LÕisola dÕElba I paesaggi antichi di unÕisola mediterranea · 2017. 8. 31. · I paesaggi...

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12 MILLIARIUM L’isola d’Elba I paesaggi antichi di un’isola mediterranea Aithale e l’Elba L’isola d’Elba e, più in generale, l’arcipelago Toscano, sono caratterizzati da un patrimonio archeologico straordinaria- mente ricco. A fronte di tanta ricchezza si colloca tuttavia, innegabilmente, una storia degli studi incompleta e, a tratti, discontinua. Un elemento di criticità ulteriore risiede nella scarsità delle ricerche portate a termine ma mai edite in forma soddisfacente. Uno dei periodi più fecondi nella storia della ricerca archeologica nelle isole toscane si colloca all’indomani della grande fioritura del pensiero illuministico, fra la rivo- luzione francese e i primi anni della Restaurazione 1 . La fase successiva, collegata alla diffusione del pensiero positivista coincide con la seconda metà dell’Ottocento e vede conside- revoli ricerche (soprattutto di ambito preistorico) all’Elba e a Pianosa. A questa fase ne segue una di sostanziale silenzio, corrispondente al periodo della industrializzazione (apertura delle miniere e costruzione degli Altiforni di Portoferraio, i due conflitti mondiali e il fascismo) perdurata sino al secondo dopoguerra. L’evento che segna la rinascita della ricerca ar- cheologica è, indubbiamente, lo scavo della villa romana de Le Grotte, condotto da Giorgio Monaco a partire dal 1960 al 1972, sia pure in maniera discontinua 2 . In questi anni, figura di spicco della archeologia elbana è, senza dubbio, l’Ispetto- re onorario Gino Brambilla, attivo, soprattutto ma non solo, sul delicato fronte della archeologia sottomarina e dei rela- tivi recuperi 3 . In tempi recenti si apre finalmente una fase di intense ricerche dalla fine degli anni ’70, con le seguenti imprese di scavo: Monte Castello di Procchio (A. Maggiani, Soprintendenza Archeologica); Castiglione di San Martino e Villa della Linguella a Portoferraio (O. Pancrazzi, Università di Pisa); sito archeometallurgico di Monte Serra a Rio nell’Elba (R. Francovich, Università di Siena). Agli scavi si accompagna- rono ricognizioni sul terreno (F. Cambi, A. Corretti, G. Traina), allestimenti museali e mostre. Il Convegno di Studi Etruschi “L’Etruria mineraria”, svoltosi nel 1979 4 , aveva rappresenta- to l’occasione per fare il punto su problematiche storiche e archeologiche dell’Isola, il ciclo antico della produzione del ferro su tutte, delle quali si era fino a quel momento dibat- tuto senza un soddisfacente quadro di riferimento storico e archeologico. Il Convegno fu opportunamente seguito dalla mostra coordinata da G. Camporeale nel 1985, nell’ambito I paesaggi antichi di un’isola mediterranea Franco Cambi, Laura Pagliantini Foto: Franco Cambi, Gianluca Pucci, Alessandro Puorro, Leonardo G. Terreni 1 2 1 Panoramica dei menhir cosiddetti “I Sassi Ritti”, pendici sud del mon- te Capanne nei pressi di S. Piero in Campo 2 Cuspidi di freccia in selce, calcare e diaspro dalla Grotta di San Giuseppe, Museo di Rio nell’Elba

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L’isola d’ElbaI paesaggi antichidi un’isolamediterranea

Aithale e l’ElbaL’isola d’Elba e, più in generale, l’arcipelago Toscano, sono caratterizzati da un patrimonio archeologico straordinaria-mente ricco. A fronte di tanta ricchezza si colloca tuttavia, innegabilmente, una storia degli studi incompleta e, a tratti, discontinua. Un elemento di criticità ulteriore risiede nella scarsità delle ricerche portate a termine ma mai edite in forma soddisfacente. Uno dei periodi più fecondi nella storia della ricerca archeologica nelle isole toscane si colloca all’indomani della grande fioritura del pensiero illuministico, fra la rivo-luzione francese e i primi anni della Restaurazione1. La fase successiva, collegata alla diffusione del pensiero positivista coincide con la seconda metà dell’Ottocento e vede conside-revoli ricerche (soprattutto di ambito preistorico) all’Elba e a Pianosa. A questa fase ne segue una di sostanziale silenzio, corrispondente al periodo della industrializzazione (apertura delle miniere e costruzione degli Altiforni di Portoferraio, i due conflitti mondiali e il fascismo) perdurata sino al secondo dopoguerra. L’evento che segna la rinascita della ricerca ar-cheologica è, indubbiamente, lo scavo della villa romana de Le Grotte, condotto da Giorgio Monaco a partire dal 1960 al 1972, sia pure in maniera discontinua2. In questi anni, figura di spicco della archeologia elbana è, senza dubbio, l’Ispetto-re onorario Gino Brambilla, attivo, soprattutto ma non solo, sul delicato fronte della archeologia sottomarina e dei rela-

tivi recuperi3. In tempi recenti si apre finalmente una fase di intense ricerche dalla fine degli anni ’70, con le seguenti imprese di scavo: Monte Castello di Procchio (A. Maggiani, Soprintendenza Archeologica); Castiglione di San Martino e Villa della Linguella a Portoferraio (O. Pancrazzi, Università di Pisa); sito archeometallurgico di Monte Serra a Rio nell’Elba (R. Francovich, Università di Siena). Agli scavi si accompagna-rono ricognizioni sul terreno (F. Cambi, A. Corretti, G. Traina), allestimenti museali e mostre. Il Convegno di Studi Etruschi “L’Etruria mineraria”, svoltosi nel 19794, aveva rappresenta-to l’occasione per fare il punto su problematiche storiche e archeologiche dell’Isola, il ciclo antico della produzione del ferro su tutte, delle quali si era fino a quel momento dibat-tuto senza un soddisfacente quadro di riferimento storico e archeologico. Il Convegno fu opportunamente seguito dalla mostra coordinata da G. Camporeale nel 1985, nell’ambito

I paesaggi antichi di un’isola mediterraneaFranco Cambi, Laura Pagliantini Foto: Franco Cambi, Gianluca Pucci, Alessandro Puorro, Leonardo G. Terreni

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1 Panoramica dei menhir cosiddetti “I Sassi Ritti”, pendici sud del mon-te Capanne nei pressi di S. Piero in Campo

2 Cuspidi di freccia in selce, calcare e diaspro dalla Grotta di San Giuseppe, Museo di Rio nell’Elba

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dell’anno degli Etruschi5, utile a concepire e a progettare il futuro Museo Archeologico di Portoferraio, inaugurato nel 1988 grazie all’indefesso lavoro di O. Pancrazzi. L’apertura del Museo Archeologico del Distretto Minerario di Rio nell’El-ba, alcuni anni dopo, attirò l’attenzione degli studiosi sul-le tematiche relative alla parte orientale dell’isola e al ricco bacino di approvvigionamento minerario6. In questo Museo sono confluiti gli importanti contesti archeologici provenien-ti dagli scavi di San Bennato (Cavo), di Capo Castello e di Cima del Monte, effettuati da S. Ducci (Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana) con l’aiuto di numerosi e appassionati volontari. Un terzo Museo Archeologico, aperto nel borgo di Marciana, è stato in anni recenti nuovamente allestito e aggiornato. Gli anni a cavallo del 2000 sono stati caratterizzati da un sen-sibile rallentamento delle attività universitarie, fortunatamen-te compensati dagli interventi di urgenza della Soprintenden-za per i Beni Archeologici della Toscana (S. Ducci, M. Firmati) e dalla meritoria presenza sul territorio di esperti volontari. Il dato relativo alla discontinuità della ricerca archeologica recente all’isola d’Elba appare ancora più marcata nel con-fronto con la straordinaria fioritura di indagini archeologiche verificatasi contestualmente (anni 1998-2010) nell’antistante area populoniese, su livelli diversi (tutela, ricerca, valorizza-zione) ma con particolare riguardo per gli aspetti della co-municazione7.

Paesaggi antichi dell’isola d’Elba

La preistoria e la protostoria dell’isola d’ElbaLe prime fasi di frequentazione dell’isola si svolgono nel corso del Paleolitico medio, come testimoniano alcuni insediamenti (forse accampamenti all’aperto), localizzati nell’area centro-orientale.Scarsità e rarefazione delle presenze neolitiche fin qui note potrebbero essere dovute alla debolezza dei protocolli di ri-cerca archeologica utilizzati. In realtà, anche questi pochi dati dimostrano come, in questo periodo, l’isola conoscesse per la prima volta una frequentazione decisamente più stabile e fosse interessata da circuiti di scambi e di contatti piuttosto articolati.Con le grandi innovazioni tecnologiche della metallurgia, nel III millennio, si aprì un’epoca contrassegnata da profondi mutamenti nella compagine economica e sociale. Le comuni-

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3 Caratteristico vaso a “fiasco” ene-olitico, dalla “grotta di S. Giuseppe”, museo di Rio nell’Elba

4-5 Tombe protostoriche con stele menhir della necropoli di Piane della Sughera, pendici sud occiden-tali del Monte Capanne

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tà eneolitiche isolane sembrano, infatti, precocemente coin-volte nelle attività di sfruttamento delle risorse minerarie, in particolare dei circoscritti giacimenti cupriferi individuati in varie località dell’isola. Con questo rame furono, probabil-mente, fabbricati numerosi manufatti in bronzo, di cui sono testimonianza i reperti rinvenuti nella grotta sepolcrale di San Giuseppe, a Rio nell’Elba. La grotta è il luogo di sepoltura di un villaggio utilizzato per più generazioni, tra la fine del III e gli inizi del II millennio a.C. La popolazione appare cultural-mente omologa con le comunità rinaldoniane della Toscana e dell’alto Lazio. Lo studio antropologico dei resti (circa 90 individui) contribuisce ad inquadrare questa popolazione in una società che traeva il proprio benessere da un’economia florida.La prima e la media età del bronzo appaiono sull’isola so-stanzialmente assenti. Le frequentazioni umane tornano ad assumere un cospicuo rilievo con gli ultimi secoli del Bronzo. Numerosi insediamenti sono noti grazie a ricognizioni di su-perficie. La densità insediativa più elevata si riscontra soprat-

tutto nel versante occidentale, con una particolare concentra-zione nell’area del Monte Capanne e del Monte Giove.I piccoli villaggi erano soprattutto dediti alla pastorizia, fi-nalizzata alla produzione di latte, carne e pelli ma verosi-milmente anche allo sfruttamento di piccoli filoni cupriferi, come suggerisce la presenza di alcuni manufatti in bronzo nelle vicinanze degli insediamenti e di veri e propri “riposti-gli” di asce ed oggetti ornamentali localizzati a ridosso delle aree interessate da affioramenti di rame. La loro posizione geografica ed altimetrica lascia intuire la grande importan-

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za strategica di questi agglomerati, preposti al controllo del territorio e del mare, i cui membri dovevano essere ben inte-grati in una rete di scambi commerciali con i navigatori del Mediterraneo.

Fra il bronzo e il ferro, mentre altrove nascono le cittàLa straordinaria importanza di questo bacino di approvvigio-namento per le risorse minerarie e per la navigazione, fu com-presa precocemente dai numerosi popoli che solcavano le ac-que del Mediterraneo: Fenici, Etruschi e, soprattutto, i primi

colonizzatori greci. Già a partire dall’VIII secolo a.C., con lo stanziamento a Ischia di mercanti Euboici, i contatti si fanno sempre più stretti. L’ impronta ellenica dell’isola traspare dalla frequenza degli oggetti di produzione o di provenienza greca a terra e nei relitti e dai relitti toponomastici in varia misura attribuibili ad alcuni luoghi particolarmente significativi. Il nome dell’isola, anzitutto, è indubitabilmente greco: Aethalia, o Aithale, è l’isola “fuligginosa”, con chiara allusione ai fumi dei forni fusori o, ancora meglio, al colore che caratterizza la massa scura dell’isola vista dal mare (non si dovrebbe mai dimenticare che questo era il punto di osservazione dei navi-gatori antichi). L’elemento cromatico assume un rilievo anche maggiore considerando altri toponimi, ugualmente coloristici ma di senso opposto: all’Elba ci sono due Capi Bianchi (Por-toferraio e Porto Azzurro), una Punta Bianca (Capoliveri) e una Spiaggia delle Pietre Albe (Pomonte). Queste occorrenze bianche dovevano risaltare con particolare visibilità agli occhi

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6 Veduta della spiaggia delle Ghiaie a Portoferraio/porto Argon7 Spiaggia delle Ghiaie, particolare dei ciottoli costituiti dalla rarissima aplite con inclusioni di tormalina nera8 Panoramica di Punta Capo Bianco, Portoferraio

9 Discarica di scorie di ferro nel quartiere manifatturiero della spiaggia di Baratti10 Museo della Linguella, reperti etruschi dal relitto di Montecristo

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di chi navigava nell’arcipelago, per un effetto di contrasto rispetto alla costa “color della fuliggine”8. Vi è di più. Nella tradizione letteraria antica compare un Porto Argoo, spesso identificata, dagli antichi, dai moderni e dai contemporanei, con l’attuale Portoferraio. Il toponimo è spiegato da Diodoro Siculo e da Strabone con la sosta ad Aithaleia della nave di Giasone e degli Argonauti (la nave Argo, appunto), che qui avrebbero fatto tappa durante la ricerca del vello d’oro. Gli eroi greci avrebbero lasciato all’isola un nome (Porto Argo) in una località caratterizzata da una roccia bianca particolare e vi avrebbero svolto delle gare sportive. Il sudore emanato a schizzi dai loro corpi che avrebbe picchiettato di nero la roccia bianca, tanto da renderla inconfondibile. Ora, appa-re significativo il fatto che questa roccia compare effettiva-mente non tanto a Portoferraio-centro storico quanto nelle sue immediate vicinanze: il promontorio di Capo Bianco, la spiaggia delle Ghiaie e la collina del Lazzeretto, situata in piena zona portuale. Questa roccia, aplite con inclusioni di tormalina nera, è rarissima nel Mediterraneo, ciò che confer-merebbe l’identità fra tradizione del mito e geologia. Ora, il fatto interessante è che l’attributo “argo”, in greco, qualifi-ca propriamente il bianco splendente riflettente o rilucente (come l’arg-ento), insomma, non un colore chiaro neutro (per precisare il quale sarebbe stato usato l’aggettivo “leukòs”) ma una sorta di superficie argentata. L’ipotesi di un precoce sfruttamento greco-coloniale del ferro elbano, da dimostrare, appare comunque assai probabile, eventualmente attraverso

opportune mediazioni di gruppi gentilizi etruschi, forse cere-tani. I Greci, in ogni caso, contribuirono tuttavia a diffondere nel Mediterraneo occidentale, senza escludere gli apporti pro-venienti dall’area fenicia e dalla vicina Sardegna, sia l’esigen-za di ricercare le fonti di approvvigionamento minerario sia le tecniche necessarie per coltivare i filoni e per trasformare i minerali in semilavorati e quindi in oggetti e strumenti9. Non va, tuttavia, ignorato il fatto che, in età orientalizzante, potesse essere il rame del Campigliese ad accendere l’interesse dei mercanti greci e che, il commercio e lo sfruttamento del ferro elbano, possa essersi sviluppato parallelamente a questo già fiorente traffico.

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11 Museo della Linguella, boccale-attingitoio in bronzo di epoca etrusca dalla necropoli del Profico, Capoliveri

12 -13 Tratti murari della fortezza d’altura etrusca di Monte Castello di Procchio

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Gli Etruschi all’isola d’ElbaA partire dall’VIII-VII secolo a.C. l’Elba occupa un posto di rilievo nel quadro geopolitico mediterraneo ed è contesa tra le principali potenze. I documenti relativi alla frequentazione etrusca dell’isola, in particolare fra la metà del VII e la metà del VI secolo a.C., devono ancora essere approfonditi in maniera soddisfacente. Appare evidente, dagli indicatori culturali, che doveva essere collegata all’Etruria costiera, forse in una prima fase a Vetulo-nia, successivamente a Populonia. In assenza di informazioni consolidate provenienti da scavi di abitati (peraltro di assai incerta localizzazione fino all’età classica), il ragionamento sui paesaggi di età arcaica deve necessariamente basarsi sugli elementi culturali desumibili dalla composizione dei corre-di funerari. Gli oggetti di corredo rinvenuti nella necropoli di Magazzini, caratterizzati da forti analogie con i materiali delle coeve tombe populoniesi, lasciano intravedere la possi-bilità che stanziamenti etruschi effettivamente stabili tragga-

no origine proprio da un più diretto controllo populoniese, sostanziato da un intenso processo di territorializzazione e militarizzazione dell’isola. Approdi marittimi come Marciana Marina e Portoferraio appaiono strettamente collegati con Populonia. Frammenti e tracce del minerale elbano comincia-no a comparire con sempre maggiore frequenza in molti siti della costa Tirrenica e in Campania già a partire dal VI seco-lo a.C. L’inizio della attività estrattiva va, tuttavia, collocato, con ogni probabilità, almeno nel secolo precedente. Questa incertezza è motivata dalla provvisorietà che ancora segna le attribuzioni cronologiche di queste remote attività, anche a causa delle escavazioni industriali a scopo di recupero delle scorie antiche, che a più riprese nell’arco del Novecento han-no interessato i relitti delle antiche lavorazioni siderurgiche, spesso compromettendo le tracce materiali ed archeologiche o comunque causando profonde alterazioni.Per qualche tempo la presenza populoniese sull’isola appare sfumata. Poiché le tracce di sfruttamento del ferro elbano si percepiscono, già in questa fase, appare difficile pensare che la città non avesse impiantato sull’isola alcuna forma di controllo. Con il V secolo il quadro si fa, improvvisamente, più chiaro. Elemento paradigmatico della presenza populoniese, tanto nel territorio continentale quanto in quello insulare, sono le fortezze d’altura, costruite intorno alla fine del V se-colo a.C. e nei decenni successivi. Le fortezze d’altura rappre-sentano la vera e propria chiave di volta per l’interpretazione del paesaggio elbano di età classica ed ellenistica, la cui storia

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14 Museo della Linguella, Kylix etrusca

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risulta incomprensibile se svincolata dalle vicen-de metropolitane populoniesi.Queste piccole, ma importanti, strutture difensi-ve sorgono in un periodo caratterizzato da una si-tuazione politica e militare molto incerta. Alla metà del V secolo le spedizioni dei Siracusani nel Tirreno settentrionale rappresentavano il segnale preciso del forte arretramento del controllo etrusco su questo mare e del declino di molte delle città dell’Etruria costiera. L’unica città che sembra prosperare, in questo quadro deprimente, è Populonia, e con essa il suo territorio, sia per la parte metropolitana sia per la parte insu-lare. È anche possibile che questa perdurante floridezza sia il frutto di una sorta di rinegoziazione del ruolo della città in rapporto a Siracusa. Il fatto stesso che le emissioni monetali populoniesi abbiano inizio alla metà del V secolo e osservino un sistema ponderale sostanzialmente analogo a quello sira-cusano rafforza la convinzione che Siracusa abbia avuto un ruolo eminente in questo teatro e in questa fase, forse affi-dando a Populonia il controllo e la difesa delle miniere. La costruzione di una rete di piccole fortezze d’altura, colle-gate visivamente l’una all’altra, si configura così come rispo-sta alla necessità di una difesa militare del comprensorio. Le finalità di questo apparato, del resto, esorbitano dal semplice e abusato schema del controllo del territorio, investendo gli approdi, le vie di comunicazione interne dell’isola e le rotte

nautiche. Le ricognizioni condotte su insediamenti di questa tipologia sono risultate, spesso, difficoltose

e insoddisfacenti, sia per la scarsa visibilità sia in conse-guenza delle profonde alterazioni subite dal paesaggio isola-no. Le fortezze fin qui conosciute ed indagate stratigrafica-mente, il Monte Castello di Procchio e il Castiglione di San Martino, dovevano essere i centri di piccoli territori o distretti di riferimento. In un raggio di pochi kilometri dalle fortezze si collocano, infatti, piccole manifatture siderurgiche, testi-moniate dalla presenza di grandi cumuli di scorie sia in pros-simità della costa sia nelle piccole valli, lungo i corsi d’acqua. Non sono stai individuati, allo stato attuale delle conoscenze, insediamenti con sicura funzione di abitato. È possibile che la popolazione si concentrasse in piccoli insediamenti sparsi, gravitanti attorno alle fortificazioni.L’orizzonte delle fortezze d’altura elbane, risulta strettamente coeso con quello delle fortezza d’altura del continente e, in generale, l’emergere del fenomeno deve essere contestualiz-zato nel dispositivo di controllo dei bacini di approvvigiona-mento costieri ed insulari, della navigazione, della circolazio-ne e della distribuzione delle merci.La prima fase delle fortezze sembra concludersi violentemen-

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15 Museo di Rio nell’Elba, brocche etrusche sovradipinte

16 Museo della Linguella, ancora in piombo di epoca romana, dal relitto di Capo S. Andrea

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te, come testimoniano le tracce d’incendio e di crollo subite da queste strutture, tra gli inizi e la metà del III secolo a.C.È difficile dire se in questi eventi drammatici si debba leggere un intervento cartaginese all’alba della prima guerra punica, in evidente funzione antiromana, oppure, come sembra più plausibile, un intervento dei Romani al momento della con-quista dell’Etruria settentrionale.

I paesaggi del periodo romanoI romani chiamarono l’isola “Ilva”, da cui il nome attuale mutuato dal medievale Ilba, poiché secondo la tradizione gli Ilvates, una stirpe di origine ligure, la avrebbe colonizzata in tempi antichi. Le fortezze d’altura distrutte vennero più ro-bustamente ricostruite e, i dati della ricognizione, fanno sup-porre che la loro rete s’infittisca e si organizzi meglio, conti-nuando a vigilare sulle coste per almeno un altro secolo.L’incorporazione dell’arcipelago nell’orbita romana si compie, con ogni probabilità, nel corso della prima metà del III secolo a.C. La conquista o l’assoggettamento di Populonia vanno collegati alla vittoria riportata nel 298 a.C. su Volterra da Lu-cio Cornelio Scipione. A seguito di questo successo è possibile che Cornelio si sia rivolto verso le aree costiere, fra le qua-li appunto, Populonia. Nell’anno 283 a.C. un altro Cornelio (Publio Cornelio Dolabella) sconfigge Galli ed Etruschi al lago Vadimone e nel 282 Q. Emilio Papo10 sconfigge i Galli Boi, alleati degli Etruschi, probabilmente nei dintorni di Vetulo-nia. La pressione espansionistica romana sull’Etruria costiera, che trova un riflesso archeologico nella circolazione di merci di produzione romana e laziale, si è fatta insopportabile e il dispositivo difensivo etrusco viene scardinato. Passano pochi anni e ha inizio la prima guerra punica, un evento cruciale per tanti motivi: il carattere navale e mercantile del conflitto; la vicinanza delle basi puniche della Sardegna; la precarietà degli assetti istituzionali dell’Etruria, dovuta alla recente conquista. All’anno 259 sono riferiti alcuni raids na-vali romani in Corsica, effettuati al comando di un Cornelio, figlio del console vittorioso a Volterra quaranta anni prima. Evidentemente, anche in un’epoca già compiutamente poli-tica, il ruolo delle grandi casate gentilizie ha ancora un peso importante nel governo delle strategie imperialistiche. Come gli Aemilii, i Fabii, gli Aurelii, i Valerii, per qualche tempo an-

che i Cornelii si distinguono nell’ambito della condotta delle iniziative politiche e militari contro l’Etruria.

Sul continente le tracce relative agli impianti pro-duttivi di manipolazione del minerale di ferro appa-

iono significative a partire dal IV secolo a.C. Le installazioni produttive sembrano concentrarsi di preferenza nell’area pro-spiciente il golfo di Baratti mentre gli insediamenti con un carattere dichiaratamente residenziale sembrano tutti disposti ad una certa distanza (due miglia romane in linea d’aria) dal circuito murario della città. Nell’entroterra, a partire dalla se-conda metà del IV secolo, e fino alla tarda età repubblicana, si registra un vero e proprio sviluppo delle presenze, articola-to in case medio-grandi o villaggi, che indicano un capillare sfruttamento agricolo delle pianure. In questa fase possiamo ipotizzare, sulla scorta dei dati provenienti dallo scavo della spiaggia di Baratti11, dove è stato localizzato un vero e proprio quartiere di fabbri e di forgiatori, un ciclo del ferro estrema-mente articolato, che va dall’arrostimento dei minerali alla riduzione e da questa alla produzione di lingotti, semilavorati e, probabilmente, strumenti di carattere non meglio definibili. Questa fase di ciclo completo (o quasi) all’Elba è attestato dallo scavo dell’insediamento di San Bennato, presso Cavo, ma il quadro necessita di ulteriori approfondimenti.Tramontata la fase dura, e non sempre facile da decodificare, della prima guerra punica e superati anche gli anni, ancora

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17 Museo della Linguella, macine di epoca romana, dal relitto di CapoS. Andrea

18 Museo di Marciana, anfore di epoca romana dal relitto di Chiessi

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più duri, del conflitto annibalico (218-202 a.C.), agli inizi del II secolo a.C. l’Elba e Populonia sono il cuore di una ulteriore rivoluzione industriale. La fine della seconda guerra punica apre, infatti, una lunga fase di espansionismo romano nel Mediterraneo, fase nella quale il fabbisogno di ferro dovette diventare pressoché spasmodico. Nel golfo di Baratti il quar-tiere dei fabbri viene obliterato, quasi travolto, da una in-stallazione di forni per la riduzione del minerale di ferro che opererà, a ciclo pressoché continuo, per l’intero arco del II secolo a.C. L’attività è talmente febbrile da non lasciare spazio se non alla formazione di una discarica industriale impressio-nante. All’isola, analogamente, si può parlare di una frenetica e disordinata attività di lavorazione del minerale, parallela ad un notevole aumento dello sfruttamento minerario dell’isola, ormai spogliata in gran parte delle sue risorse boschive. La differenza, rispetto al passato, consiste nella specializza-zione dei ruoli relativi alla produzione del ferro. Adesso il ciclo comprende, sia all’Elba sia a Populonia, arrostimento e riduzione del minerale ma non più produzione di semilavorati o di strumenti, che vengono realizzati verosimilmente in altri poli manifatturieri12. Questa più matura fase metallurgica si protrae per circa un secolo, o poco più, e arriva fino alla fine del II o al primo ven-tennio del I secolo a.C. Con la fine del II secolo a.C., quando le fortezze vengono abbandonate, si assiste alla fondazione di nuovi insediamenti che attestano un’occupazione stabi-le della pianura: la presenza di questi siti, nei quali alla la-vorazione del ferro si affianca l’agricoltura, sembra indicare una fase di transizione nella quale le aree dove sorgevano gli antichi centri militari fortificati andarono ad assumere una funzione di controllo politico ed amministrativo, la cui piena comprensione necessita di ulteriori dati e ricerche specifiche.Con gli inizi del I secolo a.C. si assiste dapprima ad una decisa flessione nell’attività estrattiva e poi ad una sua cessazione, dovuta ad uno o ad una concomitanza di fattori: l’acquisizio-ne di nuove miniere (Spagna, Norico, Sardegna); l’insorgere del paesaggio delle ville; la decisione del Senato Romano, di incerta cronologia, che avrebbe imposto la proibizione dell’attività mineraria sul suolo italico. Il forte rallentamento e l’arresto delle attività di manipolazione dei minerali di ferro sono perfettamente leggibili nelle stratigrafie tanto dello sca-

vo della spiaggia di Baratti quanto dello scavo attualmente in corso a San Giovanni, nella rada di Portoferraio.Quest’ultima ricerca è nata, nel 2012, con l’intento di ve-rificare la presenza e la consistenza dei forni antichi per la riduzione dei minerali di ferro, indiziata da una cospicua tra-dizione letteraria e documenti di archivio. L’indagine non ha, al momento, riportato in luce i desiderati resti dei forni per la riduzione del ferro, ipoteticamente ancora sepolti sotto la fase di vita tardo repubblicana. Dopo il 100 a.C. in questo settore importante del golfo di Portoferraio venne costruita una fattoria o villa rustica (le ricerche sono ancora agli inizi) finalizzata eminentemente alla produzione e alla conserva-zione del vino (fig. 4-5-6). Potrebbe trattarsi della pars rustica della soprastante villa delle Grotte, costruita, in ossequio alle fonti testuali de re rustica, con un congruo anticipo rispetto alla pars urbana. Nella cantina di San Giovanni fermentava il vino destinato alla mensa degli autorevoli personaggi, di rango senatorio, che costruirono e utilizzarono la villa delle Grotte per i loro sofisticati otia: letture, conferenze, spettaco-li, dissertazioni filosofiche, raffinati banchetti. L’abbandono è segnato da un incendio avvenuto nel I secolo d.C.I proprietari della villa delle Grotte e della fattoria di San Giovanni furono membri della potente casata dei Valerii, che aveva proprietà (e interessi economici) sulla costa antistan-te, fra Populonia e Vetulonia. La proprietà faceva capo, con ogni probabilità, a Marco Valerio Messalla, tipico aristocratico del suo tempo: prima valente condottiero, poi princeps sena-tus e, infine, protettore delle lettere e delle arti nella Roma augustea. La proprietà sarebbe passata poi al figlio adotti-vo Aurelio Cotta Massimo Messalino, adottato da uno degli esponenti degli Aurelii, già costruttori della più antica strada tirrenica romana e probabilmente da tempo imparentati con gli Aemilii. Cotta Massimo ebbe come ospite il poeta Ovidio prima della partenza di quest’ultimo per l’esilio nel Mar Nero, nell’8 d.C.Queste villae erano fatte più per l’otium e la delectatio che per il fructus e la diligentia. Enormi, e perpolitae, le ville ma-rittime sorte nell’isola a partire dalla metà del I secolo a.C. rappresentano, evidentemente, l’esito di una lunga fase di ac-cumulazione economica favorevole alle aristocrazie senatorie, che aveva avuto nelle estrazioni minerarie e nella produzione

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22 Resti di canalizzazione di epoca romana dal poggio del Lentisco, villa di Capo Castello a Cavo

19 Portoferraio, i resti della villa romana della Linguella visti dal traghetto

20 Cavo, Rio Marina, il promontorio della villa romana di Capo Castello, visto dal traghetto

21 Il promontorio della villa ro-mana delle Grotte visto dalla villa della Linguella a Portoferraio

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ne di materiali di importazione africana, spagnola e dall’area provenzale, testimonia il prosieguo della vitalità degli scali elbani nelle rotte transmarine fino a gran parte del VI secolo d.C. ed una continuità nella frequentazione di determinate aree, legata verosimilmente alle caratteristiche morfologiche e alla vicinanza agli approdi.Le ville romane della Linguella, delle Grotte e di Capo Castel-lo, in stato di abbandono alla fine del III secolo d.C., sono in-fatti interessate da frequentazioni tardo antiche, testimoniate dal rinvenimento di reperti ceramici, databili tra il IV e gli inizi del VI secolo d.C., da tracce di alcune strutture in materiale deperibile e da alcune sepolture. Tali evidenze possono essere ascritte a piccole comunità insediatesi tra i ruderi delle ville, dedite verosimilmente ad attività agricolo-pastorali, e proba-bilmente all’attività di spoliazione ma, sulla base delle testi-monianze monastiche e delle modalità nelle frequentazioni tardo antiche delle altre isole dell’arcipelago, anche a gruppi di monaci eremiti, il cui arrivo potrebbe legarsi alla fuga di San Cerbone sull’isola.

del ferro il suo motore primario, definitivamente spento pro-prio quando si cominciavano a costruire le ville. La fine dello sfruttamento intensivo delle miniere del Campigliese e dell’El-ba e il crollo del fabbisogno di combustibile vegetale e di carbone portarono all’estinzione le manifatture siderurgiche dell’isola e del continente e investirono in maniera radicale il paesaggio tardorepubblicano Sull’isola, l’unica testimonianza relativa ad un centro urbano di epoca romana è la cittadina di Fabricia, così denominata dagli eruditi del 1700, in gran parte sepolta sotto l’attuale centro storico di Portoferraio. A partire dalla fine del I secolo a.C., le fonti antiquarie atte-stano la costituzione di un primo nucleo abitativo nell’area corrispondente all’attuale Portoferraio (Fabricia), il cui mag-gior sviluppo urbanistico nel corso della media età imperiale, in significativa concomitanza agli importanti ampliamenti e ristrutturazioni della villa della Linguella, sembrerebbero le-garsi allo sfruttamento e alla commercializzazione del grani-to, affiorante nella parte occidentale dell’isola, supportato da una corrente di massici investimenti alimentata soprattutto da potenti famiglie senatorie.La vitalità dei traffici marittimi, all’interno dei quali l’Elba è inserita con i suoi porti, è ben percepibile fino alla metà del III secolo d.C.: le isole dell’ar-cipelago continuano a rappresentare uno sno-do fondamentale per le rotte di collegamento tra Roma e le province occidentali, lungo le quali affluivano il vino prodotto nella Gallia Narbonese, l’olio e le salse di pesce delle zone meridionali della Spagna, olio, garum e frutta secca dall’Africa settentrionale.La presenza in prossimità dei principali approdi e dei piccoli insediamenti sorti sui resti delle ville roma-

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Colonna incompiuta in granito, località Seccheto, Campo nell’Elba

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