiosa, di disastri ambientali. In Italia, il motivo fondamentale dell’immigrazione, come ha affermato Luigi Einaudi, storico dell’immigrazione, è il lavoro. Il termine “immigrato” è spesso, impropriamente, equiparato a quello di “extracomunitario”. Tale tematica trova radici nel Risorgimento, in cui vi è una forte componente romantica e nazionalista, in cui lo straniero è avvertito come “nemico”. Ma nel Risorgimento vi è anche una componente di “esterofilia”, basti pensare a Garibaldi, “eroe dei due mondi”, ed alla “spedizione dei Mille”: tra i circa 60000 garibaldini vi sono molti stranieri, inglesi, francesi come A. Dumas (l’autore de I tre moschettieri), polacchi. Nel linguaggio dei media, attualmente, si continua a tacciare di “extracomunitario”, in modo ingenuo, un cittadino proveniente da Paesi già entrati nella Comunità europea, mentre si parla di “straniero” se ci si riferisce a cittadini svizzeri o norvegesi, appartenenti a Paesi fuori della Comunità europea. D’altra parte il fenomeno dell’immigrazione è necessario per avere una manodopera a basso costo e per, di conseguenza, frenare l’aumento di salari anche ai cittadini interni alla comunità. Nel 2002 il CENSIS ha pubblicato un resoconto in base al quale il ruolo degli immigrati appare con connotazioni negative 83 volte su 100; per il 56,7% delle volte, quando si parla di “straniero”, si parla simultaneamente di “criminalità”. L’immigrato, nella fiction, è spesso concepito dal senso comune come domestico, autista, addetto ai lavori più umili, destinati alle persone di colore. Il cliché cambia quando si entra nel mondo dello sport: gli spot pubblicitari esaltano spesso i muscoli del nero. Nelle pagine di cronaca, l’immigrato è quasi sempre nei luoghi in cui si portano notizie negative, legate allo stupro, al commercio di droga, alla delinquenza. Un rapporto di Amnesty International del 1994 ha riportato che negli U.S.A., nel caso di un processo, una persona di colore ha il 25% delle possibilità di salvarsi rispetto a 100% di un bianco. In Francia, invece, la terza generazione di immigrati si è pienamente inserita nella società, e molti neri svolgono professioni retribuite e gratificanti. Le leggi sull’immigrazione regolare in Italia continuano a dividere la storiografia, oltre alla politica, come ha dimostrato la legge del 1975, in cui già si mira ad equiparare le condizioni di lavoro tra extracomunitari ed italiani. Altri problemi saranno quelli del diritto alla scuola, all’assistenza sanitaria ed alla percentuale di posti di lavoro da destinare a lavoratori stranieri; quest’ultimo problema verrà disciplinato dalle disponibilità occupazionali, di volta in volta determinate dagli uffici del lavoro. Nel 1990 viene approvata la legge Martelli, che prevede un’ampia sanatoria degli immigrati irregolari; in tale occasione si amplia lo status di rifugiato ai profughi dei Paesi comunisti, ormai in definitivo crollo. Sul tema degli extracomunitari il dibattito è ancora molto vivo, quindi i dati statistici vanno sempre osservati “cum grano salis”, anche perché la storiografia sul problema dell’immigrazione è sconfinata. Il ruolo dello storico, in proposito, è particolarmente difficile, perché è quasi impossibile stare al passo con il continuo flusso di dati statistici. Un ausilio, allo storico, in proposito, è offerto dalla sociologia e dalle tecniche di comunicazione di massa, cioè dai mass-media. In questo contesto, lo storico deve stare attento a non cadere nella mera cronaca, ossia in un’esposizione fredda dei dati, priva di rielaborazione critica e logica; d’altra parte, lo storico deve anche stare attento a non farsi sommergere dai dati, ma a tenere presente “la linea del tempo”, ossia gli aspetti diacronici e sincronici. Il 19/02/1998 il Senato approva definitivamente la legge Turco-Napolitano (L. 40/1998): vengono istituiti centri di permanenza temporanea, che non hanno però risolto definitivamente il problema (tali centri esistono anche all’estero). Ultima legge è la Bossi-Fini del 2002, mentre, in ultimo, si segnala il decreto Amato, non convertito in legge.

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4. L’incontro delle diverse culture ed il problema dell’integrazione (Prof. Zeffiro Ciuffolotti, Ordinario di “Storia del Risorgimento”, Università di Firenze), h. 16,25/17,25. L’Italia non è preparata ad accogliere gli immigrati in quanto non ha una legislazione adeguata, a differenza, ad esempio, della Francia, che, avendo alle spalle una più lunga storia dell’emigrazione, è più pronta ad affrontare tale fenomeno. Sul piano psicologico, umano e morale, l’esperienza dell’emigrazione è spesso devastante, come dimostra il recente suicidio di due ragazze extracomunitarie a Firenze. Una qualsiasi legislazione sull’emigrazione deve prevedere adeguate forme di accoglienza per quanto concerne l’occupazione e la casa. In Italia, in proposito, lo Stato sta perdendo la propria sovranità, in quanto è la Chiesa, tramite la Caritas, a fornire le cifre relative alla possibile accoglienza, come dimostra il recente caso milanese del card. Tettamanzi. La legge Bossi-Fini prevedeva centri di accoglienza, ma alcune regioni, come la Toscana, non hanno predisposto tali centri. Il problema più grave è quello dell’emigrazione clandestina, che non è calcolabile, anche se è in Italia è molto elevata. I due modelli possibili di fronte al fenomeno migratorio sono a) quello francese, teso a integrare gli extracomunitari che rispettano la legge e conoscono il francese (gli immigrati devono essere assimilati ai cittadini francesi, hanno uguali diritti ed uguali doveri) e b) quelli inglese ed olandese, molto simili, ma fallimentari, come dimostrano gli attentati londinesi di matrice islamica. Tali modelli lasciavano che le etnie potessero coltivare i loro usi e costumi, ma in tal modo si è frenata l’integrazione con la popolazione locale. L’arcivescovo di Canterbury ha addirittura auspicato una tolleranza della poligamia, ma contro tale tesi è insorto il Parlamento inglese (si consideri che la Chiesa anglicana è fortemente integrata con lo Stato). Non è possibile accettare l’idea, ad esempio, che i musulmani condannino le vignette satiriche su Maometto, perché questo è un chiaro segno di intolleranza da parte degli immigrati. Nelle scuole francesi, dove vi è un’ottima integrazione, ad esempio, non vi sono simboli religiosi, neanche cattolici, perché nello spazio pubblico tutti i cittadini devono essere uguali: le differenze interessano solo le sfere private. Nei Paesi scandinavi, socialdemocratici, come Svezia e Norvegia, e nella stessa Gran Bretagna, uno straniero, per ottenere la cittadinanza, deve aspettare 6, 8 o anche 10 anni, mentre in Francia è molto più facile ottenere il diritto di cittadinanza. L’immigrato clandestino è costretto spesso a vivere di espedienti: la Francia, con la sua legislazione, ha combattuto efficacemente tale fenomeno, che conosce invece percentuali molto alte in Italia. Francia ed Inghilterra hanno recentemente stabilito infatti l’espulsione degli immigrati clandestini, mentre in Italia siamo andati avanti, di fronte a tale fenomeno, con una serie di sanatorie, e l’Italia è l’unico Paese europeo che affronta tale fenomeno, incoerentemente, con una serie di sanatorie. L’Italia ha inoltre anche il problema della gestione dell’immigrazione regolare, come dimostra il caso delle comunità cinesi, tese sempre più ad isolarsi e ad essere gestite dalla mafia cinese. In Inghilterra, il costo dell’immigrazione è altissimo, superiore ai vantaggi ricevuti dal lavoro degli immigrati. L’art. 10 della Costituzione italiana è il più lungo, consta di 4 commi ed è uno tra i più “illuminati”, in quanto, nell’ultimo comma, afferma il diritto di asilo politico in Italia: l’Italia accoglie i rifugiati che provengono da Paesi in cui non è consentita la libertà di espressione, come si è verificato con il flusso di dissidenti politici dai Paesi dell’est europeo ai tempi del “socialismo reale”. L’accoglienza dei rifugiati per motivi politici è tuttavia condizionata all’accettazione, da parte degli stranieri, del dettato costituzionale. L’asilo politico in Italia è un diritto, ma tale diritto non è invece riconosciuto, erroneamente dagli altri Stati della Comunità europea, e ciò appare come un controsenso se si pensa al fatto che invece si ha, ad esempio, una moneta comune.