L’investigatore privato autorizzato e il segreto...

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- 1 - L’investigatore privato autorizzato e il segreto professionale D.ssa Valeria Salvadori INDICE 1. L’evoluzione della disciplina. ………………………………………………pag. 1 2. L’autorizzazione a compire investigazioni penali. ………………………………3 3. L’incarico professionale e il registro speciale. ………………………………….4 4. Il rapporto tra il difensore e l’investigatore. …………………………………….7 5. L’attività dell’investigatore. ………………………………………………………8 6. L’esame dell’investigatore privato. ……………………………………………...11 7. Il segreto professionale. 7.1. La nozione e l’oggetto del segreto. ………………………………………..12 7.2. I limiti alla tutela del segreto professionale. ……………………………...13 7.3. La tutela del segreto professionale. ……………………………………….14 7.4. Il segreto professionale e gli investigatori privati autorizzati. ……………15 7.5. Il segreto per gli investigatori privati autorizzati e la lacuna del codice di procedura penale. ………………………………………………………………16 Bibliografia ………………………………………………………………………………22

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L’investigatore privato autorizzato

e il segreto professionale

D.ssa Valeria Salvadori

INDICE

1. L’evoluzione della disciplina. ………………………………………………pag. 1

2. L’autorizzazione a compire investigazioni penali. ………………………………3

3. L’incarico professionale e il registro speciale. ………………………………….4

4. Il rapporto tra il difensore e l’investigatore. …………………………………….7

5. L’attività dell’investigatore. ………………………………………………………8

6. L’esame dell’investigatore privato. ……………………………………………...11

7. Il segreto professionale.

7.1. La nozione e l’oggetto del segreto. ………………………………………..12

7.2. I limiti alla tutela del segreto professionale. ……………………………...13

7.3. La tutela del segreto professionale. ……………………………………….14

7.4. Il segreto professionale e gli investigatori privati autorizzati. ……………15

7.5. Il segreto per gli investigatori privati autorizzati e la lacuna del codice di

procedura penale. ………………………………………………………………16

Bibliografia ………………………………………………………………………………22

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L’investigatore privato autorizzato

e il segreto professionale.

1. L’evoluzione della disciplina.

La figura dell’investigatore privato, come ausiliario del difensore nell’ambito delle

investigazioni difensive, era già prevista nel comma 2 dell’art. 38 disp. att. c.p.p.

Quest’ultimo articolo era l’unica disposizione riguardante le investigazioni difensive,

contenuta nella versione originaria del codice di procedura penale del 1988.

In virtù di tale norma si consentiva al difensore di delegare le indagini a “investigatori

privati autorizzati”, riconoscendone così per la prima volta il fondamentale ruolo nel

processo penale.

La collocazione della suddetta previsione in un comma autonomo, rispetto a quello che

prendeva in considerazione i sostituti e i consulent i tecnici, generò in dottrina una pluralità

di interpretazioni: da una parte1, si vedeva così sancita la maggiore ampiezza del mandato

dell’investigatore; dall’altra2, la previsione in un comma autonomo veniva attribuita ad un

difetto di coordinamento, poiché - si osservava - nella disposizione originaria dell’art. 33

prog. prel. disp. att. c.p.p. agli investigatori privati era attribuita solo la facoltà di ricercare

e individuare elementi di prova e non anche quella di conferire con le persone informate

sui fatti3.

Appariva infatti evidente l’inconciliabilità tra le disposizioni riguardanti gli istituti di

investigazione privata4, contenute negli artt. 134-141 del Testo Unico delle leggi di

pubblica sicurezza (R.D. 18 giugno 1931, n. 773), e negli artt. 257-260 del relativo

Regolamento di esecuzione (R.D. 6 maggio 1940, n. 635), e l’esercizio dell’attività

investigativa finalizzata alla difesa nel procedimento penale.

Nel testo definitivo del codice del 1988 fu, quindi, inserito l’art. 222 disp. coord. c.p.p.,

non contemplato nei progetti precedentemente redatti, con lo scopo di fornire una

disciplina transitoria, “in attesa di un complessivo riassetto degli istituti di investigazione

privata, che dovrà tener conto anche delle esperienze che la pratica applicazione della

1 A. CRISTIANI, Nuovo vademecum del difensore, Torino, 1994, p. 66; G. BISCARDI, Investigazioni difensive tra attualità e prospettive future, in Dir. pen. e proc., 1998, p. 1433; 2 L. PARLATO, Le nuove disposizioni in materia di indagini difensive, cit.,p.36. 3 Art. 33 prog. prel. disp. att. c.p.p. comma 5 : “L’attività prevista dal comma 1 lett. a) può essere svolta, su incarico del difensore, da investigatori privati autorizzati”. 4 In generale sugli istituiti di investigazione e vigilanza privata: E. CARRATTA.

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nuova disciplina potrà offrire”5. La disciplina transitoria prevede, al comma 1, che “fino

all’approvazione della nuova disciplina sugli investigatori privati”, l’autorizzazione a

svolgere le attività indicate all’art. 38 disp. att. c.p.p. doveva essere rilasciata dal prefetto

agli investigatori che avessero maturato “una specifica esperienza professionale che

garantisse il corretto esercizio dell’attività”. Ciò ha comportato il venir meno della prassi,

formatasi presso le prefetture, di inserire nella licenza rilasciata agli investigatori una

clausola che inibiva “di eseguire investigazioni e ricerche e di raccogliere informazioni in

merito a fatti o circostanze che risultino già oggetto di indagine da parte di organi di polizia

giudiziaria”6.

Attualmente la regolamentazione della professione degli investigatori è demandata a un

disegno di legge approvato a maggio dalla commissione Giustizia del Senato, riunita in

sede referente. Il Senato non ha, però, ancora inserito l’esame del testo nel proprio

calendario dei lavori. Quindi si prospettano ancora tempi molto lunghi per vedere la

“nascita” di questa legge: come sappiamo, dopo l’approvazione al Senato sarà la volta

della Camera discutere il provvedimento. Il disegno di legge prevede di istituire un doppio

Albo, uno per gli investigatori privati, l’altro per gli “investigatori giudiziari”, configurati

come una sorta di super detective, ai quali sarà riservata la collaborazione con gli avvocati

nelle indagini difensive 7.

Oggi comunque, a distanza di oltre quindici anni dall’entrata in vigore del nuovo codice, e

dopo quattro anni dalla legge sulle investigazioni difensive, la normativa sugli

investigatori privati deve ancora essere approvata.

5 Così le Osservazioni governative sull’art. 222 testo definitivo disp.att. c.p.p., in G. Conso- V. Grevi – G. Neppi Modana, Il nuovo codice di procedura penale, vol. VI, t. II, Le norme di coordinamento e le norme transitorie, Padova, 1990, p. 123. 6 Vedi P. CORSO, La risposta al bisogno privato di informazioni processulamente rilevanti, in L’investigazione privata nel nuovo processo penale, Padova, 1989, p. 16 ss. 7 Informazioni estratte da “Investigatori, in arrivo le regole sulla privacy”, in Sole-24 ore, di Lunedì 27 Settembre 2004, n. 267, p. 25. Sempre in tale articolo si prospetta a breve “l’arrivo (delle) regole di condotta sulla privacy”: compito di predisporle è del Garante per la privacy, che ha concluso l’istruttoria con le organizzazioni di settore. Secondo il segretario generale Giovanni Buttarelli, i tempi “sono ormai maturi, tanto che il codice potrebbe arrivare già entro la fine dell’anno”. La disciplina in esso contenuta concerne la conservazione delle informazioni raccolte e l’informativa degli interessati; vengono anche dettati i criteri per l’individuazione del responsabile del trattamento dei dati e le regole di condotta da seguire al termine delle indagini difensive.

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2. L’autorizzazione a compire investigazioni penali.

Il procedimento autorizzativo fu regolamentato con la circolare 20 ottobre 1989, n.

559/C./26410/ 10089.D.A. (15) del Ministero dell’Interno-Dipartimento della Pubblica

Sicurezza, intitolata “Nuovo codice e investigatori privati”8.

In tale circolare si precisa che il rilascio dell’autorizzazione è subordinato alla valutazione,

da parte del Prefetto, di una maturata esperienza professionale. Su richiesta, potrà essere

riconosciuta sia ai soggetti già autorizzati, a norma dell’art. 134 T.u.l.p.s.9, ad eseguire

investigazioni o ricerche o a raccogliere informazioni per conto di privati, e sul

presupposto dell’attività effettivamente svolta, sia ai soggetti che, pur non essendo in

possesso della predetta licenza, possano dimostrare di possedere un’esperienza

professionale nel settore investigativo ( ad esempio in quanto ex appartenenti alle forze

armate ).

La dottrina ha criticato l’interpretazione offerta dalla suddetta circolare, poiché avrebbe

creato in via amministrativa, praeter legem, una nuova categoria di investigatori privati,

autorizzati a svolgere la propria attività esclusivamente nel campo delle indagini difensive,

mentre invece la formulazione dell’art. 222 comma 1 disp. coord. c.p.p. sembra

presupporre che possano essere autorizzati solamente i soggetti, particolarmente

qualificati, che già rivestivano la qualità di “investigatori” ai sensi delle leggi di pubblica

sicurezza10.

Sulla base dell’interpretazione ministeriale dell’art. 222 disp. coord. c.p.p. i soggetti

autorizzati a svolgere attività di indagine e di ricerca per conto di “privati” possono essere

suddivisi in tre categorie: le persone fisiche o gli istituti forniti della licenza prevista

dall’art. 134 T.u.l.p.s., che sono abilitati a svolgere attività investigative estranee alla difesa

penale; le persone fisiche che, munite della predetta licenza, sono autorizzate, in forza del

8 Il testo può leggersi in Arch. n. proc.pen., 1990, p. 91. 9 L’art. 134 T.u.l.p.s. dispone che “ senza licenza del prefetto è vietato ad enti o privati di prestare opera di vigilanza o custodia di proprietà mobiliari od immobiliari e di eseguire investigazioni e ricerche o di raccogliere informazioni per conto di privati” (comma 1), precisando, poi, che la licenza non può essere concessa “alle persone che non abbiano riportato condanna per delitto non colposo”, né “per operazioni che importano un esercizio di pubbliche funzioni o una menomazione della libertà individuale” (comma 2). 10 G. FUMU, sub art. 222, in Commento al nuovo codice, coordinato da M. Chiavario, La normativa complementare, vol. II, Torino, 1990, p.113 ss; nello stesso senso vedi il Parere pro-veritate del Prof. P. Corso sugli artt. 38 e 222 disp. coord. del C.p.p. 1989 , riprodotto in C. MIELE, Appendice, p. 222; E. APRILE, Prova penale e indagini difensive, Milano, 2002, p. 44; T. DE ROSE, Le indagini difensive e l’investigatore privato, in Riv. pol., 2002, p.151, per il quale l’autorizzazione ex artt. 222 disp. att. c.p.p. “va ad aggiungersi a quella generica, rilasciata ai sensi dell’art. 134 T.u.l.p.s.”; L. PARLATO, Le nuove disposizioni in materia di indagini difensive, Torino,2001, p.6; P. TONINI, Manuale di procedura penale, 4° ed., Padova, 2002, p. 475, per il quale “L’autorizzazione di cui l’art. 222 comma 1 si configura come una ulteriore autorizzazione concessa dal prefetto a colui che è già “investigatore privato”, e ciò ha in precedenza ottenuto la licenza di cui all’art. 134 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza”.

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combinato disposto degli artt. 134 T.u.l.p.s. e 222 disp. coord. c.p.p., a svolgere anche

indagini per ricercare elementi di prova ai fini della difesa personale; e inoltre le persone

fisiche che sono autorizzate a svolgere esclusivamente indagini per le finalità prima

indicate nell’art. 38 disp. att. c.p.p. e ora previste nell’art. 327-bis c.p.p.11

In definitiva abilitati all’attività investigativa ai fini della difesa possono essere soltanto le

persone fisiche, perché “l’autorizzazione di polizia ha carattere personale e il riferimento

agli investigatori privati autorizzati (…) è inequivoco nel non lasciare spazio a persone

giuridiche, enti o istituti”12.

3. L’incarico professionale e il registro speciale.

L’intervento dell’investigatore è subordinato al conferimento dell’incarico scritto da parte

del difensore, che deve indicare in maniera specifica il procedimento penale nonché i

principali elementi di fatto che giustificano le indagini e il termine entro cui se ne possa

prevedere la conclusione.

All’investigatore, con il conferimento dell’incarico, viene inibito di intraprendere di

propria iniziativa altre ricerche.

Egli ha l’obbligo di eseguire le attività personalmente e di riferire al difensore

periodicamente sull’andamento delle indagini.

Ai sensi dell’art. 222 comma 2 disp. coord. c.p.p. gli incarichi ricevuti devono essere

iscritti in uno speciale registro, che di seguito illustro.

Gli investigatori privati autorizzati a svolgere investigazioni difensive non sono tenuti, per

lo svolgimento di indagini processulamente rilevanti, alle registrazioni previste dagli artt.

135 T.u.l.p.s. e 260 reg. es. T.u.l.p.s13.

11In giurisprudenza: T.a.r. Abruzzo, 27 maggio 1996, n. 178, Cantucci c. Pref. Teramo, in Trib. Amm. reg., 1996, I, p. 2603, ha affermato che, essendo l’autorizzazione allo svolgimento di attività investigativa nell’ambito del processo penale – prevista dagli artt. 38 e 222 d. lgs 28 luglio 1989, n. 271 – “tipica e diversa rispetto alla generica autorizzazione allo svolgimento di attività di investigazione prevista dall’art. 134 T.u.l.p.s.”, deve ritenersi legittimo il rigetto, da parte del Prefetto, della “domanda di estensione dell’autorizzazione proposta da soggetto abilitato a svolgere esclusivamente l’investigazione difensionale”. 12 N. TRIGGIANI, Le investigazioni difensive, cit., p. 124 ss. In tal senso vedi R. CELLI, voce Istituti di investigazione e vigilanza, in Dig. disc. pubb., vol. VIII, Torino, 1993, p.604; T. DE ROSE, L’investigatore privato nel nuovo processo penale, in Riv. pol., 2002, p. 503; A. FRANCO, voce Vigilanza e investigazione privata, in Enc. giur., XXXII, Milano, 1994, p.15; G. FUMU, sub art. 222, in Commento al nuovo codice, cit., La normativa complementare, vol. II, p. 114.

13 Art. 135 T.u.lps – “I direttori degli uffici di informazioni, investigazioni o ricerche, di cui all'articolo precedente, sono obbligati a tenere un registro degli affari che compiono giornalmente, nel quale sono annotate le generalità delle persone con cui gli affari sono compiuti e le altre indicazioni prescritte dal regolamento. Tale registro deve essere esibito ad ogni richiesta degli ufficiali o agenti di pubblica sicurezza.

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Difatti l’art. 222 comma 2 disp. coord. c.p.p. deroga alla disciplina comune prescrivendo

che l’incarico conferito al difensore debba essere iscritto in uno “speciale registro”, in cui

sono annotate: a) le generalità e l’indirizzo del difensore committente; b) la specie degli

atti investigativi richiesti; c) la durata delle indagini, determinata al momento del

conferimento dell’incarico.

Circa quest’ultimo aspetto la dottrina ha rilevato come appaia difficile determinare ex ante

la durata delle indagini al momento del conferimento dell’incarico, ritenendo quindi

possibile l’indicazione di una durata “presumibile”14.

Altri dubbi attengono alla mancata precisazione, sia da parte della circolare ministeriale

sopradetta sia da parte del codice, della durata della conservazione del registro speciale;

alcuni autori ritengono applicabile, per analogia, l’ultimo comma dell’art. 260 reg. es.

T.u.l.p.s., che prevede la conservazione del registro degli affari giornalieri ex art. 135

T.u.l.p.s. per cinque anni15.

Analizzando la disciplina del registro speciale risulta che non vi devono essere annotate le

generalità dell’assistito, né la data e la specie dell’operazione effettuata, né l’esito

dell’operazione, a differenza della disciplina comune del registro degli affari giornalieri ex

art. 135 comma 1 T.u.l.p.s.

In base alla citata circolare interpretativa del Ministero dell’Interno, la deroga all’art.135

T.u.l.p.s. deve ritenersi limitata esclusivamente all’adozione dello speciale registro e al tipo

di iscrizioni da apportarvi, non estendendosi all’obbligo di esibire il registro “ad ogni

richiesta degli ufficiali o degli agenti di pubblica sicurezza”, previsto dall’art. 135 comma

2 T.u.l.p.s.

Questa interpretazione ha generato in dottrina molte critiche. Si osserva che se, in effetti,

l’art. 222 comma 2 disp. coord. c.p.p. non deroga espressamente all’art. 135 comma 2

T.u.l.p.s., è, però, anche vero che la ratio di tutta la disciplina degli investigatori privati a

fini processuali è da ricercarsi nella esigenza di tutelare la segretezza delle investigazioni

svolte dalla difesa, così come tutelata, ex art. 329 c.p.p., è la segretezza delle indagini Le persone, che compiono operazioni con gli uffici suddetti, sono tenute a dimostrare la propria identità, mediante la esibizione della carta di identità o di altro documento, fornito di fotografia, proveniente dall'amministrazione dello Stato. I direttori suindicati devono inoltre tenere nei locali del loro ufficio permanentemente affissa in modo visibile la tabella delle operazioni alle quali attendono, con la tariffa delle relative mercedi. Essi non possono compiere operazioni diverse da quelle indicate nella tabella o ricevere mercedi maggiori di quelle indicate nella tariffa o compiere operazioni o accettare commissioni con o da persone non munite della carta di identità o di altro documento fornito di fotografia, proveniente dall'amministrazione dello Stato. La tabella delle operazioni deve essere vidimata dal Prefetto”.

14 T. DE ROSE, L’investigatore privato nel nuovo processo penale, cit., p.503 s. 15 Così C. MIELE, Appendice, cit., p.91.

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preliminari svolte dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria. Fatte queste

considerazioni, non si capisce come tale risultato possa essere conseguito nel momento in

cui si legittimano strumenti informativi a favore della parte pubblica, così come

accadrebbe ove si consentisse l’esibizione del registro agli organi di polizia.

Dunque si può concludere che la polizia giudiziaria e il pubblico ministero non sono

legittimati a prendere visione dei dati trascritti16, che devono rimanere segreti anche dopo

la scadenza del termine di durata indicato nell’art. 6 della Autorizzazione generale del

Garante per la protezione dei dati personali, in considerazione della più volte rilavata

natura riservata delle investigazioni difensive17.

Altro aspetto importante è l’ulteriore deroga contenuta nel comma 3 dell’art. 222 disp.

coord. c.p.p. per il quale, nell’ambito delle indagini svolte dagli investigatori privati ai fini

della difesa penale, non si applica la disposizione dell’art. 139 T.u.l.p.s., il quale prevede

che “gli uffici di vigilanza e di investigazione privata sono tenuti a prestare la loro opera a

richiesta dell’autorità di pubblica sicurezza e i loro agenti sono obbligati ad aderire a tutte

le richieste ed essi rivolte dagli ufficiali e dagli agenti di pubblica sicurezza o di polizia

giudiziaria”. Risulta evidente che l’investigatore privato, incaricato di ricercare elementi

nell’interesse della difesa, non può e non deve collaborare, in ordine ai fatti per i quali ha

ricevuto l’incarico, con la polizia giudiziaria che, per gli stessi fatti, potrebbe svolgere

attività antitetica e conflittuale 18.

Anche la giurisprudenza ha fornito una sua interpretazione in merito. La Corte

costituzionale, nel 1976 nel dichiarare inammissibile la questione di legittimità

costituzionale degli artt. 134 e 139 T.u.l.p.s, affermò che “una eventuale declaratoria di

incostituzionalità non avrebbe avuto altro effetto che di rendere indiscriminatamente libera

16 F. RUGGIERI, Commento art. 222 disp. att. c.p.p., in Commentario del nuovo codice di procedura penale. Norme di coordinemento e transitorie, diretto da E. Amodio- O. Dominioni, Milano, 1990, 109, la quale sostiene che la dispensa dagli obblighi di cui all’art. 139 T.u.l.p.s. prevista dall’art. 222 comma 3 disp. coord. c.p.p. vale ad escludere all’autorità di pubblica sicurezza la facoltà di accesso al registro speciale indicato nella medesima ultima norma citata, il quale, diversamente, costiuirebbe un inutile duplicato di quello di cui all’art. 135 T.u.l.p.s.; A.A. ARRU, Le modifiche dell’art. 222 commi 1 e 4 norme att. c.p.p., in Processo penale:il nuovo ruolo del difensore, a cura di L. Filippi, Padova, 2001, p. 512. 17 In tal senso L.D. CERQUA, sub artt. 218-222, in Codice di procedura penale. Commentario, vol. IV, Milano, 1990, p. 18; T. DE ROSE, L’investigatore privato nel nuovo processo penale, cit., p. 505; G. FREDAS, Il difensore e gli eventuali testimoni, cit., p. 2290; L. KALB, Il ruolo del difensore nella ricerca della prova, in Ann.Ist. Dir. e proc .pen. univ. Salerno, 1995, n.1-2, p. 265; C. PAGLIUCA, La cosiddetta “inchiesta parallela” del difensore dell’imputato e limiti deontologici nei rapporti con potenziali testimoni, in Giur.it., 1991, IV, c. 25. 18 Il legislatore ha così accolto integralmente le osservazioni contenute nel Parere del Consiglio superiore della magistratura sull’art. 33 prog. prel. disp.att., in G.CONSO – V.GREVI – G. NEPPI MODONA, Il nuovo codice di procedura penale, vol. VI, Padova, 1990, p.140; A. CRISTIANI, Nuovo vademecum del difensore, Torino, 1994, p.68; T. DE ROSE, L’investigatore privato nel nuovo processo penale, cit., p. 504.

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l’attività in questione”19, così implicitamente sollecitando il legislatore ad una opportuna

regolamentazione dell’attività privatistica d’investigazione 20.

Il trattamento dei dati raccolti deve cessare al termine delle attività demandate. Su tale

aspetto sono intervenuti sia gli organi deontologici sia il Garante per la protezione dei dati

personali.

Sotto il profilo deontologico, le “Regole di comportamento del penalista” dispongono

all’art. 4 comma 4 che “L’incarico agli investigatori privati (…) è conferito con atto

scritto, nel quale (…) il difensore indica i loro doveri: a) osservare le disposizioni di legge,

in particolare quelle (…) sulla tutela dei dati personali”.

Il Garante per la protezione dei dati personali, autorità amministrativa indipendente

appositamente istituita per la regolamentazione ed i controllo del rispetto della normativa

sulla tutela della riservatezza, ha emanato l’Autorizzazione generale n. 6 del 31 gennaio

2002, con cui permette agli investigatori privati di trattare i dati sensibili di cui all’art. 22

comma 1 legge n. 675 del 1996, su specifico incarico di un difensore nell’ambito di un

procedimento penale per ricercare e individuare elementi di prova a favore del proprio

assistito, da utilizzare ai soli fini dell’esercizio del diritto alla prova a favore del proprio

assistito, ai sensi dell’art. 190 c.p.p. e della legge n. 397 del 2000.

4. Il rapporto tra il difensore e l’investigatore.

Il rapporto che si instaura tra il difensore committente e l’investigatore privato incaricato è

di natura privatistica, inquadrabile nella figura giuridica della locatio operis, ma con effetti

pubblicistici – processuali21.

Si ricorda che, una volta incaricato l’investigatore privato, il difensore lo può esonerare

dall’incarico, ciò sia motivando, per correttezza, la sua scelta, sia nel rispetto delle regole

che disciplinano il rapporto che intercorre tra loro22.

19 Corte Cost. sentenza 6 maggio 1976, n. 105, in Giur. cost., 1976, p. 811. 20 In questi termini vedi V. PERCHINUNNO, L’investigatore privato ed il “nuovo” processo penale, in Giur. cost., 1976, p. 1431. 21 Sul contratto di investigazione privata vedi: N. DE FEUDIS, Il contratto di investigazione privata, in AA. VV., Dal tipo sociale all’atipico. Dialoghi con gli studenti, a cura di R. Perchinunno, 2° ed., Bari, 2001, p.79 ss; L.R. LEITE DE CONVERTI, voce Investigazione privata (contratto di), in Dig. disc. priv. (Sez. civ.), Agg., Torino, 2000, p. 540 ss. 22 F. BERNARDI, Le indagini del difensore, Milano, 1996, p. 62; T. DE ROSE, L’investigatore privato nel nuovo processo penale, cit., p. 505 s.

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Questo tipo di rapporto è contraddistinto delle caratteristiche della riservatezza e

confidenzialità.

L’uso delle notizie apprese nel compimento dell’incarico investigativo rimane interno ai

rapporti tra difensore e investigatore; quindi, sia per la previsione contrattuale, che lega

l’investigatore al difensore, sia in virtù dell’art. 379-bis c.p. che punisce la divulgazione di

notizie apprese per aver partecipato o assistito ad atti del procedimento penale, ed infine

per l’art. 622 c.p., che sanziona la rivelazione di segreti professionali, le eventuali

informazioni raccolte non possono essere divulgate; altrimenti si profilerebbero una

violazione contrattuale e illeciti penali.

Una caratteristica del rapporto è che viene fornito "senza garanzia di veridicità":

l'informatore assume una tipica obbligazione di mezzi, cioè quella di svolgere le sue

ricerche, personalmente o a mezzo di corrispondenti, con la dovuta diligenza, e non quella

di garantire la verità dell'informazione. Il professionista si obbliga a fornire notizie: queste

potrebbero essere anche negative o addirittura disonorevoli nei confronti dell’assistito. Da

queste considerazioni discende che la clausola di confidenzialità e la c.d. "riserva" non

possono essere viste come artifici per escludere la responsabilità del informatore ma

elementi essenziali e tipici del contratto, come si è venuto a configurare nella

consuetudine.

5. L’attività dell’investigatore.

L’apporto dell’investigatore si sostanzia in iniziative personali, valutazioni e suggerimenti.

Le attività che può compiere possono essere catalogate in due tipologie sulla base di una

loro eventuale disciplina legislativa: si parla a tal fine di atti tipici e atti atipici23.

Gli atti tipici esperibili dagli investigatori privati sono costituiti dal colloquio non

documentato con persone informate sui fatti ( art. 391-bis comma 1 c.p.p. ) e dall’accesso

ai luoghi ( art. 391-sexies c.p.p. ).

Si ritiene essere loro riconosciuta la possibilità di svolgere altri tipi di attività, non

direttamente contemplati e disciplinati dalla legge, e per questo detti atipici. Tra queste

attività possiamo senz’altro annoverare i pedinamenti, gli appostamenti, le riprese

fotografiche e cinematografiche, l’acquisizione di notizie e documenti di libero accesso a

23 Tema già affrontato nel Cap.II, Sez. II, par. 1.2.

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chiunque, ad esempio presso Camere di Commercio, Conservatorie dei registri

immobiliari, pubblico registro automobilistico, studi notarili, ecc.

Risulta, invece, loro inibito ricevere dichiarazioni scritte o raccogliere informazioni da

documentare ai sensi dell’art. 391-ter c.p.p., poiché, come si vedrà nel capitolo successivo,

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sottoscrizione di una polizza assicurativa per rischi professionali che preveda, con apposita

clausola, anche la copertura per l’attività investigativa delegata all’investigatore privato26.

Per consentire al difensore di essere informato costantemente sull’operato del suo

investigatore privato, la dottrina consiglia che quest’ultimo provveda a redigere una c.d.

“nota relazionale”, su cui annoti tutte le operazioni e le fasi attraverso cui svolge l’attività

investigativa: dovrà, quindi, descrivere in maniera circostanziata l’attività svolta e i

risultati ottenuti, in modo da permettere un controllo, anche se ex post, sull’attività

compiuta, così da consentire al difensore di studiare nuove ed ulteriori iniziative di

indagine 27.

Parlando, adesso, della disciplina tipica, nello specifico, dell’attività dell’investigatore

privato, si può notare che il nostro ordinamento dà una regolamentazione negativa: infatti

non prevede espressamente tutte la attività che esso può compiere e come le può compiere,

come sopra detto, ma al contrario fissa i confini leciti di tali attività, attraverso la

previsione di comportamenti ritenuti illeciti, spesso sotto il profilo penalistico.

Innanzitutto sono limiti assoluti per l’attività investigativa le libertà e i diritti

costituzionalmente garantiti, il quali, come sappiamo, possono subire delle limitazioni solo

in ipotesi eccezionali previste dalla stessa Costituzione “ per atto motivato dell’autorità

giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge” ex art. 13 Cost. Il codice prescrive

che solo il giudice, in quanto organo terzo ed imparziale, può disporre la limitazione del

diritto costituzionalmente garantito e non il pubblico ministero.

Costituiscono un limite concreto all’attività investigativa anche alcune norme del codice

penale, quali l’art. 494 c.p. relativo alla sostituzione di persona, l’art. 614 c.p. sulla

violazione di domicilio, l’art. 615-bis c.p. sulle interferenze illecite nella vita privata, l’art.

615-ter c.p. circa l’accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico, gli artt. 616-

623-bis c.p. sui delitti contro la inviolabilità dei segreti, l’art. 660 c.p. sulla molestia o il

disturbo alle persone.

Per completezza, si ricorda che molte di queste norme penali puniscono la violazione

commessa da “chiunque”, prevedendo come aggravante l’ipotesi in cui a commetterle sia “

chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato”; la conseguenza

26 R. LOFFREDO, La deontologia del difensore nell’ "in indagine parallela", in Giusto proc., 1990, p. 219; F. BERNARDI, Le indagini del difensore, cit., p.62; E. RANDAZZO, Deontologia e tecnica del penalista, Milano, 2000, p. 45 s. 27 In tal senso E. STEFANI- F. DI DONATO, L’investigazione privata nella pratica penale ,Milano, 1993, p. 110.

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sarà un aggravio di pena e il venir meno della condizione di procedibilità a querela del

reato, che diviene, così, procedibile d’ufficio 28.

Sotto altro profilo, si ricorda che gli investigatori sono destinatari della nuova fattispecie

criminosa introdotta dall’art. 379-bis c.p.p., in tema di rivelazione di segreti inerenti a un

procedimento penale appresi per aver partecipato o assistito a un atto del procedimento

stesso.

6. L’esame dell’investigatore privato.

L’investigatore privato può essere sentito nel contraddittorio tra le parti in merito alla

attività svolta in sede di investigazioni difensive. In relazione alle informazioni assunte ai

sensi dell’art. 391-bis comma 1 c.p.p., la legge 1° marzo 2001, n. 63, in tema di giusto

processo e prove penali, ha previsto l’incompatibilità a testimoniare per i difensore ma

non anche per l’investigatore privato, salva l’ipotesi in cui esso abbia provveduto a

verbalizzare le dichiarazioni rese dalla persona informata sui fatti, ai sensi dell’art. 197

comma 1 lett. d) c.p.p.

Secondo parte della dottrina, l’investigatore può essere sentito in qualità di testimone

indiretto sulle notizie raccolte durante il colloquio non documentato, nei limiti dell’art.

195 c.p.p.29. Secondo la disciplina della testimonianza de relato ex art. 195 c.p.p., le

dichiarazioni ottenute in sede di investigazioni difensive verrebbero introdotte nel

processo in maniera diversa da quanto previsto per la polizia giudiziaria. Infatti, gli art.

351 e 357 comma 2 lett. a) c.p.p. obbligano la polizia giudiziaria a verbalizzare le

dichiarazioni ricevute. I verbali, al loro volta, sono sottoposti alle regole generali in

materia di contestazioni e di letture. Ne discende che, ove fosse ammessa la testimonianza

indiretta sulle informazioni acquisite si aggirerebbero le norme sulle letture e

contestazioni.

Resta da chiarire se, sul piano soggettivo, esistano delle differenze tra la posizione

processuale del testimone e quella dell’investigatore, e quindi quale disciplina applicare

durante l’esame incrociato.

28 Sull’argomento vedi: T. DE ROSE, La difesa tecnica nel processo penale e l’intrusione elettronica, in AA.VV., Internet e la legge penale, a cura di D. Ammirati, Torino, 2001, p. 94 ss. 29 G. FRIGO, L’indagine difensiva da fonti dichiarative, in Processo penale: il nuovo ruolo del difensore, a cura di L. Filippi, Padova, 2001, p. 173 ss.

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La dottrina ha evidenziato come esistano delle differenze tra il testimone e l’investigatore

privato: il primo rappresenta fatta da lui conosciuti o percepiti per caso, mentre il secondo

viene a conoscenza di fatti nell’espletamento di un incarico professionale30.

Da quanto detto deriva che, l’investigatore, nel corso delle investigazioni difensive, non è

un terzo che percepisce delle dichiarazioni provenienti da altre persone per caso, egli è un

ausiliario della difesa che agisce sulla base di un incarico professionale, nell’interesse

esclusivo della parte privata.

La dottrina ha osservato come si configuri una incompatibilità per l’investigatore con

l’ufficio di testimone per ciò che riguarda gli atti compiuti in sede di investigazioni

difensive31. La soluzione proposta, in assenza di una specifica disciplina, è che l’esame

dibattimentale dell’investigatore potrebbe essere fatto alla stregua di quello previsto per il

consulente tecnico. Infatti, come loro l’investigatore è un soggetto facente parte dello staff

dell’ufficio difensivo; egli è un ausiliario del difensore che, quando procede ad assumere

informazioni ex art. 391-bis comma 1 c.p.p., agisce sulla base di un incarico professionale,

impiegando esperienza, professionalità e competenze specialistiche proprie della sua

professione 32. Quindi nel momento in cui viene escusso in dibattimento egli esprime

direttamente delle valutazioni sugli esiti delle investigazioni difensive, rimando così un

soggetto di parte che prospetta al giudice gli argomenti a favore della difesa.

A questo punto della trattazione bisogna tenere presente che l’investigatore privato può

eccepire, durante l’esame incrociato, il segreto professionale ai sensi dell’art. 200 comma 1

lett. b) c.p.p., su quanto egli ha conosciuto per ragione della sua professione.

7. Il segreto professionale.

7.1. La nozione e l’oggetto del segreto.

Preliminarmente mi sembra opportuno chiarire il concetto di segreto. Per segreto si intende

uno stato di fatto, cioè un rapporto tutelato dal diritto in forza del quale una notizia relativa

a determinati fatti o cose deve essere conosciuta solo da una persona o da una ristretta

30 CARNELUTTI, La prova civile. Parte generale. Il concetto giuridico della prova, Milano, 1992, p. 131; F. CORDERO, Il procedimento probatorio, in Tre studi sulle prove penali, a cura di F. Corsero, Milano, 1963, p. 18. 31 F. ZACCHE’, Il contributo dell’investigatore privato alle indagini difensive, in Cass. pen., 2002, p. 2558. Contra C. CONTI, Due nuove ipotesi di incompatibilità a testimoniare: il difensore che ha svolto investigazioni difensive e l’ausiliario che ha verbalizzato l’intervista, in Processo penale, cit. p. 33. 32 F. ZACCHE’, Il contributo dell’investigatore privato alle indagini difensive, cit., p. 2558.

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cerchia di persone, autorizzate alla conoscenza. Da tenere presente che la sola mancata

conoscenza di un fatto non vale di per se a rendere segreta quella notizia.

La dottrina si è chiesta se il segreto vada inteso in senso soggettivo oppure in senso

oggettivo. La dottrina maggioritaria propende per la nozione oggettiva del segreto33.

Questo orientamento trova conferma nell’art. 622 c.p. che punisce la rivelazione o

utilizzazione indebita di notizie segrete, nel caso in cui ciò crei nocumento alla persona

interessata: fondamento della tutela penale sarebbe proprio la considerazione del

nocumento, attuale o potenziale, che può derivare ai singoli dalla rivelazione.

Per quanto riguarda l’oggetto del segreto, occorre rilevare la stretta connessione esistente

tra la norma di procedurale (art. 200 c.p.p.) e la norma sostanziale (art. 622 c.p.). Da un

lato c’è la necessità di punire la violazione, dall’altro la necessità di coerenza

dell’ordinamento giuridico attraverso un delicato equilibrio tra esigenze contrapposte che

si fanno sentire nel momento in cui si tratta di tutelare il segreto nel processo.

L’art. 200 c.p.p. individua l’oggetto del segreto a quanto appreso in ragione della propria

professione, ufficio o ministero. Questa previsione sembra coincidere con quanto disposto

dall’art. 622 c.p., che si riferisce a chi ha notizia di un segreto per ragione del proprio stato

o ufficio o della propria professione o arte.

Occorre il necessario nesso di causalità tra la qualifica o l’attività del soggetto e la

conoscenza del segreto. Significa che il segreto, anche se limitato a quanto comunicato in

via confidenziale, si estende ad ogni ulteriore conoscenza comunque appresa a causa o

nell’esercizio della professione, restando estraneo unicamente quanto conosciuto in

occasione dello svolgimento della prestazione professionale mancando ogni attinenza con

quest’ultima.

7.2. I limiti alla tutela del segreto professionale.

L’art. 200 c.p.p prevede per i soggetti menzionati una facoltà, e non un obbligo, di

astenersi dal deporre. La scelta tra il rispetto del segreto professionale e il dovere di

contribuire all’amministrazione della giustizia, è rimessa alla coscienza ed al prudente

apprezzamento del professionista. Solo a quest’ultimo spetta la scelta se avvalersi o meno

della facoltà suddetta, magari anche con il solo riferimento a singole domande, dovendo

33 A. CRESPI, La tutela penale del segreto, in Commentario breve al codice penale, a cura di G. Zuccalà – F. Stella, Padova, 2002, p. 121 ss.

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comunque egli ben sapere se ed entro quali limiti la sua testimonianza sarà compatibile col

dovere del segreto professionale.

Questa possibilità di scelta è in linea con la norma penale incriminatrice: il reato si

configura esclusivamente se la rivelazione avviene senza giusta causa e se dal fatto può

derivare nocumento. In assenza di tali elementi il professionista potrà-dovrà rinunciare alla

facoltà di astenersi dal deporre, senza che ciò possa comportare alcuna responsabilità

penale. Anche da questo aspetto emerge lo stretto rapporto tra l’art. 200 c.p.p. e l’art. 622

c.p.

7.3. La tutela del segreto professionale.

L’art. 200 c.p.p. detta la disciplina dei limiti alla testimonianza riguardanti il segreto

professionale. Il segreto professionale è uno dei diversi tipi di segreto che possono essere

eccepiti durante un procedimento penale34. La disciplina del segreto è frutto di un

bilanciamento di interesse operato dal legislatore. Si è dato prevalenza all’interesse alla

difesa nel processo (art. 24 Cost.) rispetto all’interesse della giustizia all’accertamento

della verità.

Il segreto professionale non è stato previsto dal legislatore come un divieto di rendere

testimonianza su talune informazioni acquisite “per ragione del proprio ufficio”, ma come

una facoltà di astensione, lasciando così al testimone facoltà di scelta35. Con questa

disciplina il legislatore ha risolto il conflitto tra l’obbligo generale di testimoniare ex art.

198 c.p.p. ed il dovere di non rivelare il segreto professionale, entrambi penalmente

sanzionati36.

La ratio perseguita è quella di tutelare la libertà e la sicurezza dei rapporti professionali.

Sulla base della considerazione della necessità o quasi necessità per tutti i cittadini, di

avvalersi dell’opera di professionisti, è stato affermato che “l’interesse a garantire le

condizioni indispensabili per assicurare la libertà e la sicurezza dei singoli rapporti

professionali costituisce un interesse pubblico”37. Quindi, occorre garantire la fiducia e

l’affidamento nella riservatezza del professionista cui il singolo si rivolge.

34 Gli altri tipi di segreti sono: art. 201 c.p.p. “segreto d’ufficio”, art. 202 c.p.p. “segreto di Stato”, art. 203 c.p.p. segreto sui nomi degli “informatori della polizia giudiziaria e dei servizi di sicurezza”. 35 F. RANZATTO, Esteso il segreto professionale agli investigatori privati autorizzati, in Processo penale: il nuovo ruolo del difensore, Padova, 2001, p. 56. 36 Rispettivamente vengono puniti all’art. 372 c.p. “Falsa testimonianza” e all’art. 622 c.p. “Rivelazione di segreto professionale” 37 F. RANZATTO, Esteso il segreto professionale agli investigatori privati autorizzati, cit., p. 57.

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7.4. Il segreto professionale e gli investigatori privati autorizzati.

La possibilità di eccepire il segreto professionale, per una tutela efficace del diritto di

difesa, era già riconosciuta all’investigatore privato autorizzato dall’art. 222 comma 4

disp. coord. c.p.p., che, nella sua originaria formulazione, estendeva allo stesso la tutela del

segreto professionale, già prevista per il consulente tecnico dall’art. 200 comma 1 lett. b)

c.p.p.; per la precisione si affermava che “Ai fini di quanto previsto dall’art. 200 del

codice, l’investigatore autorizzato è equiparato al consulente tecnico”.

Con l’art. 4 della legge n. 397 del 2000 è stato modificato l’art. 200 comma 1 lett. b) c.p.p.

in cui è stato annoverato anche l’investigatore autorizzato tra le categorie di soggetti

abilitati ad opporre il segreto professionale “ su quanto hanno conosciuto per ragione del

proprio ministero, ufficio o professione”38.

Viene estesa la disciplina del segreto professionale nell’ambito dei soggetti che svolgono

l’attività forense, agli investigatori privati autorizzati che vanno così ad affiancarsi agli

avvocati, ai consulenti tecnici, ai praticanti avvocati ed ai notai. Si completa in tal modo,

sotto il profilo delle garanzie di libertà a tutela della funzione difensiva, l’omogeneità di

disciplina tra il difensore ed i suoi ausiliari39.

Una mancata equiparazione di garanzie sarebbe stata manifestamente irrazionale,

soprattutto a seguito del riconoscimento della piena soggettività processuale

all’investigatore privato autorizzato. Infatti, in precedenza alla legge n. 397 del 2000, per

gli investigatori privati nessuna disposizione di legge garantiva loro la tutela del segreto

professionale.

38 La previsione di inserire l’investigatore tra i soggetti contemplati dall’art. 200 c.p.p. non prevista nel testo licenziato in prima lettura alla Camera dei Deputati, è il frutto di un emendamento introdotto dal Comitato ristretto della Commissione Giustizia del Senato della Repubblica, inteso a coordinare e armonizzare la disciplina delle garanzie difensive stabilite e previste a favore degli investigatori privati. In dottrina sul segreto vedi: F. CORDERO, Procedura penale, 6° ed., Milano, 2001, 673; P. CORSO, Il “segreto professionale” tra vecchio e nuovo codice di procedura penale, in Riv. Dott. comm., 1989, p. 185; C. DI MARTINO, voce Prova testimoniale ( dir.proc.pen. ), in Enc. Giur. Treccani, vol. XXV, Roma, 1991, p. 9 ss.; C. DI MARTINO, La prova testimoniale:contenuto e limiti soggettivi, in C. Di Martino-T. Procaccianti, La prova testimoniale nel processo penale, Padova, 1999, p. 76; F.M. GRIFANTINI, Il segreto difensivo nel processo penale, Torino, 2001; M.T. STURLA, voce Prova testimoniale, in Dig.disc.pen., op. cit., vol. X, 1995, p. 421; P. TONINI, La prova penale, 4°ed., Padova, 2000, p.123; ID., Manuale di procedura penale, 4° ed. cit., p.226.

39 F. RANZATTO, Esteso il segreto professionale agli investigatori privati autorizzati, cit., p. 58.

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L’investigatore privato autorizzato può opporre lo stesso segreto professionale alla

richiesta di esibizione e al sequestro di atti, documenti o cose esistenti presso di essi ( art.

256 commi 1 e 2 c.p.p.)40.

Agli investigatori privati autorizzati non si applica l’inciso di cui al comma 1 dell’art. 200

c.p.p., che esclude l’efficacia del segreto professionale nei casi in cui si ha l’obbligo di

riferire all’autorità giudiziaria, in quanto la sua operatività è preclusa espressamente

dall’art. 334-bis c.p.p., con cui si escludono i soggetti dell’ufficio difensivo dall’obbligo di

denuncia dei reati di cui sono venuti a conoscenza nell’ambito dell’attività di

investigazione difensiva svolta41.

Ai sensi del comma 2 dell’art. 200 c.p.p., se il giudice dubita sulla fondatezza

dell’opposizione del segreto per il mero scopo di esimersi dal deporre come testimone, può

far procedere agli accertamenti necessari, e, in caso risulti infondata, ordina che il

testimone deponga.

Il segreto professionale, compreso quello dei consulenti tecnici e degli investigatori privati

autorizzati, è tutelato anche rispetto alla testimonianza de relato: l’art. 195 comma 6 c.p.p.

stabilisce che i testimoni non possono essere esaminati su fatti comunque appresi dalle

persone indicate nell’art. 200 c.p.p. in relazione alle circostanze in esso previste, salvo che

le predette persone abbiano deposto sugli stessi fatti o li abbiano in altro modo divulgati.

7.5 . Il segreto per gli investigatori privati autorizzati e la lacuna del codice di procedura

penale.

Analizzando alcune norme del codice di procedura penale riguardanti la figura

dell’investigatore privato autorizzato, mi è sorto un dubbio circa l’ambito applicativo

dell’art. 200 comma 1 lett. a) c.p.p. .

Tale disposizione testualmente recita così “ Non possono essere obbligati a deporre su

quanto conosciuti per ragione del proprio ministero, ufficio o professione (…) gli avvocati,

gli investigatori privati autorizzati, i consulenti tecnici e i notai”.

40 Nel senso di ritenere estensibile all’investigatore privato – quale complemento dell’art. 200 c.p.p. – l’art. 203 c.p.p., che vieta al giudice di obbligare gli agenti e gli ufficiali di polizia giudiziaria a rivelare i nomi dei propri informatori: G. FREDAS, Il difensore e gli eventuali testimoni nelle indagini preliminari, in Cass. pen., 1989, p. 2290. 41 In tal senso vedi: N. TRIGGIANI, Le investigazioni difensive, Milano, 2002, p. 132; A. DI MAIO, Le indagini difensive, Padova, 2002, p. 162; F. RANZATTO, Esteso il segreto professionale agli investigatori privati autorizzati, in Processo penale: il nuovo ruolo del difensore, cit., p. 72

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Prima facie sembrerebbe una disposizione esaustiva e priva di problematiche, ma adesso

mostrerò perché, secondo me, questo articolo contiene una lacuna o un difetto di

coordinamento con altre disposizioni codicistiche.

Per spiegare il mio ragionamento occorre fare una breve panoramica sulla figura

dell’investigatore privato.

Sappiamo che non esiste più, a seguito del nuovo codice di procedura del 1988, un solo

tipo di investigatore privato nel nostro ordinamento – cioè legittimato a compere le c.d.

“investigazioni civili”, quindi sostanzialmente operante nel raccogliere prove, ad esempio,

in ambito matrimoniale ( es: prove del tradimento), o familiare ( es: prova che un figlio

faccia uso di sostanze stupefacenti), o nel campo dello spionaggio industriale. Questa la

possiamo definire la figura tradizionale dell’investigatore, la cui disciplina è contenuta nel

Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza (R.D. 18 giugno 1931, n. 773) e nel suo

regolamento (R.D. 6 maggio 1940, n. 635).

Sulla base delle previsione del T.u.l.p.s. un soggetto non può svolgere di propria iniziativa,

cioè di fatto, l’attività di investigazione privata, ma deve aver ottenuto la licenza dal

Prefetto ai sensi dell’art. 134 T.u.l.p.s.42; quindi di seguito quando farò riferimento

all’investigatore privato “civile” lo chiamerò ex art. 134 T.u.l.p.s..

Come ho già anticipato, esiste oggi nel nostro ordinamento una figura nuova di

investigatore privato c.d. “autorizzato” a compiere investigazioni difensive, quindi

operante in ambito penale. Il termine “autorizzato”, che troviamo in molti articoli (art.

327-bis comma 3 c.p.p., l’art. 200 comma 1 lett. b) c.p.p., l’art. 391-bis comma 3 c.p.p.)

trova la sua disciplina e definizione nell’art. 222 disp. coord. c.p.p., secondo il quale “Fino

all’approvazione della nuova disciplina sugli investigatori privati, l‘autorizzazione a

svolgere le attività indicate nell’art. 327-bis c.p.p. è rilasciata dal prefetto agli investigatori

che abbiano maturato una specifica esperienza professionale che garantisca il corretto

esercizio dell’attività…”

Orbene, l’autorizzazione che legittima a compiere investigazioni penali è rilasciata dal

Prefetto; quindi per comodità di linguaggio parlerò d’ora in avanti di investigatore ex art.

222 disp. coord. c.p.p., per riferirmi a colui che è autorizzato anche in ambito penale.

42 La presenza di tale atto come legittimante l’attività investigativa è prevista indirettamente anche in alcune previsioni del codice penale, in particolare mi riferisco alla Sezione IV del Titolo XII Libro II, che punisce “ i delitti contro l’inviolabilità del domicilio”, nei cui articoli spesso compare l’aggravante se il fatto è commesso “da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato”.

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Iniziando a tirare le fila del mio ragionamento credo che possa ottenere l’autorizzazione ex

art. 222 disp. coord. c.p.p. solo colui che ha già l’autorizzazione in ambito civile ex art. 134

T.u.l.p.s., perché testualmente l’art. 222 disp. coord. c.p.p. si riferisce all’ “investigatore”, e

come ho già anticipato, è tale solo colui che abbia ottenuto al licenza ex art.134 T.u.l.p.s.

dal Prefetto, non potendosi svolgere questo tipo di attività “di fatto”43.

Quindi l’investigatore privato penale, il c.d. “autorizzato”, avrà una doppia autorizzazione:

la prima, quella che definisco “base” ai sensi dell’art. 134 T.u.l.p.s. e la seconda, il cui

rilascio è anche condizionato dal previo ottenimento della prima, ai sensi dell’ art. 222

disp. coord. c.p.p.

Detto questo, si può ritornare al punto di partenza del mio ragionamento, cioè l’art. 200

comma 1 lett. b) c.p.p. e l’ambito soggettivo di applicazione del segreto professionale: tale

articolo si riferisce agli “investigatori privati autorizzati”, i quali possono opporre il

segreto professionale, ove fossero chiamati a testimoniare ( visto che per tali soggetti non

opera l’incompatibilità con l’ufficio del testimone ai sensi dell’art. 197 lett. d) ).

Ne discende molto chiaramente che agli investigatori privati ex art. 134 T.u.l.p.s. è

preclusa la possibilità di opporre il segreto ai sensi dell’art. 200 c.p.p. su quanto da loro

“conosciuto per ragione (…) della propria professione”, perché l’articolo citato richiede

l’autorizzazione ex art. 222 disp. coord. c.p.p. per operare.

Circoscritta così l’operatività dell’art. 200 c.p.p. solo agli investigatori privati autorizzati

ex art. 222 disp. coord. c.p.p., occorre proseguire oltre e vedere all’interno di tale categoria

43 Ho fatto questa precisazione perché non condivido l’interpretazione ministeriale offerta con la circolare 20 ottobre 1989, n. 559/C./26410/ 10089.D.A. (15) del Ministero dell’Interno-Dipartimento della Pubblica Sicurezza, intitolata “Nuovo codice e investigatori privati”, secondo la quale esiterebbero tre tipologie di investigatori privati:1) autorizzati solo per il campo civile ex art.134 T.ul.p.s.; 2) sia in campo civile che penale, autorizzati sia ai sensi dell’art. 134 T.ul.p.s. e sia ex art. 222 disp. coord. c.p.p.; 3) autorizzati solo per l’ambito penale ex art, 222 disp. coord. c.p.p. A mio avviso, come ho sopra illustrato, esistono solo ed esclusivamente due tipologie di investigatore, quello “base” operante solo in ambito civile ai sensi dell’art.134 T.ul.p.s. e quello penale, o meglio sarebbe definirlo giudiziario, il quale ha ottenuto un’altra autorizzazione ai sensi dell’art. 222 disp. coord. c.p.p.. Quindi secondo me la sola autorizzazione ai sensi dell’ art. 222 disp. coord. c.p.p., che abilita solo per il campo penale, non si può concedere, visto che testualmente l’art. 222 disp. coord. c.p.p. parla di “investigatore” da autorizzare in ambito penale, e ha la qualifica di investigatore solo colui che ha la licenza ai sensi dell’art. 134 T.ul.p.s..

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l’ambito di applicabilità dell’articolo in esame: è qui che secondo me c’è in incongruenza

tra le norme del codice di procedura penale.

Posto che l’art. 200 comma 1 lett. b) c.p.p. fa riferimento solo “all’investigatore privato

autorizzato” , mentre l’art. 327-bis comma 3 c.p.p. richiede il conferimento dell’incarico

all’investigatore per avvalersi della sua opera in ambito di investigazione difensiva, mi

domando se l’art. 200 c.p.p. operi per tutti gli investigatori privati autorizzati ex art. 222

disp. coord. c.p.p. indipendentemente dal fatto che abbiano o meno ricevuto un incarico

difensivo.

In altre parole, possono opporre il segreto solo per fatti conosciuti per ragione della loro

professione nello svolgimento di attività investigative compiute su incarico di un difensore

ai sensi dell’art. 327- bis c.p.p., oppure anche per fatti conosciuti, sempre in ragione della

loro professione ma senza il previo ricevimento di un incarico?

Cercherò di chiarirmi con due esempi, che potrebbero realmente verificarsi nella pratica.

Prima ipotesi: un investigatore privato autorizzato ex art. 222 disp. coord. c.p.p. riceve da

un privato l’incarico di compiere indagini – in campo civile – ad esempio, sul figlio perché

teme che si droghi; e scopre in realtà che il figlio, non si droga, ma spaccia. Se tale

investigatore, riconosciuto da agenti o ufficiali della polizia giudiziaria, che in borghese

stavano conducendo indagini sul traffico di stupefacenti in cui è coinvolto la persona

pedinata, viene ii 8 4 e s e m p i o 9 9 5 2 r i c h i e d e e 5 T D 0 . 0 i n f o c e 5 0 e f a i m p r e i s e g u d u e l o p e r f a t t i c o n o s c i l p r e v i o - 0 . 3 2 7t r 2 s p . c o o 0 a n c h e p e r f a T c 0 1 . - 4 7 . 2 5 - 2 0 . 2 5 T D 0 . 0 0 1 . - 4 . 7 0 7 2 T ( t r 2 7 8 2 2 2 ) T j 6 e i– � . 2 1 7 T w ( s t a a t i v e c o m p 7 8 u t e s u 0 T D o p p o 7 3 . c a r i c o . c T D - 0 7 8 T w ( a t i ) T j 1 - 2 0 . 2 5 T D - 0 . 7 8 T w 0 . 8 8 1 1 T w ( I 4 . p . , o p p c h b l i c o m I d i u e ) s e g r e i r i c o , - 2 0 . 2 5 T D 0 T D - 0 . 4 7 i v i 2 2 3 a l l ’ i n v e s p e r a v v a l e r s i d e l l a s o r e p 2 d i s p . c o t . 3 , q u f a t 2 T c 0 . 2 9 2 T w ( u n 6 0 2 n o c o n d 1 9 6 u t e s u i n i n c o n l 5 T h e n 7 i v g n b 9 9 ) n i s e ) T 2 2 3 a l l ’ i n v e s p e r a v v p 2 d i s p . T j 0 t o - 0 . 3 2 7 tr90ano co6.278.p.p. in9 0 TD -0.2t. riceve da

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attività investigativa difensiva deve conferire l’incarico ai suoi collaboratori. Ora anche se

l’art. 327-bis c.p.p. non richiede la forma scritta ad substantiam, e nemmeno nomina tale

requisito, è pacifico che la forma scritta sia richiesta implicitamente se non altro ad

probationem dell’avvenuto conferimento dell’incarico. Ma ad probationem nei riguardi di

chi? Nei confronti dell’autorità procedente, alla quale ai sensi del comma 2 dell’art. 222

disp. coord. c.p.p. richiede che l’incarico sia “iscritto in uno speciale registro”, e

successivamente comunicato alla stessa da parte del difensore ai sensi del comma 4

dell’articolo citato, ( a partire da tale comunicazione operano le garanzie e le tutele della

segretezza delle indagini e della non ingerenza nei confronti dell’investigatore privato da

parte dell’autorità procedente).

Orbene, fatte queste premesse, mi chiedo se, ove il difensore non conferisce per iscritto

l’incarico all’investigatore, non volendo formalizzare il loro rapporto, soprattutto nei

confronti dell’autorità procedente, che così verrebbe a sapere che egli sta facendo

investigazioni difensive, l’investigatore potrebbe opporre il segreto professionale se fosse

successivamente chiamato a testimoniare?

In questo caso, l’investigatore privato autorizzato ha compiuto attività investigativa,

limitandosi alla mera raccolta di informazioni tramite attività atipiche, come i pedinamenti.

Ritengo che tale ipotesi confermi le conclusioni a cui sono giunta prima circa

l’applicabilità dell’art. 200 comma 1 lett. b) all’investigatore privato autorizzato,

indipendentemente dal conferimento di un incarico. Infatti, qui sono state fatte

investigazioni difensive non formalizzate all’autorità procedente; se non si ammettesse

l’operatività del segreto si aprirebbe una voragine nella tutela della segretezza delle

investigazioni difensive, ponendo il difensore ogni volta dinanzi ad un aut aut: conferire

l’incarico scritto all’investigatore, per tutelarsi contro l’eventuale chiamata a testimoniare

con il relativo obbligo di verità ( che potrebbe generare in una nuova ipotesi di

testimonianza de relato contro il proprio assistito ex art.195 c.p.p.), ma rendere così nota

la notizia che si stanno facendo investigazioni difensive; oppure non conferire un incarico

formale, cioè scritto, ma solo orale, per tutelare la segretezza delle investigazioni difensive

e dell’eventuale pista o strategia che si sta seguendo, ma col rischio che l’investigatore

privato venga chiamato a testimoniare con l’obbligo di verità.

Se consideriamo che durante la fase delle indagini preliminari il pubblico ministero può

interrogare, ai sensi dell’art. 362 c.p.p., le persone informate sui fatti, le quali hanno

l’obbligo di verità penalmente sanzionato (art. 371-bis c.p.), potrebbe dunque interrogare

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l’investigatore privato autorizzato e ottenere le informazioni circa l’attività investigativa

compiuta.

Se, invece, riteniamo operante il segreto professionale indipendentemente dall’avvenuto

conferimento dell’incarico, anche questa ipotesi è coperta perché l’art. 362 c.p.p. richiama

una serie di disposizioni tra cui l’art. 200 c.p.p.. Così il cerchio si chiude.

Concludendo, ho parlato all’inizio di questo paragrafo di una lacuna perché secondo me il

codice non è chiaro su questo aspetto e difetta di chiarezza terminologica, lasciando

“scoperta” questa ipotesi da me sottolineata, e alla quale ho cercato di dare una risposta.

In ultimo, è il caso di ricordare l’impostazione offerta da parte della dottrina secondo la

quale l’opposizione del segreto professionale dell’investigatore privato trovi specifica

valenza qualora l’investigatore privato sia sentito come testimone in un procedimento

diverso da quello in cui egli ha ricevuto l’incarico. Sulla considerazione che egli nel

procedimento in cui ha svolto le sue funzioni investigative non assume lo status di

testimone ma di consulente tecnico della difesa, con la relativa differente disciplina44.

44 F. ZACCHE’, Il contributo dell’investigatore privato alle indagini difensive, cit., p. 2558; KOSTORIS, I consulenti tecnici nel processo penale, Milano, 1993, p. 123.

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