Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

139
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO SCUOLA DI SCIENZE UMANISTICHE Corso di laurea in Lettere TESI DI LAUREA Immagini dell’altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a Harry Potter. Un viaggio ecocritico e transdisciplinare. Relatrice: Candidato: Prof.ssa Daniela Fargione Corrado Laronga Matr. n° 241832 Anno Accademico 2013/2014

Transcript of Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

Page 1: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO

SCUOLA DI SCIENZE UMANISTICHE

Corso di laurea in Lettere

TESI DI LAUREA

Immagini dell’altro nella letteratura anglo-americana,

da Thoreau a Harry Potter.

Un viaggio ecocritico e transdisciplinare.

Relatrice: Candidato:

Prof.ssa Daniela Fargione Corrado Laronga

Matr. n° 241832

Anno Accademico 2013/2014

Page 2: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...
Page 3: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

服部剛丈に捧ぐ (In memoria di Hattori Yoshihiro)

Page 4: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

Passing stranger! you don’t know how longingly I look upon you,

You must be he I was seeking, or she I was seeking (it Comes to me as of a dream),

I have somewhere surely lived a life of joy with you, All is recall’d as we flit by each other, fluid, affectionate,

chaste, matured, You grew up whit me, were a boy with me or a girl whit

me, I ate whit you and slept whit you, your body has become

not yours only nor left my body mine only, You give me the pleasure of your eyes, face, flesh, as we

pass, you take of my beard, breast, hands, in return, I am not to speak to you, I am to think of you when I sit

alone or wake at night alone I am to wait, I do not doubt I am to meet you again,

I am to see to it that I do not lose you.

Walt Whitman

Io abito la possibilità – Una casa più bella della prosa –

più ricca di finestre – superbe – le sue porte –

È fatta di stanze simili a cedri –

che lo sguardo non possiede – Come tetto infinito

ha la volta del cielo –

La visitano ospiti squisiti – La mia sola occupazione – spalancare le mani sottili

per accogliervi il Paradiso.

Emily Dickinson

[…] Ah, che mostruosità di natura, che codardo Sarei, se di ciò che segretamente ho pensato

Non osassi aprir bocca! Meglio morire, allora, come un pazzo, trafitto

In un baratro; che il sole infuocato Le mie ali dedalee sciolga, e giù mi trascini,

a capofitto! […]

John Keats

Page 5: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

INTRODUZIONE ............................................................................................................... 1  

1.   CAPITOLO PRIMO: UN’ALTRA PROSPETTIVA ............................................ 7  

1.1   CHE COS’È L’ECOCRITICA ...................................................................................... 11  

1.2   ETICHE AMBIENTALI .............................................................................................. 15  

1.3   POTENZIALITÀ DELL’ECOCRITICA E TRANSDISCIPLINARIETÀ .............................. 18  

2.   CAPITOLO SECONDO: ALTRO DA COSA? .................................................. 22  

2.1   THE IDEA OF WILDERNESS .................................................................................... 23  

2.2   BIANCHI E ALTRI .................................................................................................... 27  

2.3   H.D. THOREAU E WALDEN: UN’IDENTITÀ COMUNE NELLA DIFFERENZA ........... 29  

2.4   H.D. THOREAU E R.W. EMERSON: DUE MODI DI INTENDERE L’ALTRO ............... 38  

2.5   HOMO HOMINI LUPUS: JACK LONDON E LA BESTIALITÀ ...................................... 43  

3.   CAPITOLO TERZO: ALTRO DA CHI? ............................................................. 54  

3.1   DA UNA RISERVA ALL’ALTRA: JACK LONDON E IL POPOLO DEGLI ABISSI ........... 65  

3.2   UN ALTRO ESSERE UMANO: LA DONNA NELL’UNIVERSO DELL’UOMO ................. 73  

3.2.1   ESSERE DONNA: UNA DIFFERENZA CHE ESCLUDE ........................................... 74  

3.3.   RUTH OZEKI: CARNE, CARNI E QUESTIONE DI OCCHI ...................................... 80  

3.3.1   CARNI MALATE, CORNA E MATERNITÀ NEGATA ............................................. 85  

3.3.2   FARMACI E CARNE FERTILE ............................................................................... 87  

3.3.3   CONCLUSIONI APERTE E SENTORI DI SPERANZA .............................................. 91  

3.4   QUANDO L’ALTRO SIAMO NOI: VERA GENTE, MUTANTI E MARLO MORGAN .... 94  

3.5   CONCLUSIONI: OLOCAUSTI E TESTIMONIANZA .................................................... 99  

4.   CAPITOLO QUARTO: UN’ALTRA EDUCAZIONE .................................... 101  

4.1   CONTAMINARE .................................................................................................... 101  

4.2   CONTAMINAZIONE E ISTRUZIONE ....................................................................... 103  

4.3   GIOVANISSIMI E ALTERITÀ. I MODELLI LETTERARI POSITIVI: J.K. ROWLING E

HARRY POTTER .............................................................................................................. 108  

4.3.1   LA BACCHETTA SCEGLIE IL MAGO .................................................................. 110  

4.3.2   UNA MAGIA POTENTE: L’INCANTO PATRONUS .............................................. 111  

4.3.3   LE MALEDIZIONI SENZA PERDONO ................................................................. 113  

4.3.4   BABBANI E MEZZOSANGUE: IL RAZZISMO NEL MONDO DEI MAGHI ............. 114  

4.3.5   CONCLUSIONI DI UN BABBANO ...................................................................... 118  

4.4   TRA LETTERATURA E INTRATTENIMENTO: EDUCARE CON LA MUSICA .............. 119  

5.   UNA CONCLUSIONE CHE NON CONCLUDE ............................................ 124  

Page 6: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

BIBLIOGRAFIA .............................................................................................................. 129  

Page 7: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

1

Introduzione

«Tutta l’arte è completamente inutile»1

Oscar Wilde

Nella prefazione de Il ritratto di Dorian Gray (1890), senza dubbio la

sua opera più rappresentativa, Oscar Wilde (1854-1900) si rivolge ai

lettori per offrire loro una serie di aforismi, come di consueto

paradossali e brillanti, contenenti riflessioni sulla vita, sull’arte e

sugli esseri umani. Tutto il suo genio condensato in poche frasi a

effetto da usare per conquistare una donna o un uomo, per porre fine

a una conversazione noiosa con un’espressione memorabile, o per

guadagnare il centro dell’attenzione durante un ricevimento

importante, gremito di persone come Erskine di Traedley, “un

vecchio signore simpatico e colto, il quale disgraziatamente aveva

preso la cattiva abitudine di tacere, perché […] tutto quello che aveva

da dire, l’aveva detto prima dei trent’anni”2.

Uno degli aspetti più interessanti di questi aforismi sta nel fatto che

essi riflettono da diverse angolazioni la personalità di chi li ha

composti, come fossero tanti specchi collocati intorno a un Oscar

Wilde che osserva se stesso immaginando ciò che avrebbe voluto

essere. Ragionando in termini moderni, si potrebbe dire che ogni

aforisma di Oscar Wilde è un selfie del suo autore opportunamente

modificato, in un secondo tempo, con l’ausilio di qualche

programma di editing fotografico. In effetti, le maschere che, tanto lo

scrittore quanto l’uomo Wilde, ha utilizzato durante tutto l’arco della

sua vita e che ha riproposto nell’intera sua opera, sono

numerosissime e il più delle volte inverosimili: che egli ritenesse

1  Oscar  Wilde,  Il  ritratto  di  Dorian  Gray,  (The  Picture  Of  Dorian  Gray)  trad.  it.  di  R.  Calzini,  Milano,  Mondadori,  2011,  p.  4.  2  Ivi,  p.  40.  

Page 8: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

2

tutta l’arte assolutamente inutile, per esempio, è un paradosso che

vira in parossismo non appena si apre Dorian Gray o The importance of

being Earnest3 (1895) e vi si coglie la cura profonda con la quale il suo

autore modella la parola fino a farne la tavolozza per un dipinto

elegante, dal tratteggio netto e dai colori vivi, ma soprattutto ricco di

più sfumature di quante l’occhio umano sia in grado di cogliere.

Sono proprio le sfumature quelle sulle quali è opportuno riflettere

prima di affrontare la lettura di questo elaborato che, come si evince

dal titolo, intende ragionare sul concetto di alterità e cercare di

stabilire non solo chi e che cosa è altro, ma anche da chi e che cosa

questo altro si differenzia, a partire da una serie di autori inglesi e

americani le cui opere offrono una base perfetta per un discorso il

più possibile transdisciplinare, contaminato e, si spera,

contaminante.

Talvolta si sente dire che “niente è come sembra”, ma se anche tutto

fosse effettivamente come appare, le sfumature garantirebbero

comunque una fonte di conoscenza inesauribile che proviene non

solo dagli esseri umani e dalle differenze che li caratterizzano, ma

anche dall’arte, utile o inutile che sia. È quello che credono coloro che

si occupano di ecocritica, una forma relativamente recente e piuttosto

complessa di critica letteraria, come si osserverà meglio in seguito.

Ecocritici sono coloro che ricercano, nell’ambito dei testi letterari e

dell’arte in generale, le ragioni storiche, sociologiche, antropologiche

atte a spiegare il posto dell’essere umano nel mondo, i modi con cui

questi si relaziona con gli esseri non umani e viceversa, le

motivazioni che a questi modi soggiacciono e, forse l’aspetto più

importante, le spinte educative che si possono trarre dalle letture

3   Il   titolo   viene   citato   in   lingua  originale  nel   rispetto  del   gioco  di   parole  wildiano,   atto   a  sottolineare   l’assonanza   tra   l'aggettivo  "earnest"   (serio,  affidabile  od  onesto)  ed   il  nome  proprio  "Ernest"  che  in  inglese  hanno  la  stessa  pronuncia.  

Page 9: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

3

(non necessariamente di stampo ecologista) per ridefinire le posizioni

di buona parte dell’umanità nei confronti del resto dell’umanità e del

mondo non umano. Può, verrebbe da chiedersi, un solo libro

contenere tutte queste informazioni e costituire addirittura una

spinta a una militanza concreta nel cambiare, o quantomeno provare

a cambiare ciò che si ritiene essere una stortura? E chi ha il diritto di

definire cosa sia una stortura, e sulla base di quali criteri? Sono tutti

interrogativi cui si cercherà di rispondere nelle pagine che verranno,

con la consapevolezza che parlare di rispetto per la Natura, di amore

reciproco tra esseri umani e di valore del mondo non umano è, al

giorno d’oggi, sempre più difficile. Tale difficoltà deriva, in larga

parte ma non esclusivamente, dal fatto che coloro che si occupano in

prima persona di questi argomenti scambiano talvolta la propria

battaglia per una missione “religiosa”, investendo di fanatismo e

quindi privando di credibilità alcuni ideali assolutamente

condivisibili e soltanto ragionevoli. Ad ogni modo, per riuscire a

calarsi al meglio nell’universo che si intende descrivere in questa tesi,

occorre avere ben presente che, a prescindere da sovraesposizioni

fastidiose, qualunquismo televisivo e slogan elettorali, il concetto di

alterità è qualcosa che non si può indagare senza occuparsi da vicino

di ciò che è altro dall’uomo così come chi ritiene di essere la normalità

lo intende.

Lo aveva già capito Henry David Thoreau (1817-1862), che decise di

cercare la sua normalità in mezzo alla diversità delle rive del lago di

Walden e della sua popolazione, dalle varie specie di uccelli agli aghi

di pino; lo sapeva Jack London (1876-1916), le cui riflessioni sul

significato della vita umana e del suo stesso posto nel mondo lo

spinsero a inseguire una verità troppo sfuggente per essere catturata,

Page 10: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

4

tanto che alla fine un John Barleycorn4 qualsiasi riuscì a portarselo via,

regalandogli forse un po’ di quella pace che aveva cercato invano per

tutto l’arco della sua breve vita. Questo elaborato parla di loro e di

molti altri, di diversi sguardi sul mondo, di filosofie dell’ambiente, di

spinte e spunti educativi che possono derivare anche da opere dalle

quali non lo si crederebbe possibile, come per esempio la saga di

Harry Potter di J.K. Rowling o i brani e le scelte musicali degli autori

più vari, da Fiorella Mannoia ai Mumford & Sons5. Perché la

ricchezza che proviene dall’alterità è, molto spesso, più grande

quando meno palese, più incisiva quando non immediatamente

percepibile, quando, cioè, si pone meno l’accento sul suo aspetto

differente e ci si lascia contaminare senza alzare quelle classiche

barriere fatte di identità traballanti, fedi religiose rimaneggiate ad

personam, scarsa curiosità, paura del diverso e disincanto.

Re-incantarsi è condizione necessaria per cogliere il senso profondo

delle opere che verranno citate in questa tesi, per riuscire a

rielaborarne i concetti e magari trarne spunti per tentare di

migliorare il nostro rapporto col mondo. Certo, oggi è molto difficile

re-incantarsi: la società è sempre pronta a bollare chi ci prova come

immaturo e incosciente, anche se nella maggior parte dei casi si

limita semplicemente a non prestargli particolare attenzione.

Archivia come un rigurgito adolescenziale quella che invece può

essere una crescita critica e spirituale, un desiderio profondo di

trovare ovunque connessioni nascoste con il circostante. La spinta al

re-incantamento ha quindi, come di consueto accade, i suoi pro e i

suoi contro, giacché da un lato rischia di creare dei disadattati, ma

4  Personaggio  immaginario  che,  nel  gergo  americano,  rappresenta  la  personificazione  della  birra  e  del  whisky,  entrambi  derivati  dall’orzo   (in   inglese  barley).   Jack  London  descrive   il  suo  difficile  rapporto  con  l’alcol  in  un’opera  intitolata  appunto  John  Barleycorn  (1913).  5  Gruppo  musicale  indie  folk,  rock,  formatosi  a  Londra,  U.K.,  nel  2007.  

Page 11: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

5

dall’altro rischia invece di fornire agli esseri umani quegli input

necessari a rinegoziare il proprio rapporto con il mondo e cercare di

preservarne la ricchezza, ognuno secondo le proprie possibilità.

Chiunque di noi, in sostanza, dovrebbe pensare a se stesso come al

colibrì di una famosa favola africana, che voleva spegnere l’incendio

della foresta una goccia alla volta, quanto il suo piccolo becco poteva

contenere. Proprio con la leggenda del colibrì si conclude questa

prefazione e si passa al cuore vero e proprio dell’elaborato,

ricordando, come ha scritto Oscar Wilde, che “l’istruzione è cosa

ammirevole, ma ogni tanto ci farebbe bene ricordare che non si può

mai insegnare quel che veramente vale la pena di conoscere”6.

Narra un’antica fiaba africana che, bruciando la foresta,

tutti gli animali si misero a fuggire, compreso il leone.

Solo un colibrì Volava intrepido verso l’incendio.

Così il leone, il re della foresta, si chiedeva perché il piccolo volatile

si dirigesse con tanta alacrità verso il luogo in cui tutto stava bruciando.

Il colibrì rispondeva che andava là proprio per questo, per spegnere l’incendio.

“Ma è impossibile domare fiamme così vaste con la goccia che porti nel tuo becco”

gli faceva notare il leone. Il colibrì rispose:

“io faccio la mia parte”.7

6  Oscar  Wilde,  Il  critico  come  artista,  in  Aforismi,  Milano,  Mondadori,  2010,  p.  11.  7  http://www.colibriperafrica.it/laleggenda.html.  Ultima  visita  4/06/2014.  Corsivo  mio.  

Page 12: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...
Page 13: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

7

1. Capitolo Primo: Un’altra prospettiva

«Je est un autre.»8

Arthur Rimbaud

L’epigrafe che apre questo scritto non è stata scelta a caso, così come

non a caso è stato scelto il suo autore. Arthur Rimbaud (1854-1891)

era un poeta francese la cui conoscenza del mondo letterario anglo-

americano doveva essere tutto sommato piuttosto limitata. Tuttavia

la sua vita, spesso al limite, contesa tra una continua ricerca di

equilibrio e un desiderio spasmodico di rottura con la società del suo

tempo, lo rese in un certo senso un altro, un diverso, un essere umano

che faticava a trovare una collocazione tanto per mancanza

d’interesse quanto per l’emarginazione cui i suoi contemporanei, a

esclusione di pochi, lo costringevano. Era un altro per la società in cui

viveva ed è apparentemente un altro anche per questo scritto, il cui

titolo stesso suggerisce un settore d’interesse, quello della letteratura

anglo-americana, in cui effettivamente un poeta francese trova con

difficoltà una sua ragion d’essere.

Eppure Arthur Rimbaud, in una lettera privata nemmeno destinata

alla pubblicazione, ha scritto qualcosa che con questo lavoro ha

molto a che fare, una frase che meglio di qualsiasi altra riassume il

senso profondo del messaggio che queste pagine vorrebbero

trasmettere, ossia “io è un altro”. È una frase curiosa, inconsueta,

apparentemente priva di senso ma in realtà incredibilmente sensata,

aperta, vera e ricca di spunti. È una frase che sarebbe piaciuta a

Henry David Thoreau, che con altre parole ha espresso nel suo

Walden (1854) il medesimo concetto. È una frase che descrive

l’esperienza di Marlo Morgan in E venne chiamata due cuori (1990), di

8  Arthur  Rimbaud,  Opere,  trad.  it.  di  I.  Margoni,  Milano,  Feltrinelli,  2011,  p.  335  (lettera  a  Georges  Izambard,  Charleville,  13  maggio  1871).  

Page 14: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

8

Jack London ne Il popolo degli abissi (1903) e del carcerato de Il

vagabondo delle stelle (1915), è una frase che avrebbe tenuto sveglio – e

forse chissà, lo ha tenuto sveglio – Chris McCandless9 nel suo magic

bus in Alaska o durante gli anni del college, è una frase che potrebbe

riassumere l’essenza della vita di Jane e Akiko, le protagoniste di

Carne (1998) di Ruth Ozeki. È una frase che potrebbe de/scrivere

Ruth Ozeki.

In quest’ottica diventa quindi lecito domandarsi: se una frase del

genere ben rappresenta il pensiero, l’opera o addirittura l’essenza

stessa di scrittori, pensatori e viaggiatori americani e inglesi, perché

dovremmo preoccuparci che il suo autore sia francese? A tal

proposito, è opportuno citare un passo dell’introduzione all’edizione

italiana di The Black Atlantic. L’identità nera tra modernità e doppia

coscienza di Paul Gilroy:

Nella sua evoluzione, la schiavitù del nuovo mondo mescolò gruppi diversi di persone in combinazioni complesse e imprevedibili. Le loro storie, i loro linguaggi, la loro visione religiosa, le loro divergenti visioni di aspetti come la natura, il tempo e lo spazio cambiarono e si combinarono in un ordine vivo e dinamico che era qualcosa di più della semplice somma delle sue numerose singole componenti. […] L’attraversamento comporta sia una mescolanza che un movimento.10

L’ottima analisi del concetto di mescolanza contenuta in questo

estratto si riferisce, com’è ovvio, al periodo buio della tratta degli

schiavi che dall’Europa venivano deportati nel Nuovo Mondo più

per costruirlo che per popolarlo, nonostante, come suggerisce sempre

Paul Gilroy nel prosieguo del suo ragionamento

9   Esploratore   statunitense   la   cui   storia   viene   narrata   da   Jon   Krakauer   in   Nelle   terre  estreme,  (Into  the  Wild),  trad.  it.  di  Laura  Ferrari  e  Sabrina  Zung,  Milano,  Corbaccio,  2008.  10   Paul  Gilroy,  The  Black  Atlantic.  L’identità  nera   tra  modernità   e  doppia   coscienza,   (The  Black  Atlantic.  Modernity  and  Double  Consciousness),  trad.   it.  di  M.  Mellino  e  L.  Barbieri,  Roma,  Maltemi,  2003,  p.  18.  

Page 15: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

9

Sotto la minaccia della pena di morte, essi impararono a leggere e scrivere, adattando le loro nuove abilità al progetto di emancipazione e utilizzandole come strumenti per costringere i proprietari di schiavi di ogni parte delle Americhe a uno scomodo confronto con la loro creatività, e quindi con la loro umanità. Nel corso di una prolungata battaglia contro questi regimi brutali, influenzarono la direzione e il carattere delle culture e delle società del nuovo mondo più di quanto i loro padroni, consapevolmente razzisti, fossero in grado di immaginare o ammettere.11

Basterebbe cambiare qualche parola qua e là perché questo discorso

si adattasse efficacemente a eventi storici molto più antichi, come per

esempio la conquista romana della Gallia e della Britannia, entrambe

ridotte a province in modi e anni diversi e quindi entrambe diventate

parte di un impero, quello romano, all’interno del quale gli scambi e

le mescolanze erano fonte di continui mutamenti a livello sociale,

etnico, religioso, artistico, nonché cardine di una prosperità

economica che per secoli non ebbe pari nel mondo conosciuto.

Prima ancora dell’avvento dei Romani, il dominio dei Celti si

estendeva, tra la seconda metà del IV e la prima metà del III secolo

a.C., dalle isole britanniche all’Italia settentrionale, comprendendo

quindi anche l’attuale Francia, e questo significava lingua, cultura,

religione e tradizioni più o meno comuni a tutte le genti che

abitavano i territori interessati. Nel medioevo poi il popolo dei

Sassoni, che dopo il ritiro dei Romani nel V secolo aveva invaso la

parte orientale dell’Inghilterra, venne integrato in seguito ad aspre

lotte nel regno franco di Carlo Magno, finendo per mescolarsi con

tutte le altre popolazioni che un impero così vasto comprendeva.

Questo breve e semplificato excursus storico non vuole essere una

deviazione dall’argomento principale, ovverosia la percezione

dell’altro nella cultura moderna e contemporanea, ma una sua

11  Paul  Gilroy,  The  Black  Atlantic,  cit.,  p.  18.  

Page 16: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

10

integrazione chiarificatrice: infatti, per quanto secoli di mescolanze

abbiano dato origine agli Stati sovrani così come oggi li conosciamo e

ai loro confini geografici, i “confini” di sangue che intercorrono tra

gli abitanti di quegli stessi stati sono senza ombra di dubbio molto

meno netti. Sarebbe in effetti impossibile determinare quanti Francesi

di “sangue puro” circolino al giorno d’oggi in Francia e, soprattutto,

bisognerebbe prima capire cosa si intende per “sangue puro” e se

questa espressione abbia ancora senso, sempre che in passato ne

abbia mai avuto uno. A tal proposito occorre citare un passo tratto da

Harry Potter e la camera dei segreti (1998) della scrittrice britannica J.K.

Rowling, la quale si sofferma sull’argomento del sangue misto

giudicandolo non solo come qualcosa di assolutamente normale

anche tra i maghi, ma come qualcosa di necessario alla salvaguardia

della specie stessa: “Sangue misto. Come dire sangue sporco. È roba

da matti. Tanto, oggigiorno, quasi tutti i maghi sono mezzosangue.

Se non avessimo sposato dei Babbani saremmo tutti estinti.”12

In base a un ragionamento del genere, nonostante non sia di sicuro

possibile né corretto affermare che Arthur Rimbaud fosse inglese,

non è comunque da escludersi che nelle sue vene scorresse quel

sangue che era stato prima celtico, poi britannico, romano, sassone e

infine franco, cosa che oggettivamente crea un collegamento, seppur

ardito, tra l’autore francese e il mondo letterario anglo-americano,

cioè quello da cui questo elaborato, come si diceva poc’anzi, intende

attingere per le riflessioni che seguiranno.

Resta pur vero che la questione della nazionalità di Rimbaud risulta

tanto meno rilevante quanto più si intende analizzare la sua opera, o

quantomeno parte di essa, attraverso uno strumento di indagine

12   J.K.   Rowling,  Harry   Potter   e   la   camera   dei   segreti,   (Harry   Potter   and   the   Chamber   of  Secrets),   trad.   it.   di   M.   Astrologo,   Milano,   Salani,   2002,   p.   106.   I   “Babbani”   sono,  nell’universo  di  Harry  Potter,  gli  esseri  umani  senza  poteri  magici.    

Page 17: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

11

relativamente nuovo che risponde al nome di ecocriticism (o

ecocritica), i cui fondamenti culturali, metodi e scopi è qui necessario

descrivere brevemente data la “novità” della materia in Italia.

1.1 Che cos’è l’ecocritica

Con il termine “ecocritica”, coniato da William Rueckert e comparso

per la prima volta nel suo saggio “Literature and Ecology: An

Experiment in Ecocriticism”13, si intende una branca di studi letterari

che nasce negli Stati Uniti tra la fine degli anni Ottanta e gli inizi

degli anni Novanta del 1900 e che inizialmente si diffonde

soprattutto in paesi anglofoni e nordici grazie al terreno fertile che

tali nazioni, nelle quali già da tempo l’educazione ecologica era

molto forte, offrivano a una simile novità. Lo scopo di questa

disciplina era infatti quello di studiare la funzione della letteratura

nell’educazione all’ambiente e il modo in cui essa influiva sulla

sopravvivenza dell’ambiente umano e non umano. Già nel 1972

Joseph Meeker, precursore del movimento ecocritico moderno,

sosteneva che, essendo la creazione letteraria una caratteristica

specifica della specie umana, compito degli studiosi dovesse essere

quello di esaminarla con attenzione per scoprire se e in che modo

essa fosse in grado di influenzare il comportamento umano e

l’ambiente naturale, determinare quale ruolo essa giocasse nel

benessere e nella sopravvivenza del genere umano e come

influenzasse le relazioni degli esseri umani con il mondo circostante.

Qualche anno più tardi Lawrence Buell, titolare della cattedra di

Letteratura americana presso la Harvard University e autore, tra gli

altri, del testo The Future of Environmental Criticism: Environmental

13   Pubblicato   nel   1978   con   lo   scopo   di   indagare   l’applicazione   dei   concetti   ecologici   agli  studi  letterari.    

Page 18: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

12

Crisis and Literary Imaginations (2005), diede della disciplina

dell’ecocritica una descrizione che a tutt’oggi rimane probabilmente

la più chiara e completa:

L’ecocritica si concentrò dapprima su varie forme del nature writing: la poesia della natura, il saggio naturalistico, la narrativa della frontiera, il romanzo della wilderness, e così via. Questo era comprensibile, ma dava una visione parziale. Oggi gli studiosi che si occupano di ecocritica si stanno sempre più rendendo conto che qualunque tipo di contesto ambientale è potenzialmente rilevante per il progetto ecocritico. È sbagliato credere che l’ecocritica riguardi solo la letteratura che parla di luoghi rurali e selvaggi. Al contrario, ogni tipo di ambiente – le aree urbane, suburbane, i villaggi, le zone agricole e quelle industriali, la terraferma e gli ambienti marittimi, gli interni e gli esterni – è promettente per la ricerca ecocritica. Perché, nel senso più ampio possibile, l’oggetto dell’ecocritica dovrebbe essere l’intera gamma dei modi in cui la letteratura, (ma anche le arti) ha concepito il rapporto tra gli esseri umani e il loro ambiente fisico. […] La portata dell’ecocritica è insomma davvero vasta. In teoria, non ci sono limiti ai tipi di ambiente o alle forme di vita di cui essa può occuparsi. Qualunque genere letterario è potenzialmente significativo: la poesia, la narrativa, il teatro, la saggistica. In linea di principio, nessuna opera dell’immaginazione mai creata dall’inizio dei tempi è irrilevante, perché l’interdipendenza del corpo e della mente umana con l’ambiente fisico precede qualunque atto dell’abilità o dell’invenzione umana.14

Non è un caso che tale disciplina sia nata in un momento in cui

cominciava a profilarsi la crisi ecologica nella quale ci troviamo oggi,

un momento nel quale gli studiosi statunitensi cominciavano a

prendere coscienza dei mutamenti in atto e, conseguentemente, a

domandarsi quali strumenti la cultura avesse da offrire per

fronteggiare tale crisi, perseguendo l’idea di un’educazione

ambientale che non si basasse solo sul bagaglio di conoscenze

asettiche fornite dalla tecnica e dalla scienza, troppo lontane per

14   Lawrence   Buell,   “La   critica   letteraria   diventa   eco”,   trad.   it.   di   L.   Talarico,   in  Ecocritica  Caterina  Salabè  (a  cura  di),  Roma,  Donzelli  Editore,  2013,  pp.  3-­‐5.  

Page 19: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

13

raggiungere con i loro messaggi l’intera umanità. Porsi simili

domande non era solo un formalismo accademico, ma il tentativo di

coinvolgere attivamente la letteratura nella crisi dell’ambiente, per

portare all’attenzione degli esseri umani tutta una serie di fattori che,

minacciando il pianeta in cui essi stessi vivevano, minacciavano di

fatto anche la loro stessa sopravvivenza.

In tal senso l’ecocriticism intendeva e intende tutt’oggi proporre una

lettura delle opere letterarie che sia veicolo di una educazione a

scoprire le tensioni ecologiche del presente, non limitandosi a essere

un mero esercizio teorico ma una vera e propria forma di attivismo

culturale, un movimento organizzato, una critica militante, uno

strumento anti-ideologico che affini la nostra consapevolezza della

vita e dei cambiamenti nella società contemporanea. In altre parole,

gli studiosi di ecologia letteraria non si limitano a studiare i testi per

definire come essi rappresentino la natura e i rapporti tra esseri

umani e ambiente e tra esseri umani ed esseri umani, ma cercano di

sollecitare una presa di coscienza che spinga al cambiamento e a una

maggiore consapevolezza delle questioni ecologiche che riguardano

l’ambiente in cui viviamo. Data l’imponenza di un simile obiettivo

risulta evidente che il metodo migliore per perseguirlo non può certo

essere univoco: fin dalla nascita dell’ecocritica, infatti, gli studiosi

hanno proposto una molteplicità di vedute e di letture che, lungi

dall’essere percepita come un problema, è sempre stata vista, al

contrario, come un segno di quella “diversità culturale che costituisce

una parte necessaria della diversità umana e di ogni altra diversità

biologica”15. Questa eterogeneità riguarda non solo le considerazioni

e gli spunti pratici che gli studiosi di ecocritica estrapolano dallo

15   Serenella   Iovino,   Ecologia   letteraria.   Una   strategia   di   sopravvivenza,   Milano,   Edizioni  Ambiente,  2006,  p.  16.  

Page 20: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

14

studio dei testi, ma riguarda la natura stessa dei testi sottoposti a

rilettura.

Strettamente legato all’ecocriticism esiste, ed è molto virale, come ha

scritto Lawrence Buell, un genere letterario che ha trovato negli

autori inglesi e americani la sua espressione migliore, cioè la

cosiddetta nature writing, una produzione incredibilmente variegata

che spazia dalla narrativa alla saggistica e alla poesia, e i cui autori

fondamentali sono Henry David Thoreau, John Muir (1838-1914),

Aldo Leopold (1887-1948) e Jack London. Tuttavia, se si opta per un

superamento delle tassonomie, alla ricerca di autori e di opere non

dichiaratamente legate a un discorso ambientalista, il terreno

potenziale dell’interpretazione ecocritica si dilata enormemente.

Secondo il pensiero di Scott Slovic16, per esempio, non esiste una sola

opera letteraria che non possa essere fatta oggetto di interpretazione

ecocritica. In questo senso, le analisi ecocritiche possono con

pertinenza indagare il modo in cui la letteratura si fa espressione dei

conflitti sociologici, delle discriminazioni ambientali (razzismo e

classismo ambientale) e anche delle problematiche legate alle

differenze (di specie, di genere, di etnia, di abilità). La spinta

educativa che deriva dall’indagine ecocritica è quindi l’aspetto più

importante di questa materia, giacché interagendo con la società la

letteratura può rispecchiare le tensioni del presente e diventare fonte

di conoscenza e di riflessione intorno a problematiche sempre vive e

poco conosciute, ma soprattutto contribuire a creare le cosiddette

“nuove mitologie”, cioè nuovi modelli di società all’interno dei quali

vengano fornite all’uomo indicazioni su come comportarsi per

preservare ciò che si considera dotato di valore. A tal proposito è

16  Studioso  di   letteratura  ed  ecocritica  (nonché  docente  presso  la  University  of   Idaho)  ed  editor   dell’ISLE,   Interdisciplinary   Studies   in   Literature   and   Environment,   giornale   ufficiale  dell’ASLE,  Association  for  the  Study  of  Literature  and  Environment.  

Page 21: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

15

necessario un approfondimento che prenda in considerazione non

soltanto il concetto di “valore” ma anche un discorso più ampio

legato alle etiche ambientali e alle loro proposte per una rivisitazione

del rapporto tra esseri umani e altri.

1.2 Etiche ambientali

Nel 1949, quando l’intromissione dell’uomo nella natura aveva già

assunto un carattere assolutamente usurpatorio il naturalista e

filosofo Aldo Leopold pubblicava Almanacco di un mondo semplice17.

All’interno dell’opera, un saggio dal titolo “Etica della terra”

sottolineava la necessità di un radicale mutamento di prospettiva

giustificato prima di tutto in termini etici:

In breve, un’etica terrestre modifica il ruolo di homo sapiens da conquistatore della terra a semplice membro e cittadino della sua comunità. Implica rispetto per gli altri membri e per la stessa comunità in quanto tale.18

Ma l’impulso decisivo al dibattito ambientale venne senza dubbio da

Rachel Carson (1907-1964), biologa statunitense che nel 1962

pubblicò il libro Primavera silenziosa, nel quale denunciava una serie

di atteggiamenti umani giudicati irresponsabili e dannosi verso

l’ambiente, dall’abuso del DDT in agricoltura, che uccideva non solo

gli insetti nocivi ai raccolti ma anche milioni di piccoli uccelli, fino

alla coltivazione massiccia potenzialmente distruttiva per l’ambiente

stesso e i suoi equilibri. Rachel Carson contribuì enormemente allo

sviluppo della “coscienza ambientale” e non solo negli Stati Uniti,

tanto che alla fine degli anni ’60 la “crisi ecologica” era una realtà

17  Aldo  Leopold,  Almanacco  di  un  mondo  semplice,   (Sand  County  Almanac),  trad.   it.  di  G.  Arca  e  M.  Maglietti,  Como,  Red  Edizioni,  1997.  18  Ivi,  p.  165.  

Page 22: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

16

nota a tutti e riconosciuta, pur con quale riluttanza, anche dalle

autorità politiche. Non è dunque un caso che le etiche dell’ambiente

abbiano acquistato una certa visibilità proprio all’inizio degli anni ’70

e che siano, al giorno d’oggi, al centro dell’attenzione del consorzio

umano. Essendo discorsi molto attuali, formulati sulla base di un

mondo che cambia continuamente, tali etiche non costituiscono un

corpus unitario e sistematico di dottrine, ma un orizzonte concettuale

aperto, caratterizzato da una vasta pluralità di approcci,

interpretazioni e ipotetiche soluzioni. La complessità delle tematiche

in questione rende molto difficile un discorso esaustivo e coerente:

come porsi per esempio di fronte alle grandi scoperte scientifiche,

figlie di un progresso tecnologico che da un lato distrugge ma

dall’altro salva? Da questo punto di vista, parlare di etica ambientale

significa di fatto parlare in primis del valore che viene dato agli

organismi umani in relazione agli organismi non umani, un

argomento che impone necessariamente di esaminare i concetti di

antropocentrismo19 e anti-antropocentrismo. Inutile dire che la

tradizione etica occidentale è fortemente antropocentrica: l’essere

umano, dotato di ragione e personalità, è infatti il solo depositario

della legge morale e dei diritti civili, ed è il solo in grado di

riconoscere i valori. Il filosofo tedesco Immanuel Kant sosteneva che

solo l’uomo, con il suo essere persona, possedesse la libertà e

l’indipendenza dal meccanismo di tutta la natura e che ciò gli

consentisse di fatto una vita indipendente dall’intero mondo

sensibile. Alla natura, agli animali, al pari che alle cose inanimate,

non è per tanto dovuto alcun rispetto; per essi si può tutt’al più

provare ammirazione.

19  Filosofia  che  considera   l'uomo  come   il   centro  dell'Universo.  Tale  centralità  può  essere  intesa  come  semplice  superiorità  rispetto  al  mondo  animale  e  vegetale  o  addirittura  come  dominio  ontologico  su  tutto  ciò  che  esiste.  

Page 23: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

17

Va da sé, date le premesse finora espresse, che l’elaborazione di

un’etica dell’ambiente debba necessariamente partire da una

riflessione più ampia riguardo ciò che ha valore e perché. Le etiche

ambientali concentrano sovente il loro discorso intorno al concetto di

“valore intrinseco”, o “valore non strumentale”: secondo tale

concetto, animali, piante e organismi in genere, per il semplice fatto

di essere soggetti viventi, dotati di un proprio potenziale sviluppo,

sono da considerarsi come dotati di valore. Esiste tuttavia una

filosofia che tende a considerare il valore intrinseco come equivalente

del “valore oggettivo”, ossia il valore posseduto dall’oggetto

indipendentemente dalla valutazione di un soggetto esterno. Tra

queste definizioni vi è una sottile differenza: nella prima, l’attività

valutativa di un soggetto razionale esterno è determinante per

l’attribuzione del valore. La seconda invece intende il valore

oggettivo come un valore che sussisterebbe anche in assenza di

qualcuno che lo connotasse come tale. Un valore siffatto è percepito

come un valore reale, presente nel tessuto stesso delle cose

considerate. In genere, le prospettive antropocentriche considerano

la natura in due modi: o dotata di un valore strumentale (una

determinata cosa vale nella misura in cui funge da strumento per

conseguire un fine, ma considerata in se stessa non ha alcun valore),

oppure dotata di un valore intrinseco, che è tuttavia da ricondurre

all’attività valutatrice umana. Tra le prospettive non

antropocentriche invece, la maggior parte considerano la natura

come dotata di un valore intrinseco tendenzialmente oggettivo.

Alcune ammettono che il valore possa anche derivare da una

valutazione umana ma nessuna di esse considera il mondo naturale

come dotato di valore strumentale.

Page 24: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

18

1.3 Potenzialità dell’ecocritica e transdisciplinarietà

Tramite l’analisi ecocritica dei testi è possibile, come si accennava

poc’anzi, far emergere una serie di considerazioni circa il rapporto

tra gli esseri umani e il circostante e quindi indagare chi e che cosa

venga considerato dotato di valore. L’indagine non è naturalmente

fine a se stessa, ma fortemente connotata da uno scopo educativo, un

aspetto chiave che contribuisce a fare dell’ecocriticism l’elemento di

un più ampio discorso etico-filosofico: attraverso la critica letteratura

è possibile educare o ri-educare. Del resto, l’idea di una parentela tra

letteratura e filosofia non è nuova: essa ci riporta ad Aristotele, per il

quale la poiesis (la creazione letteraria in genere) riesce a creare un

ponte tra l’individuale e l’universale. Diversamente dalla storia, la

quale parla di quello che è stato, la poiesis parla di quello che è, scrive

Aristotele nel IV libro dell’Etica Nicomachea, ed è proprio per questo

che risulta più filosofica. Il linguaggio della letteratura è

naturalmente un linguaggio creativo, ma proprio in questa creatività

sta l’aspetto positivo della letteratura e dell’ecologia letteraria: si

tratta infatti di una forma di creatività non fine a se stessa, ma

orientata alla produzione e alla rappresentazione di valori, o meglio,

all’invenzione di valori. Questa differenza terminologica non è di

poco conto, dal momento che inventio non rimanda qui a un

inventare dal nulla, ma piuttosto a un in-venire, un ritrovare valori

che il discorso consolidato (letterario, filosofico, sociale) ha offuscato

o sepolto dietro una costruzione diversamente orientata della realtà.

Questo ci aiuta anche a comprendere meglio perché la letteratura e

gli oggetti culturali su cui l’ecocriticism esercita la sua analisi non

rientrano necessariamente in un genere ecologico. Romanzi, poesie,

trattati, opere come Walden, Moby Dick (1851), ma anche film o

addirittura installazioni artistiche: ogni creazione in cui ci sia

Page 25: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

19

un’esplicita o implicita caratterizzazione etica del rapporto tra

l’umanità e la società con la natura, ricade potenzialmente nel campo

dell’indagine ecocritica. Anche se, come si è visto, esiste ed è fiorente

una nature writing, è quindi probabile che oltrepassare i confini di

genere sia una scelta di potenziamento per l’ecocriticism, poiché aiuta

a comprendere che la nostra interdipendenza con il mondo non

umano può essere suggerita non solo da opere esplicitamente

ecologiche o ambientalistiche, ma da ogni opera in cui è

rappresentata la relazione tra l’umanità e il suo altro.

In questo senso, e come torna a suggerire il titolo di questo elaborato,

il concetto di transdisciplinarietà diventa fondamentale, dal

momento che solo la consapevolezza che gli esseri viventi e le loro

manifestazioni si contaminano gli uni con gli altri continuamente

può fornire il punto di partenza ottimale per ogni tipo di analisi che

abbia come scopo l’osservazione dell’alterità.

A tal proposito è interessante segnalare un estratto di un articolo di

Daniela Fargione che riflette sull’importanza di un approccio

transdisciplinare tanto in ambito accademico quanto come vero e

proprio stile di vita:

The term "transdisciplinarity” […] was coined almost three decades ago and started circulating in the publications of scholars such as Edgar Morin, Jean Piaget, and Eric Jantsch to stress the need to cross the limits of discipline or science boundaries. In 1987, theoretical physicist Basarab Nicolescu contributed to found the Centre International de Recherches et Etudes Transdisciplinaires (CIRET) in Paris, with the aim "to lay bare the nature and characteristics of the flow of information circulating between the various branches of knowledge" and his is the Manifesto of Transdisciplinarity (2002). Nicolescu expresses all his perplexities for the extant gap between the exponential progress in scientific research and the implementation of relative findings in reality, in other words between knowledge and action, especially in the light of a constant threat of "complete self-destruction" (Nicolescu, Manifesto 6), that involves three aspects of the human condition:

Page 26: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

20

the material, the biological, and the spiritual. Self-destruction today seems to be more than the projection of a future simulacrum. Similarly, positive change should not be viewed as a mere futuristic vision.20

In aggiunta a questo ragionamento è opportuno menzionare anche

una riflessione di Serenella Iovino21 nel corso di una conferenza dal

titolo Nature, culture, ambiente22 tenutasi nell’aprile 2013 presso

l’Università degli Studi di Torino. In tale frangente, la studiosa si è

soffermata a lungo proprio sul concetto di transdisciplinarietà,

sostenendo che la complessità del mondo in cui viviamo ha fatto

emergere, da qualche anno a questa parte, una necessità di

semplificazione che ha dato origine a tutta una serie di specificità atte

a circoscrivere diversi campi della ricerca scientifica, per favorirne

almeno teoricamente lo studio. Teoricamente perché, sempre citando il

pensiero di Iovino, ragionare per compartimenti stagni, guidati da

un modello lineare ai cui estremi generalmente ci sono le due

categorie classiche di Bene e di Male, ci ha spinto a categorizzare

anche il mondo in cui viviamo, cosa che ha portato a un’evidente

incapacità di comprendere i legami profondi che intercorrono tra le

sue parti. Scoprirsi transdisciplinari, essere aperti a pressoché

qualsiasi tipo di contaminazione, sono tutte azioni che permettono di

analizzare il circostante in modo più completo e attento rispetto a

una qualsiasi analisi settoriale, che non considera cioè l’importanza

dei legami che tengono unite non solo le diverse parti del mondo ma

20 Daniela Fargione, “Contamina(c)tions: A Transdisciplinary Approach to Teaching American Literature in an Italian University. The Case of 'Dickinsong’” in Teaching American Literature: A Journal of Theory and Practice, Spring 2013, (6:1), pp. 3-4. 21   Docente   di   Letterature   Comparate   presso   l’Università   degli   Studi   di   Torino   e  vicepresidente   della   European   Association   for   the   Study   of   Literature,   Culture,   and   the  Enviroment.  22   Organizzata   dalla   prof.ssa   Daniela   Fargione   nell’ambito   del   corso   di   insegnamento   di  Letteratura  Americana  D  Thinking  green,  aa  2012/2013.  

Page 27: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

21

anche le diverse discipline che lo studiano. E si tratta di legami che

spesso si rivelano forieri di informazioni, curiosità e spunti di

riflessione utilissimi che difficilmente lo studio ristretto della singola

materia potrebbero fornire.

Al pensiero di Serenella Iovino si può ancora aggiungere che se è

fondamentale scoprirsi transdisciplinari è altrettanto fondamentale,

anche per raggiungere tale scopo, riscoprirsi curiosi. La curiosità è

infatti la base di ogni sperimentazione, la forza che abbatte ogni

pregiudizio, una fonte inesauribile di potenziale conoscenza.

Spesso i razionalisti più intransigenti affermano che il fascino di

parole come quelle degli autori cui si è brevemente accennato finora,

sfuma inevitabilmente di fronte all’impossibilità di fornire spunti

concreti per mettere in atto i cambiamenti da loro auspicati. È per

questo motivo che si vuole ribadire con forza l’importanza della

curiosità come stile di vita, perché essa è qualcosa che tutti noi

abbiamo già a disposizione e che non necessita né di utopiche prese

di coscienza comuni, né di particolari condizioni sociali, economiche

o politiche per esercitare il suo straordinario potere. Soprattutto non

è un istinto che qualcuno o qualcosa all’infuori di noi possa spegnere

ma è - ed è in questo che sta la sua eccezionale potenzialità - una

fiamma che qualsiasi cosa può accendere, o riaccendere, dentro di

noi. La curiosità è istinto di conoscere, e l’istinto di conoscere, è

l’essenza stessa dell’essere umano.

Page 28: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

22

2. Capitolo Secondo: Altro da cosa?

«Prendersi il diritto di stabilire nuovi valori, questo è il più terribile atto per uno spirito tollerante e riverente. In verità per lui è un rapinare: una cosa per animale da preda.»23

Friedrich Nietzsche

Definire il concetto di alterità non è un’impresa semplice: non solo il

termine altro può riferirsi a un’infinità di persone o di cose, come ci

suggerisce qualsiasi vocabolario24, ma ad ogni individuo diverso

corrisponde una diversa idea di alterità, cosa che conferisce ulteriore

vastità al concetto. In altre parole: io sono io, ma per qualcun altro, o

per qualcos’altro, io sono altro. Circoscrivere il campo di indagine,

quantomeno in questa sede, serve a scongiurare l’eventualità di

dedicare le pagine che seguiranno a una trattazione che tocchi in

modo generico ogni possibile sfaccettatura del discorso finendo per

non concentrarsi su nessuna. Circoscrivere il campo significa anche e

soprattutto stabilire il momento storico da cui partire per questa

indagine sull’altro, che in questo caso, come si è già detto

nell’introduzione, è il periodo compreso tra la fine del XVI e l’inizio

del XVII secolo. Fu quella l’epoca in cui sorsero sul suolo americano

le prime colonie fondate da coloro che lasciavano il vecchio

continente, in particolar modo inglesi, desiderosi di trovare nel

Nuovo Mondo quelle condizioni di vita che avevano perdute, o

proprio mai godute, nella madrepatria europea.

Le motivazioni che spinsero molti inglesi a prendere la via

dell’oceano verso l’America erano, come spesso accade, legate a una

grave crisi economica quale quella del XVII secolo, che aveva

23  F.  Nietzsche,  Così  parlò  Zarathustra,  (Also  sprach  Zarathustra)  trad.  it.  di  G.  Quattrocchi,  Milano,  Giunti,  2012,  pp.  32-­‐33.  24   Ad   esempio  Treccani:  Altro:  agg.   indef.   [lat.   alter]   –  Diverso,   differente   da   persona   o  cosa  nominata  prima  o  a  cui  tacitamente  si  allude.  

Page 29: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

23

gradualmente ridotto i redditi e i patrimoni personali di buona parte

della popolazione che, non scorgendo alcuna possibilità di ripresa

nell’immediato futuro, optò per l’emigrazione verso una terra che

pareva invece essere foriera di enormi possibilità. Tra queste, e non è

da sottovalutarsi, c’era la possibilità di professare il proprio credo

religioso al riparo da quelle politiche anti-protestanti che spesso

venivano messe in atto dal potere centrale, nel tentativo di arginare

la deriva calvinista e puritana verso cui la Chiesa d’Inghilterra

sembrava ormai essere pericolosamente avviata.

Il distacco tra Vecchio e Nuovo Mondo non fu quindi esclusivamente

fisico, ma anche e soprattutto intellettuale e curiosamente finì per

creare una spaccatura ideologica intorno a un tema, quello della

wilderness (o natura selvaggia) e della wilderness condition (la

condizione primitiva), che proprio in quell’epoca fu tra i più dibattuti

grazie ai numerosi resoconti di viaggio consegnati agli intellettuali

europei dagli scrittori che partecipavano alle prime traversate

oceaniche verso l’America.

2.1 The idea of Wilderness

Greg Garrard, professore alla University of British Columbia e

membro fondatore dell’Association for the Study of Literature and

the Environment, a proposito del concetto di wilderness ha scritto:

The idea of wilderness, signifying nature in a state uncontaminated by civilisation, is the most potent construction of nature avaible to New World environment. It is a construction mobilized to protect particular habitats and species, and is seen as a place for the reinvigoration of those tired of the moral and material pollution of the city. Wilderness has an almost sacramental value: it holds out the promise of a renewed, authentic relation of humanity and the earth, a port-

Page 30: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

24

Christian covenant, found in a space of purity, founded in an attitude of reverence and humility.25

Con l’avvento del secolo dei Lumi, intellettuali e teologi europei

cominciarono a considerare la natura come un’opera diretta di Dio,

tanto che essa assurse in poco tempo a simbolo dei più genuini

sentimenti dell’uomo, diventando così una forza pura da venerare e

preservare in ogni sua forma ed espressione. Ne conseguì che “essere

‘genuini’ significò essere vicini alla natura e in opposizione con la

modernità, che si era distaccata dall’organico disegno divino del

mondo”26 per perdersi in un labirinto fatto di progressi della tecnica,

magnificenza architettonica e ricerca spasmodica della ricchezza. Il

primitivismo, e con esso il “primitivo”, assunse in quest’epoca un

sapore di innocenza, grazie alla quale l’uomo era ritenuto nobile,

virtuoso, sensibile, e i “racconti di viaggio” molto in voga al tempo

contribuirono a creare una sorta di immagine mitizzata del

“selvaggio”, spesso utilizzata per criticare la società contemporanea e

la strada scellerata che aveva intrapreso.

La wilderness era in effetti proprio l’ambiente che si presentava ai

coloni inglesi che calcavano per la prima volta territori sconosciuti. Si

trattava di un mondo appena scoperto che assunse ben presto il

carattere di una vera e propria Terra Promessa che insieme

affascinava e terrorizzava, e che soprattutto favorì negli ex Europei la

nascita di una nuova identità culturale: non più cristallizzata nella

perfezione creativa del passato, fatta di poemi, castelli e cattedrali,

ma un’identità viva, immersa nella natura selvaggia. Nel volume

Storia degli Stati Uniti d’America, lo storico Maldwyn A. Jones (1922-

25  Greg  Garrard,  Ecocriticism,  NY,  Routledge,  2004,  p.  59.  26   George   L.  Mosse,   Il   razzismo   in   Europa.   Dalle   origini   all’olocausto,   (Toward   the   Final  Solution.  A  History  of  European  Racism)  trad.  it.  di  L.  De  Felice,  Bari,  Editori  Laterza,  2003,  p.  12.  

Page 31: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

25

2007) riflette sull’impatto che la wilderness ebbe sui primi coloni

europei che sbarcarono nel Nuovo Mondo:

[…] i nuovi venuti europei dovevano affrontare condizioni climatiche diverse da quelle cui erano abituati: le estati erano più calde e più umide, gli inverni […] più lunghi e duri. E si trovarono anche di fronte a fitte foreste su una scala che l’Europa non ricordava più da secoli. Queste, se da un lato costituirono un ostacolo per i viaggi e l’agricoltura, dall’altra ebbero un’importanza vitale per la sopravvivenza dei coloni che vi trovarono in abbondanza sia legname sia selvaggina […].27

La wilderness era, pare chiaro, qualcosa che per i coloni inglesi non

aveva eguali nelle terre d’origine e divenne ben presto emblema di

una differenza profonda tra il carattere europeo, moderno,

contaminato, artificioso e quello americano, una sorta di materia

grezza da plasmare con forme del tutto diverse, più nobili e pure.

Riprendendo in parte quanto espresso da Greg Garrard a proposito

del concetto stesso di wilderness, Serenella Iovino in Filosofie

dell’Ambiente scrive:

Ma che cos’è esattamente la wilderness, e in che modo è possibile definirla? Nel classico studio Wilderness and the American Mind [La natura selvaggia e lo spirito americano] Roderick Nash ricostruisce l’etimologia della parola a partire dall’anglosassone wild-d�or: un termine che indica letteralmente l’animale (d�or […]) selvaggio (wild, da willed, participio passato di will, “volere”: “autodeterminato”; “selvaggio”, infatti, è cioè il cui volere è incontrollabile). Wilderness, da wild-d�or-ness, è dunque originariamente un luogo di bestie selvagge: una sorta di foresta primordiale. Per estensione, la parola indica contesti e territori lontani dalla civiltà. In realtà, tuttavia, il concetto assume già in partenza connotazioni più ampie. Esso esprime l’idea della precarietà di chi si trova esposto ai pericoli di natura inospitale, come dovevano esserlo, per esempio, le antiche selve dell’Europa centro-orientale. Non si tratta, quindi, di un

27   Maldwin   A.   Jones,   Storia   degli   Stati   Uniti   d’America,   (The   limits   of   liberty.   American  history   1607-­‐1992),   trad.   it.   di   E.   Peru,  G.   Bombi,   A.M.   Lichtenberger,   R.   Bernascone,  A.  Silvestri,  Milano,  Bompiani,  2011,  p.  8.  

Page 32: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

26

semplice scenario, ma di una precisa condizione materiale (la mancanza di un riparo) e psicologica (l’ansia dell’aggressione) che, nell’immaginario religioso e letterario, si caricherà progressivamente di valenze morali […] e simboliche. Questo simbolismo riemerge vigoroso nell’incontro dei coloni inglesi con le terre del Nuovo mondo.28

Tanto la sacralità della wilderness quando il relativo mito del ‘nobile

selvaggio’ così come emergevano dai racconti di scrittori come

Jonathan Swift (1667–1745) o Jean Jacques Rousseau (1712-1778), non

erano concetti destinati a durare: ben presto infatti l’idealizzazione

del primitivo tanto in voga in madrepatria cedette il passo, tra i

coloni, ad una più accentuata ostilità, che poggiava le sue basi su una

pretesa di superiorità e di predominio intellettuale che l’Europa

cominciò a esercitare con forza sempre crescente. Ne conseguì che

l’iniziale seducente innocenza cominciò a essere considerata

atavismo, cioè una regressione dallo stadio evolutivo dall’uomo

moderno a quello dell’uomo ancora non toccato dalla civiltà. Nel giro

di pochissimo tempo, l’immagine del primitivo come stadio più

basso della catena dell’essere venne contrapposta al progresso

raggiunto dalle cosiddette creature superiori. Così, mentre il

contadino, il pastore europeo e tutti coloro che in patria vivevano a

contatto con la natura erano considerati esempi di schiettezza da

porre a un livello più alto della catena, gli indigeni fuori dell’Europa

che vivevano nella natura selvaggia furono ben presto bollati come

barbari. Scrive ancora Serenella Iovino:

È un ambiente da addomesticare, da trasformare in un’altra madrepatria […]. Ma allo stesso tempo, questa natura, col suo paesaggio avvincente e misterioso, con le sue fiere e con i suoi minacciosi abitanti diviene la metafora vivente di uno stato fisico e morale: la “wilderness condition” è l’aldilà di una soglia, varcata la quale si esce dalla grazia e si è risucchiati in un

28  Serenella  Iovino,  Filosofie  dell’Ambiente,  Roma,  Carocci,  2008,  pp.  126-­‐127.  

Page 33: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

27

mondo pre-umano. Per i settlers puritani, la wilderness diviene così la traduzione fisica di un concetto teologico: essa sta all’umanità come il male sta al bene. E come male va combattuta insieme con i suoi abitanti, non riconosciuti quali esseri umani ma visti a tutti gli effetti come parte del nuovo paesaggio.29

Come si evince dalla citazione, nella mentalità dei padri pellegrini

l’altro era quello che già da tempo abitava la terra che essi si

apprestavano a colonizzare, e non già essi stessi, che da oltre oceano

erano venuti a sconvolgere un mondo che fino ad allora aveva

prosperato senza alcun bisogno, e forse proprio grazie all’assenza

della presenza europea. Siccome tuttavia la missione dei transfughi

del Vecchio Continente era “benedetta da Dio”, nella propaganda dei

colonizzatori l’altro non poteva che essere colui, o ciò, che si

frapponeva tra i pellegrini e una nuova civiltà. Proprio questa fu la

motivazione per la quale, in nome del progresso, i Nativi Americani

vennero massacrati e le loro terre devastate nel giro di pochi decenni,

senza che l’eco di questi crimini raggiungesse mai in modo massiccio

gli intellettuali nella vecchia Inghilterra.

2.2 Bianchi e altri

Le tribù dell’America settentrionale, cioè le prime con le quali i

coloni europei si trovarono a dover interagire, erano relativamente

primitive, non conoscevano la ruota, il cavallo, gli utensili da cucina

di metallo né le armi da fuoco. All’inizio, per tanto, gli scambi

culturali tra i due popoli furono molteplici: mentre gli “Indiani”

mettevano a disposizione le loro conoscenze in campo agricolo (come

fare crescere, per esempio, il mais e il grano indiano, come coltivare,

conciare e usare il tabacco), gli europei insegnarono loro a lavorare i

29  Serenella  Iovino,  Filosofie  dell’Ambiente,  cit.,  pp.  126-­‐127.  

Page 34: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

28

metalli e cercarono di esportare ciò che consideravano il segno della

loro modernità, in primis la religione cristiana. L’idillio, tuttavia, non

era destinato a durare: i bianchi dimostrarono ben presto

insofferenza nei confronti di una cultura politeista che considerava

per giunta inaccettabile il concetto di proprietà privata della terra. Le

differenze culturali sfociarono quindi attriti, zuffe, scontri e, infine, in

una guerra aperta in cui i Nativi Americani, non essendo in grado di

opporsi a una tecnologia enormemente superiore alla loro, erano

sconfitti in partenza. Così gli “intrusi”, nonostante le iniziali

intenzioni di convertirli al Cristianesimo, considerarono gli Indiani

soprattutto come un ostacolo da eliminare o da allontanare, alla

stessa stregua degli altri pericoli del mondo selvaggio. Per un

periodo di tre secoli la guerra e le malattie dei bianchi distrussero

progressivamente la cultura indiana e, con essa, la loro identità. Nel

1900, quando i bianchi si erano ormai estesi in tutti il continente,

c’erano meno di 250.000 Indiani nel territorio statunitense, per lo più

confinati nelle riserve, ridotti in povertà, spesso malati e senza alcuna

prospettiva.30 La tendenza, tuttavia, andò invertendosi piuttosto

rapidamente anche sul suolo americano, almeno a livello ideologico:

se infatti i primi coloni puritani vedevano nella natura selvaggia

l’espressione di Satana, nel giro di pochi decenni (seconda metà del

XVIII secolo), quest’immagine si capovolse decisamente. Diversi

teologi incominciarono a suggerire che il Nuovo Mondo fosse in

realtà l’espressione più pura della divinità e che, proprio in quanto

selvaggio, fosse più vicino alle sue origini e quindi a Dio di quanto

mai potesse esserlo la vecchia Europa. Valore aggiunto, in questo

caso, divenne proprio la wilderness, un ambiente al contempo fisico e

metafisico all’interno del quale la divinità poteva svelarsi ai nuovi

30  Maldwin  A.  Jones,  Storia  degli  Stati  Uniti  d’America,  cit.,  pp.  8-­‐9  

Page 35: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

29

americani molto più chiaramente di quanto non potesse fare con gli

Europei, che in secoli di civiltà avevano posto più di un velo di

artificialità sopra alle opere divine. Con simili premesse non c’è da

stupirsi se ben presto l’America acquistò, nell’immaginario dei

coloni, una notevole superiorità morale nei confronti dell’Europa, in

quanto mondo puro, incontaminato, moralmente superiore e

decisamente più vicino a Dio. Scrive in proposito Serenella Iovino:

Nel pieno Seicento, le prime generazioni di Puritani si sentivano dunque portavoci di Dio nel nuovo mondo che, nel loro fervore religioso, percepivano come un satanico caos primordiale. Ma in pochi decenni questa immagina si capovolge. Negli stessi anni in cui Jean-Jacques Rousseau esalta le virtù dello stato di natura, il teologo Jonathan Edwards (1703 – 1758) vede nella terra americana «immagini o ombre di cose divine» (Edwards 1758), un Eden selvaggio da contrapporre alla decadente società europea. Nell’immaginario dei coloni, l’America diviene anzi un «continente selvaggio» e, proprio per questo, più vicino a Dio: «se, come molti sospettavano, la wilderness era il mezzo attraverso il quale Dio parlava più chiaramente, allora l’America aveva un aperto vantaggio morale sull’Europa, dove secoli di civiltà avevano deposto un velo di artificialità sulle opere divine».31

2.3 H.D. Thoreau e Walden: un’identità comune nella differenza

Per quanto le ragioni storiche della colonizzazione del Nuovo

Mondo siano note alla maggior parte dei contemporanei, una breve

contestualizzazione quale quella di cui sopra era necessaria al fine di

introdurre correttamente il discorso centrale di questo capitolo, cioè

il concetto di alterità legato al mondo vegetale e animale, considerato

fin dai tempi dello scisma cartesiano come altro dall’uomo. Il ben

noto concetto «cogito ergo sum» («penso dunque sono») formulato dal

filosofo francese René Descartes nel XVI secolo, suggerì infatti che gli

31  Serenella  Iovino,  Filosofie  dell’ambiente,  cit.,  p.  127  

Page 36: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

30

unici esseri dotati del cogito, cioè della capacità di ragionamento e di

autocoscienza, fossero gli esseri umani, mentre gli animali, privi di

coscienza, erano paragonabili a semplici macchine incapaci persino

di provare dolore. Scrive Cartesio:

È assai noto che non c'è uomo tanto ebete e stupido, neppure un pazzo, che non sia capace di mettere insieme diverse parole e farne un discorso per comunicare il suo pensiero; e che al contrario non c'è altro animale, per quanto perfetto e felicemente creato, che possa fare lo stesso. […] E questo non dimostra soltanto che gli animali sono meno ragionevoli degli uomini, ma che non lo sono per nulla.32

Nemmeno un accenno venne da Cartesio, almeno per quanto ne

sappiamo oggi, sul mondo vegetale, ma è facile immaginare quali

considerazioni si siano potute trarre a partire dal ben noto

ragionamento sul mondo animale, i cui membri, di sicuro più di un

organismo vegetale, sono assolutamente in grado di mostrare una

vasta gamma di reazioni corrispondenti ad un altrettanto vasta

gamma di stimoli.

Date tali premesse non c’è quindi da stupirsi se, nel corso dei secoli,

la vita di un organismo non umano sia stata sempre considerata

sensibilmente meno importante e preziosa rispetto a quella di un

organismo umano, tanto che si può parlare in questo caso di

un’alterità inferiore, di organismi di cui l’uomo, in virtù di una

presunta superiorità conferitagli dalla capacità di ragionamento, ha

creduto, e in parte crede tuttora, di poter disporre a suo piacimento.

Scrive in proposito Luisella Battaglia33:

32   René   Descartes,   Discorso   sul   metodo,   (Discours   de   la   méthode),   (e-­‐book),   da  <www.liberliber.it>,  trad.  it.  di  I.  Cubeddu,  p.  61.  33  Professore  ordinario  di  ‘Filosofia  Morale’  e  di  ‘Bioetica’  presso  la  Facoltà  di  Scienze  della  Formazione   dell’Università   degli   Studi   di   Genova.   Fa   parte,   dal   1999,   del   Comitato  Nazionale  per  la  Bioetica.  

Page 37: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

31

L’umanesimo antropocentrico appare caratterizzato da un’antropologia ispirata a una visione discontinuista, in cui l’antitesi uomo/animale è uno dei punti fermi, richiamati con maggiore costanza dall’antichità all’era moderna. Ne discende, sul piano etico-politico, il modello del dominio, che esclude gli animali da ogni considerazione morale e li relega, in quanto privi di ragione o di anima immortale, nella sfera dei mezzi, degli strumenti al servizio dell’uomo. L’inerente superiorità degli umani sulle altre specie, implicata nella definizione aristotelica dell’uomo come animale razionale, fa sì che il possesso del logos – l’uso, quindi, della parola e della ragione – qualifichi l’uomo e segni la sua distanza incolmabile dall’anima, privo di favella e, per tanto, di razionalità. Sinonimo di irrazionalità, di male, di vizio di disordine, l’animale è il negativo che illumina a contrario la dignità e l’eccellenza dell’uomo.34

Ma nel 1854 un giovane scrittore di nome Henry David Thoreau

pubblicò un’opera destinata a diventare, nel corso di un secolo, un

caposaldo della letteratura americana e mondiale, un’opera

all’interno della quale per la prima volta e con un metodo non certo

comune, veniva affrontato il tema dell’altro dall’uomo in un’ottica di

parità e talvolta addirittura di superiorità del primo sul secondo.

Quando si traferì in una capanna nel pressi del lago di Walden35,

Thoreau aveva ventisette anni, una laurea conseguita ad Harvard e

una serie di fallimenti professionali alle spalle che l’avevano spinto a

una profonda riflessione su quale fosse effettivamente il posto

dell’essere umano nel mondo e su ciò di cui necessitava per essere

felice. Al fine di trovare una risposta a queste domande, Thoreau

avviò un esperimento di cui fu unico protagonista umano e che

consistette nel trasferirsi in una capanna sulle rive di un lago,

appunto quello di Walden, immersa in una foresta ancora quasi del

tutto priva della presenza dell’uomo. Scrive in proposito Anna Re:

34  Luisella  Battaglia,  Alle  origini  dell’etica  ambientale,  Bari,  Edizioni  Dedalo,  2002,  pp.  31-­‐32.  35  Lago  nei  pressi  della  città  di  Concord,  Massachusetts,  Stati  Uniti  d’America.  

Page 38: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

32

La tradizione del nature writing americano deve molto alla figura di Henry David Thoreau (1817-1862), acuto osservatore dei processi naturali, con una rara capacità di unire l’approccio poetico a quello scientifico, e uno dei primi autori a parlare della necessità di preservare la wilderness come riserva di nutrimento intellettuale per l’uomo civilizzato. […] Il suo rapporto con la natura fu rivoluzionario per i tempi. Visse nella natura, isolato dalla presenza umana, ma in compagnia di creature non umane e in questo modo sperimentò la sensazione di sentirsi parte di essa. Thoreau voleva arrivare all’essenza della wilderness, voleva comprenderne e descriverne il valore essenziale.36

I risultati di questo esperimento divennero, pochi anni dopo il

ritorno di Thoreau nel consorzio civile, un’opera dal titolo Walden, or

Life in the Woods, difficile da catalogare dal punto di vista letterario

ma piuttosto chiara invece negli intenti. L’esperienza di Thoreau

parte infatti da una premessa che crea più di uno spunto di

riflessione circa la percezione che l’autore aveva del concetto di

normalità:

Quando consideriamo ciò che […] è il fine principale del genere umano, e quali sono le vere necessità e i veri mezzi della vita, è come se gli uomini avessero deliberatamente scelto di vivere in modo comune perché lo preferivano a qualsiasi altro. Eppure, in tutta onestà, essi pensano che non esista altra scelta. Ma le nature attente e sane si ricordano che il sole sorse chiaro.[…] Non è mai troppo tardi per abbandonare i propri pregiudizi. Ciò che oggi tutti ripetono o, in silenzio, accettano come vero domani potrebbe rivelarsi falso, mero fumo d’opinioni, che alcuni hanno scambiato per una nuvola che avrebbe dovuto spargere fertile pioggia sui loro campi.37

In questo breve passo, che nel caso particolare intende stigmatizzare

la presunta necessità dell’uomo di vivere in società, Thoreau sembra

gettare le basi per una riflessione più ampia, sottolineando che ciò

36  Anna  Re,  “Thoreau  e  Goethe:  scrivere  la  natura”  in  Ecocritica  (a  cura)  di  Caterina  Salabè,  Roma,  Donzelli  Editore,  2013,  p.  143.  37   H.  D.   Thoreau,  Walden,   (Walden,   or   life   in   the  Woods),   trad.   it.   di   A.   Cogolo,  Milano,  Mondadori,  2012,  p.  9.  

Page 39: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

33

che viene considerato normale non è in realtà niente più che una

consuetudine. Essa risulta difficile non solo da estirpare qualora ve

ne sia bisogno, ma anche da sostituire con concetti, idee o modi di

vivere alternativi, poiché proveniente da tempi tanto antichi che gli

uomini si sono ormai convinti di non poter più vivere diversamente.

In effetti sin dalle prime pagine di Walden sembra chiaro che lo scopo

di Thoreau sia proprio quello di rovesciare una serie di convinzioni

di cui l’umanità del suo tempo risultava, a suo dire, schiava al punto

da non riuscire a concepire per se stessa uno stile di vita diverso da

quello che ormai era a tutti gli effetti considerato quello “normale”. È

proprio in quest’ottica che va letta la pesante critica che l’autore

muove a tutto ciò che egli giudica superfluo, dalla ricchezza

economica al mobilio, dai troppi capi di vestiario all’eccesso di cibo.

Sono molti i passi di Walden in cui Thoreau si sofferma a ragionare su

come il superfluo sia la principale causa di infelicità nella vita degli

esseri umani, in quanto l’appagamento momentaneo che dona loro è

in realtà solo un’illusione, giacché non c’è compagnia o amicizia in

una moneta o in un cappotto che sia paragonabile a quella che c’è in

un essere vivente. Riguardo a quella che definisce una vera e propria

schiavitù, Thoreau scrive:

Conosco uomini giovani, miei compaesani, la cui sfortuna consiste nell’aver ereditato fattorie, case, granai, greggi e attrezzi per coltivare la terra, perché di queste cose è più facile entrare in possesso che liberarsi. […] Quante povere anime immortali ho incontrato, in breve tempo schiacciate e soffocate sotto il proprio peso, che scendevano furtivamente il sentiero della vita, portando avanti il lavoro di un granaio di ventitré metri per dodici,[…] , e un centinaio di acri di terra da coltivare, da falciare, da pascolare e da tenere a bosco! I diseredati, che non sono costretti a combattere con tali inutili incombenze,

Page 40: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

34

trovano già abbastanza faticoso domare e coltivare pochi decimetri cubi di carne umana.38

E ancora: “I bisogni della vita per un uomo che vive in questo clima

possono con sufficiente accuratezza essere suddivisi in poche voci:

Cibo, Riparo, Vestiario e Combustibile.”39 Come dirà circa un secolo

dopo Aldo Leopold nel suo Almanacco di un mondo semplice40, la

forma più perfetta di normalità è la natura allo stato selvaggio, un

concetto che Thoreau aveva già piuttosto chiaro quando si ritirò a

vivere in the Woods e che decise di applicare a partire da un vero e

proprio abbandono di tutto ciò che poteva frapporsi fra sé e la forma

più pura di verità, cioè proprio la natura selvaggia. Questo bisogno

di semplicità era quindi, secondo Thoreau, la conditio sine qua non da

cui partire per una concreta rigenerazione di sé, che sarebbe stata

possibile, a suo dire, solo con l’abbandono del consorzio umano e

attraverso un’immersione totale nella natura.

Già da queste premesse risulta più che mai evidente un deciso

ribaltamento di una certa “etica della frontiera” che fino ad allora

aveva caratterizzato non solo la storia americana, ma l’essenza stessa

del nuovo uomo americano.

Scrive in proposito lo storico Frederick Jackson Turner (1861-1932):

Fino ad oggi la storia americana è stata, in larga misura, la storia della colonizzazione del grande Ovest. L’esistenza di una superficie di terre libere e aperte alla conquista, la sua retrocessione continua e l’avanzata dei coloni verso occidente, spiegano lo sviluppo della nazione americana. […] Il tratto caratteristico delle istituzioni americane consiste nel fatto che esse sono state costrette ad adattarsi ai cambiamenti di un popolo in espansione – cambiamenti connessi con la traversata di un continente, con la vittoria sulle solitudini deserte e con lo

38  H.  D.  Thoreau,  Walden,  cit.,  pp.  5-­‐6.  39  Ivi,  p.  13  40  Aldo  Leopold,  Almanacco  di  un  mondo  semplice,   (Sand  County  Almanac),  trad.   it.  di  G.  Arca  e  M.  Maglietti,  Como,  Red  Edizioni,  1997,  p.  158.  

Page 41: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

35

sviluppo, in ogni zona, di questo progresso dalle primitive condizioni economiche e politiche della frontiera alla complessità della vita cittadina. […] Per dirla in breve, alla frontiera l’ambiente è, agli inizi, troppo violento per l’uomo bianco. Questi deve accettare le condizioni che trova o perire, e così si adatta alla natura e segue le piste degli Indiani. A poco a poco trasforma le solitudini deserte, ma il risultato non è la vecchia Europa, lo sviluppo dell’originario gene sassone, il ritorno all’antichissimo ceppo germanico. Nasce con lui un prodotto nuovo e genuino: l’Americano.41

Thoreau, che considerava l’essere umano come parte integrante della

natura e non già della società, criticò piuttosto duramente quella

secolare stortura ideologica (ben evidenziata dal discorso di Turner)

per la quale il mondo umano sarebbe in un certo senso proprietario

del mondo non umano. Si trattava chiaramente di un radicale

mutamento di prospettiva che metteva in discussione diversi assunti

tradizionali per interrogarsi sul significato profondo del concetto di

co-appartenenza, che superava finalmente l’idea di altro dall’uomo.

Fondamentalmente Thoreau cercò di dimostrare prima a se stesso e

poi agli altri che non occorreva la compagnia degli esseri umani per

essere felici, giacché si poteva trovare anche e soprattutto nel mondo

naturale quella compagnia e quella felicità che derivano all’uomo

dall’essere circondato da propri simili:

Eppure, per esperienza, a volte ho visto che in qualsiasi oggetto naturale si può trovare la compagnia più dolce, tenera, innocente e incoraggiante, e ciò vale anche per il povero misantropo e l’uomo più malinconico. Non può esservi una malinconia davvero nera per colui che vive in mezzo alla Natura e ha i sensi sereni. […] Mentre godo dell’amicizia delle stagioni, credo che nulla possa rendermi pensante la vita. La pioggerella che innaffia i miei fagioli, e che oggi mi trattiene dentro casa, non è triste e malinconica, ma è buona anche per me. Sebbene mi impedisca di zappare è di gran lunga più preziosa della zappatura. Se dovesse continuare tanto da far

41  F.J.  Turner,  La  frontiera  nella  storia  americana,  (The  Frontier  in  American  History)  trad.  it.  di  L.  Serra,  Bologna,  Il  Mulino,  1959,  pp.  31-­‐34.  

Page 42: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

36

marcire le sementi nel terreno e da distruggere le patate nel bassopiano, sarebbe comunque benefica per l’erba sull’altopiano e, essendo buona per l’erba, farebbe bene anche a me.42

È in particolar modo l’ultima frase a racchiudere il nucleo centrale

del pensiero di Thoreau, cioè l’idea che l’essere umano e la natura

siano in realtà una cosa sola al punto che, come detto in precedenza,

non è possibile ragionare diversamente se non in termini di co-

appartenenza, specialmente alla luce di quanta ricchezza la natura è

in grado di offrire all’uomo che “ha i sensi sereni”. Sono proprio i

sensi quelli che, attraverso la sua esperienza totale nella natura,

Thoreau vuole rieducare nel tentativo di recuperare quell’arte dello

sguardo e dell’ascolto che inevitabilmente si indebolisce nell’uomo

civilizzato. Così facendo, nel corso del suo esperimento egli

comprese che esisteva un’affinità nella natura che l’uomo è in grado

di scoprire, seguendone le tracce e gli indizi che si trovano anche

negli oggetti inanimati:

Stavo sotto una pioggia gentile, in preda a questi pensieri, e all’improvviso mi resi conto della compagnia della Natura, così dolce e benefica, percepibile proprio nel picchettio sommesso delle gocce e in ogni altro suono e visione intorno alla casa, un’infinita e inesplicabile benevolenza che, simile a un’atmosfera, all’improvviso mi sosteneva, poiché rendeva insignificanti gli immaginari vantaggi derivanti dalla vicinanza agli uomini, e da allora a quelli non pensai più. Ogni più piccolo ago di pino si inturgidiva e gonfiava, rendendomi partecipe e dimostrandosi amico. Tanto chiaramente ero reso consapevole della presenza di qualcosa di affine a me stesso […] al punto che pensai che mai più nessun luogo potesse essermi straniero.43

Il superamento del concetto di alterità come qualcosa di oppositivo

ed escludente, così come era sempre stato concepito fino ad allora,

42  H.  D.  Thoreau,  Walden,  cit.,  p.  141.  43  H.  D.  Thoreau,  Walden,  cit.,  p.  142.  

Page 43: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

37

emerge dalle pagine di Walden portando un’aria del tutto nuova non

solo nel panorama letterario americano, ma soprattutto

nell’immaginario collettivo di chi, come Thoreau, aveva da tempo

cominciato a interrogarsi sulla liceità delle azioni che gli esseri umani

nel corso dei secoli avevano compiuto nei confronti del mondo

naturale. L’altro, dopo la lettura di Walden, diventava qualcosa di

realmente presente, e poiché non era intenzione di Thoreau quella di

confondersi nella Natura rinunciando alla sua specificità, tale

presenza era di per sé pura fonte di ricchezza proprio in virtù del

bagaglio di differenze che portava con sé. In questo senso si osserva

una sublimazione dell’idea di alterità in una vera e propria poetica

della differenza, che esaltando la diversità come potenziale fonte di

contaminazione positiva, intende porre l’accento sulla necessità di

preservarne ogni forma. Scrive Thoreau:

L’indescrivibile innocenza e munificenza della natura del sole, del vento e della pioggia, dell’estate e dell’inverno, offrono per l’eternità una tale salute e una tale gioiosità, e hanno sempre una tale affinità con la nostra razza che se qualsiasi uomo dovesse mai addolorarsi per una giusta causa, tutta la Natura ne resterebbe commossa […]. Non dovrò avere rapporti con la terra? Non sono forse io stesso composto in parte di foglie e in parte di muffa vegetale?44

La novità e la particolarità dell’opera di Thoreau derivano

probabilmente dal fatto che questa è il prodotto di un’esperienza

concreta, cosa che rende le riflessioni in essa contenute molto meno

aleatorie di quanto possano sembrare a una prima lettura. Quando

parla della compagnia di cui gode in un panorama quale quello di

una foresta priva di presenza umana, egli ci offre una serie di

esperienze personali più che mai concrete, ottenute lasciando aperta

la porta della sua capanna e permettendo a qualsiasi creatura,

44  H.  D.  Thoreau,  Walden,  cit.,  p.  148.  

Page 44: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

38

animale o vegetale, di entrarci a suo modo e per il tempo necessario a

fare di quella costruzione umana qualcosa di saldamente connesso

con il circostante. Addirittura, nelle sue peregrinazioni in mezzo agli

alberi Thoreau riscrive il concetto di “solitudine” dandogli un respiro

molto più ampio e soprattutto una connotazione molto diversa dalla

consueta negatività cui tutti sono soliti attribuirgli:

A casa mia godo di moltissima compagnia, soprattutto al mattino, quando non viene nessuno. Lasciate che vi suggerisca alcuni esempi, in modo che qualcuno di questi possa darvi un’idea della mia situazione. Non sono più solo di quanto lo sia il tuffolo del lago che ride tanto sonoramente, o del lago di Walden stesso. Per piacere, chi tiene compagnia a quel lago solitario? Eppure non è popolato da malinconici diavoli blu, al contrario, nella tinta cilestrina delle sue acque si trovano angeli azzurri. Il sole è solo, a meno che il cielo non sia coperto e, allora, talvolta sembra che vi siano due soli, ma uno di essi è finto. Non sono più solo di un verbasco solitario o di una bocca di leone in un pascolo, o di una foglia di fagiolo, […] o della stella polare o del vento del Sud […].45

L’esperienza di Thoreau e il suo vivere dentro la Natura riconoscendo

di farne attivamente parte, costituiscono certamente uno spunto

fondamentale per la nascita di quelle etiche ambientali che, negli

anni a venire, saranno l’oggetto di interesse di molti studiosi di

scienze ecologiche ma anche di numerosi antropologi e sociologi.

2.4 H.D. Thoreau e R.W. Emerson: due modi di intendere l’altro

Prima di mettere a confronto le teorie di Thoreau con quelle del suo

“maestro” Ralph Waldo Emerson, occorre definire il concetto stesso

di “ambiente”: il termine, che deriva dal latino ambiens, -entis,

participio presente del verbo ambire, “andare intorno, circondare”,

designa un insieme di elementi che si circondano a vicenda

45  Ivi,  p.147.  

Page 45: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

39

influenzandosi reciprocamente, un luogo quindi che comprende sia

le singole unità che le dinamiche che tra esse intercorrono.

Negli stessi anni in cui Charles Darwin elaborava le sue teorie

sull’evoluzione della specie, il filosofo statunitense Ralph Waldo

Emerson, esponente della corrente del Trascendentalismo46 e guida

intellettuale di Thoreau, pubblicava Natura (1836), uno scritto che,

proponendo l’idea di una co-appartenenza tra umanità e ambiente,

affidava all’essere umano, in virtù della sua intelligenza superiore,

un ruolo dominante sulla natura. Emerson sosteneva che chiunque

volesse studiare l’ambiente naturale e l’essere umano da un punto di

vista escatologico dovesse tener presente quattro elementi, o

categorie, nelle quali suddividere le varie funzioni ed espressioni

della natura. Queste sono: “utilità”, “bellezza”, “linguaggio” e

“disciplina”. Scrive Emerson:

Nella categoria dell'utilità colloco tutti quei vantaggi per i quali inostri sensi sono debitori alla natura. Questo certamente è un beneficio temporaneo e mediato non ultimo come il servizio che la natura rende all'anima. […]Un più nobile bisogno umano è soddisfatto dalla natura e cioè l'amore della Bellezza. […] Il linguaggio è un terzo strumento attraverso cui la Natura serve l'uomo. […]Le parole sono segni difatti naturali. […] La natura è un interprete attraverso cui l'uomo conversa con gli altri uomini. […] Indagando il significato della natura arriviamo nello stesso tempo a considerare un nuovo elemento: la natura è una Disciplina. […] La natura è completamente mediata. E fatta per servire. Subisce il dominio dell'uomo con la stessa sottomissione dell'asino che portò il Redentore. Offre tutti i suoi regni all'uomo come materiale grezzo che egli può modellare in oggetti utili. L'uomo non è mai stanco di elaborarla.47

46  Movimento  filosofico  e  poetico,  sviluppatosi  in  America  nei  primi  decenni  dell'Ottocento  che  intendeva  esaltare  l'individuo  nei  suoi  rapporti  con  la  natura  e  la  società.  47  R.W.  Emerson,  Natura,  (Nature),  (e-­‐book),  <www.readme.it/libri/Filosofia/Natura.shtml>.  

Page 46: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

40

Secondo Emerson dunque, nella natura si sintetizzano il Bello48 – dal

quale si sprigionano il Gusto e l’Arte – e il Linguaggio, in quanto le

parole sono segni di fatti naturali. La Natura stessa è, in sé, una

Disciplina che ci educa all’uso dell’intelletto e all’esercizio della

Volontà, cioè del Potere. L’essere umano assoggetta le cose al suo

volere finché il mondo non diventa la realizzazione della sua

volontà, in un certo senso un suo doppio. Benché discepolo di

Emerson, Thoreau guardava alla natura in un’ottica radicalmente

diversa: il mondo naturale non rappresentava per lo scrittore, come

si è visto in precedenza, qualcosa da controllare, ma una dimensione

autonoma e concreta, un mondo dove l’essere umano si trovava,

senza privilegi, e in cui doveva muoversi con l’umiltà di chi è

arrivato dopo. Nelle sue descrizioni, Thoreau risulta molto più

attento di Emerson ai processi e agli enti naturali, sottolineando per

altro che la natura non sempre è benigna, ma che anzi spesso risulta

feroce, primordiale e del tutto indomabile.

Il modo in cui Thoreau concepiva il posto dell’essere umano nella

natura era ovviamente figlio delle mutate condizioni storico-culturali

del suo tempo: egli viveva infatti nella fase in cui i discendenti dei

primi coloni europei stavano portando avanti la conquista dell’Ovest

in maniera sempre più rapida e violenta, andando non solo a

sterminare le popolazioni locali e a distruggerne l’economia e

l’ambiente naturale, ma finendo addirittura per danneggiarsi gli uni

con gli altri, come sottolinea Turner:

Nel 1810 il governo aveva violentemente impugnato i diritti degli Indiani sulle parti malsicure della Riserva occidentale e sui grandi territori dell’Indiana, lungo l’Ohio e l’alta valle del Wabash, proteggendo in tal modo la strada maestra dell’Ohio

48  Viene  qui  rispettata  la  scelta,  riscontrata  nel  testo  originale,  di  usare  l’iniziale  maiuscola  per   i   seguenti   termini:   “Bello”,   “Gusto”,   “Arte”,   “Linguaggio”,   “Natura”,   “Disciplina”,  “Volontà”  e  “Potere”.  

Page 47: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

41

dai Pellerossa e aprendo la via ai coloni in cerca di nuove terre. Tale sequestro aveva rovinato il commercio della Nuova Inghilterra e gravato i cittadini di debiti e imposte; carovane di carrozzoni di emigranti yankee […] avevano già cominciato ad attraversare la Pennsylvania diretti all’Ohio; e crescevano sempre più di numero.49

In questo immenso territorio si consolidò un’economia capitalistica e

mercantile le cui conseguenze, oltre che sulle popolazioni native,

ricaddero anche sull’ambiente. Se infatti le prime vennero

brutalmente allontanate dai loro luoghi, il secondo, come si diceva

all’inizio del capitolo, perse i suoi connotati di sacralità e venne

stravolto per massimizzarne le possibilità di sfruttamento.

Con un appello sincero e accorato all’enorme ricchezza morale che

l’uomo poteva trarre dal contatto con la natura selvaggia, Thoreau

attaccò la società imperialistica e capitalistica in cui viveva, con lo

scopo già ricordato di riconciliare gli esseri umani con la natura e con

gli altri esseri umani, anche a costo di ribellarsi in maniera pacifica

ma ferma alla società del suo tempo, argomento di cui infatti si

occupò in un altro scritto piuttosto famoso noto come La disobbedienza

civile50 (1849).

Sarebbe troppo facile priva l’opera di Thoreau della sua importanza

semplicemente accettando le critiche più in voga tra i suoi detrattori,

su tutte l’accusa di una presunta incoerenza dettata da un ritorno al

consorzio civile dopo anni passato a godere di doni naturali così

meravigliosi quali quelli descritti in Walden. Perché – si chiedono in

molti – dopo aver ravvisato e documentato una superiorità morale

tanto evidente del mondo naturare sul consorzio civile, Thoreau

sarebbe tornato a viverci? E ancora: avrà vissuto veramente come ha

49  F.J.  Turner,  La  frontiera  nella  storia  americana,  cit.,  p.  169.  50  Henry  David  Thoreau,  La  disobbedienza  civile,   (Civil  Disobedience)   trad.   it.  di  A.Cogolo,  Milano,  Mondadori,  2012.  

Page 48: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

42

raccontato in Walden, o di tanto in tanto si concedeva un po’ di

ristoro nel mondo civile, finendo per ridurre l’intera sua esperienza a

una lunga vacanza o, peggio, a un mero esperimento scientifico nel

quale rifugiarsi di tanto in tanto? Per quanto lecite, domande del

genere rischiano di sviare l’attenzione da ciò che rende l’opera di

Thoreau tanto importante, che non è certamente la attinenza al vero

in tutto e per tutto, ma il superamento di un’ottica meramente

antropocentrica in virtù di un più moderno e rispettoso umanesimo

non antropocentrico, cioè una visione del mondo che, pur

legittimando l’uomo a essere responsabile dell’ambiente in cui vive,

non ne giustifica alcun intervento prevaricatore né gli riconosce una

superiorità di alcun tipo sugli altri esseri viventi. Un punto di vista

del genere, improntato a un utilizzo responsabile delle risorse

ambientali e al rispetto che l’essere umano deve alla natura in quanto

tale e non in quanto funzionale ai suoi interessi, è un punto di vista

talmente condivisibile e prezioso da non lasciare spazio a grandi

discussioni circa il modo attraverso cui Thoreau ci è giunto. Del

resto, scrive Lawrence Buell:

Chi è stato in Gran Bretagna ha sicuramente sentito la voce registrata della metropolitana di Londra che […] ricorda in continuazione ai viaggiatori «Mind the gap, mind the gap» - ricorda cioè loro di fare attenzione al gap, allo spazio vuoto tra il treno e la piattaforma del binario. È proprio così che la moderna teoria della testualità ha tentato di condizionare la teoria letteraria e culturale. Per molti versi, è una cosa positiva. Ci protegge da alcuni importanti rischi teorici. Ci rende giustamente consapevoli che la scrittura è sempre «discorso», mai Verità con la V maiuscola o copia trasparente dell’oggetto. Il ruolo dell’ecocritica in questo contesto è di funzionare come antidoto alla feticizzazione del gap, richiamando l’attenzione sulle negoziazioni che hanno luogo incessantemente, avanti e

Page 49: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

43

indietro di esso, tra il regno del discorso e quello della materialità.51

2.5 Homo homini lupus: Jack London e la bestialità

The study of the relations between animals and humans in the Humanities is split between philosophical consideration of animal rights and cultural analysis of the representation of animal. A remarkably recent phenomenon, it derived impetus primarily from Peter Singer’s revolutionary Animal Liberation (1975), which examined an issue until then discussed in passing by moral philosophers but seldom fully explored. Singer drew upon arguments first put forward by Utilitarian philosopher Jeremy Bentham (1748-1832), who suggest that cruelty to animals was analogous to slavery and claimed that the capacity to feel pain, not the power of reason, entitled a being to moral consideration. Singer gives the label ‘speciesism’ to the irrational prejudice that Bentham identifies as the basis of our different treatment of animals and humans.52

Aprire questo paragrafo con le parole di Greg Garrard permette di

introdurre alcuni concetti chiave per il discorso che si affronterà di

seguito. Delle basi della presunta inferiorità degli animali altri

rispetto all’animale uomo si è già accennato in precedenza53,

identificando in Cartesio il primo sostenitore di tale teoria. In questo

caso Greg Garrard, avvalendosi dell’aiuto del filosofo e giurista

inglese Jeremy Bentham, analizza il concetto di ‘specismo’, cioè un

pensiero tendenzialmente discriminatorio secondo cui le differenze

biologiche tra umani e non umani permetterebbero di accordare solo

ai primi uno stato morale privilegiato. L’appartenenza al genere

umano conferirebbe infatti delle caratteristiche moralmente rilevanti

quali l’anima, il linguaggio, l’autocoscienza e via discorrendo, tutte

qualità che, non appartenendo alle altre specie, farebbero dell’essere

51  Lawrence  Buell,  “La  critica  letteraria  diventa  eco”,  trad.  it.  di  Laura  Talarico,  in  Ecocritica  (a  cura  di)  Caterina  Salabè,  Roma,  Donzelli  Editore,  2013,  p.  10.  52  Greg  Garrard,  Ecocriticism,  NY,  Routledge,  2004,  p.  136.  53  Si  veda,  a  tal  proposito,  p.  31.  

Page 50: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

44

umano un essere superiore. Contro lo specismo si sono levate, nel

corso dei secoli, le voci di eminenti studiosi quali appunto Jeremy

Bentham, il quale sosteneva, a differenza di Cartesio, che anche gli

esseri non umani fossero esseri sensibili e quindi in grado di provare

piacere e dolore, cosa che di fatto era sufficiente per includerli

all’interno di una medesima comunità morale.

In letteratura il tema del rapporto tra esseri umani e animali è stato

ampiamente sfruttato dagli scrittori più diversi, ma è con Jack

London che questo argomento assume i caratteri più specifici di

un’analisi, tanto approfondita quanto indiretta, degli istinti che

regolano l’interazione tra questi due mondi. Se infatti gli intenti di

Thoreau emergevano chiaramente in Walden grazie al dialogo diretto

che il suo autore aveva instaurato con il lettore, nelle opere di Jack

London, altro grande osservatore di alterità, i messaggi che

soggiacciono a trame molto più artificiose e novellistiche sono più

difficili da scorgere ma altrettanto concreti.

Un’anima da vagabondo unita a uno spirito avventuroso e alla

febbre dell’oro che proprio in quegli anni aveva colpito l’America,

spinsero London a una vita di perenne movimento, che lo portò a

viaggiare per il mondo e ad accumulare quelle esperienze che ne

ispirarono la maggior parte delle opere. Proprio sul terreno del

vagabondaggio si trova il punto di incontro fondamentale tra

Thoreau e London, nonostante non esista nella produzione di

quest’ultimo un’opera paragonabile a Walden, cioè un non fiction

novel dichiaratamente autobiografico. I due scrittori, per di più, sono

accomunati anche dalla netta condanna di tutte le cause che

spingono gli esseri umani ad allontanarsi dalla semplicità di una vita

a contatto con la natura. Tuttavia, se in Walden le conseguenze di

questo allontanamento si traducono in una generale infelicità

Page 51: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

45

esistenziale per il genere umano, in London spesso la rinuncia a una

vita naturale porta l’uomo, dopo lunghe e drammatiche traversie,

all’inevitabile distruzione. Ne sono un esempio i protagonisti umani

di due tra i racconti brevi più famosi dell’autore, cioè “Bâtard” (1902)

e “Allestire un fuoco”54(1885), la cui analisi potrebbe essere

coerentemente introdotta proprio da una considerazione di Thoreau

circa la precarietà della condizione umana sulla terra:

Ma anche l’abitante della casa più lussuosa ha poco da vantarsi a questo riguardo, né dobbiamo preoccuparci di scoprire come la razza umana potrà alla fine essere distrutta. Sarebbe facile tagliarne i fili, in un qualsiasi momento, con una folata più violenta da nord. Noi continuiamo a prendere come date di riferimento i Venerdì Gelidi e le Grandi Nevicate; ma un venerdì soltanto un po’ più gelido o una nevicata un po’ più abbondante del solito potrebbero mettere la parola “fine” alla storia dell’esistenza umana sulla terra.55

Un’esistenza, quella umana sulla terra, che spesso London dipinge

come ingombrante e prevaricatrice, votata un continuo sfruttamento

di ciò che è altro dall’uomo allo scopo di accumulare ricchezze o

semplicemente di dimostrare, in un gioco perverso e fine a se stesso,

la superiorità del mondo umano sul mondo non umano. È il caso di

Black Leclère, protagonista umano del racconto “Bâtard”, un uomo

violento e crudele che ingaggia una vera e propria battaglia

all’ultimo sangue con uno dei suoi cani da slitta, il feroce Bâtard.

L’animale riuscirà infine a uccidere l’uomo, ma perirà ugualmente

proprio a causa dell’assassinio commesso e per mano di un altro

essere umano. Da un punto di vista ecocritico, il racconto di London

è più che mai ricco di spunti di riflessione, non possedendo un

54  Jack  London,  “Bâtard”  (Bâtard)  e  “Allestire  un  fuoco”  (To  Build  a  Fire),  in  Le  mille  e  una  morte,  a  cura  di  O.  Fatica,  Milano,  Gli  Adelphi,  2006.  55  H.  D.  Thoreau,  Walden,  cit.,  pp.  270-­‐271.  

Page 52: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

46

significato univoco e soprattutto rivelando un fondo di apparente

nonsense che deriva principalmente dall’assenza di una motivazione

plausibile per le continue sevizie cui Leclère sottopone Bâtard:

La storia di Bâtard e Leclère è una storia di guerra… di cinque crudeli, implacabili anni, che quel loro primo incontro riassume degnamente. Punto primo, la colpa era di Leclére: lui odiava con cognizione, scientemente, mentre il goffo cucciolo dalle lunghe zampe si limitava a odiare alla cieca, per istinto, senza motivo né criterio. All’inizio non ci furono episodi di raffinata crudeltà (sarebbero venuti in seguito), ma semplici percosse e brutalità allo stato puro.56

L’odio dell’essere umano nei confronti dell’animale non ha

motivazioni apparenti se non un bisogno quasi atavico di affermare

il proprio dominio, un bisogno che sfocia nel paradosso quando, a

seguito di un feroce scontro, Leclère si rivolge a un dottore dicendo:

“Curatevi prima del cane. Morire? Non. Non va bene. Perché lui io

devo ancora piegare. Voilà perché lui non deve morire.”57

Sembra piuttosto chiaro, scorrendo il racconto, che la battaglia tra

l’uomo e il cane costituisca l’archetipo di una battaglia molto più

antica e di più ampio respiro, cioè quella tra l’uomo e la natura

selvaggia, principio originario e al contempo nemica naturale

dell’essere umano. Questo scontro trae la sua origine, secondo

London, dal progressivo allontanamento dell’uomo da ciò che è altro

da sé, ossia il mondo animale e vegetale, e culmina nel processo di

addomesticazione della wilderness funzionale al suo sfruttamento su

larga scala.

La presenza umana come violenza prevaricante che avanza in un

mondo di cui non conosce più la lingua, emerge in un passo tra i più

significativi e crudeli dell’intero racconto, cioè quello in cui Leclère,

56  Jack  London,  “Bâtard”,  in  Le  mille  e  una  morte,  cit.,  p.  27.  57  Ivi,  p.  33.  

Page 53: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

47

con piacere quasi perverso, spaventa volontariamente Bâtard con il

suono della sua armonica:

Bâtard, come tutti i suoi simili, non amava la musica. Gli dava un acuto senso di angoscia, martoriando ogni suo nervo, dilaniando ogni fibra del suo essere. […]. Dal canto suo, Leclère amava la musica di un amore appassionato – lo stesso che nutriva per l’alcol. E quando la sua anima anelava a effondersi, di solito si esprimeva in uno di questi due modi se non, più spesso ancora, in entrambi. […] «Ora ci sentiamo un po’ di miusica», diceva. «Eh, che ne ponsi, Bâtard?». Si trattava soltanto di una vecchia armonica ammaccata, gelosamente custodita e pazientemente riparata; […] Allora Bâtard, la gola in un groppo, i denti stretti, si ritirava, un centimetro alla volta, nell’angolo più remoto della capanna. E Leclère, sempre suonando, un grosso bastone cacciato sotto il braccio, teneva dietro all’animale passo passo, un centimetro alla volta, finché non c’era più di che arretrare. […] Continuava a tener serrati i denti, ma il corpo era scosso da violente contrazioni muscolari, da strani spasmi e torcimenti, finché era tutto un fremito convulso di muto tormento. […] E poi, strabuzzando gli occhi, le narici dilatate, i peli ritti dalla rabbia impotente, cacciava il lungo ululato del lupo. […] Una scena degna dell’inferno.58

Non è difficile vedere nella musica, tipico esempio di prodotto della

cultura umana, la presenza minacciosa e dispotica dell’uomo che

avanza inesorabile, mentre nel cane che arretra e si nasconde la

sofferenza di un mondo, quello non umano, in balìa di un potere

nuovo in grado di assoggettarlo ai suoi bisogni non combattendo ad

armi pari.

Nonostante questa spaccatura sembri insanabile, l’essenza comune

che lega esseri umani ed esseri animali resta vive ed emerge

chiaramente in uno degli episodi di maggiore ferocia dell’intero

racconto, cioè quello in cui Bâtard cerca di uccidere nel sonno il suo

padrone:

58  Jack  London,  “Bâtard”,  in  Le  mille  e  una  morte,  cit.,  pp.  35-­‐36.  

Page 54: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

48

Bâtard, l’aria frizzante come vino nei polmoni svuotati, puntò dritto al viso, mancò il colpo e le fauci si richiusero con uno scatto metallico. […] Leclère avrebbe potuto estrarre il coltello. Ai suoi piedi c’era il fucile. Ma la belva si era scatenata in lui. Lo avrebbe fatto con le sue mani… e coi suoi denti. Bâtard spiccò un balzo, ma Leclère lo abbatté con un pugno, gli si buttò addosso e affondò i denti fino all’osso nella spalla del cane. Era una scena primordiale in uno scenario primordiale, quale avrebbe potuto svolgersi agli albori selvaggi del mondo. Una radura in una buia foresta, una cerchia di cani lupo che digrignano i denti, e al centro due belve, avvinte nel combattimento, che ringhiano e azzannano, accanendosi all’impazzata, sbuffando, fiottando, imprecando, dando in escandescenze, in preda a una furia omicida, artigliando, dilaniando e straziando in un parossismo di brutalità allo stato puro.59

Più che nell’atavismo, pur sempre motivo di affinità, il trait d’union

tra l’uomo e l’animale si riscontra nell’essenza bestiale dell’uomo

stesso che è anche altro da sé: è animale tra gli animali, abitante di una

terra di cui non può essere completamente padrone pur vivendo

nella convinzione opposta, grazie alla quale ha sepolto il suo istinto

primordiale sotto un velo fatto di secoli di civiltà, o presunta tale, e

di brama di ricchezza.

In questa spaccatura che va allargandosi inesorabilmente tra mondo

umano e mondo non umano si compie il destino di Leclère, un

destino beffardo, certo, ma in qualche modo quasi inesorabile: in

seguito a un processo per omicidio, Leclère viene condannato a

morte per impiccagione insieme al suo cane, considerato da tutti

come creatura diabolica. Tuttavia, proprio mentre l’atto sta per

compiersi emergono prove che potrebbero scagionare l’uomo, così

che i suoi accusatori lo abbandonano temporaneamente con la corda

ancora intorno al collo e in equilibrio precario sulla cassa che lo

solleva dal pavimento, per discutere sul da farsi in separata sede. Nel

59  Jack  London,  “Bâtard”,  in  Le  mille  e  una  morte,  cit.,  pp.  31–32.  

Page 55: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

49

frattempo Bâtard, che fino a poco prima stava dormendo, viene

svegliato da un forte rumore e si rende subito conto della situazione

di pericolo nella quale versa il suo padrone. Senza esitare, il cane si

scaglia violentemente contro la cassa che sorregge Leclère

causandone la morte.

L’uomo che si era allontanato dalla natura finisce quindi per essere

ucciso da quella stessa natura che aveva invano cercato di

addomesticare. Ma la vittoria di Bâtard è solo temporanea, giacché

gli uomini del villaggio, resisi conto di quanto era successo, affidano

a uno di loro il compito di abbattere il cane con un colpo di pistola.

Se “Bâtard” rappresenta l’inspiegabile quanto eterna lotta dell’essere

umano contro l’animale, “Allestire un fuoco” segna la definitiva

sconfitta dell’uomo da parte della natura, una sconfitta che avviene

anche in questo caso in seguito all’allontanamento dell’essere umano

da ciò che, a sproposito, ritiene altro da sé, cioè l’istinto naturale

tipico dell’animale selvatico. La storia è molto semplice: un cercatore

d’oro alla ricerca di nuove piste da battere sta facendo ritorno,

insieme a un cane, alla capanna in cui si ripara di notte insieme ad

alcuni compagni. Già dalle prime pagine aleggia sull’uomo un

inquietante presagio di morte, suggerito al lettore proprio dall’istinto

dell’animale:

La bestia era depressa da quel freddo spaventoso. Sapeva che non era il momento di viaggiare. Glielo dettava l’istinto, una versione più attendibile di quella dettata all’uomo dal suo raziocinio d’uomo.60

L’istinto si configura quindi subito come un elemento

potenzialmente salvifico che tuttavia l’uomo non sembra possedere,

come in effetti dimostrerà l’epilogo del racconto. Del resto è lo stesso

60  Jack  London,  “Allestire  un  fuoco”  in  Le  mille  e  una  morte,  cit.,  pag.  48.  

Page 56: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

50

London che, nel descrivere il cercatore d’oro, sottolinea come non

solo egli sia meno provvisto rispetto all’animale di quelle

caratteristiche che gli permettono di adattarsi all’ambiente

circostante, ma anche come il suo essere “nuovo del posto”

costituisca un handicap che solo la sua arroganza da essere umano gli

impedisce di considerare:

Ma tutto questo – la misteriosa, sterminata, filiforme pista, l’assenza del sole nel cielo, il freddo spaventoso, e la stranezza, l’arcano dell’insieme – non aveva effetto sull’uomo. Era nuovo del posto, un chechaquo61, e quello era il suo primo inverno. Il guaio è che era privo di immaginazione. Nelle cose della vita era sveglio e sempre pronto, ma soltanto nelle cose, non nel loro significato. Quaranta gradi sotto zero corrispondevano a più di sessanta gradi di gelo. Questo gli faceva l’effetto di qualcosa di freddo e di spiacevole, punto e basta. Non lo induceva a meditare sulla propria fragilità di creatura condizionata dalla temperatura e sulla fragilità dell’uomo in generale, capace di vivere soltanto entro limiti angusti di caldo e di freddo; per poi di lì passare a congetture sull’immortalità e sul posto dell’uomo nell’universo.62

Si tratta forse del passo più importante dell’intero racconto. L’uomo

è “nuovo del posto”, ma di quale posto si tratta in realtà?

Semplicemente della distesa fredda e desolata in cui attualmente si

trova o, più generalmente, del mondo intero? Rispetto all’essere

animale, senz’ombra di dubbio, l’essere umano è una specie molto

più recente, ma nonostante questo, per lo meno secondo la visione di

London, non possiede le caratteristiche tipiche di chi si trova nel

mondo da poco, né vi procede in punta di piedi, come direbbe

Thoreau, con il rispetto che dovrebbe dimostrare un nuovo arrivato.

Ma se in Thoreau la punizione per un atteggiamento del genere è

l’alienazione sociale e una vita di eterna insoddisfazione, in London

61  Così  nel  testo.  62  Jack  London,  “Allestire  un  fuoco”  in  Le  mille  e  una  morte,  cit.,  p.  46.  

Page 57: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

51

la conclusione è molto più spietata. L’uomo privo di immaginazione,

schiavo della sua stessa arroganza, nel tentativo di domare un

mondo che si rifiuta di conoscere crea di fatto le premesse per la sua

stessa distruzione, edificando una sua personale prigione simile alla

“tela intricata che ospita e intrappola il ragno, artefice ignaro”63.

Nel prosieguo della narrazione si assiste ad alcune scene simili a

quelle viste in “Bâtard”, che rafforzano il concetto già espresso di

subordinazione dell’animale all’uomo:

D’altro canto, fra il cane e l’uomo non c’era una vera intimità. Il primo era lo schiavo del secondo, e le sole carezze che avesse ricevuto erano le carezze della frusta e degli aspri suoni gutturali, forieri di frustate. Perciò il cane non tentò neppure di comunicare i suoi timori all’uomo. Non si curava del benessere dell’uomo.64

Deus ex machina è, ancora una volta, l’incomunicabilità tra il mondo

umano e il mondo non umano, e non certo per ragioni imputabili al

secondo, cosa che London per altro non manca mai di specificare.

Quel che è certo è che se l’uomo avesse avuto i “sensi sereni”65 e

avesse quindi saputo ascoltare la bestia, non si sarebbe messo in

viaggio in condizioni climatiche così avverse e avrebbe evitato il

triste epilogo che London descrive con spietata semplicità, pur

mantenendo la solita eleganza che ha contribuito a farne, checché ne

dica Krakauer66, uno tra i più grandi scrittori del panorama

americano e mondiale:

63  Carmen  Consoli,  L’alleanza,  in  L’eccezione,  2002,  Polydor.  64  Jack  London,  “Allestire  un  fuoco”  in  Le  mille  e  una  morte,  cit.,  p.53.  65  Si  veda  p.  37.  66   Jon   Krakauer,   parlando   della   prematura   morte   di   Jack   London   lo   definisce   “obeso,  alcolizzato   e   patetico,   con   un’esistenza   ben   lontana   dagli   ideali   abbracciati   sulla   carta  stampata”  in  Nelle  terre  estreme,  Corbaccio,  Milano,  2008,  trad.  it.  di  L.  Ferrari  e  S.  Zung,  p.  63.  

Page 58: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

52

Poi scivolò in quello che gli parve il sonno più sereno e più appagante mai fatto. Accucciato di fronte a lui, il cane aspettava. Il breve giorno volgeva al termine con un lento, lungo crepuscolo. Di preparativi per il fuoco non c’era traccia; per giunta mai aveva visto un uomo starsene così seduto nella neve senza accendere il fuoco. Con l’avanzare del crepuscolo lo vinse la bramosia febbrile del fuoco e riattaccò a sollevare e agitare le zampe anteriori, uggiolando piano, e poi abbassò le orecchie aspettandosi la sfuriata dell’uomo. Ma l’uomo restava in silenzio. […] E dopo un altro po’ strisciò vicino all’uomo e fiutò l’odore della morte. Che lo fece ritrarre con il pelo dritto. Si trattenne ancora qualche istante, ululando sotto le stelle che guizzavano e danzavano e brillavano radiose nel cielo gelido. Poi si volse e si avviò trotterellando verso l’accampamento che conosceva, dove c’erano gli altri procacciatori di cibo e procacciatori di fuoco.67

Così si chiude un racconto quanto mai emblematico per chiunque

desideri approfondire il concetto di specismo espresso in precedenza.

La convinzione che l’essere animale sia inferiore all’essere umano si

traduce nella salvezza del primo e nella distruzione del secondo. In

“Allestire un fuoco”, sono parecchi i riferimenti all’animale inteso

come qualcosa di sacrificabile per la salvezza dell’uomo, che lo

manda avanti a sé per testare la solidità di una pista innevata o che

cerca di ucciderlo per scaldarsi con la sua pelle quando ormai sente

prossima la morte per congelamento. Non è un caso che sia proprio

questa considerazione sciaguratamente limitata delle potenzialità

dell’altro a causare la distruzione dell’essere umano: laddove non c’è

rispetto né consapevolezza delle differenze c’è limitazione, e laddove

non ci si può permettere il lusso di essere limitati c’è la morte.

Le esperienze letterarie di Thoreau e di London sono, come si è visto,

simili e dissimili al contempo: più saggistica e serena la prosa del

primo, più violenta e colorita quella del secondo, entrambe tuttavia

intrise di un realismo che mira a stimolare nei lettori moderni un

67  Jack  London,  “Allestire  un  fuoco”  in  Le  mille  e  una  morte,  cit.,  p.  65.  

Page 59: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

53

nuovo senso di rispetto per tutto ciò che è altro da loro. Thoreau cerca

di rieducare gli esseri umani al rapporto con l’altro attraverso

l’esaltazione delle differenze, considerate come una fonte di

ricchezza inesauribile da un punto di vista formativo, sociale,

intellettuale e anche spirituale. Dal canto suo London, attraverso i

racconti citati in precedenza ma anche tramite i suoi romanzi più

conosciuti, Il richiamo della foresta e Zanna Bianca68 su tutti, focalizza

l’attenzione sul pericolo che gli esseri umani corrono nel voler

considerare ciò che è diverso soltanto come qualcosa da sfruttare, in

virtù di una presunta inferiorità che deriva da una altrettanto

presunta assenza di raziocinio, di anima o di intelligenza. Due

discorsi quindi, quelli di Thoreau e di London, che sono l’uno la

prosecuzione dell’altro e che vanno a comporre un ricco trattato

ideale sul rapporto che intercorre e su quello che invece dovrebbe

intercorrere tra l’uomo e l’ambiente in cui vive. Entrambi gli scrittori

focalizzano la loro attenzione sul concetto di co-appartenenza le cui

premesse, seppur sepolte sotto uno spesso strato di materialismo

antropocentrico, sono sempre vive e possono dare luogo a legami

persino amicali tra esseri umani ed esseri non umani.

68  Jack  London,  Il  richiamo  della  foresta,  trad.  it.  di  F.Dei,  Milano,  Mondadori,  2011.    Jack  London,  Zanna  Bianca,  trad.  it.  di  I.Tron,  Milano,  Mondadori,  2000.  

Page 60: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

54

3. Capitolo Terzo: Altro da chi?

«Imparare le lingue del mondo, imparare a parlare, a viaggiare

tra la pioggia e la polvere, tra la terra ed il mare.

Perché viaggiare non è solamente partire, partire e tornare,

ma è imparare le lingue degli altri, imparare ad amare.»69

Francesco De Gregori

Il noto linguista italiano Giorgio Cardona ha scritto, a proposito della

percezione dello spazio:

Le lingue variano molto quanto alla quantità di informazioni spaziali obbligatoriamente veicolate. Si prenda, ad esempio, il sistema italiano. Esso si basa su un modello spaziale riconducibile a uno schema nel quale il punto F è quello che di volta in volta è il fuoco della nostra attenzione; […] per il punto passano infiniti piani, ma nella quasi totalità dei casi basta prendere in considerazione l’asse x. […] Le possibilità di collocazione di un dato oggetto rispetto al punto di riferimento sono comprese in una ridotta casistica: 1. l’oggetto è in movimento e si deve precisare se si stia avvicinando o allontanando da F. 2. l’oggetto non è in movimento; se ne indicherà la posizione lungo l’asse x[..].70

Il ragionamento di Cardona, riadattato, può fornire la premessa dalla

quale partire per spiegare la percezione dell’altro da parte di chi altro

non crede di essere. Se infatti volessimo identificare con il punto F

l’essere umano normale, cioè il maschio bianco, sano, occidentale,

eterosessuale e via discorrendo, potremmo agilmente porre sull’asse

y quelle categorie umane che progressivamente si allontanano dalla

normalità, studiandone di volta in volta il grado di separazione e le

motivazioni che vi soggiacciono.

69  Francesco  De  Gregori,  Cuore  di  cane,  in  Cuore  di  cane,  Fiorella  Mannoia,  Sony,  1992.  70  G.R.  Cardona,  I  sei  lati  del  mondo,  Bari,  Editori  Laterza,  2006,  pp  21-­‐22.  

Page 61: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

55

Nel corso della storia sono state diverse le culture che si sono contese

di volta in volta il ruolo di “centro del mondo”, e per i motivi più

svariati: i Greci, per esempio, erano convinti della loro superiorità

culturale, e di conseguenza “razziale”, sulle altre popolazioni in virtù

del fatto che queste non sembravano possedere una lingua propria.

Non per niente la parola �������� (barbari), letteralmente

“balbuzienti”, era utilizzata dai Greci per indicare gli stranieri, cioè

tutti coloro che non parlavano il greco.

Se la lingua è stata spesso nei secoli fonte di discriminazione, gli usi e

i costumi, in particolar modo religiosi, non sono certo stati da meno.

Lo dimostrano le svariate persecuzioni subite dal popolo ebraico o

dai primi Cristiani in epoca imperiale romana, il genocidio dei Nativi

Americani e via discorrendo, fino ad arrivare, in un continuum

piuttosto inquietante, ai giorni nostri.

Riguardo all’incontro tra la cultura occidentale e quella degli Indiani

d’America, possiamo trovare in un estratto del libro di Washburn,

Gli indiani d’America, già citato nel precedente capitolo, un esempio

perfetto di discriminazione religiosa e culturale:

I primi esploratori affermarono spesso che gli indiani non possedevano né religione né leggi. La mancanza di leggi scritte e la mancanza di attributi esteriori propri delle istituzioni religiose e giuridiche europee contribuirono a creare negli osservatori europei l’impressione di avere di fronte selvaggi che non capivano le idee di legge, giustizia e gli altri controlli istituzionali noti agli europei. Naturalmente era un’impressione sbagliata. Così come avevano una vita religiosa complessa, tutti i gruppi indiani avevano sistemi giuridici che mostrano una grande varietà e complessità, ed è irrilevante che questi sistemi non fossero stati messi per iscritto.71

71   Wilcomb   E.   Washburn,   Gli   Indiani   d’America,   (The   Indian   in   America)   trad.   it.   di   P.  Ludovici  e  R.  Meservey,  Roma,  Editori  Riuniti,  2006,  p.  34.  

Page 62: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

56

Tale discriminazione poggia, com’è ovvio, sul confronto tra un

modello ritenuto aprioristicamente corretto, quello dell’uomo bianco,

e un modello che proprio in virtù della sua differenza dal primo

viene considerato sbagliato, primitivo e, cosa forse ancor più grave,

privo di solide basi storiche, sociologiche e antropologiche.

Con l’avvento degli studi antropologici e della cultura positivista poi,

anche il colore della pelle, la conformazione del cranio, persino la

lunghezza delle braccia e il numero di pulsazioni del cuore

divennero fonte di discriminazioni, questa volta ancora più gravi

poiché supportate da una pseudoscienza che, come tale, rivendicava

per se stessa un principio di infallibilità. Così, le farneticazioni di

sedicenti scienziati quali Franz Joseph Gall, Johann Kaspar Lavater,

Cesare Lombroso e Guglielmo Ferrero, solo per citarne alcuni,

acquisirono dignità di scoperte scientifiche e come tali vennero

utilizzate per operazioni di pulizia etnica o per giustificare, come nel

caso delle donne, la legittimità di innumerevoli discriminazioni

sociali sulla base di un’inferiorità fisica e morale “scientificamente”

dimostrabile.

Lo storico George L. Mosse si è soffermato a lungo sul tema della

nascita degli stereotipi razziali, identificando nell’antropologo

Johann Friedrich Blumenbach (1752-1840) uno dei primi, seppur

inconsapevoli, fautori della superiorità della razza bianca su tutte le

altre. Secondo Mosse, J. F. Blumenbach credeva nell’unità della razza

e attribuiva la diversità di colore e di forma a fattori ambientali, come

per esempio il clima. Nonostante nei suoi studi sembrasse non dare

alcuna importanza alle caratteristiche razziali (per esempio non

riscontrò nei neri alcuna caratteristica somatica distintiva che non

fosse presente anche in molte altre razze), nei suoi scritti scientifici

comparve ben presto la parola “bellezza”, accanto a considerazioni

Page 63: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

57

secondo cui un volto simmetrico è più bello perché più vicino alle

opere “divine” dell’arte greca. Bellezza divenne quindi ben presto

sinonimo di un mondo borghese stabile, felice e sano, un mondo

raggiungibile solo dai bianchi europei, giacché non era di certo

possibile affermare che i neri avessero volti che rispecchiavano

l’ideale estetico greco. Così, la stessa uguaglianza che Blumenbach

concedeva ai neri con le sue considerazioni scientifiche veniva loro

sottratta con altrettanto forti considerazioni estetiche, finché lo

studioso non finì per porre il dato scientifico in secondo piano

rispetto al giudizio estetico, pur non diventando ancora fautore della

superiorità razziale di alcun particolare tipo nazionale.72 In questo

campo ben arato e già pronto per la semina, la fisiognomica si

presentò ben presto come una scienza in grado di fornire un

grandissimo contributo nel valorizzare l’importanza dell’apparenza

esteriore. Scrive Mosse:

I tentativi di spiegare il carattere di un uomo osservandone il volto, le membra, i gesti, risalgono almeno al secolo XVI. A quel tempo alcune caratteristiche come i capelli crespi o i nasi adunchi già erano considerate indizi di un’indole malvagia, anche se esse erano viste come conseguenze di fattori accidentali quali il cambiamento d’aria o la malattia. Ma fu con la pubblicazione nel 1775-78 dei Frammenti di fisiognomica che Lavater (1741-1801) divenne il vero padre della nuova scienza della fisiognomica. […] Lavater, scrivendo sull’importanza di conoscere gli uomini mediante la lettura dei loro volti, non aveva certo propositi razzisti. […] Eppure, in ultima analisi, la sua pseudo-scienza della fisiognomica si dimostrò un’arma potente contro l’uno e l’altro di questi popoli così diversi.73

Le considerazioni di Mosse risultano molto utili per spiegare il

rapporto tra bianchi e altri durante la colonizzazione del Nuovo

72   George   L.  Mosse,   Il   razzismo   in   Europa.  Dalle   origini   all’olocausto,   (Toward   the   Final  Solution.  A  History  of  European  Racism)   traduzione  di   L.  De  Felice,  Bari,  Edizioni  Laterza,  2003,  pp.  26-­‐27.  73  George  L.  Mosse,  Il  razzismo  in  Europa,  cit.,  p.  30.  

Page 64: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

58

Continente, ossia un processo influenzato da molti dei punti espressi

poc’anzi (come il disagio di fronte a una cultura diversa ritenuta

inferiore e le barriere linguistiche) e da altri ancora, di natura più

squisitamente economica. Grazie al già citato lavoro di Washburn è

possibile constatare come i rapporti tra bianchi e indiani non siano

stati subito bellicosi, ma siano diventati tali in seguito alle pretese dei

primi di disporre delle terre del Nuovo Mondo come se fossero

proprie, cosa che per i nativi locali era inaccettabile non tanto perché

essi rivendicassero a loro volta la proprietà di quelle terre, ma al

contrario perché, nella mentalità indiana, la terra non era di proprietà

di nessuno.

Washburn ricorda che i primi coloni inglesi nel Nuovo mondo

vennero in un primo momento accolti amichevolmente, ma ben

presto si presentarono motivi di conflittualità. Nonostante il casus

belli non fosse sempre la lotta per il territorio, la ragione di fondo

della maggior parte dei conflitti tra i due popoli fu proprio la terra

(da un lato l’impulso a prenderla dall’altro la preoccupazione di

conservarla). Il più delle volte le guerre furono causate

dall’appropriazione indebita da parte dei bianchi delle terre degli

Indiani e dal rifiuto della Vecchia Europa di concedere alle

popolazioni indiane, con le quali solo apparentemente stavano

trattando a livello di parità, gli stessi diritti che rivendicavano per se

stessi. Gli accordi che i due popoli stipulavano di volta in volta (non

senza intimidazioni di varia natura da parte dei bianchi nei confronti

degli Indiani) diventarono sempre più fragili a causa del fatto che gli

Europei si sentivano, a ragion veduta, in grado di prendersi ciò che

volevano con la forza, senza nemmeno spendere chissà quali energie

belliche per via del grande divario che, in materia di armi e

addestramento, separava i due popoli. Conclude Washburn:

Page 65: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

59

Quando nei sempre più frequenti rapporti con gli indiani, l’arroganza o le pretese dei bianchi diventavano eccessive ed il loro disprezzo della sovranità indiana si faceva intollerabile, allora scoppiavano i conflitti. Così andarono le cose in Virginia, nella Nuova Inghilterra e nelle altre colonie.74

Anche Walden di H.D. Thoreau tratta del rapporto tra bianchi e

Nativi Americani in uno dei capitoli più significativi dell’intera

opera, cioè “Il campo di fagioli”75, proprio uno di quelli dai quali ci si

potrebbe aspettare niente più di un gran numero di informazioni

inutili sulla coltivazione dei legumi o di altre specie vegetali.

Leggendolo vi si scopre invece una riflessione di delicatezza quasi

poetica e di forza straordinaria, elaborata intorno al ritrovamento di

una punta di freccia durante la lavorazione di un campo, che diviene

il pretesto per descrivere la sensazione di contatto che Thoreau riuscì

a percepire con le popolazioni che prima di lui avevano abitato le

rive del lago di Walden:

Ma durante l’estate per via delle punte di freccia che rinvenivo nel terreno quando lo zappavo, mi sembrò che una nazione estinta si fosse anticamente stabilita qui, con le sue coltivazioni di mais e fagioli, prima che gli uomini bianchi venissero a disboscarle, e che quindi avesse parzialmente esaurito le risorse del terreno per questa coltura. […] Mentre con la zappa aggiungevo terra più fresca attorno ai filari, disturbavo le ceneri di nazioni senza storia che in anni primordiali vivevano sotto questi cieli e i loro piccoli strumenti da guerra e da caccia venivano portati alla luce di questo giorno moderno. Giacevano mescolate con le altre pietre naturali, alcune delle quali portavano i segni dei fuochi indiani o del sole che le avevano bruciate, oppure mescolati a pezzi di vasi e di vetro, portati qua da coltivatori recenti.76

74  Wilcomb  E.  Washburn,  Gli  Indiani  d’America,  cit.,  pp.  149-­‐151.  75  Henry  David  Thoreau,  Walden,  (Walden,  or  Life  in  the  Woods),  traduzione  di  A.  Cogolo,  Milano,  Mondadori,  2012,  pp.  166–179.  76  Henry  David  Thoreau,  Walden,  pp.  167,  170.  

Page 66: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

60

Aggiungere considerazioni di valore storico o etico circa la vicenda

della colonizzazione bianca del Nuovo Continente sarebbe piuttosto

superfluo. Si tratta infatti di uno di quegli argomenti sui quali è stato

detto già di tutto, anche se il valore della testimonianza, come ben

ricorda Primo Levi, non è mai da sottovalutare. E se è vero che

bisogna ricordare “che questo è stato”77, il modo migliore per farlo è

probabilmente proprio studiare opere come Walden, che non si

soffermano direttamente sulla vicenda del genocidio indiano ma ne

rievocano la storia attraverso il racconto di un ri-abitare, di un ri-

appropriarsi delle proprie radici a partire dalla terra, in questo caso

pregna, oltre che di semi e bulbi, anche di storia.

A proposito del tema del ri-abitare, il poeta e saggista Gary Snyder,

Premio Pulitzer per la poesia nel 1975, scrive:

Riabitanti sono quei pochi che abbandonano la società industriale (che ha colto e disperso i frutti di ottomila anni di civiltà) e cominciano a tornare di nuovo alla terra, all’abitare un luogo. Per alcuni si tratta della constatazione razionale e scientifica dell’interrelazione e dei limiti planetari. Ma il vero lavoro che richiede un vivere radicato in un luogo, basato sull’energia del sole e del verde delle piante che si concentra in quel punto, è così intenso sia fisicamente che intellettualmente che diventa anche una scelta morale e spirituale.78

Nel suo “tornare di nuovo alla terra”, per dirla con Gary Snyder,

Thoreau ce ne offre un’immagine particolare: la terra americana è

una terra che dà la vita, se la riprende, la conserva e infine la

restituisce sotto forma di ricordo. Ci ricorda che ciò che è stato,

seppur sepolto, può tornare alla luce e insegnare qualcosa, se è vero,

come diceva Cicerone, che historia magistra vitae, un concetto la cui

77  Primo  Levi,  Se  questo  è  un  uomo,  Torino  Einaudi,  1989  (stralcio  di  poesia  in  apertura  del  testo).  78  Discorso  tenuto  da  Gary  Snyder  alla  North  San  Juan  School  nel  corso  di  una  conferenza  intitolata  “Reinhabitation  Conference”  (agosto  1976)  e  riportato  in  Nel  mondo  poroso,   (a  cura)  di  Giuseppe  Moretti,  traduzione  di  R.  Degli  Esposti,  Milano,  Mimesis,  2013,  p.  24.  

Page 67: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

61

validità teorica, per la verità, appare sempre più smentita dal vivere

quotidiano. A partire da questa idea, Thoreau propone una

rivalutazione della cultura indiana proprio in virtù del suo essere

una cultura altra, in grado quindi di mettere in evidenza modi diversi

di vivere la natura rispetto a quelli soliti dell’uomo bianco. I Nativi

Americani appartengono alla storia americana nonostante ne siano

stati violentemente estromessi, sono depositari di memorie e di

saperi antichissimi che dovrebbero essere appresi e recuperati come

un’eredità preziosa proprio in virtù della loro diversità.

Del resto va sottolineato che non c’è probabilmente pentimento più

grande che la storia ricordi di quello che gli Americani, nel corso

degli anni e con i mezzi più disparati, hanno dimostrato nei confronti

del genocidio indiano, molto tempo dopo averlo compiuto, quando

ormai non rimaneva che un ricordo sapientemente distorto e

mitizzato di una vicenda meno gloriosa di come veniva raccontata.

Ci sono voluti gli studi storici di J.F. Turner, racconti come Il piccolo

grande uomo (1964) di Thomas Berger (da cui è stato tratto l’omonimo

film diretto nel 1970 da Arthur Penn), Seppellite il mio cuore a Wounded

Knee (1970) di Dee Brown, pellicole come Il mucchio selvaggio (1969) di

Sam Peckimpah, Soldato blu (1970) di Ralph Nelson, Un uomo chiamato

cavallo (1970) di Elliot Silverstein e persino canzoni come “Fiume

Sand Creek” (1981) di Fabrizio De André affinché si attivasse quella

coscienza revisionista che ha permesso, se non di trovare colpe

definitive, quantomeno di conoscere le due ragioni di un conflitto

durato secoli e i retroscena drammatici che la propaganda per lungo

tempo aveva tenuto nascosti.

A proposito di “Fiume Sand Creek”, un breve discorso tenuto da

Fabrizio De André durante un concerto a Marostica (Vicenza) il 13

settembre del 1991, offre un interessante riflessione intorno al tema

Page 68: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

62

della scoperta del Nuovo Mondo e di chi fosse, in quella circostanza,

l’altro:

La terza canzone […] è su un tentativo di sterminio, questa volta riuscito quasi fino in fondo. Sto parlando degli Indiani d’America. Piccolo massacro dopo piccolo massacro insomma sono quasi riusciti a sterminarli tutti quanti. […] La canzone si chiama Sand Creek e si riferisce a uno di quei piccoli massacri, dove un gentiluomo, un certo colonnello Civington, con un’accozzaglia di ubriaconi neanche vestiti da soldati, riuscirono a far fuori una cinquantina di vecchi e bambini perché i guerrieri nel frattempo erano andati a caccia del bisonte. […] Voglio solo dire che la sera del 12 ottobre del 1992, non starò certo a brindare al cinquecentenario della scoperta dell’America. Anche perché desidero ribadire e ricordare che non si trattò di una scoperta, casomai di una riscoperta, perché quando Cristoforo Colombo […] sbarcò sull’isola di Santo Domingo, c’erano quelli che sarebbero poi stati chiamati Domenicani, ed erano lì da circa venti o trentamila anni […].79

Nonostante quindi non fossero tecnicamente loro gli altri, i Nativi

Americani vennero considerati come tali a partire dalla “riscoperta”

del Nuovo Mondo. Da iniziale fonte di ricchezza, come si è visto nel

capitolo precedente, questa alterità divenne motivo di intralcio,

qualcosa da eliminare in virtù di necessità economiche ed

espansionistiche nei confronti delle quali i pellerossa costituivano un

grandissimo ostacolo. Secondo un uso tipicamente occidentale che

verrà approfondito ulteriormente più avanti, oltre all’eliminazione

fisica del nemico i bianchi cominciarono a esercitare sugli Indiani

forme di controllo sempre più coercitive, che trovarono nella forma

della “riserva” la loro espressione in assoluto più efficace. Proprio

nel XIX secolo, ricorda Whasburn80, sorsero le prime riserve che ben

presto assunsero l’aspetto di veri e propri campi di concentramento

dove i bianchi potevano rinchiudere gli Indiani mano a mano che ne

79   Fabrizio  De  André,  Ed  avevamo  gli  occhi   troppo  belli,   traccia  3:  Al   fianco  degli   indiani,  pubblicato  nel  2001  da  A/Rivista  Anarchica.  80  Wilcomb  E.  Washburn,  Gli  Indiani  d’America,  cit.,  p.  235.  

Page 69: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

63

occupavano le terre. L’altro venne quindi rinchiuso non solo per

essere allontanato dall’uomo bianco, affinché questi potesse

perseguire indisturbato i suoi interessi economici, ma anche e

soprattutto per essere controllato, per limitarne gli spostamenti e le

libertà più elementari, fino ad annullarne progressivamente

l’identità. Non a caso, la società del tempo si stava rapidamente

trasformando, come sottolinea Michel Foucault (1926-1984) nel

saggio Sorvegliare e punire81 (1975), in una società disciplinare, sempre

più attenta a garantire l’ordine tramite la pratica di diverse discipline

che prevedevano, innanzitutto, una rigida ripartizione degli

individui nello spazio attraverso due tecniche principali: in primis la

clausura, cioè la specificazione di un luogo diverso rispetto a tutti gli

altri e chiuso su se stesso. Un esempio perfetto in ambito militare era,

in epoca settecentesca, la caserma, che rispondeva all’esigenza di

dare ordine alla massa vagabonda dei soldati, impedire saccheggi e

violenze, placare gli abitanti che mal sopportano le truppe di

passaggio, evitare i conflitti con le autorità civili, arrestare le

diserzioni e via discorrendo. Altro perfetto esempio erano i conventi

o i collegi studenteschi, luoghi separati dal resto della società dove

vigevano meccanismi di controllo specifici figli di una disciplina

interna creata ad hoc. In secundis il principio della localizzazione

elementare, altrimenti espresso con la formula ‘ad ogni individuo il

suo posto, e in ogni posto il suo individuo’. Lo scopo era quello di

evitare la formazione di gruppi, scomporre le strutture collettive

laddove preesistenti, impedire la scomparsa incontrollata degli

individui. Lo spazio disciplinare in sostanza veniva scomposto in

altrettante unità quanti erano i corpi da ripartire, dei quali bisognava

81   Michel   Foucault,   Sorvegliare   e   punire,   nascita   della   prigione,   (Surveiller   et   punir.  Naissance  de   la  prison),   trad.   it.   di  A.   Tarchetti,   Torino,   Einaudi,   1993,   in  particolare  pp.  154-­‐170.  

Page 70: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

64

stabilire presenze e assenze, conoscere l’ubicazione e sapere come

trovarli. Non ci volle molto perché il modello europeo di società

disciplinare venisse esportato nel Nuovo Mondo, dove trovò la sua

espressione migliore, quantomeno all’inizio, proprio nella sopracitata

struttura della riserva indiana.

Prima di concludere questo breve discorso sul colonialismo è

opportuno citare le parole di Homi K. Bhabha, filosofo indiano

naturalizzato statunitense che, nel saggio I luoghi della cultura82

(2001), scrive:

Il discorso stereotipo razzista allora, nel suo momento coloniale, esprime una forma di governo caratterizzata da una scissione produttiva nel suo stesso costituirsi a oggetto di conoscenza ed esercizio del potere. Alcune delle sue pratiche ammettono che la differenza di razza, cultura, e storia è elaborata sulla base di conoscenze stereotipe, delle teorie razziali, dell’esperienza amministrativa coloniale; fondandosi su tale constatazione, istituzionalizzano una serie di ideologie politiche e culturali fondate sul pregiudizio, sulla discriminazione, sulle arcaiche vestigia, sul carattere “mitico”, le quali – fatto essenziale – sono riconosciute in quanto tali. E poiché la popolazione nativa viene “conosciuta” in questi termini, le forme discriminatorie e autoritarie di controllo politico sono considerate appropriate. La popolazione colonizzata allora è vista al tempo stesso come causa ed effetto del sistema, prigioniera del circolo dell’interpretazione: quel che appare è la necessità di tale regola, giustificata da quelle ideologie moraliste e normative di miglioramento che tutti identificano come la Missione Civilizzatrice o il Fardello dell’Uomo Bianco.83

82   Homi   K.   Bhabha,   I   luoghi   della   cultura,   (The   location   of   culture),   trad.   it.   di   A.   Perri,  Roma,  Maltemi,  2001.  83  Homi  K.  Bhabha,  I  luoghi  della  cultura,  cit.,  pp.  120-­‐121.  

Page 71: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

65

3.1 Da una riserva all’altra: Jack London e il popolo degli abissi

Nel dare una descrizione sommaria de Il popolo degli abissi84 di Jack

London, la casa editrice Robin Edizioni esordisce così: “L’opera

dimenticata del grande autore americano”. Poche, semplici parole

che tuttavia conferiscono a quest’opera (effettivamente quasi

sconosciuta ai più) un fascino misterioso, suggerendo l’immagine di

una storia diversa da tutte le altre, in un certo senso un unicum nella

vasta produzione dello scrittore americano. Effettivamente quello de

Il popolo degli abissi non è il Jack London che ci si aspetta: non ci sono

branchi di lupi né foreste, non ci sono cercatori d’oro abbruttiti dalla

vita selvaggia né avventurieri alla ricerca di fortuna in territori

dimenticati da Dio e fuggiti dagli uomini. Non c’è neanche, se non a

tratti, l’elegante prosa tipica delle “opere maggiori”, quella che

spesso vira in quel lirismo di straordinaria bellezza che ha

contribuito a far conoscere e apprezzare il suo creatore in tutto il

mondo. In un certo senso il Jack London che scrive Il popolo degli

abissi è un altro da sé, o meglio, un altro da quello che sarebbe

diventato, considerando che l’opera risale al 1903, coeva quindi a Il

richiamo della foresta e decisamente antecedente a Zanna Bianca, Martin

Eden e a tutte le altre opere che hanno reso imperitura la fama di

questo autore. Si tratta anche di un’opera di genere diverso rispetto

alle tre sopracitate: Il popolo degli abissi viene infatti considerato un

saggio, un trattato sociologico scritto all’insegna di un realismo per

molti versi simile a quello delle future opere della grande stagione

neorealista italiana e guidato da un io narrante che coscientemente si

perde all’interno della storia e in mezzo ai personaggi che descrive.

84   Jack   London,   Il   popolo   degli   abissi,   (The   people   of   the   Abyss),   trad.   it.   di   A.  Minucci,  Roma,  Robin  Edizioni,  2008.  

Page 72: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

66

Per molti versi Il popolo degli abissi ricorda un’opera di cui si è già

ampiamente parlato e che più che un saggio viene considerato un

non fiction novel, cioè Walden di Henry David Thoreau. Nonostante

differiscano molto per argomento, le due opere presentano infatti

numerosi punti in comune, a partire dal carattere sperimentale; così

scrive London:

Le esperienze narrate in questo volume risalgono all’estate del 1902. Mi addentrai nei bassifondi di Londa con un atteggiamento smile a quello di un esploratore. Ero disposto a lasciarmi convincere da ciò che vedevo, più che dagli insegnamenti di coloro che non avevano visto o dalle parole di chi aveva visto in passato. Portavo con me solo alcuni semplici criteri con cui valutare la vita dei bassifondi. Ciò che rafforza la vita, la salute fisica e spirituale, era buono; ciò che indebolisce la vita, la sminuisce e la altera, era cattivo.85

Così Thoreau:

Ma passiamo senz’altro al mio esperimento personale. Verso la fine di marzo del 1845 presi in prestito un’ascia e scesi nei boschi che circondano il lago di Walden, nel punto più vicino a dove intendevo costruire la mia casa e inizia ad abbattere alcuni pini bianchi, alti e appuntiti, ancora giovani, che mi sarebbero servito come legname da costruzione.86

Strettamente connesso a questo è il discorso relativo

all’abbigliamento e all’arredamento: tanto per London quanto per

Thoreau, svestirsi dei propri panni tradizionali per rivestirsi chi di

panni logori e consunti, chi di essenzialità quasi primordiale, è

premessa fondamentale per il buon esito dell’esperimento:

Qui il giorno dopo mi liberai delle mie scarpe (non senza rimpiangere la loro leggerezza e comodità), del mio morbido abito grigio da viaggio e, di fatto, di tutti i miei vestiti e indossai i panni appartenuti ad altri uomini difficili da immaginare […] Per strada fui ben presto colpito dalla differenza di status

85  Jack  London,  Il  popolo  degli  abissi,  cit.,  p.5  86  Henry  David  Thoreau,  Walden,  cit.,  p.44.  

Page 73: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

67

causata dal mio abbigliamento. Un battito di ciglia, per così dire, ed ero divenuto uno di loro. L’uomo con i calzoni di velluto e la cravatta lercia non mi chiamava più “signore” o “principale”: ero divenuto “amico”, adesso, una parola bella e sincera, con un suono caldo e gentile che gli altri termini non possiedono.87

Se London doveva spogliarsi fisicamente dei suoi panni per

assumere le sembianze di un uomo della strada e, così facendo,

scoprirsi amico dell’altro, Thoreau doveva spogliarsi delle

convenzioni millenarie e del superfluo, dell’idea che l’uomo dovesse

per forza vivere in un contesto sociale, accumulando ricchezze e

sfruttando la natura circostante per le sue ragioni economiche. Solo

così facendo avrebbe potuto realmente considerarsi un membro della

natura e diventarne amico88.

Prima di poter adornare le nostre case con begli oggetti, dobbiamo spogliare le pareti e dobbiamo spogliare anche le nostre vite, e porre a loro fondamenta una buona organizzazione domestica e una buona condotta di vita. Ora, il gusto del bello ci colpisce soprattutto all’aperto, dove non ci sono case né massaie. […] Non voglio dire che qualsiasi ornamento architettonico debba essere negletto anche nei periodi più rudi, ma facciamo in modo che le nostre case siano prima di tutto decorate di bellezza, là dove entrano in contatto con la nostra vita, come l’interno delle conchiglie, e non sovraccariche di ornamenti esterni.89

Pare quindi evidente che entrambi gli scrittori desiderino incontrare

l’altro su un terreno di uguaglianza che sarebbe impossibile da creare

se prima non si liberassero di tutte le convenzioni che l’uomo bianco

ha creato per differenziarsi da esso. Che l’altro sia l’ambiente naturale

o la popolazione dell’East End di Londra, poco cambia: per calarvisi,

tanto London quanto Thoreau devono diventare in tutto e per tutto

87  Jack  London,  Il  popolo  degli  abissi,  cit.,  pp.18-­‐19.  88  Si  veda,  a  tal  proposito,  p.  37.  89  Henry  David  Thoreau,  Walden,  cit.,  pp.13-­‐43.  

Page 74: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

68

simili a ciò che è considerato diverso. Quello che scoprono è

effettivamente qualcosa di inaspettato per entrambi e che si potrebbe

riassumere in due sole parole: “semplicità” e “amicizia”. Non c’è

patetismo, né sentimentalismo nelle parole di London quando

incontra i miserabili abitanti dell’East End, ma c’è interesse, desiderio

di condivisione, talora anche compassione per coloro che sono stati

travolti da quella che Giovanni Verga aveva definito, pochi anni

prima, la “fiumana del progresso”90. Del resto i vinti di London

hanno diversi tratti comuni con i vinti di Verga o con quelli di Émile

Zola, rinchiusi in ghetti fisici o psicologici, incapaci di riabilitare se

stessi e migliorare la propria condizione, pena un precipitare

all’interno di un baratro ancora più profondo:

Giorno dopo giorno, mi sono convinto che sposarsi, per gli abitanti dell’abisso, è non solo imprudente ma criminale. Loro sono le pietre che il costruttore ha scartato. Non c’è posto per loro nell’edificio della società: tutte le forze sociali li spingono verso il basso finché non periscono. Sul fondo dell’abisso sono deboli, abbruttiti e storditi. Se si riproducono, la vita vale così poco che inevitabilmente si spegne da sola. L’attività del mondo prosegue al di sopra di loro; non hanno interesse a prendervi parte e non ne sarebbero capaci. Per di più il mondo non ha bisogno di loro. C’è una moltitudine di persone molto più efficienti, aggrappate al ripido pendio, che lottano disperatamente per non scivolare giù. Per farla breve, l’abisso di Londra è un enorme mattatoio.91

Di mattanze e mattatoi, a dimostrazione di quanto ricorrenti siano

determinati concetti in ambiti apparentemente diversi, si parlerà

ancora nel corso di questo capitolo, ma prima è necessario

sottolineare l’importanza del lavoro di London e Thoreau in

relazione all’intento divulgativo che vi soggiace. Entrambi gli autori

infatti si calano in una realtà altra e vengono a contatto con l’altro non

90  Giovanni  Verga,  I  Malavoglia,  Torino,  Einaudi,  2012,  p.  3.  91  Jack  London,  Il  popolo  degli  abissi,  cit.,  p.  42.  

Page 75: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

69

solo per “divenir del mondo esperti e delli vizi umani e del valore”92,

ma anche e soprattutto per testimoniare da un lato la ricchezza e

dall’altro l’esistenza stessa di questi mondi. Si tratta di realtà al

contempo simili e diverse: l’universo di Thoreau è qualcosa da

riscoprire e proteggere, quello di London è qualcosa di cui bisogna

ricordare l’esistenza a coloro che l’hanno direttamente o

indirettamente costruito e poi se ne sono allontanati. La dimensione

urbana ghettizzata e alienante de Il popolo degli abissi assurge agli

onori della cronaca con un volume dedicato ad essa e ai suoi abitanti,

persone talvolta spaventose, “imbevute di birra”93 e cionondimeno

dotate, in alcuni casi, di uno spirito di accoglienza che arriva a

stupire lo stesso autore e lo spinge a riflettere su quanto importante

sia la condivisione di un’esperienza, di un poco di cibo o di un ideale

per coloro che, in fin dei conti, non hanno niente. Thoreau stesso

gode di ciò che la natura condivide con lui, dal canto degli uccelli alla

polvere che entra in casa dal bosco circostante, dimostrando di essere

a tutti gli effetti inserito in un meccanismo di cui è parte integrante e

grazie al quale può provare un sentimento di amicizia concreta e

profonda, per altro ricambiato, verso gli altri elementi di tale sistema.

Aleggia, in entrambi gli scritti, una critica più o meno velata alla

società contemporanea, i cui membri sembrano condividere in

maniera indirettamente proporzionale a quanto possiedono, a

differenza di quanto sembrano fare invece tanto il mondo naturale

quanto il popolo degli abissi. E va sottolineato che si tratta di una

condivisione spesso inconsapevole, che l’occhio attento dello

scrittore può cogliere e testimoniare anche quando si tratta,

apparentemente, di cose di poco conto come sottili differenze

92  Dante  Alighieri,  Divina  Commedia,  Inferno,  a  cura  di  N.  Sapegno,  Firenze,  La  Nuova  Italia,  1968,  Canto  Ventesimosesto,  versi  98-­‐99,  p.  293.  93  Jack  London,  Il  popolo  degli  abissi,  cit.,  p.  291.  

Page 76: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

70

linguistiche che evidenziano la varietà di diversità presente in questi

mondi:

C’erano molti americani; oltre ai marinai c’erano i “grandi vagabondi”, quelli che “hanno per compagno il vento che viaggia per il mondo”. Erano vivaci, affrontavano le cose con quel coraggio che costituisce il loro tratto principale e che sembra non abbandonarli mai, e maledicevano il paese con metafore oscene che suonavano rinfrancanti dopo un mese di monotone e prosaiche imprecazioni cockney. Il cockney usa sempre le stesse parolacce, le peggiori, e le tira fuori in ogni occasione. Le brillanti e variegate imprecazioni del West sono tutt’altra cosa e tendono più alla bestemmia che all’indecenza. Tutto sommato, visto che gli uomini imprecano, preferisco la bestemmia all’indecenza: è più audace e avventurosa, e possiede un senso di sfida che manca all’oscenità nuda e cruda.94

Sembra quindi chiaro che la ricerca della differenza intesa come

ricchezza e la necessità di testimoniarla costituiscano un ulteriore

tratto in comune tra Il popolo degli abissi e Walden, il cui confronto

trova certamente la sua sublimazione, e in questo caso anche il suo

compimento, in alcuni estratti dell’ultimo capitolo dell’opera di

London che verranno riportati di seguito. Prima però è necessario

evidenziare come non vi sia in London un’esaltazione dell’East End e

dei suoi abitanti pari a quella di Thoreau nei confronti della Natura.

C’è, più che altro, un’analisi spietata tanto di alcune forme di

umanità primitiva, di individui più simili alle bestie che agli essere

umani, quanto e soprattutto della civiltà che ha permesso che tutto

ciò avvenisse e che ad oggi si limita, attraverso forme repressive più

o meno violente, a confinare questa diversità tra le mura di un ghetto

costruito appositamente per ospitarla. Quella di London è insomma

una denuncia di ciò che costringe alcuni esseri umani a divenire altro

da se stessi, attraverso l’osservazione diretta delle conseguenze di un

94  Jack  London,  Il  popolo  degli  abissi,  cit.,  pp.  124-­‐126.  

Page 77: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

71

certo comportamento delle classi dominanti. Ecco cosa scrive in

proposito nella parte conclusiva dell’opera:

Gli inetti e i superflui! I miserabili, i disprezzati e i dimenticati che muoiono nei mattatoi della società. Sono la progenie della prostituzione: la prostituzione di uomini, donne e bambini, della carne e del sangue, dell’anima e dello spirito; in una parola, la prostituzione del lavoro. Se questo è il meglio che la civiltà possa fare per gli esseri umani, ridateci la nuda e urlante vita selvaggia. Meglio essere il popolo della giungla e del deserto, della caverna e del bivacco, piuttosto che il popolo della macchina e dell’abisso.95

Una società, quella nella quale vive London, che genera diversità e

poi la allontana, nella speranza che non vederla significhi farla

sparire o quantomeno dimenticarla. Una società che, esportata nel

Nuovo Mondo, aveva incontrato la diversità e l’aveva ugualmente

allontanata, nascosta, piegata alle proprie esigenze spesso in modo

violento, come già si è avuto modo di osservare nel corso del

capitolo.

In conclusione, per riprendere quanto si diceva poc’anzi circa

l’ampia riflessione che chiude l’opera di London, sarebbe in verità

necessario riportare l’intero capitolo ventisettesimo, intitolato “La

gestione”. Tuttavia, per comprensibili esigenze di spazio, è possibile

citarne solo alcuni estratti che permettono comunque di cogliere

appieno il significato dell’esperimento di London e della sua idea di

umanità:

In Alaska, lungo le rive del fiume Yukon, nei pressi della foce vive il popolo degli Inuit. È una popolazione molto primitiva[…]. Si procurano da mangiare cacciando e pescando con strumenti rudimentali. Non manca loro il riparo. […] Nel Regno Unito, ai margini dell’Oceano Atlantico, vive il popolo degli inglesi. Sono una popolazione molto civilizzata […]. A differenza degli Inuit, patiscono una condizione cronica di

95  Jack  London,  Il  popolo  degli  abissi,  cit.,  p.  277.  

Page 78: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

72

inedia. Gli inglesi sono quaranta milioni, e fra loro 939 persone su mille muoiono in miseria, mentre otto milioni fanno costantemente la fame. […] Se si paragonano obiettivamente l’Inuit medio e l’inglese medio, si vedrà che la vita è meno impietosa per l’Inuit. […] Dal momento che la civiltà non è riuscita a garantire all’inglese medio cibo e riparo paragonabili a quelli dell’inuit, sorge la domanda: “La civiltà ha aumentato la capacità produttiva dell’uomo medio? Se non lo ha fatto, allora la civiltà non regge”. Si obietterà immediatamente che la civiltà ha accresciuto la capacità produttiva dell’uomo. […] E tuttavia abbiamo mostrato in queste pagine che milioni di inglesi non hanno abbastanza cibo, vestiti e stivali. Ed ecco la terza inesorabile domanda: se la civiltà ha aumentato le capacità produttive dell’uomo, perché non ha migliorato le sorti dell’uomo medio? La risposta può essere una sola: cattiva gestione. […] Esiste un’unica alternativa. Bisogna fare in modo che la civiltà migliori le sorti dell’uomo medio. Una volta accettato questo, diventa solo un problema di gestione. Ciò che è vantaggioso deve essere preservato, ciò che non lo è va eliminato. […]96

Una gestione responsabile che non sembra, nelle sue premesse

appena accennate, tanto diversa dal concetto espresso da Aldo

Leopold nel suo Almanacco di un mondo semplice97:

L’ostacolo che deve essere rimosso per aprire la strada all’evoluzione di un’etica è semplicemente questo: smettere di pensare che un uso conveniente della terra sia un problema esclusivamente economico; esaminare ogni circostanza nei termini di che cosa sia eticamente ed esteticamente giusto, come pure economicamente opportuno. È giusto ciò che tende a mantenere l’integrità, la stabilità e la bellezza della comunità biotica; è sbagliato ciò che ha una tendenza diversa.98

La proposta di Leopold è quella di reinterpretare il principio

conservazionista99: bisogna salvaguardare le risorse del territorio ma

96  Jack  London,  Il  popolo  degli  abissi,  cit.,  pp.  301-­‐307.  97  Aldo  Leopold,  Almanacco  di  un  mondo  semplice,   (Sand  County  Almanac),  trad.   it.  di  G.  Arca  e  M.  Maglietti,  Como,  Red  Edizioni,  1997.  98  Ivi,  p.184.  99   Principio   secondo   il   quale   la   conservazione   delle   risorse   era   fondamentale   per   lo  sviluppo  di  una  nazione,  giacché   le   ricchezza  naturali  dovevano   fornire   il  bene  maggiore  per  il  maggior  numero  di  persone  più  a  lungo  possibile.  

Page 79: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

73

per creare uno stato di armonia tra uomini e terra. Di fondamentale

importanza è perciò la formazione di una coscienza ecologica e, con

essa, di un’educazione che insegni che né l’interesse personale né il

profitto economico sono valori primari. Ovviamente questo non vuol

dire che l’uomo debba smettere di usare le risorse della terra, ma

deve riconoscere, almeno a una parte di esse, il diritto di continuare a

esistere allo stato naturale. Così, parlare di ‘etica della terra’ significa

di fatto parlare di un’acquisizione di consapevolezza da parte

dell’essere umano, che non deve più considerarsi come il

conquistatore della comunità terrestre ma come un suo semplice

membro, rispettando non solo gli altri componenti ma anche e

soprattutto la comunità in quanto tale.100

3.2 Un altro essere umano: la donna nell’universo dell’uomo

Nei testi finora analizzati sono state riscontrate, come si è visto,

diverse caratteristiche comuni. Anche nel caso specifico di cui ci si

occuperà in questa parte del capitolo, cioè la questione della donna

come altro dall’uomo, testi come Walden, Il popolo degli abissi, Carne e

soprattutto E venne chiamata due cuori, offrono come punto di

partenza un ragionamento comune molto semplice, cioè quello della

perdita della memoria storica dei popoli del mondo moderno, troppo

occupati a immaginare il futuro per studiare il proprio passato. Data

una simile premessa, prima di affrontare il tema della percezione

maschile della donna in un mondo fondamentalmente fatto a misura

d’uomo, è necessario indagare quali sono le radici di un modo di

pensare che, ancora oggi, subordina in più di un caso la femmina al

maschio in modi talora evidenti, talora più subdolamente nascosti.

100   Si   veda  a  proposito:  Serenella   Iovino,  Filosofie  dell’ambiente,  Roma,  Carocci,  2004,  p.  62.  

Page 80: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

74

3.2.1 Essere donna: una Differenza che esclude

Nel libro La donna nelle scienze dell’uomo101, viene affrontata, tra le

altre cose, la tematica del corpo della donna come causa “scientifica”

della sua inferiorità rispetto all’uomo, tesi che tra la fine del 1700 e

per almeno tutto il 1800 godette di enorme fortuna. A partire dalle

dimensioni del cervello per arrivare alle energie che la donna

spenderebbe nella maternità, la pseudoscienza positiva articolò,

come ben riportano Babini, Minuz e Tagliavini102, la fortunata teoria

secondo la quale il corpo stesso della donna sarebbe stato la causa

della sua inferiorità rispetto al maschio. A questi dati, già di per sé

sufficientemente discriminatori, la scienza positivista affiancò un

elemento più squisitamente biologico, legato ad aspetti fisiologici del

corpo delle donne che non avevano un corrispettivo nel corpo

dell’uomo. Mestruazioni, maternità, parto, erano tutti elementi che

contribuivano a rendere la donna inferiore e potenzialmente instabile

a livello mentale, giacché l’energia che ella doveva spendere per far

fronte a tali processi non poteva che sottrarre energia all’attività

intellettiva e spesso finiva per causare, a livello cerebrale, danni tanto

gravi da condurre inevitabilmente alla follia103.

Ma anche nel caso in cui la maternità non avesse generato follia, era

comunque uno dei motivi principali per cui la donna veniva

considerata biologicamente e intellettualmente inferiore all’uomo:

Secondo Lombroso, le donne si erano evolute più lentamente degli uomini a causa del loro conservatorismo biologico, conservatorismo che «è il risultato delle condizioni degli ovuli e degli spermatozoi essendo gli ovuli […] più pesanti e meno trasportabili degli spermatozoi». Consumando la maggior parte

101   V.   Babini,   F.   Minuz,   A.   Tagliavini,   La   donna   nelle   scienze   dell’uomo,   Milano,   Franco  Angeli  Libri,  1989.  102  Ivi,  pp.  118-­‐124.    103  Ivi,  pp.  99-­‐100.  

Page 81: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

75

della “forza vitale” nella gravidanza, nel parto e nella cura dei figli, le donne erano biologicamente incapaci di raccogliere le energie necessarie a rivaleggiare intellettualmente con gli uomini o ad assumere ruoli politici sulla scena pubblica.104

In che modo dunque, alla luce di quanto appena detto, una donna

avrebbe potuto essere equiparata a un uomo e ottenerne quindi gli

stessi diritti, o per lo meno non essere considerata come una

portatrice sana di follia latente pronta a esplodere da un momento

all’altro per cause naturali? Si potrebbe supporre, analizzando la

vasta letteratura pseudo scientifica intorno ai rischi della maternità e

del parto, che il modo migliore per la donna di evitare la follia fosse

quello di rinunciare alla maternità, ma sarebbe una supposizione più

che mai errata:

La maternità è una necessità naturale. E lo è a tal punto che se la donna vi si ribella «deve essere malata», conseguentemente al fatto che solo chi non è più soggetto alle leggi della normale funzionalità della natura può ribellarsi ai suoi dettami. La maternità è tuttavia un fenomeno naturale ad alto rischio: «si svolge in mezzo ad innumerevoli pericoli fuori e dentro della macchina animale». Le ragioni di questa pericolosità sono da ricercarsi proprio nel fatto che, come ha premesso Pazzi, il processo di maternità ha riflessi sull’organismo e in particolare sulla ragione: la vecchia teoria ippocratica dell’influenza dell’apparato genitale sulla mente femminile, mentre getta ombre sullo stato di maternità deresponsabilizza la donna riducendo le sue azioni a effetto dello stato fisiologico. […] Dalle considerazioni del nostro ginecologo emerge un’immagine doppia della natura: è una natura che impone ma non predispone. Infatti, anche quando la donna esegue il proprio destino naturale incontra rischi e pericoli non meno terribili di quando vi si oppone. Se in quest’ultimo caso è già malata, nell’altro può facilmente diventarlo: non è affatto raro –

104   Mary   Gibson,   Nati   per   il   crimine.   Cesare   Lombroso   e   le   origini   della   criminologia  biologica,   (Born   to   Crime.   Cesare   Lombroso   and   the   Origines   of   Biological   Criminology),  trad.  it.  di  G.  Agati  e  M.L.  Margini,  Milano,  Mondadori,  2004,  pp.  90-­‐91.  Tra  virgolette:  C.  Lombroso,  G.  Ferrero,  The  Female  Offender,  1895,  Fred  B.  Rothman,  Littleton  (Colo),  1980,  pp.  148  e  151.  

Page 82: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

76

e a dirlo è un ginecologo – che essa ammali, impazzisca, deliri, uccida. 105

Ancora a cavallo tra il XIX e il XX secolo, per non parlare del XVIII, si

dava quindi credito a chi sosteneva l’inferiorità intellettuale della

donna nei confronti dell’uomo e portava, a sostegno di questa tesi,

una serie di prove tanto numerose quanto assolutamente prive di

qualsiasi fondamento scientifico, come ebbero modo di dimostrare

nel corso dei secoli eminenti scrittrici, filosofe e femministe quali

Olympe de Gouges (1748-1793), drammaturga francese, autrice della

Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina (1791), o Mary

Wollstonecraft (1759-1797), considerata la fondatrice del femminismo

liberale e la cui opera Rivendicazione dei diritti della donna (1792)

costituisce una pietra miliare della storia del femminismo mondiale.

Ciò che emerge immediatamente dalla lettura di questi scritti e che è

fondamentale sottolineare in questo contesto, è il fatto che l’intento

delle loro autrici non fosse quello di invocare o indurre un

ribaltamento della norma vigente che creasse una disuguaglianza in

senso opposto, quindi a favore delle donne e a scapito degli uomini:

la Dichiarazione di Olympe de Gouges, per esempio, invocava

semplicemente la possibilità di una compresenza sociale e politica di

uomini e donne e un’uguale dignità per i due sessi.106 La pensatrice

francese parla infatti di uguale ammissione per le donne a tutte le

dignità, posti e impieghi pubblici, secondo le loro capacità e senza

altra distinzione che quella delle loro virtù e dei loro talenti,

105   V.   Babini,   F.   Minuz,   A.   Tagliavini,   La   donna   nelle   scienze   dell’uomo,   cit.,   pp.   57-­‐58.  Muzio   Pazzi,   il   cui   nome   compare   in   questa   citazione,   è   stato   un   ginecologo  bolognese,  autore,   tra   il   1908   e   il   1914   di   diversi   trattati   sulla   fisiologia   femminile   e   sulle  responsabilità  giuridiche  della  donna  nella  società  di  inizio  secolo.  106  Si  veda  A.  Groppi,  G.  Bonacchi  (a  cura  di),  Il  dilemma  della  cittadinanza.  Diritti  e  doveri  delle  donne,  Roma-­‐Bari,  Laterza,  1993,  pp.  4-­‐5.  

Page 83: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

77

dimostrando come il soggetto femminile, nella sua concezione,

dovrebbe solo affiancarsi a quello maschile e non sostituirvisi.

Rivendicazione dei diritti della donna contiene invece un’appassionata

replica alle teorie espresse da Jean Jaques Rousseau (1712-1778) nel

libro V dell’opera Emilio, o dell’educazione (1762), nel quale il filosofo

condannava esplicitamente le prime idee di uguaglianza tra i sessi,

formalizzando l’inferiorità di uno dei due attraverso la ripresa di

alcuni stereotipi classici: da quello della sfrenatezza sessuale a quello

della subordinazione della ragione ai sentimenti, che avrebbero

causato un disordine sociale incontenibile qualora si fosse permesso

alle donne di accedere alla vita pubblica. Fortemente legato alle

secolari teorie secondo cui a un determinato genere dovessero

corrispondere determinate caratteristiche mentali e determinati

compiti sociali, Rousseau sosteneva che le funzioni che per natura i

due sessi dovevano svolgere erano differenti e quelle che spettavano

alla donna erano inferiori. Questo in virtù del fatto che, secondo il

filosofo, la vita femminile era iscritta in un tempo non storico ma

biologico, legato al loro essere custodi della specie. Di fatto quindi la

vita della donna non era che la concretizzazione di un mero destino

riproduttivo.

La risposta di Mary Wollstonecraft con la sua Rivendicazione, mirava

a demolire le teorie di Rousseau a diversi livelli: il primo è il piano

della differenza intesa come inferiorità: certo che uomini e donne

sono diversi, dice Wollstonecraft, per esempio biologicamente, ma la

maternità è una specificità della donna e non un mero ruolo naturale.

L’uguaglianza tra i due sessi è semmai impedita dall’educazione

inferiore impartita alle donne e da teorie come quelle di Rousseau.

Non meno importante, riguardo alle affermazioni del filosofo circa

l’amore istintivo delle bambine per le bambole e i vestiti,

Page 84: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

78

Wollstonecraft sottolinea con forza l’errore comune che si commette

quando si attribuisce “un sesso alla mente”, scrivendo “la bambina si

diverte a vestire la bambola senza vita così come fanno con lei

[…]”107.

Nei secoli successivi furono tante le personalità femminili che si

occuparono di scardinare le fantasiose teorie a sostegno

dell’inferiorità delle donne e della loro esclusione dalla sfera

pubblica, da Millicent Fawcett (1847-1929) a Emmeline Pankhurst

(1858- 1928), ispiratrici del movimento suffragista femminile, da

Simone de Beauvoir (1908-1986), tra le prime a mettere in discussione

il concetto di “identità di genere” sostenendo che:

Donna non si nasce, lo si diventa. Nessun destino biologico, psichico, economico definisce l’aspetto che riveste in seno alla società la femmina dell’uomo: è l’insieme della storia e della civiltà a elaborare quel prodotto intermedio tra il maschio e il castrato che chiamiamo donna.108

a Gayle Rubin, le cui analisi del concetto di identità di genere

miravano a mettere in crisi le secolari teorie secondo cui a un

determinato genere dovessero corrispondere determinate

caratteristiche mentali, comportamentali e determinati ruoli sociali.

Come ha sottolineato la dott.ssa Paola Pallavicini109 nel corso di una

conferenza dal titolo “In corpore sano”110, intorno alle differenze di

sesso e di genere ruota una macchina diabolica che da millenni

relega la donna (ma anche tutti coloro la cui sessualità non si

sviluppa in modo “consono” al sesso di appartenenza) a una

condizione di subordinazione rispetto all’uomo normale, in teoria

107  V.  Babini,  F.  Minuz,  A.  Tagliavini,  La  donna  nelle  scienze  dell’uomo,  cit.,  p.  94.  108   Simone  de  Beauvoir,  Il   secondo   sesso,   (Le   deuxième   sexe),   trad.   it.   di   R.   Cantini   e  M.  Andreose,  Milano,  Il  Saggiatore,  1984,  p.  325  109  Docente  di  Storia  e  Critica  della  Televisione  presso  l’Università  degli  Studi  di  Torino.  110   Conferenza   tenuta   presso   l’Università   degli   Studi   di   Torino   il   17   maggio   2013  nell’ambito  del  ciclo  Thinking  green,  organizzato  dalla  dott.ssa  Daniela  Fargione.    

Page 85: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

79

possessore unico delle virtù in grado di renderlo di fatto padrone del

mondo. I già citati studi di Fernanda Minuz111 sottolineano il fatto

che, quali che siano le ragioni di questo bisogno di subordinare, vi è

un radicale equivoco nei numerosi scritti che gli antropologi e i

medici dedicarono alla donna tra Ottocento e Novecento. Presentati

come la rigorosa risposta della scienza all’«eterno mistero» della

donna, quegli scritti rispondevano invece a un’altra domanda: quale

deve essere il posto della donna nella società moderna. Non che

l’equivoco fosse inconsapevole: al contrario, quasi tutti gli autori

ammettevano esplicitamente che era stata la rivendicazione di parità

tra l’uomo e la donna a risvegliare il loro interesse per un capitolo

dell’antropologia, quello sulla donna, non ancora adeguatamente

affrontato.

L’apparenza di rigore scientifico e la mole di dati e numeri offerti al

lettore davano un posto del tutto particolare, nella vasta letteratura

sulla donna, alle opere scritte da questi sedicenti scienziati. Ancora

oggi, del resto, il profano si sente spesso nell’impossibilità di

giudicare le tesi la cui validità si fonda su procedure che gli sono

necessariamente estranee, e quindi non gli restano che due strade:

affidarsi alle proprie convinzioni ideologiche e negare alla scienza

naturale il diritto di intervenire nelle questioni politico-sociali,

oppure sperare nell’alleanza di qualche scienziato che gli renda

intellegibile il dibattito scientifico. Nella seconda metà dell’Ottocento

il divario tra le affermazioni degli scienziati e le opinioni dei profani

era ulteriormente accentuato da un’ideologia, ormai diffusa in tutta

Europa, che attribuiva alla conoscenza scientifica il primato su

qualsiasi altra forma di conoscenza.

111  V.  Babini,  F.  Minuz,  A.  Tagliavini,  La  donna  nelle  scienze  dell’uomo,  cit.,  pp  114-­‐115.  

Page 86: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

80

3.3. Ruth Ozeki: Carne, carni e questione di occhi

Alla disarmante semplicità con la quale le differenze sono da sempre

utilizzate per dividere e assoggettare, si aggiunge spesso anche la

cieca risolutezza con la quale chi intende dominare opera una

distruzione psicologica, sociale e addirittura fisica del corpo da

subordinare, al fine di renderlo il più docile possibile.

C’è tuttavia anche chi si ribella a questo “addestramento” e che

trova, proprio nell’essere differente, la ragione della propria identità.

È il caso di Jane Takagi-Little, la protagonista di Carne di Ruth Ozeki,

la quale descrive se stessa così:

Mi chiamo Jane Takagi-Little. […] Al momento del battesimo, mia madre fu colta da subitaneo orientale terrore al pensiero che sua figlia portasse per tutta la vita un cognome insignificante come Little, così proprio all’ultimo momento si impuntò perché fosse aggiunto anche il suo. Takagi è un nome importante, letteralmente, comprende l’ideogramma di «alto» e quello di «albero». […] Malgrado fosse un Little, mio padre era un uomo alto, io stessa sono quasi un metro e ottanta. Il che fa di me una freak, in Giappone. Ci ho vissuto un po’, e ho tentato di adeguarmi, ma ben presto ci ho rinunciato: mi sono tagliata i capelli cortissimi, ho tinto di verde alcune ciocche, e mi rivolgevo agli uomini parlando in giapponese. Mi sentivo a mio agio. Plurisessuale, plurirazziale, perversa, nella metropolitana di Tokio torreggiavo sulle teste liscie e tutte uguali dei pendolari. Ironia della sorte, il vero choc culturale l’ho avuto quando ho lasciato il Giappone e mi sono trasferita qui a New York, nell’East Village. A un tratto ebbi l’impressione che tutti fossero strani, esattamente come me.112

Pluridiversa, dunque, Jane Takagi-Little. Diversa perché donna,

diversa perché nippo-americana, diversa perché troppo alta, diversa

soprattutto perché, come si vedrà più avanti, dotata di un forte senso

di umanità, solidarietà e fratellanza pur lavorando in un mondo,

quello dei media, dominato esclusivamente dalla finzione, dal

112  Ruth  Ozeki,  Carne,  (My  Year  of  Meats),  trad.  it.  di  A.  Nadotti,  Torino,  Einaudi,  1998,  pp.  14-­‐15.  

Page 87: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

81

capitale e dallo share. Compito di Jane è infatti quello di realizzare

una trasmissione dal titolo Una moglie americana!, una sorta di reality

show dove il rapporto tra carne umana e carne animale è

fondamentale: in ogni puntata, una donna americana ruspante ma

non grassa, dovrà cucinare prelibati tagli di carne da presentare ai

telespettatori insieme all’American way of life, fatto di cucine moderne,

mariti perfetti e tanti figli adorabili.

Inizialmente Jane, che ha un disperato bisogno di lavorare, accetta le

condizione imposte dalla produzione, ma ben presto comincia a

sentire delle crepe nella sua coscienza a causa di tutta la finzione che

vende ai telespettatori ignari. Tale finzione, che il programma tratta

come se fosse invece la normalità, nasconde in verità numerose

anomalie. Una moglie americana! rappresenta una sorta di microcosmo

ideale, è un mondo artefatto dove la carne femminile presenta se

stessa e la carne animale secondo un copione molto rigido, che funge

da palcoscenico sul quale i personaggi recitano una versione migliore

e più soddisfacente di se stessi: le belle mogli americane che cucinano

prelibati tagli di carne in cucine moderne ma familiari, con i bambini

che giocano e i mariti che aiutano (ma non troppo), sono la messa in

scena di un mondo ideale al quale gli spettatori, soprattutto le

casalinghe giapponesi cui il programma è particolarmente

indirizzato, devono aspirare. Le donne, anch’esse appetitose tagli di

carne viventi, paiono essere poco più che oggetti, cosa che Ruth

Ozeki non dimentica mai di sottolineare, in maniera spesso sottile ma

spietata: “Un primo piano ingrandì a tal punto la bottiglia di Coca

che le dita sembravano rimpicciolite, infantili, mentre ne

schiacciavano i fianchi morbidi.”113 Tale immagine sembra creare una

sorta di parallelismo inquietante tra la donna e la bottiglia di plastica,

113  Ruth  Ozeki,  Carne,  cit.,  p.  25.    

Page 88: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

82

i cui fianchi morbidi per giunta vengono schiacciati da dita infantili.

Non si tratta quindi, a ben vedere, di un oggetto qualsiasi, ma di un

modello ben preciso e molto noto caratterizzato da fianchi morbidi,

proprio quella caratteristica che fin dall’epoca preistorica viene

collegata alla fertilità. Le dita che la toccano, inoltre, sono

rimpicciolite dal primo piano della macchina da presa al punto tale

da sembrare quelle di un bambino. L’immagine che ne deriva è

quindi quella di una donna intesa come un articolo finalizzato alla

procreazione, ma Ruth Ozeki, pur sottolineando questo principio

secolare che affonda le sue radici addirittura nel Mito della

Creazione, sceglie di vestire la maternità di un ulteriore abito, ossia

quello di causa di differenza non solo tra uomini e donne, ma anche tra

donne e donne.

È infatti proprio intorno al tema della maternità che ruota il

personaggio di Akiko, co-protagonista del libro e casalinga

giapponese cui idealmente è diretto il programma curato da Jane.

Akiko è un personaggio il cui passato viene appena accennato da

Ozeki, quel tanto che basta per sottolineare un processo di

involuzione che parte nel momento in cui sposa un uomo misogino e

violento di nome Joichi Ueno. Pieno di complessi e nutrito fin da

piccolo dal sogno americano, Joichi arriva al punto di cambiare il suo

nome di battesimo in John per via dell’assonanza con John Waine,

simbolo tutto a stelle e strisce di coraggio, virilità ed eroismo. In

seguito a questo matrimonio, Akiko subisce l’involuzione che la

riduce nello stato in cui l’autrice ce la presenta per la prima volta:

debole, sottomessa e apparentemente priva di una ragione per

vivere.

Quando si era sposata, aveva lasciato il lavoro per imparare a cucinare e prepararsi a fare la madre. […] «John» credeva profondamente nel pensiero positivo. […] Era convinto che se si

Page 89: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

83

fosse concentrata su pensieri positivi di maternità sarebbe rimasta incinta […] L’insistenza sulla carne, per farla ingrassare e stimolare la ripresa del ciclo mestruale, era parte integrante del training. Pensieri positivi portano ad azioni positive che portano al successo. Invece non funzionava. Akiko era in crisi con il pensiero positivo. Dopo cena, mentre lavava i piatti, andava in bagno, si piazzava davanti allo specchio e fissava la sua immagine riflessa. Dopo qualche istante cominciava a sentire la carne. Dapprima nello stomaco, come un animale vivo, poi risaliva implacabile fino all’esofago e infine le esplodeva in gola. Non riusciva a trattenerla. Non riusciva a trattenere nessuna vita dentro di sé.114

Quelle usate da Ruth Ozeki sono espressioni piuttosto forti:

“prepararsi a fare la madre”, “farla ingrassare”, “training”, sono tutte

tessere che compongono un mosaico molto chiaro e a tratti

agghiacciante che restituisce l’immagine di una donna annichilita,

sottomessa, ridotta quasi allo stadio di carne animale da far

ingrassare per favorirne la capacità riproduttiva, evidentemente

l’unica che contasse davvero qualcosa:

«John» riteneva disdicevole che una coppia annunciasse una gravidanza nei primi mesi di matrimonio, ma dopo un anno le annunciò che era ora di provare. Akiko però aveva già cominciato a perdere peso e il suo ciclo mestruale si era diradato. Non ne aveva parlato con «John» perché tanto non aveva importanza. Ma quando all’improvviso suo marito si era messo a controllare, le mestruazioni erano cessate del tutto. Dopo il secondo anno John aveva cominciato a mugugnare: sua madre aspettava un nipote, le diceva, e in ufficio già circolavano le chiacchiere. Eppure, niente. Adesso, arrivati al terzo anno di matrimonio, era fuori di sé dalla rabbia.115

Non è difficile riscontrare nella mentalità di «John» Ueno quei

paradigmi pseudo-scientifici espressi in precedenza intorno al tema

della maternità: anche in questo caso ci troviamo infatti di fronte a un

uomo che misura la normalità della donna con cui è sposato sulla

114  Ruth  Ozeki,  Carne,  cit.,  pp.  45-­‐46.  115  Ruth  Ozeki,  Carne,  cit.,  pp.  55-­‐56.  

Page 90: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

84

base di quelli che sono i suoi personali valori di riferimento,

prescindendo totalmente dai valori e dai bisogni di lei, dalle

circostanze particolari e causandole, così facendo, un profondo strato

di prostrazione che ne determina necessariamente la sottomissione.

Ad ogni modo è proprio la maternità che costituirà il punto di svolta

del personaggio di Akiko, che nel corso del racconto evolve verso

uno stadio nuovo: da donna sottomessa al marito, debole e umiliata

si trasforma, tarantinianamente116, in futura madre coraggiosa che

capisce di dover abbandonare al suo destino l’uomo che aveva

sposato per poter crescere, lontano dalla sua influenza negativa, la

creatura di cui è rimasta incinta.

Una sorte diversa tocca invece a Jane, emblema da un lato della

diversità fisica e razziale e dall’altro della femminilità normale, un

miscuglio disomogeneo di contrasti che contribuiscono a farne

probabilmente il personaggio più complesso e ricco di tutta l’opera.

La nippo-americana, troppo alta per i Giapponesi e troppo

giapponese per gli Americani, dopo aver passato la sua infanzia a

scendere a patti con la sua diversità si trasforma in qualcosa che lei

stessa finisce per non tollerare più, ossia una donna conforme al

sistema di valori del mondo per cui lavora, un mondo in cui sa che

«non c’è niente di vero»117. Eppure qualcosa di vero si annida ancora

nei suoi ricordi d’infanzia, ed è qualcosa che parla di una differenza

percepita come tale ma non ancora connotata razzialmente, qualcosa

insomma di presente a livello inconsapevole, come ci dice in uno tra i

passi più incisivi di tutto il libro:

116   In   Kill   Bill   Vol.1   (2003)   e   Kill   Bill   Vol.2   (2004)   di   Quentin   Tarantino,   il   personaggio  principale,   Beatrix   Kiddo   (interpretato   da   Uma   Thurman),   killer   di   professione   ma  decisamente  sottomessa  al   suo  uomo  e  maestro  Bill,  decide  di  abbandonare   lui  e   la   sua  vecchia   vita   una   volta   scoperto   di   essere   incinta,   per   garantire   alla   sua   futura   figlia  un’infanzia  più  pulita  e  sicura,  lontana  da  modelli  pericolosi  e  negativi.  117Ruth  Ozeki,  Carne,  cit.,  p.  37.  

Page 91: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

85

Avrei dovuto capire che ero diversa perché quando giocavamo a cowboy con i bambini del vicinato io facevo sempre la principessa indiana. Ero molto alta, anche da bambina; vincevo gran parte delle battaglie e finivo sempre per litigare con un ragazzino di nome Farley, che diceva che vincevo per scherzo, gli indiani dovevano perdere. […] E adesso mi torna in mente un gioco che facevo ogni anno alla prima nevicata con la mia migliore amica, Polly. Non appena un sottile strato di neve ricopriva il terreno correvamo a prendere dei bastoncini e disegnavamo facce sull’asfalto della strada davanti a casa mia. Io disegnavo facce giapponesi, un cerchio per il viso, poi gli occhi, il naso e la bocca. Polly disegnava facce americane nello stesso modo. Solo gli occhi erano diversi. I miei erano due tratti svelti e sbiechi nella neve, mentre Polly doveva disegnare due piccoli cerchi interi. […] Probabilmente una qualche idea della differenza ce l’avevo, ma non aveva ancora assunto connotazioni razziali.118

Una diversità “razziale”, come si diceva, cui tuttavia non

corrisponde, ragionando in termini di pseudo-scienza positivista,

una diversità “di natura”, giacché Jane, a differenza di Akiko,

desidera una maternità che non solo stenta ad ottenere, ma di cui

fatalmente verrà privata in uno degli episodi più emblematici di

tutto il libro e di cui si parlerà più avanti nel corso del capitolo.

3.3.1 Carni malate, corna e maternità negata

Bisogna raggiungere quasi la metà del libro prima che Ruth Ozeki

introduca un particolare di straordinaria rilevanza per la messa a

fuoco del personaggio di Jane, attraverso alcuni fondamentali episodi

del suo passato prossimo e remoto. Trasferitasi dall’America in

Giappone a ventun anni per motivi di studio, Jane conosce ben

presto quello che sarà il suo futuro marito, un dottorando francese di

nome Emil con il quale, dopo il matrimonio, decide di provare ad

avere un figlio. Dopo numerosi tentativi infruttuosi, la donna si

118  Ivi,  p.  158.  

Page 92: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

86

sottopone a una serie di test di fertilità che rivelano una situazione

non solo grave ma anche del tutto inaspettata: Jane scopre di essere

affetta da una patologia precancerosa nota come neoplasia e da un

carcinoma in situ che decide di far asportare immediatamente,

pervenendo a un’ulteriore scoperta attraverso una radiografia

effettuata in occasione dell’intervento.

Ho sempre immaginato il triangolo della cavità uterina come la testa di un toro, con le tube di Falloppio che si snodano e arcuano come nobili corna, e questo era ciò che mi aspettavo di vedere. Ma quando il medico mi mostrò la lastra controluce, ciò che vidi era meno simmetrico. Il lato sinistro dell’ampia fronte del toro era incavato, non proprio triangolare, come se al mio toro uterino fosse stata strappata una delle corna.119

L’analogia tra il corpo, o meglio, tra la carne della donna e la carne

dell’animale non può certo passare inosservata: una malformazione

di natura uterina che colpisce un essere umano viene descritta

attraverso una metafora tratta dal mondo degli animali non umani,

in particolare dei bovini, una scelta che, come si vedrà, troverà una

spiegazione più che mai logica e drammatica. In seguito a questa

scoperta, Jane si convince di non essere in grado di procreare e

ricerca le cause della sua infertilità nelle sue radici ibride, quasi come

se la mescolanza costituisse un handicap programmato per non

riproporre se stesso ed esaurirsi in una creatura che, per parafrasare

De André, qualcuno potrebbe chiamare “un tentativo”120 più che un

essere umano. Ma la deformazione “animalesca” di Jane crea un

parallelo tra carne della donna e la carne dell’animale che, pur

sottolineandola, va al di là di una semplice quanto diffusa analogia

di stampo maschilista, e riguarda l’uso scellerato che nel corso degli

119  Ruth  Ozeki,  Carne,  cit.,  p.  163.  120  Fabrizio  De  Andrè,  Oceano,  in  Volume  8,  Produttori  Associati,  1975.  

Page 93: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

87

anni è stato fatto di un farmaco, il DES, tanto in ambiente umano

quanto in ambiente non umano.

3.3.2 Farmaci e carne fertile

Nel corso delle sue peregrinazioni alla ricerca delle perfette famiglie

per Una moglie americana!, Jane si scontra con una serie di realtà

sconvolgenti121 che la spingono a indagare più a fondo la questione

relativa ad alcuni farmaci sospetti. Secondo molti, questi venivano

somministrati illegalmente agli animali d’allevamento per

aumentarne la fertilità o le dimensioni:

Una volta cominciate le ricerche, non ci misi molto ad arrivare al DES. Fu una scoperta che cambiò definitivamente il mio rapporto con le carni e con la televisione. E cambiò anche la mia vita.122

All’interno del libro l’autrice fornisce un’esauriente descrizione degli

utilizzi del DES e delle conseguenze che tale farmaco ebbe, nel corso

degli anni, non solo sugli animali cui veniva somministrato ma anche

sugli esseri umani che di essi si cibavano. Il DES, o dietilstilbestrolo,

è un estrogeno prodotto dall’uomo che venne sintetizzato per la

prima volta nel 1938. Non passò molto tempo prima che alcuni

scienziati scoprissero che, se somministrato ad animali

d’allevamento, tale farmaco produceva effetti sorprendenti: polli di

sesso maschile cui veniva iniettato il DES, per esempio, subivano una

castrazione chimica immediata, sviluppando caratteristiche

femminili come petti grassi e, di conseguenza, carni succulente,

caratteristiche piuttosto allettanti da un punto di vista gastronomico

121  Si  veda,  a  tal  proposito,  Ruth  Ozeki,  Carne,  cit.,  pp.  126,  145,  282  e,  in  particolare,  286-­‐288.  122  Ruth  Ozeki,  Carne,  cit.,  p.  132.  

Page 94: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

88

e, soprattutto, economico. Nel 1954 alcuni nutrizionisti scoprirono

che i bovini alimentati con DES crescevano più in fretta, tanto che il

bestiame ingrassato con tale farmaco poteva essere portato al macello

circa un mese prima degli animali alimentati normalmente. A seguito

di tali scoperte e senza che venissero mai operati i controlli necessari,

l’uso del DES venne approvato nell’alimentazione bovina dall’FDA

(Food and Drug Administration), e salutato come una vera e propria

rivoluzione, dai connotati quasi miracolosi, nell’allevamento

industriale.123 Tuttavia, scrive Ozeki

[…] ci furono casi di agricoltori che, avendo respirato o ingerito accidentalmente polvere di DES, cominciarono a manifestare sintomi di impotenza, sterilità, ginecomastia (mammelle gonfie e morbide) nonché cambiamenti nel registro di voce. Ma di fronte agli immensi profitti promessi… Dopo tutto quello dell’agricoltore è sempre stato un mestiere pericoloso.124

L’utilizzo del DES cambiò per sempre il mondo dell’allevamento

animale negli Stati Uniti che, da iniziale pascolo libero nei campi,

divenne ben presto un’operazione industriale, caratterizzata da

stabilimenti automatizzati in cui migliaia di animali venivano

rinchiusi e ingrassati alla mangiatoia, una sorta di catena di

montaggio simile a quelle usate per produrre automobili o

apparecchiature elettroniche. Ma gli utilizzi del DES andarono ben

oltre l’allevamento animale, arrivando a coinvolgere anche esseri

umani, per la precisione donne incinte che minacciavano aborti

spontanei o parti prematuri. Molti medici, scrive sempre Ozeki, lo

prescrissero con la stessa facilità delle vitamine a circa cinque milioni

di donne nel mondo, almeno fino al 1971:

123  Ruth  Ozeki,  Carne,  cit.,  p.132.  124  Ivi,  p.133.  

Page 95: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

89

Its use was unabated in pregnant women until a 1971 study that confirmed the link between in utero DES exposure and a rare vaginal cancer, clear cell adenocarcinoma, was published in the New England Journal of Medicine. Only then did the FDA issue an alert about DES use in pregnancy. According to DES Cancer Network, none of the 267 pharmaceutical companies who produced and distributed DES have accepted any responsibility for DES’s health effects.125

Nonostante uno studio condotto nel 1953 da William Dieckmann

avesse già dimostrato l’inefficacia del farmaco nel prevenire gli

aborti spontanei, i medici continuarono a prescrivere ampiamente il

DES anche nelle gravidanze normali, giustificandolo come un

eccesso di prudenza, magari inutile ma non certo dannoso.

Continuarono, come è ovvio, a causa delle pressioni delle case

farmaceutiche, che avevano pubblicizzato il DES su riviste

specialistiche e stampa popolare al punto tale da spingere un gran

numero di donne a richiedere il farmaco, anche laddove non ce n’era

apparentemente alcun bisogno126. Una volta scoperta la connessione

tra il DES e il tumore all’utero, nuove ricerche scientifiche aprirono

scenari sconcertanti, dimostrando che le donne cui era stato

somministrato tale farmaco soffrivano, nella maggior parte dei casi,

anche di altre patologie quali mestruazioni irregolari, difficoltà di

concepimento e mutamenti strutturali di vagina, utero e cervice.

Nonostante ciò, ci vollero quasi dieci anni di durissimi scontri con le

case farmaceutiche e i produttori di carne perché il governo

dichiarasse illegale l’uso del DES nell’alimentazione del bestiame,

cosa che accadde per l’appunto solo nel 1979.

Eppure, sottolinea Ruth Ozeki:

125  Julie  Sze,  “Boundaries  and  Border  Wars:  DES,  Technology,  and  Environmental  Justice”,  in  American  Quarterly,  Volume  58,  Number  3,  September  2006,  p.  795.  126  Julie  Sze,  “Boundaries  and  Border  Wars:  DES,  Technology,  and  Environmental  Justice,  in  American  Quarterly”,  cit.,  p.  795.  

Page 96: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

90

Oggi, sebbene il DES sia fuorilegge, nel 95 per cento degli allevamenti di bestiame degli Stati Uniti si continuano a somministrare ormoni o farmaci per accelerare l’accrescimento. I residui sono presenti nei tagli di carne che vengono venduti nei supermercati e che giganteggiano nei nostri piatti.127

La tragica scoperta di essere stata esposta, da feto, a tale farmaco e

che questo le aveva procurato la malformazione causa della sua

sterilità, è uno dei momenti chiave non solo della vita di Jane ma

anche dell’intero libro:

La mutilazione del mio utero avvenne quando ero ancora solo un gamberetto fluttuante nel caldo liquido amniotico della mamma. Mi immagino perfettamente la scena. La mamma spaventata, incinta, che non parla una parola d’inglese, seduta nello studio del medico […]. Naturalmente l’anziano dottor Ingvortsen […] decise che era delicata. E di conseguenza prese ragionevoli precauzioni. […] Così le prescrisse circa 125 milligrammi di dietilstilbestrolo, altrimenti conosciuto come DES […].128

Tale presa di coscienza e soprattutto la consapevolezza che il DES

venisse ancora utilizzato illegalmente dalla stragrande maggioranza

degli allevatori, convincono Jane ad abbandonare le linee guida che

gli autori del suo programma le avevano fornito per le riprese e a

denunciare tutto ciò che di terribile aveva avuto modo di

documentare nel suo viaggio alla ricerca delle perfette famiglie

americane. Anche in Ruth Ozeki troviamo quindi, come già in

Thoreau e in London, la necessità di raccontare, giacché

In questa accezione radicale, l’ignoranza è un atto di volontà, una scelta che ognuno ripete più volte, soprattutto quando si sente sopraffatto dalle informazioni, e consapevolezza equivale ormai a impotenza. […] Se ci è preclusa la possibilità di agire consapevolmente, l’ignoranza diventa condizione indispensabile alla sopravvivenza. Così la coltiviamo, ci

127  Ruth  Ozeki,  Carne,  cit.,  p.  135.  128  Ruth  Ozeki,  Carne,  cit.,  pp.  166-­‐167.  

Page 97: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

91

andiamo addirittura a nozze. Sono convinta che l’estetica fintamente idiota che domina tv e cinema abbia a che fare con questo. Nutriti da una dieta quotidiana di cattive notizie, viviamo in uno stato permanente di panico represso. Paralizzati dalla conoscenza di infiniti orrori, ci difendiamo facendo finta di niente. L’ignoranza diventa un elemento di forza perché permette alla gente di vivere. La stupidità diventa pregiudiziale, una dichiarazione politica. Norma di comportamento collettiva.129

3.3.3 Conclusioni aperte e sentori di speranza

Durante quello che definisce “il suo anno di carni”130, a Jane capita

ciò che non avrebbe mai creduto possibile: rimane incinta. Dopo

innumerevoli tentativi e un matrimonio fallito alle spalle, gli incontri

con un amante occasionale di nome Sloan producono una

gravidanza insperata e, per questo motivo, ancora più preziosa e

stimolante. Nel sentirsi per la prima volta in grado di dare la vita,

Jane comincia a guardare all’indifferenza delle case farmaceutiche e

degli allevatori come a un omicidio di massa in potenza, qualcosa da

provare a fermare con tutte le sue forze a prescindere dalle gravi

conseguenze professionali che sicuramente una decisione del genere

avrebbe portato con sé. A questa presa di coscienza, purtroppo, non

corrisponde una altrettanto netta applicazione pratica, quantomeno

non subito dopo il fatale incidente che, nella scena probabilmente più

forte e simbolica dell’intero libro, costa a Jane la perdita del suo

bambino131. L’azione si svolge all’interno di un mattatoio dove un

operaio sta per uccidere una vacca: l’animale, dopo essere stato

tramortito, viene sgozzato, producendo un fiotto di sangue violento e

improvviso che schizza in direzione della troupe che sta filmando.

129  Ivi,  p.  348.  130  Ivi,  p.  59.  131  In  realtà  nel  prosieguo  della  narrazione  si  scoprirà  che  il  feto  era  già  morto  da  circa  due  settimane  prima  dell’incidente  al  mattatoio.  

Page 98: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

92

Uno degli operatori, nel tentativo di evitarlo, scatta all’indietro,

colpendo un altro operatore che, a sua volta, urta Jane spingendola

nella direzione della vacca agonizzante:

Deve avermi colpito proprio dopo la curva, all’apice dell’arco centrifugo. Fui letteralmente scaraventata in aria, ed è tutto ciò che ricordo perché, ricadendo, urtai la base del cranio sull’orlo del box dove tramortivano i bovini, venendone, per l’appunto, immediatamente tramortita.132

L’uccisione della bestia causa, almeno apparentemente, la morte del

feto. Per di più l’incidente, fortemente simbolico, si conclude con

l’essere umano che sperimenta l’esperienza dell’animale, venendo

ugualmente tramortita prima di toccare con mano la morte. La

conclusione è evidente: carni di esseri non umani, avvelenate da

esseri umani, avvelenano a loro volta carni di altri esseri umani

causando malattie, dolore e morte. Tutto ciò a causa della bramosia

di guadagno di chi crea e sponsorizza un mondo artefatto, dalle

stalle alle televisioni, un mondo che produce la diversità per sfruttarla

a proprio vantaggio e che vende, per contro, normalità anormale, o

anormalità apparentemente normale, con l’unico scopo di aumentare il

proprio profitto personale.

A fare da contraltare a questo tipo di umanità è il forte senso di

condivisione e di solidarietà che si instaura tra le donne del racconto.

Esemplare, a tal proposito, è un passo tra gli ultimi di gran rilievo di

Carne, quello in cui Jane telefona a Dyann e Lara, una coppia di

lesbiche vegetariane che aveva conosciuto durante il viaggio alla

ricerca delle perfette mogli americane e che aveva ingaggiato come

protagoniste di uno degli episodi del suo programma. Dopo essersi

scusata per non averle informate del fatto che questo era

sponsorizzato da un’azienda produttrice di carne, Jane continua così:

132  Ruth  Ozeki,  Carne,  cit.,  pp.  296-­‐297.  

Page 99: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

93

Avrei qualcos’altro da mandarvi […]. È una giovane donna giapponese. […] Lei ha visto voi e io me la sono vista arrivare in casa, chiedendo di voi. Ha mollato il marito, che la menava mica male, e l’ha anche violentata. Sta di fatto che vuole conoscervi. Siete molto importanti per lei. Le avete dato il coraggio di uscire da una situazione veramente brutta. - Bene, - disse Lara. - Lara! – disse Dyann. - Cosa? – disse Lara. – C’è la stanza degli ospiti. […] - D’accordo, - mugugnò Dyann. – Quanto tempo si fermerà? - Beh, il fatto è che… […] vedete, è incinta…133

Donne in difficoltà, a modo loro ferite dalla vita ma ugualmente

capaci di solidarietà nei confronti di altri esseri umani. È questo, in

fin dei conti, il senso profondo del libro di Ozeki, la missione che

affida a ogni personaggio positivo del suo racconto: Jane, per

esempio, sente il bisogno di informare l’America dei pericoli della

somministrazione di farmaci agli animali d’allevamento, mentre

Akiko vince la sua paura del mondo per dare una vita migliore alla

figlia che ha in grembo, e persino Dyann e Lara, che accettano di

accogliere in casa propria una perfetta sconosciuta per giunta

presentata loro da un’altra semi-sconosciuta la quale, seppure in

buona fede, le aveva ingannate pochi mesi prima. I risultati di questo

spirito di solidarietà, che da sempre e non a caso si sviluppa

maggiormente proprio all’interno di gruppi di individui ugualmente

discriminati, sono al contempo semplici e straordinari, riconducibili,

volendo, ad una sola parola: felicità. Così Akiko:

Dyann e Lara erano state fantastiche. Lara l’aveva aiutata a trovare casa, e Dyann l’aveva presentata a una dottoressa che l’avrebbe seguita durante la gravidanza e il parto. Le avevano prestato piatti e pentole e una sedia, poi l’avevano accompagnata a comprare il futon da mettere su una struttura che si richiudeva su se stessa trasformandosi in divano, il che era molto intelligente e molto americano. Passando in punta di

133  Ruth  Ozeki,  Carne,  cit.,  pp.  354–356.  

Page 100: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

94

piedi da una stanza all’altra, Akiko decise che quello era senza dubbio l’inizio di una vita felice.134

3.4 Quando l’altro siamo noi: Vera Gente, Mutanti e Marlo Morgan

Il linguista italiano Giorgio Cardona, la cui riflessione sul concetto di

spazio ha aperto questo capitolo135, ha stabilito che il punto di

osservazione da cui ognuno di noi guarda il mondo è attraversato da

infiniti assi, sui quali si posizionano tutti gli elementi che rientrano

nel nostro campo visivo. Non era certamente intenzione di Cardona

ridurre a uno solo i molteplici punti di vista che si intrecciano tra loro

su tali assi, giacché il suo ragionamento riguardava esclusivamente il

modo in cui si osserva e quindi si organizza lo spazio circostante.

Tale premessa è fondamentale affinché non si pensi che quanto si

dirà nel prosieguo di questo paragrafo voglia essere una critica

all’illustre linguista, le cui riflessioni in materia di etnologia,

etnografia ed etnolinguistica sono anzi assai preziose per chiunque

voglia avvicinarsi allo studio dei popoli altri e delle loro tradizioni, in

particolar modo linguistiche.

Arrivati ormai ad aver stabilito, seppur per sommi capi, chi e che

cosa è percepito come altro da chi invece percepisce se stesso come

normale e il suo posto nel mondo come dovuto, è giunto il momento di

osservare la normalità attraverso gli occhi della diversità, e un testo

come E venne chiamata due cuori136 di Marlo Morgan può costituire

una base di partenza perfetta per un simile ragionamento. Sulla

veridicità dei fatti narrati da Morgan è stato scritto già molto: in tanti

l’hanno accusata nel corso degli anni di aver romanzato e talvolta

134  Ruth  Ozeki,  Carne,  cit.,  p.  360.  135  Si  veda,  a  tal  proposito,  p.  56.  136   Marlo   Morgan,   E   venne   chiamata   due   cuori,   (Mutant   Message   Down   Under),  traduzione  di  M.B.  Piccioli,  Milano,  Sonzogno,  1994.  

Page 101: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

95

addirittura inventato episodi, personaggi, storie, a partire dal

presunto “rapimento” operato ai suoi danni in Australia da parte

della popolazione aborigena della Vera Gente, con cui, secondo il

racconto, avrebbe attraversato l’Outback per un tempo di circa

quattro mesi, vivendo secondo i loro usi e costumi fino al ritorno

nella civiltà. Effettivamente, pur non essendo questa la sede adatta a

indagare la veridicità o meno dei fatti contenuti nel racconto, è

impossibile nascondere un certo scetticismo di fronte alle ampie

descrizioni di comunicazione telepatica tra gli aborigeni della tribù

della Vera Gente o alla cura di una frattura scomposta attraverso

litanie e imposizione delle mani137. Cionondimeno, sempre fedele

alla già citata teoria di Scott Slovic secondo cui ogni testo è

suscettibile di analisi ecocritica, è più che mai possibile riscontrare

anche all’interno di questo volume una serie di elementi utili a

ragionare sul concetto di differenza, questa volta attraverso il modo in

cui una popolazione aborigena può guardare a ciò che è altro da se

stessa, cioè il mondo animale, il mondo vegetale e soprattutto il

mondo dei Mutanti, ossia quello dell’uomo bianco. Per una volta

dunque, il punto della messa a fuoco evidenziato da Cardona si

sposta e l’altro diventiamo noi.

Il passo che segue, nonostante lo stile chiaramente romanzesco,

risulta molto interessante nell’ambito di quel discorso di co-

appartenenza tanto caro a Thoreau e ad Aldo Leopold, come si è

visto nei capitoli precedenti:

Lo scopo del regno vegetale è di nutrire animali e uomini, consolidare il terreno, accrescere la bellezza e mantenere l’equilibrio nell’atmosfera. […] Lo scopo principale dell’animale non è quelli di nutrire l’uomo; e tuttavia, quando è necessario, acconsente a svolgere tale funzione. Il suo scopo è quello di

137  Marlo  Morgan,  E  venne  chiamata  due  cuori,  cit.,  pp.  82-­‐85  e  pp.  113-­‐115.  

Page 102: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

96

contribuire all’equilibrio atmosferico, di essere compagno dell’uomo e di istruirlo con l’esempio. […] Per questo ogni mattina la tribù invia un pensiero, o un messaggio, agli animali e alle piante che ha intorno. “Stiamo camminando sulla vostra strada. Veniamo a farvi adempiere allo scopo della vostra esistenza.” Sta alle piante e agli animali decidere chi fra essi verrà scelto. […] La tribù incomincia sempre la giornata ringraziando il Tutto per la luce, per se stessi, per gli amici e per il mondo. Talvolta fanno richieste specifiche, ma sempre accompagnate dalla frase “Se è per il mio bene e per il bene di tutte le forme di vita che mi circondano”. […]138

Ancora più interessante del rapporto con il mondo non umano è il

rapporto tra la tribù della Vera Gente e il mondo dei Mutanti, così

come essi vengono percepiti e chiamati. I Mutanti, come scrive Marlo

Morgan, siamo noi popoli ‘civilizzati’ che abbiamo perso, secondo gli

aborigeni, il contatto con la nostra storia, la nostra natura e,

soprattutto, il nostro posto del mondo. In questo senso siamo

diventati altro da noi stessi, altro da ciò che saremmo dovuti essere in

uno schema come quello della Piramide della Terra139 di Leopold,

altro rispetto a chi invece del suo posto nel mondo è perfettamente

cosciente. Allora, quando la tribù della Vera Gente dipinge dei

Mutanti un quadro tanto spietato quanto vero, i sospetti

sull’autenticità delle vicende vissute da Marlo Morgan diventano

privi di qualsiasi interesse, quantomeno per chi possieda onestà

intellettuale e autocritica sufficienti per giudicare se stesso come se

fosse, per un momento, altro da sé:

I Mutanti hanno molte fedi, e dicono che la tua via è diversa dalla mia, che il tuo salvatore è diverso dal mio salvatore, che la tua eternità non è la mia eternità. La verità è che ogni vita è unica. C’è solo un gioco in corso. C’è una sola razza, ma molte sfumature diverse. […] Se tu fai del male a qualcuno fai del male a te stesso. Se aiuti qualcuno, aiuti te stesso. Tutti hanno sangue e ossa; ciò che ci differenzia sono il cuore e il fine. I

138  Ivi,  pp.  72-­‐74.  139  Aldo  Leopold,  Almanacco  di  un  mondo  semplice,  cit.,  pp.  174-­‐180.  

Page 103: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

97

Mutanti pensano che tutto questo valga solo per la durata di una vita, e lo pensano in termini di individualità e distinzione. La vera gente lo pensa in funzione dell’eternità. Tutto è uno: i nostri antenati, i nostri nipoti che devono ancora nascere, la vita che è ovunque.140

Anche in questo caso le similitudini con gli autori e le opere

precedentemente citate sono più che mai abbondanti, ma quando a

parlare non siamo noi ma l’altro, accade qualcosa di inaspettato.

Perché questo testo contiene un messaggio al tempo stesso simile e

diverso rispetto a quello di un testo come Walden o come Carne, un

messaggio in un certo senso unico nel suo genere che la Vera Gente

sceglie di condividere con un’unica Mutante, la quale avrà il compito

di riportarlo alla sua gente, nella speranza che qualcosa un giorno

possa cambiare.

Noi, la tribù della Vera Gente del divino Tutto, stiamo per lasciare il pianeta terra. Nel tempo che ci resta abbiamo scelto di vivere al più alto livello di spiritualità, ossia la castità. Non genereremo più figli; e, quando anche il membro più giovane della tribù se ne sarà andato, con lui scomparirà l’ultimo rappresentante della razza umana al suo stato più puro. […] Tu sei stata scelta tra i Mutanti come nostra messaggera per rivelare alla tua gente la nostra partenza. Pregheremo perché comprendiate i danni che il vostro stile di vita sta provocando alla terra, agli animali, all’aria e a voi tutti. Pregheremo perché troviate una soluzione ai vostri problemi senza distruggere questo mondo. Ci sono Mutanti quasi pronti per riconquistare il loro spirito individuale ad essere autentici. Se verrà prestata la dovuta attenzione, c’è ancora il tempo di salvare il pianeta dalla distruzione, ma noi non possiamo più aiutarvi. Il nostro tempo è scaduto...141

Né l’ostentata castità di Thoreau, né tantomeno il desiderio di

progenie degli uomini e delle donne di Carne e nemmeno la

riflessione di London circa l’inopportunità per gli abitanti dell’abisso

140  Ivi,  p.  150.  141  Marlo  Morgan,  E  venne  chiamata  due  cuori,  cit,  pp.  174-­‐175  

Page 104: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

98

di procreare142, possono avvicinarsi a un discorso del genere. La Vera

Gente, dopo aver orgogliosamente sostenuto per secoli una guerra

pacifica che sapeva in partenza di non poter vincere, decide di

abbandonare la partita, probabilmente per estremo altruismo più che

per viltà o egoismo. Si tratta di una scelta drammatica, contraria ad

uno degli istinti naturali più antichi, cioè quello della conservazione

della specie, con tutte le implicazioni che esso porta con sé. È una

decisione che va letta, a prescindere da ogni considerazione

personale, come un estremo atto d’amore perché volto a preservare,

a fronte di un grande sacrificio, nuovi individui da una vita di sicura

sofferenza fine a se stessa. Scrive Marlo Morgan:

E ogni volta che sul giornale mi imbattevo in un articolo che parlava della gravità della situazione ambientale e dei pericoli in cui versavano le regioni più verdi della terra, riconoscevo che la decisione dei miei amici era giusta: era necessario che la Vera Gente se ne andasse. Già ora potevano a malapena contare sul cibo necessario, e come avrebbero potuto affrontare gli effetti delle radiazioni future? Erano nel giusto quando sostenevano che l’uomo non può produrre ossigeno, e che solo alle piante e agli alberi è delegato questo compito. […] I membri della tribù della Vera Gente si sono conquistati il diritto di non prolungare la loro esistenza su un pianeta già sovraffollato. Fin dagli inizi del tempo essi sono stati persone sincere, oneste e pacifiche, e non hanno mai dubitato del loro legame con l’universo. Non riuscivo a capacitarmi dell’indifferenza e del disinteresse con cui mi scontravo, e solo col tempo capii quanto possa riuscire inquietante il contatto con l’ignoto...143

Tale ragionamento pone un interrogativo che è impossibile sciogliere

in queste poche pagine: è la tribù della Vera Gente ad aver perso la

partita o siamo noi che la stiamo perdendo senza nemmeno

accorgercene, pur continuando a giocarla? Nel tempo che ognuno di

noi dedicherà a cercare di sciogliere questo interrogativo solo in

142  Si  veda,  a  tal  proposito,  p.  71.  143  Marlo  Morgan,  E  venne  chiamata  due  cuori,  cit.,  pp.  213-­‐214.  

Page 105: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

99

apparenza banale, tante cose cambieranno e altrettante risposte,

probabilmente, nasceranno sbagliate o già superate. Quel che è certo

è che se l’esempio della tribù della Vera Gente diventerà, per scelta o

per necessità, il modello da seguire per un futuro prossimo o remoto,

l’importanza della testimonianza come forma di sapere collettivo se

ne andrà insieme al genere umano, cosa che magari desterà

l’amarezza di qualcuno, fino a quanto non ci sarà più nessuno a

ricordare e quindi a poter testimoniare ciò che un tempo è stato.

3.5 Conclusioni: olocausti e testimonianza

Lo scrittore e poeta italiano Primo Levi ha scritto:

Voi che vivete sicuri Nelle vostre tiepide case,

Voi che trovate tornando a sera Il cibo caldo e visi amici:

Considerate se questo è un uomo Che lavora nel fango

Che non conosce pace Che lotta per mezzo pane

Che muore per un si o per un no. Considerate se questa è una donna,

Senza capelli e senza nome Senza più forza di ricordare

Vuoti gli occhi e freddo il grembo Come una rana d'inverno.

Meditate che questo è stato: Vi comando queste parole. Scolpitele nel vostro cuore

Stando in casa andando per via, Coricandovi alzandovi; Ripetetele ai vostri figli.

O vi si sfaccia la casa, La malattia vi impedisca,

I vostri nati torcano il viso da voi.144

144  Primo  Levi,  in  Se  questo  è  un  uomo,  Torino,  Einaudi,  1989.  

Page 106: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

100

La poesia di Primo Levi manifesta una necessità su tutte, cioè quella

di raccontare. Si apre rivolgendosi direttamente al lettore per

catturare la sua attenzione e trasportarlo nel vivo della vicenda, poi

prosegue raccontandogli una storia di vita ed esortandolo a non

dimenticarla al punto da arrivare a minacciarlo, nel finale, tanto

importante è la necessità della memoria. La poesia è molto nota, così

come il suo autore e le motivazioni storiche e personali che hanno

contribuito a comporla. Eppure, con solo qualche aggiustamento,

non riuscirebbe difficile credere che sia stata scritta da Jack London

dal ghetto dell’East End, o da Thoreau dal campo di fagioli, da Marlo

Morgan dall’Outback australiano e persino da Ruth Ozeki, tramite

Jane e Akiko, da qualche mattatoio o fattoria sperdute in America.

Tutti questi autori, infatti, parlano in realtà di uno o più olocausti, di

natura diversa e con più o meno veemenza, ma il concetto che

vogliono esprimere è, in fin dei conti, sempre lo stesso: affinché gli

esseri umani comprendano a fondo il male di cui sono capaci e

smettano di perpetrarlo, occorre che non perdano mai la memoria di

ciò che è stato. E se è vero, parafrasando Schopenhauer, che l'uomo è

l'unico animale che provoca sofferenza agli altri senza altro scopo

che la sofferenza in quanto tale, allora il valore della testimonianza

assume un duplice significato: da un lato induce a riflettere sugli

effetti del male che gli esseri umani sono in grado di produrre, e

dall’altro stimola (o dovrebbe stimolare) il desiderio di non

commetterne ancora e di combatterne artefici ed effetti.

Page 107: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

101

4. Capitolo Quarto: Un’altra educazione

«Imagine there’s no countries, it isn’t hard to do.

Nothing to kill, or die for and no religion too.

Imagine all the people living life in peace.»

John Lennon

4.1 Contaminare

Imagine (1971) di John Lennon è una canzone molto semplice, tanto

dal punto di vista ritmico quando dal punto di vista testuale. Si

potrebbe definire come il sogno a occhi aperti di un uomo che

immagina (e spinge il suo pubblico a immaginare) come sarebbe un

mondo privo dei principali fattori di divisione sociale, come la terra, i

confini, la religione, e tutto ciò che di aberrante viene fatto per

preservarli. Si potrebbe definire anche come un inno all’unione, che

è, per sua stessa natura, contaminazione. Si è soliti dare a questo

termine il significato negativo di qualcosa che, agendo dall’esterno,

penetra all’interno del nostro corpo causandoci diversi tipi di

scompensi. Si estende poi il significato alle strutture sociali e

antropologiche, vedendo in ciò che è diverso un fattore di

contaminazione intesa come stravolgimento, e non già come

arricchimento, dell’ordine e delle tradizioni preesistenti.

Contaminare significa, per lo meno in questa accezione, distruggere.

Eppure non possono passare inosservati tutti quei prodotti di

contaminazioni varie ed eventuali che, vuoi per moda, vuoi per la

novità di ciò che creano, fanno parte delle vite degli esseri umani di

oggi senza che questi ne traggano altro che beneficio. Qualche

esempio: da una decina di anni a questa parte in campo musicale il

genere più praticato e ascoltato in assoluto è l’indie, folk, rock, o pop

Page 108: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

102

che sia. Si tratta, per meglio dire, di una varietà musicale per sua

stessa natura indefinibile come “genere” proprio perché miscuglio di

generi, frutto di infinite contaminazioni melodiche, strumentali, di

sperimentazioni e talvolta anche vere e proprie rivoluzioni tecniche.

La fortuna di gruppi come i Mumford and Sons145 per esempio, che

negli ultimi anni hanno venduto milioni di dischi in tutto il mondo, è

il risultato di sperimentazioni più che riuscite tanto a livello di

genere (nelle loro melodie sono infatti percepibili echi di folk

americano fusi ad altrettanto folk e punk britannico, da Bob Dylan ai

Pogues) quanto a livello di tecnica, laddove in pezzi come Little lion

man146 si può ascoltare il suono delle corde di un violoncello pizzicate

con le dita invece che con il classico archetto. Contaminazioni di

varia natura sono poi alla base di molti grandi successi del cinema

moderno i cui autori, uno su tutti Quentin Tarantino, hanno fatto

della sperimentazione e della fusione e rielaborazione di stili diversi

il loro marchio di fabbrica, nonché il segreto del loro successo.

Pellicole come Kill Bill Vol. 1 (2003) e Kill Bill Vol. 2 (2004) o

Grindhouse – Death proof (2007) sono state a buon titolo definite da

diversi critici cinematografici come delle vere e proprie “enciclopedie

di cinema”, tanti sono i riferimenti, i prestiti, le citazioni, le

rielaborazioni e le fusioni di stili appartenenti a generi e periodi

diversi in esse contenuti. E questo solo per citare alcune tra le forme

più moderne di “contaminazione”, ma a ben guardare sono anni che

i grandi artisti hanno capito che contaminare gli stili già esistenti non

vuole certo dire impoverirli o mancare di ingegno ma, al contrario,

arricchire le potenzialità espressive di ognuno di essi, creando

qualcosa di nuovo a partire da qualcosa che già esiste.

145  Si  veda  “Introduzione”,  p.  4.  146  Brano  contenuto  nell’album  Sigh  no  more  (2009).  

Page 109: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

103

4.2 Contaminazione e istruzione

Raccontare la contaminazione significa, in un certo senso, educare

alla differenza. Come mai gli esseri umani accettano determinati tipi

di contaminazione (anzi talvolta li ricercano spasmodicamente) e ne

rifiutano con forza altri, dimostrando di avere del medesimo

concetto una percezione diversa a seconda di fattori quali il

coinvolgimento personale, le strutture sociali, i pregiudizi e le

“tradizioni” secolari? Come mai per alcuni è più facile accettare di

mangiare del cibo preparato e servito da un ristoratore egiziano

piuttosto che accettare che il proprio figlio o la propria figlia ne

sposino un connazionale? La verità è che, ancora nel mondo

moderno e per più esseri umani di quanto si possa pensare, la

contaminazione è qualcosa di positivo fin tanto che rimane lontana o

comunque in posizione di subordinazione rispetto alle proprie

convinzioni “culturali”, “etiche” e alle esigenze primarie della vita di

tutti i giorni. Va bene contaminare la nostra dieta con la dieta cinese,

per esempio, ma è meno appropriato contaminarsi con un cinese a

livello culturale, sociale, sessuale e, soprattutto, familiare. È il

paradosso del moderno concetto di contaminazione che viene

percepito da un lato come qualcosa che arricchisce e dall’altro come

qualcosa che priva della propria identità. Molto spesso, per giunta, si

tratta di un’identità esecrata o, nel migliore dei casi, ignorata dai suoi

stessi detentori fin tanto che non la sentono, inspiegabilmente,

minacciata dal contatto con un’identità altra. È per esempio il

discorso, ormai venuto a noia, della nozione di famiglia tradizionale

e modern family, le cui aggettivazioni per altro portano già con sé una

precisa volontà di opposizione concettuale e morale. Il complesso

discorso intorno alla concessione di pari diritti alle cosiddette

“coppie di fatto”, siano esse eterosessuali od omosessuali, è stato

Page 110: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

104

trasformato fin da subito in un processo oppositivo – escludente: da

un lato sono state messe le coppie di fatto in opposizione alle coppie

“normali”, a partire già dalle aggettivazioni di cui sopra, e dall’altro

si è posto l’accento non tanto su ciò che di migliore avrebbe portato

equiparare, a livello di diritto, le diverse formazioni familiari, ma sui

presunti pericoli che questo avrebbe comportato per la famiglia

“tradizionale”. Si tratta di un meccanismo perverso che ha lo scopo

di rinsaldare non solo il concetto, ma l’essenza stessa della famiglia

“tradizionale” attraverso l’opposizione a nuovi tipi di famiglia, che

in realtà nulla tolgono e molto aggiungono all’ampio ventaglio delle

diverse tipologie di unioni umane. E questo, per tornare al discorso

principale, non certo a fronte di una reale percezione sacrale del

concetto di famiglia, per lo meno come spesso i media vorrebbero

venderla. Non occorre, e non è pertinente in questa sede, citare le

percentuali di divorzi, violenze domestiche, seconde nozze e tutto ciò

che, a livello puramente teorico, danneggia l’identità, i membri e

l’immagine della famiglia “tradizionale” e che nulla ha a che vedere

con le famiglie “non tradizionali” e i diritti loro concessi o non

concessi. È lo stesso discorso di coloro che ritengono che una

ministra di colore sia indegna di servire il Paese di cui poi bruciano

la bandiera in piazza o fischiano l’Inno Nazionale allo stadio.

La differenza che contamina è accettata, in buona sostanza, solo

quando è percepita come controllabile, utile o subordinabile. Ma se la

contaminazione è davvero, come in molti a ragione sostengono, un

processo che arricchisce la nostra cultura senza nulla togliere alla

nostra identità, in che modo possiamo lavorare affinché la percezione

sbagliata che di essa ha la maggioranza degli esseri umani possa, se

non cambiare, quanto meno essere messa in discussione?

Page 111: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

105

Ci si addentra, con questa domanda, nel pericoloso campo

dell’educazione, tanto scolastica quanto familiare. Data la natura

dell’elaborato, in questo caso si ragionerà brevemente solo

sull’educazione scolastica, archiviando con una piccola riflessione il

discorso relativo all’esposizione alla contaminazione in ambito extra-

scolastico ed extra-familiare. Il mondo moderno ha, come si è visto,

un modo assai curioso di trattare le differenze: tra il percepirle come

qualcosa di dannoso e il rispettarle scorre l’immenso fiume delle vie

di mezzo, che porta con sé la discriminazione, gli stereotipi, la

volgarità, il sarcasmo, il disinteresse e la tolleranza. Attraverso una

massima dello scrittore tedesco Johann Wolfgang Von Goethe (1749–

1832), si può riflettere proprio sul concetto di “tolleranza”, un

termine di cui molto spesso si abusa e del quale in realtà non si coglie

il reale significato. Goethe sosteneva infatti che “la tolleranza

dovrebbe essere una fase transitoria. Dovrebbe portare al rispetto.

Tollerare è offendere”147. Senza voler disprezzare necessariamente la

tolleranza come atteggiamento nei confronti delle differenze, resta

pur vero che essa presume in un certo senso un sopportare con

fastidio, un accettare con fatica e probabilmente nemmeno fino in

fondo. Il rispetto per le differenze passa, naturalmente, per

un’educazione che non deve essere per forza una sovraesposizione

(come spesso purtroppo accade) del diverso come fenomeno da circo

o come incarnazione di ogni tipo di stereotipo positivo esistente.

Questo non soltanto perché la sovraesposizione è, di per se stessa,

fonte di comprensibile disturbo per coloro che la subiscono, a

prescindere da quale sia l’intento comunicativo che vi soggiace, ma

soprattutto perché il concetto di stereotipo è negativo anche quando

147  Johann  Wolfgang  Von  Goethe,  in  P.  Ravasi,  Breviario  Laico.  366  riflessioni  giorno  dopo  giorno,  Milano,  Mondadori,  2007,  p.  315.  

Page 112: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

106

è positivo. Lo stereotipo è, infatti, l’antitesi stessa del pensiero

razione, ovverosia quella caratteristica che più di tutte, secondo gli

scienziati, differenzia l’essere umano dal resto del mondo animale.

Per di più, smascherare uno stereotipo positivo può essere ancora

più pericoloso, a livello di conseguenze, che accettarne uno negativo,

dal momento che la disillusione rafforza senza dubbio la diffidenza

e, in taluni casi, l’avversione a ciò che si considerava migliore di

quello che effettivamente si scopre essere. Ma se lo stereotipo

positivo è qualcosa da combattere tanto quanto quello negativo, è

altrettanto vero che porre particolare cura nella lotta alla

discriminazione dovrebbe essere, all’interno del contesto familiare e

scolastico, ma anche all’esterno di essi, l’impegno quotidiano di ogni

essere umano, svolto in modo diverso a seconda delle situazioni

particolari di ognuno. È mia personale opinione, per esempio, che la

lotta più efficace contro una discriminazione provenga da coloro che

di quella discriminazione non sono l’oggetto. È una questione di

logica umana di base: se la vittima di una discriminazione combatte

contro quella stessa discriminazione, la sua pur lecita lotta viene

immediatamente ascritta a un interesse personale e non già a una

questione di giustizia tout court, qual è in fin dei conti la battaglia a

qualsiasi forma di discriminazione. Questa errata percezione è in

grado di privare la lotta di molta più forza di quanto non si possa

credere, specialmente laddove si pensi che l’interesse personale

escluda a priori il concetto di coscienza o di giustizia universale.

Questi sono i motivi per cui, riallacciandosi al discorso principale,

l’educazione alla differenza che può svilupparsi in un contesto

scolastico è più che mai importante e potenzialmente assai efficace

quando condotta con equilibrio e da personaggi che si dimostrino il

più possibile super partes e, a loro volta, diversi e uguali a tutti gli altri.

Page 113: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

107

Educare alla differenza, come si è visto, significa innanzitutto

educare alla contaminazione cominciando col privare il termine

dell’accezione negativa di cui si parlava poc’anzi e proseguendo col

dare a concetti puramente teorici una dimensione pratica che

permetta di toccare con mano, anche indirettamente, le infinite

potenzialità delle contaminazioni stesse. Un esempio di trasposizione

pratica è quello che si è cercato di fare in questa tesi, cioè un discorso

transdisciplinare che attraverso un viaggio, anche cronologico, tra

discipline, autori, generi e opere letterarie, forme d’arte,

sperimentazioni, ragionamenti, teorie illustri e personali, riesca a

dimostrare quanta ricchezza, culturale e non, può derivare dalla

scoperta dei legami che tengono uniti tra loro tutti i membri della

Natura.

Un approccio didattico transdisciplinare può senza dubbio risultare

straniante per uno studente universitario del giorno d’oggi, abituato

a un tipo di insegnamento più specifico, concentrato su una singola

disciplina, un singolo autore o gruppi di autori accomunati da genere

letterario, periodo storico e via discorrendo. Tenere un corso di

Letteratura Anglo-Americana e finire per parlare, oltre che di

letteratura, di ecologia, antropologia, filosofia, identità di genere,

etiche e prospettive ambientali, storia, musica, fotografia, cinema,

solo per citarne alcune, può avere un impatto incredibile su studenti

che credevano di trovarsi di fronte a un professore in cattedra che

legge e commenta brani di vari autori relativi al mondo anglo-

americano e nulla più. Non che ci sia niente di sbagliato in un simile

approccio, cionondimeno è importante analizzare, senza per questo

voler creare paragoni, quanto un metodo transdisciplinare possa

fornire, oltre che spunti culturali più variegati, anche le basi per un

nuovo tipo di sistema non solo di studio ma anche di ragionamento.

Page 114: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

108

Scoprire i legami che stanno alla base di argomenti o autori che mai

si sarebbe pensato di poter accostare gli uni agli altri è senza dubbio

uno stimolo (diretto e indiretto) a ragionare sulla diversità come fonte

di ricchezza e a cercare un’identità comune nella differenza; è un

guardare, in sostanza, al circostante con un occhio più attento e vigile

che al contempo si fa, o dovrebbe farsi, anche più rispettoso. Non a

caso l’approccio ecocritico ai contenuti letterari mira esattamente a

questo, come già ampiamente si è detto in precedenza, cioè a far

emergere quei legami che uniscono il mondo umano al mondo non

umano e anche gli esseri umani tra di loro. L’analisi ecocritica non

diventa così semplicemente un'altra delle tante chiavi di lettura di un

libro, ma uno stimolo a proporre, a partire dal testo letterario, un

modo di vivere differente, improntato fondamentalmente al rispetto

di tutto ciò e di tutti coloro che ci circondano.

4.3 Giovanissimi e alterità. I modelli letterari positivi: J.K. Rowling e Harry Potter

Se, come si è detto, l’approccio ecocritico ai testi letterari permette di

intervenire concretamente nell’educazione dei lettori, quale terreno

più fertile della mente dei bambini per piantare i semi del rispetto

dell’alterità? Va da sé che il tema non potrà essere sempre trattato in

modo diretto, data la giovane età degli individui cui viene

presentato, ma proprio per questo motivo opere il cui apporto

potenziale è stato per anni sottovalutato, possono invece intervenire

in modo più che mai efficace nel fornire quei modelli positivi di

coappartenenza di cui tanto si è parlato analizzando Walden di

Thoreau. La scrittrice britannica J.K. Rowling, autrice della fortunata

saga di Harry Potter, oltre ad aver dato al fantasy una popolarità

prima inimmaginabile, ampliando e rielaborando le peculiarità del

Page 115: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

109

genere in funzione di strategie comunicative ben precise, ha attirato

sulla sua opera l’interesse di una varietà incredibile di figure

professionali, tra cui critici letterari, sociologi, psicologi,

massmediologi, i quali le hanno conferito una dignità quasi

scientifica, trattandola come “oggetto di ricerca transdisciplinare”148.

Brevemente, nelle pagine che seguiranno, si rifletterà su alcuni

aspetti in particolare dell’opera di Rowling, analizzando tramite un

approccio ecocritico le numerose potenzialità educative in essa

contenute. Una precisazione è d’obbligo, tuttavia, prima di

cominciare questo ultimo viaggio nell’universo letterario: il

panorama della didattica è, come certamente gli addetti ai lavori

sanno meglio di chiunque altro, qualcosa di sconfinato. Basta avere

qualche piccola nozione, anche generica, di didattica delle lingue per

esempio per capire quanto i metodi di insegnamento dipendano non

solo dal docente e dal suo mondo personale, ma anche dagli allievi e

dalle storie di ognuno di loro, dal contesto, dagli obiettivi, dalle

motivazioni e via discorrendo. Non a caso non esiste al giorno d’oggi

un modello didattico standard in grado di adattarsi con successo ad

ogni contesto di insegnamento, e molto probabilmente non esisterà

mai. Questa piccola premessa serve solo a chiarire che nel trattare un

sistema di tale complessità, per lo meno in questa sede, non si

intende fornire altro che spunti di riflessione personali derivati da

un’indagine ecocritica di un testo letterario molto più articolato di

quanto a prima vista possa sembrare.

148  Peter  Ciaccio,  Il  vangelo  secondo  Harry  Potter,  Torino,  Claudiana,  2011,  p.  10.  

Page 116: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

110

4.3.1 La bacchetta sceglie il mago

La vicenda di Harry Potter dovrebbe essere nota pressoché a

chiunque, quantomeno a grandi linee. Se così non fosse, il fatto che

un mago faccia incantesimi attraverso una bacchetta magica è una

precisazione tanto ovvia quanto necessaria per introdurre il tema di

questo paragrafo, ossia la scelta e la composizione delle bacchette

magiche che, in Harry Potter e la pietra filosofale149 (1998), occupano

una posizione molto importante e forniscono più di uno spunto di

riflessione. Nel negozio di bacchette magiche “Olivander”, il giovane

Harry Potter scopre che

Ogni bacchetta costruita da Olivander ha il nucleo fatto di una potente sostanza magica […]. Usiamo peli di unicorno, penne della coda della fenice e corde del cuore di draghi. Non esistono due bacchette costruite da Olivander che siano uguali, così come non esistono due unicorni, due draghi o due fenici del tutto identici.150

La bacchetta magica, vero e proprio prolungamento del mago, è

costruita quindi con elementi del mondo vegetale e animale. Il corpo

esterno è costituito da legno di piante diverse (querce, tassi, aceri,

agrifogli), mentre il cuore, quello che realmente le conferisce il potere

magico, è costituito da parti di animali, seppur fantastici, come

unicorni, draghi e fenici. Se a questo si aggiunge che, sempre

secondo il venditore di bacchette Olivander “è la bacchetta che

sceglie il mago”151 e che “naturalmente non si ottengono mai risultati

altrettanto buoni con la bacchetta di un altro mago”152, si capisce

immediatamente come nell’universo di Harry Potter il legame tra

149   J.K.   Rowling,   Harry   Potter   e   la   pietra   filosofale,   (Harry   Potter   and   the   Philosopher’s  Stone),  trad.  it.  di  M.  Astrologo,  Milano,  Salani,  2001.  150  Ivi,  p.83.  151  J.K.  Rowling,  Harry  Potter  e  la  pietra  filosofale,  cit.,  p.  85.  152  Ivi,  p.  83.  

Page 117: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

111

mondo umano e mondo non umano sia talmente forte da costituire

addirittura la premessa senza la quale un mago non può esercitare la

sua arte magica. Il fatto poi che sia la bacchetta a scegliere il mago, e

non viceversa, dimostra non solo quanto il mondo vegetale e animale

da essa rappresentato sia dotato di quel valore intrinseco di cui si è

discusso nel primo capitolo di questo elaborato153, ma anche come

esso si trasformi nel corso del tempo da giudice a compagno, nel

segno di una co-appartenenza tra esseri umani ed esseri non umani

che diventa essenza stessa dell’individualità del personaggio. A tal

proposito Peter Ciaccio, ne Il vangelo secondo Harry Potter (2011),

aggiunge:

La differenza di legno tra le bacchette di Harry Potter e di Tom Riddle è uno dei dettagli interessanti di cui è costellata l’opera di Rowling: la prima è di Agrifoglio, la seconda di Tasso. Si tratta di due piante che per un inesperto hanno delle somiglianze: entrambe si presentano come arbusti con foglie a punta spinosa e bacche rosse, ma sono piante profondamente differenti […]. Il tasso è infatti una pianta particolarmente velenosa […] al punto da essere soprannominato «l’albero della morte». Anche l’agrifoglio può essere tossico […] ma è una pianta utilizzata per le decorazioni dell’avvento e del Natale: una caratteristica opposta all’albero della morte. […] Gli innumerevoli dettagli botanici dei libri di Harry Potter […] descrivono caratteri e anticipano situazioni, attraverso il linguaggio dei fiori e delle piante […].154

4.3.2 Una magia potente: l’Incanto Patronus

Il mondo animale nella saga di Harry Potter non è solo un elemento

costitutivo dell’essenza stessa del mago, ma anche fonte di amicizia,

compagnia e protezione per gli esseri umani. Non a caso, ogni

studente della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, una sorta

153  Si  vedano  pp.  16,  17  e  18.  154  Peter  Ciaccio,   Il  vangelo  secondo  Harry  Potter,  cit.,  pp.  28-­‐29.  Tom  Riddle,  alias  “Lord  Voldemort”,  è  un  potente  mago  oscuro,  principale  antagonista  di  Harry  Potter.  

Page 118: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

112

di collegio dove i giovani maghi apprendono le arti magiche, ha il

diritto di portare con sé un animale (generalmente un gufo, un gatto

o un rospo) che lo accompagnerà per tutto il percorso di studi e oltre.

Una delle amicizie più forti che nascono nella saga è proprio quella

tra Harry Potter e la sua civetta, Edvige, che arriverà addirittura a

dare la vita per salvare il suo amico umano. Ma l’aspetto forse più

interessante del rapporto tra esseri umani ed esseri animali emerge

nel corso del terzo capitolo della saga, Harry Potter e il prigioniero di

Azkaban155 (2000), quando per necessità di proteggersi da entità

malvage note come Dissennatori156, Harry Potter è costretto ad

apprendere un incantesimo molto complesso di nome Incanto

Patronus la cui formula, Expecto Patronus, significa letteralmente

aspetto un protettore. L’incantesimo consiste nel concentrarsi sui

ricordi e le sensazioni più belle che la mente del mago possa far

emergere, al fine di evocare un protettore che scacci il pericolo e

metta in salvo colui che ne ha richiesto l’aiuto. Non a caso, ogni

Patronus ha l’aspetto di un animale diverso, generalmente connesso

alle vicende personali o alle caratteristiche del mago che lo evoca, a

ulteriore dimostrazione del legame profondo che unisce i due mondi.

Il Patronus di Harry Potter ha un’altra caratteristica che contribuisce a

renderlo speciale: ha infatti l’aspetto di un cervo, ossia l’animale nel

quale suo padre, morto quando lui era ancora in fasce, aveva

imparato a trasfigurarsi nei suoi anni da studente. Un animale

salvifico strettamente connesso alla figura genitoriale è un’immagine

dotata di una simbologia talmente forte ed evidente da non

155  J.K.  Rowling,  Harry  Potter  e  il  prigioniero  di  Azkaban,  (Harry  Potter  and  the  Prisoner  of  Azkaban),  trad.  it.  di  B.  Masini,  Milano,  Salani,  2001.  156  Creature  oscure  il  cui  respiro  assorbe  le  emozioni  positive  degli  esseri  umani,  lasciando  loro  solo  i  peggiori  ricordi.    

Page 119: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

113

necessitare di ulteriori spiegazioni, ma solo di essere celebrata

riportando il passo in questione:

Harry si lanciò fuori dal cespuglio ed estrasse la bacchetta. «EXPECTO PATRONUM!» urlò. E dalla punta della bacchetta esplose […] un accecante, abbagliante animale d’argento. […] Lo vide abbassare il capo e caricare i Dissennatori che sciamavano… ora inseguiva le ombre nere sul terreno, e i Dissennatori cadevano all’indietro, si disperdevano, si ritiravano nell’oscurità… erano spariti. Il Patronus si voltò. Tornò al trotto verso Harry sulla superficie dell’acqua. […] Era un cervo. […] Si fermò sulla riva. I suoi zoccoli non lasciavano tratte sul suolo morbido mentre guardava Harry con i grandi occhi d’argento. Lentamente, abbassò il capo sormontato dalle grandi corna. E Harry capì… «Ramoso» sussurrò.157

4.3.3 Le maledizioni senza perdono

Un concetto sul quale Rowling ritorna più di una volta nel corso dei

sette libri della saga di Harry Potter è che non tutti maghi sono buoni

e che esiste un mondo malvagio fatto di maghi oscuri che hanno

come unico scopo quello di conquistare il potere, anche a costo di

eliminare uno per uno tutti coloro che cercano di impedirglielo. Il

concetto di “malvagità” espresso nella saga di Harry Potter assume

connotati molto chiari e semplici: malvagio è colui che causa

sofferenza al prossimo senza altro motivo che un interesse personale

da perseguire, oppure, in extremis, per il solo gusto di farlo. Si tratta

di un ragionamento molto simile a quello già citato di Aldo Leopold

in relazione a ciò che per l’uomo è eticamente corretto o scorretto fare

nei confronti del mondo circostante158. La malvagità nel mondo di

Harry Potter ha delle manifestazioni pratiche nella forma di tre

incantesimi che, non a caso, sono chiamati maledizioni senza

157   J.K.  Rowling,  Harry  Potter  e   il  prigioniero  di  Azkaban,   cit.,  pp.  346-­‐347.   “Ramoso”  è   il  soprannome,  nel  libro,  del  padre  di  Harry  Potter.    158  Si  veda  p.  75.  

Page 120: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

114

perdono159, l’uso delle quali è severamente vietato, pena la detenzione

nella prigione di massima sicurezza di Azkaban. Sono esse la

Maledizione Cruciatus, atta a infliggere un dolore insopportabile alla

vittima, la Maledizione Imperius, atta ad annullare il libero arbitrio del

malcapitato e usarlo per compiere le azioni più efferate, e l’Avada

Kedavra, che causa la morte istantanea di chi ne viene colpito.

Causare dolore, sottomettere psicologicamente un essere umano

annullandone l’identità, e uccidere. Queste sono in assoluto le azioni

più gravi di cui può macchiarsi un mago nel mondo di Harry Potter.

Un messaggio più che mai in linea con molte delle etiche, non solo

ambientali, di cui si è parlato in precedenza, accessibile per giunta ad

un pubblico molto giovane senza bisogno di ulteriori spiegazioni.

Attraverso le avventure di Harry Potter, un giovane lettore può

costruire la sua personale idea di ciò che è giusto e di ciò è sbagliato,

capire cosa significa infliggere dolore e per quali motivi e in quali

circostanze ciò avviene, comprendere che ci sono scelte che

comportano conseguenze immutabili, come l’omicidio, e riflettere su

quanto sia pericoloso, sbagliato e crudele privare un essere umano

della sua libertà, fisica e intellettuale, rendendolo schiavo di altri

esseri umani.

4.3.4 Babbani e Mezzosangue: il razzismo nel mondo dei maghi

L’universo magico di Harry Potter non è privo di discriminazioni:

infatti, non tutti i maghi sono uguali e soprattutto non lo sono tutti

gli esseri umani. I personaggi più negativi della saga sono anche

coloro che si dimostrano maggiormente intolleranti nei confronti

della diversità, che può essere incarnata dai babbani, cioè gli esseri

159  J.K.  Rowling,  Harry  Potter  e  il  calice  di  fuoco,  (Harry  Potter  and  the  Goblet  of  Fire),  trad.  it.  di  B.  Masini,  Milano,  Salani,  2002,  pp.  182  –  197.  

Page 121: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

115

umani privi di poteri magici, oppure dai “mezzosangue”, termine

dispregiativo per definire coloro che sono nati dall’unione tra un

mago e un babbano o addirittura tra due babbani, sviluppando i

poteri magici in seguito. Motivo di discriminazione è anche lo status

sociale, così come accade talvolta nelle società moderne dove gli

individui considerati più rispettabili sono spesso quelli in possesso di

ingenti mezzi economici che ottengono o da una professione

particolarmente remunerativa oppure grazie ai nobili natali. I tre

personaggi principali della saga possiedono queste caratteristiche, e

spesso è proprio la lotta contro le discriminazioni di cui sono oggetto

a rafforzare la profonda amicizia che li lega. Harry Potter è

economicamente più che benestante ma è nato da madre

mezzosangue, Hermione Granger è figlia di genitori babbani mentre

Ron Weasley è purosangue ma di famiglia umile, per giunta molto

aperta nei confronti dei babbani e del tutto priva di sentimenti di

razzismo nei confronti dei mezzosangue. La loro lotta contro le

discriminazioni di cui i personaggi malvagi li fanno oggetto è uno

dei leitmotiv della saga, che trova nel secondo volume (Harry Potter e

la camera dei segreti160) uno dei suoi episodi più significativi quando

Draco Malfoy, un giovane mago malvagio e purosangue, insulta

Hermione Granger dandole della “sporca mezzosangue”161. In

seguito, il guardiacaccia Hagrid spiega ai tre amici il motivo di

quell’espressione:

«‘Mezzosangue’ è un insulto spregevole e significa un mago nato Babbano […]. Alcuni – come la famiglia di Malfoy, per esempio – pensano di essere meglio di tutti perché sono quello che la gente chiama ‘purosangue’. […] Tutti quanti noi sappiamo che non fa nessuna differenza.»

160   J.K.   Rowling,  Harry   Potter   e   la   camera   dei   segreti,   (Harry   Potter   and   the   Chamber   of  Secrets),  trad.  it.  di  M.  Astrologo,  Milano,  Salani,  1999.  161  J.K.  Rowling,  Harry  Potter  e  la  camera  dei  segreti,  cit.,  p.  103.  

Page 122: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

116

«È una cosa disgustosa da dire a una persona» disse Ron […]. «Sangue misto. Come dire sangue sporco. È roba da matti. Tanto, oggigiorno, quasi tutti i maghi sono mezzosangue. Se non avessimo sposato dei Babbani saremmo tutti estinti»162.

Il tema della diversità si inserisce quindi nell’ambito di un più ampio

discorso etico: i maghi buoni sanno che non c’è nessuna differenza

tra i cosiddetti ‘purosangue’ e i ‘mezzosangue’ e mettono la

personalità, il valore e la bontà d’animo del singolo davanti a

qualsiasi altra considerazione. Sempre Hagrid, nel confortare

Hermione, dice:

«Prendi Neville Paciock: lui è un purosangue, eppure non riesce nemmeno a far star dritto un paiolo. Mentre non l’hanno ancora fatto l’incantesimo che ‘sta streghetta non sa fare» disse Hagrid tutto orgoglioso, e a queste parole le guance di Hermione divennero di un bel rosso papavero.163

Un discorso molto diverso e assai più vicino alle considerazioni dei

primi coloni americani nei confronti degli Indiani, viene fatto da un

giovane Albus Silente, preside di Hogwarts, quando era ancora un

semplice studente. Il discorso in questione, la cui somiglianza con il

principio di responsabilità164 espresso da Aldo Leopold ne L’etica

della terra è più che mai evidente, causa in Harry Potter un profondo

senso di turbamento poiché pronunciato da colui che considera, per

l’intero arco della saga, il suo modello principale di giustizia, virtù,

etica e bontà d’animo:

La tua idea che la dominazione magica è PER IL BENE STESSO DEI BABBANI… credo che questo sia il punto cruciale. Certo, ci è stato dato un potere e certo, questo potere ci dà il diritto di governare, ma ci dà anche delle responsabilità sui governati.

162  Ivi,  p.  106.  163  Ibidem.  164  Leopold,  come  scrive  Serenella  Iovino  in  Filosofie  dell’Ambiente,  sosteneva  che  l’uomo  avesse  sì  il  diritto  di  gestire  il  mondo  non  umano,  ma  al  contempo  gli  attribuiva  il  dovere  di  gestirlo  eticamente,  riconoscendo  ad  esso  il  diritto  di  continuare  a  esistere.    

Page 123: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

117

[…] Là dove incontreremo opposizioni, come certo accadrà, questa deve essere la base di tutte le nostre controargomentazioni. Noi prendiamo il controllo per il BENE SUPERIORE. E da ciò discende che dove incontriamo resistenza, dobbiamo usare solo la forza necessaria e non di più.165

Nonostante il profondo legame che lo unisce a Silente, Harry non

può che stigmatizzare queste parole, risultato tuttavia di una mente

ancora giovane e quindi in formazione, minata per giunta da

frequentazioni di tipo sentimentale con un mago che, da adulto,

sarebbe diventato tra i più malvagi di tutti i tempi. Col tempo, Silente

riconoscerà il proprio errore e lo correggerà, dimostrando un nuovo

punto di vista nei confronti dei babbani che costituisce, in sostanza,

un più maturo e rispettoso approccio con la diversità. Inoltre, il fatto

che un simile ragionamento sia stato indotto dalla frequentazione

giovanile con un personaggio malvagio, dimostra ulteriormente

come principi del genere siano sbagliati e inequivocabilmente

negativi, giacché non appartengono né all’etica né all’universo dei

maghi buoni.

Sempre legate a personaggi malvagi sono poi le valutazioni negative

nei confronti della ‘contaminazione’. L’episodio più significativo in

tal senso vede come protagonista niente meno che il mago oscuro più

potente di tutti i tempi, Lord Voldemort, il quale in un contesto

molto inquietante (una riunione dei cosiddetti ‘Mangiamorte’, i

maghi oscuri al suo servizio), uccide un’insegnante di Hogwarts

precedentemente rapita a causa delle sue teorie riguardo

l’interazione tra maghi e babbani:

«Sì… la professoressa Burbage insegnava tutto sui Babbani ai figli di maghi e streghe… spiegava che non sono poi tanto

165  J.K.  Rowling,  Harry  Potter  e  i  Doni  della  Morte,  (Harry  Potter  and  the  Deathly  Hallows),  trad.  it.  di  B.  Masini,  Milano,  Salani,  2008,  p.  330.  

Page 124: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

118

diversi da noi. […] Non contenta di corrompere e inquinare le menti dei bambini maghi, la settimana scorsa la professoressa Burbage ha pubblicato una commossa difesa dei Babbani sulla Gazzetta del Profeta. I maghi, ha dichiarato, devono accettare questi ladri della loro coscienza e della loro magia. La diminuzione dei Purosangue è, sostiene la professoressa Burbage, una circostanza assai auspicabile… Se fosse per lei, ci farebbe accoppiare tutti con i Babbani.»166

Il discorso è pronunciato da un mago oscuro e la vittima della sua

folle violenza, nonché del suo disgusto, è anch’essa una maga, ma

questo non toglie nulla alla concretezza dell’odio che da esso

trasuda. Basterebbe sostituire la parola “babbani” con “ebrei” per

mettere a buon titolo in bocca ad Adolf Hitler parole simili. Il

razzismo, l’odio e la violenza che emergono dalla lettura di questo

passo, rendono infatti il confronto con l’ideologia e le forme di

repressione messe in atto da alcuni dei più grandi dittatori della

storia, più che mai appropriato. Le “voci contro” vengono eliminate

poiché costituiscono un pericolo, ovviamente presunto, per

l’attuazione di una dittatura ideologica ancor prima che pratica.

4.3.5 Conclusioni di un Babbano

È più facile, dopo la lettura di queste pagine, convincersi che libri

come Harry Potter o Walden possano cambiare lo sguardo degli esseri

umani sul mondo. La verità è che possono farlo, ma non possono

farlo da soli. Ciò che un libro contiene, i suoi messaggi, l’esperienza

personale di chi l’ha scritto, gli espedienti retorici, i non detti, sono

input che necessitano talvolta di un sostegno esterno per diventare

comprensibili e scatenare nel lettore la necessità di una riflessione.

Non soltanto l’approccio ecocritico, ma la scelta stessa dei testi da

166  J.K.  Rowling,  Harry  Potter  e  i  Doni  della  Morte,  cit.,  pp.  20-­‐21.    

Page 125: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

119

leggere costituiscono i mezzi attraverso i quali un libro può

effettivamente stimolare un desiderio di cambiamento. Non è quindi

inutile citare, ancora una volta, l’idea di Scott Slovic secondo cui ogni

testo è passibile di indagine ecocritica, e non già per giustificare la

scelta di parlare di Harry Potter dopo aver citato autori del calibro di

Thoreau, London, Goethe e altri ma, al contrario, per sottolineare la

naturalezza e la pertinenza di un collegamento del genere e di tanti

altri simili a questo. Fondamentale è quindi sapere cosa leggere e

come leggerlo, con la consapevolezza che non è mai troppo presto

per ragionare sul modo in cui gli esseri umani si rapportano, nel loro

agire, al mondo che li circonda e, così facendo, stimolare una presa di

coscienza basata sul riconoscimento e sul rispetto di quei valori che

“chiedono di essere preservati, tanto perché vi sia ancora un’umanità

a fruirne, quanto per se stessi”167.

4.4 Tra letteratura e intrattenimento: educare con la musica

A differenza di quanto accadeva in passato, quando accostare

letteratura e musica era considerato quantomeno un azzardo, da

qualche anno a questa parte non è inconsueto aprire un manuale di

letteratura del Novecento e trovarci, per esempio, un brano di

Fabrizio De André o di Francesco Guccini, due tra i più significativi

esponenti della canzone d’autore italiana del secolo scorso. Sembra,

in un certo senso, che da intrattenimento popolare più o meno

raffinato, la canzone d’autore (perlomeno in alcune sue forme) stia

diventando agli occhi dei più un vero e proprio genere letterario che,

in quanto tale, può certamente essere analizzato a livello ecocritico

senza che questo venga considerato una forzatura, tanto più che

167  Serenella  Iovino,  Filosofie  dell’ambiente,  Roma,  Carocci,  2004,  p.  81.  

Page 126: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

120

l’indagine ecocritica, come si è visto, può trascendere i confini del

mondo letterario ed essere applicata a qualunque espressione

artistica.

Ora, le potenzialità educative di una forma d’arte oggettivamente più

fruibile rispetto alla letteratura tout court sono senza dubbio immense

e, se ben sfruttate, possono raggiungere obiettivi importanti a partire

non solo dai concetti espressi attraverso un testo musicale, ma anche

attraverso l’esperienza e l’immagine di chi, di quel testo, è autore o

interprete. Ecco perché dischi come La buona novella (1970) o Storia di

un impiegato (1973) di Fabrizio De André hanno suscitato più di una

riflessione (e più di una polemica) a partire dalla loro prima uscita e

contengono, a ben guardare, spunti di riflessioni molto stimolanti per

chiunque voglia approfondire il rapporto tra gli esseri umani in un

determinato contesto storico e sociale come per esempio l’epoca

precristiana o la rivoluzione del ’68. Banalizzando, si può dire che

tali opere costituiscano uno spaccato di periodi complessi visti

attraverso gli occhi di un autore che, a buon titolo, veniva e viene

tutt’ora considerato il poeta degli “ultimi”, dotato quindi di uno

sguardo sul mondo che illuminava contesti e personaggi la cui storia,

diversamente, non sarebbe sopravvissuta alla loro morte.

In questa sede preme affrontare, per circoscrivere il vastissimo

campo oggetto della riflessione, un’autrice e interprete italiana,

Fiorella Mannoia, il cui lavoro specialmente negli ultimi anni ha

assunto connotazioni etiche ben precise all’insegna di una spinta,

talvolta anche molto forte, a riconsiderare il posto dell’uomo bianco

nel mondo, in relazione agli altri esseri umani e non umani che di

quello stesso mondo sono egualmente figli e responsabili. Sono

molteplici i brani nei quali si insiste sulla ricchezza che le differenze

portano con sé attraverso conoscenze, insegnamenti e confronti

Page 127: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

121

costruttivi, all’insegna di un reciproco rispetto che deve costituire al

giorno d’oggi, e a maggior ragione poiché non lo è stato in passato, il

punto di partenza di ogni interazione degli esseri umani col

circostante. Si veda ad esempio il seguente estratto:

Se solo mi guardassi quando ti vedo passare se solo lo volessi

ti potrei raccontare ti donerei i miei occhi perché tu possa vedere

nel buio antico del mio cuore. Nel buio antico del mio cuore.

E a piedi nudi camminare sulla mia terra

madre di tutti i figli, ti mostrerei il suo corpo ferito dagli artigli di gente venuta da lontano

ti prenderei, ti prenderei per mano. Io ti prenderei, ti prenderei per mano.168

Si tratta di un urlo, quasi disperato, rivolto agli indifferenti, coloro ai

quali non interessa né conoscere ciò che è altro da sé, né conoscerne la

storia, molto spesso costellata di avvenimenti tragici, come per

esempio la tratta degli schiavi e lo sfruttamento indiscriminato delle

terre africane, chiaramente ferite prodotte dagli “artigli di gente

venuta da lontano” e i cui strascichi sono più che visibili ancora oggi

dopo secoli. Vincendo quella tipica indifferenza di cui, come si è

visto, Jack London parla a lungo ne Il popolo degli abissi, e adottando

la curiosità di Henry David Thoreau, che in Walden si sorprende a

guardare ogni cosa come se fosse di nuovo la prima volta, si può non

solo incontrare l’altro su un terreno diverso, fatto di rispetto e senso

di co-appartenenza, ma anche godere di una compagnia dal valore

rinegoziato in virtù di un diverso modo di intendere il proprio posto

nel mondo. E allora

168   Paolo   Buonvino,   Ivano   Fossati,   Fiorella  Mannoia,   Se   solo  mi   guardassi,   in   Sud,   Sony,  2012.  

Page 128: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

122

Dividerei il mio pane ti mostrerei le danze

ti bagnerei con l’acqua più preziosa del diamante nella casa dei padri di guerrieri antichi

di regni perduti e di re dimenticati di misteri e segreti tramandati.

Di mano in mano dalla notte dei tempi della voce dei tamburi ad evocare i santi

e di regine di vento di vento e di tempesta

di quel che era e di quello che oggi resta.169

Un album come Sud riflette dunque, alla maniera di Thoreau, un

bisogno di generale ridiscussione del rapporto degli esseri umani con

i propri simili e con il mondo circostante. Nell’ottica in cui mondo

umano e mondo non umano fanno egualmente parte dell’universo

naturale, risulterebbe superfluo distinguere tra abusi compiuti ai

danni di esseri umani e abusi compiuti ai danni di esseri non umani.

Cionondimeno, in ossequio alla millenaria attitudine dell’uomo alla

categorizzazione, un esempio di come i due tipi di abusi siano in

realtà strettamente collegati è più che mai opportuno: è sufficiente

richiamare solo alcune delle tante, drammatiche conseguenze del

colonialismo che, tra 1500 e 1700, visse nel continente africano il suo

periodo più florido; sono esse la grave perdita di uomini che non

solo costò all’Africa un forte declino del tasso di natalità (giacché

tutti gli uomini e le donne che venivano catturati appartenevano alla

fascia d’età sessualmente più attiva), ma che fece sì che i terreni fertili

in grado di accogliere colture vecchie e nuove venissero di fatto

abbandonati per mancanza di manodopera e che le industrie

andassero impoverendosi fino a cadere in rovina a causa di una

gravissima flessione della domanda di beni.

169  Paolo  Buonvino,  Ivano  Fossati,  Fiorella  Mannoia,  Se  solo  mi  guardassi,  in  Sud,  cit.  

Page 129: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

123

Non è un caso allora che il brano “Luce” insista proprio sul concetto

di co-appartenenza di cui tanto si è parlato in queste pagine. Si tratta

di un’insistenza pacata ma ferma, che spinge l’ascoltatore a riflettere

sulle interconnessioni che ovunque e in qualsiasi tempo legano gli

esseri umani al mondo in cui vivono, rendendoli di fatto parte

integrante di esso ma non suoi padroni:

Non c’è figlio che non sia mio figlio Né ferita di cui non sento il dolore

Non c’è terra che non sia la mia terra E non c’è vita che non meriti amore.

Non c’è voce che non sia la mia voce

Né ingiustizia di cui non porto l’offesa Non c’è pace che non sia la mia pace

E non c’è guerra che non abbia una scusa.170

Sul tema della convivenza, Sud si sofferma spesso, arrivando a

ricordare, nell’estratto del brano seguente, un concetto molto

interessante espresso da William Blake ne Il matrimonio del cielo e

dell’inferno (1790) e cioè che: “If the doors of perception were

cleansed, everything would appear to man as it is, infinite. For man

has closed himself up, till he sees all things thro’ chinks of his

cavern”.171 Un estratto della canzone “Convivere” dice infatti:

Buttiamo giù pareti senza difficoltà, lasciamo solo i vetri per una nuova verità da vivere.

Se resteremo umani, saremo liberi e nel nostro domani impareremo a vivere e convivere.172

170  Luca  Barbarossa,  Luce,  interpretata  da  Fiorella  Mannoia  e  compresa  in  Sud,  cit.  171  William  Blake,  Il  matrimonio  del  cielo  e  dell’inferno,  (The  marriage  of  Heaven  and  Hell),  trad.  it.  di  G.  Ungaretti,  Milano,  SE,  2003,  p.  34.  172Max  Calò,  Bungaro,  Fiorella  Mannoia,  Convivere,  in  Sud,  cit.  

Page 130: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

124

5. Una conclusione che non conclude

Accostare due vocaboli come “ecocritica” e “conclusione”

costituirebbe un ossimoro troppo evidente per passare inosservato.

In effetti, le direzioni in cui potrebbe ancora svilupparsi questa tesi

sono tantissime e sarebbe più che mai presuntuoso credere di avere

delle considerazioni assolute da trarre sugli argomenti fino ad ora

esposti. Quello che si può fare è tener presente che, molto spesso, ciò

che frena l’essere umano dal ridiscutere la sua visione

antropocentrica del mondo sono la convenienza, la paura e la

disillusione. Per quanto riguarda la prima, non c’è da dire molto più

di quanto Thoreau abbia già scritto in riferimento a coloro che

diventano schiavi di ciò che possiedono173, né è possibile o pertinente

in questa sede addentrarsi più di tanto nello studio del rapporto tra

esseri umani e ricchezza materiale, in particolar modo di fronte

all’insistenza che si è scelto di porre sulla questione dell’altra

ricchezza, cioè quella che deriva dal contatto e dalla convivenza con

le differenze del mondo. Per quanto riguarda la paura, l’unica cosa

da fare probabilmente è sforzarsi di ammetterla e, così facendo,

indagarne le cause, gli effetti e trasformarla, laddove sia possibile, in

curiosità. In tal senso, Fiorella Mannoia con Sud ci viene ancora una

volta in aiuto:

Io non ho paura di quello che non so capire.

Io non ho paura di quello che non puoi vedere.

Io non ho paura di quello che non so spiegare, di quello che ci cambierà.174

173  Si  veda  p.  35.  174  Cesare  Chiodo,  Bungaro,  Antonio  Iammarino,  Io  non  ho  paura,  interpretato  da  Fiorella  Mannoia  e  contenuta  nell’album  Sud,  cit.  

Page 131: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

125

Sulla disillusione, in ultimo, si è già detto molto in precedenza. La

necessità di re-incantarsi e, conseguentemente, non perdere la

speranza di riuscire a migliorare il rapporto dell’uomo col mondo in

cui vive, è presupposto essenziale per smentire le convinzioni175 della

Tribù della Vera Gente e di tutti quelli che credono che l’estinzione

sarà, presto o tardi, un evento inevitabile per gli esseri umani, una

fine figlia di errori secolari cui non si è ancora iniziato concretamente

a porre rimedio. Allora, le ultime parole di questa conclusione che

non conclude vogliono essere un’esortazione a non perdere mai

quella speranza che, senza annebbiare uno sguardo razionale sul

mondo, possa convincere gli esseri umani a smettere di lottare

furiosamente e stoltamente contro se stessi e ciò che li circonda, per

cominciare a convivere pacificamente con quanto sulla terra c’è, c’è

stato e in futuro ci sarà.

Fa’ che non sia soltanto mia questa illusione.

Fa’ che non sia una follia credere ancora nelle persone.176

175  Si  vedano  pp.  100  -­‐  102.  176  Luca  Barbarossa,  Luce,  interpretata  da  Fiorella  Mannoia  e  compresa  in  Sud,  cit.    

Page 132: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...
Page 133: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

127

Page 134: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...
Page 135: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

BIBLIOGRAFIA

ALIGHIERI, Dante, La Divina Commedia, Inferno, a cura di Natalino Sapegno, Firenze, La Nuova Italia, 1968.

BABINI, Valeria, MINUZ, Fernanda, TAGLIAVINI, Annamaria, La donna nelle scienze dell’uomo, Milano, Franco Angeli Libri, 1989.

BATTAGLIA, Luisella, Alle origini dell’etica ambientale: uomo, natura, animali in Voltaire, Michelet, Thoreau, Gandhi, Bari, Edizioni Dedalo, 2002.

BERTETTO, Paolo (a cura di), Introduzione alla Storia del Cinema. Autori, film, correnti, Novara, UTET Università, De Agostini, 2012.

BHABHA, Homi K., I luoghi della cultura (The location of cultre), (traduzione italiana di Antonio Perri), Roma, Maltemi, 2001.

BLAKE, William, Il matrimonio del Cielo e dell’Inferno, (The marriage of Heaven and Hell), traduzione italiana di Giuseppe Ungaretti, Milano, SE, 2003.

BROWN, Dee, Seppellite il mio cuore a Wounded Knee (Bury My Heart at Wounded Knee), (tradizione italiana di Furio Belfiore), Milano, Mondadori, 1972.

CARDONA, Giorgio Raimondo, I sei lati del mondo, linguaggio ed esperienza, Bari, Laterza, 2006.

ID., Introduzione all’etnolinguistica, Novara, De Agostini (UTET Università), 2006.

CARSON, Rachel, Primavera silenziosa, (Silent Spring), traduzione italiana di Carlo Alberto Gastecchi, Milano, Feltrinelli, 1999.

CIACCIO, Peter, Il vangelo secondo Harry Potter, Torino, Claudiana, 2011.

DESCARTES, Renèe, Discorso sul metodo, (Discurs de la méthode pour bien conduire sa raison, et chercher la verité dans les sciences), traduzione italiana di Italo Cubeddu, (e-book), da <www.liberliber.it>.

DE FILIPPIS, Chiara, “Augusto e il problema britannico”, in Rivista di Studi Classici, 24, 1, 1976, pp. 35-49.

DICKENS, Charles, America, (American Notes), traduzione italiana di Maria Buitoni, Milano, Feltrinelli, 2008.

EGGERS Dave, Zeitoun, (Zeitoun) traduzione italiana di Matteo Colombo, Milano, Mondadori, 2011.

Page 136: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

EMERSON, Ralph Waldo, Natura, (Nature), (e-book), da <www.readme.it/libri/Filosofia/ Natura.shtml.>

FALCETTO, Bruno, Storia della narrativa neorealista, Milano, Ugo Mursia Editore, 1992.

FARGIONE, Daniela, Ambiente Dickinson. Poesie, sculture, nature, Torino, Prinp Editore, 2013.

ID., “Contamina(c)tions: A Transdisciplinary Approach to Teaching American Literature in an Italian University. The Case of 'Dickinsong’ “in Teaching American Literature: A Journal of Theory and Practice, Spring 2013, (6:1).

FOUCAULT, Michel, Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, (Surveiller et punir. Naissance de la prison) traduzione italiana di Alcesti Tarchetti, Torino, Einaudi, 2012.

FRASCHETTI, Augusto, Storia di Roma. Dalle origini alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente, Catania, Edizioni Del Prisma, 2003.

GARRARD, Greg, Ecocriticism, NY, Routledge, 2004.

GIBSON, Mary, Nati per il crimine. Cesare Lombroso e le origini della criminologia biologica, (Born to Crime. Cesare Lombroso and the Origins of Biological Criminology), traduzione italiana di G. Agati e M.L. Margini, Mondadori, Milano, 2004.

GILROY, Paul, The Black Atlantic. L’identità nera tra modernità e doppia coscienza, (The Black Atlantic. Modernity and Double Consciousness), traduzione italiana di Miguel Mellino e Laura Barbieri, Roma, Maltemi, 2003.

GROPPI, Angela, BONACCHI, Gabriella (a cura di), Il dilemma della cittadinanza. Diritti e doveri delle donne, Roma-Bari, Laterza, 1993.

IOVINO, Serenella, Ecologia letteraria. Una strategia di sopravvivenza, Milano, Edizioni Ambiente, 2006.

ID., Filosofie dell’ambiente. Natura, etica, società, Roma, Carocci, 2008.

KEATS, John, Poesie, a cura di Silvano Sabbadini, Milano, Mondadori, 2012.

KRAKAUER, Jon, Nelle terre estreme, (Into the Wild), traduzione italiana di Laura Ferrari e Sabrina Zung, Milano, Corbaccio, 2008.

LEOPOLD, Aldo, Almanacco di un mondo semplice, (Sand County Almanac), traduzione italiana di Giovanni Arca e Mario Maglietti, Como, Red Edizioni, 1997.

Page 137: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

LEVI, Primo, Se questo è un uomo, Torino, Einaudi, 1989.

LONDON, Jack, “Bâtard” (Bâtard) e “Allestire un fuoco” (To Build a Fire), in Le mille e una morte, a cura di Ottavio Fatica, Milano, Adelphi Edizioni, 2006.

ID., John Barleycorn. Memorie Alcoliche, (John Barleycorn), traduzione italiana di Davide Sapienza, Fidenza, Mattioli, 2010.

ID., Il popolo degli abissi, (The People of the Abyss), traduzione italiana di Andrea Minucci, Roma, Robin Edizioni, 2008.

ID., Il richiamo della foresta, (The Call of the Wild), traduzione di Fedora Dei, Milano, Oscar Mondadori, 2011.

ID., Il vagabondo delle stelle, (The Star Rover), traduzione italiana di Stefano Manferlotti, Milano, Adelphi Edizioni, 2005.

ID., Martin Eden, (Martin Eden), traduzione italiana di Davide Sapienza, Milano, Oscar Mondadori, 2009.

ID., Zanna bianca, (White Fang), introduzione di Mario Maffi, Torino, Einaudi, 2012.

MORETTI, Giuseppe (a cura di), Gary Snyder. Nel mondo poroso. Saggi e interviste su luogo, mente e wilderness, traduzione di Rita Degli Esposti, Milano, Mimesis, 2013.

MORGAN, Marlo, E venne chiamata due cuori, (Mutant Message Down Under), traduzione italiana di Maria Barbara Piccioli, Milano, Sonzogno, 1994.

MOSSE, George Lachmann., Il razzismo in Europa. Dalle origini all’olocausto, (Toward the Final Solution. A History of European Racism), traduzione italiana di Livia De Felice, Bari, Laterza, 2003.

NIETZSCHE, Friedrich, Così parlò Zarathustra, (Also sprach Zarathustra), traduzione italiana di Giuseppina Quattrocchi, Milano, Giunti, 2012.

OZEKI, Ruth, Carne, (My Year of Meats), traduzione italiana di Anna Nadotti, Torino, Einaudi, 1998.

PELLINI, Pierluigi, Naturalismo e Verismo. Zola, Verga e la poetica del romanzo, Firenze, Le Monnier Università, Mondadori Education, 2010.

RAVASI, Gianfranco, Breviario Laico. 366 riflessioni giorno dopo giorno, Milano, Mondadori, 2007.

RE, Anna, Americana Verde. Letteratura e ambiente negli Stati Uniti, Milano, Edizioni Ambiente, 2009.

Page 138: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

RIMBAUD, Arthur, Opere, traduzione italiana e cura di Ivos Margaroni, Milano, Feltrinelli, 2011.

RONDOLINO Gianni, TOMASI Dario, Storia del cinema, Novara, UTET Libreria, De Agostini, 2000.

ROUSSEAU, Jean Jacques, Emilio, o dell’Educazione, (Èmile ou De l’èducation), (google eBook), da http://books.google.it/books/about/Emilio_o_Dell_educazione.html?id=Qa3Gsy-nWpoC&redir_esc=y ROWLING, Joanne Kathleen, Harry Potter e la pietra filosofale, (Harry Potter and the Philosopher’s Stone), traduzione italiana di Marina Astrologo, Milano, Salani, 2001.

ID., Harry Potter e la camera dei segreti, (Harry Potter and the Chamber of Secrets), traduzione italiana di Marina Astrologo, Milano, Salani, 2002.

ID., Harry Potter e il prigioniero di Azkaban, (Harry Potter and the Prisoner of Azkaban), traduzione italiana di Beatrice Masini, Milano, Salani, 2001.

ID., Harry Potter e il calice di fuoco, (Harry Potter and the Goblet of Fire), traduzione italiana di Beatrice Masini, Milano, Salani, 2002.

ID., Joanne Kathleen, Harry Potter e i Doni della Morte, (Harry Potter and the Deathly Hallows), traduzione italiana di Beatrice Masini, Milano, Salani, 2008.

SALABÈ, Cristina (a cura di), Ecocritica. La letteratura e la crisi del pianeta, Roma, Donzelli Editore, 2013.

SZE, Julie, “Boundaries and Border Wars: DES, Technology, and Environmental Justice”, in American Quarterly, Volume 58, Number 3, September 2006, published by The Johns Hopkins University Press.

THOREAU Henry David, La disobbedienza civile, (Civil Disobedience), traduzione italiana di Alessandro Cogolo, Milano, Oscar Mondadori, 2012.

ID., Walden, traduzione italiana di Alessandro Cogolo, Milano, Oscar Mondadori, 2012.

TURNER, Frederick Jackson, La frontiera nella storia americana, (The Frontier in American History), traduzione italiana di Luciano Serra, Bologna, Il Mulino, 1959.

VERGA, Giovanni, I Malavoglia, Torino, Einaudi, 2012.

Page 139: Immagini dell'altro nella letteratura anglo-americana, da Thoreau a ...

WASHBURN, Wilcomb, Gli Indiani d’America, (The Indian in America), traduzione italiana di Paola Ludovici e Roger Meservey, Roma, Editori Riuniti, 2006.

WHITMAN, Walt, Foglie d’erba, (Leaves of grass), traduzione italiana di Giuseppe Conte, Milano, Oscar Mondadori, 2013.

WILDE, Oscar, Aforismi, traduzione italiana di Alex Falzon, Milano, Mondadori, 2010.

ID., Il ritratto di Dorian Gray, (The Picture of Dorian Gray), traduzione italiana di Raffaele Calzini, Milano, Oscar Mondadori, 2011.

ID., L’importanza di chiamarsi Ernesto, (The Importance of Being Earnest), a cura di Masolino d’Amico, in Oscar Wilde - Tutte le opere, Roma, Newton, 2005.