linguaggi e Alfabeti formazione della · 2020. 11. 20. · di D. Toma Capitolo nono Un curricolo...
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Alfabeti e linguaggi della formazioneLuigino Binanti (a cura di)
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Copertina.qxp 03/09/2009 10.04 Pagina 1
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Luigino Binanti(a cura di)
Alfabeti e linguaggidella formazione
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© 2009 - Anicia srl Via S. Francesco a Ripa, n. 10400153 Roma - Tel. 06.589.80.28 / 06.589.47.42http://www.anicia.org [email protected] - [email protected]
Tutti i diritti di traduzione, di riproduzione, di adattamento, totale o parziale, con qualsia-si mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati. Ogni permesso deveessere dato per iscritto dall’editore.
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Indice
Prefazione di U. Margiotta 7
Introduzione di L. Binanti 11
Capitolo primoEconomia e lavoro: formazioneprofessionale interculturale 13di L. Agostinetto
Capitolo secondoGli alfabeti della Formazione, trameritocrazia e complessità 31di L. Binanti
Capitolo terzoL’Educabilità umana tra democrazia erazionalità economica nella società globale 37di L. Binanti
Capitolo quartoPer un lessico pedagogico interculturale 45di M. Cestaro
Capitolo quintoTessendo le fila: impianto modellistico e riflessivitàNote in merito ad una esperienza di formazione 59di E. Madriz
Capitolo sestoLa qualità dell’educazione nel metodo Montessori 75di M. G. Nicchiarico
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Capitolo settimo“Sistemi” e “gruppi”: modelliepistemologico-pedagogici a confronto 89di D. Ria
Capitolo ottavoLa formazione dei docenti nella scuoladell’apprendimento 105di D. Toma
Capitolo nonoUn curricolo per promuovere ecertificarecompetenze in prospettiva europea 113di M. R. Zanchin
Gli autori 127
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Capitolo quinto
Tessendo le fila: impianto modellistico eriflessività. Note in merito ad una esperienzadi formazione
di Elisabetta Madriz
1. Come premessa: la risposta incontra il bisogno
Una delle accuse più spesso rivolte al sapere pedagogico accade-mico è quella di non riuscire a dare risposte concrete nell’incontrocon la quotidianità dei luoghi educativi; anzi, di mancare l’incontrocon essi, di risultare assente a quel momento importante che è larestituzione di saperi capaci di orientare significativamente l’azioneeducativa. Ci ricorda Xodo che “(…) il rapporto pedagogia e vitaserve a richiamare l’oggetto formale della disciplina, cioè il punto divista della pedagogia sulla vita al fine di rafforzare il significato esi-stenziale della disciplina la cui finalità è assicurare il ben-vivere del-l’uomo” (Xodo, 1999, p. 229)1. E ancora la pedagogia è propriamen-te “(…) sguardo sulla vita che ne esalta l’inesauribile potenzialità intutta la sua estensione” (Xodo, 1999, p. 229)2. Lo sguardo sulla vitaevidentemente non può che configurarsi come risultato di concettua-lizzazioni a partire da una domanda posta dai luoghi della vita, aribadire quindi la necessità di entrare nei contesti dell’educazione, diosservare con attenzione chi li abita, di cogliere le domande esplici-te ed implicite che essi formulano, considerando poi la risposta
1 C. Xodo, Il punto di vista della pedagogia sulla realtà umana, in “Studium Educationis”,monografia “Lineamenti di pedagogia generale”, n° 2, Cedam, Padova 1999, p. 229.2 Ibidem.
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come una necessaria restituzione in termini di ridefinizione dell’og-getto di studio della disciplina.
Risulta a tal fine indispensabile pensare a dei percorsi specificinei luoghi dell’educazione, che rispondano al duplice bisogno dievidenziare la complessità del sociale odierno, fornendo al contem-po, ai protagonisti dell’agire educativo, strumenti di riflessionecapaci di adeguarlo alle nuove esigenze di educazione nella società.
Il breve saggio qui presentato si connota come il resoconto ragio-nato di un’esperienza di formazione ideata e proposta nei terminiappena sopra esposti; ragionato nel senso che, ripercorrendo sinte-ticamente i momenti che vanno dalla progettazione alla valutazionedell’esperienza, l’obiettivo del saggio è quello di condurre a temigenerali del percorso che sono alla base di una concezione scientifi-ca della pedagogia.
2. La struttura del percorso rispetto alla domanda iniziale
Da una riflessione approfondita avvenuta all’interno dei gruppi dilavoro istituzionali dei Servizi Educativi del Comune di Gorizia, èemerso il bisogno di approfondimento di tematiche socio-culturali,concettulizzantesi nel tema della diversità all’interno di una prospet-tiva educativa. Gli argomenti riferiti al tema generale sono stati cosìdeclinati: l’integrazione e la continuità tra i servizi, il coinvolgimen-to e la partecipazione delle famiglia, la collaborazione con i servizisociali e sanitari ed i collegamenti di ciascuna struttura educativacon il territorio. La risposta a tale bisogno ha trovato modalità rea-lizzativa in un percorso formativo intitolato “Tessendo le fila” rivol-to a tutto il personale educativo (impegnato in servizi per una fasciad’età che è stata individuata nei termini 0-15 anni) che opera all’in-terno delle strutture e dei progetti dello stesso Comune. L’obiettivoformativo fondamentale è stato individuato nella creazione di unluogo ed un tempo condiviso nel quale approfondire il ruolo e laresponsabilità educativa nel contesto contemporaneo, promuovendoun’attitudine autoriflessiva capace di dare ragione della complessitàpropria dei servizi rivolti all’infanzia, ai giovani, alla famiglia eall’intera comunità sociale. Il percorso dunque, voluto e promosso
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dall’Assessorato ai Servizi educativi del Comune di Gorizia, si èstrutturato in 4 incontri con cadenza mensile, strutturati in modo dacostituire già di per sé una proposta di modalità di progettazioneeducativa, attraverso le azioni di
• incontrare• conoscere• capire• educare.
La strutturazione ha previsto però, sin dalla fase iniziale, la pos-sibilità di una specializzazione del percorso formativo sulla base deibisogni emergenti di ogni singolo partecipante: ecco quindi la sud-divisione in due ambiti distinti chiamati sinteticamente “percorsointercultura” e “percorso disabilità”, entrambi gestiti e tenuti dadocenti di pedagogia esperti nei due settori. A ribadire però la comu-ne natura eminentemente pedagogica dell’educazione interculturalee dell’educazione speciale, il tema “Incontrare” e il tema “Educare”si sono svolti in sessione seminariale plenaria, in un’ottica dialogicae dialogante, necessaria per ricondurre la specificità dei settori trat-tati a quella concezione generale della pedagogia come scienza, chesi fonda su specifici assunti di base, al di là di quelle che sono poi lepeculiari declinazioni nella concretezza dell’agire educativo.
I partecipanti all’esperienza formativa sono stati 75, omogenea-mente suddivisi, per appartenenza, all’interno di diversi settori edu-cativi:
- 40 impegnati nella fascia 0-6 (asili nido, scuole dell’infanzia,centri educativi, educativa territoriale, servizi integrati)
- 35 impegnati nella fascia 6-15 (scuola primaria e scuolamedia, educativa territoriale, centro educativo).
Tale eterogeneità di provenienza è stata accolta, già nella fase diprogettazione, come una sfida cui rispondere affermativamente peruna duplice serie di ragioni:
a) creare un’opportunità di dialogo e scambio, fuori dai percorsitradizionali ed istituzionali, tra educatori che lavorano confasce d’età diverse in un’ottica spesso caratterizzata dallasegregazione;
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b) ribadire quella linea evolutiva continua che è l’educazione inogni fase della vita, finalizzata alla realizzazione massimaledella persona, indipendentemente dalle caratteristiche perso-nali che agevolano, facilitano, ostacolano o bloccano il percor-so singolare di ogni storia di vita.
L’introduzione all’esperienza formativa ha preso l’avvio da unasollecitazione, da un monito, da un appello di carattere deontologi-co rivolto agli educatori: ripensare la propria vocazione di educato-ri, essere disposti a ridiscuterla e a rivisitarla dinnanzi a criticità epo-cali che non consentono ipostatizzazioni né di pensiero né di azio-ne. A partire da un’onesta e oggettiva considerazione della propriavocazione pedagogica, e soltanto a questa condizione, è possibile, anostro avviso, costruire attraverso il momento formativo una realeprofessionalità, mai paga della propria esperienza e proprio per que-sto foriera di bisogni di apprendimento e di compartecipazione diconoscenze. Scrive Pagano che nella “passione per insegnare entradi diritto un’altra antica e ormai “rottamata” cartolina del passato: lavocazione per l’insegnamento. (…) Ma siamo proprio convinti chesi possa fare a meno di essa nello svolgimento di una professioneche, per quanto debba connotarsi di competenze, di professionalità,di deontologia, di diritti e doveri, se manca di una forte motivazio-ne pedagogica è svolta asetticamente, con disincanto, con freddez-za, con distacco, con chiusure che impediscono effettivamente distabilire una relazione educativa degna di questo nome?” (Pagano,2007, p. 74). La motivazione pedagogica dunque si è posta comemotore primo di questo intervento formativo, non solo nelle inten-zioni del committente, ma anche e soprattutto nell’attuazione delprogetto da parte dei formatori e nella partecipazione attiva e signi-ficativa dei partecipanti, gli educatori.
Il tema quanto mai attuale oggi della deontologia professionale ineducazione muove, dunque, a nostro avviso, dall’irrinunciabileassunzione che vi debba essere una chiara passione per l’educazio-ne, a partire già dalla necessità di rivisitare se stessi nella propriaprofessione: scriveva Laeng che occorre possedere “la personalefinezza psicologica avvezza anzitutto all’introspezione (perché nonpuò capire gli altri chi non fa ogni sforzo per capire sinceramente se
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stesso) e la spontanea disposizione a interessarsi degli altri e a sen-tire con essi”.
Non possiamo definire la realizzazione di tale percorso formativocome “introspettiva”, ma tuttavia la precipua dimensione scientificadella prospettiva pedagogica fornita, rinvia sicuramente ad una atten-ta analisi del proprio conoscere, progettare ed agire educativo.Questa esperienza, che vedrà certamente un suo proseguio, si è carat-terizzata per una chiara concezione scientifica della pedagogia, dacui discendono, a mò di corollari, alcune evidenze che guidano l’agi-re educativo, così come è stato proposto agli educatori partecipanti,pur nella distinzione dei due percorsi specifici (disabilità ed intercul-tura). È stata proprio infatti la specificità dei due diversi settori edu-cativi a corroborare la necessità di un pensiero pedagogico chiaro edesplicito, che si proponga come base teorica generale di riferimentosu cui poter realizzare ogni progetto pedagogico particolare.
Le pagine che seguono, dunque, organizzate nei due paragrafi,rinviano da un lato ad una sommaria e non esaustiva trattazionedella prospettiva pedagogica che il corso di formazione ha volutopresentare (rifacendosi prevalentemente alla teoria del Modello inpedagogia), dall’altro ad una riflessione aperta sul concetto di rifles-sività in educazione, che ha tematicamente caratterizzato il tempofinale del percorso formativo. Una breve conclusione poi ritesseràinsieme i temi caratterizzanti, restituendo il senso e il limite del per-corso formativo effettuato, all’interno di un più ampio discorsogenerale.
3. Elementi cardine attraversando la diversità
3.1 La pedagogia come scienza
Considerare scienza una disciplina significa rinvenire un suo spe-cifico oggetto, delle precise finalità e un suo peculiare metodo diindagine.
L’assunzione iniziale è che la “pedagogia sia una disciplina cheha in oggetto l’uomo (considerato come soggetto educabile) e deter-minate sue azioni che hanno una specifica intenzionalità educativa”
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(Di Bernardo, 1986, p. 17): essa ha un suo ancoraggio assiologicorinvenibile in una antropologia filosofica, che ponga al centro la per-sona e la sua dignità (valgano qui le anticipazioni, riferite al concet-to di persona, inserite nel paragrafo 1). Dalle proprietà che attribuia-mo alla persona (l’unicità, la singolarità, l’essere fine a se stessa,l’essere orientata alla realizzazione di sé e degli altri, la libertà, l’es-sere soggetto di diritti e di doveri) discendono gli “obblighi etici”(Dalle Fratte, 1986, p. 45) che l’azione educativa ha verso gli edu-candi. Lo scenario complessivo sul quale agisce la dimensione epi-stemologica della pedagogia è quello riferibile ad una teoria seman-tica della persona (TSP), intesa da Larocca come “una teoria del-l’uomo visto come persona educabile e quindi perfettibile entro lecondizioni della sua esistenza concreta” (Larocca, 1986, p.42). Inquesta prospettiva, l’educazione è quel processo di realizzazionemassima della persona, in base alle sue disposizioni, coerentementeall’interno di un proprio progetto storico.
La pedagogia fa parte delle scienze umane, ovvero di quellescienze che si interessano dello studio e della riflessione su aspettiriguardanti l’uomo: fra queste, essa intrattiene dei rapporti con alcu-ne scienze teoretiche (che si avvalgono del metodo speculativo),precisamente con la filosofia dell’educazione (che indaga la finalitàultima dell’educazione, ovvero la realizzazione integrale e massi-male della persona) e con l’antropologia filosofica (che ha comeoggetto l’uomo come essere educabile). La peculiarità del discorsopedagogico è rinvenibile nell’avere per oggetto l’azione concretaattraverso la quale si persegue, intenzionalmente, tale realizzazionedella persona.
Chiarito l’oggetto, introduciamo l’aspetto di praticità della disci-plina, che si realizza, come sottolinea Licata, “avvalendosi di unmetodo pratico-prescrittivo e della specifica forma di razionalità chead esso corrisponde” (Licata, 2005, p. 133) per realizzare, medianteun’azione intenzionale, mirata e congruente alle condizioni date, lafinalità ultima (prospettata dalla filosofia dell’educazione) della rea-lizzazione massimale della persona. Tale azione, ricorda ancoraLicata, è caratterizzata da “una continua tensione verso un doveressere ideale (…) definito dall’antropologia filosofica e avvaloratosul piano della filosofia dell’educazione [che] la impegna sul piano
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della prescrizione dei fini e dei mezzi” (Licata, 2005, p. 134). È evi-dente ora la duplice fenomenologia della pedagogia: non solo la for-mulazione di un progetto pedagogico deve essere rispondente ai finiche sono stati espressi a partire da una realtà data e conosciuta, maaltresì esso deve potersi tradurre in una serie di azioni spendibiliconcretamente, necessariamente rivedibili e modificabili sulla basedi nuovi elementi che entrino a far parte del contesto “azione educa-tiva”. Un’ultima precisazione riguarda, sulla base e con intento chia-rificativo delle nozioni sopra esposte, l’universo oggettuale dellapedagogia. Si tratta di quelle che possiamo definire le proprietàdistintive dell’azione educativa, ravvisabili in questi tre assunti:
• gli elementi di indagine della riflessione pedagogica rientranonella “categoria dei fatti/atti sociali” (Dalle Fratte, 1986, p.21) che essa condivide anche con altre scienze;
• tali fatti/atti sociali, nella dimensione educativa, sono costitui-ti da una relazione asimmetrica, tra chi assume una posizioneeducativa e chi quella di apprendimento;
• tale asimmetria è giustificata dall’intenzionalità, giacchèl’azione educativa è funzionale alla relizzazione del progettopedagogico che è un momento essenziale di realizzazione delprogetto storico, soggettivo e personale di ciascun educando.
Quest’ultima proprietà è intrinsecamente specifica alla pedago-gia, tanto da essere la linea di demarcazione tra essa ed altre scien-ze dell’educazione. Si noti ancora la differenza tra progetto storicoe progetto pedagogico, dove il secondo si costituisce come “antici-pazione teorica, vista come attualizzazione massimale, delle qualitàdella persona a partire dalle condizioni dell’educando” (Larocca,1986, p. 42).
3.2 Dalle finalità all’azione
I concetti sopra esposti, finalizzati ad esplicitare il generale inten-dimento di una pedagogia in quanto scienza pratico-prescrittiva, por-tano ad identificare questo processo logico con il modello in pedago-gia, costrutto teorico elaborato negli anni ’80 a partire da diversi
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studi condotti sul concetto di epistemologia pedagogica, confluiti inuna serie di articoli pubblicati su “Il Quadrante Scolastico”.
Si è già accennato che il contesto di riferimento di una pedagogiacome scienza pratico-prescrittiva è la teoria semantica della persona(TSP): essa costituisce la base di riferimento assiologico del model-lo su cui si sviluppa la parte propriamente pedagogica, ovvero il pro-getto pedagogico che, come poc’anzi specificato, è volto alla realiz-zazione massimale dell’educando.
Il modello si concretizza a tre diversi livelli sulla base di finalità,obiettivi ed attività. Definiamo:
- finalità: “ciò che è bene far raggiungere agli educandi”(Larocca, 1986, p. 42) all’interno delle potenzialità positiveche li contraddistinguono (attitudini, talenti, predisposizioni),ovvero le disposizioni da raggiungere. Le finalità, relative allecondizioni pedagogiche (età del soggetto e istituzione prepo-sta alla sua formazione) danno luogo al progetto pedagogico;
- obiettivi: sono intesi come “tappe intermedie da raggiungereper l’attuazione, in determinate condizioni (condizioni di eser-cizio) delle finalità” (Dalle Fratte, 1986, p. 54): sono colloca-ti in certo lasso di tempo e danno luogo alla progettazione ealla programmazione didattica;
- attività: sono i “mezzi per realizzare la sequenza degli obietti-vi” (Dalle Fratte, 1986, p. 54), ovvero la traduzione operativa,il piano attuativo in cui cooperano educatore ed educando invista della realizzazione delle finalità (siamo qui nella dimen-sione della quotidianità della programmazione didattica).
Tra le finalità e gli obiettivi esiste uno stretto legame: intenden-do per finalità una qualsiasi disposizione (che a sua volta, facendoparte di un sistema di disposizioni, si può scomporre in sottodispo-sizioni – logica disposizionale –) gli obiettivi si qualificano comesottodisposizioni della finalità, ovvero dei traguardi intermedi daraggiungere in un certo tempo, per mezzo delle attività, ovvero quei“comportamenti (dell’educando e dell’operatore) rilevanti ai finidella realizzazione delle finalità pedagogiche” (Dalle Fratte, 1986,p. 54). È importante ricordare che le finalità riguardano sia l’essereche il dover essere dell’educando, tenendo conto della sua unicità-
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singolarità, assunta come proprietà della persona, riferimento assio-logico di base. Rispetto al piano attuativo Bertoldi rileva che “(…)le scelte pratiche vengono godendo di libertà crescenti nel senso cheesse dipendono da condizioni di diversa natura, in base alla valuta-zione delle quali l’operatore è tenuto a decidere in crescente autono-mia di giudizio” (Bertoldi, 1986, p. 41). Facendo riferimento allecondizioni che intervengono nell’agire educativo, è bene notare cheesse fanno parte integrante del modello, declinandosi a seconda dellivello cui si collocano: gli obblighi rispetto ad una certa finalità oad un tale obiettivo sono relativi soltanto ad alcune specifiche con-dizioni che definiamo pedagogiche, di esercizio e rilevanti. A livel-lo di finalità, come già esplicitato, le condizioni pedagogiche sonodate dall’età del soggetto e dal tipo di istituzione educativa: è evi-dente che il progetto pedagogico sarà legato nello specifico a taliindicazioni, di modo che, come sostiene Galvan “se una disposizio-ne d è riconosciuta adeguata all’età del soggetto educando e perti-nente al compito istituzionale dell’ente (…) e positiva alla luce delquadro assiologico del modello, allora è prescritta come finalità f apartire dalle condizioni pedagogiche” (Galvan, 1986, p. 79). Perquanto attiene invece il livello degli obiettivi, si parla qui di condi-zioni di esercizio, tra cui distinguiamo quelle interne (le condizionipsicologiche dell’educando considerate al momento di inizio delprogetto educativo, identificando dunque uno stato iniziale) e quel-le esterne (ciò che fa parte dell’ambiente – materiale e non – del-l’educando, dunque la scuola come struttura, il contesto sociale efamiliare di appartenenza): con tali condizioni l’educatore deve con-tinuamente confrontarsi per rivedere, se necessario, gli obiettiviintermedi riorganizzandoli sulla base sia della complessità che dellasuccessione genetica (tenendo conto che i due piani non semprecoincidono). Ecco perché tra lo stato iniziale e quello finale (rag-giungimento obiettivi e finalità) vige un rapporto di sostanziale dif-ferenza: il primo è verificabile, il secondo solo ipotizzabile nel pro-getto formulato dall’educatore. Ma è proprio sul piano dell’attuazio-ne che tutti gli elementi prendono forma e collocazione garantendola possibilità di falsificazione del modello: è vero infatti che il pianoattuattivo, sulla base delle condizioni rilevanti (ovvero le condizio-ni educative assunte nell’immediato svolgersi e farsi dell’azione), si
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realizza attraverso ciò che l’educatore e l’educando concretamentefanno per portare a compimento il progetto educativo. Le condizio-ni rilevanti possono confermare la direzione assunta oppure segna-lare la necessità di un cambiamento per riconfermare la realtà delprogetto stesso: ciò significa che l’azione educativa non si dà qualeprocesso deterministico, ma quale itinerario costituito da ipotesi dasottoporre a falsificazione nell’azione. Potremo definire quindil’agire pedagogico come il luogo della realizzazione delle possibili-tà dell’essere e del dover essere della persona, in un orizzonte dilibertà.
4. Ricongiungere nella riflessività
“Se uno possiede la teoria senza l’esperienza e conosce l’univer-sale, ma non conosce il particolare che vi è contenuto, più volte sba-glierà la cura, perché ciò cui è diretta la cura è, appunto, l’individuoparticolare”(Aristotele, Metafisica, AI, 981a, 20).
Il percorso teorico fin qui presentato, indirizzato durante il per-corso formativo alla ricerca del senso profondo dell’agire progettua-le in educazione, ha portato i partecipanti ad un necessario ripensa-mento della loro professionalità. Una delle finalità precipue delcorso infatti, oltre al fornire quadri concettuali e di riferimento robu-sti dal punto di vista disciplinare, voleva anche essere, come piùsopra accennato, la creazione di un tempo aperto alla rivisitazionedella propria esperienza professionale, tenendo conto che i parteci-panti variavano molto per anni di esperienza. Sostiene Alessandriniche la riflessività “comprende un momento reatroattivo e unmomento proattivo, entrambi necessari a costruire nuovi e più ele-vati livelli di conoscenza” (Alessandrini, 1995, p. 39). La possibili-tà inoltre di imparare dalla propria e dell’altrui esperienza, se corret-tamente inserita in un contesto formativo significativo, diviene rile-vante anche rispetto al fatto di lavorare in contesti “contigui”, chespesso si parlano senza mai dialogare davvero, come a volte accadenei servizi dedicati all’educazione. In tale prospettiva dunque, comeevidenzia Schön, rivalutare la pratica come contesto epistemologicosignifica abilitare l’esperienza a divenire fonte per la costruzione di
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sapere. Secondo White infatti “le persone conferiscono senso allaloro vita attraverso il racconto delle proprie esperienze” (White,1992, p. 20): non è affatto dissimile ciò che accade rispetto alla vitaprofessionale, che ha necessariamente bisogno di un tempo di rac-conto che giustifichi, avvalori, renda significato all’azione svolta.
Tutto ciò è significativo a maggior ragione se vengono conside-rate alcune implicite costituenti dello scenario educativo:
- la complessità del contesto, che è contraddistinto da elementieterogenei talvolta conflittuali;
- il carattere di unicità della situazione educativa, che rende laconoscenza professionale sfuggente a qualsiasi riproposizionedi modalità progettative e realizzative;
- la stessa conoscenza professionale non può essere del tuttopreesistente all’azione ma si costruisce a partire dalla situazio-ne e adeguandosi continuamente ad essa.
È infatti ampliamente condivisibile la posizione di Schön secon-do cui la “pratica si muove non in quel terreno stabile, elevato, dovei professionisti potrebbero far uso di quelle teorie e tecniche fonda-te sulla ricerca, ma per lo più in quella pianura paludosa ove le situa-zioni sono grovigli fuorvianti che non si prestano a soluzioni tecni-che” (Schön, 1983, p. 37).
La riflessività è dunque assumibile nei termini di una epistemo-logia della pratica: nello specifico poi della pratica educativaPellerey ci rammenta che essa si qualifica come una “pratica umanasociale per eccellenza, anzi la prima in assoluto, non solo per l’ordi-ne temporale che essa occupa nell’esperienza di ogni uomo, maanche perché è con essa che la comunità umana si prolunga neltempo, trasmettendo i suoi valori, le sue norme, le sue conoscenze,le sue abilità, le sue più profonde esperienze emozionali ed esteti-che, le sue opere e le sue risorse” (Pellerey, 1998, p. 59).
In questo specifico percorso formativo abbiamo dunque intesola riflessività come quel necessario movimento di fare un passoindietro per guardare da lontano lo scenario su cui si è svolto l’agi-re educativo, che prende corpo nella “capacità del pensiero umanodi trarre conseguenze dall’oggetto del suo pensare e [che] si avva-le di operazioni quali: connettere particolare e generale, porre pro-
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blemi, ri-tornare su questioni non concluse, criticare” (Mostarda,2006, p. 77).
Questo in realtà ha accompagnato costantemente (in momentiadeguatamente predisposti) il progetto “Tessendo le fila”, dalla suaideazione fino alla sua valutazione, anzi ne è divenuto quasi la cifracaratterizzante: durante l’itinerario è spesso stata evocata l’immagi-ne dell’insegnante/educatore come ricercatore, mai pago né dellasua esperienza né delle sue conoscenze, ma attivo e appassionatoindagatore dell’atto educativo, delle sue componenti tecniche, eti-che, progettuali, realizzative. In accordo con alcuni esperti affermia-mo pertanto che la riflessività “è ciò che può fare di ciascuno, impe-gnato sulla strada dell’apprendere, un “artistico ricercatore” – perdirla con Donald Schön –: non uno di quei tanti indagatori dell’ov-vio e del banale, ma un ricercatore di metodo (…). La riflessivitàconnota (…) l’apprendere come momento interiore (…) espone, ine-vitabilmente al dialogo con l’incertezza e con la solitudine (…)”(Knasel, Mead, Rossetti, 2002, p. XIII).
L’impegno di questo progetto formativo voleva per l’appuntosuggerire la necessità di momenti quasi di sospensione dall’azione,in favore di questa necessaria solitudine dedicata a pensare il pen-siero cercando signficati da attribuire al proprio agire. E’ vero infat-ti che la riflessività nasce come una significativa domanda di senso,come un tentativo di reperire ipotesi di soluzione, come suggerisceMortari, a “quelle domande che, pur indecidibili in quanto destinatea rimanere costitutivamente aperte, reclamano ciononostante unarisposta la cui ricerca impegna a fondo la mente umana” (Mortari,2004, p. 17). Il pensiero riflessivo quindi diviene ipotesi di azione,non solo di pensiero, e modifica “nei partecipanti il modo di auto-percepirsi oppure di gestire certi spazi relazionali dell’agire quoti-diano, con la conseguenza di portare anche a una ristrutturazioneradicale del modo di rapportarsi al contesto” (Mortari, 2004, p. 33).Questo forse è stato il risultato più significativo raggiunto dal per-corso attuato: i momenti di lavoro di gruppo hanno portato i parte-cipanti, che in alcuni casi vantano un lungo tempo di lavoro insie-me, a dialogare fra loro in maniera rinnovata, diversa, aperta al cam-biamento piuttosto che alla riproposizione di schemi di pensiero e diazione da sempre condivisi e dati per scontati. Lo stesso contesto
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educativo ne esce diverso: un luogo ripensato, osservato sotto unanuova luce, tenendo conto che le problematicità quotidiane mettenopiù a dura prova le ipostatizzazioni che i cambiamenti.
Continuando però nel tema della riflessività, siamo d’accordocon Schön quando sottolinea come nelle prassi dell’agire quotidia-no non sempre si riesce a esprimere quello che si sa, giacchè laconoscenza è dentro l’azione stessa, è tacita, implicita fin nella sen-sibilità con la quale si pensa, si valuta, si agisce. E’ anche vero peròche il pensiero riflessivo costa caro, non è un pensiero economico,perché non accetta la ripetizione e impone una ricorsività sempreaperta a modificarsi, perché supera la tradizionale separazione trateoria e pratica e cerca la sintesi ragionata e continuamente negozia-ta tra le due: in ultima analisi richiede competenza.
Recenti documenti europei insistono su tali concetti, configuran-do la competenza come “una inesauribile conversazione riflessivacon la situazione. Si è competenti quando si decidono le azioni men-tre si compiono, le si valuta e le si corregge seduta stante, si esplo-rano gli elementi impliciti nelle azioni stesse per tenerne immedia-tamente conto in quelle successive, si ristrutturano significati e finicontemporaneamente all’impiego di determinati mezzi, si scopre, sigenera e si condivide un senso di tutto ciò che si fa, senso che siadatta e segue ogni modificazione dei dati del sistema e delle dina-miche relazionali che lo accompagnano”3.
Ancora Pellerey ci ricorda che l’apprendere ad essere educatoriimplica “l’accettare fondamentalmente il carattere pratico insito nel-l’acquisizione delle competenze e nell’interiorizzazione dei valoriche caratterizzano tale professione, e la disponibilità a rimetterespesso in discussione le proprie scelte e i propri comportamenti difronte all’altro” (Pellerey, 1998, p. 69). Tale disponibilità non è sol-tanto un moto dell’anima dunque, ma deve essere un vero e propriotempo dell’agire educativo, fatto di strumenti e modalità adeguate,in modo che non diventi solo un ripiegamento narcisistico o vittimi-stico sul proprio operato, ma uno strumento di sviluppo e migliora-mento anche per la comunità di cui si fa parte.
3 OCDE-CERI, Definition et selection des competences: fondements, théoriques et con-ceptuels. Document de stratégie, Bruxelles, 2002.
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5. Conclusioni
“Tessendo le fila” si è costituito un po’ come una sfida, si è dettonella prima parte del saggio: una sfida rischiosa nel voler tenereassieme formando diverse agenzie educative che tutte però accomu-nano il loro agire quodiano in una finalità, ovvero lo sviluppo mas-simale della persona. Si è voluto però utilizzare come valore aggiun-to ed aggregante, la dimensione comunitaria di tali agenzie, che nonsolo condividono uno stesso territorio fisico (il comune di Goriza)ma partecipano di una stessa storia che ha sedimentato valori emodalità dell’essere comunità, che oggi necessariamente si incon-trano con le istanze di cambiamento e complessità, ma riesconospesso ad uscirne rimotivati anziché instabili. Ci ricorda Dalle Fratteche la comunità è “la rete vitale delle relazioni attivata dalla perso-na e si connota come lo spazio di cui essa ha bisogno per la propriarealizzazione” (Dalle Fratte, 1991, p. 21): realizzare la propria voca-zione professionale educativa è compito del singolo, ma è anche unimperativo della/delle comunità di cui egli fa parte. L’esperienzarealizzata in questo progetto formativo va in questa direzione: dopoaver raccolto le necessità formative dei suoi membri, questa comu-nità umana e professionale (comune) ha reperito una possibilemodalità di risposta all’esigenza di realizzazione delle sue figureeducative, proponendo un itinerario di alto livello che fungesseanche da luogo di raccolta e risigificazione delle esperienze matura-te. Concludiamo con un pensiero letterario, certi che ogni “artisticoricercatore” vi troverà uno spunto suggestivo.
Where is the Life we have lost in living?Where is the wisdom we have lost in knowledge?Where is the knowledge we have lost in information?
T. S. Eliot, The Rock (1934)
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Bibliografia
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