L'invenzione dell'altro (Kilani)

157
ANTROPOLOGIA CULTURALE Prof. Mara Mabilia UniPD Uomo, cultura, società (Bernardo Bernardi) 1. NATURA E CULTURA Qual è l’oggetto della ricerca antropologica? È l’UOMO; Qual è l’oggetto dell’Etnologia (= la scienza dei popoli)? È la STORIA della CULTURA. Cosa studia l’Antropologia culturale ? Indaga sul significato e le strutture della vita dell’uomo, come espressione della sua attività mentale. L’attività mentale dell’uomo è espressione di scelte precise dell’uomo stesso, che egli opera per ordinare la propria vita. Tali scelte costituiscono la CULTURA: La Cultura è quell’insieme di scelte che l’attività mentale dell’uomo elabora per ordinare la propria vita. L’uomo è condizionato nelle sue scelte: Dalla sua costituzione di individuo; TEMI DOVE SI SVOLGE IL Dalle relazioni con altri individui; DISCORSO ANTROPOLOGICO Dalla natura che lo circonda e in cui vive 1. LA NATURA, FONDAMENTO DELLA CULTURA La Natura Cosa studia l’antropologia della Natura? Studia i vari significati sotto il cui concetto di natura si presta alla mente umana per ordinare la vita dell’uomo in sistemi di interpretazioni teoriche e istituzioni sociali. Quante e quali sono i significati antropologici del concetto di natura ? 1. Natura intesa come l’universo, come la totalità cosmica, dove l’uomo è immerso e dove trae la misura per capire il suo limite individuale. Il Cosmo, avendo carattere sfuggente, misterioso, spesso viene interpretato dalla mente umana come un simbolo particolare, che diventa sinonimo di Dio; 2. Natura come l’ambiente ecologico (la terra, la vegetazione, gli animali). La vita umana si svolge in simbiosi con queste realtà, l’uomo è spinto a conquistare e dominare l’ambiente per ottenere i mezzi di sussistenza, ma la realtà fisica della natura si 1

Transcript of L'invenzione dell'altro (Kilani)

ANTROPOLOGIA CULTURALE Prof. Mara Mabilia UniPD

Uomo, cultura, società (Bernardo Bernardi)

1. NATURA E CULTURA

Qual è l’oggetto della ricerca antropologica? È l’UOMO; Qual è l’oggetto dell’Etnologia (= la scienza dei popoli)? È la STORIA della CULTURA. Cosa studia l’Antropologia culturale? Indaga sul significato e le strutture della vita dell’uomo, come

espressione della sua attività mentale. L’attività mentale dell’uomo è espressione di scelte precise dell’uomo stesso, che egli opera per ordinare la propria vita. Tali scelte costituiscono la CULTURA:

La Cultura è quell’insieme di scelte che l’attività mentale dell’uomo elabora per ordinare la propria vita. L’uomo è condizionato nelle sue scelte:

Dalla sua costituzione di individuo; TEMI DOVE SI SVOLGE IL Dalle relazioni con altri individui; DISCORSO ANTROPOLOGICO Dalla natura che lo circonda e in cui vive

1. LA NATURA, FONDAMENTO DELLA CULTURALa Natura

Cosa studia l’antropologia della Natura?Studia i vari significati sotto il cui concetto di natura si presta alla mente umana per ordinare la vita dell’uomo in sistemi di interpretazioni teoriche e istituzioni sociali.

Quante e quali sono i significati antropologici del concetto di natura?1. Natura intesa come l’universo, come la totalità cosmica, dove l’uomo è immerso e dove trae la

misura per capire il suo limite individuale. Il Cosmo, avendo carattere sfuggente, misterioso, spesso viene interpretato dalla mente umana come un simbolo particolare, che diventa sinonimo di Dio;

2. Natura come l’ambiente ecologico (la terra, la vegetazione, gli animali). La vita umana si svolge in simbiosi con queste realtà, l’uomo è spinto a conquistare e dominare l’ambiente per ottenere i mezzi di sussistenza, ma la realtà fisica della natura si presenta all’uomo anche come oggetto di indagine e opposizione: la natura vista come complesso di forze estranee all’uomo è vista in contrasto con la cultura. L’opposizione viene espressa in termini mitologici o mistici, ad esempio Lévi-Strauss spiega il totemismo, cioè il mondo animale e quello vegetale non vengono utilizzati solo perché ci sono, ma perché propongono all’uomo un metodo di pensiero;

3. Natura come insieme delle leggi fisiche e biologiche che reggono la costituzione intima delle cose e degli esseri. L’uomo stesso soggiace a queste leggi. La costituzione naturale dell’uomo (fisica e biologica) si presenta sottoforma duale (2 sessi) la distinzione uomo-donna è un fatto naturale, che l’uomo non ha liberamente scelto, ma che deve accettare, e anzi rispettare.

Qual è la linea di confine tra Natura e Cultura?- La natura è retta da leggi generali, fisse, è universale è costante e va per gradi;

- L’attività culturale, invece, procede per alti e bassi, secondo la libera scelta dell’uomo stesso.

Qual è la caratteristica più significativa dell’uomo?L’uomo ha la capacità e la caratteristica di intervenire sulla natura la osserva e la studia non solo per osservarla, ma anche per modificarne e correggerne il corso, secondo i propri intenti.

2 esempi di “attività” che presentano le caratteristiche del passaggio tra natura e cultura:1

I. L’interazione sessuale, naturale e biologica, offre all’uomo un campo di intervento: l’uomo infatti interviene con norme precise a regolare la propria attività sessuale come il divieto dell’incesto o l’esogamia;

II. Il Linguaggio (fatto universale di natura) e Lingua (fatto particolare di natura) e suoni/gesti (fatti di natura che corrispondono a leggi fisiche) assumono un valore semantico, cioè diventano dei simboli usati per esprimere una realtà diversa (quella del pensiero): tutta questa attività è già cultura! È un intervento dell’uomo sulla natura!

Quindi la cultura si innesta sulla natura.È il fondamento naturale che consente all’uomo di sviluppare la sua attività mentale e creare la cultura.La natura dell’uomo è la cultura L’UOMO, per sua propria natura, PRODUCE LA CULTURA!

2. IL SIGNIFICATO ANTROPOLOGICO DI CULTURA Quanti significati ha il termine Cultura? (2)

1°) UMANISTICO, di portata limitante e restrittiva, che porta a conseguenze negative e a pregiudizi; Infatti:significato umanistico di cultura possesso di conoscenze più o meno specializzate acquisite con lo studio (uomo colto) ha significato di distinzione e superiorità, di pregiudizio gli antropologi la rifiutano.2°) ANTROPOLOGICO, la prima formulazione del concetto antropologico di cultura è di Taylor, che la definisce come “il complesso unitario che include la conoscenza, la credenza, l’arte, la morale, le leggi e ogni altra capacità e abitudine acquisita dall’uomo come membro della società”. Taylor con questa definizione poneva le premesse teoriche per superare il pregiudizio sull’esistenza di genti senza cultura, inferiori e rozze. Il concetto assume il valore di “patrimonio”, cioè di bene tramandato dai padri, e diventa l’eredità tradizionale che caratterizza ogni individuo e ogni società.= è una prospettiva evoluzionista: i primitivi sono ai livelli più bassi di cultura, ma non ne sono privi! Non ci sono esclusioni!Tra gli aspetti più significativi di questa definizione abbiamo:- Unitarietà del concetto di cultura;

- La cultura è un complesso dinamico: quando sorge persiste e continua;

- Ci sono varie prospettive attraverso cui analizzare il concetto: in rapporto al singolo individuo, alla comunità o come complesso unitario.

Qual è il compito dell’Antropologia culturale?È scoprire la dinamica interna da cui la cultura sorge e studiare le forme esteriori nelle quali si struttura.Spencer: l’organico è la natura, il superorganico è la cultura: Mentre l’organico soggiace alle leggi fisiche e biologiche della natura e accomuna tutti gli esseri viventi, la cultura sovrasta le attività naturali perché è il prodotto della mente degli uomini e li pone al di sopra degli animali.

3. ASTRAZIONE E SIMBOLIZZAZIONEASTRAZIONE: la cultura è oggetto di astrazione, perché è un prodotto del pensiero, si concretizza nei valori teorici e nelle istituzioni sociali, ma, secondo alcuni studiosi, il fatto che possa essere vista come astrazione fa si che essa non esista come realtà percepibile e che non possa cioè, essere studiata.

White accusa gli antropologi a dare un senso di cultura troppo astrattista al concetto di cultura, accentuando troppo l’aspetto del comportamento umano, mentre bisognerebbe opporre il

2

comportamento (psicologia) alla cultura (culturologia): ogni cosa ed ogni evento possono diventare oggetto di SIMBOLIZZAZIONE (White), se tale processo si riflette sul comportamento semantico tali eventi diventano oggetto di studio psicologico; mentre se tale processo di simbolizzazione viene in rapporto con altri simbolati, allora tali eventi diventano oggetto di studio della culturologia.Quindi per White, la cultura è una classe di cose ed eventi dipendenti dalla simbolizzazione considerata in un contesto extra-somatico (extra-fisico, ma non psicologico).Questa definizione riprende Taylor, ma introduce l’elemento nuovo di Simbolizzazione, cioè un fenomeno fondamentale della cultura umana che si esprime con la lingua/parola, ma anche con l’insieme dei modelli di comportamento e delle istituzioni sociali: Ogni azione o cosa dell’uomo può assumere il valore di simbolo, che assume un significato nuovo che si aggiunge a quello naturale e normale: per esempio, una clava è un’arma, ma assunta a simbolo, il suo uso può cambiare, diventando simbolo “innocuo” di potere.

A causa della simbolizzazione, tutte le manifestazioni materiali dell’attività umana acquistano un significato culturale e diventano una specie di linguaggio singolare che raccorda gli uomini tra loro: cultura architettonica, cultura materiale, cultura religiosa, cultura dei poveri ecc.L’aspetto ereditario della cultura attribuisce continuità alla cultura stessa, che si fa tradizione e diventa così modello di comportamento, di conformità o di ribellione che caratterizza un qualunque gruppo, famiglia, associazione, tribù, Stato o nazione.

4. CULTURA E CIVILTÀFino al 1900, cultura e civiltà erano usati come sinonimi, ma ci sono divergenze di interpretazione:Alcuni autori utilizzano il concetto di civiltà come manifestazioni superiori, o territorialmente importanti della cultura (più diffuse), ma questo esprime un giudizio di valore e non offre un criterio di misure per stabilire una graduatoria delle culture. Nel periodo evoluzionista si ordinavano per gradi di sviluppo le varie culture, ma queste graduatorie vennero abbandonate proprio per superarne le insufficienze e le inesattezze.Altri studiosi vedono la cultura come un aspetto ideologico con valori ideologici e interpretativi; e la civiltà come aspetto concreto, con elaborazioni pratiche e istituzionali.La distinzione tra i 2 termini si può cogliere in modo più netto valorizzando l’etimologia latina della parola “CIVILTÀ”: civilitas, da civis (cittadino) e il contrario peregrinus/hostis (forestiero). Inoltre civilis significa cortese, affabile; e il suo contrario è ruralis (rustico, campestre). Perciò il concetto di civiltà sembra legato ad una forma di vita cittadina!Il termine civiltà può essere riservato per indicare una specializzazione della cultura, non come indice di superiorità ma in relazione all’organizzazione residenziale di città, come struttura urbana.

5. CULTURA E SOCIETÀSono sinonimi? No! Il termine società è molto sfuggente e assume significati anche molto diversi.Mauss dà una corretta definizione, che evidenzia la differenza:1- Cultura : concetto più vasto (della società) e comprensivo; è espressione totale della mente umana; è

dalla cultura che l’attività dell’uomo singolo (il suo pensiero, le sue intuizioni) trae il suo impulso/modello;

2- Società : considerata, non ne suo aspetto individuale, ma nell’aspetto di partecipazione e associazione. È una manifestazione della cultura umana. La società è l’insieme dei sistemi normativi delle relazioni umane che traducono e attuano i valori e le interpretazioni culturali in istituzioni sociali!

Esempio: la Terra è vista come un bene valutabile in denaro, oppure anche come una divinità. Sono concezioni diverse tra loro che sono d’ordine culturale, ma si riflettono in maniera determinante sui modi di organizzazione e di comportamento sociale (rispettivamente significato commerciale e religioso)!

6. I VALORI CULTURALI Come avviene la formulazione di un valore?

3

La formulazione di un valore (che è un fenomeno della dinamica culturale) avviene per un processo di qualificazione che porta ad una valutazione. Avviene un confronto in base al quale si opera una scelta di un qualcosa considerato un bene e che pertanto va apprezzato, acquisito, conservato e trasmesso come un’eredità. Ciò che non interessa viene invece rifiutato, abbandonato, non è cioè un valore.

Ma qual è la misura che fa di un fatto o una manifestazione culturale un valore?È la Partecipazione alla cultura come complesso unitario: ogni elemento costitutivo della cultura diventa un valore: l’anzianità per i Masai, la sacralità della terra per i Tallensi del Ghana, ma anche le istituzioni della struttura di una società, i miti e i detti sapienziali, gli utensili e i cerimoniali, tutto rappresenta un bene culturale e quindi un VALORE.- L’apprezzamento dei valori culturali viene trasmesso come un’eredità nella tradizione e crea una

scala di valori che fa nascere un sentimento di identità con una determinata cultura, riconoscendo questi valori come un patrimonio che va mantenuto e rinnovato; ma non si cristallizza, cioè variano nel tempo, infatti:Ogni valore è comunque relativo in rapporto ai tempi e ai singoli individui la relatività è importante per l’antropologia, che nasce per apprezzare e far conoscere i valori della cultura umana in tutte le sue manifestazioni e diversità.

- L’apprezzamento importa gradazioni diverse, si stabilisce una scala di valori che però non è assoluta, ma si esprime nel sentire comune.

7. I SISTEMI E I MODELLI CULTURALIIl riconoscimento della logica razionale che anima ogni cultura è un dato acquisito dall’antropologia solo recentemente e solo l’apertura mentale e la preparazione metodologica consentono di cogliere l’aspetto razionale dei fenomeni culturali e di rilevarne le corrispondenze e la coerenza che li uniscono in sistema: sistemi di pensiero, sistemi politici, sistemi di parentela.

Ruth Benedict ha introdotto il concetto di “modelli culturali” (VEDI P.7-8), definiti come “coerenti organizzazioni di comportamento”, cioè il complesso culturale è unitario non solo per quanto riguarda la totalità delle manifestazioni culturali, ma si riferisce anche all’intima connessione che lega tra loro tali manifestazioni; c’è un nesso logico, razionale tra le singole espressioni della cultura , c’è coerenza e corrispondenza nell’unione in un sistema di tali fenomeni culturali, che può sfuggire a chi ne è estraneo.

Personalità di base l’insieme dei modelli di comportamento offerti da una determinata cultura ai quali un individuo si conforma e fa propri certi comportamenti che sono comuni a quanti si considerano parte di quella cultura.

8. USI E COSTUMI Come si passa da Valore a Norma?

Ciò che è un valore, un modello, impegna ogni singolo membro di una società a rispettarlo e osservarlo, tramutando così la cultura in norma , cioè le viene attribuita una forza coercitiva che limita la libertà dell’individuo e lo guida a conformarsi a forme stabilite di comportamento (in questo Durkheim vide l’origine della società).

La Norma ha un potere che limita la libertà di scelta di un individuo e lo guida a conformarsi alle forme di comportamento stabilite:- La dinamica della norma non è mai così formalizzata, ma deriva la sua efficacia dalla necessità

dell’uomo di identificarsi con altri uomini, di appartenere ad un gruppo;

4

- La norma indica ciò che è stato trasmesso e acquista perciò un significato morale. il complesso delle norme forma gli usi e costumi , cioè il modello di comportamento “normale” nell’ambito di una cultura e società.

9. ISTITUZIONI E STRUTTURE SOCIALILe norme si riflettono sul comportamento pratico negli usi e costumi.Quando l’attuazione di una norma diventa stabilizzata e costante e costituisce un elemento determinante dei rapporti sociali, diventa istituzionalizzata LA NORMA SI FA ISTITUZIONE!

Cosa sono le istituzioni sociali ?Sono elementi acquisiti e componenti del sistema sociale; danno concretezza all’idea di società. Le istituzioni della famiglia, dell’organizzazione politica, dell’iniziazione giovanile rappresentano la società e segnano i lineamenti della cultura.

Cos’è la struttura sociale?società cultura = Struttura sociale 1) Secondo Radcliffe-Brown la struttura sociale è “la sistemazione costantemente mantenuta delle

persone entro rapporti definiti o controllati da istituzioni, cioè da norme o modelli di comportamento socialmente determinati” .

2) Secondo Lèvi-Strauss la struttura sociale è “il sistema simbolico delle relazioni costanti tra i fatti”.

10. LE CULTURE “ALTRE”Non esiste una sola cultura, ma molte. Ognuna rappresenta il modo tipico e specifico in cui i popoli definiscono i propri valori e con cui ordinano le proprie istituzioni in un sistema sociale distinto dagli altri.La molteplicità delle culture si esprime in due poli:- L’Uniformità tutti gli uomini appartengono per natura ad una razza identica, l’ homo sapiens (valore

fondamentale per spiegare l’uniformità che esiste tra le culture umane). Ogni uomo infatti, sia che abiti in Amazzonia o a New York deve sempre affrontare problematiche nel suo rapporto con la natura-universo che lo circonda, con la realtà cosmica misteriosa e con l’ambiente fisico e sociale;

- La Diversità ogni cultura è anche diversa e dipende oltre che dal luogo, dal tempo e dall’adattamento nell’ambiente, anche, e soprattutto, dalla libertà di scelta dell’uomo (in uno stesso ambiente!). Ecco che non tutti i popoli che vivono nelle foreste si comportano ugualmente. C’è chi per esempio vive dei soli frutti della foresta e chi invece si apre un varco e prepara il terreno per coltivazioni proprie.

L’identificazione dell’uomo in una cultura è sicuramente cosa positiva, ma può diventare negativa quando si sfocia nell’etnocentrismo, vera malattia culturale, nel momento in cui la propria cultura di appartenenza viene assunta come termine di paragone, discriminando le altre culture: diventa così rozzo, incivile e barbaro ciò che viene fatto dagli altri uomini di cultura diversa dalla propria l’ autarchia (autonomia) culturale rappresenta un impoverimento e una stasi, perché blocca la dinamica culturale sfavorendo i contatti tra culture altre e gli scambi culturali.L’antropologia nasce per superare le discriminazioni e il pregiudizio, per comprendere appieno i valori delle altre culture e per capire appieno i valori e i limiti della nostra.Il relativismo culturale porta al rispetto per tutte le culture nelle culture emerge sempre un unico assoluto, cioè l’uomo nel suo diritto alla vita e alla libertà , degno di riconoscimento e accettazione.

11. SOTTOCULTURE, EGEMONIA CULTURALESottocultura esempio comunità italiana a New York, è parte di un fenomeno di stratificazione culturale e sociale. Non possiede una completa autonomia: determinati individui partecipano in qualche modo alla cultura dominante pur mantenendo elementi importanti di distinzione e di separazione.

5

Ma nella concezione antropologica la cultura è integrale: include tutti gli aspetti della vita umana. Per questo molti dubitano del valore significante del termine sottocultura.

2. I FATTORI DELLA CULTURA

ANTHROPOS l’uomo nella sua realtà individuale e personale; ETHNOS comunità o popolo, intesi come associazione strutturata di individui; OIKOS l’ambiente naturale e cosmico dentro cui l’uomo si trova ad operare; CHRONOS il tempo, condizione lungo la quale si svolge l’attività umana.

Nessuno di questi fattori produce da solo la cultura, ma nessuno può essere ritenuto estraneo al suo processo dinamico. La loro azione si riscontra in tutte le manifestazioni culturali, più o meno in evidenza.

1. ANTHROPOS (Individuo)-È un fattore di cultura in quanto analizzato dal punto di vista del comportamento di un individuo, come espressione della sua attività mentale; ma non in senso psicologico, bensì antropologico, come contributo determinante del processo culturale.Ciò che interessa all’antropologo è: rilevare ed analizzare il processo di trasformazione culturale che si mette in atto con l’azione peculiare dell’individuo, ossia con la manifestazione dell’attività mentale. Viene cioè fatta un’analisi del singolo individuo al processo culturale.Certamente se noi consideriamo la cultura come un tutto integro (Taylor) dobbiamo astrarre dal singolo individuo; ma se noi consideriamo la cultura nella sua genesi dinamica dobbiamo risalire al singolo uomo.In questa prospettiva l’uomo acquisisce un ruolo di primissimo ordine e una funzione insostituibile perché la cultura sia quella che è. L’individuo sta all’origine ed è il condotto capillare della cultura.Linton: “l’individuo è la variabile irriducibile di ogni situazione culturale”.-Persona e cultura:Il rapporto tra persona e cultura è ambivalente: ogni persona genera cultura (rapporto attivo), ma nello stesso tempo la cultura stessa lo muta se la si considera come matrice della personalità umana (rapporto passivo).Ma bisogna considerare anche un altro polo: l’individualità del singolo; ogni esistenza è unica; ogni vita è una tessitura particolare di bene e di male, pur essendo intessuta di fibre comuni a tutti gli esseri umani (Fortes, 1945).Per quanto riguarda il rapporto passivo, alla base della personalità umana è necessario tener presente:

- l’età: è un principio di strutturazione sociale,

- la costituzione fisica e la presenza di anomalie nel corpo: l’uomo è un essere bio-culturale,

- il sesso: la distinzione tra uomo e donna rappresenta un valore determinante per la personalità e la funzione dei singoli nella partecipazione attiva alla cultura.

L’inculturazione è un processo dinamico della cultura per ogni individuo che viene introdotto, formato ed educato nell’ambito di una particolare cultura.L’inculturazione parte dall’iniziativa di chi è già membro attivo di una cultura (adulti e esperti qualificati) e sembra mettere l’individuo in una posizione passiva di ricezione, già alla nascita. In realtà l’inculturazione esige una rispondenza da parte del soggetto, che assimila e fa propri certi valori, li vive e può anche rifiutarli. Diventa portatore di cultura, la cultura si fa in lui realtà vivente.-L’apporto individuale:Con l’inculturazione ogni individuo viene reso partecipe di una cultura, diventa portatore di cultura.Il valore individuale della personalità viene posto in risalto, ad esempio, dalle iniziazioni tribali, istituzione prevalentemente sociale ma che ha come oggetto diretto la persona dei singoli candidati: l’iniziando attraverso un processo culturale muta la propria personalità da adolescente ad adulto, da immaturo a pienamente partecipante della società.

6

L’uomo si fa interprete della cultura solo per il fatto di portarla con sé! Le sue interpretazioni hanno sempre un qualcosa di singolare e irripetibile, per cui ogni individuo deve essere considerato anche un creatore di cultura (in misura variabile).-L’individuo e il metodo antropologico

Qual è il metodo di studio dell’antropologia? L’attuale metodo antropologico è basato sull’individuo, attraverso l’osservazione partecipante: l’analisi di una cultura è volta sempre verso la scoperta dell’uomo. Quando un antropologo si propone di studiare una cultura, è uomo tra gli uomini, si inserisce nel vivo delle manifestazioni culturali, stabilisce rapporti di confidenza e amicizia con la gente del posto per capire meglio ciò che studia (partecipazione in una prospettiva umana).

2. ETHNOS (popolo)= è l’ambito in cui l’attività mentale dell’individuo trova accoglimento ed espansione e viene coordinata in modo ordinato e sistematico in un tutt’unico.La cultura può essere vista come il risultato della collettività, non è un condensamento informe dell’azione dei singoli, ma un coordinarsi dinamico e sistematico in un tutto unico ogni azione dell’individuo che crea cultura sarebbe vana se non trovasse possibilità di accoglimento tra gli individui per divenire parte del patrimonio comune (la cultura diventa cosi bene comune, proprietà di tutti).L’associarsi dell’uomo avviene in base a principi diversi attraverso i quali si attua l’interazione tra gli individui il processo interattivo si consolida e l’associazione diventa “sistema sociale” (= tipo organico e integrato di associazione).-Tipi di associazione comunitaria:

Cos’è il quasi-gruppo?È un’accolta di persone che si uniscono attorno ad un ego per un’attività specifica. Es: le elezioni politiche: degli individui si uniscono attorno ad un candidato, oppure il venditore con il suo gruppo di clienti, oppure la parentela con il parentado.

Cosa distingue la comunità dalla communitas?Concetto di Communitas: è una relazione tra individui concreti o di comune sentire. Essi si confanno in un modello di società omogeneo, ma senza struttura. In questo tipo di associazione confluiscono individui limitati, cioè uomini che attuano forme nuove di associazione. Es.: Hippies oppure i discepoli si S. Francesco.Il destino storico di ogni communitas spontanea è un declino/caduta nella struttura e nella legge. La communitas può farsi comunità:

Concetto di Comunità:- non è un insieme di individui casualmente uniti, ma un complesso coordinato e ordinato per

l’ottenimento di scopi specifici;- la famiglia, il gruppo, la parentela, il popolo, la nazione sono tutte forme di comunità;- uno dei caratteri principali della comunità è la stabilità della sua struttura; e- il processo che la costituisce è dinamico e non cessa mai:

La comunità infatti rimane anche quando scompaiono i singoli membri, cioè va oltre il limite dell’individuo singolo;

- si presenta a vari livelli di formazione;- la comunità è soggetto e portatrice di cultura .

-Patrimonio, Modelli, EthosL’insieme della cultura sovrasta sempre l’apporto individuale: il tutto è più importante delle parti, infatti la cultura diventa un bene comune, proprietà di tutti, un valore sovrastante (e la coscienza di ciò è molto sentita).

La cultura si afferma anche come PATRIMONIO, concetto che include:- il carattere ereditario della cultura (“si è sempre fatto così …”);- il senso di partecipazione che accumuna tutti i membri di una comunità.

Quindi che rapporto c’è tra cultura e comunità?

7

È un rapporto intimo, stretto, ogni individuo e ogni comunità trovano nella propria forma particolare di cultura quel quadro di identità, quella struttura di appartenenza che gli permettono di distinguersi dagli altri individui e dalle altre comunità e di sentirsi liberi.

Com’è stato studiato il problema della cultura come processo di formazione della comunità?Studiato da:

1. Ruth Benedict, i Modelli di cultura:ogni modello di cultura è costituito dall’insieme dei valori e dei comportamenti che distinguono una comunità e i suoi membri.La Benedict descrive 3 culture per illustrare il suo concetto di modelli culturali:I) Cultura di tipo APOLLINEO (Zuni nel New Mexico): la bellezza e la dignità di comportamento

nel controllo dei propri istinti è il valore fondamentale e la norma di comportamento “ideale”;II) Cultura di tipo DIONISIACO : (Kwakiutl): si esprime nella sua frenesia della danza rituale e

nello spreco dei beni in feste e ospitalità attuate per il proprio prestigio;III) Cultura dei Dobu : concepiscono l’esistenza come una lotta all’ultimo sangue e si attribuisce il

massimo valore alla capacità di successo attraverso l’inganno, come virtù riconosciute dalla società.

2. Gregory Bateson, l’Ethos delle comunità:è rappresentato da certi comportamenti specifici che sono “l’espressione di un sistema standardizzato di atteggiamenti emotivi”. Secondo Bateson, il processo di identificazione è anche un processo di distinzione: ci si identifica con il proprio gruppo per distinguersi dagli altri.

Nel processo comunitario della cultura, grande rilevanza hanno il valore della lingua (espressione immediata del rapporto sociale, assieme alle tradizioni letterarie non scritte; se sono scritte allora la lingua si trasforma in scrittura, che è il mezzo tecnico di forza sociale e culturale, cioè la cultura diventa materiale) e del territorio e tutti gli artefatti creati dall’uomo per abitare e svolgere le sue attività.La capacità coesiva della cultura si sviluppa nelle istituzioni sociali = che sono modelli di vita accettati dalla comunità come norma sociale e come comportamento standardizzato (sono forme cristallizzanti delle istituzioni individuali). La comunità le fa proprie e in questo processo di appropriazione si rinnova e si consolida.

Che significato ha la cultura vista come processo comunitario?(Rapporto attivo):È ambivalente perché ha una:- tendenza conservatrice: trasmissione ereditaria, efficacia normativa delle istituzioni, fissità degli

aspetti materiali, caratterizzazione interna della cultura, … e una- necessità di rinnovamento: rinnovarsi dei membri con il ciclo della vita.(Rapporto passivo):Ogni forma particolare di cultura ha la sua dimensione interna, ogni comunità che genera e porta tale cultura si caratterizza e si distingue attraverso i suoi fenomeni.I membri di ogni comunità si riconoscono e di identificano tra loro, ma la caratteristica interna della cultura li distingue da altre comunità e culture.

Dalla diversità di ogni cultura nascono anche dei rapporti, le relazioni culturali . Questo fenomeno (che va dai rapporti tra nuclei famigliari al rapporto tra gli Stati) abbraccia ogni comunità e dà origine ad aspetti sociali di ordine politico e giuridico.

3. OIKOS (Casa, Ecologia) Perché l’antropologia si interessa all’ecologia?

Da essa deriva il termine ecologia, che studia i rapporti tra ambiente e organismi biologici che insieme determinano l’equilibrio necessario alla vita.

8

L’antropologia si interessa agli aspetti umani dell’ecologia, cioè ai modi e alle forme con cui l’ambiente 1 si riflette sulla cultura.

-Scienza e tecnologiaAmbiente e tecnologia la conoscenza dell’ambiente condiziona tutta l’attività esteriore e materiale dell’uomo (il materiale degli utensili e armi, le possibilità di nutrimento, …) e attraverso la tecnologia cerca di dominarlo, per la propria sopravvivenza. Ad esempio i Nuer studiati negli anni ’40 da Evans-Pritchard, popolo prevalentemente di pastori, che lo sarebbero totalmente come i Masai se, però, le condizioni ambientali non li orientassero verso la pesca e l’agricoltura.La conoscenza dell’ambiente condiziona:

- Tutta l’attività esteriore e materiale dell’uomo, in rapporto diretto con lo sviluppo tecnologico: quanto più potente e presente è la tecnologia e tanto è maggiore la possibilità di trarne energia e sopravvivenza da quel determinato ambiente;

- Le concezioni astratte della cultura, e si riflette sulle interpretazioni della natura e del cosmo, sul significato dei rapporti tra cosmo e uomo.

Tuttavia…l’ambiente non soggioga mai del tutto l’attività mentale ed inventiva dell’uomo per nuove soluzioni; c’è sempre in gioco la libertà di scelta dell’uomo e la singolarità delle forme culturali, documentate da una varietà di soluzioni adottate in ambienti analoghi (ad es. gli eschimesi sono gli unici che hanno adottato gli “Iglù”).La terra (ambiente naturale) ha inoltre un valore sia materiale che simbolico:

I) L’ambiente naturale materiale, inteso come territorio, rappresenta l’elemento che l’uomo valorizza per la sua attività economica e la sua organizzazione politica (aspetti fondamentali della cultura); il rapporto con la terra diventa radicale, porta ad un attaccamento psicologico e giuridico (concetto giuridico di patria);

II) Il valore simbolico, invece, viene inteso come la terra racchiuda determinati misteri: le credenze spirituali, le concezioni ideologiche traggono la loro ispirazione dalla natura e così, dalla conoscenza degli oggetti, con un processo di simbolizzazione, si passa al sapere astratto e teorico. La terra appare inserita nelle storie mitologiche (sull’inizio del mondo), quasi come un essere personificato, e si presta ad indicare l’universalità del potere di Dio o può essere considerata come divinità o madre degli uomini.

Il tipo di sfruttamento materiale della terra per il nutrimento si presta a distinguere le forme particolari di cultura :

- Cultura della caccia e della raccolta- Cultura degli agricoltori- Cultura degli allevatori

Lo stimolo del sapere nei confronti della natura si scontra con i misteri che essa racchiude, che con un processo di simbolizzazione diventa divinità :

Teismo silvestre in riferimento alla credenze religiose dei popoli raccoglitori e cacciatori, perché dalla selva e dalla foresta derivano il simbolo di Dio e l’ispirazione per i riti religiosi e magici;

Teismo agreste basa le sue credenze e i suoi riti non sul concetto di terra ma sul ciclo stagionale delle coltivazioni;

Teismo pastorale accentra la sua attenzione sul cielo come simbolo di Dio e di ogni altra forza cosmica dal quale dipende ogni prosperità degli armamenti (mandrie) e delle famiglie. (VEDI P.61)

Secondo il suo valore simbolico, la terra si presta quindi a indicare l’universalità del potere di Dio e può essere essa stessa divinità e madre degli uomini.Come bene economico e sociale la terra si possiede, si abita, si coltiva, si vende e si compera, si abbandona.Nella tradizione africana la terra era bene comune e i veri proprietari della terra erano gli antenati, cioè la comunità e non l’individuo. Ora questi valori prettamente religiosi e sociali sono stati quasi totalmente

1Ambiente: include tutta la natura esterna, la configurazione topografica, il clima e tutte le manifestazioni atmosferiche, la vegetazione spontanea e coltivata e la fauna l’uomo non è solo sulla terra!

9

eliminati dalle riforme terrieri dove la terra viene trattata solo come un bene commerciale questo esempio mette in risalto il dinamismo dell’ambiente.

4. CHRONOS (tempo)La cultura nasce, si sviluppa e vive nel tempo.Il tempo ha tre dimensioni (passato, presente e futuro): sono soprattutto passato e presente ad assumere, in rapporto alla cultura e ai valori sociali, un valore significante.La cultura si muove nel tempo, trapassa di generazione in generazione come “eredità raccolta dai padri”, diviene tradizione:

CULTURA tempo TRADIZIONE!Mbiti afferma che il tempo è un fenomeno bidimensionale, con un lungo passato, un presente e virtualmente nessun futuro (tradizione africana), sono 2 concetti/termini Swaili:- SASA (“adesso”): è il periodo del vivere cosciente, in cui la gente è conscia della propria esistenza, e dentro cui si proietta sia in rapporto ad un futuro breve che, soprattutto in rapporto al passato; è in se stesso una dimensione completa di tempo (è un micro-tempo) con il suo breve futuro, un presente dinamico e un passato esperimentato;- ZAMANI (“anticamente”): è una sorta di macro-tempo, non è solo il passato in quanto anch’esso ha il proprio passato, presente e futuro, ma una scala più vasta.Lo Zamani si accavallava al Sasa e i due non possono essere separati: il Sasa nutre lo Zamani e sparisce nello Zamani; ma prima che gli eventi vengano incorporati nello Zamani devono essere realizzati e attualizzati nella dimensione Sasa, e quando questo è avvenuto, arretrano nello Zamani!

PASS. PRES. FUT. Pass. Pres. Fut.

Sasa ZAMANI

Lo Zamani è il periodo del mito (era del “sogno” per gli aborigeni australiani).

-Tempo Ecologico e StrutturaleEvans-Pritchard analizza i Nuer che suddividono il tempo in:

- Ecologico: ha svolgimento ciclico, dalla dicotomia stagionale (stagione secca e umida) e determina l’insieme dei ritmi migratori e delle attività sociali, come i matrimoni e le iniziazioni si svolgono in concomitanza con questo tempo;

- Strutturale: esso rappresenta la concettualizzazione delle attività sociali e le coordina in maniera sistematica e organica. È collegato all’idea di distanza (o scala), che può anch’essa essere ecologica (relazione tra densità e distribuzione della comunità, in riferimento all’acqua, vegetazione, vita animale, …) e strutturale (rapporto tra gruppi di persone, in termini di valore).

Metodi e approcci per lo studio “cronologico” della cultura: Approccio sincronico : studia la cultura e le sue espressioni come un tutto integrato in un

determinato momento (presente etnografico); Approccio diacronico : analizza i fatti culturali nella prospettiva di successione del tempo; Approccio storico : approfondisce l’indagine con l’apporto di tutti i documenti possibili, dalle

testimonianze orali alle descrizioni di osservatori passati, allo scopo di giungere ad una comprensione delle cause della realtà culturale.

Appare evidente che il senso e la prospettiva del concetto di tempo sono relativi e cambiano da luogo a luogo, da collettività a collettività, da individuo a individuo.

5. L’INTERATTIVITÀ DEI 4 FATTORIIl processo interattivo dei fattori analizzati, rende il processo culturale un processo interattivo, dinamico, globale e interrelativo.

10

La cultura si presenta quindi come una realtà complessa, dove l’accentuazione dell’uno o dell’altro fattore da parte di un antropologo corrisponde ad interessi particolari di studio (ecco perché le discipline antropologiche sono molto varie).Tra i 4 fattori esiste una complementarietà bipolare:

1)ANTHROPOS - ETHNOS2) OIKOS – CHRONOS

1) L’Anthropos (l’individuo) con il l’unirsi degli individui in società, crea l’Ethnos (popolo); mentre l’Ethnos genera l’Anthropos offrendogli un ambito completo di vita;

2) L’Oikos, come spazio, offre una dimensione al Chronos per la quale è possibile misurare il tempo nel suo trascorrere.

Tra le due unità bipolari si attiva una corrispondenza integrativa, si completa l’interazione dei 4 fattori, dando origine alla cultura.

6. ANTROPEMI ED ETNEMII primi due fattori della cultura, l’individuo e la comunità, traggono la loro definizione dall’uomo e lo riguardano direttamente: da questi fattori la cultura trae la sua specificità come fenomeno umano.Poiché l’attività mentale dell’anthropos-individuo sta all’origine della cultura e l’azione ethnos-comunità produce la struttura e mette in rapporto tra loro le intuizioni del singolo, chiameremo gli aspetti individuali della cultura antropemi, e gli aspetti collettivi della cultura etnemi.ANTROPEMI:

- aspetti individuali della cultura

- attività mentale dell’individuo che sta all’origine della cultura

- l’intuizione creativa dell’uomo (principio dell’interpretazione elementare) cha dà inizio a fatti culturali nuovi

- principi primi sia del sapere, sia della struttura sociale

- Es. il primo uso umano del fuoco; la distinzione tra destra e sinistra nell’organizzazione culturale e sociale, la fissione nucleare dell’atomo, il perché della vita, della morte, del dolore, …

ETNEMI:- aspetti collettivi della cultura

- elementi composti e articolati della cultura

- risultano dall’apporto dei singoli antropemi che, articolandosi tra loro, danno forma e struttura sistematica al sapere e all’organizzazione sociale

- Es. sistemi di pensiero, ordinamenti politici, sistemi sociali

- Possono essere: Etnemi semplici (es. famiglia nucleare); Etnemi complessi (es. parentela, religione, lignaggio) includono altri etnemi semplici.

- Inoltre si suddividono in: Ideo-etnemi: elementi teorici della cultura, coordinati in sistemi di pensiero; Socio-etnemi: elementi pratici e materiali della cultura.

Etnostili modi singolari o specifici della cultura che attraverso gli ideo-etnemi e i socio-etnemi concorrono a caratterizzare una varietà particolare di cultura in un determinato momento o epoca.

3. I FENOMENI DELLA DINAMICA CULTURALE

11

A E

O C

Sono 3 le principali manifestazioni dinamiche della cultura:INCULTURAZIONEACCULTURAZIONEDECULTURAZIONEA cui si aggiungono altri fenomeni/concetti:

- Funzione ed energia

- Iniziazione

- Attività missionaria

- Colonizzazione

- Movimenti di liberazione

- Movimenti di rinnovamento culturale.

1. FUNZIONE ED ENERGIA Cosè’ la funzione?

La funzione descrive il rapporto di energia che lega tra loro gli etnemi di una cultura particolare, articolandoli in una struttura organica.Radcliffle Brown: attribuisce un valore fondamentale all’individuo, cioè l’attività individuale sta alla base della formazione della cultura intesa anche come struttura sociale, muta però, in termini di qualità e di forma, mutano gli antropemi.Malinowski: fu indotto ad approfondire il concetto integrale di cultura in maniera più radicale, partendo dai bisogni umani. Egli distingue i bisogni fondamentali o di base o imperativi e i bisogni derivati. I basic needs sono indispensabili per la sopravvivenza e ad ognuno corrisponde una risposta culturale (strumenti di produzione economia), mentre i derived needs sono imposti dal modo e dall’attività con cui l’uomo soddisfa ai bisogni fondamentali.Quindi il concetto di Funzione è BIPOLARE: + e – (funzionalità/disfunzionalità)! La funzione è in rapporto di energia! Per essere culturalmente significante l’energia deve essere convogliata, diretta, controllata.ENTROPIA: è un distacco che può avvenire tra struttura e funzione per cui un qualche etnema perde valore e finisce per essere trasformato o sostituito.

2. INCULTURAZIONEE’ un processo educativo attraverso il quale i membri di una cultura vengono resi coscienti e partecipi della cultura stessa, dei modelli e valori culturali che vengono recepiti non in maniera passiva, ma servono a suscitare un giudizio critico, cioè essa forma la visione mentale dell’uomo e ne orienta il suo comportamento, che non è mai passivo: nella stessa misura in cui è trasmissione di cultura stabilita dai padri, è anche mezzo di critica, cioè di scelta dell’individuo che può portare un’adesione conformista oppure un rifiuto rinnovatore della cultura.Quindi riguarda la dinamica interna di una singola cultura, in relazione ai suoi membri.Avviene in modo:

Informale: si avvera continuamente nell’arco di tutta la vita. L’imitazione è il suo aspetto centrale, soprattutto nel periodo infantile ma anche in età adulta (es. il fenomeno della moda, che sfrutta la innata tendenza dell’uomo a imitare).

Formale: si avvera in un determinato momento dello sviluppo, in cui l’educazione non è più solamente affidata all’imitazione, ma a maestri scelti. Qui prevale l’aspetto normativo e obbligatorio . ad esempio, si preparano i giovani alla responsabilità del matrimonio, al’attività militare e politica ha quasi sempre un carattere collettivo.(Es. le iniziazioni sono l’aspetto fondamentale dell’inculturazione formale, con le quali vengono insegnate le tradizioni e i segreti della comunità).

12

3. L’INIZIAZIONEÈ un processo di acquisizione formale della cultura; è un aspetto complesso dell’inculturazione di molteplici tipologie.Iniziazioni tribali nelle società illetterate costituivano un periodo sistematico di istruzione analogo al periodo scolastico nelle società letterate.Lo scopo è l’inserimento dei giovani tra gli adulti in occasione del riconoscimento dell’avvenuta maturità (senso nuovo di dignità e cambiamento di status sociale): Iniziazione istruttiva , in cui il candidato riceve insegnamenti sulle tradizioni ma anche sul

comportamento che dovrà tenere nella sua vita futura; Iniziazione drammatica , che si vale dell’azione scenica per imprimere nella mente dei candidati gli

insegnamenti tradizionali; Iniziazione a visione , in cui il giovane per essere riconosciuto adulto deve appartarsi da solo nella

selva, dove vaga per giorni senza cibo in cerca dell’incontro con lo spirito che diverrà il suo protettore.Molto comuni, nell’iniziazione tribale, sono gli elementi della prova fisica, di dolore, consistenti in una mutilazione: come, ad esempio, tatuaggi, incisioni, circoncisioni, depilazioni la maturità fisica dimostra anche la maturità di carattere per superare i dolori della vita.Effetti:

- Di ordine psicologico;

- Di grande efficacia strutturale: il giovane che ne esce, sa perfettamente quale sarà la sua posizione sociale e potrà partecipare alla vita normale della società in tutti i suoi aspetti il giovane ne esce proprio come un uomo nuovo.

4. ACCULTURAZIONEÈ un fenomeno che si riferisce alle relazioni esistenti tra più culture e agli effetti che ne derivano dai loro contatti. E’un fenomeno complesso, che resta nascosto e quando diventa palese è già un processo irreversibile.Le relazioni culturali, danno origine a molteplici fenomeni:

Simbiosi culturale, cioè la coesistenza o la convivenza di due o più culture (es. le sottoculture, che riescono a mantenere le loro caratteristiche etnemiche nonostante il predominio della cultura dominante);

Osmosi culturale, fenomeno osservabile nelle situazioni geografiche e politiche di confine, dove si creano contatti di vicinanza attraverso alleanze matrimoniali, scambi commerciali, scontri bellici;

Fusione culturale, fenomeno che rappresenta la compenetrazione intima e totale tra due o più culture, fino ad arrivare appunto alla fusione (es. nel Messico attuale, con la fusione tra la cultura spagnola, azteca e moderna; mentre la segregazione o l’apartheid razziale e culturale è il rifiuto politico dell’acculturazione; l’autarchia, l’indipendenza, è il rifiuto commerciale);

Sincretismo, caso tipico di acculturazione dal punto di vista religioso. È un fenomeno religioso che si avvera quando le caratteristiche di una divinità o di altri etnemi, appartenenti a sistemi religiosi differenti, si fondono per presentare una divinità o altri etnemi del tutto nuovi , ad es. le religioni classiche del periodo ellenistico.

L’acculturazione è la “trasmissione culturale in corso” (Herskovits), ed è una costante della cultura (dato che la cultura è dinamica); è un processo di trasformazione sempre attivo, che si identifica con parte della dinamica culturale.I contatti culturali causano le trasformazioni nell’interno della cultura per vie informali e formali e vi sono coinvolti tutti i fattori della cultura, dando luogo a incontri/scontri, accettazione/rifiuto, ….

5. ATTIVITÀ MISSIONARIA

13

Attività missionaria in prospettiva antropologica l’attività dei missionari e in generale di tutte le religioni strutturate in chiese, è un’attività acculturante. I missionari sono agenti intenzionali di acculturazione. Sono votati a stabilire contatti a lungo termine, operando trasformazioni radicali e intaccando gli ideo-etnemi, agendo direttamente sugli individui e sulle istituzioni.

6. COLONIALISMOColonialismo agenti intenzionali di acculturazione sono anche i mercanti e i governi coloniali.Il commercio è uno dei veicoli più costanti nella storia dei contatti culturali. (es. Islam si è diffuso in Africa e Asia grazie all’azione dei mercanti).La fondazione delle colonie rappresenta sicuramente un momento buio nella storia dell’uomo, ma dal punto di vista antropologico è stato un fenomeno di assoluta rilevanza, per lo scambio di culture che ne è derivato. Il crollo degli imperi coloniali e l’indipendenza delle colonie hanno posto il problema delle trasformazioni culturali nella prospettiva dello sviluppo economico mondiale (neocolonialismo).NEOCOLONIALISMO aumento della ricchezza nei PSA aumento della povertà nei PVS emigrazione verso i PSA mescolanza di popoli e culture = fenomeno acculturazione in pieno svolgimento!

7. MOVIMENTI RELIGIOSI DI RIFORMA E LIBERAZIONEMovimenti religiosi di riforma e liberazione fenomeno costante della cultura. L’umiliazione dei popoli soggetti all’oppressione dei loro valori culturali trovano nello sfogo religioso la speranza di salvezza, di autonomia, di libertà e liberazione.I movimenti artistico - letterari nati nel periodo coloniale, come la negritude di Cesaire e Senghor, rappresentano veri fenomeni di acculturazione dai quali si scorge la nascita di nuovi modelli di cultura.

8. ASPETTI PARTICOLARI DELL’ACCULTURAZIONEGli aspetti particolari dell’acculturazione sono:

- Assimilazione;

- Integrazione;

- Fusione degli etnemi.Sono gradi diversi del processo acculturativo.

L’acculturazione oltre ad essere un fenomeno intenzionale, è anche selettivo da parte della cultura ricevente: la scelta (o la selezione) stabilisce una distinzione tra etnema ed etnema, cioè accetta ciò che ritiene utile all’etnostile, e rifiuta ciò che appare alieno o avverso.I Masai rifiutavano le imposizioni della legge come le tasse, l’uso della moneta, ecc… fermi alla loro tradizione; però, quando li faceva comodo preferivano sostituire i vestiti di pelle con vestiti di stoffa!

9. DECULTURAZIONEE’ l’aspetto negativo della dinamica culturale: è la sottrazione e la distruzione del patrimonio culturale.Le crisi derivanti dai contatti culturali hanno effetti contrastanti a seconda della natura pacifica o violenta, libera o oppressiva degli incontri. Gli etnemi perdono la loro vitalità (se non vengono rinnovati e rinforzati da nuovi apporti antropemici), cedono e scompaiono. La deculturazione può a volte interessare una intera cultura, e non solo alcuni etnemi.Cause:

- Entropia;

- Crisi culturali derivanti dai contatti culturali.

La deculturazione è un:

14

1- Fenomeno impercettibile , è la trasformazione della lingua, che si adegua alla situazione esistenziale adottando o perdendo vocaboli con estrema facilità. Es: Palio di Siena, la danze africane in contesti urbani, non rappresentano più etnemi vivi, fonte di energia della cultura tradizionale, ma assumono significati nuovi relativi alle esigenze consumistiche e turistiche! (vedi anche Kilani e la vacca del Vallese!);

2- Fenomeno traumatico , non è mai improvviso e dissemina lacrime e sangue. La storia ci insegna che ogni genocidio e etnocidio è un calcolo spietato, politico, di distruzione della cultura con l’uccisione dell’individuo es. campi nazisti, la tratta degli schiavi, le guerre interne in Africa come il genocidio in Ruanda, Biafra, Burundi, …;

3- Fenomeno parziale , la troviamo nella situazione coloniale, con l’imposizione di confini politici arbitrari, causando divisioni illogiche e anti-etniche. Riguarda precisi etnemi come la modifica o abolizione della “ricchezza della sposa” o la sostituzione dell’iniziazione con il sistema scolastico.

Che sia inculturazione, acculturazione o deculturazione, ogni giorno la cultura trapassa, perde qualcosa o lo acquista, sempre rinnovandosi: in bene o in peggio è una valutazione soggettiva, ma sicuramente rappresenta sempre una nuova realtà.

4. IL METODO E LA RICERCA

1. PRESUPPOSTI METODOLOGICIFondamentale è la ricerca sul campo, come osservazione partecipante, sia ai fini della conoscenza dei problemi culturali, sia per la formazione dell’antropologo (Malinowski fu il primo ad applicare tale metodo) importante è cogliere nel vivo la dinamica culturale, nell’origine dei sui antropemi ed etnemi, sia nelle società semplici che in quelle complesse.Il metodo antropologico è necessariamente:I) interdisciplinare, perché l’oggetto dello studio è la cultura nella sua totalità (si avvale delle tecniche di

ricerca elaborate dalle altre discipline) un antropologo non può da solo approfondire tutti gli aspetti di una cultura, ma opera con altri studiosi;

II) comparativo, solo la comparazione permette di chiarire i concetti fondamentali nella loro azione dinamica. Lo stadio comparativo deve essere preceduto da una ricerca Monografica su singole culture e singoli etnemi per 2 ragioni:

1) La comparazione può essere fatta solo se gli elementi da mettere a confronto sono ben conosciuti (comparazione regionale o per argomenti);

2) La comparazione è un’esperienza illuminante per la formazione dell’antropologo. Cosa si intende con “Campo”?

Il campo è il luogo di indagine dell’antropologo; per tradizione il campo riservato ad essi furono le società illetterate semplici (non avendo documenti scritti, prima si osservava semplicemente e poi si passava all’osservazione partecipante, e fu l’unico modo per raccogliere informazioni).- La ricerca deve svolgersi di preferenza su una cultura “altra”, anche se l’alterità di una cultura è relativa (può essere “altra” anche una particolare frangia della propria cultura nazionale!).- La disponibilità ideologica è necessaria per poter affrontare le inevitabili difficoltà di incontri totalmente “altri”, la condizione desiderabile è lo studio di 2 o più società, non limitandosi ad 1 sola.- L’etnologo quando parte deve già sapere ciò che già si sa!:1. deve essere edotto della teoria generale della scienza moderna (teoretica antropologica);

15

2. deve leggere e conoscere l’eventuale letteratura già esistente sull’argomento della sua ricerca (di solito è molto esiguo, ma l’importante è arrivare a sapere ciò che già si sa per poter scoprire ciò che ancora non si sa).

Come si sviluppa una ricerca antropologica?

2. SCELTA DEL CAMPO Fase 1 – scelta del campo: L’antropologo ama conoscere gli uomini e i loro costumi. La scelta del campo dovrebbe derivare da

un amore sentito verso una società e una cultura proprio. Quasi sempre invece la scelta è determinata da motivi contingenti, quali le possibilità economiche, la situazione politica e culturale.

Di massima importanza è creare un rapporto di fiducia con le autorità locali, pur mantenendo le dovute distanze da compromessi politici per mantenere la propria libertà d’azione.

Molte volte è più importante la scelta iniziale del campo di ricerca che la scelta dell’argomento specifico, che maturerà ricerca facendo.

Le caratteristiche del metodo antropologico moderno sono:- Poter scoprire le sorgenti della cultura (antropemi);

- Rapportare gli aspetti particolari della cultura (antropemi) al tutto integrato per capirne il significato e la funzione.

3. STUDIO DELLA LINGUA Fase 2 – studio della lingua: E’ considerato il presupposto per una ricerca antropologica seria, anche se l’antropologo deve essere

consapevole ed accettare che non arriverà mai alla piena conoscenza di ogni sfumatura verbale. Per questo lo studio di una lingua non deve cessare mai la lingua riflette il fenomeno dinamico della cultura e il seguirne le sue variazioni offre la chiave per capire i mutamenti e le variazioni culturali.Malinowski fu il primo antropologo a condurre una ricerca in lingua locale.

Inoltre bisogna comprendere anche la letteratura orale (proverbi, miti, fiabe, …) che potrà diventare del prezioso materiale di analisi.

4. LAVORO DI GRUPPO Fase 3 – il lavoro di gruppo: La ricerca antropologica è sempre necessariamente un lavoro di gruppol’antropologo deve sapere

operare insieme agli altri e come collaboratori è sempre meglio sceglierne almeno alcuni originari del posto, che hanno familiarità con la lingua e con tutte le sfumature culturali e la gente del posto (e seguiti da un’attenta e paziente istruzione iniziale), così facendo si avrà la possibilità di avere un’estensione più vasta e approfondita della ricerca.

5. RACCOLTA DEL MATERIALE Fase 4 – la raccolta del materiale: Per materiale si intende l’insieme delle osservazioni ed anche gli oggetti materiali. Tra i compiti più normali ma importanti per un ricercatore vi è quello di redigere un diario

personale, dove fin dal suo arrivo deve registrare le sue osservazioni, impressioni e commenti. Anche mezzi moderni risultano molto utili (registratori, audiovisivi, macchine fotografiche e cinematografiche...) ma possono avere problemi di manutenzione, limiti di spesa e soprattutto possono distrarre dal contatto diretto.

6. CARTE, DIAGRAMMI, CENSIMENTI, GENALOGIE

16

Molto importante oltre allo studio della lingua, è lo studio preliminare del contesto, della situazione geografica e climatica del territorio in cui si svolgerà la ricerca.

Servirsi di dati demografici ufficiali che un antropologo seguirà non in maniera pedissequa, ma per controllarne il significato metodo etno - demografico.

Diagrammi e cartine per la conferma di strutture sociali e politiche. Statistiche: con un approccio intra-culturale. Raccolta delle genealogie per:

- Elaborare dei sistemi di parentela;

- Studio delle regole di matrimonio;

- Analisi delle norme di discendenza e di eredità.

7. MITI Importante è anche la raccolta dei miti , cioè dei racconti di avvenimenti sull’origine dell’uomo, del

cosmo, della cultura e di importanti episodi della storia locale. In questo lavoro sono indispensabili i registratori per cogliere in pieno ogni sfumatura e versione del racconto e del/dei narratore/i. Dei miti è importante registrarne molti e di diverse varianti, per una vasta comparazione.

Stessa cosa vale per le favole , i proverbi e i detti sapienziali che non sono mai fini a se stessi ma esprimono i valori e le norme teoriche su cui si basa la cultura di un popolo e raccolgono tutta l’esperienza della collettività.

8. OSSERVAZIONE PARTECIPANTE Fase 5 – l’osservazione partecipante: È il metodo proprio della ricerca antropologica ed è una “partecipazione cosciente e sistematica”

(per quanto lo consentono le circostanze) alle attività della vita e, secondo l’occasione, agli interessi e agli affetti di un gruppo di persone (Kluckhohn).

È caratterizzata da:- Elemento personalistico, cioè solo nel campo il ricercatore sarà in grado di definire il suo

metodo di ricerca;- Gradualità

- Fiducia, modestia e pazienza;

- Può impegnare moralmente: fino a che punto l’integrità scientifica può conciliarsi con la partecipazione umana onesta e piena? È necessaria una duttilità in situazioni improvvise, come ad es. partecipare alla circoncisione e alla clitoridectomia. Va valutato caso per caso!;

- Fallimento : la ricerca può anche fallire, e bisogna sapersi ritirare nel momento giusto, per non compromettere la fiducia creata con la gente del posto. Come ad es. Bernardi tra i Meru del Kenya, voleva avere delle ulteriori informazioni sulla figura del Mugwe (un dignitario religioso che però oggi non esiste più, ed ha acquisito solamente un valore teorico, culturale), dopo tutta una serie di processi, chiedendo prima ai parenti di un anziano, poi quell’anziano doveva consultarsi con un altro anziano, alla fine non fu possibile incontrare l’anziano che avrebbe dato delle informazioni utili sulla figura del Mugwe, poiché la sua scomparsa è stata dovuta proprio al primo contatto con gli europei ed il risentimento di questa repressione aveva lasciato una ferita profonda che gli anziani portavano ancora aperta (p. 132).

9. ANALISI E VALUTAZIONE Fase 6 – analisi e valutazione:

L’ultima fase della ricerca consiste nell’analisi, nella valutazione e presentazione del materiale raccolto:- Elaborazione di uno schedario per catalogare il materiale raccolto;

- Discussioni con altri colleghi;

17

- Ritorno sul campo per colmare eventuali lacune (può avvenire anche dopo anni);

- Ultima stesura.

5. PERIODO I – IL PROBLEMA DELLE ORIGINI

Il sorgere dell’antropologia e dell’etnologia come discipline sistematiche di studio è assai recente, il secolo scorso (1800).Anche se gli usi e costumi degli altri popoli hanno da sempre suscitato la curiosità da cui derivano poi straordinarie imprese di uomini. L’esplorazione e il desiderio di conoscere si unì poi a ideali religiosi, a intenti di conquista e di commercio.Le cause che alimentano ancora il pregiudizio etnico sono dovute alla PROSPETTIVA ETNOCENTRICA, che noi europei usiamo per descrivere la storia delle conoscenze geografiche ed etnologiche, rendendo difficile l’incontro tra i popoli. L’iniziativa europea per le esplorazioni fu sicuramente determinante, ma anche altri popoli nella storia sono stati mossi verso l’esplorazione e la conquista. Avere ridotto lo spazio del pregiudizio è uno dei meriti più grandi dell’antropologia. Il primo sviluppo del pensiero antropologico può distinguersi in 3 periodi: 1) Fase della curiosità e dell’esotismo, dove gli scrittori descrivono gli altri popoli come oggetto di

ammirazione e stupore, pronti a notare gli aspetti strani della loro vita e non la semplice diversità e originalità (v. Marco Polo);

2) Fase della comparazione illuministica, dove i costumi dei popoli “nuovi” vengono paragonati ai costumi degli antichi popoli biblici e classici per trarne deduzioni sulla natura dell’uomo e le leggi sociali;

3) Fase dell’analisi evoluzionista, dove la comparazione diventa metodo principale della ricerca antropologica per indagare sulle origini e l’evoluzione della cultura.

1. FASE DELLA CURIOSITÀ E’ negli scritti degli autori classici antichi (Greci, Romani,…) che si trovano le radici profonde e

diffuse dei pregiudizi etnici che hanno poi caratterizzato la cultura europea fino ai giorni nostri. Quando c’è il contatto personale e l’osservazione diretta, le osservazioni sono oggettive ed esatte; ma se, invece, viene meno la conoscenza diretta, allora si cade in racconti e informazioni favolose.

Il medioevo è il periodo dei grandi itinerari e dei lunghi viaggi per terra e per mare, verso l’Oriente, come quello di Marco Polo: egli narra delle cose vere che però si intrecciano spesso con interpretazioni immaginose.

Nel mondo islamico, il precetto del pellegrinaggio alla Mecca costituisce una motivazione per molti di intraprendere viaggi verso terre e popoli ignoti. Cavalieri, commercianti e religiosi vanno verso le prestigiose corti d’Asia.

Ma è nel periodo delle scoperte americane che iniziano i pregiudizi sulla natura dell’uomo ci si chiede se gli esseri umani di quelle terre siano veramente uomini e subito prevalsero la cupidigia dell’oro e del potere. La crudeltà e la violenza macchiano gravemente tutta l’azione dei conquistadores verso le popolazioni autoctone.Questa violenza caratterizza tutta la politica successiva, fino ad arrivare alla vergogna della tratta degli schiavi.

Bisogna arrivare ai primi del 1700 per passare alla fase comparativa.

2. COMPARAZIONE ILLUMINISTICAAll’inizio del 1700, si arriva alla problematica etnologica comparativa; il tema dominante del periodo è la ricerca di una spiegazione della cultura europea nel confronto con le culture dei popoli selvaggi (i

18

missionari avevano notato un qualche parallelismo tra usi e costumi dei popoli selvaggi e quelli dei popoli descritti dalla Bibbia).Filosofi e letterati (Montesquieu e Rosseau) cominciano a parlare di “uomo di natura” (lo stato di natura è il tempo di una società felice), del “selvaggio buono” (vedi Kilani!), libero dalle sovrastrutture della civiltà.In questo periodo nasce la distinzione tra popoli selvaggi, barbari e civili, che diverrà la base delle sequenze evolutive del secolo seguente. Alla fine però il significato metodologico del periodo illuminista non va oltre al superamento del limite della curiosità e dell’esotico, con una prospettiva approssimativa e aprioristica con deduzioni ideologiche del tutto soggettive.

3. SISTEMAZIONE SCIENTIFICADal 1800 inizia il periodo in cui le materie antropologiche si affermano come discipline di studio, e nascono le prime società di antropologia ed etnologia con intenti scientifici e sistematici.Dal 1850 al 1950 il tema centrale è il problema delle origini della vita, degli esseri, dell’uomo e della cultura. Trae la sua impostazione dalla concezione dominante dello Sviluppo Generale, cioè la natura e la civiltà corrispondono ad un ordinamento evolutivo con un progresso continuo e unilaterale.Evoluzione e progresso diventano i concetti chiave di tutto il sapere scientifico!

Concetto di progresso formato da SPENCER che osserva come “il più semplice e il più povero èsempre più antico rispetto al più complesso e ricco” (legge fondamentale dello sviluppo), che si avvera quindi in modo uniforme dal più semplice al più complesso, dall’omo all’etero.Spencer considera la società come un superorganismo e, considerando l’uomo un organismo al di sopra degli altri esseri viventi per la sua attività intellettuale, culturale e sociale, afferma che per spiegare l’evoluzione basta analizzare “l’evoluzione superorganica delle società umane nei loro sviluppi, nelle loro strutture, nelle loro funzioni, nei loro prodotti”.

Concetto di evoluzione formulato da DARWIN dopo una sua spedizione scientifica attorno al mondo durata 5 anni.L’argomento principale della ricerca di Darwin era il problema della grande varietà degli esseri viventi. Darwin dimostrò che le specie viventi non sono state create separatamente, ma derivavano da un unico impulso di vita attraverso modificazioni organiche causate dall’adattamento all’ambiente e alla natura che seleziona le sole specie che riescono a sopravvivere allo sforzo di adattamento. Gli esseri viventi si erano evoluti, arrivando ad una specializzazione sempre più complessa e perfezionata.

Nasce e si diffonde in questo periodo il concetto di primitivo:Illuministi primitivo = uomo di natura, uomo selvaggioEvoluzionisti primitivo = inferiore e superiore; prima e dopo gli uomini dei primi gradini dellascala evolutiva sono primitivi, così come sono primitive quelle culture senza scrittura.Negli ultimi anni del secolo, spinte dalla nuova problematica, apparvero parecchie opere etnologiche comparative e di alto livello, ma che presentano un lato manchevole: sono tutte elaborazioni da tavolino, manca cioè la scesa sul campo.Per la prima volta si afferma che la cultura umana appartiene alle scienze naturali e non più a quelle morali.

19

4. LA SCUOLA EVOLUZIONISTAPropone un approccio teorico che vede la varie culture umane collocate in diversi stadi evolutivi.Esponenti:

Spencer (vedi prima: legge fondamentale dello sviluppo …); Lubbock all’origine della cultura si deve presupporre uno stadio zero, che si trasforma in a-teismo

nella religione, cioè mancanza dell’idea di Dio. Poi l’umanità sarebbe poi passata al feticismo, allo sciamanismo, all’idolatria e infine all’idea di Dio;

Tylor (1832-1917) ricerca una definizione “minima” di religione = l’ animismo (credenza in esseri spirituali). Dall’animismo si passa al feticismo, poi idolatria, politeismo, monoteismo. L’idea di un Dio unico sarebbe il vertice della scala evolutiva religiosa.- Fu uno dei primi antropologi riconosciuti come scienziati;

- Va ricordato per la definizione del concetto di cultura: il complesso unitario che include la conoscenza, la credenza, l’arte, la morale, le leggi e ogni altra capacità e abitudine acquisita dall’uomo come membro della società;

- Per il metodo positivista di studio, nonché;

- Per il primo impulso ad abbandonare l’orientamento evoluzionistico a favore di un concetto più moderno e pluralistico di cultura;

- Fu il primo ad utilizzare la statistica come metodo di studio;

- Introdusse l’antropologia nelle università;

- Ha viaggiato molto da giovane ma rimane comunque uno studioso da tavolino.Parallelamente all’interesse per la cultura e la religione altri antropologi furono attratti dallo studio della parentela, del matrimonio e delle istituzioni sociali. Tra questi:

Maine: la forma patriarcale della famiglia indo-europea è la più antica (sarà una posizione criticata da:);

Mc Lennan: sostiene che il primo stadio sociale è il matriarcato e la prima forma di matrimonio è la promiscuità sessuale seguita dalla poligamia nel matriarcato seguita ancora dalla poligamia nel patriarcato per finire con la monogamia;

Morgan (1818-1881):- Si dedicò allo studio della parentela e dei suoi aspetti più particolari tra gli Irochesi, in una causa

legale. Egli scoprì che gli Irochesi usavano i termini madre, padre, sorella, fratello non per i parenti di sangue, ma per una classe di persone, creando così un vero e proprio sistema organizzativo in cui si precisavano i rapporti sociali e politici tra persona e persona, e in cui i gruppi più importanti riguardavano tutti i discendenti delle linea femminile di una stessa antenata (discendenza matrilineare)

- In “Ancient Society” studia e formula uno schema evolutivo sulla storia della società, distinguendo tre stadi principali:A) stadio selvaggio , dove l’uomo vive di caccia e raccolta;B) stadio barbaro , dove l’uomo vive di allevamento, coltivazione e irrigazione con mezzi di

produzione più elaborati;C) stadio civile , dove, con l’introduzione della macchina e dell’arte, si arriva alla piena

espansione industriale.Ogni stadio è a sua volta suddiviso in altri tre stadi. In tutto quindi abbiamo 9 stadi in cui l’uomo passa dallo stato animalesco a quello civile:

1. Stadio selvaggio antico: invenzione del linguaggio2. Stadio selvaggio medio: uso dell’ascia

20

3. Stadio selvaggio recente: invenzione dell’arco e della freccia4. Stadio barbaro antico: invenzione della ceramica5. Stadio barbaro medio: allevamento, coltivazione, irrigazione6. Stadio barbaro recente: lavorazione del ferro7. Stadio civile antico: invenzione della scrittura8. Stadio civile medio: polvere da sparo, bussola, carta e stampa9. Stadio civile recente: macchina e industria

- Nonostante le critiche per lo schema evolutivo a stadi troppo rigidi, resta il merito di Morgan di avere impostato lo studio scientifico e sistematico della parentela come fondamento necessario dell’organizzazione sociale e politica.

Frazer (1854-1941):- Scrittore versatile (cioè ha diversi interessi) e erudito (conosce diverse cose), fu soprattutto

un umanista e con il suo linguaggio semplice riuscì a portare l’antropologia al lettore medio, ottenendo così un largo seguito, anche se le sue opere hanno più valore letterario che antropologico;

- Si dedicò all’analisi comparativa;

- Portò al massimo svolgimento la problematica dei parallelismi;

- Propose temi nuovi come il totemismo, l’esogamia e la magia. Soprattutto quest’ultima sarebbe la prima manifestazione dello spirito umano dalla quale si sarebbero formate la religione e poi la scienza.

Il merito della Scuola Evoluzionista fu di slegare l’antropologia dalle semplici descrizioni e ricerche mosse dalla curiosità, avviandola verso nuovi sviluppi di metodo e soprattutto verso l’approfondimento di una problematica; mentre le critiche erano che non venivano seguiti dei criteri oggettivi, ma si seguiva l’intuizione e la visione personale del ricercatore.

5. LA SCUOLA STORICO CULTURALELa scuola storico culturale si contrappone nettamente alla scuola evoluzionistica, affermando appunto che l’antropologia è storia e non evoluzione ! (inizio 1900).La problematica rimaneva comunque rivolta alla scoperta delle origini e della cultura e alle leggi che regolano lo sviluppo culturale, però non più secondo le linee deterministiche di progresso, ma come espressione della libera scelta dell’uomo e come risultato di complesse relazioni culturali determinate dai movimenti e dalle migrazioni dei popoli, si prende a modello il metodo critico della storiografia classica, appunto!La scuola storico culturale nasce in Germania e Austria (successivamente negli USA), tra gli esponenti principali:

Ratzel ( 1844-1904):- Fondatore della scuola storico culturale, antropogeografo;

- Dà la prima definizione di un criterio per valutare con certezza le relazioni tra gli elementi culturali (Criterio di Qualità), cioè “ tutti i popoli hanno una storia che è possibile ricostruire seguendo i movimenti delle loro migrazioni attraverso le tracce lasciate nelle culture locali (i primitivi vengono considerati come gli archivi storici della cultura umana): l’esistenza di due archi uguali in forma e qualità sia in Melanesia che in Africa occidentale non è casuale, ma frutto di un rapporto culturale (CRITERIO DI QUALITA’);un suo discepolo, Frobenius, dimostrò poi che non solo l’arco presentava analogie tra le due culture, ma anche le maschere, i tamburi, le vesti, la linea architettonica della casa. Questo implicava che i rapporti culturali e storici furono molto lunghi e molteplici (CRITERIO DI QUANTITA’).

- I due criteri di qualità e quantità divennero fondamentali.

21

Graebner (1877-1934):- concetto dei cicli culturali = insieme di tutti gli elementi culturali considerati nella loro totalità

e costituisce una forma particolare di cultura.- ES. la particolare cultura dei cacciatori ha la sua completa espressione presso il popolo dei

Pigmei (un ciclo culturale), però l’insieme di tutti i popoli cacciatori del globo, rappresenta una più ampia espressione di ciclo culturale. Si può dire che ogni ciclo è una variante particolare delle cultura!

- Graebner applicò i due criteri alle culture dell’Oceania: ogni ciclo culturale è l’insieme di tutti gli elementi culturali considerati nella loro totalità. La globalità della cultura viene vista in termini di cicli che si spostano seguendo i movimenti migratori e si sovrappongono ad altri cicli creando degli “strati culturali” che ogni analisi storica deve cercare di penetrare per accertare lo sviluppo della cultura.

Schmidt (1868-1954):- sacerdote cattolico fondatore della rivista Anthropos e delle scuola viennese (che divenne il

fulcro della scuola storico culturale), visse a lungo in Australia dove però i suoi studi furono esclusivamente di analisi e di classificazione linguistica e etnologica. Si oppose al razzismo nazista.

- La sua più grande opera furono i 12 volumi sull’origine dell’idea di Dio, che secondo Schmidt nasce dal ciclo dei cacciatori e raccoglitori. Ma la sua opera appare poco oggettiva, piegando i dati in suo possesso come a verificare delle risposte che lui ha già dentro di sé la sua affermazione di avere colto l’origine storica della religione va considerata una presunzione eccessiva, tanto da allontanare anche i suoi discepoli dal suo pensiero.

- Altro contributo di Schmidt è la proposta della scuola viennese del quadro generale dello sviluppo delle culture:

1) Cultura primitiva;2) Culture primarie, distinte tra:

- “ciclo degli allevatori patriarcali”,

- “ciclo dei piantatori matriarcali”,

- “ciclo dei grandi cacciatori totemisti”;3) Culture secondarie, di vario tipo, con la mescolanza dei tre cicli precedenti;4) Culture terziarie, dagli intrecci complessi.

La critica rimprovera alla scuola storico culturale troppa meccanicità nell’attribuire gli elementi culturali ai vari cicli e la sicurezza di avere dimostrato l’origine storica della cultura è risultata eccessiva. Oggi la scuola viennese, come espressione dei cicli culturali, ha cessato di esistere.

6. PRIMO PERIODO DELLA SCUOLA AMERICANAGli studi antropologici nell’America del Nord hanno avuto un primo avvio con l’opera di Morgan (scuola evoluzionista) ma è a Boas Franz.

Boas (1858-1942) cui si deve la formazione della scuola antropologica americana partì da presupposti antievoluzionistici e storici. Con i suoi scritti si batté contro il pregiudizio che identificava razza e cultura.Impostò tutta la problematica che avrebbe caratterizzato il periodo successivo:

- Cultura degli indiani (Per molti anni la scuola americana studiò solamente gli Indiani d’America, tanto che tutti gli studiosi americani contribuirono alla pubblicazione del “Manuale degli Indiani di America”);

22

- Concetto di cultura. Lowie affronta in chiave antievoluzionistica l’analisi della problematica sociale. Kroeber (1876-1960) approfondisce l’analisi del concetto di cultura e avvia un indirizzo di studio

detto culturologia . Wissler formula la age-area (area temporale), cioè i tratti antropologici tendono a diffondersi in

tutte le direzioni dai loro centri di origine. I tratti che si trovano più diffusi nella periferia sono quelli più antichi mentre quelli vicino al centro sono quelli più recenti, che non si sono ancora diffusi verso i margini.

Sapir afferma che la linguistica è fondamentale per la storia della cultura. Herskovits, africanista americano di rilievo, attraverso il problema delle condizioni dei negri

d’America, tocca l’Africa.

7. LA SCUOLA SOCIOLOGICA FRANCESE Durkheim (1858-1917):

- Nelle sue opere si rifà spesso alle società primitive che diventano oggetto della sua problematica in prospettiva evoluzionistica (resta ancorato alla problematica delle origini). Nelle sue opere troviamo concetti che saranno fondamentali nell’antropologia sociale: solidarietà, coesione, integrazione, collettività;

- Si pone a cavallo tra le posizioni evoluzionistiche e quelle antistoriche della scuola funzionalista;

- I suoi studi sono di carattere sociologico, ma si rifà spesso alle società primitive che diventano oggetto normale della problematica;

- La sua opera propriamente antropologica si svolge attorno al concetto fondamentale della società;

- Nei suoi studi tra gli australiani vede nel totem il simbolo della società stessa , cioè l’incarnazione del capostipite del clan, (il cui valore continua al di là di ogni individuo, proprio come la società). La norma totemica diviene così il motivo di coesione del gruppo clanico, ovvero della società. Poiché il totem è anche simbolo religioso, in quanto è il punto di raffronto per il bene ed il male, lui arriva ad associare il totem-società ad una divinità, fonte del bene e del male.

Mauss (1872-1950):- collaboratore di Durkheim, fu maestro di pensiero e metodo. Il suo insegnamento più importante

riguarda il saggio sul dono, in cui analizza uno dei concetti fondamentali dell’organizzazione sociale e economica, cioè il principio di scambio e reciprocità.

Lévy-Bruhl (1875-1939):- Altro grande maestro della scuola sociologica francese, ma con un interesse di studio molto

filosofico.- I suoi scritti riguardano studi sulle funzioni mentali delle società inferiori , sulla mentalità e

sull’anima dei primitivi si riconosce che anche i tra i primitivi esistono sistemi di pensiero coordinati e logici e che gli aspetti pre-logici, cioè quelli irrazionali, sono un fenomeno di ogni cultura umana e dureranno finché esisterà il rapporto di mistero tra uomo e cosmo.

23

6. PERIODO II – IL PROBLEMA DELLA FUNZIONE e STRUTTURA

I continui scontri tra le due correnti di pensiero non portarono alla fine grossi risultati e la mancanza pressoché totale di una documentazione storicamente attendibile da a ogni teoria una base approssimativa e precaria. Si sente l’esigenza di rivedere tutto il metodo antropologico: Radcliffe-Brown e Malinowski diventano i fautori di questo cambiamento e propongono di capire la realtà culturale e sociale nella sua struttura e funzione con una continua esperienza diretta sul campo.

1. RADCLIFFLE-BROWN (1881-1955)Ha condotto ricerche nelle isole Andamani nell’Oceano Indiano e tra gli aborigeni australiani, ma fu soprattutto con l’insegnamento nelle cattedre universitarie di tutto il mondo che fece conoscere il suo pensiero:Egli ritiene che il compito dell’antropologia sia quello di scoprire e definire le leggi generali che regolano le relazioni e il dinamismo dei fatti sociali fino a poterne pianificare e prevedere il lo sviluppo.Il presupposto fondamentale è il carattere di scienza naturale dell’antropologia sociale.Usa il metodo comparativo e sintetizza le sue ricerche in 3 concetti sociali:

Processo moltitudine di azioni e interazioni di esseri umani che agiscono come individui o collettività. Il lavoro dell’antropologo sociale è proprio quello di mettere in risalto il carattere dinamico di questi fatti sociali. L’unità di studio è la vita sociale di una regione particolare della terra in un tempo determinato.

Struttura forma ordinata di parti o componenti. Ogni cosa ha una struttura: una composizione musicale, un animale, una molecola, un edificio. La struttura sociale è quindi definita come “una sistemazione di persone in relazione controllate e definite istituzionalmente” (Es. la relazione tra marito e moglie, oppure tra re e suddito). Nella struttura sociale sono le persone le parti della struttura!

Funzione interconnessione tra struttura sociale e il processo della vita sociale (relazioni tra processo e struttura!).

2. MALINOWSKI (1884-1942)Cittadino austriaco di origine polacca, allo scoppio della prima guerra mondiale si trovava in Australia e si fece mutare l’internamento dichiarando di vivere nelle isole della Melanesia per motivi di studio. Questa permanenza tra gli isolani, dove visse la loro quotidianità e imparò anche la lingua, fece di lui il maestro del metodo antropologico dell’osservazione partecipante nonché capo-scuola del funzionalismo.Studiò il loro sistema di coltivazione e i loro riti agricoli, la vita sessuale e matrimoniale, il sistema di scambio di conchiglie tra le varie isole per rinsaldare le alleanze, ...Il termine di Funzione è strettamente collegato a quello di cultura.La cultura è “un tutto integrato e globale del quale i singoli elementi culturali sono le parti costitutive”. Per capire il significato di ogni elemento culturale è necessaria un’analisi culturale funzionale, in grado di scoprire e capire i significati dei singoli elementi culturali, perché li vede nel loro rapporto con il tutto della cultura.Il tentativo di Malinowski di definire la cultura, parte da considerazioni sui bisogni fondamentali dell’uomo ai quali far corrispondere una soluzione culturale:

24

A1 Bisogni fondamentali

1. Metabolismo2. Riproduzione3. Protezione del corpo4. Sicurezza5. Movimento6. Sviluppo7. Salute

B1 Risposte culturali

1. Vettovagliamento2. Parentela di sangue3. Ricovero4. Protezione5. Attività6. Istruzione7. Igiene

A2 Bisogni derivati

1. Produzione, uso, mantenimento e rinnovo degli utensili e dei beni di consumo

2. Codificazione delle norme di comportamento e relative sanzioni

3. Conoscenza e trasmissione delle tradizioni

4. Autorità e potere per ogni istituzione

B2 Risposte organizzative

1. Economia

2. Controllo sociale

3. Educazione

4. Organizzazione politica

E’ evidente in Malinowski la preoccupazione di includere tutte le manifestazioni dell’attività mentale dell’uomo in un quadro completo.La sua attenzione fu anche attratta dalla problematica nuova derivata dai nuovi contatti culturali del Colonialismo che negli anni del suo insegnamento si imponeva in tutto il mondo esigenza di fare antropologia applicata, pratica, inquadrandola nella situazione coloniale del momento.Nonostante certi suoi giudizi aspri verso i “selvaggi”, egli si distinse per la sua umanità derivata dal suo pieno coinvolgimento e partecipazione con la gente del posto (vedi anche Jomo Kenyatta).

3. I MUTAMENTI COLONIALI Favorirono i nuovi indirizzi di studio per far fronte ai nuovi fenomeni sociali e politici derivati

dalla colonizzazione. Dopo la fase della conquista, le amministrazioni coloniali (e quindi anche gli antropologi che svolgevano le loro ricerche in quei territori) si trovavano di fronte a nuove entità politiche che raggruppavano le più diverse tribù, alla nascita di movimenti nazionalisti e di liberazione religiosa, all’introduzione del sistema scolastico e monetario occidentale.

Nel 1927 nasce a Londra l’International African Institute, fondato dai più grandi antropologi (tra cui Schmidt e Malinowski) per cercare risposte a questi fenomeni e guidarli in maniera positiva per il destino delle popolazioni e culture coloniali studi scientifici e non politici.

In quegli anni, nei ruoli del servizio coloniale inglese appare la figura dell’antropologo impiegato statale, con attività prettamente di ricerca e consulenza. L’antropologia per la prima volta diventa professione.

25

4. ANTROPOLOGIA SOCIALE INGLESEL’eredità di Radcliffe-Brown e di Malinowski fu portata avanti, con grandi sviluppi, da altri antropologi inglesi, che fecero della ricerca sul campo il loro presupposto fondamentale .La situazione coloniale favorì l’ampliamento del campo di ricerca (i governi coloniali avevano la stessa esigenza di conoscenza) che si sposta dall’Australia e Oceania, all’Africa, che si impose come campo urgente e fecondo. I temi studiati dall’antropologia sociale inglese vanno dalla parentela alla struttura politica, dall’economia alla magia e religione.Il tipo di analisi è un’analisi Monografica, evitando di fare analisi comparative con situazioni non conosciute direttamente. Tra gli esponenti:

Evans-Pritchard (1902-1973):- Fu il più grande antropologo sociale inglese. Operò in Africa, e il suo primo lavoro, lo studio

della stregoneria presso gli Zande in Sudan, costituì subito una novità e divenne un punto di riferimento per questa tematica perché indicò con chiarezza la:

- Distinzione tra stregoneria, in quanto jettatura (jella, malocchio nel sud Italia), influsso negativo e magia nera procurata artificiosamente con tecniche fascinatorie;

- Altro campo di ricerca di Evans-Pritchard furono i Nuer, alto Nilo del Sudan, che rimangono tutt’oggi una delle popolazioni meglio studiate relativamente a organizzazione politica, parentela e matrimonio, e religione;

- Le sue descrizioni sono verifiche approfondite del significato strutturale e della funzione dei singoli etnemi osservati; si ispira nelle sue analisi all’insegnamento di Durkheim (distinzione tra clan e lignaggio) e della scuola sociologica francese ma;

- Non considera che l’antropologia sociale è una scienza naturale né che si debbano scoprire leggi generali che regolano la società, ritenendole vuote discussioni di metodo.

Fortes (1906-1983):- Studiò il tema della parentela, etnema fondamentale delle struttura politica, presso i Tallensi,

popolazione del Ghana settentrionale;- Mise in relazione il rapporto intimo tra la concezione religiosa (culto degli antenati) e il sistema

della parentela e il valore fondamentale del lignaggio, espressione concreta delle relazioni tra persone e gruppi e base strutturale dell’organizzazione politica.

Firth (1901-1972):- Neozelandese, svolse le sue ricerche tra i Maori, poi tra i Tikopia in Polinesia e tra i pescatori

malesi del Kelentan e fu il primo a condurre ricerche antropologiche sulla parentela nella società inglese contemporanea;

- Di estrazione economica, fece dell’economia (tema nuovo in antropologia) e della parentela i temi principali della sua ricerca: a lui si deve l’elaborazione teorica della problematica economica dell’antropologia. Campo dell’antropologia economica sono soprattutto le società primitive senza sistemi monetari di scambio e dove i concetti di produzione, accumulazione, distribuzione, consumo, sono più semplici (vedi ……).

Nadel studiò i Nuba in Sudan e i Nupe in Nigeria settentrionale con il tentativo di dare delle teorie sul metodo dell’antropologia sociale.

26

5. LA CULTOROLOGIA (studi post-Boas)Gli antropologi americani, soprattutto Boas, avevano già intuito l’importanza dello studio dinamico dei rapporti tra cultura e individuo, tra persona e società, tanto da essere considerati più antropologi culturali che sociali.Il tema dei modelli culturali fu introdotto da: Ruth Benedict (VEDI P.8) che si contrappose alle teorie della superiorità ariana come sostenitrice della

teoria del relativismo culturale2 e della necessità di comprendere il significato vero di ogni cultura per rispettarla.Identifica 3 modelli culturali:

1. Tipo Apollineo (Zuni, New Mexico): popoli che apprezzano l’equilibrio, amano ciò che è bello e buono;

2. Tipo Dionisiaco (Dobu, Melanesia): ambiscono alla potenza e al dominio da conseguire con ogni mezzo; vivono in continua tensione per affermare il proprio prestigio e vincere la concorrenza;

3. Tipo Dobu: Kwakiutl, British Columbia in Canada.Critiche: sono modelli troppo generici e approssimativi.Apprezzamenti: pone bene in risalto il relativismo sotto cui ogni cultura va considerata: i costumi e gli ideali di una cultura possono comprendersi solo come parti di un tutto integrato.

In riferimento alla scuola americana ci sono altri concetti da ricordare:-Antropologia applicata:Dopo gli avvenimenti bellici che hanno stravolto l’umanità, per gli antropologi si pone il problema di partecipare alla ricostruzione. Nasce così l’antropologia applicata, cioè lo sforzo di applicare le conoscenze antropologiche non solo allo studio dell’esotico e della cultura astratta, ma ai problemi del momento. l’antropologo si pone come elemento di convergenza delle scienze dell’uomo, con al centro l’individuo, sia come persona sia come protagonista della vita sociale e politica attuale.Da qui si tenta anche una collaborazione tra antropologia e psicologia con l’analisi del concetto di cultura e con la formazione della “personalità di base” di ogni individuo.-Concetto di cultura:La cultura ora appare come un insieme di norme e di valori che vengono trasmesse e che condizionano la vita di ogni individuo ma che poi persistono anche al di là dei singoli, costituendo la caratteristica distintiva delle varie società.

6. SISTEMI DI PENSIEROLe considerazioni sull’uomo, sulle sue capacità mentali, le sue concezioni cosmologiche e le espressioni estetiche e d’arte sono sempre stati gli argomenti costanti dello studio antropologico.Da sempre però l’uomo primitivo era ritenuto dagli evoluzionisti incapace di alti concetti, come per esempio quello di Dio.Ma già nel 1927 Radin presentava l’uomo primitivo come un filosofo e successivamente, nel periodo del dopoguerra, con la ricerca diretta sistematica e l’osservazione partecipante (e quindi con il contatto intimo con le culture), ci fu un cambiamento di pensiero che valorizzava il pensiero primitivo, riconoscendo nelle culture primitive veri e propri sistemi cosmologici e teorici.Griaule fu il maestro di questo indirizzo antropologico, che dopo ricerche molto superficiali in Etiopia, si imbatté nella cultura Dogon nel Mali, dove affrontò il modo di concepire il cosmo, le cose e l’ordinamento interno di questa cultura. Mise in risalto il suo metodo, fatto di piena partecipazione alla vita locale e dalla

2 Relativismo culturale: i costumi e gli ideali di una cultura possono comprendersi solo come parti di un tutto integrato.

Comportamenti di individui che possono sembrare bizzarri risultano così perfettamente equilibrati dentro un determinato sistema culturale.

27

fiducia che lui aveva verso i suoi interlocutori e inoltre afferma che “ l’equipe è la sola capace di organizzare un’inchiesta coerente e produttiva perché permette una divisione del lavoro qualitativa e quantitativa”.Nel 1960 in Rhodesia, in occasione del Terzo seminario Internazionale sull’Africa, promosso dallo stesso International African Institute di Londra, l’argomento generale furono i sistemi di pensiero africani gli antropologi affermarono che il meccanismo mentale degli africani non è diverso dal nostro!

7. L’ANTROPOLOGIA STRUTTURALE DI LEVI-STRAUSS:- Corrente di pensiero che dilagò in Francia negli anni ’60;

- Lévi-Strauss giunse all’antropologia dalla filosofia, si dichiara continuatore degli studi di Mauss;

- La sua problematica principale, fondata sulle numerose ricerche sul campo, è l’analisi della struttura sociale sistema simbolico delle relazioni costanti tra i fatti. Già altri antropologi come Mauss e Durkheim avevano descritto la società come un complesso integrato in cui i singoli elementi acquistano senso e significato nel loro rapporto d’insieme, e anche Lévi-Strauss considera la società così, inoltre accentua il valore di segno e di simboli dei singoli elementi e la costanza delle loro mutue relazioni. La struttura diventa così il tutto, la cultura e la società che costituiscono una forma singolare di linguaggio e di rapporto umano;

- La Cultura e la Società sono una forma particolare di linguaggio e di rapporto umano;

- Alla radice delle relazioni umani c’è la Comunicabilità umana si pone per tanto il problema del passaggio da natura a cultura; la soluzione sta nel concetto di scambio: lo scambio stabilisce tra gli uomini relazioni di reciprocità e fonda il meccanismo su cui nasce e vive la cultura;Per esempio, il matrimonio e la proibizione dell’ incesto è una manifestazione tipica dell’intervento dell’uomo sulla natura, segna il passaggio alla cultura: “la proibizione dell’incesto è una regola di reciprocità perché io non rinuncio a mia figlia oppure a mia sorella se non alla condizione che anche il mio vicino vi debba rinunciare; il fatto che io possa ottenere una donna è la conseguenza del fatto che un altro fratello o un altro padre vi hanno rinunciato”!;

- Lo studio fondamentale di Lévi-Strauss resta tutt’ora l’analisi delle strutture elementari della parentela (1949) nel quale tratta non solo il rapporto tra natura e cultura, ma propone un’interpretazione dei complicati sistemi australiani di parentela in termini di relazione e di alleanza;

- Anche l’argomento del totemismo viene visto da lui sotto una nuova ottica, completamente diversa da tutti gli altri antropologi e propone di considerarlo come un modo di rispondere alle esigenze intellettuali della conoscenza;

- Tra le sue opere più importanti (anche se alla fine il suo successo letterario è molto più filosofico che antropologico) ricordiamo Tristi tropici (1955), libro di viaggio tra le popolazioni del Mato Grosso e Amazzonia meridionale; il Saggio sul pensiero selvaggio (1962), dove si sviluppa la sua analisi sul totemismo; Il crudo e il cotto (1964), Dal miele alla ceneri (1966) e L’origine delle buone maniere a tavola (1968). Nelle corrispondenze che scopre tra i racconti mitologici delle origini nei quali ricorrono costantemente indicazioni sugli alimenti, Lévi-Strauss non solo si attarda a spiegare il significato intimo delle prescrizioni e delle proibizioni culinarie, ma trae da esse il rapporto simbolico dei significati con cui si esprime il pensiero umano e giunge a formulare la conclusione che in esse si riscontra il germe di una filosofia dello spirito e si ritrovano i primordi della scienza;

- Quello di Lévi-Strauss si può definire uno STRUTTURALISMO RELAZIONALE basato su modelli teorici;

- Critiche : Lévi-Strauss non percepisce la dialettica che è nell’evolversi della storia, cioè le sue sono sempre analisi sincroniche (indipendentemente dall’evoluzione storica).

28

8. ANTROPOLOGIA CONOSCITIVA ED ETNOSCIENZADopo la crisi di identità dell’antropologia (dagli anni ’60 in poi), dovuta all’indipendenza dei paesi coloniali e “primitivi”, si arrivò a parlare addirittura della scomparsa dell’oggetto antropologico, identificato con i primitivi: un’affermazione che mette a nudo l’equivoco dei miti che identificavano l’antropologia come lo studio dei primitivi e delle società semplici. Si ebbe così l’occasione di chiarire che l’ambito di studio dell’antropologia è la CONDIZIONE UMANA!In America si sviluppa un nuovo filone di ricerca sui modi della conoscenza : l’antropologia conoscitiva (studio dei meccanismi dell’apprendimento e dei sistemi di conoscenza e classificazione), con delle problematiche innovative.Da qui deriva poi una nuova specializzazione, l’Etnoscienza, studio dei meccanismi dell’apprendimento e dei sistemi di conoscenza, che si distingue dalla scienza sperimentale perché il suo oggetto di studio è il sapere etnico, cioè popolare ed empirico. Vi sono 2 modi di percezione dell’osservatore estraneo (etico e emico):

Etico modo di vedere una cultura soggettivo e proprio degli osservatori esterni; Emico (in contrapposizione) modo di vedere una cultura oggettivo e proprio degli

appartenenti interni della cultura.

9. NEOEVOLUZIONISMO E SOCIOBIOLOGIAIl movimento neo-evoluzionista si consolida in America dopo la II guerra mondiale.Tutti gli antropologi neo-evoluzionisti attribuiscono la massima importanza al fattore ecologico come elemento determinante dell’evoluzione culturale, ma si differenziano tra di loro per diversità di accentuazione del metodo e dei temi:

Steward rileva maggiormente il determinismo tecno-ambientale; White il determinismo tecno-economico; Murdock sviluppa al massimo il metodo statistico e il suo grande merito è stato di essere uno

straordinario elaboratore di dati, raccolti in “Human Relations Area File” che è un catalogo che contiene i dati di tutte le società e culture note (oltre mille società, di cui 862 con un codice particolare per consentire la ricerca comparativa per usi professionali);

Harris nel 1968 pubblica una nuova storia delle teorie antropologiche, affermando che l’antropologia serve per formulare leggi generali (neo-evoluzionismo), cioè l’antropologia è nomotetica. Per questo scopo si devono studiare le cause dello sviluppo culturale da ritrovarsi esclusivamente nelle condizioni ecologiche, tecniche ed economiche.

La sociobiologia (metà anni ‘70) è dedita allo studio delle basi biologiche dei comportamenti degli esseri. La scoperta dei geni e del loro comportamento imponeva il superamento del concetto evoluzionista individuale del più forte: i geni si accoppiano per generare nuovi esseri e assicurare la continuità della specie. Anche nelle società umane è questa la base dei sistemi di discendenza e di parentela e quindi anche delle scelte matrimoniali.

10. ANTROPOLOGIA MEDICA, PSICANALISI ED ETNOPICHIATRIANell’antropologia medica si possono distinguere 2 indirizzi:

1- il primo interessato ai problemi con la clinica e la pratica scientifica della medicina;2- il secondo allo studio della medicina popolare e delle pratiche terapeutiche tradizionali, sia nelle

società tribali che nelle società industriali e nelle società in rapido cambiamento, “malate di civiltà”, ossia di abuso di alcool e droga.

Il presupposto etnologico sta alla base dell’etnopsichiatria che considera i disturbi psicopatologici, non come un fenomeno soggettivo, ma come risultato di esperienze determinate dai processi simbolici propri di ogni cultura, di concezioni ideologiche e di pratiche terapeutiche tradizionali.

11. ETNOSTORIA29

Vi troviamo 2 indirizzi:1) Valorizzazione delle tradizioni orali , raccolte e vagliate con metodo critico e comparativo. Con

questo metodo vari ricercatori hanno registrato le tradizioni orali di genti africane e hanno tentato di ricostruirne il passato;

2) Valorizzazione di eventuali documenti scritti da antichi relatori sulle popolazioni senza scrittura. In generale, l’affermarsi dell’etnostoria, come specializzazione di studio, rappresenta la rivalutazione della storia nell’ambito dell’antropologia e ha aperto nuovi filoni di ricerca, come le tradizioni orali in connessione con gli archivi di famiglie private, di istituzioni civili e religiose e ha fatto nascere l’antropologia regionale (rivista etnologia europea, con studi su regioni particolari, quali il Mediterraneo e le Alpi).

12. ANTROPOLOGIA INDUSTRIALE, URBANA E CLASSI SOCIALIDello sviluppo industriale, fattore che risulta tra i più incisivi dei cambiamenti sociali, l’antropologia analizza gli aspetti umani, cioè la condizione dei lavoratori all’interno delle fabbriche, il riflesso delle zone industriali sugli insediamenti umani e i processi culturali della partecipazione ai processi industriali di produzione.Tra i maggiori problemi posti in risalto dall’antropologia industriale risultano il pendolarismo e l’immigrazione di massa di lavoratori, problemi che hanno coinvolto in maniera drammatica la società italiana, scopertasi patologicamente etnocentrica al confronto degli immigrati extracomunitari.

13. IL “POSTMODERNO”Negli anni tra il 1970 e il 1990 si è andata affermando nel campo dell’estetica e della critica letteraria una corrente radicale di revisionismo critico e demolitore; non è una specializzazione, ma è un interesse diffuso, una moda se si giudica dalla monotonia dei saggi tutti aventi la parola “invenzione” nel titolo (i. della cultura, i. della tradizione, i. dei primitivi, i. dell’Africa,…).La revisione e la critica di adeguamento alle conoscenze è più che legittima, ma la ripetizione monotona rileva una pigrizia mentale, a discapito di onesti autori che vogliano veramente revisionare. Le discipline antropologiche hanno bisogno di una continua verifica e la pigrizia mentale attenua, se non annulla, il grado della loro attendibilità.

7. L’ANTROPOLOGIA DELLA CULTURA IN ITALIA

Attraverso un lento processo evolutivo, gli studi di antropologia si sono divisi in due branche fondamentali: l’antropologia fisica per lo studio delle caratteristiche fisiologiche degli esseri umani e l’antropologia culturale per lo studio della cultura.In Italia, le denominazioni attribuite allo studio antropologico della cultura (etnologia, antropologia culturale, demologia) sono ora riunite in una sola parola, esclusiva del gergo universitario italiano: demo-etno-antropologia. Per capire il processo storico che ha portato a questa denominazione, occorre precisare 5 fasi:

1. PERIODO EVOLUZIONISTA (UNITÀ TRA ANTROPOLOGIA E ETNOLOGIA)I primi antropologi italiani (medici, naturalisti, …) aderirono totalmente alla teoria evoluzionistica di Darwin, e quindi:

- Gli aspetti culturali appartengono agli stadi superiori dell’evoluzione in corrispondenza con l’evoluzione fisiologica degli esseri umani (l’evoluzione fisiologica e culturale sono fenomeni non separabili);

- Lo Scopo degli studi antropologici era di scoprire le cause (leggi generali) di tale evoluzione fisiologico-culturale.

Cioè l’antropologia fisica e l’etnologia erano la stessa cosa; lentamente poi si staccheranno, la prima per studiare l’evoluzione fisiologica degli esseri umani, la seconda per lo studio delle manifestazioni culturali.

30

Studiosi del periodo: Paolo Mantegazza (1831-1910), medico, fu maestro e divulgatore delle teorie darwiniane. Viaggiò

molto in Europa e in America. In Argentina dove si trasferì (1854) per esercitare la sua professione di medico, conobbe le popolazioni amerinde e li maturò il suo interesse antropologico. Nel 1858 tornò in Italia e nel 1870 ottenne la prima cattedra di antropologia in Italia presso l’università di Firenze e fondò, sempre in quell’anno, il Museo antropologico - etnografico di Firenze, la Società italiana di antropologia fisica e l’Archivio per l’antropologia e l’etnologia, fondazioni che tutt’oggi esistono e prosperano. Fu anche deputato al Parlamento dal 1865 al 1876, quando divenne senatore;

Cesare Lombroso (1835-1909), medico pure lui, a cui si deve l’impostazione dell’antropologia criminale come disciplina specializzata. Sosteneva che la degenerazione morale del delinquente doveva spiegarsi in rapporto alle sue anomalie fisiche. Le sue teorie ebbero un grande seguito nel diritto penale e nella medicina mentale e legale, tanto che il criminale venne considerato non solo una persona da punire, ma un malato da guarire e da rigenerare.

Giuseppe Sergi (1841-1936), di formazione filosofica e letteraria, fu attratto dall’antropologia fisica intesa in senso unitario con l’etnologia. Perfezionò il metodo di misurazione cranioscopia, cercando di precisare, attraverso la descrizione geometrica del cranio, un criterio di classificazione delle razze umane e le loro origini. Le sue indagini variano tra paleontologia dei mammiferi e dell’uomo, i problemi dell’eredità biologica, lo studio delle antiche civiltà e la loro scrittura e linguaggio. Si distinse per serietà di metodo scientifico e fondò a Roma, dove insegnò, la Società Romana di Antropologia e la Rivista di Antropologia (1911).

Lamberto Loria (1835-1913), laureato in matematica all’università di Pisa, compì lunghi viaggi nel Turkestan, in Nuova Guinea e in Eritrea allo scopo di raccogliere dati e reperti per documentare il processo evolutivo della vita e dell’umanità. Da queste esperienze esotiche, fu indotto a studiare poi le manifestazioni tradizionali delle genti d’Italia, a cui dedicò tutta la vita, fondando a Firenze il Museo di Etnografia Italiana (1906), la Società di Etnografia Italiana (1910) e la rivista Lares (1912) per la promozione e divulgazione degli studi etnografici italiani.

2. SVILUPPO DELLA DEMOLOGIA (= folklore)Per indicare lo studio delle tradizioni popolari gli studiosi adottarono il termine inglese folklore (da folk “popolo” e lore “sapere”). Solo in Italia si è affermato il termine demologia (da demos “popolo” e logos “parola, discorso”).In Italia lo studio delle tradizioni popolari risale ai primi decenni del 1800, in prospettiva letteraria-filosofica (con raccolte di poesia popolare pubblicate nelle varie regioni d’Italia, soprattutto in Toscana), ma anche storica e positivista (non solo l’osservazione delle manifestazioni popolari, ma anche la raccolta museografica dei manufatti artigianali popolari).La Demologia = Etnografia, cioè la raccolta delle registrazioni degli usi e costumi.Tra i principali studiosi dell’epoca ricordiamo: Niccolò Tommaseo (Canti popolari toscani, corsi, illirici e greci, 1841-42); Costantino Nigra (Canti popolari del Piemonte, 1888).

Questi autori hanno un punto di vista della demologia ad indirizzo positivista, in opposizione all’idealismo storicista di Benedetto Croce. Inoltre: Giuseppe Pitrè (1841-1916), medico siciliano, dal contatto professionale con la gente fu indotto a

documentare tutti gli usi e i costumi del popolo siciliano. Tra le sue più grandi opere ricordiamo i 25 volumi della Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane del 1871 e la fondazione del Museo Etnografico Siciliano creato grazie ad una raccolta meticolosa di materiale durante le sue ricerche.

Nel 1911 per iniziativa della Società di Etnografia Italiana fondata da Lamberto Loria, si tennero un Congresso e una Mostra Etnografica Italiana, che misero in risalto i concetti di demologia e etnografia, mentre continuava a perdurare l’unione tra antropologia fisica ed etnologia.Tra i demologi di quel periodo ricordiamo:

31

Raffaele Corso (1883-1965) che nel Congresso del 1911 si fece relatore del metodo folklorico di Van Gennep per poi fondare nel 1925 la rivista Il Folklore Italiano e nel 1946 il Folklore;

Giuseppe Cocchiara (1904-1965), nato a Messina perfezionò i suoi studi italiani all’Università di Oxford. Innovativo fu il suo tentativo, durante il governo militare alleato della Sicilia nel 1944, di istituire in Italia, nell’Università di Palermo (dove insegnava nella cattedra di Storia delle Tradizioni Popolari), una Facoltà di Antropologia Sociale sul modello anglosassone. Anche se la sua richiesta non fu accolta dal Ministero di Roma, fu comunque un tentativo valido per provare a colmare il ritardo italiano nei confronti degli altri paesi europei.

Nuove tematiche rinnovano gli studi demologici dopo il 1965. Le vicende sociali di quel periodo portano alla ribalta la condizione contadina e la contestazione e tra i demologi italiani si affermano i principi del marxismo come metodo di ricerca riferimenti agli scritti di: Antonio Gramsci degli anni ‘50, in cui si sottolinea l’esistenza di stratigrafie e dislivelli sociali, di

mondi dominanti e di mondi dominati; Alberto Cirese applica i concetti di egemonia (cultura ufficiale) e subalternità (cultura popolare) come

criteri di analisi demologica, creando una consapevolezza dei dislivelli interni società italiana, “dislivelli culturali e non divisioni tra cultura e non cultura, conoscenza e ignoranza.”

In generale, dopo la riforma agraria del primo dopoguerra, la condizione contadina diventa un importante soggetto di ricerca con validi saggi sulle strutture dei sistemi di parentela, sulle strategie matrimoniali, sulle migrazioni, sull’economia mezzadrile.

3. AUTONOMIA DELL’ETNOLOGIAMentre in Gran Bretagna e Germania la distinzione tra studio delle manifestazioni culturali e lo studio delle caratteristiche fisiologiche degli esseri umani erano già separate fin dall’inizio del ventesimo secolo, in Italia si avvera un consolidamento dell’antropologia fisica, mentre l’etnologia subisce ritardi gravissimi, per la mancanza di strutture accademiche a sostegno dello studio professionale (fascismo = avversione per le scienze sociali empiriche) e l’avversione degli studiosi verso le materie scienze sociali. Solo nel 1940 nelle università compare l’insegnamento autonomo dell’etnologia. In questo periodo, l’etnologia intesa come studio storico delle culture dei popoli estranei alla tradizione classica, fu promossa dall’opera di personaggi di grande rilievo accademico: Carlo Conti Rossini (1872-1949), etiopista e funzionario dell’amministrazione italiana in Eritrea, fu

studioso insigne della storia e del diritto dell’Etiopia; Enrico Cerulli (1898-1988), etiopista e funzionario del Ministero degli esteri, fu Vicegovernatore

Generale dell’Africa Orientale Italiana e autorevole maestro della letteratura etiopica. I suoi lavori raccolgono materiale etnografico tratto dai suoi viaggi esplorativi del 1930 presso etnie etiopi e somale poco note o sconosciute; Renato Biasutti (1878-1965), geografo, si propose di compiere una sintesi fra i risultati dell’antropologia fisica, della paletnologia e dell’etnologia in senso storico-diffusionista. Nella sua opera più significativa, Razze e Popoli della Terra, ci ha lasciato un manuale delle scienze antropologiche molto valido.Si avvale del concetto di ciclo e lo applica alle razze e alle culture: distingue i rami, cioè le sottospecie dell’Homo Sapiens; i ceppi, cioè le razze principali e le razze, di livello secondario e propone 4 cicli:

1- Ciclo delle forme primarie equatoriali;2- Ciclo delle forme primarie boreali;3- Ciclo delle razze derivate sub-equatoriali;4- Ciclo delle razze derivate del Pacifico e dell’America.;

32

Raffaele Pettazzoni (1877-1959), storico delle religioni, fu professore di Storia delle Religioni all’università di Roma. Intendeva l’etnologia come studio dei primitivi, da cui s’attendeva le prove delle origini della religione e dell’idea di Dio, che proviene dalla contemplazione umana del cielo e delle manifestazioni uraniche, dalle quali sarebbero poi derivati gli stadi del politeismo e del monoteismo. Fondò anche la Scuola di perfezionamento in Scienze etnologiche. Può essere considerato come il fondatore dell’etnologia in Italia.

Il lento progresso verso l’autonomia disciplinare dell’etnologia poté considerarsi concluso nel 1967 con il concorso a cattedra vinto dalla terna Grottanelli, Lanternari, Cerulli. Grottanelli assunse la cattedra di Etnologia all’università di Roma, passando così dall’attività presso il

Museo Pigorini di Roma all’insegnamento, decisamente storico-culturale. Notevoli le sue ricerche tra le popolazioni della Somalia meridionale e i Bagiuni (popolazione di lingua Bantu), e la impegnativa ricerca tra gli Nzima del Ghana, iniziata nel 1954 e condotta periodicamente per circa vent’anni e che rappresenta una novità in Italia, sia per la lunghezza che per la possibilità offerta da Grottanelli di esperienza sul campo a giovani studiosi;

Lanternari assunse la cattedra all’università di Bari e con lui ci si allontana definitivamente dalla scuola storico-culturale, facendo prevalere studi sui mutamenti culturali, sull’acculturazione. Formato alla scuola di Pettazzoni, affronta argomenti storico-religiosi, come il capodanno e indica nel contrasto tra oppressione e bisogno di libertà la ragione del proliferare delle nuove religioni;

Cerulli assunse la cattedra all’università di Genova e compì ricerche in Costa d’Avorio sui Water-Carriers, chiesa profetica africana trasformatasi in setta di curatori, sugli Anyi-Bona e gli Abron e sull’acculturazione urbana.

Le caratteristiche dell’etnologia italiana sono: Apertura comparativa; Prevalenza delle ricerche in campi esotici.

4. ANTROPOLOGIA CULTURALENello stesso periodo in cui vengono istituite le prime cattedre in etnologia, si sviluppa una nuova specializzazione, l’antropologia culturale, presentata ufficialmente nel 1957 a Milano (Congresso Nazionale di Scienze Sociali).Sempre nel 1957, si tentò di definire i campi di ricerca differenti di antropologia culturale ed etnologia, ma le 2 discipline, artificiosamente separate, vengono riunite nel 1970.Gli esponenti a favore dell’affermarsi di questo nuovo indirizzo: De Martino (1908-1965), docente di Storia delle Religioni all’università di Cagliari. Il suo primo

saggio, Naturalismo e Storicismo dell’etnologia (1941), è una severa critica alle scuole antropologiche del momento in campo di “storicismo crociano”. Le sue ricerche sui riti e magia (al meridione) lo fanno diventare un maestro dell’antropologia italiana. Le sue ricerche sul lamento funebre e il tarantismo sono lavori che rilevano una grande padronanza di metodo per la ricerca in una società complessa come quelle del meridione, tanto più se si considera che la ricerca sul campo in Italia era pressoché inesistente. Associa nel lavoro altri specialisti, psicologi, medici ed etnomusicologi e partecipa attivamente alla vita della gente.

Bernardi: etnologo, gli venne affidata la prima cattedra di Antropologia Culturale all’interno dell’Istituto di Sociologia della Facoltà di Scienze Politiche dell’università di Bologna nel 1970. Con lui si attuava il riavvicinamento tra le due discipline, antropologia culturale ed etnologia.

All’istituzione dell’antropologia culturale, seguirono alcuni studi di notevole interesse:studi e ricerche sui valori e i caratteri nazionali, l’etnomusicologia, l’antropologia visiva (vi hanno contribuito molto i vari festival del cinema etnografico, inseriti nei programmi di grandi manifestazioni, come la Festa dei Popoli di Firenze).La fine degli anni ‘80 ha visto il declino dell’antropologia marxista.

33

5. DEMO-ETNO-ANTROPOLOGIADal 1975 si fanno più frequenti gli incontri di studio e i progetti di ricerca ispirati alla comunanza di fondo della problematica culturale e le sue varie specializzazioni a questo proposito l’iniziativa del Ministero delle università e della ricerca, che indica con il nome di gruppo demo-etno-antropologico l’insieme delle discipline antropologico - culturali al fine dei concorsi universitari.Ecco alcune caratteristiche attuali dell’antropologia italiana:1) Diffusa presenza delle discipline antropologiche nelle facoltà universitarie e crescente interesse

pubblico per le problematiche antropologiche, all’inizio per curiosità e, grazie alla crescente possibilità di viaggi esotici, ora anche per un motivo molto più importante: l’Italia è divenuta terra di immigrazione!, scoprendosi piena di pregiudizi e affetta da etnocentrismo patologico. La sola terapia è un’intensa opera di educazione antropologica che aiuti alla comprensione delle diversità culturali, facendo del nostro paese “terra d’incontro etnico”;

2) Continuità nella diversità delle correnti che trovano un consenso unanime degli studiosi di demologia nell’esigenza della ricerca in campo, come premessa essenziale dell’elaborazione scientifica e non la qualifica esotica, Lewis la definisce “la Musa dell’antropologia” (1973);il luogo della ricerca o le denominazioni particolari sono considerati ininfluenti rispetto a:

- L’esigenza di una preparazione adeguata;

- L’intensità emica (oggettività) della partecipazione;

- L’attendibilità della documentazione.

3) Associazionismo degli studiosi delle varie correnti antropologiche per la comunanza di ispirazione scientifica e anche nel vantaggio di una partecipazione corporativa alla vita accademica e culturale del paese, tanto che, nel 1991, viene costituita l’Associazione italiana di studi etno-antropologici.

6. L’ITALIA COME SOGGETTO ANTROPOLOGICO DI STUDIO ESOTICOÈ interessante vedere anche come alcuni studiosi stranieri “osservano” le regioni italiane. Gli studi sono motivi di confronto ed interscambio ed i campi di indagine scelti sono in tutta l’Italia, il che rivela come l’interesse sia rivolto soprattutto alla problematica propria di ogni situazione locale.Chapman ha condotto degli studi in Sicilia, con oggetto la parentela;Blok affronta il problema della mafia “tradizionale” sempre in Sicilia;Davis, in Basilicata, scrive una monografia sulla terra e l’organizzazione familiare di Pisticci;Belmonte presenta la micro analisi di una famiglia di emarginati a Napoli;Dundes e Falassi analizzano il palio di Siena;Kertzer analizza la lotta tra comunisti e cattolici in un quartiere di Bologna negli anni ’70;Saunders ha svolto ricerche sulla vita contadina in Piemonte.

8. LA PARENTELA

Lo studio della parentela fu uno degli argomenti fondamentali che impegnarono i primi antropologi, con Maine, MacLennan e Morgan che ricercarono nei sistemi primitivi di parentela le origini dell’organizzazione sociale, ipotizzando in maniera del tutto soggettiva, una serie di stadi evolutivi.

34

Dall’epoca di Morgan i progressi sono stati immensi, fino ad arrivare alla scuola funzionalista e strutturale, che con gli studi di Radcliffe-Brown e di Malinowski, seguite dalle indagini di Evans-Pritchard e di Fortes, ha contribuito a rendere più sistematica e positiva l’analisi sui problemi della discendenza.Gli stessi fenomeni sono stati studiati da Lévi-Strauss secondo il suo punto di vista strutturalista, cioè in rapporto alla formazione delle alleanze come meccanismi di scambio e collaborazione attorno a queste due prospettive, della discendenza e dell’alleanza, si sono concentrati gli studi odierni della parentela.

1. LA PARENTELA E IL MATRIMONIOLa parentela affonda le radici nell’ordinamento della natura umana per cui l’uomo si divide in maschio e femmina, l’uno e l’altra attratti nel rapporto sessuale necessario per la generazione e continuità della specie. Si tratta di una realtà naturale elementare, che non può non esistere, ma che l’uomo può regolare con norme e per scopi specifici.La necessità fisica di cooperazione, il bisogno psicologico di identità e appartenenza sono impulsi primordiali che inducono a valorizzare l’articolazione etero-sessuale degli individui per ordinarli in forme associative che scaturiscono dalle relazioni per la generazione e la continuità della specie e che costituiscono la parentela.

Che cos’è la parentela?La Parentela è generalmente definita come un vincolo che lega gli individui tra loro, in rapporto alla generazione e alla discendenza. Tale vincolo può essere di vario genere, per cui si distingue in 3 tipi :

Parentela di consanguineità è il tipo più autentico e si basa sul presupposto biologico che si manifesta nella discendenza genealogica. Il processo biologico della procreazione, accomuna il sangue dei genitori e della prole (da qui il termine consanguineo). È un vincolo fondato sulla realtà naturale, ma comunque deve essere socialmente riconosciuta; infatti esiste anche una consanguineità sociale, che è la relazione genealogica socialmente riconosciuta: non sempre il genitore è padre e la genitrice è madre (vedi genitori adottivi, non sono genitori di sangue, ma sono riconosciuti dalla società).

Parentela di affinità di ordine unicamente sociale e si avvera per legge (father-in-law, brother-in-law, cioè padre, fratello acquisito per legge) . I due tipi di parentela, consanguinea e affine, hanno il loro più grande esempio nel matrimonio: i primi affini sono i due sposi (i secondi affini, invece, saranno, i parenti acquisiti dal matrimonio come suoceri, cognati, ecc …), mentre i loro figli sono consanguinei dell’uno e dell’altro genitore. È quindi necessario distinguere nettamente il matrimonio dalla parentela. Il matrimonio è una relazione bilaterale antropemica, nel senso che nasce dal’azione creativa dell’uomo, mentre nella partecipazione duale degli sposi nasce tutto il sistema della parentela: quella consanguinea si allarga con la prole, quella affine si allarga per mezzo del matrimonio (parenti acquisiti).

Parentela relazionale si basa su una relazione particolare e personale verso un determinato “ego”. Ognuno di noi ha una cerchia di parenti, con doveri e diritti specifici, che non si distinguono in consanguinei e affini. Non tutte le culture ce l’hanno, dove esiste è chiamato “Parentado” (Kindred).

Cosa sono i principi basilari?Fox (1973) e Bernardi hanno formulato 6 principi elementari che regolano i rapporti sessuali, li mutano in cause efficienti della struttura sociale e dalla cui spinta dinamica nasce tutto il complesso delle relazioni di parentela:

1) La divisione duale dei sessi fonda le relazioni umane2) Le donne generano i figli

35

3) Gli uomini fecondano le donne4) Normalmente gli uomini esercitano il controllo5) I parenti primi non hanno relazioni sessuali tra di loro6) Il riconoscimento sociale sanziona (cioè definisce) le relazioni derivanti dai rapporti sessuali

I primi tre sono chiaramente imposti dalla natura.Il secondo e il terzo enunciano un dato biologico e affermano la complementarietà dei due sessi nella procreazione.Il quarto acquista significato nel periodo della gestazione, quando la donna viene a trovarsi in una fragilità particolare ed è qui che ha bisogno della protezione dell’uomo, che le procura il nutrimento e la difende.Il quinto riguarda la problematica dell’incesto, norma prettamente culturale e sociale voluta dall’uomo, la cui nascita è tutt’ora argomento di discussione, più che una proibizione è “un’evitazione”.Il punto 6 accentua l’intervento dell’uomo: i fatti della vita resterebbero meramente atti sessuali se la società non intervenisse dando loro un preciso valore sociale e un’efficacia strutturale, si crea la consanguineità sociale (viene riconosciuta socialmente!).Il codice e la simbologiaL’analisi di questi problemi ha portato alla formulazione di simboli e ad un codice di segni da conoscere per leggere i diagrammi illustrativi delle ricerche analitiche:

MASCHIO(triangolo fallico)

DONNA(cerchio)Sesso non conosciuto(rombo)

Matrimonio

Discendenza e figli

Che cos’è il matrimonio?

FM

SD

BZ

WH

PadreMadre

FiglioFiglia

FratelloSorella

MoglieMarito

È difficile darne una definizione antropologica perché include molteplici forme e scopi (va oltre la sola procreazione, ma per esempio è anche importante l’inculturazione dei figli) e può essere definito con dei criteri che vanno dalla vaga approssimazione (ad esempio gli Aborigeni australiani, il riconoscimento pubblico dell’unione ritenuta definitiva dall’opinione locale) all’estremo opposto di rigidità e precisione (es. antichi romani).La definizione antropologica più comprensiva è = il matrimonio è una relazione sessuale tra 2 individui di sesso diverso, socialmente definita, con lo scopo della procreazione ed alla inculturazione dei figli.Ci sono numerose altre definizioni che introducono altri concetti come quello della legittimazione e gli antropologi inglesi propongono questa definizione: il matrimonio è l’unione di 2 individui di sesso diverso, tale che i figli riconosciuti come prole legittima di entrambi i coniugi.Resta il fatto che il matrimonio è un’istituzione straordinariamente multiforme per cui nell’analizzarla bisognerà tener presente i vari etnemi che lo compongono (scelta del coniuge, discendenza, proprietà, eredità, …).La definizione neutra (cioè non si attribuisce valore determinante al rapporto eterosessuale né al fine di procreare, ma si considera determinante la convivenza e sostegno reciproco dei partner) e recente (di varie legislazioni nazionali) è che “il Matrimonio è la comunanza di vita di due persone a sostegno reciproco riconosciuta socialmente sia con atto formale sia come realtà di fatto”.

36

2. TIPI E SISTEMI MATRIMONIALI Cosa sono endogamia, esogamia e incesto?

Esistono due termini che prescrivono o proibiscono la scelta del coniuge: Endogamia (matrimonio dentro) prescrive la scelta del coniuge all’interno di un determinato

gruppo; Esogamia (matrimonio fuori) prescrive la scelta del coniuge al di fuori di un determinato gruppo.

E proibisce il matrimonio dentro determinati gruppi. Il gruppo minimo al quale si applica la regola esogamica è la famiglia coniugale, cioè è proibito il matrimonio tra parenti primi.

L’Incesto da non confondere con l’esogamia! L’incesto riguarda le relazioni sessuali (come l’adulterio), mentre l’esogamia riguarda il matrimonio.La proibizione dell’incesto, pur essendo diffusissima e pressoché universale, non è una norma univoca. Ci si è sempre chiesto quali siano le motivazioni che hanno indotto l’uomo a darsi una norma del genere. Tra le ipotesi più suggestive sull’origine dell’incesto c’è quella strutturalista di Lévi-Strauss e quella più etnocentrica di Radcliffe-Brown: Lévi-Strauss (1949) vede nell’incesto il passaggio tra la natura e la cultura: “si tratta di un fenomeno

che presenta simultaneamente il carattere distintivo della natura (l’universalità delle tendenze e degli istinti) e il carattere distintivo della cultura (contrario al precedente perché specifico e perché subisce la coercizione della legge)”;

Radcliffe-Brown (1950) vede l’incesto come “il peccato o il delitto di intimità sessuale tra parenti imminenti della famiglia, padre e figlia, madre e figlio, fratello e sorella” in questa definizione si prospettano vari tipi di incesto, a cui corrisponde una valutazione morale diversa: i casi più frequenti sono quelli tra padre e figlia, quelli più rari tra madre e figlio. In alcune società è consentito normalmente anche l’incesto fratello-sorella.

Goody distingue le tante spiegazioni dell’incesto in 3 categorie:1) Spiegazioni in termini di relazioni interne del gruppo e in particolare della famiglia nucleare (Freud,

Radcliffe-Brown, Malinowski);2) Spiegazioni in termini di relazioni esterne al gruppo (Tylor, Fortune, Lévi-Strauss);3) Spiegazioni biologiche, genetico-psicologiche.

Nonostante le molte spiegazioni, si può osservare come la norma che proibisce l’incesto costituisca un antropema fondamentale per l’ordinamento dell’attività sessuale e per la formazione dei gruppi di parentela e la limitazione delle scelte matrimoniali.

Cosa sono monogamia e poligamia? Monogamia sistema di unione matrimoniale di un solo uomo con una sola donna. Può avere valore

assoluto, come nella concezione cattolica, il vincolo è per tutta la vita; oppure relativo, cioè il vincolo permane finché c’è il riconoscimento: se il matrimonio viene sciolto, allora si possono avere dei partner successivi;

Poligamia sistema secondo il quale uno dei due coniugi può avere più partner: 1) Poliginia : l’unione di un uomo con più donne; è la forma più diffusa, riflette il sistema

monogamico, perché si devono compiere tante cerimonie nuziali quante sono le donne che uno 37

sposa. Ogni donna costituisce una unità familiare e matrimoniale distinta (separazione delle case, dei campi, delle proprietà e dei nuclei familiari madre-figli);

2) Poliandria : l’unione di una donna con più uomini; molto rara e la forma più comune è quella adelfica, dove più fratelli si servono di una sola donna per moglie. Tra le cause determinanti le più diffuse sono di tipo economico (se non si hanno i soldi per pagare i matrimoni di tutti i fratelli), demografiche (se in una società ci sono poche donne maritabili) e anche politiche o sociali (impossibilità di sposarsi al di fuori del proprio gruppo).

Ci sono norme sull’età legate al matrimonio? - La norma più diffusa sull’età matrimoniale richiede che si sia raggiunta la maturità fisiologica. Cioè che

si sia superata la pubertà;- Nelle legislazioni scritte si precisa in genere una età minima, alla quale si aggiunge un’attitudine sociale

che richiede una certa autonomia economica;- Nelle legislazioni senza scrittura la precisazione è approssimativa , ma in genere bisogna che uno abbia

raggiunto la maturità sociale (ad esempio con l’iniziazione).In parecchie società si pratica il cosiddetto matrimonio infantile . In realtà il termine matrimonio è improprio, perché si tratta di una promessa matrimoniale, la cui efficacia scatterà al momento della maturità biologica e sociale degli interessati. Tale forma di matrimonio contrasta evidentemente con la libertà di scelta individuale. In Africa, per esempio, i nuovi codici della famiglia la proibiscono.

Che cos’è il contratto matrimoniale? (aspetto economico)La scelta matrimoniale induce sempre a una valutazione giuridica ed economica il matrimonio si configura pertanto come contratto.Vi sono varie forme di contratto matrimoniale:

per scambio, quando due gruppi si scambiano le donne (figlie-sorelle) come se fossero dei beni; per servizio, quando un individuo per ottenere la moglie si mette al servizio e lavora per il padre di

lei; per stipulazione, quando avviene un accordo preciso sul contributo o sul pagamento di beni

economici in rapporto al matrimonio. Vi rientrano 2 forme molto diverse, che sono: dote e ricchezza della sposa

Dote, cioè un insieme di beni che il padre della sposa o il gruppo di parentela le versa in occasione del matrimonio e che costituisce, insieme ai beni del marito, il fondo economico della nuova famiglia.Generalmente la stipulazione della dote avviene prima della celebrazione del matrimonio.

Ricchezza della sposa è l’insieme dei beni (in natura o moneta) che la famiglia dello sposo versa alla famiglia della sposa per rendere possibile il matrimonio, è essenziale perché si abbia il matrimonio, che risulterà stabile solo quando il versamento sarà stato totale. L’ammontare varia con la situazione economica.

Cosa si intende per Patrilocale e Matrilocale (la residenza matrimoniale)? Sono le norme matrimoniali che specificano spesso il luogo di residenza degli sposi. Può essere matrilocale o patrilocale, a seconda se dovranno risiedere presso la madre o il padre. Ma poiché questi termini non specificano se si tratta della madre o del padre dello sposo o sposa, lo studioso Firth ha proposto due termini, affermati ancora oggi:

- Virilocale è il matrimonio in cui gli sposi si stabiliscono presso il gruppo di parentela dello sposo (qualunque sia il gruppo, matrilineare o patrilineare);

- Uxorilocale se la dimora avviene presso il gruppo della sposa.

38

Ha delle conseguenze importanti per la formazione dei gruppi di discendenza, per la proprietà e l’attività economica, per le alleanze politiche e la successione.Vi sono altre norme matrimoniali, come il levirato e il sororato:

- nel levirato, il fratello del morto ha il diritto, che è anche un dovere, di prendere la vedova di lui in moglie: i figli che avrà da lei saranno a tutti gli effetti figli del defunto;

- nel sororato, la sorella entra come moglie al posto delle sorella defunta (quasi si trattasse di persone identiche).

Cosa sono i Sistemi matrimoniali ? Poiché il matrimonio è il propellente della parentela, i sistemi matrimoniali che sorgono dall’applicazione di norme specifiche caratterizzano anche i gruppi di parentela.Mentre per la formazione dei gruppi di parentela il perno strutturale è la discendenza, nella distinzione dei sistemi matrimoniali il punto centrale è l’attuazione dello scambio delle donne la proibizione esogamica di sposare una donna nel proprio gruppo importa necessariamente che si cerchi una moglie tra le donne di un altro gruppo. I sistemi matrimoniali si distinguono in:

sistemi matrimoniali diretti, quando un gruppo A dà una donna al gruppo B che a sua volta dà una donna ad A vengono chiamati anche simmetrici, perché tra i due gruppi si stabilisce una condizione di parità per mezzo dello scambio; e semplici perché indicano con precisione da quale gruppo si può prendere la sposa.

sistemi matrimoniali indiretti, quando il gruppo A dà una donna al gruppo B, ma non riceve a sua volta da B, ma da un altro gruppo C vengono anche chiamati asimmetrici, perché chi dà una donna non riceve la restituzione dallo stesso gruppo che riceve, ma da un terzo gruppo; e complessi perché la scelta della sposa non viene fatta tramite criteri precisi, ma misurabili solo con il metodo delle probabilità. Per esempio nel nostro sistema matrimoniale, che è complesso, non è detto che un operaio sposi una operaia o che un cugino sposi una cugina, ma solo le statistiche ci indicano con che probabilità ciò si avveri.

Gli aspetti discriminanti per l’analisi dei sistemi matrimoniali sono gli effetti dei sistemi:- I sistemi semplici tendono a rendere perpetue le alleanze attraverso le generazioni, mantenendo il

matrimonio “in famiglia”;- I sistemi complessi, invece, non favoriscono il rinnovamento dei legami, ma diffondono le persone

nella società.Il campo classico d’indagine sui sistemi matrimoniali sono gli Aborigeni Australiani. Dal nome tribale di queste popolazioni derivano le denominazione dei sistemi matrimoniali.

Gli esempi più tipici dei sistemi matrimoniali diretti sono state introdotte da Radcliffe-Brown: sistema Kariera e sistema Aranda. Vediamo il loro funzionamento considerando le regole essenziali:

sistema Kariera sistema Aranda (più diffuso e più complicato)

1. scambio di sorelle, sia germane sia classificatorie;

2. matrimonio preferenziale tra cugini incrociati primi;

3. ego sposa MBD oppure FZS;

1. scambio di sorelle, sia germane sia classificatorie;

2. matrimonio preferenziale tra i cugini incrociati secondi;

3. ego sposa MMBDD = FMBSD;

39

4. i nonni sposati, essendo tra loro cugini incrociati, hanno in comune i nonni ma in maniera alternata: i nonni paterni di ego sono nello stesso tempo i nonni materni della sposa di ego; e così i nonni paterni della sorella di ego sono nello stesso tempo i nonni materni del suo sposo; e viceversa!

5. In altre parole, a livelli alternati di generazione vi è un’uguaglianza di parentela;

6. Inoltre i membri di generazioni alterne appartengono alle stesse sezioni (Burung, Banaka, Karimera e Palyeri), cioè i nipoti sono sempre della stessa sezione di nonni;

7. matrimonio proibito tra cugini paralleli;8. il figlio sposa dove s’è sposato il padre.

Il sistema Kariera si basa sulla regola del matrimonio tra cugini incrociati, con scambio di sorelle. La regola Kariera è resa molto semplice e attuabile perché eleggibili per il matrimonio ci sono anche le “sorelle classificatorie”, cioè tutte le donne che ego chiama sorelle.

4. in ogni livello di discendenza i membri di ogni generazione alternata si ritrovano nella stessa sottosezione (il sistema Aranda ha 8 sottosezioni), analogamente a quanto avviene nel sistema Kariera;

5. matrimonio proibito tra i cugini paralleli;6. il figlio sposa dove s’è sposato il padre del

padre;

Il gruppo che prende una donna in matrimonio è considerato “debitore” e “inferiore” finché non avrà estinto il debito, cioè finché una donna di sua appartenenza non sia andata in sposa a un membro del gruppo creditore: tra i gruppi si crea una situazione dinamica alternante, di superiorità e inferiorità, e di equilibrio.

Un esempio, invece, di sistemi matrimoniali indiretti è quello dei Kachin della Birmania (anelli al collo delle donne!):

- Essi sono stratificati in 3 classi: capi, aristocratici e plebei;

- I lignaggi che danno le donne sono detti mayu, mentre quelli che li ricevono dama;

- Le donne possono passare da una classe all’altra le donne scendono di classe e la ricchezza sale;

- I lignaggi di classe superiore sono quelli che danno le donne ai lignaggi di classe inferiore!;

- All’interno delle classi il sistema è circolare e democratico; mentre nel rapporto tra le 3 classi il sistema è gerarchico.

3. GRUPPI DI PARENTELAIl carattere dinamico del matrimonio come propellente della parentela si manifesta soprattutto nella formazione dei gruppi di parentela, che possono nascere dalla preoccupazione di assicurare consistenza e continuità al gruppo (il matrimonio è visto come il mezzo per reclutare nuovi membri ai gruppi di parentela), oppure per stabilire dei rapporti di alleanza tra gruppo e gruppo (il matrimonio è il mezzo per scambiare i membri del gruppo –generalmente le donne- e allacciare alleanze).I motivi per cui si formano i gruppi cambia molto lo studio antropologico. In generale si può affermare che gli studiosi che hanno compiuto ricerche tra le tradizioni africane hanno dato maggior importanza alla discendenza, mentre gli studiosi delle società asiatiche e oceaniche hanno posto in rilievo le alleanze.

Le diadi e la famigliaGeneralmente si ritiene che la famiglia sia il gruppo minimo della parentela e della società, ma i tipi di associazione possibili sono molteplici e complessi:

famiglia nucleare (semplice e elementare): questo tipo di famiglia rappresenta il nucleo basilare della società e della parentela; è semplice perché nella parentela non ci sarebbe un gruppo altrettanto essenziale; è elementare perché si tratterebbe del gruppo sociale minimo e irriducibile. La formula

40

recepita di famiglia nucleare è triangolare: padre, madre, figli. Questa formula può essere scomposta in vari elementi duali, che rappresentano le diadi familiari:

famiglia nucleare

Diade marito e moglie

Diade madre e figli

Diade padre e figli

Diade fratello/i e sorella/e

La distinzione delle diadi non è una semplice operazione analitica per scomporre gli elementi essenziali del gruppo familiare, ma le diadi sono parti integranti della famiglia nucleare e rappresentano raggruppamenti autonomi minimi con struttura associativa e funzioni proprie.Per esempio la diade marito-moglie rappresenta un gruppo che con il matrimonio ha acquistato una sua piena autonomia e può essere anche permanente in caso di sterilità o nel momento in cui i figli se ne vanno per costruire i loro nuclei familiari.L’esistenza delle diadi non è una scoperta nuova, ma venivano però considerate come forme anomale e incomplete di famiglia. L’analisi attuale invece riconosce la loro autonomia strutturale come unità minima della parentela e della società.La problematica più interessante è data dalla diade madre e figli: vi sono infatti società dove questa unità sociale diventa permanente con la donna a capo del gruppo mentre il padre-genitore si assenta per abbandono, divorzio, migrazione temporanea o permanente, lasciando la madre sola con i figli.La consistenza delle diadi come gruppi minimi è fragile e delicata. Il rafforzarle, facendole parti di gruppi più ampi, rientra nell’interesse dei singoli individui e della società da qui l’esigenza di fare nascere la famiglia nucleare, che è la prima forma di raggruppamento che va oltre al limite duale.

famiglia estesa (composta/congiunta): è una precisa unità sociale formata da più famiglie nucleari, ci possono essere una o più abitazioni, di al massimo 3 generazioni (no lignaggi!), con in comune l’attività economica, i diritti di proprietà e di successione, l’esercizio di attività religiose e magiche.

famiglia poliginica : si articola sulla pluralità delle mogli. Ogni moglie forma una diade distinta con il marito e una diade autonoma con i figli. Il rapporto tra le varie diadi marito-mogli normalmente è gerarchico: la prima moglie ha una posizione di privilegio. La struttura della famiglia poliginica risponde ad esigenze sociali ma anche economiche: il prestigio che l’uomo ottiene con più mogli è fonte di autorità e di potere nella società, ma costituisce anche esibizione e mezzo di ricchezza. Alla donna infatti spetta il lavoro dei campi, quindi più mogli importano più raccolti (un esempio è anche il caso particolare dei Lele dello Zaire della moglie del villaggio o “ngalababola”, che costituisce una diade unitaria con i figli dati da vari mariti del villaggio!).

famiglia poliandrica : si articola sulla pluralità dei mariti. Nel caso del Nayar dell’India i mariti sono anche fratelli e hanno in comune la residenza e sono tra loro economicamente collegati ma tendono a separarsi per creare la loro famiglia nucleare non appena le condizioni economiche glielo permettano.

41

Clan e lignaggio La parola Clan è di origine scozzese e significa letteralmente parentela. Nel gergo antropologico per

clan s’intende “un gruppo di persone discendenti da uno stesso capostipite mitico o fittizio”. La discendenza comune è caratteristica principale del clan, ma molto spesso è una realtà presupposta, non dimostrabile storicamente, si perde nella notte dei tempi, e nei racconti mitologici delle origini del clan la sua nascita avviene contemporaneamente alla nascita di un animale o in connessione con un albero, il sole o la luna. Ogni animale, albero o altro essere miticamente in rapporto con il clan, è detto totem e viene considerato come il capostipite del clan, viene rispettato secondo norme precise tra le quali c’è la proibizione di ucciderlo per tutti i membri del clan. Totemismo è la dottrina che studia tutte le concezioni connesse al totem. La profondità temporale del clan è massima, va al di là della storia, ma è sempre assai vaga. Cosi gli antropologi hanno sentito l’esigenza di precisare il suo significato introducendo il concetto di lignaggio, come segmento storico e preciso del clan.

Il Lignaggio è “un gruppo di persone discendenti da uno stesso antenato il cui vincolo di discendenza è genealogicamente dimostrato e non presupposto miticamente”. La profondità del lignaggio può variare ma abbraccia un numero limitato di generazioni. Si distinguono in lignaggi massimi, minimi, minori e segmenti di lignaggio e svolgono funzioni strutturali ben precise a livello territoriale, religioso e politico specialmente nelle società acefale, cioè senza capi.

In molte società i clan e i lignaggi fanno parte di raggruppamenti maggiori della parentela, che si dicono fratrie. Quando le fratrie sono soltanto due e distinguono la società in due parti, si dicono metà.La problematica antropologica della parentela si incentra sulla formazione, la funzione e la finalità di questi gruppi di parentela. Secondo molti studiosi la formazione di questi gruppi si basa sulla discendenza: i gruppi sono cioè costituiti da consanguinei e la loro funzione è quella di reclutare altri membri attraverso il matrimonio, assicurandone così la continuità.La discendenza all’interno del gruppo porta alla formazione di veri e propri sistemi, da cui dipendono le strutture dei gruppi stessi e il comportamento dei membri dei gruppi:

- Sistemi di discendenza unilineari se determinano la discendenza secondo la linea del padre oppure secondo la linea materna. Di conseguenza anche la proprietà, l’eredità, la successione sono regolate secondo la linea privilegiata, paterna o materna.

a) Sistemi patrilineari l’ordinamento interno del gruppo ruota attorno alla figura del padre. Generalmente l’anzianità e la primogenitura acquistano rilievo. La posizione della donna è marginale e può mantenere l’appartenenza al suo gruppo originario oppure perderla per fare parte a tutti gli effetti del gruppo dentro cui si sposa;

b) Sistemi matrilineari la posizione del padre diventa marginale e acquista rilievo massimo il fratello della madre, cioè lo zio materno.

- Sistemi di parentela bilineari tengono conto della discendenza tanto nella linea paterna quanto in quella materna. L’esistenza di questi sistemi dimostra che il sistema patrilineare e quello matrilineare non si escludono a vicenda ma possono essere valorizzati per scopi diversi: tra gli Yako della Nigeria si dice che “un uomo mangia nel suo patri-clan e eredita nel suo matri-clan”, cioè la proprietà dei beni mobili è patrilineare, quella degli immobili è matrilineare.

Gruppi cognatici, parentadoI gruppi unilineari e bilineari hanno il vantaggio di definire con chiarezza l’appartenenza di un individuo ad un gruppo di parentela.Nei sistemi di discendenza cognatica le linee di discendenza si sovrappongono l’una all’altra perché uno può appartenere a tanti lignaggi quanti sono i suoi antenati. Gli scopi di sistemi cognatici sono soprattutto cerimoniali e economici, mai residenziali.I gruppi cognatici si dividono in:

42

1- non ristretti quando prendono tutti i membri di uno stesso antenato;2- ristretti quando comprendono solo i membri che adempiono a particolari condizioni;3- praticamente ristretti quando teoricamente tutti i discendenti di uno stesso antenato possono essere

membri di tutti i gruppi, ma in pratica devono limitarsi alla scelta di un solo gruppo, immutabile.Il parentado non è un gruppo di discendenza. La sua costituzione infatti non ha rapporto con un antenato, ma è un gruppo personale che si configura attorno ad una persona individuale, ad un ego preciso. Poiché il centro del parentado è ego, esso cessa con la morte dell’individuo ego. Gli scopi per cui il parentado si struttura sono socio-economici: per aiuto reciproco, per il pagamento del prezzo del sangue, per regolare i matrimoni.

4. SISTEMI DI TERMINOLOGIAServono per comprendere il significato della parentela.Morgan fu il primo a distinguere i sistemi classificatori (ci si serve di un solo termine per indicare una classe di persone) e descrittivi.Radcliffle-Brown nei suoi studi con gli australiani ha formulato 3 principi che starebbero alla base dei sistemi classificatori:

I) Equivalenza dei fratelli: un uomo è sempre classificato con suo fratello, una donna con sua sorella, allora il fratello di mio padre (zio) è per me padre, e la sorella di mia madre (zia) è per me madre;

II) Equivalenza degli affini: cioè dei parenti acquisiti dal matrimonio con i consanguinei: la moglie di un uomo che chiamo “padre” è per me madre e viceversa;

III) Limite della classificazione: la classificazione di più persone con un termine unico si estende a un solo gruppo determinato, come ad esempio un clan. Per gli australiani, invece, è illimitato.

La classificazione dei termini è uno strumento per definire con esattezza il comportamento, anche se ha un valore relativo. In ogni caso l’uomo vale più della norma, quindi la norma di riadatta, si modifica per rispondere a delle situazioni particolari.L’analisi antropologica si è rivolta soprattutto alla problematica della classificazione dei cugini paralleli e incrociati:

- cugini paralleli i figli di fratelli e i figli di sorelle;

- cugini incrociati i figli di fratello e sorella.Nelle società dove la distinzione ha valore strutturale, i cugini paralleli si considerano e si chiamano come i fratelli germani e tra loro non è permesso il matrimonio. Tra i cugini incrociati, in genere, il matrimonio è consentito.

La classificazione dei sistemiMurdock, comparando i dati comparativi di ben 862 società, ha elencato 8 tipi di sistemi di terminologia della parentela:

1) Misto: è un sistema atipico, es. Ba-Mbuti in Zaire e eschimesi Caribou;2) Descrittivo: caratterizzato dall’uso di termini esplicativi e composti per descrivere i cugini primi;3) Sudanese: (simile al descrittivo) tra alcune popolazioni del Kenya e Etiopia, caratterizzato dall’uso

di termini propri per ogni parente, senza alcun tentativo di raggruppamento in categorie;4) Hawaiano: a livello di una stessa generazione tutti i parenti di un sesso sono classificati con lo

stesso termine, così facendo si favorisce la famiglia estesa piuttosto che quella nucleare;

43

5) Eschimese: la famiglia nucleare ha l’evidenza massima (sistema della famiglia nucleare). Al di fuori di questo gruppo elementare gli altri parenti vengono classificati in maniera generica e indistinta. Corrisponde al nostro sistema italiano e ai sistemi europei;

6) Irochese: distingue non solo le generazioni ed il sesso, ma anche le linee parallele e quelle incrociate (sistema di cugini paralleli). La chiave del sistema irochese si trova nel matrimonio per scambio diretto di sorelle;

7) Crow: non si preoccupa della distinzioni tra le generazioni, ma vuole mantenere intatto e dar rilievo al gruppo lineare di discendenza, rispettando anche la distinzione delle linee parallele. È caratteristico delle società matrilineari, lo zio materno MB è il capo del matrilignaggio.

8) Omaha: è la contropartita patrilineare del sistema Crow (sistema del patrilignaggio).Questi 2 ultimi sistemi si può dire che stanno a cavallo tra i sistemi semplici e quelli composti, anche se comunque tutti i sistemi descritti non rientrano in maniera assoluta né tra i sistemi semplici né tra quelli complessi.

9. L’ORDINAMENTO POLITICO

Due sono i temi fondamentali che lo studio antropologico dell’organizzazione politica deve affrontare:- L’ordine: riguarda le forme, le istituzioni e le strutture in cui la vita politica si svolge;

- Il diritto: analizza il valore delle norme che fondano e garantiscono l’ordine.Nel corso dei secoli vi è stato un constante approfondimento soprattutto del concetto di Stato come espressione massima dell’ordinamento politico, e la problematica del diritto ha portato a disquisire sullo spirito delle leggi, la natura del delitto, il fine e l’uso delle pene.L’antropologia sì è inserita tardivamente in questo ambito di studio così ricco, ma appunto perché lo studio antropologico si accostava a culture “altre” diverse dalle antiche società classiche, è divenuto subito importante, mettendo in luce culture e società profondamente diverse nelle istituzioni e negli ordinamenti politici e soprattutto in riferimento alle società “senza stato” si è imposto come nuovo orientamento di discussione sui temi principali della scienza politica.

1. I CLASSICI DELL’ANTROPOLOGIAMorgan è stato il primo studioso a considerare i gruppi di parentela non tanto come unità domestiche, ma quanto come basi della struttura politica (presupposto evoluzionista deterministico);Durkheim nella sua opera fondamentale della divisione del lavoro, conduce una ricerca filosofica sulla natura e classificazione del diritto (simbolo visivo della solidarietà sociale) e sul concetto di delitto. Distingue due tipi di sanzioni : sanzioni repressive, cioè il diritto penale, e sanzioni restitutive, cioè il diritto civile, commerciale, amministrativo e costituzionale. Mentre quest’ultimo tende a stabilire l’ordine, quello penale si limita a reprimere il delitto con la pena: nelle società primitive il diritto è esclusivamente penale. Il delitto è visto come un’offesa alla coscienza collettiva e ne determina una reazione che crea una maggiore coesione nella società;Radcliffe-Brown 5 sono gli elementi che rileva: 1territorio, 2 ordine, 3 organizzazione, 4 coercizione, 5 forza fisica. Rifiuta il concetto di Stato, in quanto entità al di sopra degli uomini e insiste soprattutto sul concetto di organizzazione come sistema complesso di relazioni individuali, dal quale risulta la comunità. È la comunità che ha una coscienza collettiva e compie azioni collettive valendosi della forza fisica per il mantenimento dell’ordine.Radcliffe-Brown vede anche nella guerra un elemento importante dell’ordinamento politico , perché porta all’esercizio organizzato della forza fisica;Malinowski alla base dell’organizzazione sociale si pone il principio della reciprocità, senza la quale nessuna comunità primitiva potrebbe esistere: gli ordinamenti politici dei selvaggi risultano dall’equilibrio di diverse, e talvolta opposte, esigenze. È quindi giusto osservare che, diversamente alle concezioni più diffuse,

44

il diritto civile (o il suo equivalente “primitivo”) è esattamente sviluppato e regola tutti gli aspetti dell’organizzazione sociale;Fortes e Evans-Pritchard a loro si deve il primo tentativo sistematico di una classificazione degli ordinamenti politici come risultato e sintesi delle ricerche antropologiche sul campo.Distinguono due gruppi di società: l’uno con autorità centralizzata, l’altro senza centralizzazione, introducendo per la prima volta nella storia della scienza politica il concetto della “società senza stato”.Dai loro studi la problematica dell’ordinamento politico viene posto in termini impegnativi, moltiplicando le ricerche su questo campo, fino all’imporsi dell’antropologia politica come ramo specializzato dell’antropologia culturale e sociale.

2. TIPOLOGIAPoiché la ricerca antropologica si è svolta prevalentemente in Africa, dai sistemi politici delle società africane derivano in gran parte i modelli di riferimento.Fortes e Evans-Pritchard propongono 3 tipi di sistemi politici:

1- Parentela: piccolissime società in cui le relazioni politiche coincidono con le relazioni di parentela, cioè la struttura politica equivale all’organizzazione di parentela (cacciatori-raccoglitori come i Pigmei, Boscimani,…);

2- Lignaggio: società nelle quali la struttura del lignaggio è la base del sistema politico. Il sistema politico e il lignaggio, pur restando tra loro distinti e autonomi, sono strettamente coordinati (Tallensi, Nuer,…);

3- Amministrazione: società in cui la struttura politica si basa su un’organizzazione amministrativa (Zulu, Bemba,…).

Lucy Mair in un libro di analisi sistematica sul governo primitivo (1962), descrive il concetto di stato come “un governo nel quale vi sia un monarca ereditario a capo di un popolo che gli riconosce un’autorità temporale e spirituale”. Distingue sotto due titoli la sua sintesi generale:

1) Governo senza stato 2) Stati africani

Ne distingue 3 tipi: governo minimo , in cui la comunità politica può essere piccolissima (come nelle bande di cacciatori),

oppure piccolo può essere il numero delle posizioni di leadership (come tra i Nuer), oppure ristretta può essere l’area di potere di colui che ha l’autorità (come il re dei Shilluk che ha potere religioso massimo, ma minimo politico);

governo diffuso , rappresentato dalle classi d’età, per cui tutta la popolazione adulta maschile partecipa in maniera uguale al dovere del servizio pubblico;

governo in espansione , in cui vi sono gruppi dominanti, legati alle strutture di parentela, ai quali si uniscono degli “stranieri”, gruppi di rifugiati che non troverebbero più stato nelle proprie società e che dipendono totalmente dalla protezione offerta dal signore.

Southall propone una classificazione dei sistemi politici basandosi sulle particolarità distintive della loro natura segmentaria e, partendo dal presupposto che la stessa attività politica sia segmentaria, distingue i tipi in 2 grandi gruppi:

- segmentario-piramidale, dove l’autorità centrale deriva da una delega consensuale (complementare) da parte delle unità componenti, senza che l’autorità diventi mai stabile;

- segmentario-gerarchico, dove l’autorità è data dal centro, con delega associazionale, de jure e de facto.

la tipologia di Southall valorizza l’apporto antropologico sulla natura segmentaria dell’attività politica e di dare alla classificazione una base unitaria.

45

3. IL CONCETTO DI TRIBÙL’uso del termine “Tribù” è molteplice, in contrasto con i concetti di Stato e Nazione. Il senso e l’interpretazione immediati sono vincolati dal contesto specifico, cioè non c’è un senso costante e univoco:

senso latino del termine tribù la “tribus” era una delle stirpi originali dei liberi cittadini romani; poi il termine indicò in generale la folla e le genti povere. Successivamente si impose il significato di stirpe, come un insieme di persone unite per parentela e discendenza e questo rimase il significato principale usato anche negli scritti umanistici fino alla fine del secolo scorso;

Gli esploratori, i missionari, i militari e gli amministratori coloniali lo utilizzarono poi per indicare ogni gruppo che apparisse distinto per lingua, per cultura e autonomia politica. L’uso si inserì nella concezione evoluzionista e divenne un termine negativo: l’organizzazione tribale si contrapponeva all’organizzazione civile o di stato;

Evans-Pritchard definisce la tribù come “il gruppo Massimo di popolazione che oltre a riconoscersi come comunità locale distinta, sostiene l’obbligo di concorrere alla guerra contro estranei e riconosce il diritto dei propri membri alla ricompensa per le offese”;

Gulliver, in un recente studio sulla trasformazione dell’Africa Orientale, ha passato in rassegna le varie definizioni antropologiche date al termine nei vari anni, giungendo ad una definizione moderna di tribù, come “un gruppo di popolazione distinto, da parte dei suoi membri e degli altri, sulla base di criteri culturali-regionali” (1969);

La parola tribalismo deriva da tribù e si usa per indicare un atteggiamento mentale e politico di conservazione e non di progresso, di arretratezza e di barbarie.

4. ORDINAMENTI POLITICI DI UGUAGLIANZA Cosa sono gli ordinamenti politici di uguaglianza?

Sono le società caratterizzate dalla condizione di fondamentale parità dei loro membri. Esiste una stratificazione sociale, ma non è ne stabile ne perpetua e il sistema tende costantemente con la sua azione dinamica ad annullare e vincere i tentativi di fare prevalere il potere di uno al confronto degli altri. L’unica autorità in certi ambiti può derivare da una delega da parte dei gruppi sociali.Tra i vari tipi di ordinamenti politici di uguaglianza, ci sono la banda dei cacciatori e raccoglitori, i sistemi a struttura di lignaggio e quelli a classi d’età.

La bandaLe comunità di cacciatori e raccoglitori meglio studiate sono attualmente i Pigmei Mbuti (Zaire) e i Boscimani !Kung della Namibia. Il tipo di vita e gli ordinamenti sociali dei due gruppi sono analoghi, ma si differenziano profondamente nell’ambiente in cui vivono: i Pigmei abitano nella foresta dove c’è abbondanza di acqua, frutti, selvaggina e miele, mentre i !Kung vivono in una steppa semidesertica, dove piove solo per tre mesi all’anno.

- La banda ha un suo territorio, tale da poter sostenere i membri della comunità, che raramente per tutti e due i gruppi, supera le 30 persone;

- L’organizzazione sociale è fondata essenzialmente sulla famiglia nucleare e sulla banda, che è formata da un insieme di famiglie;

- Tutti i membri della banda hanno diritti uguali. Anche la distinzione di sesso ha peso relativo, sia dal punto di vista politico che a livello economico (solo genericamente si può dire che la caccia appartiene agli uomini e la raccolta alle donne). Nella danza e nei riti la distinzione dei sessi è più rilevabile (ci sono danze fatte solo dagli uomini e danze solo dalle donne);

- Il bene supremo perseguito dall’autorità e dal potere è la distribuzione dei frutti della caccia (tra tutti i membri della banda) e della raccolta (all’interno di ogni singola famiglia);

- Politicamente, tra gli Mbuti, è il gruppo in quanto tale che ha autorità, soprattutto il gruppo d’età (ossia i coetanei) che, attraverso l’ostracismo (esilio), attenuano l’ingordigia o la prevalenza

46

eccessiva di un individuo. Tra i Boscimani, chi dimostra intelligenza e capacità è riconosciuto come leader, anche se non è il capo e comunque la comunità fa si che il suo potere non ecceda;

- Tra i Mbuti una figura interessante è il clown, in quanto si propone tra i due litiganti, non come arbitro, ma come clown e cioè svuotando con il ridicolo i motivi della disputa, facendo scaricare su di esso le tensioni del momento;

- Le trasgressioni più gravi, come l’incesto, sono punite con l’ostracismo. Il colpevole viene rifiutato da tutti e abbandonato nella foresta che è l’unica autorità superiore riconosciuta da tutti. Può anche ritornare nella banda, reinserendosi silenziosamente: significa che la foresta non l’aveva punito e la comunità non lo rifiutava più;

- La pena di morte è più una minaccia verbale che reale: i Mbuti evitano che il colpevole partecipi al rito per la protezione della foresta, in ogni caso si paga la riparazione o prezzo del sangue. Tra i !Kung si pratica l’infanticidio per limitare il numero della banda.

Al di là di questi esempi, l’autorità politica è del gruppo e l’individualizzazione è un’azione che non è mai accettata.

La struttura del lignaggioAlcune bande di cacciatori e raccoglitori (Aborigeni australiani, Tallensi, Nuer) si presentano anche con una struttura di parentela più vasta di quella della famiglia nucleare, dove il lignaggio rappresenta la base delle alleanze politiche che sono prima di tutto alleanze di matrimonio. Il significato politico del lignaggio deriva dalla discendenza dal primo antenato che è anche il primo occupante del territorio. L’appartenenza pertanto alla parentela costituisce il titolo giuridico per la partecipazione all’attività politica. La distribuzione territoriale dei membri di un lignaggio non è rigidamente legata al territorio originario, ma ci sono meccanismi per ottenere il consenso per stabilirsi nel territorio del lignaggio, come la residenza matrimoniale, l’ospitalità, l’adozione. Il lignaggio originario, quello cioè il cui antenato fu il primo occupante del territorio, diventa il lignaggio autentico, puro e dominante.I sistemi di lignaggio come base della struttura politica è abbastanza diffuso. Tra le popolazioni più studiate ci sono i Tallensi e i Nuer.I Nuer sono popoli pastori, dediti in scala minore anche all’agricoltura e alla pesca e dipendono dalla stagione delle piogge che restringe l’attività pastorizia. I Tallensi, invece, sono principalmente agricoltori ma allevano anche bestiame di piccola e grossa taglia Questo ci fa capire come la struttura del lignaggio non determini anche l’attività tecnica ed economica delle bande.Tra i Tallensi il legame di parentela è l’unica base strutturale dell’attività politica. Tra i Nuer, oltre alla parentela, ha valore l’appartenenza alle classi d’età. Tallensi il lignaggio ha una precisa relazione con un antenato e porta necessariamente a fare del culto degli antenati una manifestazione tipica dell’ordinamento politico. Il santuario del primo antenato rappresenta il centro dei “Tali veri” (cioè il nucleo della popolazione attorno alle colline Tonga, dove si sono insediati i primi Tallensi) e sono obbligatori i pellegrinaggi di tutti i Tallensi, per assicurarsi la fertilità dei campi e delle donne.La società tallense è patrilineare: il padre, discendente diretto dell’antenato, ha l’autorità e il potere. I suoi figli sposati sono sempre soggetti al padre politicamente, religiosamente, economicamente e sono considerati minori fino alla sua morte.Insieme, i capi lignaggio formano il consiglio degli anziani, che ha anche il compito dell’amministrazione della giustizia. Purtroppo l’intervento coloniale ha segnato profondamente questi equilibri, dando troppe ricchezze ai capi lignaggio e creando grosse disuguaglianze.Nuer nel loro sistema la distinzione d’età e di generazione viene codificata nelle classi d’età. Con l’iniziazione tutti diventano membri di una classe d’età e partecipano all’attività che a questa compete. I membri di una classe d’età sono uguali, mentre diverse sono le funzioni delle singole classi. Le classi anziane, e quindi i loro membri, hanno più peso delle classi giovani.

47

Tra i Nuer ognuno si fa giustizia immediatamente da sé, tanto che le faide tra individui di uno stesso lignaggio sono frequenti (Evans-Pritchard parla di anarchia ordinata).Tutti o parte dei lignaggi, si uniscono nella guerra contro i Dinka, popolazione confinante con cui i Nuer che dividono periodi di pace e scambio e periodi di dure lotte.Il colonialismo non ha alterato il sistema Nuer, ma ci sono comunque personalità singolari ai quali si riconosce un’autorità rituale, come il capo della pelle di leopardo, che può facilmente anche svolgere attività politiche, come concordare tra i parenti il prezzo del sangue per purificare chi si è reso colpevole di omicidio.Le classi d’etàÈ necessario prima distinguere il concetto di classe d’età e quello di gradi o gruppi d’età:

Gradi o gruppi d’età sono l’infanzia, l’adolescenza, la giovinezza, fino alla vecchiaia. Si riscontrano più o meno in tutte le società, con termini equivalenti;Classi d’età presentano una connotazione precisa, istituzionalizzata. Il loro significato è strutturale, non si trovano in tutte le società, ma costituiscono un tipo singolare e distinto di struttura sociale e politica.Il sistema delle classi d’età può variare per la diversa efficacia strutturale,ma anche per il meccanismo con cui si formano: per esempio i tra i Nuer sono complementari al sistema del lignaggio, mentre tra i Masai sono l’unica base strutturale dell’ordinamento politico.

Esistono 2 tipi di classi d’età: Classe d’età lineare : tutti i giovani di una stessa età vengono iniziati durante un periodo unico e

formano una sola classe. Le classi costituiscono un indice esatto per stabilire l’età sociale o l’anzianità di ogni membro della società, con autorità e poteri corrispondenti. Le classi sono sempre nuove, con membri e denominazioni diverse e si succedono in maniera lineare, cioè allineando i propri membri in un ordine successivo e preciso. La chiarezza e la semplicità del tipo lineare sono utili per facilitare il rapporto politico e unitario di tutti i membri di una società, si presta meglio a rispettare l’uguaglianza sociale e politica.

Classe d’età ciclica : la partecipazione ad una classe è aperta soltanto ai figli dei membri della classe che, al momento dell’iniziazione, si trova in una determinata posizione d’autorità e potere. I nomi delle classi sono pochi e ritornano ritmicamente. Il tempo dell’iniziazione dei candidati, più che in rapporto all’età, è determinato dalla condizione temporanea della classe del padre: di conseguenza non tutti i coetanei sono iniziati insieme, ma può avvenire che nello stesso periodo vengano iniziati giovanissimi e persone adulte e anche anziane!

Qual è il significato di fondo delle classi d’età?Le classi d’età, come istituzione politica, rappresentano un tentativo efficace di armonizzazione per superare i principi contraddittori dell’essere umano, cioè la disuguaglianza di natura (anche tra 2 gemelli) è l’uguaglianza della condizione umana! Per cui si riconosce sia la diversità relativa all’età, ma anche il diritto di tutti a partecipare ugualmente al governo politico.

I sistemi più noti e meglio studiati sono quelli di alcune popolazioni dell’Africa orientale. I Masai presentano un modello lineare tipico, mentre tra le popolazioni dell’Etiopia, i Konso e i Galla, si ritrova il modello più complesso, del tipo ciclico.

Sistema lineare dei Masai Tra i più noti, grazie alle ricerche di Jacobs, tra i Masai pastori , e di Gulliver tra i Masai agricoltori . I Masai pastori si considerano “puri” e guardano con disdegno a quanti si sono dati all’agricoltura, come i Masai Arusha. Ma nonostante questo etnocentrismo, l’ingranaggio tipico delle classi d’età tende a preservare la parità dei diritti dei membri di ogni classe.La classe d’età non è un raggruppamento prestabilito dove si entra per nascita o per la quale uno viene inserito in una stratificazione sociale permanente, ma la classe d’età si forma per “nascita sociale”, cioè attraverso le iniziazioni: ci entrano tutti i coetanei senza distinzione di parentela. Con questo sistema si

48

consente a tutti i membri della società, in successione di tempo e con la formazione di nuove classi, di raggiungere ogni grado di autorità e di potere.Nel caso dei Masai, bisogna distinguere 4 elementi:

a) Il rapporto tra la distribuzione territoriale e la formazione delle classi d’età;b) L’organizzazione dei villaggi dei “guerrieri” o giovani iniziati;c) La relazione ol piron;d) La figura e la funzione dei laibon e degli ufficiali.

a) Distribuzione territoriale e la formazione delle classi d’età Il motore propellente delle classi d’età sono le iniziazioni. La celebrazione dell’iniziazione non viene fatta in un’unica cerimonia per tutti i Masai, ma ha luogo in ogni villaggio dove ci siano uno o più candidati. Questa si protrae nel tempo e nei vari villaggi finché non sia dichiarato chiuso il periodo dell’iniziazione.I giovani iniziati nello stesso periodo costituiscono una unità che assume un nome proprio, in genere questi nomi si differenziano da distretto a distretto, e vivono in un villaggio unico, distinto dai villaggi comuni dove risiedono gli uomini sposati con le loro famiglie.All’unità distrettuale del territorio corrisponde così l’unità dei guerrieri (o iniziandi). Il gruppo dei guerrieri è formato da due scaglioni, il destro che raggruppa il primo scaglione di iniziati, e il sinistro, formato dall’ultimo scaglione. Trascorsi 15 anni dal primo avvio del processo iniziatico, i due scaglioni dei guerrieri, sotto la pressione dei candidati all’iniziazione successiva impazienti del loro turno, si fondono insieme e formano una classe unica d’età, con un nuovo nome scelto da tutti e divulgato in tutto il territorio.Con la costituzione finale della classe, i guerrieri cessano di essere tali e, in quanto classe, la loro attività diventerà prettamente sociale: possono cioè sposarsi e occuparsi esclusivamente dell’allevamento del bestiame.

b) Il villaggio dei “guerrieri” La costruzione di un villaggio per i giovani iniziati è materia di discussione e consenso degli anziani, che decidono se i giovani sono pronti per vivere insieme e iniziare il loro percorso iniziatico.Il villaggio è riservato solo ai giovani guerrieri, però ognuno potrà portare la madre per la costruzione materiale della propria casa, potrà valersi dell’aiuto della sorella, non ancora sposata, per mungere il latte e del fratello minore, incirconciso, per badare al bestiame avuto dal padre per vivere nel villaggio. Al padre o ai fratelli anziani è strettamente proibito vivere nel villaggio: solo alcuni anziani piron possono risiedervi perché hanno il compito di controllare che tutto si svolga secondo la tradizione.L’organizzazione interna del villaggio riflette l’organizzazione della parentela, cioè vengono distribuite le abitazioni secondo l’appartenenza del clan.Il sistema “manyata”, cioè dei villaggi guerrieri, è rimasto stabile nei territori Masai nonostante i 60 anni di dominio coloniale, perché la sua funzione principale è quella di provvedere all’educazione tribale e sociale dei giovani, e superare le divisioni e distinzioni di parentela.

c) La relazione ol piron Le classi d’età contemporaneamente presenti nella società Masai possono salire al massimo a sei, ma i rappresentanti delle ultime tre classi sono pochi e la loro presenza ha valore simbolico e sacro.A tutti gli effetti possiamo calcolare a 4 le classi d’età pienamente rappresentate in uno stesso periodo, quindi A B C D. Tra le classi alternate, cioè tra A e C e tra B e D, esiste una relazione detta ol piron:

questa parola si riferisce letteralmente ad un bastone usato in varie circostanze cerimoniali, ma viene applicata agli anziani della classe alternata superiore. Sono questi i “padrini”, cioè gli anziani che presentano ufficialmente i candidati all’iniziazione e assumono la responsabilità della loro educazione tribale e sociale (si tratta di una relazione che i Masai rispettano profondamente e alla quale attribuiscono valore mitologico).

La relazione ol piron non è solo cerimoniale e sociale, ma anche politica: la classe C è infatti quella che detiene il potere politico mentre la A matura la sua formazione di classe e tutti i suoi membri devono obbedire ai membri della classe C finché non finisce l’iniziazione.

49

In definitiva il quadro della distribuzione delle autorità e dei poteri è il seguente: alla classe A, cioè quella degli ultimi iniziati (distinti tra scaglione di destra e di sinistra),

appartiene il potere delle armi; alla classe B compete il diritto di attendere alla famiglia e all’allevamento (potere sociale); alla classe C spetta l’autorità e il potere politico che si esprime nel diritto di esigere

l’obbedienza da tutti e di controllare l’attività militare dei guerrieri (classe A); alla classe D, cioè ai pochi sopravvissuti alle altre classi, appartengono la dignità e il potere

religioso.d) Il laibon e altri dignitari

Nella storia dei Masai ha avuto una certa importanza l’azione di alcuni “maghi professionisti” e esperti rituali, detti appunto laibon. Un laibon che sappia valersi della sua fama di mago-medico, può influire sull’opinione degli anziani i quali difficilmente arrivano ad una decisione senza almeno consultarlo. In generale però questa figura non ha quasi mai importanza politica.Vi sono poi gli “ol aunoni”, sono delle guide spirituali presenti in ogni classe; hanno un compito sacro come consiglieri che indicano a tutti la strada e garantiscono che la classe risponda all’autentica tradizione Masai. Sono scelti dagli anziani “ol piron” e la loro funzione cessa quando le varie unità distrettuali formano una singola classe.Mentre gli “ol aigwenani” sono i portavoce dei gruppi, non è necessario che sia un aristocratico (cioè può essere anche un Masai non puro!), è sufficiente che sia un buon parlatore e un abile leader.

5. I CONSIGLISi intende un convegno di persone scelte in base a certi criteri determinati dalla società, cui partecipa una categoria limitata di individui, che ha luogo in una sede comune e con uno scopo di discussione e decisionale secondo delle convenzioni prestabilite.In ogni società vi sono vari tipi di consigli, a seconda della struttura sociale, sia in quelli di lignaggio che nelle classi d’età e nelle società complesse. Il consiglio può anche assumere una funzione e una capacità giudiziale trasformandosi così in tribunale.Ad esempio tra i Masai c’è un consiglio per ogni classe d’età , anche se solo il consiglio della terza classe (C!) ha potere politico/decisionale.

6. ORDINAMENTI POLITICI DELLE DISUGUAGLIANZETali ordinamenti accentuano e radicalizzano le differenze inerenti la natura umana.Si parla di ordinamenti politici delle disuguaglianze per le società centralizzate, caratterizzate da:

- Un emergere di individui o clan dominanti che accentrano su di sé il potere politico e religioso;

- Una stratificazione sociale;

- Delle capacità individuali che, anche se messe al servizio della collettività, valgono per affermare il prestigio del singolo e per conquistare delle posizioni di potere. l’individuo investito dal successo diventa un grande = BIG MAN!

La dinastiaÈ un lignaggio (gruppo di parentela) che accentra in modo costante il potere, soprattutto politico e quindi traduce l’autenticità della discendenza dal primo antenato in termini di potere politico in relazione ai discendenti dello stesso antenato.

50

Il capo della dinastia è il rappresentante vivente dell’antenato, talvolta al punto di essere identificato con lui! Questa posizione singolare viene sfruttata politicamente per accentrare nelle sue mani tutto il potere.Capi e re. Il re divino

- CAPO: nozione generica che si riferisce a chiunque eserciti un’autorità, qualunque sia il titolo del suo diritto. Ad esempio il padre è il capo di una famiglia in un sistema patrilineare.Dove il capo è al vertice di un gruppo di parentela, la sua autorità ha un carattere mistico che gli deriva dal suo rapporto di discendenza con il primo antenato, questa è una caratteristica anche del re (divino), ma diversa perché l’autorità del capo ha un limite: cioè che si esaurisce nella sua persona e nella capacità con la quale controlla il proprio territorio, mentre il

- RE: ha un’autorità che va oltre la sua persona fisica e il suo raggio di controllo personale. Non solo è considerato il rappresentante vivente dell’antenato (come capo della parentela o della dinastia), ma riassume in sé la totalità del potere e si pone come fonte unica di autorità che si estende a tutti i distretti del territorio, che diventa il suo regno. Chiunque possiede un’autorità nell’interno del regno, la deriva dal re.

“REGALITÀ CIRCOLANTE”: quando la carica del re non è appannaggio di un clan dominante o di un solo lignaggio, ma segue un sistema di rotazione da un lignaggio all’altro, da un territorio all’altro.Es.: Tra gli Anuak (Sud Sudan) avveniva un passaggio di insegne regali in maniera non pacifica, bisognava conquistarsele; oppure tra i Shilluk, quando il re mostrava segni di vecchiaia (debolezza, sterilità,…) veniva sepolto vivo, anche se in pratica veniva prima ucciso, per essere sostituito con un re più vigoroso, che garantisse, in tal modo, il benessere continuo del popolo.

Lo StatoÈ una forma organizzativa di una società caratterizzata da:

1- L’esistenza di un’organizzazione politica articolata;2- La pluralità di elementi componenti, sociali e territoriali;3- Un potere politico centralizzato;4- L’unificazione delle varie componenti in un’unica entità politica.

Si distinguono vari tipi di stato:I) Stato amministrativo/burocratico:

es. antico regno d’Uganda, esso si basava su una struttura gerarchica di uffici e carichi sui quali sovrastava il re (= Kabaka), ce ne furono 34 prima dell’arrivo degli inglesi. Il re era assistito da un consiglio allargato (= Lukikiro), composto da funzionari di corte più i capi distrettuali e presieduto dal più alto funzionario di corte (= Katikiro, una specie di primo Ministro), nominato dal re. Inoltre era assistito da un consiglio ristretto, formato dal Katikiro e il Kimbugwe (un altro dignitario con funzioni sacre, sempre nominato dal re).Gli stati amministrativi necessitano un continuo controllo ed il sovrano deve far sentire la sua autorità;

II) Stato stratificato:sono stati sorti per conquista e con l’imposizione del dominio politico alle etnie autoctone o già insediate. La stratificazione etnica implica la diversificazione o ineguaglianza sociale e politica, cioè vige un rapporto di superiore-inferiore.Es. quasi tutte le monarchie interlacustri dell’Africa (Lago Vittoria) come in Burundi dove l’etnia dominante ha portato, con la sua eccessiva detenzione del potere (politico ed economico) alla guerra civile del Paese.

III) Stato matrilineare:si tratta di un ordinamento fondato su un sistema di discendenza matrilineare la posizione della donna (regina-madre) è di sommo rispetto e di distinzione, anche se il potere resta in mano agli uomini.

Es. Bemba in Zambia e Ashanti in Ghana: in entrambi i casi c’è discriminazione matrilineare, anche se comunque la donna viene rispettata.

51

7. L’ORDINAMENTO POLITICO E L’INDIVIDUOL’antropologia afferma che lo scopo degli ordinamenti politici non è solo la continuità del gruppo, bensì anche il benessere del singolo, in chiave antropologica significa:1°) condizionare la situazione ambientale,2°) disporre le relazioni umane e3°) ordinare le istituzioni sociali in modo che ogni membro della società trovi in maniera soddisfacente il modo di sopravvivere, operare e svilupparsi.L’uomo resta al centro dell’attenzione antropologica, perché la sua azione costituisce la radice capillare di ogni attività culturale, compresa quella politica.

Qual è la posizione del singolo individuo nell’ambito dei vari ordinamenti politici ? Ogni ordinamento politico è di per sé restrittivo per la libertà del singolo (paradosso!) perché limitano l’esercizio della libertà stessa, anche se in modi diversi, come ad esempio i gruppi acefali (senza capo) dei Pigmei, che sembrano lasciare il massimo adito alle possibilità individuali per l’analisi di ciò e bisogna porsi in diversi contesti possibili: Contesto tecnologico: la posizione dell’individuo è quasi sempre condizionata e limitata da una

situazione di arretratezza, se non di stasi tecnica. Per vincere questa situazione paralizzante vi sono le figure degli “EROI CULTURALI”, cioè degli individui che hanno superato questa situazione paralizzante grazie alla loro forza vitale intesa in tutto il suo senso di intelligenza e di azione;

Contesto sociale: inteso come partecipazione alla vita attiva del gruppo attraverso il matrimonio e la parentela, consente uno sviluppo delle attività individuali non differenzianti;

Contesto politico-economico: l’individuo ha la possibilità massima di partecipazione attiva alla vita del gruppo. Vanno distinte le società:

- Acefale : il singolo individuo ha la piena occasione di mostrare le sue abilità e le possibilità che ciò gli sia riconosciuto fino a dargli una posizione di prestigio e potere molto alte;

- Centralizzate : i consigli sono i luoghi classici delle manifestazioni individuali, ma in essi, i singoli, pur potendo trarne prestigio, non potranno andare oltre un certo limite imposto dalla gelosia del capo.

Da questi 2 elementi, cioè se alla dimostrazione della capacità politica il singolo individuo unisce il successo economico, allora il suo prestigio e la sua influenza politica si accrescono al massimo e nasce il BIG MAN!Es. in Nuova Guinea il Big Man è uno status, oggetto di mira da parte degli uomini ambiziosi sottolineato e riconosciuto in molti modi dal costume.Il termine locale (wue nyim) non può essere tradotto né con “uomo ricco” perché non è la ricchezza che importa, ma la sua esibizione; e né come “capo” perché non comanda su un gruppo.

Quali sono gli aspetti negativi della posizione dell’individuo nell’organizzazione politica? Nelle società centralizzate la posizione dell’individuo è alienata: al singolo non è consentito di esprimere le proprie capacità per il proprio benessere perché c’è una forma di struttura in cui i singoli sono subordinati ai capi intermedi e questi al capo supremo.Le attività del singolo sono assorbite e sfruttate come un servizio dovuto per il prestigio e il potere del capo. La forma estrema di questa situazione è la schiavitù e nel sistema della monarchia assoluta.

8. IL RICORSO ALLA VIOLENZA: LOTTE E GUERRE Da che cosa dipende l’equilibrio interno di un ordinamento politico?

Dipende dal rapporto tra i vari etnemi che lo compongono (bande, lignaggio, stato,…).I principi conflittuali che animano questo rapporto danno luogo spesso a manifestazioni di lotta e violenza.

52

Le ragioni del conflitto possono essere:- Tensioni personali, cioè ambizioni individuali, ricerca del prestigio;

- Crescente densità demografica, e quindi un’insufficienza di energia a livello di gruppo.Mezzi e Istituzioni liberatori di queste tensioni:

1- Riti: come il rovesciamento dei ruoli, ad esempio il re che appare nudo davanti i sudditi che possono insultarlo liberamente nella festa annuale del raccolto tra gli Swazi con lo scopo di eludere le forze avverse che potrebbero diminuire la capacità fecondativa del re, oppure tra gli Zulu quando le donne prendono dei comportamenti da maschi,…;

2- Segmentazione dei gruppi di parentela: non solo è una parte dinamica di formazione dei gruppi di parentela, ma serve anche ad allentare le pressioni politiche;

3- Lotte: sono dei duelli individuali, che prima di essere esplosioni di violenza, sono degli esercizi competitivi tra i singoli individui. Ad es. gli Yanomamo praticano i duelli a pugni, organizzano delle feste di lotte per evitare un livello più serio di violenza e viene così solidificata la solidarietà tra i villaggi e l’interdipendenza (oppure anche i Moche …);

4- Razzie: spedizioni di violenza collettiva organizzata, non è un’occupazione di un territorio, ma un “rubare” bestiame, donne, bottino, …, sono delle dimostrazioni giovanili, delle scorrerie per rappresaglia;

5- Faida: condizione “istituzionalizzata” di violenza, è un’inimicizia che oppone 2 gruppi, generalmente di parentela, segnata da una catena di delitti e riparazioni. Ad esempio un delitto che esige riparazione con l’equivalente di bestiame o al prezzo del sangue.

In ambito politico:- Ribellione: è una forma di ricorso alla violenza in cui ci si propone il cambiamento delle persone

che occupano una carica politica, ma senza intaccare il sistema. È succeduta da una crisi;- Rivoluzione: è una forma di ricorso alla violenza per mutare il sistema;

- Guerra: è la forma più grave di violenza, con vari tipi di cause: mire espansionistiche, rottura dell’equilibrio ecologico o economico, pressione demografica, …

Oggi, come ieri, è vano parlare di pace se non si accettano con chiarezza le cause del malessere sociale tra i popoli e non si affrontano con intelligenza e determinazione tempestiva i molti problemi che minacciano la vita e la libertà.Il superamento dei dislivelli di sviluppo tra i popoli, il contenimento razionale dell’espansione demografica, il controllo degli armamenti, la ricchezza e la valorizzazione equilibrata delle fonti di energia, la costanza nella collaborazione internazionale, sono condizioni fondamentali perché gli ordinamenti sociali e politici, nella varietà delle forme e delle soluzioni, assicurino all’uomo la possibilità serena di vita.

10. L’ETNEMA ECONOMICO

1. PREMESSALa ricerca antropologica si propone di esaminare in quali modi e con quali conseguenze l’attività economica si riflette sul comportamento dell’individuo come membro della società e come è condizionata dalla situazione ecologica e dalle condizioni del tempo.Dei 4 fattori della cultura, quello con cui l’attività economica è in più diretto rapporto è l’OIKOS (ambiente).L’attività economica si svolge attorno a 2 oggetti fondamentali:

i) Cose materiali , cioè cosa serve all’uomo per vivere;ii) Valore che l’uomo attribuisce a queste cose materiali , mentre se ne serve (anche per aspetti non

materiali).

53

Mezzi

Istituzioni

Questi 2 oggetti si fondano in un unicum economico nella valutazione dell’uomo.Qui risulta importante il concetto di “Cultura Materiale”: nelle cose materiali non è mai la materialità della cosa stessa cha ha importanza, ma la considerazione che l’uomo attribuisce loro in qualunque momento della sua storia.Un altro concetto importante nell’attività economica è la rarità. L’uomo ha molti bisogni. Più o meno disponibili. Alcuni sono continui e si ripropongono incessantemente. Tale bisogno è l’alimentazione, che tocca sia il gruppo che il singolo. Il cibo, però, è un bene economico fluttuante, cioè dipende dai ritmi stagionali ed è quindi condizionato dall’ambiente. Vi sono dei tempi di grassa e di magra!L’approccio antropologico considera i fatti economici non solo come prettamente economici, ma anche come una realtà umana e culturale, dell’individuo (antropos) e del gruppo (ethnos), e precisa i seguenti punti:

1) L’economia consiste nell’uso razionale dei mezzi di sussistenza, beni materiali o attività umane;2) I mezzi di sussistenza sono scarsi e il loro uso importa scelte di preferenza secondo obiettivi specifici;3) L’insieme di tali scelte risulta articolato in modo sistematico e dà luogo all’organizzazione economica,

cioè al sistema economico;4) Lo scopo dell’antropologia economica è quello di individuare i rapporti dell’organizzazione

economica in rapporto al complesso della struttura sociale.

2. DAGLI STORICI, EVOLUZIONISTI E CULTURALI, AI FUNZIONALISTILa PROSPETTIVA EVOLUZIONISTA considerava i primitivi a livelli culturali estremamente bassi, di poco superiore a quelli dei primati. La problematica principale era quella dell’ Origine . La divisione del lavoro per sesso, la proprietà, la tecnologia, ecc … erano studiati come aspetti del problema più generale delle origini della cultura e della società.La PROSPETTIVA STORICO-CULTURALE tenta di dare una valutazione economica sociale dei cicli culturali.In tutto questo periodo, in queste 2 prospettive, il tema centrale è l’esistenza di un’ECONOMIA NATURALE, cioè dipendente dalla natura più che dalla tecnica umana, ma con delle ricerche sul campo (Malinowski) si dimostrò che l’economia dei popoli “primitivi” era ben più complessa della presupposta economia naturale e andava oltre alla semplice tecnologia.La PROSPETTIVA FUNZIONALISTA (Mauss) rileva con forza quanto i primitivi siano lontani in materia di diritto e di economia dallo stato di natura, però considera l’attività economica come un sistema di prestazione totale che involge tutta l’attività sociale.La CORRENTE FORMALISTA (Firth) sostiene che l’antropologo deve tradurre le posizioni generali della teoria economica in termini che si possano applicare ai tipi particolari di società per giungere alla formulazione di una teoria generale del processo e struttura economica dei quali la teoria economica contemporanea è soltanto un caso speciale.La CORRENTE SOSTANTIVISTA sostiene che la realtà economica delle società primitive è radicalmente diversa e non si presta ad essere analizzata in modo oggettivo con in criteri della scienza economica.Le differenze tra queste 2 correnti sono che i formalisti ritengono che l’economia è la scienza che studia il comportamento umano come una relazione tra i fini e i mezzi rari che hanno usi alternativi, mentre i sostantivisti considerano la scienza economica come lo studio dei sistemi di produzione, distribuzione e consumo nel quadro integrante di tutti i rapporti sociali.Nella corrente SOSTANTIVISTA si possono rilevare all’interno 2 indirizzi particolari:

- Ecologico : esso accentua l’incidenza del fattore ecologico sui sistemi sociale ed economico. A parità di tecnologia, la varietà dell’ambiente modifica l’output del lavoro con delle conseguenze sugli etnemi organizzativi del gruppo;

- Dialettico : esso analizza i rapporti di produzione, distribuzione e consumo e i loro effetti sulla formazione delle classi (connesso a Marx).

54

3. “PRIMITIVI” E “CONTADINI”PRIMITIVI: è un termine che si afferma nel periodo evoluzionistico.Attributi:

- Comunalismo economico, cioè l’assenza dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo;

- Altissimo grado di integrazione tra la varie modalità della cultura;

- Non vi sono classi sociali;

- Il controllo dei mezzi di produzione e il lavoro umano è diretto e personale;

- Soddisfa i bisogni, non il profitto;

- Lo scambio è di equivalenza.CONTADINI: è un termine introdotto dall’antropologia economica riferita non solo ai contadini, ma anche ai pescatori.Attributi:

- I contadini sono politicamente e socialmente subordinati e sfruttati;

- Sono sfruttati dentro un sistema di classi dove rappresentano una classe dominata.Caratteristiche Comuni dell’Economia “Primitiva e Contadina” (Firth): Non è basata sulla moneta; L’economia naturale e l’economia dei prezzi sono l’una vicino all’altra; Semplicità della tecnologia; Le unità di produzione sono piccole; Non vi è espansione di mercato per capitale; La posizione economica è connessa alla posizione sociale; Le scelte sono sociali, mentre nelle società occidentali sono prettamente economiche.

4. ECOLOGIA-TECNOLOGIA-ECONOMIA Come si attua il rapporto tra economia e oikos?

In una molteplicità di fenomeni che si possono riassumere tramite la distinzione in: ecologia, tecnologia e economia.

ECOLOGIAL’antropologia, nel rapporto tra Natura ambientale ed esseri viventi analizza gli aspetti che si riflettono sull’uomo. Il rapporto ecologico dell’uomo porta a considerare la terra come un:- Luogo di residenza;

- Suolo di sfruttamento.E la terra acquisisce così valore economico.L’uomo e l’ambiente naturale sono in un rapporto di simbiosi, cioè la vita dell’uomo è biologicamente autonoma e nello stesso tempo condizionata alla terra. La terra assume un significato sociale che l’uomo/gruppi umani le attribuiscono. La terra assume un valore economico, appunto!TECNOLOGIAÈ certamente condizionata dall’ambiente, ma non è determinata elusivamente da esso: è frutto dell’intuizione e dell’esperienza dell’uomo, pur valendosi di oggetti materiali come strumenti. Ad esempio l’arco e la freccia non hanno nulla da invidiare al boomerang, sono 2 oggetti unici e di grande efficacia per cacciare; oppure anche i sistemi irrigui sono dovuti grazie all’intuizione dell’uomo!ECONOMIATrova la sua prima espressione nel rapporto tra Ecologia e Tecnologia: essa valuta le possibilità offerte dall’ambiente in base ai mezzi strumentali che l’uomo riesce a darsi per trarre nutrimento e protezione residenziale che gli serve. Ad esempio le tecniche per trovare le fonti d’acqua nelle oasi del deserto, oppure trovare la legna nell’Artico, ecc …Da questi rapporti nascono i più specifici rapporti economici: produzione, distribuzione e consumo.

55

5. LA PRODUZIONE- L’analisi sulla produzione implica il discorso sul lavoro, sia come attività umana, sia come uso di

strumenti per facilitare e moltiplicare il prodotto del lavoro.- La condizione umana del lavoro è tale che porta ad una distinzione del lavoro per sessi, anche se la

divisione non ha valore assoluto e deriva da scelte culturali, storiche e “biologiche”, come nelle società di raccoglitori e cacciatori: la caccia è riservata agli uomini, mentre la raccolta alle donne. Questo è relativo appunto, perché dipende dal periodo. Tra i Nuer, pastori, le donne si occupano della stalla, mentre gli uomini del pascolo, sin dall’infanzia. La mandria è dell’uomo, quando si sposa, la moglie si occuperà del bestiame, mentre quando una donna si sposa, il matrimonio separa la ragazza dalla mandria. Per l’uomo il bestiame, dopo l’iniziazione, è un mezzo importante per mettersi in mostra e potersi sposare.

- Nella distinzione del lavoro emerge la distinzione sociale in termini economici e di prestigio. L’organizzazione dei gruppi sociali e politici risponde a scopi economici: ogni transazione sociale ha un’espressione economica, come la “ricchezza della sposa” che costituisce la forma economica che ratifica il rapporto sociale e che si stabilisce o si rinnova tra i gruppi di parentela in occasione del matrimonio.

Oggi, l’interesse antropologico riguarda soprattutto il POSSESSO DELLA TERRA: le forme che la proprietà assume sono strettamente connesse con il tipo degli ordinamenti sociali e politici; infatti il problema della terra varia a seconda dell’ordinamento sociale e politico.Ad esempio nell’organizzazione di banda, la proprietà è del gruppo, ma il lavoro individuale ha un riconoscimento esplicito, come per la precedenza concessa per la raccolta dei frutti o del miele. Ma la preferenza o la proprietà privata viene sempre mantenuta entro i limiti di parità dato che non è consentito l’emergere del singolo.La situazione ecologica può imporre una certa scarsità di beni per cui si ricorre all’Accumulazione che è in ordine diretto con l’alimentazione, ma anche allo status sociale, in quanto espressione di diritti e privilegi.Ad esempio tra i Masai, i bovini sono considerati un bene economico e la loro proprietà è un diritto che si consegue solo con l’ingresso nella seconda classe d’età. L’attività di allevamento è un potere sociale ed economico: l’accumulo di bestiame consente di prendersi altre mogli e aumentare la loro famiglia.Quando si produce oltre i propri bisogni si ha un SURPLUS. L’impiego del surplus è una scelta che determina i modi di distribuzione:

- Se viene accumulato e sfruttato per una o più ampia produzione, allora è alla base della “CAPITALIZZAIZONE”;

- Se viene usato a scopi di ordine sociale (matrimonio) o di prestigio, allora si parlerà di “CONVERSIONE”.

La produzione non è solo il risultato di un rapporto tecnologico tra lavoro e ambiente, ma il frutto di una precisa scelta nella fruizione dei beni prodotti!

6. LA CIRCOLAZIONE (o Distribuzione)È un fenomeno che si osserva in particolare tra le bande dei cacciatori.Ad esempio tra i Boscimani !Kung:

- La caccia avviene in gruppi da 2 a 5 uomini;

- Dopo l’uccisione devono subito mangiare il fegato o anche più se sono affamati;

- L’animale ucciso è di proprietà di colui che ha scagliato la prima freccia mortale: egli è il responsabile della Distribuzione (non è detto che sia il capo banda!);

- La 1^ Distribuzione avviene tra il proprietario della freccia (colui che l’ha scagliata) e il fabbricatore della freccia; a loro volta distribuiscono e ci sarà:

- La 2^ Distribuzione che avviene tra i parenti prossimi della 1^, in primis i suoceri;

- La 3^ Distribuzione, infine, a genitori, figli, fratelli, …

56

Le prime distribuzioni sono obbligatorie, mentre le ultime sono dei doni.Questo giro distributivo ha un pregnante valore sociale di socializzazione e solidarietà, ma anche lo stesso scambio innesta il valore dello scambio (non tutto si può scambiare come le sorgenti d’acqua e la terra) e inoltre vi si riconosce il diritto individuale di proprietà (di colui che ha scagliato la prima freccia mortale).Non è un valore solo economico, ma soprattutto è un valore morale e sociale.In questo caso Mauss parla di PRESTAZIONE TOTALE dello scambio, cioè una prestazione che rileva 3 tipi di doveri:

1) Dovere di DARE (per ragioni economiche);2) Dovere di RICEVERE (per ragioni sociali);3) Dovere di RESTITUIRE (per ragioni morali).

Ad esempio i sistemi Kula e Potlatch sono delle prestazioni totali di tipo agonistico (Mauss), ovvero sono delle gare tra clan diversi per superare la liberalità e la magnificenza del donatore, come nel caso nel commercio cerimoniale delle conchiglie e dell’“ospitalità massima”:

Nel sistema Kula (Isole Trobriand, Malinowski) gli oggetti scambiati sono dei manufatti di conchiglie, in particolare collane e braccialetti. Questi vengono recati in dono, attraverso lunghi viaggi per mare, ad altri isolani seguendo una norma cerimoniale (commercio cerimoniale), per cui le collane viaggiano da est a ovest, mentre i braccialetti da ovest e est. Lo scambio, riservato ai capi che lo compivano a nome della comunità, è prettamente cerimoniale e arreca un singolare prestigio a chi dona e a chi riceve. Questi manufatti non potevano essere trattenuti per un tempo eccessivo, ma bisognava donarli ad altri seguendo la stessa norma cerimoniale. Quando ritornavano al punto di partenza veniva chiuso il “cerchio Kula” e più viaggiavano e più acquisivano valore. Lo scopo era quello di stabilire e rinsaldare le relazioni e le alleanze. Era un commercio marginale, di puro profitto per altri manufatti ed altre cose più ordinarie per trarre dallo scambio il massimo vantaggio.

Nel sistema Potlatch (coste occidentali di Canada e Alaska, Mauss) la prestazione di ospitalità è massima, cioè il capo di un clan, durante il periodo invernale, mette a disposizione ad un altro clan, in visita di omaggio, tutta la ricchezza di beni accumulata durante la bella stagione. Tale ospitalità ricevuta va ricambiata e viene ad instaurarsi una gara di prodigalità. È un costume “totale” che coinvolge aspetti religiosi, economici, sociali, estetici e giuridici.

Una delle forme di dono e di scambio è il matrimonio (Lévi-Strauss): ha le caratteristiche di una “prestazione totale” in quanto si scambiano le donne per stabilire alleanze e mantenere l’equità, chi dona 1 donna in sposa, ne riceverà un’altra, ma è uno scambio che ha anche un valore religioso, sociale, politico ed economico, cioè il matrimonio è una successione di atti.

Quindi, in queste “prestazioni totali” l’individuo singolo non ha nessuna importanza? Importa solo il gruppo?No, anche in queste transizioni collettive l’individuo ha una certa importanza, in particolare ha importanza l’individuo che sa condurre bene uno scambio, è la qualità che fa emergere il BIG MAN = un uomo che si distingue per il fisico forte e grosso, la capacità di accumulare ricchezza ed ha una capacità oratoria persuasiva, questo lo si nota bene nello:

Scambio Moka (Nuova Guinea), che consiste nel pagamento di un debito, con maiali e conchiglie, in misura superiore a ciò che è strettamente dovuto per il debito e questo arreca prestigio al datore. I debiti che vi rientrano sono compensazioni belliche o la “ricchezza della sposa”, questi pagamenti devono essere reciprocati, in questo modo si attua una gara di prestigio nelle quali emerge il Big Man!

Vi sono altre forme di scambio, minute o parziali:BARATTO: di strumenti di lavoro o manufatti minori che si prendono e danno in prestigio con molta liberalità, pur restando di proprietà, ad es. chi costruisce la freccia, rimane sempre lui il proprietario; è uno dei modi per sostenersi a vicenda e mantenere la solidarietà sociale.SCAMBIO TRAMITE MONETA: la moneta può avere un valore diverso a seconda della rarità dei materiali usati, ma ciò che importa è il suo valore “simbolico” attribuito per lo scambio, l’acquisto e il pagamento. Tra

57

moneta e merce di scambio si stabilisce un saggio di equivalenza: i Tiv distinguono la moneta umida (come una capra) da quella arida (conio), dalla moneta di semi, … ogni merce che serve per pagare! In Nuova Guinea le barre di sale, le zappe di ferro nelle culture africane, le conchiglie nell’Oceano Indiano,…Uno dei temi principali dell’antropologia economica è il concetto di mercato: non è sempre facile trovare una corrispondenza del termine tra le società occidentali e le società extra-europee!Firth riassume a 3 significati di mercato :

1- Luogo di mercato;2- Campo totale di interesse di una merce o di un servizio;3- Allocazione delle risorse secondo criteri impersonali senza riguardo a legami personali e scopi

sociali a favore di un principio di immediata massimizzazione del profitto ( utilizzato come criterio di separazione tra i tipi di sistemi studiati dagli economisti e quelli studiati dagli antropologi).

Per alcune popolazioni non esiste un luogo di mercato e viene adottato il termini di mercato periferale che il luogo è riconoscibile come mercato, con tutte le caratteristiche di un mercato, ma non è centrale per la prosperità e l’integrità sia economica che sociale.In altre popolazioni vendere è la forma più importante di scambio, eccetto le persone umane, tutto può essere comprato per mezzo di conchiglie-moneta.Altre forme di controllo per razionalizzare la distribuzione dei beni lo troviamo tra gli “Yuron” della California settentrionale che importano la c.d. moneta-conchiglia e si valgono di periodi standard per la sistemazione dei diritti reciproci tramite questi “coupon” o “tessere” (consistente in una collana di conchiglie) con un valore fisso rispetto ad altri beni come pelli rare, piumaggio degli uccelli,….

7. IL CONSUMOIl consumo dei beni ha come motivo la sopravvivenza e la continuità degli individui e dei gruppi sociali, di fronte a questi presupposti le società umane si danno diverse strutture:

Sistema di sussistenza: produce ciò che è necessario per vivere:la produzione è in rapporto diretto con il fabbisogno;la distribuzione, pur riconoscendo il diritto al frutto del proprio lavoro, va oltre tale riconoscimento;l’accumulazione è in rapporto diretto al fabbisogno di tutti i membri.Es. bande di cacciatori, società pastorali e agricole.

Sistema capitalistico: controlla e ordina i consumi per consentire gli investimenti di capitale e trarne il massimo profitto. Si sviluppa la “civiltà dei consumi”, incentivando il consumo non per sussistenza, ma per trarne profitto.

8. I FATTORI ECONOMICI E I CAMBIAMENTI CULTURALIL’insieme dei fenomeni economici si inserisce nella problematica della dinamica culturale, come via di acculturazione: ormai non c’è più nessuna cultura/società che si presenti del tutto intatta nella propria economia, soprattutto per il periodo coloniale, dove viene introdotto il sistema monetario occidentale in tutto il mondo, e negli ultimi decenni con la penetrazione tecnologica. E viene così e crearsi il modello consumistico.Ormai tutti i sistemi economici primitivi e contadini sono stati intaccati da questo sistema di mercato e pressione consumistica, appare come un modello di vita “più sereno”, ma la pressione consumistica è penetrata in maniera dirompente ed unilaterale, ha mosso ed imposto uno sviluppo tecnologico in senso recettivo e quasi passivo. Tutto ciò ha portato alle rivolte contro il neo-colonialismo per la difficoltà di sviluppo dei paesi ex-coloni o “sottosviluppati”.Proprio il rapporto tra PSA e PVS è al centro dei problemi della nostra epoca ed ha una notazione non solo economica, ma anche politica e sociale. Esso ci riporta, in qualche misura, al carattere di prestazione totale di Mauss che conferma il significato umano o antropologico che l’economia deve preservare per essere veramente ciò che vuole essere, cioè l’ordinamento (nomia) dell’ambiente (oikos) a servizio dell’uomo.

58

11. L’ETNEMA RELIGIOSO-MAGICO

Lo studio antropologico si accosta alla religione e alla magia senza pregiudizio, considerando tutte le religioni e le forme di magia come degne di attenzione, in quanto espressione di un bisogno umano e parte essenziale della cultura.

1. IL MISTERO DEL COSMOL’etnema religioso-magico esprime l’interpretazione (o l’insieme delle interpretazioni) umana del cosmo, nella sua totalità misteriosa e dei suoi rapporti dell’uomo con il cosmo.Il cosmo qui ha un senso integralista: implica la totalità degli esseri e delle cose e l’insieme delle loro relazioni con l’uomo.Nella realtà cosmica vi sono molti aspetti e forze (compresa anche la propria natura intima del proprio essere) che sfuggono alla conoscenza dell’uomo, ma con le quali esso si sente in rapporto: è una problematica che avvince e angoscia l’uomo continuamente, e lo spinge alla ricerca di una spiegazione della sua presenza sulla Terra (il significato della vita, della morte, del dopo-morte, del bene, del male, …). Questa ricerca definisce i valori concettuali di base e le norme razionali di comportamento. L’etnema religioso-magico si struttura in un insieme di atti e manifestazioni culturali, religiose e magiche che hanno per scopo quello di collocare l’uomo in un rapporto preciso con l’universo!In qualche modo ogni etnema, ogni aspetto della cultura è anche religioso. È sommamente arbitrario distinguere e separare il sacro dal profano, la religione dalla magia, la religione e la laicità. Inoltre nelle culture “semplici”, prive di cristallizzazione scritta, la spontaneità essenziale non distingue, né distacca: vive.Tuttavia gli aspetti misteriosi del cosmo, proprio perché misteriosi e non conoscibili, suscitano reazioni contrastanti nei singoli uomini e questo spiega la diversità di atteggiamento che si riscontra in tutte le culture: chi è stimolato, chi è indifferente, chi è scettico, chi è saltuario, ecc ….

2. IL LINGUAGGIO RELIGIOSO- Il SIMBOLO esprime un rapporto che non è direttamente precisabile, ma che pur è sentito tale cosicché

un termine acquista un significato diverso (es. il cielo) da quello originario, che però non è arbitrario, ma corrisponde coerentemente alla struttura dinamica di una cultura e del loro pensiero;

- I MITI sono delle espressioni tipiche del linguaggio simbolico, sono un elemento costante del linguaggio religioso-magico che permettono di tradurre la realtà cosmica, le forze misteriose, in una dimensione umana. Sono perciò una parte integrante di una cultura e hanno una funzione simbolica e strutturale; per Malinowski i miti sono la carta costituzionale della società. In genere i miti appartengono alla tradizione: esprimono una realtà storica del passato o addirittura delle origini.

- LA FORZA VITALE è un concetto fondamentale che si riscontra in quasi tutte le culture. Non si presta ad una definizione netta, ma in genere si intende l’impulso determinante dell’esistenza e della vita: tutti gli esseri partecipano a questa forza, in maniera diversa e proporzionale, e questo dà un senso unitario a tutto il cosmo.Ad esempio i Melanesiani chiamano questa forza “mana”, che porta successo e fortuna (il capo ha un mana potente, una pianta che prospera ha un mana fecondo, un sasso ancora caldo la sera ha un mana forte,…), l’opposto è il “mara” che riguarda la sterilità (un capo è mara quando il suo rituale è improduttivo).

- IL TOTEMISMO è una forma peculiare di linguaggio religioso-magico, in parte connesso alla forza vitale; è un’espressione del fenomeno di simbolizzazione per il quale si attribuisce a un essere

59

qualunque (pianta, animale,…). È un valore simbolico di relazione con l’uomo e serve a precisare determinate norme di comportamento.Il Totem è la fonte prima della forza vitale, cioè quando una persona muore la forza vitale ritorna al suo animale totemico: su di questo termine sono state date molte interpretazioni:

Durkheim vede nel totem il simbolo della società, cioè della divinità, e nello stesso tempo è motivo e oggetto di restrizioni che lo rendono sacro;

Freud nel sacrificio dell’animale totem e nella consumazione della sua carne vede l’espressione del complesso edipico, poiché il totem rappresentava il padre, sacrificato per trarne la forza virile;

Frazer aveva cercato una spiegazione nel rapporto tra totem e esogamia, ossia nelle norme secondo cui gli appartenenti a un gruppo totemico dovevano sposarsi al di fuori del gruppo;

Lévi-Strauss tenta una spiegazione del totemismo come tipica espressione del linguaggio umano, che si vale di simboli tratti dal regno naturale per esprimere le alleanze e i comportamenti sociali; ma non è una realtà culturale.

Ciò che risulta chiaro è che il totemismo non è un fenomeno religioso, non nel senso che da esso abbia avuto origine la religione, e non è nemmeno una forma universale della cultura (Lévi-Strauss).Il Totemismo possiamo dire che è un etnema che distingue alcune culture che si valgono della simbologia tratta dal mondo animale e naturale per definire con un linguaggio caratteristico le relazioni sociali ed il comportamento dei loro membri.

3. RELIGIONE E MAGIAIl COSMO è l’oggetto attorno a cui si sviluppa l’attività religiosa e magica dell’uomo. L’unicità dell’oggetto spiega come sia difficile tracciare una netta linea di differenza tra l’una e l’altra attività.Anche in questo ambito si sono date molteplici interpretazioni, ma tutte arbitrarie e nessuna universalmente valida:

Frazer sostiene che magia e religione sarebbero stadi ulteriori della scienza, e segnano i passaggi evolutivi della conoscenza umana dall’irrazionalità alla razionalità;

Durkheim distingue religione e magia in termini di sacro e profano, sociale e personale; De Martino contrappone magia a civiltà, attraverso una cultura umanistica e cristiana che ha

contribuito a radicare e diffondere lo stereotipo della distinzione tra religione e magia.Ma così non è: non esiste alcuna differenza tra religione e magia, costituiscono un etnema unico in quanto entrambe hanno un intento identico: attutire l’angoscia dell’uomo verso l’occulto, che è il mistero della vita e della morte.

4. L’ETNEMA RELIGIOSO-MAGICO E L’AMBIENTEL’influenza dell’oikos nella formazione della cultura è evidente anche in rapporto all’attività religiosa e magica, infatti lo scopo della magia e della religione è quello di alleviare, appunto, il peso esistenziale della condizione umana, il che sarebbe del tutto illusorio e inefficace se l’attività religiosa e magica non si muovesse in relazione alla situazione ambientale dentro la quale prende consistenza la condizione umana.Le manifestazioni rituali del culto, la preghiera, la magia, il sacrificio, la divinazione sono strettamente legate e condizionate dall’oikos, proprio perché c’è uno strettissimo legame tra religione/magia e ambiente.Ad esempio il rispetto degli indù per la vacca: la vacca si nutre del cibo che l’uomo non tocca, serve per fornire letame e concime, serve nei lavori agricoli, e quindi ha un carattere sacro e rimarrà tale finché l’agricoltura in India sarà la principale attività economica!Questo rapporto così intimo permette una distinzione di 3 tipologie di etnema magico-religioso in relazione all’ecosistema:

- Teismo silvestre;

- Teismo agreste;

60

- Teismo pastorale.In questa denominazione si mette in risalto il tema centrale della ricerca di dio, ma non in quanto tale, ma vedendo la differenza che tale ricerca assume in base agli ecosistemi.Inoltre vanno fatte alcune osservazioni sul concetto antropologico di dio: innanzitutto il vocabolo deriva da una radice indoeuropea div che significa lucente. La lucentezza descrive la quantità del sole e serve come simbolo per indicare l’essere supremo che possiede la pienezza della forza vitale. È quindi un dio che viene dal cielo, simboleggiato dal sole lucente, dalla caratteristica eminente di padre (dio-padre), dalla struttura della famiglia patrilineare. Questa versione di dio la si ritrova in quasi tutte le religioni del mondo in maniera più o meno accentuata.Il teismo quindi ha un significato lato, cioè di ricerca religioso-magica, specificandone il carattere dall’aspetto ecologico.

5. IL TEISMO SILVESTREIn riferimento alle credenze religiose dei popoli raccoglitori e cacciatori, perché dalla selva e dalla foresta derivano il simbolo di Dio e l’ispirazione per i riti religiosi e magici.Il lavoro di questi popoli tende a non modificare l’ambiente, ma a sfruttarlo per trarne sostentamento.Ad esempio i Pigmei africani e asiatici.I Pigmei dello Zaire (Mbuti): la foresta sta al centro delle concezioni e delle pratiche religiose e magiche: la foresta è madre e padre e viene ringraziata in quanto fornisce all’uomo tutto ciò di cui ha bisogno. Se qualcosa va male allora significa che la foresta si è addormentata e bisogna svegliarla cantando per lei, perché si svegli serena. E quando tutto torna ad andare bene, ancora si canta per lei, per farla partecipare alla loro felicità. Ogni Pigmeo usa un nome diverso per il suo dio, anche se sanno che alla fine è un dio unico di cui però non conoscono il nome, non avendolo mai visto; ma ritengono che esso sia della foresta e per questo quando cantano, cantano alla foresta. Ritengono che l’uomo sia un essere spirituale, nel senso che ha in lui un potere di cui non conoscono la natura, ma che deriva dalla foresta.Un altro esempio sono i Boscimani !Kung del Sud Africa. Essi non credono che gli animali abbiano spiriti o anime e che gli oggetti terrestri siano penetrati dagli spiriti. Non considerano esseri divini il sole, la luna e le stelle, non personificano la pioggia né le prestano un culto. Il concetto di dio è assai complesso: ritengono che vi siano 2 dei nel cielo, uno maggiore e uno minore con mogli e figli e che gli spiriti dei morti sono al loro servizio. Il dio grande vive a oriente, dove sorge il sole, il dio minore a occidente, dove tramonta. Il dio maggiore è il creatore: ha creato il dio minore, le 2 mogli che generarono 3 maschi e 3 femmine ciascuna; infine creò la terra e gli uomini, le donne e tutte le cose. Il rapporto tra dio grande e dio minore non è di padre-figlio, ma di padrino-figlioccio, che nel sistema di parentela boscimana esprime una relazione giocosa, rispettosa della diversità delle età, ma non consentita tra padre e figlio.Il dio minore ha il compito di andare per la terra, vedere ciò che avviene agli uomini e riferire al dio grande. È considerato un uomo-piccolo o un pover’uomo e commette molti sbagli: è lui che porta le malattie. Un mago-medico lo può vedere e allora lo scaccia.Un ulteriore esempio è quello degli Aborigeni australiani che sono raccoglitori e vivono in una selva che è la steppa. Vi sono 3 caratteristiche della loro filosofia religiosa: spirituale, totemica e storica. La concezione spirituale si esprime con la credenza in esseri spirituali che pervadono il modello e che si incarnano di tanto in tanto prendendo forme di vita umana. Alla base di tutto, però, sta la figura dell’essere supremo e della sua attività. Questi esseri spirituali sono “eroi culturali” che dopo aver compiuto la loro missione ritornano al cielo, da dove erano venuti, e vengono detti anche “eroi celesti”. La tendenza è quella di identificare il creatore con qualche eroe culturale.

6. IL TEISMO AGRESTEBasa le sue credenze e i suoi riti non sul concetto di terra, ma sul ciclo stagionale delle coltivazioni.La caratteristica distintiva è la vita come fecondità dei campi e delle famiglie, della vita e della società.In Melanesia c’è l’idea di un essere supremo al centro del cosmo, fabbricatore del territorio e ci sono anche gli antenati o altri esseri primordiali.

61

Tra antenati e essere supremo può verificarsi un fenomeno di sovrapposizione: l’essere supremo è considerato l’antenato per eccellenza, il vecchio, il padre dei padri.Anche le manifestazioni del culto sono perciò rivolte agli antenati e da qui deriva l’espressione:“deus otiosus”: un essere supremo isolato, non invocato, lontano dalla vita umana.Un’altra caratteristica è la valorizzazione simbolica della Terra che:

- È legata intimamente al concetto di fecondità;- Provvede il suolo da coltivare;- È la sede degli antenati.

7. IL TEISMO PASTORALEAccentra la sua attenzione sul cielo come simbolo di Dio e di ogni altra forza cosmica dal quale dipende ogni prosperità degli armamenti e delle famiglie.Caratteristiche fondamentali:

- Visione costante del cielo;- Attaccamento solido dell’uomo agli armamenti che alleva.

Al pastore il cielo si presenta come il simbolo più evidente della totalità del cosmo e gli animali dei suoi armamenti gli offrono il mezzo per rinsaldare costantemente il rapporto con il cielo, tramite i sacrifici.L’essere supremo ha carattere uranico, cioè è messo in relazione agli esseri del cielo e alle manifestazioni atmosferiche.Ad esempio nella popolazione Kipsigis in Kenya, Asis è il loro dio, ma per alcuni dio è il sole, per altri dio vive nel sole. È un dio che gli uomini percepiscono sottoforma di sole.Tra i Masai del Kenya è la pioggia che presta il nome per dio, al femminile e lo distinguono in dio nero che è buono (nuvole cariche di pioggia per irrorare i campi), dio bianco che è cattivo (nuvole aride), dio rosso che è iroso (perché emette scariche temporalesche).I Nuer (studiati da Evans-Pritchard) parlano di spirito del cielo o spirito che è nel cielo, è uno spirito creativo. Dio non è il cielo o alcun fenomeno atmosferico, non ha alcuna forma umana. I Nuer hanno una concezione teistica spiritualista:

8. LA STRATIFICAZIONE GERARCHICA DEGLI SPIRITILa concezione spiritualistica è diversa dall’animismo!L’ Animismo è un termine sopravvissuto dalle teorie evoluzionistiche e oggi è ancora in uso per indicare le religioni pagane: è un termine legato alla storia cristiana ed ha un significato negativo, infatti animismo significa senza religione, che lo rende inutilizzabile; tuttavia:il termine animismo può essere usato in senso nuovo per indicare un modo singolare di vedere gli esseri e le cose che si riscontra soprattutto in rapporto ai fenomeni della natura fisica (spiriti della natura) e della natura umana (spiriti dei morti/antenati).Gli spiriti della natura:

- In genere non sono considerati divini e non hanno un riconoscimento di culto, ma- Talvolta si attribuisce loro una serie di capacità superiori e attorno ai luoghi delle loro

manifestazioni si creano centri e forme di culto- In alcuni casi vengono considerati divinità e posti in relazione diretta e subordinata con l’essere

supremo; si arriva così a un vero e proprio pantheon con una stratificazione gerarchica di tutti gli spiriti del cosmo, cioè a un politeismo.

Ad esempio i Polinesiani hanno migliaia di divinità distribuite per grado ognuna con il controllo su qualcosa (acqua, agricoltura, guerra,…).Oppure gli Yoruba, in Nigeria hanno al vertice un dio supremo e poi a destra hanno 400 divinità e a sinistra altre 400! Inoltre i nomi delle divinità variano da villaggio a villaggio!

9. IL CULTO IN GENERE Cosa si intende per culto?

Il culto è la manifestazione esteriore della Religione e della Magia, e anche nell’esteriorità dei mezzi rituali non è facile tracciare una distinzione tra ciò che è religioso e ciò che è magico.

In ogni atto di culto è possibile riconoscere diversi livelli:1) Empirico: si agisce in base alle conoscenze tradizionali (erbe medicinali);2) Magico: l’azione si svolge tramite un certo automatismo, con parole e gesti;

62

3) Religioso: ci si abbandona alla potenza e alla volontà della divinità.Il culto può essere:

- Individuale: è intimo e spontaneo e si esaurisce nella mente e nel pensiero;- Collettivo: è sociale e si accompagna a solennità esteriori.

Le forme più comuni di culto sono: PREGHIERA: esprime l’intenzione del culto in forma verbale, o con i gesti (danza, musica), o

anche con il silenzio/meditazione; SACRIFICIO: ha valore simbolico ed esprime la dipendenza dalla divinità. La natura del sacrificio

varia a seconda dell’ambiente della cultura (silvestri selvaggina; pastori animali; agricoltori raccolto), o in alcuni casi sacrifici umani (raro) nel caso degli Aztechi e le civiltà precolombiane (vedi MOCHE!).Lo scopo è quello di stabilire un rapporto con la divinità o altri spiriti per giungere ad un contatto diretto, ottenere protezione e aiuto o per riparare una colpa;

CULTO DEGLI ANTENATI: è diverso dal culto dei defunti (che è l’insieme di cerimonie per la sepoltura), perché non tutti i defunti sono antenati, ma lo diventano quelle persone che in vita hanno avuto un’importanza sociale e/o nell’ambito della parentela, non è un’adorazione. Ha uno sviluppo particolare nel teismo agreste: comunione con gli spiriti antenati.

I Luoghi di culto possono ritrovarsi dovunque e ogni luogo, nel momento in cui si compie l’atto rituale, può essere sacro. Vi si può offrire un sacrificio o una libagione. Spesso i luoghi di culto sfuggono all’osservatore superficiale (vedi Macchu Picchu)!

10. MEDIAZIONE E CULTO: I SACERDOTINon in tutte le culture l’esercizio del culto esige un mediatore: vi sono culture e società in cui non si accetta nemmeno l’idea di mediazione. Tuttavia tale bisogno di un intermediario è diffusissimo.Il SACERDOTE è l’uomo della mediazione culturale e l’elemento fondamentale del sacerdozio è il diritto alla rappresentanza sacrale.Ci sono 2 forme sacerdotali:

1- Sacerdozio occasionale: l’attività viene svolta solo secondo le necessità del momento. Ad esempio l’attività sacrale del padre di famiglia dove il padre possiede un diritto di rappresentanza che tocca anche i rapporti con la divinità e gli spiriti. Tale figura è più probabile che sia diffusa dove vi è il culto degli antenati (Tallensi in Ghana: l’autorità giuridica e rituale risiede negli uomini che si trovano nella condizione di padre);

2- Sacerdozio professionale: è rappresentato dal riconoscimento del diritto di rappresentanza sacrale come qualifica sociale permanente; attività per la quale è necessario un insegnamento. Ad esempio a Tahiti i sacerdoti per diventare tali dovevano seguire una scuola per acquistare la capacità di mettersi in contatto con gli spiriti-divinità. L’esame poteva essere positivo o negativo!

Poi vi sono i Parasacerdoti, che sono figure che svolgono un’attività non di mediazione, ma tecnica, al servizio dei clienti e la loro funzione religioso-magica non è quella sacerdotale. Essi sono:

- Divinatore- Mago - medico- Sciamano- Stregone- Profeta.

11. LA DIVINAZIONE: IL DIVINATOREL’arte della divinazione è una tecnica di lettura di certi segni naturali (movimenti degli uccelli, le rughe della mano, i sogni,…) o artificiali per ottenere informazioni e conoscenze utili e risponde al bisogno umano di scoprire ciò che è nascosto nel mistero del cosmo.Esempi:

- L’astrologia è la tecnica più diffusa dell’antichità classica, in occidente si usa ancora sottoforma di oroscopo;

- La spiegazione dei sogni, non c’è un rapporto diretto con l’ambiente;- La divinazione (o Mantica) dei segni, in Nigeria;- Gli oracoli, tra i Lugbara in Uganda servono per scoprire le cause delle malattie e ve ne sono 5

(oracolo del legno, del topo, della medicina, del pollo e del baccello velenoso);

63

- Le ordalie sono delle prove dolorose in cui il giudizio finale dipende dalla persona che le subisce, ma per la loro crudeltà sono state quasi del tutto abbandonate.

Serve un apprendistato serio per imparare l’arte della divinazione, il divinatore non è un ciarlatano, è un maestro del ragionamento deduttivo e induttivo, è il tecnico della diagnosi. Inoltre conosce delle virtù medicali delle erbe e di altre sostanze.

12. L’ESTASI E LA POSSESSIONE DEGLI SPIRITI: LO SCIAMANOLo SCIAMANESIMO è un fenomeno complesso di diffusione universale con il quale si cerca il contatto con la divinità e gli spiriti.Tale contatto tocca la sua massima espressione con la visione, l’unione mistica, la possessione, l’estasi (termine che suggerisce l’essere fuori di sé, dissociazione di personalità).Motivazioni: preoccupazioni sociali, soprattutto malattie.Come si raggiunge? Con mezzi artificiosi come droghe e narcotici.Lo SCIAMANO è il tecnico dell’estasi che ne fa una professione; la sua tecnica normale è la danza (a ritmo di tamburello); ha una funzione sociale fondamentale, in quanto considerata di prima necessità per la cura delle malattie. È un mago-medico .

13. LA STREGONERIA: LO STREGONEIl mago e la strega sono delle figure ANTISOCIALI, cioè non sono accettate dalla società e, anzi, sono condannate, anche con la pena di morte.Si usa distinguere:

- Magia bianca: opera all’aperto e ha scopi benefici;- Magia nera: sfrutta le tenebre per scopi malefici;- Magia “Mangu”: tra gli Zande, è un’altra forza cattiva che emana direttamente l’attore,

naturalmente. Chi ce l’ha non compie riti, né esprime alcuna formula = è un atto/potere occulto psichico e coincide con il concetto di jettatura di De Martino, Napoli.

Ma la concezione di stregoneria è molto varia e complessa: in alcune culture non ha molto sviluppo e si pensa che la massima malignità sia l’avvelenare volontariamente un uomo, oppure odiarlo e maledirlo.Siccome è una figura antisociale tutti e nessuno sono stregoni, nel senso che il sospetto può investire chiunque.

14. CONSERVAZIONE E RIFORMA: IL PROFETAProfeta significa “dire prima, in anticipo”. In senso antropologico è l’uomo della riforma, colui il quale si assume il compito di denunziare la sfasatura tra:

- Il rispetto della tradizione e della lettera, che esige una certa tendenza conservatricee

- La realtà esistenziale con un’esigenza rinnovatrice.Egli si fa promotore di nuove norme e di nuove strutture.Vi sono 3 categorie di profeti:

1- Profeti fanatici, strani e violenti;2- Profeti veggenti, abili a risolvere situazioni difficili;3- Grandi profeti, che hanno una missione divina, un messaggio al popolo per attuare le riforme.

Nella missione del profeta si possono distinguere 3 momenti/fasi:I) INIZIALE: riguarda la vocazione del profeta, assume comportamenti simili allo sciamano, diventa

strano, si isola, digiuna, si alimenta male. In questo periodo di demenza la gente lo considera un pazzo. Tra i Nuer questo avviene ma non possono distinguere un profeta da un pazzo o da un epilettico.

II) RIFORMISTICO: va inteso in senso generico, cioè può limitarsi a un semplice consiglio indicativo e può arrivare ad un’azione perentoria di mutamento. Non svolge un’attività tecnica di guarigione come lo sciamano, ma un’attività morale di consiglio.

III) CONCLUSIVO: il successo o l’insuccesso segna il momento conclusivo del profeta, cioè l’accoglimento della sua azione riformatrice, oppure la sua fine, anche violenta.

15. MOVIMENTI DI RIFORMA RELIGIOSA

64

- Le condizioni di angoscia, sofferenza, oppressione, sono specifiche della condizione coloniale e si avverano con tragica fatalità nella vicenda umana per molte cause e in altre situazioni.

- I movimenti di riforma religiosi sono noti sotto tante denominazioni, ognuna relativa alle circostanze storiche in cui sono sorti, al loro contenuto oppure al nome del profeta che se n’è fatto promotore.

- Per Le Barre, sono culti derivanti da crisi. La crisi è una frustrazione profondamente sentita o un problema basilare che non può essere fronteggiato con i metodi ordinari, secolari o sacri.

- Alcuni esempi sono la ribellione, la guerra santa, le rivolte,…- Il loro valore universale lo si ritrova nella mitologia: le narrazioni mitologiche e le gesta degli eroi

culturali si svolgono attorno ai temi del superamento del caos, dell’introduzione di nuovi sistemi di agricoltura o allevamento, di ribellione contro i tiranni, di liberazioni o di raggiungimento di una terra promessa.

- Un esempio può essere il primo Mugwe dei Meru che racchiude in sé il potere religioso-magico con cui liberò il suo popolo dall’oppressione guidandolo alla terra attuale.

- Nella storia moderna i movimenti di riforma si sono moltiplicati dovunque: in Oceania il tipo più diffuso sono i cargo cults = culti delle merci (culti del cargo di Kilani!), si tratta di un modulo al quale si conformano diversi movimenti delle isole oceaniche con allusione ai piroscafi mercantili europei che arrivavano da regioni lontane e sconosciute con un carico di merci ricchissime: in modo analogo, da regioni mistiche, arriveranno gli antenati su un vascello bianco (per cui i culti si dicono anche del vascello), non solo portando la prosperità, ma soprattutto l’indipendenza politica.

- In India e in Giappone i movimenti di liberazione sono collegati alla religione buddhista.- Kimbangu dell’antico Congo belga, ora Zaire (oggi RDC) è riconosciuto come il Messia degli africani

dopo il periodo coloniale, come Cristo lo fu per i bianchi.- Nello sviluppo dei singoli movimenti si possono riconoscere fasi tipiche del processo culturale:

1) Fase profetica, che si accentra attorno alla persona del profeta contro la situazione religiosa o politica o tradizionale per avviare la riforma

2) Consolidamento del successo o di paziente incubazione dopo l’insuccesso per passare poi alla3) Fase istituzionalizzante nella quale il movimento diventa istituzione, struttura o chiesa, con dottrina e

culto ufficiale.Non vi sono culture né religioni che non subiscano il fenomeno di cristallizzazione delle strutture e che pertanto non necessitano di riforma e rinnovamento. Questo è un elemento essenziale della cultura, in particolare dell’etnema religioso-magico.

-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------L’invenzione dell’altro (Mondher Kilani)

PARTE PRIMA: SULLA NATURA DEL DISCORSO ANTROPOLOGICO

1. DISTANZA E CONOSCENZA. L’INVENZIONE DELLA CULTURA NEL DISCORSO ANTROPOLOGICO

Come agisce l’ELEMENTO DELLA DISTANZA nel lavoro dell’etnologo?È un elemento fondamentale da considerare: Leiris già nel 1934, prese coscienza che l’etnografia, ben lungi dal realizzare un avviamento all’altro, non fa che porlo a distanza. Lo stesso affermò Segalen per il quale il procedimento etnologico allarga la distanza tra l’osservatore che si mette da parte e l’altro, al centro dell’osservazione.

La sensazione del diverso, per Segalen, è la differenza tra sé e l’altro, una differenza che rende possibile l’Esotismo:l’Esotismo è l’esperienza dell’alterità, è il riconoscimento affascinato della distanza dell’altro da sé. È la presa di coscienza che c’è qualcosa che non è il medesimo, e dunque una riconfigurazione dell’altro a partire da sé. Io riconosco che c’è qualcosa di diverso da me medesimo, ecco che nasce l’altro.L’etnologo sa che l’indigeno deve turbarlo ed affascinarlo e anzi, è proprio questa consapevolezza della differenza che lo spinge ad osservare ed analizzare: io osservo gli altri solo perché non mi somigliano.

65

Il lavoro dell’antropologo è un lavorio di mediazione tra identità e differenza.Il Discorso antropologico è sempre una TRADUZIONE , in quanto garantisce il passaggio dalla cultura indigena a quella dell’osservatore e del lettore.

La Traduzione non è assimilazione dell’altro a sé, ma è un apprezzamento della distanza tra sé e l’altro.Non c’è mai un’equivalenza strutturale, ma piuttosto dinamica, con l’originale perché trasponendo una cultura straniera con gli espedienti della propria scrittura la si trasforma, la si presenta nei nostri termini e secondo i nostri modi di esprimerci. La traduzione non è mai una copia fedele, ma una modificazione dell’originale.

Il compito dell’antropologia è pensare il rapporto tra l’unità e la diversità del genere umano, che gioca sull’invenzione del possibile (antropologia della possibilità, un’antropologia che non afferma che “l’altro è uguale a me”).

Cosa succede con la scrittura?Nello scrivere o nel riportare un’esperienza etnologica si moltiplicano le voci: il lettore diventa totalmente dipendente dall’interpretazione che l’autore vuole offrirgli.

E durante la ricerca?Nella ricerca c’è una sorta di negoziazione tra punti di vista dell’antropologo, culturalmente definito dalle domande che pone sul campo e dal modo con cui cerca di capire, e quelli dell’informatore, le cui risposte sono mediate dalla loro storia e cultura.

Una situazione di ricerca è un luogo di tensione e di compromesso tra 2 soggetti inscritti in 2 diversi tipi di storicità.

Come si può raggiungere, nel discorso antropologico, la SIMMETRIA tra i 2 TERMINI della Relazione “Noi” e “Loro”? Cioè come rendere paralleli i 2 termini della relazione osservata? Quindi, come rendere oggettiva una riflessione etnologica di Noi nei confronti di Loro?È in gioco la valutazione dello sguardo che il ricercatore rivolge alle realtà descritte, “Loro”; la valutazione del quadro di riferimento che sta dietro tale sguardo è un problema di eterogeneità dei saperi.Non serve sostituire la voce dell’antropologo con quella dell’indigeno, è necessaria una pratica della riflessività che, da parte dell’antropologo non sia ego-centrica, ma sia una percezione della propria soggettività, come parte in causa con l’altro.“Noi” (l’antropologo) dobbiamo sentirci non il soggetto di una ricerca su “Loro”, ma dobbiamo essere coscienti di essere una parte in causa quanto loro; di questa relazione c’è simmetria se Noi siamo coscienti che tale relazione “Noi-Loro” è fondata tanto dal nostro che quanto dal loro punto di vista!

È sempre la nostra società a definire il quadro generale in rapporto al quale sono collocati gli atti.Questa concezione dell’universale è ereditata dal pensiero filosofico del 1700 per il quale:

L’UGUAGLIANZA è l’uguagliamento delle identità a profitto dell’identità dominante! L’Europa ha sempre imposto il suo principio come uguaglianza che uniforma, dell’uguaglianza senza diversità (come la proclamazione della Carta Universale dei Diritti Umani), ma questo è sbagliato, perché:

L’antropologo può pensare efficacemente la relazione “Noi-Loro” solo rendendo conto che:- Tale relazione è sempre definita in termini di differenza;- Che c’è una gerarchia costitutiva che deriva da questa relazione.

È quindi importante il concetto di UNIVERSALISMO PARTICOLARE: “siamo tutti uomini, ma tutti uomini diversi, ognuno con le proprie particolarità personali e culturali”. (e anche ambientali: secondo me la patata americana si è adattata al terreno europeo, come anche un Boscimano che crescendo in una cultura europea si adatta a tale cultura, infatti la variabile è il contesto di crescita e di sviluppo!).Un caso importante è quello dei rapporti sociali tra sessi:L’uomo è un essere particolare che vive come un essere universale, che ha il monopolio dell’umano ed è socialmente autorizzato a sentirsi portatore dell’intera condizione umana. Qui il genere maschile si propone come genere universale, come riferimento della totalità sociale, pur passando per genere neutro e assolutamente oggettivo. La conseguenza è che le donne sono “invisibilizzate”, spariscono dietro la neutralità del genere, che nasconde il dominio maschile e, infatti, le donne sono concepite più come un oggetto che come un soggetto, più come agite che come agenti.

66

Il genere è un elemento costitutivo dei rapporti sociali, è un modello primario per significare i rapporti di potere.Porre l’accento sulla dimensione relazionale del genere uomo-donna implica una riformulazione del concetto di OLISMO: gli individui non devono essere considerati come parti del tutto, come singole unità sommate e sovrastate dalla cultura come forza causale esterna ai processi.

CULTURA: è un sistema di significati che si struttura all’interno di processi. Non è una forza o un’entità autonoma e indipendente da coloro che se la rappresentano: non è una forza agente, ma una FORZA AGITA, è una pratica sociale più che uno stato mentale. Non un insieme di interpretazioni condivise dalla collettività, ma l’istanza che fornisce i mezzi per quelle interpretazioni.

L’antropologo non può più considerare il suo oggetto come qualcosa di già dato, ma deve costruirlo nel quadro delle relazioni che legano le relazioni sociali.

Non è la “cosa” di cui parliamo, ma quel LUOGO a partire dal quale parliamo, dei luoghi di negoziazione in continuo fermento inscritti nella storia degli attori sociali.

Come considerare una società nell’analizzarla? Il sistema della struttura sociale non deve essere inteso come una struttura preesistente, ma al contrario concepirlo come il risultato di un processo di interazione e reinterpretazioni che, in un momento determinato, produce un certo grado di convergenze.Da tale concezione derivano 3 conseguenze:1- Si impone la necessità di distinguere tra evento e atto, mette in evidenza la sfasatura tra

oggettivo e la sua interpretazione;2- Si impone l’idea della malleabilità della cultura e della memoria storica, costantemente soggette

a reinterpretazioni (perché contestate);3- La struttura dell’azione sociale non può essere dedotta da una teoria che indichi preliminarmente

la natura del sistema in cui si inserisce, bisogna scoprirla e descriverla.Per studiare l’azione degli individui di una società no si deve o non si può quindi partire da una teoria che indichi la natura del sistema della struttura sociale nel quale l’azione si inserisce, non possiamo definire una struttura sociale e la sua natura prima dell’inchiesta, ma bisogna partire dall’azione stessa e dalla struttura per arrivare a scoprire e descrivere la natura del sistema, in pratica bisogna invertire il procedimento!Ad es., il lignaggio, nel suo particolare ruolo di creatore di simboli e di storia, non è un oggetto di sapere costituito e pronto per essere osservato, ma è piuttosto ciò che viene definito da un gruppo attraverso i suoi atti.Inoltre la nozione di etnia non è il fondamento, ma il prodotto di una classificazione!Kilani vuol far emergere che la dimensione della credenza è una costruzione!

2. DESCRIVERE O EVOCARE? LA RAPPRESENTAZIONE IN ANTROPOLOGIA

CRISI DEL SAPERE ANTROPOLOGCIOOggi il sapere antropologico, i suoi oggetti e i suoi discorsi sono sicuramente in crisi. Il dibattito che li vede messi in discussione è sicuramente dovuto a:

1. Processo di decolonizzazione;2. Scomparsa dei tradizionali campi di ricerca;3. Problema relativo a cosa significhi “Oggettivare”

= l’antropologia può ancora pretendere di rappresentare la realtà dell’altro o deve limitarsi ad evocarla ricostruendo un’esperienza di se stessi?cioè se l’uomo è oggetto e soggetto della cultura, può rappresentare la realtà dell’altro, ma rappresentandola traduce ciò che vede dal proprio punto di vista?

Ecco quindi che nasce la CRISI della rappresentazione in antropologia:- Perdita di fiducia nel discorso scientifico e nella rimessa in questione dell’insieme di sistemi di

verità sui quali si è basata sinora;

67

- Se l’antropologia non è altro che la traduzione di una cultura in un linguaggio transculturale, non è che la sua vera finalità sia la produzione di una finzione narrativa, con il rischio che il lavoro antropologico diventi un semplice lavoro di scrittura.

L’antropologia post-modernista (di natura nord-americana) ha posto l’accento soprattutto sulla natura artificiale di ogni resoconto culturale (monografia di campo): il ricorso alle tecniche del dialogo e dell’autoreferenzialità riflettono l’esperienza soggettiva sul campo, l’antropologia fa della propria esperienza il centro del confronto etnografico cosicché il testo che produce abbandona ogni pretesa di descrivere l’altro, diventa un “eroe solitario” (vedi anche Bernardi!).KILANI:

- Non nega questo problema, ma crede che il discorso antropologico sia comunque capace di produrre qualche sapere su culture e pratiche sociali diverse da quelle dell’antropologo. Sostiene che sicuramente c’è qualcosa da rappresentare della realtà dell’altro, ma si interroga sul modo in cui questa operazione viene compiuta.

La distanza nella scrittura:- La scrittura (che nasce dalla distanza) trasforma le cose viste, i propri oggetti in entità descrittiva

trasportandoli nel mondo dell’antropologo, per renderli intellegibili e visibili ad un pubblico lontano, quasi come se quel pubblico fosse sul campo.la monografia crea l’illusione dell’immediatezza del rapporto con l’oggetto, facendo dimenticare la distanza storica e la distanza della scrittura.La monografia tradizionale cerca di occultare le tracce del lavoro contro il tempo che in esso si compie: vuol far credere che in esso non esiste retorica, che l’antropologo ha una mera funzione referenziale e che ciò che descrive è reale, preservato da ogni influenza esterna e che lui è l’interprete autorizzato: ed è così perché in un certo momento della storia della disciplina questo tipo di monografia “standard” ha avuto il consenso degli antropologi.

Da quando sono intervenuti questi cambiamenti, questi modelli di rappresentazione, tipicamente coloniali, sono entrati in crisi.Oggi coloro che sono l’oggetto del discorso antropologico hanno la possibilità di compiere una LETTURA PARTECIPANTE, cioè possono parlare e scrivere di se stessi.Ora gli antropologi devono sottolineare nel testo la traccia degli eventi che sono all’origine della loro rappresentazione, devono restituire la successione che li ha condotti alla scoperta dell’oggetto e le procedure che li hanno condotti alla sua costruzione.

- L’antropologo deve offrire al lettore l’insieme delle circostanze dell’indagine, esplicitando la dimensione di costruzione della verità.

Tradizionalmente, il metodo antropologico presuppone il distanziamento e privilegia l’esteriorità per il suo oggetto di studio. Il distanziamento è oggi insostenibile perché rinuncia alla conoscenza dei discorsi.Il testo Etnografico Moderno si contraddistingue perché la scrittura reca la traccia dell’esperienza dell’antropologo e questa esperienza che viene descritta riguarda la costruzione dell’oggetto.Il contesto tra informatore e antropologo presuppone lo stabilimento di una base comune di comprensione. Da questo incontro nasce un luogo intermediario tra le 2 culture che rappresenta un momento di pensiero interculturale.Da qui si articola il Problema della Natura del sapere scientifico (antropologico) e indigeno che hanno dei saperi diversi, un mentalità diversa e un’umanità diversa:

- SAPERE ANTROPOLOGICO: ad oggi vuole estrarre i dati dalla temporaneità per rapportarli al presente della scienza e del lettore occidentale a cui si rivolge. Ha la peculiarità di decontestualizzare il soggetto osservato per assorbirlo nella storia del soggetto che lo percepisce;

- SAPERE INDIGENO: si fonda sull’unità temporale di conoscenza e azione.Sono due saperi diversi di grado, non di natura. Non sono uguali dal sapere globale e locale, che riguardano più l’incontro storico, inegualitario, tra un centro e una periferia.

68

L’antropologia si fonda su una possibilità propria solo della storia e della cultura occidentale, infatti essa non può che esistere all’interno del pensiero europeo e del rapporto che lo relaziona a tutte le altre culture.=L’antropologia è nata dal particolare rapporto che la razionalità e la storicità occidentale hanno stabilito con le altre società ed è sorretta da una ragione classificatoria che ripartisce le diverse umanità e temporalità.Ciò che legittima la pratica antropologica è la differenza postulata tra l’osservatore e ciò che egli si propone di osservare per rendere possibile e legittima la pratica dell’antropologo sul campo.

- È qui che si pongono degli interrogativi sul discorso antropologico: “chi sono e cosa vedo?, da quale luogo e da quale configurazione l’antropologo che io sono descrive un’altra cultura?, …”.La soluzione è che l’antropologo deve assumere la differenza per interrogarsi sulla propria identità! La comparazione non deve e non può essere tra i 2 termini neutri “Noi e Loro”, ma tra “Loro” e “Noi” che guardiamo loro!Le condizioni coloniali e di dominio hanno permesso di fondare un pensiero positivo sull’altro.Per quanto il sapere antropologico possa essere oggettivo bisogna sempre tener conto della condizione concreta cui si ispira il suo sapere, cioè della sua appartenenza alla cultura dominante dell’antropologo: solo con questo riconoscimento si può criticare il discorso antropologico come espressione di un rapporto etnocentrico.

I Limiti dell’antropologia postmodernista:“Io sono etnografo per cui ciò che osservo è etnografico”.Postulare un’eguaglianza senza differenza, senza gerarchia sostenendo l’equivalenza tra le voci e le culture, ignorando i rapporti di forza che agiscono tra le stesse culture è già sbagliato di principio.Ad esempio un immigrato magrebino in Francia avrà un bel dire che la sua cultura ha avuto una sua dignità e che in determinate circostanze ancora può averla: ciò non servirà a cambiare la percezione che ne ha la società maggioritaria, né la sua gerarchia di valori, partendo da quelli francesi/europei fino ad arrivare al fondo con i valori magrebini e più in generale arabi, musulmani e del Terzo Mondo. Per avere un riconoscimento un giorno, tale magrebino dovrà dar prova della sua capacità di padroneggiare il codice culturale maggioritario o dovrebbe assimilarsi totalmente al modello dominante, come prima di lui hanno fatto gli appartenenti ad altre minoranze in Francia.Ma si può davvero pensare la differenza senza rapportarla alla cultura di riferimento? Senza fare riferimento alla gerarchia che caratterizza i rapporti storici e ideologici fra le società e i vari gruppi di quella società?

3. CAMPO, CULTURA, TESTO. SULLA COSTRUZIONE DELL’OGGETTO ANTROPOLOGICO

IL LAVORO ANTROPOLOGICOL’antropologo ha innanzitutto un campo di ricerca che sceglie per ragioni sia personali sia scientifiche e presso il quale risiede per un certo numero di mesi o anni. In questi luoghi egli fa l’apprendistato di una cultura e di un modo di pensare, interagisce, fa scoperte, sperimenta errori, raccoglie dati ed elabora le prime sintesi.Torna a casa con diversi “materiali” da trattare con i termini tecnici e modelli teorici, nel quadro di un testo monografico.Vi sono 2 tempi: prima il TEMPO DEL CAMPO e poi il TEMPO DELLA SCRITTURA.La Finalità, infatti,è di offrire un testo elaborato attraverso il quale comunicare ad un potenziale lettore (normalmente un collega) la propria visione dell’esperienza dei membri della società presso cui ha soggiornato.Ma in realtà il lavoro è più complesso:

1) Va respinta l’idea che vi sia una realtà (il campo) “data”, che esiste indipendentemente dal lavoro antropologico e pronta per essere esplorata e descritta dall’antropologo. Questa è una visione ingenua del lavoro sul campo, fondata su 2 illusioni:

69

a) Credere che osservare “dall’esterno” l’oggetto renda possibile l’oggettività, infatti la differenza tra il soggetto della ricerca e l’oggetto non è una qualità intrinseca dell’oggetto, ma il prodotto di una diversa storia che li costituisce entrambi;

b) Credere nella simultaneità tra l’oggetto da vedere e l’atto di vedere : così facendo si annulla la distanza storica e si cade a credere che l’oggetto sia un dato pronto per essere osservato.

Quindi la conoscenza antropologica è il lavoro di mediazione con la distanza e la differenza.2) CAMPO: ha una duplice valenza:

- Spazio geografico , il luogo in cui si compie la ricerca;- L’oggetto della ricerca si trova nel campo .È l’espressione dell’autorità etnografica (produce “verità”); a partire dalla rivoluzione Malinowskiana, l’esperienza sul campo è la garanzia della verità contenuta nel testo etnografico.Il campo ha una Funzione Performativa: nel senso che ha una funzione di definire le frontiere di una comunità omogenea.Nel campo, inoltre, è dove avvengono le prime sperimentazioni di situazioni, i cosiddetti “aneddoti” o gaffe nell’interazione con gli informatori che permettono all’antropologo di dimostrare la competenza interpretativa acquisita e fungono da mezzo di cui avvalersi per la ricerca per arrivare a nuove conoscenze. La conoscenza antropologica sorge sul campo da un processo dialogico tra antropologo e informatore assieme ad un lavoro simbolico tra due o più individui.Esempi:1°: Geetz e il combattimento dei galli a Bali, Indonesia: egli partecipava ai combattimenti, ma non riceveva alcuna attenzione da parte della popolazione locale, finché non sopraggiunse la polizia per fermare un combattimento, poiché illegali, ed egli scappò assieme ai locali e fu da quel momento che fu ammesso nella loro cerchia! La complicità diventa la possibilità del contatto! Per i balinesi il combattimento dei galli era la forma di educazione sentimentale peculiare della loro cultura.2°: Favret-Saada e la stregoneria nel Bocage normanno: la comprensione non è un neutro sapere, ma ha a che fare con la partecipazione dell’antropologo a un insieme di atti comunicativi, a una rete di enunciazioni in cui gli sono assegnati uno o più ruoli.3°: Kilani e i documenti nell’oasi di El Ksar, Sud Tunisia: per ricostruire la loro storia egli volle rapportare un sapere locale e particolare ad un sapere scientifico globale, attraverso l’osservazione, la registrazione e la deduzione, adottando un atteggiamento oggettivista, ricorrendo ai documenti sempre citati dagli oasiani per sostenere le loro ricostruzioni genealogiche. Ma tali documenti non erano mai concretamente disponibili e l’insistenza per farseli mostrare rasentava la scortesia e rischiava di perdere la simpatia dei suoi informatori. Ma il suo interesse per ricostruire il loro passato ha fatto in modo che lo stesso Kilani iniziava ad essere citato nei discorsi genealogici, era il messaggero che faceva circolare informazioni da un punto all’altro del villaggio, alimentando e rilanciando le discussioni che avevano a cuore.4°: Bernardi e il Mugwe (VEDI P…….).

- L’esperienza sul campo ha un effetto determinante nella costruzione dell’oggetto antropologico. Tale esperienza di conoscenza ha una natura dialogica: la comprensione non è una questione di neutro sapere, appunto, ma un insieme di atti comunicativi.

3) TESTO SCRITTO: è dove ha inizio la costruzione del testo antropologico che era cominciato sul campo; è il formato in cui si organizza la scrittura; il campo è una versione della realtà sociale, inseparabile dalla rappresentazione testuale, come indica il termine etno.- Monografia antropologica di campo : il testo antropologico appare come il prodotto

convenzionale che nasce da una pratica anch’essa convenzionale;- Monografia classica : analisi sintetica intensiva della “vita comune” registrata dall’antropologo

nella lingua indigena; è una pura descrizione di situazioni ben delimitate nel tempo e nello spazio per rappresentare una certa società come un’entità in sé, con una struttura fissa; la gente, le forme sociali e culturali sono costrette entro i limiti della rappresentazione standard, come una sorta di icona;

- Corpo del testo : strutturato secondo la successione: ambiente fisico, sistema di sussistenza, sistema di parentela, sistema politico, religione e forme simboliche.

Come si vede, nella monografia, si passa progressivamente dalla periferia al centro di una cultura, dal visibile al meno visibile, dall’oggettivo al soggettivo!

70

MALINOWSKI: risente dei vincoli strutturali nella monografia classica, ma risponde anche ad una esigenza di comunicazione: egli scelse di scrivere i suoi testi in modo che potessero essere letti come un romanzo, per offrire un quadro vivente della cultura indigena.Oggi che l’antropologo è sempre più attento ai contesti di negoziazione del proprio sapere, oggi che il soggetto sottoposto all’osservazione è capace esso stesso di scrivere o contestare un testo antropologico, emergono altre modalità di rappresentazione testuale.L’etnografia standard, di stampo realistico, consiste nel dare ad intendere che sono i fatti stessi a parlare, ma sta lasciando il posto ad una:Nuova etnografia discorsiva, più dialogica, consapevole del soggetto dell’enunciazione (antro), quanto del soggetto enunciato e disposta a riportare nel testo la negoziazione dei punti di vista di queste 2 entità(= contesto di interazione dinamica/multipla nella costruzione di conoscenza). L’antropologo riporta e mostra il modo in cui è stato coinvolto nel campo e inserito nei discorsi, ed il modo in cui se ne è distanziato per ricostruire una rappresentazione per il lettore, ma sempre attraverso una forma di scrittura che si denota per il modo di parlare dell’oggetto.Più in generale si può dire che oggi gli antropologi tendono a produrre testi sempre più personali, testi in cui il ricercatore considera se stesso come oggetto di ricerca o addirittura all’interno del progetto e dell’orizzonte della scrittura etnologica.I nuovi autori vogliono raccontare ciò che hanno personalmente vissuto e che nel testo monografico tradizionale non si avvera il diritto di citare, questo contro il principio della cancellazione del sé, che finora ha sotteso la conoscenza dell’altro e la scrittura antropologica.

Monografia (Etnografia) classica come finzione della totalitàLa monografia deve creare nel lettore un effetto che dia il senso della totalità dell’ordine.La monografia si presenta nella sua forma finale come espressione del sapere globale di una certa cultura, come il riflesso di tale cultura. Nella realtà una società non viene mai osservata interamente: se ne sperimentano solo delle parti, che vengono poi rapportate all’entità più vasta, alla quale non si può più accedere direttamente.Tuttavia, per creare nel lettore un effetto che dia il senso della totalità e dell’ordine e per produrre un effetto d’insieme, deve ricorrere a:

immagini olistiche, che l’antropologo attinge da letture precedenti, da teorie e modelli preesistenti; immaginazione, parte importante del processo retorico che mira alla totalità, per conferire un senso

all’agire delle persone della cultura che studia; struttura organizzata, per presentare i significati di un ordine coerente (l’ordine dei capitoli traduce

l’ordine delle unità in cui la società è stata scomposta, per simulare, per il lettore, un mondo logico, possibile di significati

Duplice chiusura:I) di ordine spaziale: si vede il tutto come un tutto omogeneo (l’isola, il

villaggio, la comunità);II) di ordine temporale: la presenza dell’antropologo si confonde con il

presente della cultura; è come se l’esperienza dell’antropologo fosse esaustiva. Ad esempio il cannibalismo era una pratica tenuta nascosta….;

Fatto sociale totale, processo che consiste nell’assumere la parte per il tutto: magari nemmeno l’antropologo capisce a fondo il significato di un certo aspetto della cultura locale ( ad esempio il combattimento dei galli), ma lo assume come emblematico della cultura stessa e arriva a aggiungerlo dei significati nuovi che egli stesso crea nel testo che scrive. Ad esempio, Leiris comprende e riferisce che la possessione tra i Gondar dell’Etiopia è una metafora del teatro, del dramma; la somiglianza della cerimonia di possessione con il teatro serve per avvicinarsi al pubblico occidentale!

L’antropologo giunge a comprendere il fenomeno attraverso la stessa metafora da lui trovata. CULTURA COME TESTO, è una metafora utile per capire:

- Come le società si costruiscono attraverso la loro rappresentazioni tipiche che sono testi/descrizioni interpretative che non corrispondono alla pura osservazione, ma è il risultato di riformulazioni che offre delle verità parziali;

71

- Il ruolo essenziale della scrittura nell’interpretazione e nella costruzione degli oggetti del sapere.Il sapere dell’antropologo non è la semplice copia di delle realtà oggettivamente esistenti, ma l’antropologia “modella” ciò che fa conoscere e in tal modo produce delle fiction! E ciò pone il problema della referenzialità!

Dalla fiction alla conoscenzaSe pure c’è finzione, vale a dire costruzione, comunque non può essere finalizzata al solo piacere del testo, infatti una certa corrente “ipertestualista” e postmodernista (ispirazione nord-americana) sottolinea che l’antropologia deve non rappresentare, ma comunicare ed evocare sottolineando l’effetto retorico del testo; pone l’accento più sull’autore che sul testo, cioè diviene autoreferenziale! Il testo non rinvia più ad una realtà fuori del soggetto, non parla più del mondo esterno, ma di un mondo confinato nello stesso testo.Se l’antropologia è certamente una forma di dialogo, di mediazione fra sé e l’altro, è altrettanto innegabilmente volontà di conoscenza e intenzione metodologica. Insomma, se crediamo che oggi occorra prestare attenzione alla crisi della rappresentazione dell’altro e alle esigenze della trasposizione testuale, è perché continuiamo a pensare che qualcosa esista ancora prima che se ne parli, qualcosa della realtà dell’altro che deve essere riportata al pubblico “di qui”.

4. LA SCOPERTA E L’INVENZIONE DELL’ALTRO NEL DISCORSO ANTROPOLOGICO. DA CRISTOFORO COLOMBO A CLAUDE LÈVI-STRAUSS

Come descrivere l’inedito? Come raccontare le cose viste e le genti? Come poteva descrivere l’inedito, ad esempio, Cristoforo Colombo, il primo uomo che approdò nelle Americhe?Per descrivere l’inedito, le cose viste vengono rapportate alle cose conosciute ed è con queste comparazioni che si realizza l’INVENZIONE!

Tuttavia la comparazione non è sufficiente a dare un significato pieno di ciò che si vede per la prima volta, infatti difficilmente si riesce a comunicare la novità.A sostegno della parola viene invocato il vedere e il credere/fidarsi;ma anche il credere non basta perché lo sguardo non riesce a tradurre quell’irriducibile differenza per pervenire ad un senso, lo sguardo deve farsi guidare da qualcosa di precostituito che lo accompagni, deve lasciarsi guidare dalle categorie già acquisite grazie alle quali l’occhio inizia a compiere il lavoro di organizzazione del visibile.Ad esempio i primi conquistadores paragonavano il lama al cammello o al cavallo, oppure Colombo quando vede una donna nuda, probabilmente una ragazzina, pensa e descrive che tutti gli “indios” vadano in giro così, come segno di purezza dell’Eden, però egli stesso non sa se è effettivamente così.Infatti con questi riferimenti già acquisiti, lo sguardo anticipa o addirittura crea l’evento in quanto condizionato da qualcosa che si sa già: sempre Colombo, egli era partito per uno scopo ben preciso che lo ha condizionato per tutto il viaggio: la ricerca dell’Eden!Questa procedura descrittiva è all’origine dell’INVENZIONE DELL’ALTRO!Lo stesso vale per la “cultura osservata”:

- Sempre quando 2 culture entrano in contatto, entrambe elaborano una descrizione dell’altro che permetta di incorporarlo nel proprio mondo, di contestualizzarlo in un corpus familiare di rappresentazioni mitiche; in questo modo la differenza è padroneggiata, e anzi rafforza, la propria identità!Ad esempio, per gli Aztechi, l’irruzione degli spagnoli fu vista assimilata a quella degli dei descritti nei loro miti, che rappresentava la fine di un ciclo vitale; mentre per gli spagnoli non potevano essere delle divinità perché non avrebbero mai alterato il loro sistema cosmologico o la loro tradizione!Oppure nella Hawaii, l’uccisione del capitan Cook, era necessaria perché gli hawaiani vedevano gli dei come stranieri, ma una divinità diviene tale solo attraverso il sacrificio! Non fu un errore degli hawaiani, ma la condizione stessa della percezione dell’esperienza dell’incontro.

La scrittura dell’alteritàLa scoperta del nuovo è sempre stata accompagnata dall’esigenza di una trascrizione.- La scrittura è una modalità privilegiata di apprensione dell’alterità!

72

Nel testo, l’antropologo si attribuisce un ruolo essenziale, un ruolo demiurgico di chi ha visto cose che nessuno ha visto prima e si pone come l’umanità di riferimento, come romanziere, dio che sceglie i propri personaggi e li trasfigura dall’atto.Ad esempio degli Yanomami (America del Sud), vengono date 3 interpretazioni completamente diverse da 3 diversi antropologi (feroci, sensuali e intellettuali) perché:ogni approccio o tentativo di comprensione è una combinazione unica, è il frutto di un particolare incontro e dei particolari Yanomami.Ognuna di queste 3 costruzioni certo non è indipendente dal contesto generale in cui si iscrive: infatti le 3 diverse immagini prodotte dalla retorica derivano da una struttura culturale già data, per cui la metafora dell’altro non è totalmente arbitraria (lo è al 50%!), ma è frutto di un lavoro di associazione che obbedisce a regole culturali codificate.La percezione della realtà non è mai diretta, è sempre mediata e guidata da un modello preesistente o dalle immagini veicolate dalla cultura =Lo sguardo dell’etnologo non è mai completamente nuovo: il suo sguardo attualizza nel presente un modello tratto dal passato/tradizione, dal quale trae un significato e gli fornisce uno schema d’azione e dipende anche dal contesto storico.L’intelligibilità (la conoscenza) del presente è garantita solo dalla mediazione del lavoro sul passato.Solo prendendo i modelli di riferimento del passato capisco il presente che non conosco!È impossibile un’antropologia trasparente e oggettiva! L’interpretazione dell’antropologo è uno sforzo costante di adeguamento reciproco tra la realtà e il suo modello!L’esperienza di ciò che è, è sempre modellata da ciò che è stato detto!L’appercezione della realtà non è mai diretta, è sempre mediata dalle immagini veicolate dalla cultura e, nel caso particolare di Lévi-Strauss, dai ricordi lasciati da precedenti letture di relazioni di viaggio.In antropologia occorre concepire l’interpretazione come uno sforzo costante di adeguamento reciproco tra la realtà e il suo modello.Quindi è necessario riconsiderare la posizione dell’etnologo come parte integrante dell’osservazione.

5. IL DISCORSO ANTROPOLOGICO E I SECOLO DEI LUMI

Il tema trattato qui è l’azione della storia nel discorso antropologico, come l’antropologia non possa dispiegarsi al di fuori della sua storicità.

- È nel 1700 che è nata l’accezione moderna di antropologia, come scienza che aveva per oggetto le produzioni culturali e sociali dell’uomo, ma è un processo che è rimasto incompiuto;

- Secondo Lévi-Strauss, Rosseau ha fondato l’antropologia e serve uno “sguardo da lontano”, che è la condizione per una riflessione generale sull’uomo e disegna il quadro teorico che permette di mostrare contemporaneamente la diversità delle società e ciò che esse hanno in comune.Lévi-Strauss così definisce l’antropologia strutturale (VEDI BERNARDI): di tutte le scienze essa è probabilmente la sola a valersi della soggettività più intima come di un modo di dimostrazione oggettiva!Lévi-Strauss occulta la storicità della relazione col campo e fa della società selvaggia il modello teorico dell’umanità, forse occorrerebbe allora considerarlo il vero creatore della figura del “buon selvaggio”.

- Le varie riletture degli studi del 1700 che oggi molti antropologi fanno, o la ricerca dei padri fondatori della propria traiettoria personale, non fa che riproporre quelle divisioni che caratterizzano l’epoca del 1700.Le divisioni sono 2 tipi di tendenze: Tendenze “teoriciste” (Durkheim, Mauss, Lévi-Strauss, dell’antropologia classica francese); Tendenze dell’antropologo di campo.E le caratteristiche dell’epoca del 1700 sono due tipi di progetti, che corrispondono rispettivamente alle 2 divisioni, e sono: Progetto teorico dei filosofi; Progetto pratico dei membri della società degli osservatori dell’uomo: questa società inaugurò

un procedimento con diverse caratteristiche.- LA SOCIETÀ DEGLI OSSERVATORI DELL’UOMO:

Tali caratteristiche erano che:

73

- Fu un procedimento collettivo scientifico e pluridisciplinare;- Era fondata su una teoria da loro elaborata, cioè l’IDEOLOGIA = forma razionale e scientifica

della filosofia, che può essere allo stesso tempo anche l’unico fondamento filosofico, che può essere proposto alle scienze in generale e ad ogni particolare campo della conoscenza;

- La metodologia è orientata verso l’osservazione.Era costituita da: medici, viaggiatori, storici, naturalisti e filantropi.La finalità era dedicarsi alla scienza dell’uomo sotto un triplice aspetto: fisico, morale e intellettuale.Sul piano metodologico ha apportato delle innovazioni: non bisognava interessarsi solo all’oggetto/i dell’osservazione, ma anche dal MODO in cui si osserva (affinità con il nodo centrale dell’antropologia moderna!)Ma fu sufficiente questa innovazione di metodo per realizzare la rottura?Non proprio, perché se essi misero in evidenza che era necessario osservare sul campo (osservazione partecipante!!!), trascurarono, però, la considerazione delle condizioni di accesso al campo, vale a dire la presenza di un controllo politico e amministrativo, in grado di garantire al viaggiatore la sicurezza necessaria al suo lavoro, e soprattutto non tennero conto del quadro che definisce le condizioni sociali e ideologiche di tale lavoro.

- L’ANTROPOLOGIA MODERNA, dalla fine del 1800, ha cominciato ad esistere il giorno in cui ha avuto una pratica di campo specifica, centrata sulle relazioni sociali definite dalla situazione coloniale.

- L’ETNOLOGIA DELL’INTERNO: vi sono diversi esempi di inchiesta e di compilazione statistica in Francia, la vera etnologia nasce nel 1800 con Napoleone e la sua volontà di raccogliere i dati e le informazioni per evidenziare la varietà di situazioni locali per individuare gli ostacoli che separavano l’imperatore dal suo progetto di unificazione (usi e costumi delle varie regioni della Francia);

- La Letteratura di viaggio (o pre-etnologia, o etnologia dei viaggiatori) è un segmento importante della descrizione dell’alterità.Nel 1700 si passa da un’indagine cosmografica, cioè le descrizioni della flora, fauna, terra e cielo si mescolavano insieme all’uomo, alla sua cultura e alla società, all’inchiesta di tipo etnografico.

- L’innovazione del 1700: passaggio dall’oggetto di studio all’attività epistemologica che lo organizza e gli dà senso: non è più sufficiente osservare le cose, ma bisogna sapere come farlo e come metterle insieme.

Nel corso del secolo dell’Illuminismo si assiste al passaggio da storia come relazione diacronica a storia come riflessione sulla storia e possiamo dire che tale storia è:

- NATURALE: si rivolge ad un uomo visto come universale nel tempo e spazio;- ORIENTATA verso un FINE;- ARTICOLANTE Gerarchicamente i diversi tipi di uomini.Questa è una visione condivisa da tutti i pensatori del 1700.

Duchet, che sostiene che solo nel caso dei popoli civilizzati di Europa e Oriente la parola storia assume tutta l’estensione del suo senso, mentre nel caso del Nuovo Mondo ha solo il senso comune di “descrizione”, e Lafitau, precursore dell’antropologia sociale per Radcliffle-Brown, sostengono il metodo comparativo e utilizzano la comparazione nel discorso antropologico.Il paradigma della storia naturale assume il senso di uno schema di evoluzione lineare, secondo il quale lo sviluppo dell’umanità è guidato da leggi: le società contemporanee civilizzate e selvagge sono tappe di questa evoluzione.In sintesi e come già precedentemente detto, una volta condotto il selvaggio sul nostro terreno, la differenza fra lui e noi non è più di natura, ma di grado.

- Quindi gli osservatori dell’uomo sono i precursori dello schema evoluzionista, il quale si svilupperà appieno nella seconda metà del 1800, caratterizzata dall’antropologia vittoriana sociale e culturale moderna.

Peron rovescia definitivamente la rappresentazione del selvaggio del 1700 modificando l’immagine ideale e romantica della natura e dell’uomo naturale che nel 1700 era corrente.Egli sostituisce quella del selvaggio come esemplare e testimone di un altro stadio della natura umana con quella del selvaggio come soggetto da esperimento da osservare come strumento scientifico.Le idee di Peron, inaugurano 2 prospettive nuove, di tipo:

74

1) Naturalista: fa scendere il selvaggio dal piedistallo e ne proclama la caduta dal paradiso, si passa dal “buon selvaggio” al “cattivo selvaggio”. Peron afferma la superiorità dell’uomo civilizzato, comprovata dai suoi esperimenti sulla debolezza fisica e morale dei selvaggi (ad esempio utilizzò un particolare dinamometro per misurarne la forza fisica). Per questo legittimava la missione civilizzatrice e colonizzatrice dei bianchi, cioè l’impresa coloniale, e ne confermava la forza (morale e fisica) il progresso era una questione di forza e di energia, quindi c’era un legame tra la forza e il progresso. Peron quindi inaugura un approccio:

2) Deterministico: per cultura e società, pretendendo di spiegare le differenze sociali e culturali con mezzi/conoscenze mediche e biologiche/geografiche, comparando i vari caratteri anatomici dei climi e dei regimi alimentari. In questo modo viene impegnata l’antropologia in una problematica medica e biologica (craniologia).Inoltre il selvaggio è diverso dall’ indigente (che è un contadino, un montanaro).

PARTE SECONDA: ALCUNE COSTRUZIONI CULTURALI

6. PORA-PORA: LE VICISSITUDINI DEL PRIMO CONTATTO

In Papua Nuova Guinea, gli abitanti questo popolo si consideravano degli “ajorab”, dal nome della lingua parlate nelle decine di villaggi della regione, ma è una definizione che Kilani gli dovette strappare, per delimitare il territorio esplorato, in realtà essi non si davano un nome!Questo è strano e poco rassicurante per chi proviene da una civiltà come la nostra che è basata sulla classificazione e sulla suddivisione!Forse furono proprio degli esploratori a battezzare questa regione con il nome di “Pora-pora”, dato che per noi, per la nostra società dare un nome significa:

- Superare almeno in parte i propri timori di fronte all’ignoto e allo strano;- Equivale anche ad esercitare da subito la propria sovranità su un territorio e anticipare la

sottomissione dei suoi abitanti.Dopo quello del nome, veniva ad aggiungersi il:Problema della semantica delle relazioni: non capivano il desiderio dei bianchi di lasciare le capanne dove loro solitamente vivono e di trasferirsi nelle grandi case di cui loro si servono per le cerimonie rituali e dove risiede lo spirito degli antenati. Kilani capisce che questo loro desiderio faceva emergere con forza le loro identità.Inoltre si trovarono spesso imbrigliati nel ruolo del bianco: già il fatto di essere li tra loro era considerato come un segno tangibile della potenza dell’uomo bianco. Dovettero più volte ribadire agli indigeni che nel luogo da cui provenivano c’erano solo bianchi, e non solo a impartire ordini ma anche a lavorare (frutto dell’epoca coloniale questo rapporto inegualitario).Un giorno, un abitante particolarmente sveglio si avvalse della loro presenza per trarne un vantaggio personale, aveva in progetto di far aderire il maggior numero di persone ad una organizzazione del governo centrale (per la costruzione di una città) con cui aveva dei rapporti, la loro presenza doveva servire a dare concretezza a questo tipo di progetti astratti e lontani.

- Questa arte dello sviamento e dell’ambiguità, utilizzando e manipolando i simboli, era molto diffusa tra i Melanesiani e gli europei l’anno sperimentato a proprie spese per volte durante la lotta contro i:

CULTI DEL CARGO= sono dei Movimenti Socio-religiosi che traducono la rivendicazione di indipendenza e di modernità in un linguaggio fortemente simbolico, ad esempio l’immagine del cargo è il simbolo del potere e della ricchezza degli europei.I culti del cargo erano mal visti dall’amministrazione coloniale che li equiparava alla magia dei primitivi e vedeva in essi un qualcosa di pericoloso per i bianchi.

I dirigenti dei culti del cargo capirono presto l’importanza/convenienza di conciliarsi con gli stranieri e di usare il prestigio derivante dalla loro potenza per rafforzare la credenza a l’adesione dei propri seguaci.Es.: durante le prime elezioni nazionali dove parteciparono i Melanesiani, molti leader non dichiarati di questi culti invitarono degli australiani ad accompagnarli nelle tournee elettorali, ma ovviamente nascosero

75

che la loro presenza al loro fianco era solo una strategia per servirsi del loro prestigio e per mostrare ai potenziali sostenitori la capacità di captare la magia del bianco.

Effetti Cargo : viene captato il prestigio del bianco per deviarlo verso un’altra direzione. Nel villaggio Bosnum gli “ajorap” rimasero sbigottiti nell’apprendere che loro (Kilani &Co.) non credevano nella chiesa. Com’era possibile? Per i Pora-pora la chiesa è appannaggio, fa parte, del bianco, è una manifestazione della sua potente cultura e l’adesione ad essa è per i Pora-pora un mezzo per incorporare parte della virtù dei Bianchi, addirittura essi si convertivano alla chiesa per “assomigliare” di più ai bianchi e alla loro perfezione.Quindi Kilani si dovette convertire e confermarsi per rispondere alle loro aspettative ed assumere la loro identità di bianchi con tutto il corredo di credenze e comportamenti codificati, solo così avrebbero potuto tornare a prendersi “gioco” di loro.Per i Melanesiani UOMO BIANCO VOLEVA DIRE:- Potere- Chiesa- Razionalità cieca- Convinzione di controllare le situazioni. Tanto impegnati di queste convinzioni da rimanere

ciechi di fronte al linguaggio simbolico dei “selvaggi”.- Incontro con il BIG MAN:

nella cultura melanesiana è un uomo considerato per il suo senso delle relazioni sociali, per la sua generosità e le virtù oratorie.Tra i Pora-pora egli, appena seppe del passaggio di Kilani, si precipitò ad incontrarli per allargare la cerchia delle sue relazioni e dei possibili “clienti” cui distribuire favori e trarne in cambio il riconoscimento verso i suoi concittadini per aumentare il suo prestigio e la sua importanza. Non avendo merci da scambiare, decise di scambiare prestigio: raccontò miti e racconti genealogici con i quali tendeva a valorizzare la sua importanza e questo avvenne in delle ore in cui la gente era a lavorare nei campi, senza che quindi li potessero rimproverare l’intrusione nel loro spazio; fu un vero e proprio comportamento da signore, lontano dai comportamenti quotidiani degli altri abitanti.

Nell’ambito della ricerca condotta da Kilani a Pora-pora egli vuole analizzare e tener conto del POTERE DELLA CULTURA OCCIDENTALE nel rapporto con l’Altro:secondo Kilani , infatti, non bisogna cercare di occultare la propria appartenenza nel fare ricerca, ma bisogna metterla in gioco, problematizzando gli effetti che tale incontro hanno sull’Altro.Quindi guarda innanzitutto alle stranezze che noi occidentali vediamo come tali tra di loro.

7. I CULTI DEL CARGO MELANESIANI. OVVERO COME LO SPIRITO DEI BIANCHI GIUNGE AI PAPUA MEDIANTE I LORO ANTENATI

La Melanesia non è mai stata terra associata ad un passato felice, ad un’età dell’oro, ad un Eden perduto e nemmeno le sue bellezze naturali vennero trasformate in miti dell’esotismo e del Romanticismo, a differenza dell’Oceania Polinesiana.Perché?Con lo sbarco degli europei alla fine del 1800, i Papua, già dal primo sguardo, vennero classificati come gli esseri più primitivi tra i più primitivi: niente di loro accumunava ai popoli conosciuti dagli europei dei mari del sud: né il nero della pelle (Melas= nero dal greco), né la fisionomia associata da un aspetto scimmiesco (Papuwa = crespo; in portoghese per estensione scimmia); vennero subito accostati alla stirpe maledetta della discendenza di Cam , figlio di Noè, nella Bibbia.Le visioni stereotipate dai bianchi volevano che i Papua avessero queste caratteristiche:

- Religione rudimentale;- Mancanza di spiritualità;- Cosmologia disordinata.

Quest’ultima si gioca su un instabile rapporto tra vivi e morti: IL CULTO DEGLI ANTENATI è fondato su una relazione contrattuale tra le 2 parti, è volto alla preservazione del benessere degli individui che fanno

76

offerte agli antenati per ottenere agio e ricchezze materiali: tale cupidigia appariva scandalosa agli europei, perché allontanava i papua da ogni sforzo produttivo, degna comunque di un’anima nera e di uno spirito primitivo.Inoltre la credenza assoluta dei melanesiani in questo culto degli antenati ne rendeva difficile ogni utilizzazione da parte degli europei.Ad esempio per i culti del cargo i melanesiani spendevano tutte le forze per fare in modo che funzionassero, ma a volte poteva essere uno sforzo mal speso, ed erano frustrati dal fatto che non potevano ricevere il cargo, furiosi con i loro antenati, e contro se stessi, gli indigeni finiscono addirittura a bruciare il loro raccolto, le risorse esistenti o scannarsi!

I Papua visti dai bianchi dal punto di vista del sistema genealogico biblicoL’immagine che i bianchi hanno formulato dei Papua è il frutto, innanzitutto di un incontro di sguardi, che si incrociano, che si giudicano e che poi si trasformano in uno scontro oggettivo di forze.Ognuno dei 2 protagonisti non fece che rifarsi alle proprie idee culturali.Nel lavoro di codificazione dell’antropologo, i bianchi furono in particolare influenzati da:

- Periodo storico: la fine del 1800 fu un’epoca di conquiste e di imperialismo, per avere potenze coloniali;

- Interpretazione europea circa l’origine e la filiazione ancestrale dei diversi popoli della terra, ispirata alla Bibbia, secondo il

Mito CAMITICO:Noè ebbe 3 figli: Jafet, Sem e Cam.I discendenti di Jafet sono gli europei, i discendenti di Sem sono gli asiatici più, con la scoperta dell’America, gli indiani che corrispondevano alle 10 tribù perse di Israele, secondo la Bibbia. C’è una perfetta corrispondenza anche perché veniva confermata la profezia secondo cui Jafet un giorno sarebbe stato chiamato ad abitare le dimore di Sem!Infine, i discendenti di Cam sono i neri africani.Questo è un COMPARATIVISMO GERARCHICO FONDATO SULLA DISCENDENZA DI NOÈ.

Nel 1900 la cultura scientifica era esasperata, il rifiuto del nero si faceva sempre più accentuato, il razzismo dilagava: il nero e la scimmia sono degli esseri che nessuna educazione avrebbe civilizzato.

L’incontro tra il bianco ed i melanesiani avvenne sotto questi condizionamenti. Sin dall’inizio, convinto della superiorità della propria civiltà e dell’inferiorità degli esseri con la pelle scura, l’europeo non sbaglia circa la vera natura del papua, ma lo vede dal punto della sua verità, interpretandolo secondo il proprio quadro di valori di riferimento.=È un MALINTESO, caratteristico di tutte le situazioni di contatto.Baré: “il malinteso è una dimensione necessaria e tutto sommato banale della comunicazione tra culture”.Il malinteso è produttivo, nel senso che conferisce significato alle cose, cioè crea l’evento (vedi J. Diamond: il processo e la morte di Atahualpa!)

I Bianchi visti dai Papua: la divinizzazione dei BianchiL’avvento del bianco venne immediatamente letto e organizzato secondo l’ordine culturale melanesiano, ecco perché l’insediarsi dell’amministrazione coloniale tedesca non fu difficile, ma questo non era dovuto alle grandi capacità dei bianchi, al numero dei coloni o la loro tecnologia militare, ma fu bensì la benevolenza manifestata dalla popolazione locale verso quei bianchi venuti come amici e possessori di una cultura materiale superiore.Quindi l’arrivo dei bianchi fu inserito nella tradizionale concezione melanesiana, per cui:

- Tutto ciò che è estraneo all’universo conosciuto partecipa ai poteri sovraumani;- Il fuori era il paese dei loro antenati, gli eroi culturali (ex Big Men), dispensatori di cultura materiale

e benefattori.Il modo in cui gli europei si presentarono ai Papua condusse loro a pensare che essi venivano da molto lontano per aiutarli a superare le loro difficoltà, li convinse dell’identità delle 2 categorie. Gli europei rientravano così bene nel ruolo loro attribuito, cioè di divinità, tanto che ogni incontro rappresentava per i Papua una conferma della loro credenza.

77

La convinzione manifestata dai Papua, che un giorno i bianchi li avrebbero resi partecipi dei loro beni, non nasceva dalla semplice cupidigia, ma era parte della loro struttura culturale:SCAMBIO: simbolo dell’umanità e divinità;NON-RECIPROCITÀ: all’esterno e si fonde con l’ordine naturale.

Quindi se:1- I bianchi erano delle divinità e2- Con le divinità vi è un rapporto di scambio, dispensatori di beni materiali,

ecco che perciò i Culti del Cargo sono strutture intermediarie tra passato e presente:la storia viene organizzata come metafora di realtà mitiche (capacità di coniugare storia e mito).- Infatti, in un primo momento, per tutto il tempo in cui lo scambio di doni e servizi produsse i suoi

effetti, essi non ricorsero ad alcun rito/manipolazione, sarebbe stato superfluo: l’ordine culturale non era turbato.

- In un secondo momento, quando gli europei tardarono o erano riluttanti a stabilire relazioni di reciprocità (con il tempo erano diventati più indipendenti nei confronti degli autoctoni), SORGONO DEI CULTI volti a ristabilire l’ORDINE SOCIALE E COSMICO, nei quali NON si rivoltano contro le loro divinità (gli europei), ma se la prendono con gli uomini (loro stessi): era sicuramente per colpa loro o degli antenati più vicini, per un loro atto che le divinità tardavano ad offrire loro il cargo.

- Alla fine i Papua impararono a “smitizzare”: di fronte alla riluttanza dei bianchi a stabilire relazioni di reciprocità; le missioni costituirono l’ultima risorsa per stabilire l’ordine.Il Cristianesimo offriva ai Papua diversi vantaggi:

Ritenevano di poter accedere alla spiegazione e al padroneggiamento del cargo; I missionari sembravano disposti a condividere con i loro segreti della loro religione.

La scelta del dio dei bianchi, associato all’eroe culturale tradizionale, non fu merito dei missionari, ma fu una scelta ragionata dei Papua, in vista di un loro progetto.I Papua così accettano la storia genealogica dei bianchi (discendenza di Cam), ma per rovesciarne la prospettiva, avendo in comune gli stessi antenati, chiedono ai missionari di passare all’atto e di onorare i legami di parentela con gli indigeni.

- Ultima fase: quando i melanesiani si accorgono che neanche le missioni cristiane intercedono in loro favore e hanno anzi la tendenza a condannare le loro rivendicazioni del cargo e dell’uguaglianza con i bianchi, allora conservano il riferimento al dio cristiano, ma cambiano interpretazione:Dio + Gesù: associati agli eroi culturali tradizionali dei neri;Adamo + Eva: associati agli eroi culturali dei bianchi.

Ciò che rimane invariato è lo stupido errore commesso all’inizio dai melanesiani, errore che fece perdere il cargo a vantaggio dei bianchi, le divinità impressionate dalla miseria degli indigeni, andarono a liberarli dalla miseria e a punire la doppiezza dei bianchi che non solo si erano impossessati del cargo, ma avevano nascosto anche la verità agli indigeni.Questo processo di esclusione dei bianchi dall’universo cosmologico dei Papua andrà crescendo fino al punto che i bianchi saranno percepiti solo sotto forma di catastrofe-disastro totale, fenomeno singolare.

Che ruolo giocò il culto degli Antenati?Un ruolo fondamentale nell’adattamento dei melanesiani alla storia dei bianchi: grazie ad esso poterono far conoscenza della società europea, scoprire l’eterogeneità, le contraddizioni interne e la loro relatività: d’un tratto i Papua poterono volgere uno sguardo etnologico, non compiacente al mondo dei bianchi, scoprirne la molteplicità di identificazioni nazionali,, genealogiche, delle etiche, delle ideologie, delle lotte di clan,…e fecero conoscenza diretta di 3 gruppi sociali rappresentativi del loro universo:1) Missionari: condannarono la visione tradizionale dei Papua, il culto degli antenati, la

trascendenza del reale, il senso di appartenenza al gruppo, … a favore di una “visione secolare della religione e del mondo, della salvezza individuale e del duro lavoro” per garantire la prosperità della terra;

2) Coloni e Funzionari: i Papua sperimentarono il razzismo moderato dei tedeschi e quello irresponsabile e semplicistico degli australiani;

3) Antropologi e Studiosi: vedono la separazione del regno ciclico del mito e l’apoteosi del pensiero magico che legittima il culto degli antenati. Faranno dell’alterità irriducibile del selvaggio la ragione d’essere della loro disciplina.

78

La loro antropologia non sarà mai riflessiva e rifiuterà a priori ogni interesse per l’endotico e per la messa in prospettiva di sé e dell’altro. L’antropologia esotica funzionerà come se un melanesiano fosse tutti i melanesiani e come se tutti i melanesiani fossero tutto il selvaggio, lasciando nell’ombra il bianco o civilizzato.

Un’antropologia dell’endotico ci permetterebbe di porci la seguente questione: “un bianco è tutti i bianchi?”.Il sapere etnologico deve svincolarsi dalle credenze particolari dai culti privati, quali che siano e da qualunque parte provengano, per affermarsi come sapere trasversale.

8. TIGRE, PANTERA, LEONESSA E LE ALTRE. OVVERO LA PASSIONE PER LA VACCA NEL VALLESE

Kilani si distanzia nettamente e criticamente rispetto alle immagini della montagna, come universo selvaggio e il desiderio di conquistare ed addomesticare lo spazio naturale, che si impongono spontaneamente all’osservatore; si interessa, invece, all’attività agricola, al modo in cui la montagna del Vallese si inserisce nel contesto di modernizzazione che ha investito queste regioni dagli anni ’60.Questo approccio si distingue da quelli che analizzano l’AGRICOLTURA A TEMPO PARZIALE più sotto l’aspetto dei condizionamenti esterni, quali:

1) la pianificazione del territorio e lo sviluppo turistico;2) come mezzo per mantenere sul posto la popolazione locale al fine di garantirsi una manodopera

stabile nei settori economici non agricoli;3) strumento per assicurarsi un reddito supplementare in regioni in via di sviluppo.

Motivazioni socio-culturali e centralità dell’allevamento nell’agricoltura di montagnaQueste funzioni, sopra citate, fanno si che si perda di vista la reale natura dell’agricoltura a tempo parziale, oggi praticata nelle valli, poiché in realtà esse dipendono da altri fattori inerenti la pratica dell’agricoltura, come l’attaccamento alla terra e, soprattutto, l’allevamento di una particolare razza di bovini HERENS, oppure un certo modo di vita incentrato sulla comunità di villaggio, oppure ancora un certo tipo di scambi sociali imperniati intorno alla vacca. Senza questi fattori, probabilmente, non ci sarebbe più l’agricoltura a tempo parziale.L’agricoltura secondaria è oggi possibile proprio perché non si tratta più di un’agricoltura di 30 anni fa: le sovvenzioni e la meccanizzazione spinta, resa possibile dai salari guadagnati in altri settori, hanno reso più facili il lavoro e la vita.Paradossalmente questa agricoltura si è mantenuta e si è rafforzata non perché è diventata redditizia, ma perché è un’attività in cui sono predominanti le motivazioni sociali e culturali. Gli agricoltori sono consapevoli della loro rinnovata utilità pubblica che non ha niente a che vedere con la loro primitiva funzione di produttori.L’attività agricola non è utile, o poco, viene fatta più per la passione, la passione per le regine, le vacche Hérens.Una delle motivazioni primarie della pratica dell’agricoltura secondaria consiste nella duplice dimensione della libertà e della creatività: essa fa riferimento al lavoro liberamente scelto al diritto di un’attività autodeterminata, in parte gratuita e intrapresa per piacere.Nell’agricoltura accessoria, l’equilibrio nello sfruttamento della terra è garantito essenzialmente da fattori di ordine qualitativo, come la ripartizione delle mansioni in seno alla famiglia, l’organizzazione del tempo libero, la qualità dei rapporti fra le generazioni.Vi sono delle attività comuni come certe forme di aiuto reciproco, la frequentazione dello stesso alpeggio, la partecipazione alle assemblee informative, e tutte contribuiscono a mantenere e rafforzare i legami di socialità e di solidarietà tra i membri della collettività.Il rapporto con la terra è anche un rapporto di valorizzazione: potersi approvvigionare latte, carne, formaggio, verdure, vino, ecc … è il risultato tangibile dello sforzo compiuto dall’agricoltore a tempo parziale, l’espressione materializzata del suo saper-fare, un modo concreto per affermare la sua identità e autonomia.Nell’agricoltura secondaria i rapporti con la natura e la produzione non sono tesi al massimo profitto, è una pratica per eccellenza sociale e culturale.Un elemento centrale della pratica dell’agricoltura a tempo parziale è l’allevamento dei bovini di razza Hérens, rinomati per la robustezza, la prestanza, l’eleganza, nonché l’attitudine al combattimento. È una motivazione principale per proseguire un’attività in cui comunque si investe molto tempo, lavoro ed energie.

79

Le vacche hanno 2 funzioni principali:1) latte: aspetto utilitario;2) combattimento: aspetto simbolico.

Vengono tenute in stalle diverse.C’è chi pensa che bisogna valorizzare solo l’aspetto produttivo o del combattimento, ma indipendentemente dalla loro utilità, le vacche sono un fine in sé, una fonte di piacere e di soddisfazione: il loro possesso, il semplice contatto con esse, è fonte di soddisfazioni di ordine materiale, psicologico e sociale. Sulle vacche Hérens si concentrano le ambizioni più folli e astratte, ma anche i gesti più quotidiani; esse sono oggetto di costanti cure e richiedono l’attenzione continua del proprietario.

Gesti e parole: la prossimità con la vaccaIl proprietario ha con la mucca un rapporto affettuoso. La accarezza, vanta con fierezza le sue qualità, la chiama per nome, le parla,… Assegnare alla vacca un simile ruolo nello scambio verbale fa sì che il colloquio nella stalla assuma una dimensione supplementare.Il rapporto tra il visitatore e il proprietario si arricchisce con un terzo personaggio, la MUCCA, sulla quale si concentrano le maggiori attenzioni (il 98% delle vacche Hérens sono localizzate nel Basso Vallese). Il proprietario è ammirato dai segni di riconoscenza e di obbedienza che gli dà la vacca. Inoltre è molto attento al suo stato di salute e, in caso di malattia, si rifiuta separarsene, perché mandare al macello una vacca è un avvenimento grave.Famiglia: per molti aspetti le vacche fanno parte dello spazio familiare e hanno un posto nell’album di famiglia. Il loro sviluppo e la loro carriera di lottatrici è seguito come si farebbe con i bambini in casa!Prima dell’invenzione della macchina fotografica , la fama di una vacca era raccontata da molte storie, poesie, proverbi, leggende e racconti che si tramandavano.La vacca dunque è molto più di una vacca: è una rappresentazione di tutta una serie di attività, di comportamenti, di valori propri alla collettività contadina.Differenziazione tra i sessi: l’accudimento della vacca costituisce una prima differenziazione fra i sessi.

- DONNA: nella stalla si occupa soprattutto della pulizia dell’animale e della manutenzione dei locali. “La donna spazzola …”;

- UOMO: munge la vacca, la porta all’alpeggio. “… e l’uomo la accudisce”.I discorsi degli uomini sono del tipo che ama talmente combattere che dimentica la sua femminilità. Le qualità combattive sono un riferimento obbligato.Una percezione così mascolina della vacca sembra essere ammessa dalle donne, che espressamente dicono che le vacche sono affare degli uomini. Gli uomini vedono la femminilità della vacche quando si tratta di produzione del latte e dalle sue capacità riproduttive.Spesso gli uomini mascherano questo discorso preferendo sempre l’aspetto combattivo, ma tengono molto anche all’aspetto produttivo della sua vacca! (anche nel combattimento dei galli troviamo una distinzione!).Il bestiame come perno della socialitàFra gli uomini esiste un codice di comportamento che detta le parole e i gesti riguardanti il bestiame. Gli animali sono al centro delle loro conversazioni e delle loro preoccupazioni. Nelle grandi occasioni, come l’uscita dalla stalla in primavera, l’inalpe e i combattimenti organizzati, l’interazione fra gli allevatori si fa ancora più intensa. Si ipotizza chi è vantaggiato, chi invece ha perso qualità, chi si vanta di essere sicuro di vincere,… I bovini di razza Hérens sono un pretesto per relazioni interpersonali intense e ricche , che riguardano spazi frequentati essenzialmente dagli uomini, come la piazza del villaggio, i dintorni delle stalle, le arene di combattimento e soprattutto i bar, per eccellenza centro della socialità maschile.L’animale gioca un ruolo unificatore e allo stesso tempo suscitatore di conflitti.Inoltre le varie generazioni familiari, nonni, padre, figli si scambiano consigli, si raccontano le esperienze, pianificano il lavoro da fare, cioè sono tutti coinvolti direttamente nella cura dei bovini.Ulteriormente ancora il valore pedagogico della vacca è tale che i bambini fin da piccoli sono abituati a stare nella stalla per essere educati al gusto del lavoro.La cura in comune dei bovini è più di una semplice ripartizione dei ruoli tra i membri della famiglia, poiché si traduce in uno spirito di mutualità che sostiene, o addirittura rafforza la coesione e la solidarietà familiari.In Famiglia la vacca può anche divenire oggetto di conflitto. Un marito può venire criticato dalla moglie se tratta troppo bene le sue vacche, offrendo loro cibi raffinati come il pane o esagerando con le cure, preferendo la vacca alla moglie! Oppure un padre criticherà il figlio che pensa solo al combattimento e non alla produzione del latte.

80

Questi conflitti non fanno che sottolineare la centralità del ruolo che ha la vacca in queste collettività e l’importanza dei valori e dei comportamenti che si cristallizzano intorno ad essa. Indipendentemente dal valore, economico o affettivo, tutti sono d’accordo nel riconoscere le relazioni affettive che li legano al bestiame.

Prima o poi le vacche o il proprietario diventano vecchi. Nel primo caso la vacca non produce più latte e non ha più le forze combattive, è un animale da compagnia, difficile da separarsene dopo tutto l’affetto che c’è stato; ne secondo caso, quando il proprietario va in pensione e percepisce l’assegno da pensionato, è un motivo per intensificare la relazione con le vacche!

Bruna o bianca, corna o latte, combattimento o produzione: un’opposizione strutturante Tra gli agricoltori del Vallese vi è tutta una serie di simboli per riconoscere le razze, in base al colore del mantello.Il termine bruna o nera rimanda alla qualità intrinseca della vacca propensa al combattimento, differenziata dalla razza bianca, propensa per la produzione del latte.Possiamo così opporre simbolicamente le 2 funzioni della vacca:

Bruna BiancaCorna Latte

Combattimento ProduzioneSocialità Utilità

L’universo simbolico dei nomi Tra le vacche Hérens vi è una ampia tipologia di nomi, che vanno dagli aggettivi qualificativi, ai nomi di gioielli, nomi di persona, ecc …I nomi possono avere una duplice valenza:

1) In campo combattivo: nomi di animali feroci: Tigre, Leonessa, Pantera, in base anche all’eleganza dell’andatura e della posizione del corpo nello scontro, la finezza e le strategie di attacco, la determinazione nella lotta,… oppure nomi tipo Tuono, Corona, Bandiera, Battaglia, Nastro, Campione,… (metafore di carattere metonimico);

2) In campo amoroso: sono nomi con una forte associazione con la donna: Colomba (nomi di uccelli), Tulipano (nomi di fiori), Bijou (nomi di gioielli), Dora, Flora, Magali, Fanny, Margot, … (nomi propri di donna) e infine aggettivi qualificativi come Mignon (carina), Charmante (affascinante), ….

Lo stesso vale anche per i galli.

Inoltre l’universo simbolico associato alle vacche è arricchito da 2 altre categorie:- Nomi di personalità (Tito, Bardot, Dalida,…)- Nomi di titoli nobiliari (Principessa, Regina, Contessa, …).

E i tori Hérens?Anch’essi hanno dei nomi del tipo di personaggi del cinema o del circo come Tarzan, Zorro, Tintin,… oppure nomi non descrittivi come Goldorak, Dixan, Ponpon, oppure ancora nomignoli come Polo, Lulù, Julo, Jimmy,… Ciò traduce in modo eloquente la posizione, se non marginale, almeno secondaria che occupa il toro: esso ha una funzione strettamente utilitaria, cioè riproduttiva, per gli allevatori della razza Hérens.

L’atto di dare un nome obbedirà ad un registro che serve al proprietario ad identificare la vacche per poterle iscrivere nel Herd-Book: le denominazioni delle nuove vacche sono concepite come un sistema di associazioni alfabetico-fonetiche suddivise per lettere.L’allevatore sceglie generalmente per gli animali nati nello stesso anno una serie di nomi che cominciano tutti con la stessa lettera alfabetica (Baar, Babine, Bachli, Badine, Bagnes, Bague, Bahia, …), in modo che le generazioni siano nettamente distinte.I bovini di razza Hérens fanno parte sia del sistema tecnico-economico, sia del sistema socio-culturale dell’uomo: sono quasi dei soggetti più che degli oggetti.Questo spiega anche il ripudio a mangiarne la carne: questo Tabù alimentare è paragonabile al tabù sessuale tra i membri della famiglia!

81

L’uomo e il bestiame in altre societàTra le civiltà pastorali più rinomate per l’amore verso gli animali si possono citare i Nuer e i Dinka del Sudan, i Masai del Ciad, i Peul dell’Africa occidentale.Tra questi popoli, commenta Evans-Pritchard, il bestiame costituisce un vero e proprio idioma, questi popoli “socialmente parlano il bovino”.NUER:

- Al di là dell’utilità materiale, il bestiame possiede un valore sociale, elemento dal quale si organizzano le relazioni sociali, prendono forma i riti e le credenze, si concretizzano le ambizioni e le soddisfazioni degli uomini;

- Vi è una certa simbiosi tra uomo e animale: un uomo conosce tutti i suoi animali, quelli dei parenti, degli alleati e dei vicini;

- Si prende cura di essi: toglie loro le zecche, li accarezza, canta loro delle lodi. Adornano le corna di ghiande e di campane ed amano parlare delle loro bestie;

- Al di fuori di certe cerimonie sacrificali, non è permesso uccidere una bestia per nutrirsene;- Gli uomini assumono come nome aggiuntivo quello che descrive una delle sue bestie favorite; le

donne prendono il nome di certe vacche che mungono;- Il sistema tassonomico dei nomi è complesso, e riguarda i colori, la loro distribuzione e associazione,

la forma delle corna, il sesso, l’età dell’animale;- Consacrando le proprie vacche agli spiriti di un lignaggio, il nuer stabilisce un contatto con gli

antenati e riafferma i legami di parentela e le alleanze tra i gruppi;- Per il loro bestiame sono pronti a morire, i bovini sono il principale motivo di controversie

all’interno del gruppo e fra i gruppi.MASAI:

- Il bestiame costituisce la ricchezza per eccellenza, ogni proprietario ha un rapporto di affetto e di tenerezza con le sue vacche;

- Tra lui e la bestia si instaura una vera “comunicazione”: ad ogni muggito, l’allevatore risponde con un complimento;

- Quando una vacca muore per un incidente o per una malattia, l’allevatore piange e non ne mangerà mai la carne, perché è come se era un suo parente;

- Le vacche più favorite hanno un nome di tipo scherzoso, volto a sottolineare le relazioni giocose e quasi amorose. Infatti l’allevatore Masai è pieno di attenzioni per i suoi bovini, dà loro dei soprannomi e talvolta gli fa la corte come se fosse una fidanzata.

Il bestiame rappresenta quindi il centro delle attività e della relazioni sociali di questi popoli. L’interesse verso i bovini va ben al di là del loro valore economico.

L’Alpeggio e i combattimenti di regine, ovvero il luogo geometrico della comunitàNel Vallese il bestiame trae importanza dalle relazioni sociali che contribuisce a creare o a rafforzare. Gli spazi sociali sono i luoghi in cui si afferma collettivamente il gruppo e in cui si svolgono intensi scambi; essi si attualizzano in modo privilegiato con l’ALPEGGIO e i COMBATTIMENTI durante la stagione estiva.La salita all’alpeggio è cosa che coinvolge tutta la comunità: tutta la famiglia, parenti più o meno vicini, gente del villaggio e da fuori si preparano fin dall’alba per questo evento.All’arrivo sull’alpe ognuno sceglie una frazione di pascolo per lasciare pascolare la propria mandria prima della grande confusione. Chi assiste si prepara tirando fuori dalle borse fiaschi di acquavite e vino, serviranno per calmare la sete e placare le angosce segrete dei proprietari.L’alpeggio comunitario è un’occasione per distinguersi dagli altri, chi aspira a questo cercherà di acquisire prestigio e onore a detrimento dei suoi pari per mezzo delle qualità combattive della propria vacca.Il fatidico giorno del combattimento i proprietari delle regine appaiono ansiosi: le incoraggiano, le accarezzano, mentre intorno gli intenditori esaminano le mandrie, valutano le changes, ricapitolano le imprese precedenti, fanno scommesse. Quando il capo mandriano decide di riunire le mandrie e di mescolarle, i proprietari abbandonano l’improvvisata arena e iniziano i combattimenti. Alcune vacche iniziano a grattare furiosamente la terra, altre continuano a brucare. Gli spettatori incoraggiano l’umore trasgressivo. I proprietari incoraggiano l’animale al combattimento e chi osserva nota che sembra che sia l’uomo a combattere al posto dell’animale!Vi è presente tutto un insieme di valori e di rappresentazioni che rinviano a più ambiti di significazione:

82

1- Il combattimento di regine è un combattimento autentico;2- Tale combattimento è immaginato come una lotta aspra e incessante, a immagine della lotta del

montanaro contro lo scatenamento delle forze della natura.Rappresentano l’idea dello sforzo e della conquista, delle necessità di libertà,…

Le qualità della vacca servono tanto a designare quelle del montanaro quanto a tradurre il senso dell’ambiente in cui vive e delle attività che svolge.La vittoria appare anzitutto come la spettacolare ricompensa del saper-fare dell’allevatore, il premio per aver scelto un gran animale e per avergli dato tutte le cure necessarie per aver ottenuto questi grandi risultati!Inoltre il combattimento di regine ha effetti diretti anche sui rapporti sociali, perché attiva gli scambi e rafforza la socialità. Chi beneficia del prestigio derivante dal fatto di avere una regina, ha un certo obbligo morale nei confronti della comunità che glielo riconosce: deve offrire da bere al bar!, non deve far uscire la regina dal villaggio o dalla vallata e non deve cederla a stranieri (comportamento d’onore). Questo nel passato, mentre oggi la circolazione dei bovini di Hérens tra le vallate è la regola, e la gloria del villaggio sta nel fatto di poter citare il numero di regine, originarie della zona, sparpagliate in tutta la regione.La circolazione di regine instaura un sistema di conoscenza reciproca tra i villaggi dal Basso Vallese, dell’Alto Vallese e della val d’Aosta.

Bruna e bianca: i conflitti di villaggio e la loro risoluzioneL’eterogeneità sta aumentando, il vettore è costituito dall’introduzione di nuove razze di bovini, soprattutto di razze “bianche”.Numerosi allevatori si sono sentiti obbligati per ragioni economiche, a prendere delle migliori produttrici di latte, la maggior parte lo ha fatto per ammortizzare l’investimento per un nuovo stabilimento agricolo o un nuovo macchinario, altri per il desiderio di innovazione e modernità.Ormai tra gli allevatori prevalgono le valutazioni quantitative, in termini di produzione di latte, inoltre le vacche bianche sarebbero più facili da allevare e più pacifiche.Avviene un rovesciamento dei valori in quanto il carattere bellicoso della razza Hérens diventa segno di degenerazione e il risultato di un fanatismo dei suoi estimatori.Ciò che fino a qualche anno fa sembrava assurdo e inaccettabile, oggi viene preso in considerazione a certe condizioni. Infatti gli allevatori accettano l’introduzione di vacche “bianche” solo per ragioni di tipo economico, e quindi non cancella totalmente la passione per le regine e tutte le attività sociali che le accompagnano! Lo si fa “per provare, per vedere”.Alcuni innovatori sostengono che l’introduzione delle “bianche” è per avere un maggiore rendimento del latte e mantenere per puro piacere un certo numero di Hérens. E sarebbe questa la condizione stessa per la salvaguardia della razza di Hérens.La tendenza odierna a destinare una parte del bestiame alla produzione lattiera e un’altra parte allo svago non sarebbe altro che la versione moderna della tradizionale ambivalenza dell’allevamento nelle regioni di montagna.

La separazione tra produzione e combattimento : una minaccia all’allevamento vissuto come totalità Le tendenze attuali privilegiano sempre più il combattimento a discapito della produzione. I combattimenti organizzati ed il loro crescente successo presso un pubblico largo, in cui la gente di città si mescola ai contadini, hanno infatti creato una situazione in cui è diventato possibile separare le corna dal latte. Trasformati in spettacoli di massa e sottoposti all’influenza finanziaria esercitata da ricchi sostenitori, abitanti in pianura, i combattimenti organizzati hanno introdotto una nuova forma di eterogeneità all’interno delle collettività di montagna.Certe persone sono attirate sia dal prezzo che possono avere le regine, che dalla gloria che può derivare dal successo derivante da una vittoria, e per questo investono solo nelle regine. Di conseguenza numerose stalle si specializzano solo nell’allevamento delle lottatrici, tipo le scuderie che allenano cavalli da corsa.Ciò non può che creare delle condizioni conflittuali fra gli allevatori.Inoltre i ricchi proprietari non si occupano direttamente dei loro bovini, ma ingaggiano dei salariati . Si ironizza negli alpeggi che quegli allevatori non sanno nemmeno riconoscere le loro vacche.La cosa che colpisce maggiormente è l’ASSENZA DI RAPPORTI di prossimità con la vacca, è la cancellazione del lavoro e dello sforzo a vantaggio della sola finalità del combattimento (questo succedeva anche tra i combattimenti di galli).

83

I piccoli proprietari che hanno ambizioni nei confronti dei combattimenti e che sperano di imporsi anche in pianura sentono d’essere espropriati dai “nuovi ricchi” (di pianura o di montagna) di un’attività che finora dipendeva poco dal denaro.Un altro elemento di eterogeneità interviene tramite la distinzione, se non l’opposizione, che vi sono ora combattimenti d’alpeggio e combattimenti di pianura . Quelli d’alpeggio sono i più “autentici”, più vicini al temperamento delle vacche, più interessanti perché riuniscono allevatori conosciuti,… Quelli di pianura sono percepiti come “artificiali”, da “vanagloriosi”, come uno sport che costa caro, un lusso da ricchi.I combattimenti organizzati:

I) Danno il senso innanzitutto di una comunità disgregata. Mettono insieme individui diversi, la relazione con l’animale non è la stessa per tutti i partecipanti;

II) Mettono in gioco non una mandria come nell’alpeggio, ma delle vacche isolate, raggruppate in diverse categorie di combattimento, stabilite in anticipo secondo criteri di peso e di misura. Non vi è più l’indeterminazione, l’ondeggiamento, la mobilità nell’acquisizione del titolo di regine che caratterizzano i combattimenti d’alpeggio;

III) La regina vince quello stesso giorno, sono combattimenti calcolati al minuto e controllati da una giuria; la vittoria va alla vacca che “ha imparato a difendersi”.

La Folklorizzazione dei combattimenti di regine, ovvero il trionfo dell’utilitarismo I combattimenti organizzati, “grazie” alle autorità cantonali, esperti di zootecnia, le organizzazioni promotrici, hanno oggi un carattere folkloristico e campagnolo di buon livello e paradossalmente sono la causa del deterioramento dell’immagine dell’economia alpestre del Vallese e di una lettura falsata della realtà di montagna.I combattimenti organizzati impediscono un approccio obiettivo all’agricoltura di montagna.L’attività di un agricoltore a tempo parziale che si dedichi, insieme alla famiglia, alla concreta pratica dell’allevamento non è identificabile con quella di un proprietario il cui solo legame con la vacca si esprime attraverso lo spettacolo dei combattimenti.Si viene quindi a creare una certa REALTÀ FRAZIONATA che sembra che debba esprimersi necessariamente in una dimensione o nell’altra, e mai simultaneamente in entrambe. Questa separazione fra i 2 ordini di pratiche, che si compie in virtù di una logica utilitaristica, determina sia l’istituzionalizzazione folk lorica dei combattimenti di regine, sia la riduzione dell’attività agricola a pura funzionalità economica.Da un lato si valorizza la produzione lattiera e si incoraggia il produttivismo, dall’altro, si fa dei combattimenti di vacche un’attività di spettacolo epurata e controllata. Le due tendenze sono profondamente interconnesse.

Tutto accade come se la percezione della modernità non possa più oggi prendere corpo al di fuori dei segni imponenti della logica produttivista e del suo corollario, cioè la logica dello spettacolo mercificato; le attività dei pochi agricoltori rimasti vengono catalogate come “sterile folklore”.

L’accaparramento della razza di Hérens da parte dei notabili: verso una nuova identità locale In tutto ciò ci si pone la domanda:

se le valli laterali e le regioni di montagna possano ancora disporre di riferimenti particolari per affermare la loro originalità, o se, al contrario, non siamo in presenza di una cancellazione delle frontiere tra pianura e montagna a causa della logica produttivista?

I nuovi ricchi (imprenditori, liberi professionisti,…) stanno diventando paradossalmente i depositari della tradizione e gli agenti della conservazione della razza Hérens; hanno i mezzi per investire in questa razza senza essere obbligati a dedicarsi all’allevamento. Il proprietario paga un vaccaro che segue la vacca e inoltre gli fornisce tutto ciò di cui ha bisogno, la vede ogni tanto scambiando 4 chiacchiere e 2 carezze.L’allevamento della razza di Hérens rischia sempre più di diventare affare di una minoranza che dispone di mezzi, ma poco o per niente coinvolta nella pratica agricola propriamente detta (qui avrei da ridire …).Oggi non c’è più bisogno di essere agricoltori per avere una vacca, bisogna essere ricchi.I notabili possono legittimamente sentirsi i difensori dell’identità locale e rivendicare il prestigio e la distinzione che discendono da una tale conservazione del patrimonio.Il possesso del bestiame, a qualsiasi titolo, diventa il criterio fondamentale della contadinità, anche agli occhi delle autorità cantonali.

84

La vacche allevate soltanto per il combattimento, a svantaggio della produzione lattiera, possono beneficiare delle sovvenzioni cantonali o federali, poiché benché lottatrici, le regine sono comunque produttive. Contribuiscono alla conservazione del paesaggio, il che si inserisce perfettamente nella nuova politica agricola.L’allevamento dei bovini di razza Hérens si trova oggi in una situazione dinamica instabile, collocato all’incrocio di numerose influenze e finalità: da un lato una forte integrazione nella modernità e dall’altro il radicamento in un patrimonio culturale locale.Il suo futuro dipende tanto dallo Stato, erogatore di sovvenzioni, e dal mercato, fornitore di posti di lavoro e di salari, quanto dalla vitalità di certi valori sociali e culturali , contesi da diverse categorie di attori sociali ed economici che hanno interessi spesso divergenti.

9. L’ACQUA E IL LIGNAGGIO NELL’OASI DI EL KSAR: A PROPOSITO DELLA NOZIONE DI ETNICITÀ

La caratteristica dell’oasi sud-tunisina è la notevole diversità ed eterogeneità, che si traduce in non solo al ricorso di tecniche di irrigazione differenti, ma anche a forme sociali, culturali e simboliche diverse.In ogni oasi la gestione dell’acqua è strettamente legata all’organizzazione sociale.Kilani studia il caso nell’oasi di Gafsa: è un esempio che ci mostra come un gruppo sociale definisce la propria IDENTITÀ e sul processo per il quale stabilisce relazioni con altri gruppi.A Gafsa, la ripartizione dell’acqua non è regolata dal diritto tribale, ma dal sistema di lignaggio, che rappresenta il quadro entro il quale venivano ripartite e raccolte le porzioni di acqua individuali.La questione dell’etnicità e delle relazioni etniche viene vista in una nuova prospettiva:

- Che tenga conto della sovrapposizione e interpretazione dei raggruppamenti umani;- Che tenga conto delle diverse strategie di identificazione messe in atto;- Che tenga conto della funzione performativa del discorso e della terminologia indigena nella

categorizzazione e classificazione dei gruppi (sociali, culturali, economici e storici).Questo è un approccio totalizzante.

Nel caso specifico dell’oasi di Gafsa, per capire la questione dell’organizzazione del lignaggio bisogna rifarsi al sistema idraulico tradizionale:

L’oasi di Gafsa era divisa in 7 spazi diversi ed anche i sistemi di distribuzione dell’acqua erano divisi tra loro: la proprietà era connessa alla terra, al lignaggio o agli individui. Le unità di misura variavano secondo i luoghi e la natura delle fonti d’acqua.Ognuno di questi villaggi era organizzato, almeno a livello delle categorie utilizzate nel discorso, sul modello di lignaggio in uso nelle tribù nomadi insediate tutt’attorno.Se la ripartizione dell’acqua avveniva secondo la struttura del lignaggio, ciò non significava che l’applicazione di un sistema sociale era di tipo tribale, infatti il modello di organizzazione era sì basato sul lignaggio, ma in modo molto diverso tra gli abitanti del villaggio e quelli nomadi.Quindi bisogna distinguere:

- gli abitanti del villaggio, quelli che si definiscono gli abitanti originari con: una memoria genealogica molto debole e assente; un’endogamia praticata in modo molto indefinito/flessibile, cioè si sposano anche al di fuori

del lignaggio e pretendono comunque di essere gli abitanti originari- gli abitanti di origine nomade, a Gafsa sono marginali con:

una profonda memoria genealogica; effettiva pratica dell’endogamia;

85

Raggio = 30 km

non hanno diritti sull’acqua e sulle proprietà fondiarie.

Perché gli abitanti originari adottano un modello di lignaggio poco compatibile con la “norma”, cioè che è solo un riflesso del modello tribale?

Come possono affermare la loro identità assumendo il linguaggio proprio delle tribù nomadi circostanti, dalle quali vorrebbero differenziarsi?

1^ Spiegazione:gli abitanti del villaggio, provenendo effettivamente dai luoghi più diversi, rivendicano un antenato comune, questo è il sistema del lignaggio, proprio per il desiderio di identità che cercano di affermare adottando lo stesso modello delle tribù circostanti;

2^ Spiegazione (poco pertinente):lo spazio sociale dell’oasi non sarebbe altro che un prolungamento dello spazio nomade, ma è impossibile stabilire una linea di continuità.

In realtà, nel villaggio, la portata del sistema di lignaggio si svela nella sua originalità (rispetto alle tribù nomadi), solo in riferimento allo spazio tecnico-economico dell’oasi: diventa allora l’elemento centrale, il principio che organizza e ordina le modalità di accesso all’acqua e la sua distribuzione.Prima della riforma del sistema idraulico degli anni ’60 (che dopo l’indipendenza della Tunisia, ha portato a una uniformazione dei sistemi idraulici, alla soppressione della proprietà indipendente dell’acqua, la rotazione topografica dell’acqua con una distribuzione proporzionale alla dimensione delle superfici ed infine l’introduzione dell’ora come unità di misura) il lignaggio era il perno intorno al quale si effettuava la ripartizione dell’acqua tra i proprietari (si seguiva l’ordine dei lignaggi) introducendo una certa razionalità, un ordine in grado di tenere insieme tutte le varie modalità, ad esempio il rispetto del diritto di proprietà ed eredità, tener conto della distinzione tra la proprietà della terra e la proprietà dell’acqua, …Infine, permetteva l’inserimento dei nuovi venuti attribuendo loro un posto in un ordine prestabilito.Il criterio per l’integrazione nell’oasi era il LIGNAGGIO / PROPRIETÀ DELL’ACQUA, no l’appartenenza a un lignaggio e no per la proprietà della terra.

Come si può leggere allora la struttura di lignaggio dell’oasi?La struttura del lignaggio era un principio che regolava il livello tecnico-economico ed era un principio di organizzazione dello spazio sociale pubblico perché:il modo di ripartizione dell’acqua creava legami e solidarietà, permetteva di condividere il medesimo tempo sociale: rafforzava l’identità del lignaggio, l’acqua era intesa nel senso della riunificazione, costituendo il quadro attorno al quale la comunità si riconosceva e si identificava.“L’acqua fonda la comunità”.

Il lignaggio è la struttura che presiedeva ai vari contesti della sfera pubblica, un luogo di manifestazione dell’identità locale.Ma l’eccessivo afflusso di proporzioni di acqua ha obbligato la creazione di un nuovo lignaggio per i nuovi venuti!Conclusione: gli abitanti del villaggio avevano adottato un modello simile a quello vicino dei nomadi per conferirgli un altro significato che preservasse il proprio modo di vita:gli abitanti del villaggio avevano quindi creato una struttura permanente che reinventava continuamente l’etnicità, l’identificazione locale con il gruppo, pur in assenza di una identità primigenia fondata sul sangue e che permetteva di mantenere la separazione tra gli “oasiani”, cioè i nomadi stanziati da 2, 3 o 4 secoli che si dedicavano all’agricoltura e all’artigianato, e i “non-oasiani”, cioè i nomadi allevatori, per mantenere una differenza in rapporto di scambio. Erano gruppi complementari e indispensabili l’uno con l’altro.

Il “lignaggio nomade”, invece, utilizza sempre un modello di lignaggio che però si compie su piani differenti:

- Versante del villaggio : l’identità di lignaggio si rivela nel possesso di parti d’acqua e nello spazio arbitrario e coltivato;

- Versante nomade : si sottolinea la veridicità e la verificabilità della propria memoria genealogica e della propria origine del lignaggio, erigendosi a guardiani della “norma” e della purezza dell’origine e dell’organizzazione del lignaggio.

È il medesimo linguaggio, ma sono rappresentazioni e pratiche di lignaggio differenti!

86

Col trattarli alla stregua di altri individui isolati e totalmente esterni al villaggio, i membri dei lignaggi “nativi” rifiutano di riconoscere ai lignaggi periferici lo stesso statuto dei lignaggi di villaggio presenti nel territorio dell’oasi.

Entrambi comunque sono sistemi di classificazione, tra i quali ciò che varia è l’ampiezza della rete cui si riferiscono.Sul piano dell’insediamento abitativo e su quello delle attività sociali, i lignaggi nomadi sono sempre stati ai margini del villaggio di El Ksar, stabilendosi e sviluppandosi nelle sue immediate vicinanze, ma volgendogli risolutamente le spalle. Ogni lignaggio nomade ha il propria moschea, il proprio santuario, il proprio cimitero, frequentati esclusivamente dai membri del lignaggio stesso e dai parenti che vengono dall’esterno per visitarli. Al contrario, gli abitanti del villaggio frequentano indifferentemente i luoghi di devozione e di incontro disseminati nei diversi quartieri di lignaggio e condividono gli stessi cimiteri.Quindi il sistema di classificazione:

- Nel villaggio è ad uso locale, per classificare gli individui all’interno dell’oasi;- Tra i nomadi si riferisce ad uno spazio più vasto, con numerosi gruppi dispersi territorialmente e

socialmente, che serve a riconoscere un individuo in contesti diversi di scambio economico, sociale e religioso.

Ciò che distingue i 2 sistemi è dunque l’ampiezza della rete : più la rete (più i gruppi, più le persone) è ampia e più l’identificazione con il lignaggio è forte; il lignaggio di origine nomade per poter circolare in un ampio raggio devono essere attenti a coltivare una memoria genealogica profonda, per tracciare precisamente l’ascendenza. Insomma il modello di lignaggio si realizza meglio fra gli abitanti di origine nomade, piuttosto che fra gli abitanti “nativi”, perché i primi ricercano una più forte identità nel quadro di un più ampio spazio di interazioni.

Il lignaggio “oasiano” attualeCon l’indipendenza, negli anni ’60 avviene una profonda trasformazione del sistema idraulico con un intervento dello Stato: viene soppressa la proprietà individuale dell’acqua che diventa di proprietà statale:La distribuzione/rotazione dell’acqua non si basa più sul lignaggio, ma su un ordine rigido, determinato dal senso di scorrimento della fonte verso la periferia dell’oasi, ed è legato alla terra: ogni particella di terreno riceve la sua parte nel giorno e nell’ora fissati secondo la sua posizione nel catasto dei canali (come in Perù!) e ciò ha avuto come contropartita la frantumazione della comunità, un tempo costituita intorno alla gestione dell’acqua.Viene considerevolmente ridotto lo scambio sociale intorno al tema dell’acqua.Questa nuova situazione viene avvertita come una rimessa in discussione delle loro identità, un’usurpazione dei loro diritti, e ciò porta ad un’emigrazione degli abitanti più istruiti e l’indebolimento delle attività tradizionali. Oggi a Gafsa ci sono 80.000 abitanti, ¼ degli “oasiani nativi”!

Cosa è accaduto nell’organizzazione del lignaggio?Contro ogni aspettativa, la coscienza di lignaggio non si è indebolita (nelle circostanze pubbliche gli abitanti continuano ad identificarsi e a presentarsi con il nome del lignaggio per cercare di salvaguardare la permanenza di relazioni e un modo di essere), anzi si è quasi rafforzata.

Perché?Perché gli abitanti sono stati letteralmente invasi da nuovi immigrati e così gli oasiani hanno fatto ricorso ad una forma disponibile, quella dell’organizzazione in lignaggi per marcare immediatamente la differenza con questo elemento eterogeneo.Inoltre, l’organizzazione in lignaggi opera non solo a livello di identificazione, ma anche a livello di spazio pubblico. I nuovi venuti hanno costruito le loro abitazioni all’esterno del nucleo oasiano originario (che segna una netta frontiera sociale tra le 2 collettività) che resta di dominio degli oasiani nativi, insieme agli appezzamenti coltivati.Oggi, gli oasiani appartengono alla “tradizione” e valorizzano il passato, mentre gli ex-nomadi, che ora si sono stabiliti, appartengono alla “modernità” e viene a perdersi lo scambio che prima avveniva con questi allevatori!

Il lignaggio: una logica classificatoriaLa classificazione in lignaggi aveva un significato puramente posizionale e non identificava alcun contenuto sostanziale. Designare qualcuno con il nome del suo lignaggio serviva a classificarlo, non ad identificarlo, e continua a farlo, perché identifica gli autoctoni.

87

Il LIGNAGGIO è una forma che permette ad ogni realtà, nomade o sedentaria, di produrre le proprie categorie atte a classificare gli attori sociali nei diversi contesti in cui interagiscono.È inutile quindi partire dal “modello di lignaggio” o dal “modello di tribù” (feticcio) e cercare quindi di definire il termine a priori, cioè dal modello.Bisogna invertire il procedimento: cioè analizzare il termine lignaggio e che tale termine acquisisca senso ed assolva a certe funzioni in modo diverso a seconda del contesto (spazio sociale e tempo storico).La stessa cosa avviene in altre parti del Magreb, dove ci si serve della genealogia e delle divisioni in gruppi tribali, non su una base etnica-razziale, ma semplicemente come un principio di classificazione.

La tribù/lignaggio possono ricondursi ad una “reminescenza” di un presunto stato storico anteriore?No, sarebbe un errore equivalente di prendere il mito per storia, cioè ricondurlo ad una tradizione storica, un ricordo che i contemporanei degli eventi avrebbero trasmesso ai loro discendenti.Solo Evans-Pritchard mostrerà che nella costruzione di queste genealogie non si segue una direzione “passatopresente”, ma al contrario è dal presente che parte il processo di costruzione del passato fittizio, il che equivale a:

storia come causa storia come immagine/metafora!Nell’opera sui Nuer, Evans-Pritchard mostrerà che i nomi degli antenati presunti siano combinati in modo tale da adattarsi alle identità contemporanee, non recando alcuna traccia di un “tempo reale”.

La Logica Segmentaria, per la quale i gruppi si identificano solo distinguendosi dagli altri, secondo diversi livelli di opposizione, ha rinnovato la questione dell’etnicità e del trattamento dell’altro, trattamento che spesso non è che un modo indiretto di pensare il medesimo; l’autentico, il compiuto, il puro, la tribù il lignaggio e la stirpe santa.

Tuttavia, nell’ambito dell’analisi bisogna reintegrare la storia (liberata dalla causalità necessaria e dal determinismo) e concepirla come un quadro nel quale si esprime il modello del lignaggio.

Nell’oasi di Gafsa , il lignaggio è: Un gioco di corrispondenze che perpetua la struttura e al tempo stesso integra il cambiamento; Una forma che permette lo scambio tra l’interno e l’esterno; Un gioco di linguaggio che permette di riordinare le posizioni all’interno della gerarchia sociale.

10. GLI ABITANTI DELL’OASI CREDONO ALLE LORO GENEALOGIE? SULLE NOZIONI DI CREDENZA E DI SAPERE IN ANTROPOLOGIA

In che modo Kilani ha costruito il suo oggetto nel campo?Bisogna innanzitutto problematizzare la nozione di CREDENZA, nel modo in cui è stata finora intesa nella teoria antropologica:1) Credenza come MODO DI PENSIERO relativo a un certo stato mentale e caratterizzante il

modo di funzionamento di una società tradizionale;2) Sapere scientifico si oppone alla credenza, qualificandola come un sapere negativo (e ci

insegna che da una parte c’è il sapere puro dell’antropologia, dall’altro le credenze). Il ricercatore è colui che vuole sapere, MAI colui che crede!

Inoltre, secondo intere generazioni di antropologia, le credenze (dogmi, preconcetti) avrebbero un carattere universale, esprimerebbero cioè l’ortodossia, la forma canonica di una cultura.Ma questa credenza degli antropologi è fondata sulle credenze delle società tradizionali? Non è piuttosto una prospettiva assunta dall’osservatore? È questo che giustifica la riflessione sul modo di costruire il discorso antropologico.KILANI VUOLE PROBLEMATIZZARE LA NOZIONE DI CREDENZA ADOTTANDO UNA PROSPETTIVA RIFLESSIVA CHE INDAGHI QUESTA NOZIONE NON PIÙ SOLO

88

RELATIVAMENTE ALL’OSSERVATO (la credenza altrui), MA ANCHE RELATIVAMENTE ALL’OSSERVATORE (anche l’antropologia crede, e crede alla credenza degli altri).Kilani vuole dimostrare che la Credenza non è ciò in cui si crede, è una costruzione sociale consapevole, ha carattere di attività sociale, un mezzo per stabilire un accordo tra partner.

- CREDENZA: non funziona a partire dal credente, ma a partire da un plurale indefinito (gli altri) che si suppone che sia il garante della relazione di credenza.Ad esempio la Stregoneria: un individuo sostiene la credenza nella stregoneria perché tutti gli altri ci credono.

La costruzione della credenza è una costruzione sociale.NELL’INTRODURRE LA SIMMETRIA TRA SAPERE INDIGENO E SAPERE SCIENTIFICO KILANI VUOLE CONFRONTARE LE VARIE PROCEDURE DELL’UNO E DELL’ALTRO NEL COSTRUIRE IL PROPRIO OGGETTO.Questo per mostrare in quale misura i 2 saperi possano somigliarsi, comunicare e interagire; e in quale misura si differenziano e si allontanano.Costruzione della memoria e dell’identità di lignaggio nella società oasiana da 2 punti di vista: dei suoi membri e dell’antropologo:

Membri Antropologo

Oggetto da costruire Propria identità etnica Identità etnica degli oasiani

Come? Prima avviene la presa di coscienza delle funzioni di tale identità.Poi attraverso la messa in atto di strategie retoriche, la si definisce e la si negozia per farla accettare.

Sia costruendo un modo per accedere alla conoscenza dell’identità di lignaggio;sia costruendo una rappresentazione coerente di tale identità per far si che essa venga condivisa da un pubblico di lettori.

Più precisamente si tratta di affrontare la classica questione del come le persone appartenenti ad orizzonti differenti, arrivino a comunicare oltre le frontiere culturali.

1^ TAPPA:Comprendere l’importanza strategica del sistema di Lignaggio (Linguaggio dei Lignaggi) come principio-cardine che regola:

- L’occupazione dello spazio coltivato;- La ripartizione dell’acqua;- La morfologia spazio abitato;- L’integrazione dello straniero.

2^ TAPPA:Comprendere l’importanza della traccia scritta per gli oasiani:

- Per gli OASIANI: i documenti scritti sono un elemento centrale e solo la loro evocazione può avere un effetto persuasivo profondo sugli ascoltatori;

- Per gli ANTROPOLOGI: viene sedotto dalla loro (apparente) cultura storica e dalla prospettiva di poter ricorrere a documenti storici per verificare le affermazioni degli informatori.

La condivisione dell’esperienza del documento storico servì a conferire a Kilani una certa competenza, un ruolo nei discorsi ed una certa complicità.

3^ TAPPA:89

Comprendere la funzione del documento:essi non entravano mai nel dettaglio del contenuto dei documenti (che spesso ignoravano): se si volevano delle precisazioni bastava andare a consultarli (così dicevano); l’importante non era conoscerne il contenuto o verificarlo, ma solo menzionarne l’esistenza certa e controllabile, in una strategia della credenza e della convinzione! (vengono ritenuti segni che rafforzano la credenza e l’adesione al proprio discorso, come garanzie di veridicità).Ma:C’era sempre qualcosa che impediva di avere accesso ai documenti, nonostante la buona volontà degli oasiani: o i documenti erano di difficile accesso, o erano momentaneamente persi, ma nel contempo erano sempre là e si era sempre pronti a ritrovarli.Quindi il documento in questione è sempre sottratto allo sguardo dell’antropologo, ma anche dei compaesani. Questo rientra nella strategia di persuasione, alimentare l’incertezza significa rafforzarne la credenza e l’eventuale adesione delle 2 parti (colui che lo invoca e l’interlocutore)!È il mistero e il segreto che circondano il documento, che ne determinano la funzione nella strategia argomentativa degli oasiani e agiscono nel senso di persuadere tanto l’attore sociale, quanto il suo interlocutore.Kilani stesso giocava un ruolo attivo, infatti il suo ruolo “oggettivista”, rispetto a ciò che li raccontavano i suoi informatori e rispetto alla natura del rapporto che occorreva avere col documento, in realtà gli impedivano di scoprire ciò che poi gli fu più chiaro. Il documento aveva una funzione nella strategia argomentativa degli abitanti dell’oasi e agiscono nel senso di persuadere tanto l’attore sociale, quanto il suo interlocutore. Inoltre, il fatto che Kilani desse valore alla traccia scritta ebbe l’effetto di rafforzare l’attenzione dei suoi informatori verso i documenti notarili: in qualche modo legittimava il fondamento del loro procedimento, consistente nel legare la memoria orale alla memoria scritta.Ancora Kilani, offrendo dei suggerimenti, domande o precisazioni, diventava a far parte integrante dei loro dibattiti e delle dinamiche che ne scaturivano.Kilani diventava il testimone attivo, quindi, della memoria genealogica dei suoi informatori, appunto perché il suo credere nel documento e mostrarsi interessato serviva ad:

- avvicinarlo ai suoi interlocutori;- accrescere la credenza dei suoi interlocutori stessi in tali documenti e nelle loro versioni che

aspettavano solo un pretesto per circolare di nuovo.Il suo cercare di verificare tutto ciò che dicevano in tali documenti e il suo sapere positivo (neutro, reale) così accumulato era inefficace e controproducente con i suoi interlocutori che erano mal disposti verso questo tipo di “sapere in sé” (senza finalità), poiché per loro il sapere da accettare non può che avere una finalità, in particolare quella di identificare e classificare gli individui e sistemare i rapporti sociali, perciò questo sapere di sé lo scartavano e lo passavano sotto silenzio, considerando l’antropologo un ignorante in storia locale.Kilani doveva aprirsi non alla storia, ma alla PRATICA DELLA STORIA SUL PIANO LOCALE! Gli oasiani mettono in comunicazione passato e presente, mito e storia, il locale e il globale: la storia universale si ritrova nell’evento locale e la storia locale diventa storia universale, doveva cogliere la corrispondenza fra il gioco dei segni della storia e il gioco delle variazioni verbali che concorrono all’identificazione di sé.

L’antropologo deve trattare la storia alla stessa stregua del mito (che non corrisponde ad alcunché della storia, ma si richiama ad essa e ne assume i suoi segni). Kilani nella sua ricerca sull’origine delle genealogie, procedeva allo stesso modo degli oasiani, cioè attraverso il reperimento e l’interpretazione dei segni (letture e documenti più o meno formali) che di volta in volta rilevava o rinveniva.Es. per cercare di chiarire certe origini locali, selezionava nelle letture tutti quei segni o indizi atti a chiarirne l’interpretazione, ad esempio accostando tribù e spazi geografici con nomi simili, o a costruire l’identità.Attraverso l’associazione e la deduzione cercava di conferire un senso alle forme vissute o osservate ed era lo stesso procedimento che utilizzavano gli oasiani!

Per cosa si differenziano il sapere indigeno e il sapere scientifico?Si differenziano non per natura, ma per la LUNGHEZZA DELLA RETE in cui si inseriscono le conoscenze ottenute:

90

- SAPERE INDIGENO: è direttamente collegato all’azione, conoscenza-azione (=all’interno di definirsi e definire il suo lignaggio nello spazio sociale) la conoscenza ottenuta serve per la sua strategia retorica della persuasione;

- SAPERE SCIENTIFICO: Una prima forma di conoscenza, a lunga distanza, può essere assimilata a quella

dell’indigeno (anche l’antropologo vuole potersi inserire nello spazio sociale, quindi deve agire sulle forme locali);

Deve poi riportare e spiegare queste forme locali ad un pubblico lontano.

Il sapere locale (indigeno) si inserisce interamente nel presente dell’azione, cioè è una conoscenza legata all’azione e quindi una credenza: Il grado di purezza/appartenenza al lignaggio viene definito a posteriori a seconda della posizione

sociale nel presente. La memoria orale rielabora la storia e lo svolgimento degli eventi in modo da conservarne o ritradurne solo i segni significativi in rapporto al presente del soggetto e alle dinamiche attuali.Sono le dinamiche del presente che condizionano la memoria del passato.

Che funzione ha la credenza nelle loro genealogie?Ha una funzione Pragmatica: non vale per il suo contenuto, ma per l’effetto di persuasione che potrebbe avere. Vale perché istituisce una relazione fra gli attori sociali, non per il fatto che enuncia un contenuto.Può apparirci come un contenuto solo se la isoliamo dalla pratica sociale.

Il sapere scientifico dell’antropologia si realizza solo con la distanza, che è l’unica condizione che trasforma la sua esperienza vissuta (la sua conoscenza-azione) in una esperienza intellettuale.

L’antropologo è in genere portato a mettere avanti l’elemento visivo che si traduce in una concezione oggettivista delle società-culture.L’indigeno appare come un soggetto che crede ciecamente in ciò che la cultura gli dice di credere ed il suo sapere appare come una credenza (viene relegato in un secondo piano), ma l’antropologo può anche percorrere un’altra strada, cioè quella di un processo di interlocuzione.Kilani sperimenta che in varie situazioni di interlocuzione con i suoi informatori si sono definite numerose questioni di interpretazioni. Nel corso dei suoi tentativi per risolverle, si è poco a poco delineata una strada sia per accedere al sapere locale e sia per trovare una forma adeguata a riportare quel sapere a un pubblico lontano nei termini in cui viene enunciato: cioè all’interno di una temporalità che rispetta tanto l’unità di conoscenza-azione dei suoi informatori, quanto il suo personale percorso intellettuale fra la genesi e la risoluzione dei problemi.

La credenza come costruzione socialeLa CREDENZA è la produzione di un legame sociale; è una modalità di azione, prima di essere un contenuto, costruendo la propria conoscenza finalizzata all’azione l’oasiano, o più in generale l’indigeno o l’attore sociale, utilizza le stesse procedure intellettuali dell’antropologo.Il fine è quello di fare interagire gli attori sociali e ricercare l’effetto di persuasione.Credere attiene all’attività sociale perché presuppone un accordo tra certe persone.Infine l’antropologo non può muovere all’impresa conoscitiva indigena, ha bisogno dell’assenso di una comunità, quella scientifica, perché un fatto sia accettato come fatto. Una proposizione viene ammessa solo nella misura in cui presenta un’ “aria di famiglia” con l’insieme delle proposizioni già accettate come vere dalla comunità scientifica.

11. LA FRANCIA E IL VELO ISLAMICO. UNIVERSALISMO, COMPARAZIONE, GERARCHIA

- La COMPARAZIONE è il fondamento di ogni lavoro antropologico . È necessaria in quanto l’impresa antropologica è quella di una “traduzione di culture”. In tale impresa entra in gioco:

L’UNIVERSALISMO:

91

è una costruzione che deriva dal lavoro di comparazione, o è un pre-requisito della comparazione e della riflessione antropologica?

È necessario considerare l’antropologia nella duplice dimensione di storia e di prassi: STORIA: l’antropologia è storia nella misura in cui si è costituita in Occidente, alla fine del

1400, come un discorso che parla degli altri; PRASSI: l’antropologia è prassi perché attiene alla “temporalità” propria di una civiltà, quella

Occidentale; è una risultante di una divisione geopolitica del mondo.L’Antropologia MODERNA dalla fine del 1800, ha cominciato a delinearsi come una messa a fuoco della diversità. Già dalla fine del 1700 l’alterità è stata spogliata della sua stranezza della sua dimensione fantastica e irriducibile per essere integrata nella temporalità propria della civiltà occidentale, sottoforma di una diversità relativa e misurabile.Da valore, da qualità è divenuta:

- Differenza quantificabile;- Funzione della ragione classificatrice che ripartisce le diverse umanità e temporalità secondo la

medesima scala di somiglianze e di differenze.

È su questo che si poggia l’universalità del pensiero antropologico: è proprio a partire dal momento in cui la ragione e la natura furono definitivamente associate nella rappresentazione dominante del mondo e nel progetto strumentale del suo sfruttamento sistematico, che divenne possibile lo studio dell’Altro , inteso come sapere che mira all’oggettività; e fu allora che il selvaggio venne integrato nella storia naturale e culturale europea.È in nome di questa ragione che una civiltà particolare, quella europea, è diventata il riferimento primario per pensare a tutte le altre.

Quali sono i PARADOSSI dell’Antropologia?

1) L’Assimetria: tra il polo moderno e il polo non-moderno. Fra le differenze cui l’antropologia rivolge la sua attenzione ce n’è una che domina su tutte le altre: quella che separa l’osservatore dall’osservato.In questo senso il lavoro antropologico è ben più che un lavoro di traduzione di culture particolari nel linguaggio della scienza, perché entrano in gioco le concezioni dell’osservatore assieme al sistema di valori al quale egli appartiene.

2) Percezione tradizionale del “Noi”: il fatto che cerchiamo di apprendere l’Altro attraverso il “Noi”, dove il “Noi” è inteso come il rappresentante della cultura maggioritaria e che quindi si considera “naturalmente” come generale, ponendo l’altro come particolare rispetto a se stesso.Questa rappresentazione gerarchica è “condannata” dalla stessa ideologia moderna, per la quale gli individui sono universalmente uguali, la quale diffida dei valori gerarchici a tal punto da non vederli nella propria pratica.

3) PARADOSSO dell’ANTROPOLOGIA: da un lato si fonda sul rifiuto degli olismi particolari e dei socio-centrismi, ma poi trae la condizione della propria esistenza dalla moderna ideologia individual-universalistica che, pur essendo una forma socio-culturale particolare, si nega come tale nell’universalismo che essa professa. Il riconoscimento dell’altro non può che essere gerarchico poiché l’uguaglianza di per sé non può costituire un ordine.

Come rimuovere questo paradosso?Non bisogna rigettare il riferimento universalistico, ma modificarlo nel senso del:- Riconoscimento dell’individuo come valore globale;- Rifiuto di esso come modalità privilegiata di descrizione del sociale. Combinazione gerarchica dei principi dell’individualismo e dell’olismo, come ad esempio, negli

scambi MOKA, in Papua Nuova Guinea: l’uguaglianza si raggiunge attraverso una successione di scambi ineguali, in tal modo la gerarchia si distingue dall’ineguaglianza. Ma non c’è gerarchia perché non c’è un elemento di superiorità o di inferiorità: semplicemente il tutto ingloba della parti tra le quali una predomina sulle altre nella costituzione del tutto.

Nelle società moderne, invece, l’integrazione delle differenze si fa implicitamente gerarchica, come ad esempio in Francia, i 2 gruppi sociali soggetti al razzismo sia “buono” (ebrei francesi) che “cattivo”

92

(magrebini) si trovano in una posizione gerarchica diversa. Per delle precise ragioni storiche e sociologiche, il razzista francese medio spesso stabilisce una gerarchia nel grado di rifiuto degli altri. Per esempio per alcuni sono più esterni alla società francese i musulmani che gli ebrei, in quanto gli ebrei francesi sono visti come una figura oramai “addomesticata”.Il discorso antirazzista, che generalizza qualsiasi rifiuto, appare un po’ irrealistico. Ebrei e arabi rifiutano di essere assimilati gli uni agli altri, di essere accumunati sia all’interno della società francese, sia nel più ampio contesto del conflitto arabo-israeliano e dei rapporti storici tra ebrei e musulmani nel paesi del Magreb.

In Francia quando si parla di immigrazione, generalmente ci si riferisce alle persone di origine magrebina(immigrazione = magrebini) che rappresentano quasi 2 milioni di individui, in più vi sono mezzo milione di ausiliari algerini dell’esercito francese, oltre che minoranze europee e non solo in un Paese di 55 milioni di abitanti. Questa immigrazione, partita dagli anni ’60, è motivata essenzialmente per ragioni economiche congiunturali.Il modello di integrazione degli stranieri è un modello culturale nella misura in cui definisce in primo luogo un’immagine di sé, fondato sull’idea dell’unicità della nazione francese che, dalla rivoluzione francese del 1789 che proclamò la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, è una società composta da cittadini liberi e uguali per nascita, e sul valore della laicità, cioè sulla separazione tra Chiesa e Stato e sulla libertà di credo e di culto.Questa solidità identitaria, spesso imposta con la forza, col tempo ha potuto creare una società francese che si pretende trasparente a se stessa, così facendo, lo straniero si sente escluso ed ignorato, non esiste a meno che non decida di diventare francese: cioè deve abbandonare la sua cultura, religione e lingua, vale a dire i segni della sua differenza.Giuridicamente uno straniero per avere la cittadinanza francese deve risiedere per un tot di anni in Francia, deve avere il marito/moglie francese o nascere in Francia. In più lo Stato vuole la conoscenza della lingua e, fiducioso dell’effetto “dissolvente” dei suoi valori unitari, lascia alla società civile il compito di “digerire” i nuovi cittadini francesi.In Svizzera , paese fondato su un fragile equilibrio pluriculturale, plurilinguistico e plurireligioso, l’identità che predomina è provinciale o regionale. Lo straniero è visto come una minaccia per questa identità radicata nel locale. Infatti le procedure di nazionalizzazione sono lunghe, disseminate di insidie e molto costose. Lo straniero deve apprendere e riconoscere i segni dell’identità elvetica.Tornando agli immigrati musulmani di origine magrebina, sono percepiti dalla maggior parte dell’opinione pubblica francese, come culturalmente molto differenti, troppo legati ai loro costumi per potersi assimilare, ribelli ai valori e allo norme francesi. Inoltre, i movimenti xenofobi e razzisti vedono una minaccia per l’identità nazionale.Il velo, le moschee nelle città, i luoghi di preghiera sui posti di lavoro, la concentrazione in alcuni quartieri e sobborghi, la crescita della delinquenza tra i giovani magrebini, l’abbattimento rituale in occasione della festa del sacrificio di Abramo,… sono tutti segni eterogenei considerati dai francesi come caratteristiche dei magrebini, sono percepiti come l’espressione di una identità islamica sovranazionale e come il segno premonitore di una crescente islamizzazione della Francia.Il sentimento generale è: “ESSI NON SONO COME NOI”, perciò si tratta di sapere come sbarazzarsene, per alcuni, o come renderli simili a noi, per altri.A Kilani qui interessa mettere in luce le categorie e i valori che sottendono i diversi discorsi che la società maggioritaria francese fa sull’altro, l’immigrato magrebino. È una problematica eminentemente antropologica! Verte sulle 2 identità e come si compara?

Cioè si compara in nome di una certa idea universale dei valori o si parte dalla relatività culturale dei valori stessi?

Agli occhi dei francesi il tratto rilevante che distingue gli immigrati magrebini è la loro religione, l’Islam (per molti immigrazione è diventato sinonimo di islamizzazione!). l’Islam è la seconda religione del Paese.Il ruolo della donna nelle famiglie magrebine è vista secondo la visione Occidentale come un non rispetto dei valori dell’uomo, ma dal punto di vista Orientale, invece, gli arabi cercano di dimostrare la propria identità “ritrovata”, mantenendo vivo questo segno (Laura Nader, 91).Il velo (dagli anni ’80), ha un significato negativo, e ha posto l’attenzione su:

1) Ambienti xenofobi che fondano i loro discorsi sulla difesa dei valori occidentali e cristiani;2) Militanti della laicità che temono che una religione di importazione, possa rimettere in discussione i

principi repubblicani della separazione tra stato e chiesa.93

Vi sono stati diversi casi di donne/ragazze con il velo e il fatto di indossarlo a scuola, da un lato se viene accettato si rinuncerebbe ai principi della Repubblica e alla non separazione tra stato e chiesa, dall’altro se non viene accettato si andrebbe contro alla libertà fondamentale dell’individuo.L’ulteriore quesito da porsi è:

perché il velo è considerato un segno così eclatante e negativo rispetto alla croce dei ragazzi cristiani o al kipa dei giovani ebrei?

La risposta certamente ha a che fare con il posto che le religioni occupano nell’immaginario dei francesi e nel sistema di valori della società francese. Cristianesimo e ebraismo sono religioni nazionali riconosciute e per questo non sono sospettate di proselitismo e né di fanatismo!

Lo Stato francese non tratta tutti i culti in maniera egualitaria. L’Islam ufficialmente non esiste, dunque non beneficia dei vantaggi legali accordati dalla laicità repubblicana. Non è un’associazione culturale e quindi non beneficia di alcune agevolazioni fiscali, tanto meno può istituire delle scuole islamiche. Per quanto riguarda le feste religiose, la situazione è bloccata: per la celebrazione del sacrificio di Abramo, è necessario il sacrificio di un animale, ma la legislazione francese vieta la macellazione rituale degli animali al di fuori di mattatoi ufficiali, controllati dai servizi veterinari. Da qui parte la diffusione dell’abbattimento rituale clandestino e, parallelamente, la reputazione che esso trasmette all’opinione pubblica francese che grida allo “scandalo del montone ucciso in vasca da bagno”. Da qui poi la legislazione ha represso la vicenda considerandole pratiche/infrazioni da codice penale.In Francia mancano statistiche precise sugli stranieri: è difficile, per esempio, valutare la delinquenza tra i giovani magrebini se non si dispone di dati e studi su questa categoria di delinquenti. Oppure opporsi alla costruzione di luoghi di culto musulmani supponendo che ce ne siano già troppi, quando in realtà non se ne conosce né il numero né la ripartizione.Al di là delle statistiche, mancano anche studi di tipo qualitativo sull’Islam e sul suo ruolo nella società francese. Intellettuali francesi e magrebini hanno d’altronde attirato l’attenzione dei poteri pubblici sul regresso in Francia degli studi sul Magreb e sulla cultura araba in generale.La mancanza in Francia di un interesse scientifico e intellettuale per l’Islam è probabilmente almeno in parte responsabile dell’immagine negativa di questa religione, o per lo meno non contribuisce a migliorarla.Un nuovo problema nasce dalle seconde e terze generazioni di immigrati : mentre la prima generazione porta con sé il progetto di tornare in patria, mantenendo la loro cultura e la loro tradizione (progetto sempre più lontano dal loro orizzonte), la seconda e la terza generazione si riconoscono in primo luogo alle varie culture parcellari che abitano gli spazi urbani della moderna società dei consumi, dunque ci si domanda:

I Beurs (magrebini delle nuove generazioni) sono musulmani?Il velo, simbolo di religione dell’Islam, di Allah, non è il vero idolo delle ragazze immigrate, sono Micheal Jackson e altri i veri idoli di queste ragazze!

Tutto dipende dal senso che si conferisce alle cose! Inoltre parlare di velo è generico, poiché vi sono vari tipi di velo che ricoprono più o meno il viso. Negli stessi paesi musulmani non vi è affatto unanimità a proposito dell’uso del velo: in Egitto ci sono diverse dispute sul tema, in Tunisia la maggior parte delle ragazze porta i jeans,… la maggioranza delle ragazze di famiglia magrebina non ha mai dovuto scontrarsi con un Islam rigido, fatto di tabù e di restrizioni. (chi emigra di solito ha una mentalità protesa all’aprirsi!).

La storia e le dinamiche sociali come parti integranti della comparazioneL’Islam diviene la differenza culturale che serve a enunciare, o a denunciare, la posizione degli immigrati in seno alla società francese.Viene a crearsi una comparazione gerarchica: l’immigrato sarà subordinato al tutto, mentre il francese sarà identificato con il tutto.Questa scala di valori discende da una storicità particolare: l’episodio della battaglia di Carlo Martello nel 700 che fermò l’avanzata degli arabi nella Francia del sud, anche se essi continuarono ad occuparla almeno fino al 14° secolo, oppure altre “sindromi” che vogliono affermare la supremazia dell’occidente (in questo caso la Francia) verso l’Oriente (l’impero ottomano o gli arabi).Nessuna società, tanto meno quella moderna, sfugge alla sua storia, nemmeno ai suoi riferimenti gerarchici che fondano la sua identità e la sua percezione dell’altro; ma ciò che caratterizza la modernità non è l’uguaglianza che essa assume, ma piuttosto quella che professa!L’antropologo o il sociologo comparativista che conduce una critica dell’ideologia moderna, deve considerare l’uguaglianza e la democrazia, ovvero l’individual-universalismo, come dei valori prescrittivi e non descrittivi, reintroducendo una prospettiva olistica, che assume l’ideologia moderna come equivalente

94

delle ideologie non moderne, ovvero degli oggetti tradizionali della disciplina, e stabilisce così una simmetria fra “noi” e “loro”, tra il moderno e il tradizionale.Nella società moderna l’individuo è sempre compreso nel gruppo al quale appartiene e il suo valore identificato nell’insieme sociale. Lo sperimentano a proprie spese i giovani beurs che scoprono che non è sufficiente acquisire, a titolo individuale, la nazionalità francese per guadagnare l’integrazione sociale: in Francia ciò che conta non è la nazionalità, ma lo status. Esiste una differenza tra:

- Straniero: termine che designa uno status giuridico;- Immigrato: il termine rinvia ad una condizione sociale.Poi sono possibili più combinazioni: ci sono immigrati che allo stesso tempo sono stranieri come i figli di immigrati in Francia; ci sono anche immigrati che non sono stranieri come gli americani e i cittadini dell’UE.

In termini generali l’immigrato è colui che proviene da un paese del Terzo Mondo o da qualche Paese povero dell’Europa.Nel caso specifico della Francia, è dal Magreb che proviene il principale flusso d’immigrazione, che si inscrive nel rapporto COLONIALE e di dipendenza che unisce i 2 Paesi da più di 160 anni .I militanti del movimento “France Plus”, formato da magrebini beurs , sostengono che non è adeguato il termine “integrazione”: essi non sono stranieri. Il loro problema non è quello dell’integrazione, ma quello del loro posto nella società.

Assimilati ma per niente uguali, oppure uguali ma separati?Anche se si assume l’ipotesi dell’assimilazione progressiva dei magrebini, c’è il rischio che i beurs, divenuti francesi a pieno titolo, possano un giorno essere ricondotti alla loro origine o al loro passato da qualche dirigente nostalgico.La società marocchina degli anni ’40, a differenza di quella francese che applicò leggi razziali contro gli ebrei nel governo di Vichy, tenne rispetto ai suoi cittadini ebrei. La società tradizionale marocchina è fondata sul principio del lealismo dei diversi gruppi che la sostituiscono verso l’autorità superiore del sultano, il quale in cambio concede e garantisce la sua protezione a tutti coloro che gli sono soggetti. Questo duplice riconoscimento dell’eterogeneità dei livelli e della relazione gerarchica che li ordina nel tutto, simbolizzata dalla figura del sovrano, permise la protezione degli ebrei marocchini dalle leggi emanate in Francia, potenza “protettrice” del Marocco.La Francia è un Paese che oggi rispetta le differenze. Fino al punto di imporre giustizie differenti, condizioni di vita differenti, e di perpetuare così l’ordine stabilito.Vivere la propria differenza in simili condizioni è il mezzo più adeguato a rafforzare la propria marginalità e a contribuire in tal modo a riprodurre la propria posizione nella gerarchia sociale.

Critica dell’ universalismo individualista e del relativismo differenzialista Questi 2 termini sembrano essere l’alternativa di fronte al problema dell’integrazione degli immigrati magrebini in Francia.Si reggono su numerosi paradossi, i quali attengono in parte al carattere prescrittivo di ciò che enunciano e in parte all’eterogeneità argomentativa dei rispettivi discorsi.

1) UNIVERSALISMO INDIVIDUALISTA:- È fondato sui diritti universali dell’uomo, sul principio della libera circolazione degli uomini e

delle merci al di là delle frontiere, sulla squalificazione delle comunità chiuse in quanto ostacoli al benessere sociale.

- Se ci si pone in una prospettiva socio-storica si constata che l’affermazione di questi valori non impedisce che persistano le differenze tra i gruppi, né che si esprima un razzismo sempre più crescente, né che l’integrazione dei nuovi arrivati sia una problematica. Ma c’è di più: l’egualitarismo ostentato si adatta all’ineguaglianza di fatto che caratterizza i rapporti storici e sociali tra i gruppi ai quali gli individui appartengono o con i quali sono identificati.

- Alcuni parlano di integralismo laico per definire il rifiuto di prendere in considerazione l’espressione della sensibilità religiosa nella scuola, in nome del valore della neutralità delle istituzioni scolastiche rispetto ad ogni credenza religiosa e politica. Il PARADOSSO della LAICITÀ vede da un lato garantire la libertà e l’uguaglianza per tutti

e dall’altra, regolamentare questa libertà in modo autoritario ed egemonico.2) RELATIVISMO DIFFERENZIALISTA:

95

- Sostiene la rivendicazione del diritto dei popoli alle differenze culturali ed etniche, si oppone all’universalismo livellatore delle differenze e responsabile degli etnocidi.

- Il relativismo oppone la prescrizione dell’uguaglianza nella differenza.- Oggi il discorso razzista va slittando dal piano della razza a quello della cultura . Gli ambienti

intellettuali di destra sono contro la società multirazziale, che sarebbe una trasmutazione dell’universalismo mercantile trionfante e, la soluzione sarebbe che ciascuno rimanesse a casa propria nel reciproco rispetto, promuovendo nuove forme di cooperazione tra Europa e Africa.

- In breve è ad uno sviluppo separato e a distanza che gli intellettuali della Nuova Destra danno la preferenza.

Il modello francese in discussione: verso un universalismo allargato ? La problematica eminente antropologica è quella dell’éclairage en retour (la ricomparsa dell’illuminismo), che consiste nel sottoporre il “centro”, cioè la società francese con le sue espressioni a vocazione universalistica – la Laicità, la Ragione, lo Stato-nazione, l’Egualitarismo -, ad un’illuminazione (éclairage), una messa a fuoco che muove dalla sua “periferia”, dai suoi immediati margini geografici (Magreb e più in generale l’Oriente arabo), margini che pure sono al cuore delle sua attuali preoccupazioni, se non della sua storia, da diversi secoli.È compito dell’antropologo trasmutare l’”io” che finora ha occupato il centro del discorso, in un “altro”, suscettibile d’essere indagato al pari dell’oggetto tradizionale della disciplina.L’antropologo deve approfondire la propria esperienza dell’universalità per assumerla in un quadro metodologico più adeguato, cioè in una prospettiva in cui la ragione comparativa non sia sottomessa ad una sola ragione, quella moderna, ma integri anche le altre ragioni.

Non si tratta di pretendere di uscire dalla prospettiva universalista così com’è apparsa ed è stata definita nel quadro della tradizione storica occidentale, ma di integrarvi concettualmente le altre tradizioni.

Proprio perché il discorso scientifico si pone come obiettivo questa efficacia universale, esso deve ritornare costantemente sui propri contenuti per migliorarli o ripensarli, sottoponendoli alle regole della comparazione e della messa in discussione critica dei fondamenti dei vari discorsi e contenuti culturali che assume come oggetto.

Il sapere antropologico deve mostrare che non deve smettere di svincolarsi dai sistemi di credenze particolari.

Mohammed Arkoun, storico francese di origine algerina, sostiene che la dualità Islam-Occidente è inaccettabile se la si studia dal punto di vista dei segni e dei simboli; è sufficiente mutare lo sguardo per realizzare che esse si inscrivono in una tradizione di pensiero comune all’area culturale greco - semitica, ricomponendo lo spazio mediterraneo in cui sono confluiti apporti e correnti che l’Occidente ha separato.- L’Islam deve imparare il lato positivo di ciò che viene detta laicità, intesa come attitudine

dinamica dello spirito davanti alla conoscenza e,- L’Occidente deve aprire nuovi spazi alla riflessione, segnatamente per ciò che riguarda la

rottura fra ragione laicista, scientista, storicista e ragione aperta all’approccio semiologico alle culture.

Per Kilani rimane comunque illusorio credere che, nella comparazione, sia possibile un’osservazione equanime e imparziale.Il fondamento dell’antropologia moderna, la retorica dello sguardo e la referenzialità del campo, non è sufficiente a garantire l’obiettività dello sguardo che l’antropologo rivolge all’altro. Anche lo sguardo più profondo resta in superficie, giacché vedere ed essere visto non costituiscono realtà simmetriche o equivalenti.Cioè non è sufficiente voler conoscere l’altro, occorre altresì concettualizzare le condizioni dello sguardo che gli si rivolge (l’osservatore fa parte del campo di ricerca!).A partire da cosa e da dove comparare? CHI OSSERVA CHI?

----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

96

DOMANDE ANTROPOLOGIA CULTURALE:

- momento in cui antropologia diventa una scienza scientifica- cosa serve per una ricerca sul campo- differenza tra etnografia e antropologia- Pora-pora- big man (sia in Kilani che in bernardi)- definizione della cultura nei due libri- etnema politico unito al big man- cos'ha capito del Kilani?- antropologia evoluzionista (Spencer e Darwin)- dinamica culturale e le iniziazioni- classi d'età per i Masai- tempo strutturale- primo capitolo del Kilani- cultura in senso antropologico- differenza tra cultura in senso antropologico e umanistico- universalismo gerarchico- esotismo- di cos'è figlia la nostra cultura?- rapporto dei bianchi in relazione ai melanesiani e ai culti del cargo- valori (concetto di ethos)- etnocentrismo- scuola americana- critiche ed apprezzamenti ai modelli culturali della Benedict- questione del velo- oikos- etnema magico-religioso- evoluzione dell'idea di religione- culti del cargo- acculturazione (tutti i vari tipi)- parentela (con tutte le definizioni)- le fasi dell'antropologia in Italia- la crisi dell'antropologia----------------------------in generale vuole esempi e nomi tecnici- ajorap considerati in termine di viaggio- riflessioni che Kilani fa riguardo il periodo dei lumi- Rosseau: come gli illuministi guardano l'altro- deculturazione- etnostili- fase della curiosità antropologica- il brano che l'ha più interessata del Kilani- concetto di valore- funzione ed energia + Radcliffe Brown- scuola funzionalistica e Malinowski- concetto di bisogni e risposte culturali- quando risale il concetto di cultura?- cosa comportò il periodo evoluzionista?- quali erano i metodi di comparazione evoluzionista?- dinamica tra anthropos e ethnos- attraverso quale processo avviene la formazione dell'identità?- ambiente ecologico e Nuer

97

- l'oasi di el Ksar: l'acqua a chi appartiene?- semantica del riconoscimento in Pora-pora: quando?- apporti della scuola francese- perché il relativismo culturale è un metodo scientifico?- motivo per cui è sorta l'antropologia- superorganico e culturologia- fasi della ricerca sul campo- rapporto tra animale e montanaro nel tempo- distinzione tra clan e lignaggio- Lévi-Strauss e la struttura- cos'è l'universalismo allargato in Francia?- culture altre per bernardi- il valore legato alla cultura: come si costituiscono?- quando una manifestazione naturale diventa valore?- le società che non hanno il modello occidentale hanno un'inculturazione formale?- Esotismo: Leiris e Segalen- Pora-pora e i culti del cargo e la percezione del bianco da parte dei Papua- La culturologia (da Boas)- Il sincretismo (+ acculturazione e gli esempi del Bernardi, sincretismo vodoo).

98