“Lingua madre, madre terra” - Provincia Autonoma di Trento · chiave nell’ambito della...

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Giornata internazionale della lingua madre 2005 “Lingua madre, madre terra” L’equazione sostenibile per la rinascita e la continuità Atti del seminario Provincia Autonoma di Trento Vich/Vigo di Fassa Palae en Bersntol/Palù dei Mòcheni Lusérn/Luserna 25-26 febbraio 2005

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Giornata internazionaledella lingua madre 2005

“Lingua madre, madre terra”

L’equazione sostenibileper la rinascita e la continuità

Atti del seminario

Provincia Autonoma di Trento

Vich/Vigo di FassaPalae en Bersntol/Palù dei Mòcheni

Lusérn/Luserna

25-26 febbraio 2005

Gli atti del seminario “Lingua madre, madre terra” organizzato dalla Provincia autonoma di Trento in collaborazione con la Commissione Italiana dell’Unesco sono stati curati da Alessandro Pierini del Servizio provinciale per la promozione delle minoranze linguistiche locali

“…Albrishti i qilluar ndir syt’ e s’at ëmë ësht një gjuf’ e fatosur: nga herë ç’e zgjon,ngrëfet jot’ ëmë ka bota e ngritë e të qeshin me dritë ndir sytë.”

“…L’Arbëresh, addormentato negli occhi di tua madreè una lingua fatata:ogni volta che le dai risveglio,si desta anche tua madre dalla terra freddae ti sorride con la luce negli occhi.”

Antonio Sassone (n. 1939)poeta arbëresh di Lungro (CS)

SommarioI partners dell’iniziativa 8

Prologo. Sede del Museo Ladin de Fascia 13

La candidatura delle Dolomiti a patrimonio naturale dell’umanità

come chance per la minoranza linguistica ladina 16

Sessione seminariale. Sede del Bersntoler Kulturinstitut 27

Politiche culturali e politiche di rinascita linguistica

per le comunità di minoranza linguistica storica 33

Globalizzazione e sviluppo locale nelle comunità di minoranza 41

Discussione 50

Sessione seminariale. Sede del Kulturinstitut Lusérn 57

La dimensione locale–globale delle minoranze 63

come opportunità di riproduzione culturale

Il cimbro come patrimonio storico-linguistico 69

La Giornata Internazionale della Lingua Madre – Unesco 84

Panoramica sulle politiche delle principali istituzioni europee

a favore delle lingue minoritarie 87

La Commissione Europea 88

Il Parlamento Europeo 89

Il Consiglio dell’Unione Europea 97

Il Comitato delle Regioni 99

Il Consiglio d’Europa (COE) 103

Carta Europea delle Lingue Regionali o Minoritarie 103

EBLUL (European Bureau Lesser Used Languages) 114

La rete MERCATOR 115

Lingua madre, madre terra4 Lingua madre, madre terra 5

Saluto del Presidente della Provincia autonoma di Trento

È con grande piacere che la Provincia autonoma di Trento ospita la manifestazio-ne celebrativa della Giornata Internazionale della Lingua Madre per l’anno 2005, promossa dalla Commissione italiana dell’UNESCO. Crediamo che la nostra pro-vincia rappresenti un contesto particolarmente adeguato per solennizzare que-sta ricorrenza. Il Trentino è popolato da persone di madrelingua germanica, italia-na, ladina. La loro identità ed eredità culturale viene salvaguardata e tramandata quale base di vita ed elemento di congiunzione delle diverse culture. Da sempre nella nostra terra hanno coabitato gruppi etnici con diverse lingue ma-dri e tradizioni, che hanno anche assunto molti valori dei popoli confinanti. Da-to che le frontiere politiche non hanno quasi mai coinciso con quelle linguistiche, le cooperazioni transfrontaliere hanno influenzato in maniera determinante la vi-ta delle popolazioni alpine ed hanno favorito la fusione delle tradizioni regiona-li, creando un’eredità culturale comune. Tale eredità culturale costituisce una ba-se di vita delle popolazioni di minoranza linguistica; ed è per questo che le nostre minoranze sono ancora oggi un ponte culturale in Europa. Le tre aree linguistiche minoritarie del Trentino, ladina, mòchena e cimbra, costi-tuiscono da secoli un insieme composito di ambienti culturali e naturali di straor-dinaria bellezza e varietà: spazio vitale ed economico per le popolazioni locali, rappresentano un’area particolarmente sensibile e vulnerabile, che la Provincia autonoma di Trento intende fermamente difendere e valorizzare. La lingua mater-na mantiene e plasma la storia e il presente di queste comunità, favorisce l’iden-tità umana, fornisce il senso della vita per le generazioni attuali e l’orientamento per le generazione future, rinforza il senso di responsabilità personale, stimola al-la solidarietà e favorisce la creatività, la tolleranza e la comprensione.

Lorenzo Dellai

Lingua madre, madre terra4 Lingua madre, madre terra 5

Messaggio del Direttore generale dell’UNESCO

La Giornata internazionale della lingua madre, che la comunità internazionale ce-lebra da 6 anni con l’UNESCO, costituisce un’occasione particolarmente significa-tiva di riflessione e di azione a favore di tutte le lingue parlate sul nostro pianeta. Vettori di sapere, di apprendimento, di dialogo e di espressione della realtà quale percepita in ogni cultura, le seimila lingue parlate attualmente sulla terra contri-buiscono tutte ad alimentare e ad arricchire, ciascuna con l’insostituibile origina-lità che le è propria, il patrimonio culturale dell’Umanità.Per la posizione essenziale che esse occupano nella struttura di ogni cultura, le lingue costituiscono un fattore strategico fondamentale, di cui bisogna tenere debitamente conto di fronte alle grandi sfide dell’avvenire. Se, come l’UNESCO ha detto dalla Conferenza di Stoccolma (1998), la cultura è al centro dello sviluppo sostenibile, allora la lingua diventa non solo un fattore chiave nell’ambito della promozione della diversità culturale e di un’educazione di qualità conforme ai bisogni dei discenti, ma un aspetto essenziale nella lotta con-tro la povertà. Infatti, in quanto mezzo di apprendimento indispensabile all’eserci-zio di ogni forma di competenza sociale e di attività professionale, la lingua gioca un ruolo centrale nell’edificazione delle società della conoscenza; e ciò, sempre di più, attraverso le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione. L’in-segnamento della lingua madre e il plurilinguismo sono dunque i punti cardina-li di uno sviluppo sostenibile che assicura l’ancoraggio di ciascuno nella propria cultura d’origine e la possibilità per tutti di aprirsi agli altri e di trarre i benefici di un mondo in crescente interazione.

Koïchiro Matsuura

Lingua madre, madre terra6 Lingua madre, madre terra 7

Prefazione

Le agende europee ed internazionali sono colme di giornate celebrative. Ci sono due incognite insidiose nell’organizzare questo genere di eventi: una è che essi passino inosservati, l’altra, che si risolvano, anche quando hanno successo, in un mero intervento divulgativo e di “sensibilizzazione sul tema”.Nel realizzare in Trentino un seminario celebrativo della Giornata mondiale UNE-SCO della Lingua Madre, abbiamo puntato ad evitare entrambi i rischi, ottenen-do un duplice scopo: sensibilizzare il pubblico sulla realtà delle lingue regionali e meno diffuse, attraverso la stampa e i media, e nel contempo fare di questo even-to un’occasione di riflessione, di arricchimento culturale e di approfondimento scientifico, anche per gli addetti ai lavori, evidenziando una serie di opportunità a favore delle nostre minoranze linguistiche locali.Una di queste è la candidatura delle Dolomiti a Patrimonio Naturale dell’Umani-tà, argomento principale della sessione a Vich in Val di Fassa, che ha visto l’utile apporto dei funzionari UNESCO in termini di proposte e suggerimenti operativi. Questa candidatura rappresenta di per sé un valore importante in termini di pre-stigio per la minoranza ladina. Ha la forza di evolvere in un progetto globale di sviluppo sostenibile per l’aerale dolomitico, capace di comprendere la promozione della lingua, il rispetto dell’identità della popolazione, la valorizzazione del patri-monio culturale e la protezione dell’ambiente. Questo tema, la tutela delle minoranze linguistiche in termini di costi-benefi-ci, ha avuto un seguito nella sessione del seminario a Palai en Bersntol/Palù dei Mocheni: in un mondo globalizzato, la diversità linguistica offre opportunità ad-dizionali per lo sviluppo economico? E gli eventuali vantaggi possono essere com-promessi da perdite sul piano sociale e politico?

Lingua madre, madre terra6 Lingua madre, madre terra 7

Certamente le lingue minoritarie sono sottoposte a pressioni molto forti, soprat-tutto quando nella società di riferimento prevalgono valori utilitaristici. Con la new economy la funzionalità è diventato il criterio essenziale: può una lingua mi-noritaria essere difesa solo con un’argomentazione culturale, storica e psicologi-ca? La risposta, che è solo apparentemente semplice, scaturisce dagli elementi di-stintivi delle minoranze, dalle modalità di rapporto con i gruppi maggioritari e con le “altre minoranze”, e dalle particolarità del contesto esterno. Si coglie l’opportunità di un nuovo e originale approccio sociologico alla proble-matica; ed è proprio in questa direzione che si è cercato di connotare la sessio-ne conclusiva della Giornata internazionale, svoltasi fra i Cimbri di Lusèrn/Luserna. Sono state affrontate tematiche quali il recupero della lingua minoritaria e la sua esternazione nei momenti di vita collettiva, la collocazione identitaria della mino-ranza linguistica e la sua crescita sociale attraverso l’incentivazione di percorsi cul-turali. Nella società globale, che può vantare solo un’identità debole e asservita alle interrelazioni economiche, la minoranza linguistica non è e non si sente più margi-nale, condannata dall’esiguità dei parlanti; essa ha sempre più legami ed opportu-nità che le permettono di avvertirsi, di posizionarsi, di operare delle scelte. La lingua materna è la rappresentazione di questo orgoglio culturale e sociale. Non a caso abbiamo voluto concludere il seminario con un prezioso apporto, ine-dito, di linguistica comparata della lingua cimbra. Terra, storia, cultura, identità, e lingua parlata, ultima e più importante variabile di un’equazione possibile per la rinascita e la continuità di una minoranza linguistica.

Alessandro PieriniServizio per la Promozione delle Minoranze linguistiche localidella Provincia autonoma di Trento

Lingua madre, madre terra8 Lingua madre, madre terra 9

I partners dell’iniziativa

Provincia autonoma di TrentoServizio au zo halta di mindarhaitn vo dar proviz vo TriaServije per la Promozion de la mendranzes linguistiches localesOmt za unterstitzn de lokaln sprochminderhaitnVia Gazzoletti, 2 – 38100 Trentotel. 0461 493408 – fax 0461 493407serv.minoranzelinguistiche@provincia.tn.itwww.minoranzelinguistiche.provincia.tn.it

UNESCO – Commissione Nazionale ItalianaMr. Vincenzo PellegriniPiazza Firenze, 2700186 Romatel. +39/066873723 int. 210fax +39/[email protected]

UNESCO – CULTURE – Venice OfficeMr. Damir DijakovicProgramme Specialist in Culture4930 Castello – Palazzo Zorzi30122 Venezia, Italytel. +39/041/2601511fax +39/041/[email protected]

Istitut Cultural Ladin – “Majon di fascegn” Strada de la Pief, 7 – Sèn Jan/San Giovanni38039 Vich/Vigo di Fassa – TNtel. 0462 764267 – fax 0462 [email protected]

Bersntoler Kulturinstitut – Istituto Mòcheno loc. Tolleri, 67 38050 Palai en Bersntol/Palu’ del Fersina – TNtel. 0461 550073 – fax 0461 [email protected]

Kulturinstitut Lusérn – Istituto CimbroPlatz G. Marconi38040 Lusérn/Luserna – TNtel. 0464 789645 – fax 0464 [email protected]

Lingua madre, madre terra8 Lingua madre, madre terra 9

GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA LINGUA MADRE

25-26 febbraio 2005

Prologosede del Museo Ladin de Fascia

Saluto dell’on.le Giuseppe Detomas, parlamentare ladino alla Camera dei Deputati

Fabio Chiocchetti, Direttore dell’Istitut Cultural Ladin “Majon de Fascegn”:“La candidatura delle Dolomiti a Patrimonio Naturale dell’Umanità come chance per la minoranza linguistica ladina”.

Intervento dei rappresentanti UNESCO

I° sessione seminarialesede del Bersntoler Kulturinstitut

Saluti del sindaco di Palù/Palai, Loris Moar.

Intervento dei rappresentanti UNESCO

Bruno Groff, Presidente del Bersntoler Kulturinstitut: “La lingua mòchena – misure di salvaguardia e valorizzazione”Renato Troncon – Coordinatore Laboratorio di Cultural Planning & Aesthetics in Practice, Progetto Minoranze Linguistiche StoricheUniversità degli Studi di Trento: “Politiche culturali e politiche di rinascita linguistica per le comunità di minoranza linguistica storica”Bruno Dallago – direttore del Master internazionale sullo sviluppo locale dei Balcani – Università di Trento“Globalizzazione e sviluppo locale nelle comunità di minoranza”

II° sessione seminarialesede del Kulturinstitut Lusérn

Saluto del Sindaco di Lusérn/Luserna, Luigi Nicolussi Castellan

Annamaria Trenti Kaufmann, Presidente del Kulturinstitut Lusérn: “La lingua cimbra – misure di salvaguardia e promozione”Intervento rappresentante UNESCO Salvatore Abbruzzese – Università di Trento: “La dimensione locale-globale delle minoranze linguistiche storiche come opportunità di riproduzione culturale”Luca Panieri – Libera Università di Lingue e Comunicazione IULM di Milano: “Il cimbro come patrimonio storico-linguistico”

Lingua madre, madre terra10 Lingua madre, madre terra 11

Lingua madre, madre terra10 Lingua madre, madre terra 11

Sassolungo, 1979Heini Enrico MauerAcquerello su carta (46.5 x 62.5 cm)

Costone ascendente verso sinistra dai toni giallo-bruni con due fienili bluastri. Sullo sfondo il Sassolungocon striature di nubi e piccoli nevai

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Capitolo 1

Lingua madre, madre terra12 Lingua madre, madre terra 13

Capitolo 1PrologoSede del Museo Ladin de Fascia

Mirella FLORIANVice presidente dell’Istitut Cultural Ladin “Majon de Fascen”

Giuseppe DETOMASparlamentare ladino alla Camera dei Deputati

Luigi CHIOCCHETTIConsigliere ladino e Vicepresidente del Consigliodella Regione Trentino Alto Adige/Südtirol

Fabio CHIOCCHETTIDirettore dell’Istitut Cultural Ladin “Majon de Fascen”

Damir DIJAKOVICProgramme Specialist in Culture UNESCO Venice Office

Vincenzo PELLEGRINIResponsabile Commissione italiana UNESCO

Marco VIOLADirigente del Servizio per la Promozione delle Minoranze Linguistichedella Provincia autonoma di Trento

De roba vèyese de prumes tempes à yö aldìe vo cuntè bayèdes

De autra robese de növes tempesài ince odüe vo cuntè bayèdes…

Di cose antiche e di tempi passati ho uditoe voglio raccontare

Di altre cosee di tempi nuoviho anche veduto e voglio raccontare…

(versetto di presentazione dei Ciantastories ladini)

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la comunità ladinadel Trentino

un modello di societàa misura della minoranza

Mirella FlorianBuon giorno e un benvenuto al Museo Ladino di Fassa a tutti gli ospiti. Questa è un occasione secondo me significativa e importante, mi piace molto quello che c’è scritto sul depliant, ossia che le lingue sono parte integrante del patrimonio immateriale dell’umanità e sebbene siano sottoposte ad un processo vitale che le porta a nascere, evolversi e alle volte morire, non è meno certo che dobbiamo quanto sia possibile per preservarle, per vegliare sulla diversità culturale che a noi è tanto cara. Ecco, allora dobbiamo batterci perché queste lingue possano preser-varsi nel tempo e non morire. Ancora un benvenuto a tutti e vorrei portare anche il saluto del nostro Presidente Danilo Dezulian e di tutto il consiglio di ammini-strazione dell’Istituto Culturale Ladino.

Giuseppe DetomasLe minoranze ladine, mòchene e cimbre rappresentano uno di quei piccoli gioielli che la Provincia di Trento ha al suo interno: patrimonio importante di cultura, di lingua, di tradizioni e di valori. La Provincia di Trento ha fatto molto in questi an-ni per riconoscere le minoranze linguistiche, ma di più hanno fatto le minoranze stesse con la loro volontà e la loro caparbietà, per voler testimoniare la loro pre-senza e portare il loro contributo allo sviluppo complessivo del Trentino. La mino-ranza ladina vive una particolare situazione: nel ventennio, con il ridisegno del-le geografie istituzionali, dettate da motivi nazionalistici da un lato e soprattutto le politiche di omologazione dal punto di vista culturale ed etnico, la comunità ladina è stata divisa su tre province in due regioni, con situazione istituzionali e politiche diverse. Le Provincie di Bolzano e di Trento, che sono autonome e hanno ordinamenti diversi, e poi la Regione Veneto.La nostra comunità soffre di questa differenza di trattamenti giuridici e natu-ralmente anche della incapacità di fronteggiare i fenomeni di omologazione e di erosione della loro identità. La comunità ladina più dinamica è stata proprio quel-la trentina, che si è dovuta conquistare tutta una serie di riconoscimenti, appro-fittando del fatto che qui in Provincia di Trento esistono ordinamenti istituzionali particolari che garantiscono ampia autonomia e garantiscono anche la possibili-tà di arrivare alle norme in tempi brevi e con procedure piuttosto flessibili. I Ladini nella Provincia di Trento in questi ultimi anni sono riusciti a fare un salto di qua-lità e ad invertire in qualche modo i fenomeni di omologazione, e si stanno difen-dendo sostanzialmente. Questo ha trascinato con sé una dinamica positiva anche per le altre due mino-ranze del Trentino, quella mòchena e quella cimbra. Questo è il quadro tracciato in qualche minuto, un quadro tutto sommato positivo; dobbiamo continuare a lavo-rare, trovare nuove vie. La prospettiva che noi abbiamo, dopo che sono state rea-lizzate quelle misure che la letteratura sulle minoranze linguistiche considera pri-marie, per il futuro è quella dell’autonomia, cioè la possibilità per la minoranza di avere una forma sempre più consistente di autogoverno che consenta di costrui-re un modello di società adatto alle sue esigenze. Questo è l’obiettivo futuro prin-

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le comunità ladinecostruiscono insieme il futuro

cipale: c’è la necessità di conservare dal punto di vista identitario, una dimensio-ne che è quella della comunità di lingua minoritaria che ha il diritto e l’esigenza di svilupparsi. Queste sono le nuove sfide che la comunità ladina ha davanti. Abbia-mo un governo provinciale molto sensibile e che cerca di interpretare i motivi che stanno alla base della sua autonomia, per valorizzare l’autonomia delle comunità che ci sono al suo interno, quindi un’autonomia che si espande via via. Vi ringra-zio per quello che fate, non soltanto per la nostra comunità, ma anche per tutte le comunità minoritarie del Trentino. Credo che la nostra sia una battaglia di cultu-ra e di civiltà: il pluralismo è un valore che è connaturato ad una società civile che vuole crescere conservando modelli diversi, che però costituiscono tutti assieme il progresso della civiltà in generale.

Luigi ChiocchettiCredo che per la nostra Valle, per il nostro territorio vanta una tra le più belle ca-tene di montagne e questo patrimonio, sarebbe un’occasione sprecata se ci di-menticassimo della minoranza etnico linguistica che ci vive. Diceva l’amico Beppe che siamo in un momento importante per quanto riguarda la sorte delle cultu-re minoritarie; la Provincia di Trento sta mettendo in atto un processo di rifor-ma istituzionale che, per quel che riguarda ad esempio la Val di Fassa, costitui-sce una grande opportunità, una grande possibilità di sviluppare quelli che sono i programmi per il progresso in materia di salvaguardia della nostra cultura e del-le nostre tradizioni. A questo vorrei collegare anche una prospettiva più larga. Domenica scorsa è stato inaugurato l’Istituto Culturale Ladino di Colle S. Lucia; in quella circostan-za erano presenti tre presidenti delle tre province: Trento, Bolzano e Belluno, le tre province su cui si trovano appunto queste minoranze linguistiche ladine. So-no usciti dei concetti interessanti, un forte impegno dei presidenti proprio per far sì che questa minoranza continui e possa costruire insieme un percorso; la mino-ranza costituisce la vera ricchezza della nostra terra. Quindi si aprono delle pro-spettive davvero importanti ed interessanti. Il tutto si inserisce naturalmente nel grande quadro dell’Europa, perché non ci dobbiamo dimenticare che non ci dob-biamo chiudere, ma inserirci comunque, con quella particolarità nostra che ha qualcosa da dire, da dare. Molto opportunamente questa giornata ci interroga e ci dà la possibilità, degli spunti per ragionare attorno a questi argomenti.

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La candidatura delle Dolomiti a patrimonio naturale dell’umanitàcome chance per la minoranza linguistica ladina

Fabio ChiocchettiLa prima cosa da rimarcare è che la candidatura delle Dolomiti a patrimonio na-turale dell’umanità non investe direttamente o immediatamente gli aspetti cultu-rali, antropologici e linguistici di un territorio, ma non ne può nemmeno prescin-dere: in ogni caso, da punto di vista formale, si tratta di una procedura distinta da quelle che riguardano invece la valorizzazione del patrimonio culturale del no-stro pianeta. Ciò nonostante il tema è intrigante, in modo particolare perché vie-ne proposto qui, presso una delle comunità minoritarie della Provincia di Trento, e per di più in questa occasione in cui si celebra la “Giornata mondiale della lin-gua madre”. È chiaro che questa candidatura può essere una chance per la minoranza ladina: per ogni comunità proporre il proprio territorio per un riconoscimento da par-te dell’UNESCO rappresenta di per sé un valore importante in termini di presti-gio. Ma rovesciando l’ordine dei fattori otterremo un enunciato altrettanto sug-gestivo: “La minoranza linguistica ladina come chance per la candidatura delle Dolomiti a patrimonio dell’umanità”.

In effetti, che un territorio di grande pregio naturalistico possegga un surplus “an-tropologico” determinato dalla presenza di una minoranza linguistica certamen-te non guasta, può anzi costituire un valore aggiunto. Facciamo dunque un passo ulteriore e chiediamoci se per le Dolomiti una caratterizzazione linguistica-cul-turale così forte non possa diventare una chance per il successo stesso della sua candidatura a patrimonio naturale dell’umanità.La procedura non è certo facile né breve, e il suo buon esito non è affatto scon-tato: la concorrenza è forte e numerosa, e una candidatura richiede impegno e molto lavoro. Si sa che i nostri governi locali, pur con sfumature diverse, la so-stengono con convinzione, ma dobbiamo anche riconoscere che non tutti i diversi soggetti nel nostro territorio (compresi taluni esponenti della minoranza lingui-stica) manifestano altrettanto fervore. Conosciamo infatti le resistenze che pro-vengono da certi settori economici o imprenditoriali, ove si suppone che la di-chiarazione di un territorio a patrimonio naturale per l’umanità debba comportare necessariamente una serie di vincoli e di ostacoli allo sviluppo. Non credo sia così, ma sappiamo che resistenze di questo tipo esistono, e que-ste richiedono risposte chiare e convincenti. Altri paventano al contrario l’idea che un tale riconoscimento internazionale sarà inevitabilmente foriero di nuovo e indiscriminato sfruttamento delle risorse paesaggistiche a scopo commerciale, proprio a danno di un equilibrio ambientale già precario e a danno dell’identità culturale delle popolazioni locali. Anche questi timori credo siano infondati, ma

una chanceper la minoranza ladina

pregi naturalisticie antropologici

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vanno anch’essi presi in considerazione e confutati con impegni concreti. Sta di fatto che Ladini e Dolomiti nel corso della storia hanno legato per sempre i pro-pri rispettivi destini, pur essendo due termini affatto recenti. Come è noto, l’oro-nimo “Dolomiti” è piuttosto recente, essendo stato coniato alla fine del sec. XVIII dal geologo svizzero Horace-Bénédict De Saussure (1740-1799) in onore del col-lega Dieudonné de Dolomieu (1750-1801) che aveva scoperto la composizione chimica di questa singolare formazione rocciosa. Dell’etnonimo “Ladino”, tutto sommato, si può dire altrettanto: il termine è certamente indigeno e di antica da-ta, ma come autodefinizione etnica valeva in origine solo in Val Badia e in Enga-dina, mentre la sua estensione a tutto il territorio linguistico è un fatto che gros-so modo risale all’800. Ciò nonostante, nel lasso di tempo corrispondente agli ultimi due secoli, Ladini e Dolomiti hanno finito per costituire un binomio inscindibile: “Ladins dles Dolo-mites” è ormai la denominazione che individua la nostra popolazione all’interno della più vasta area linguistica ladina, costituendone la porzione centrale rispetto ai Grigioni e al Friuli (dove per indicare gli abitanti sono più radicate le voci Ru-mantschs e rispettivamente Furlans); “Union Generèla di Ladins des Dolomites” è chiamata l’organizzazione che in tutti questi anni ha rappresentato le istanze e le aspirazioni identitarie della nostra comunità, un’organizzazione che proprio que-st’anno festeggia i 100 anni dalla nascita; “Ladin Dolomitan” è la denominazio-ne che si è data la lingua unificata (in sede tecnica anche Ladin Standard) creata a partire dagli anni ’90 per ovviare alla frantumazione dialettale interna e fornire alla comunità uno strumento di promozione linguistica e un modello prestigio-so di riferimento. Sotto il profilo terminologico il fenomeno è dunque ben documentato e sicura-mente importante. Ma ancor più importante è il modo in cui la gente ladina, a contatto con questa realtà naturale, ha saputo sviluppare la sua vicenda umana, costruendo per così dire sopra queste rocce una strategia di sopravvivenza e una originale simbologia identificativa con il proprio territorio che precede addirittu-ra il formarsi della lingua: in altre parole le Dolomiti come terreno dell’etnogene-si, luogo che identifica il “mito di formazione del popolo”. Le montagne che ci circondano sono le depositarie di queste radici, quasi una for-za originaria che plasma la cultura del popolo: le montagne, non solo luogo im-pervio ed ostile, ma anche luogo simbolico dove si conservano i tesori di questa popolazione. Sono i “Monti Pallidi”, le montagne nelle cui viscere si nasconde la Regina con il suo popolo nel momento della disfatta, come nella saga dei Fanes, l’ultimo baluardo, il luogo dove ci si può ritirare a difesa nell’estremo pericolo, per attendere – ahimè, a lungo – il “tempo promesso”. Sono il luogo ove si cela il mi-sterioso “Giardino delle rose”, il giardino di Laurin Re-mago e maestro di alchimia, il mitico regno scomparso che anche dopo la maledizione e l’incantesimo dialoga di nascosto con il regno della pietra nuda, in una tensione continua di cui l’enro-sadira è emblema e mutevole manifestazione. L’enrosadira, il riverbero rossastro delle rocce all’alba e al tramonto, non è certo un fenomeno che avviene solo qui,

ladini e Dolomiti:binomio inscindibile

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ma qui acquista un particolare vigore proprio per il fatto che qui le rocce hanno quella particolare composizione chimica (carbonato doppio di calcio e magnesio) che dà alle pareti dolomitiche un particolare biancore, sul quale la luce rosata del crepuscolo si riflette in modo molto più intenso. L’area ladina, come si diceva poc’anzi, si estendeva in origine su territorio mol-to più vasto. Nel corso di un millennio imponenti ondate migratorie, seguite da fenomeni di sommersione linguistica e di crescenti pressioni culturali di opposta origine, ne hanno ridotto la consistenza a quella di un arcipelago composito, in-frammezzato da varie zone di transizione, o anfizone. Aree residue, dunque, aree di resistenza: due in territorio italiano, una in territorio svizzero, laddove quella centrale – detta “Ladinia” per antonomasia – è composta da alcune vallate arroc-cate tra le alte rupi dei massicci dolomitici. Le Dolomiti quindi in qualche modo come custodi e baluardo della lingua. Osser-vando la conformazione del territorio appare chiaro come di fronte a queste im-ponenti barriere coralline si siano attenuati, se non infranti, quei fenomeni di ero-sione linguistica che altrove, a quote inferiori, hanno portato ad una profonda trasformazione della facies di intere regioni. Solo in queste remote valli, dove l’in-sediamento umano va dai 1200 fino ai 1700 metri di altitudine, la lingua e la cul-tura poterono mantenere così a lungo le loro caratteristiche originarie. E infatti non a caso il cuore del sistema orografico delle Dolomiti corrisponde ancor oggi al nucleo forte della Ladinia. È pur vero che il territorio posto sul versante orien-tale del sistema dolomitico appare molto influenzato dalla cultura e dalla lingua veneta, ma proprio in questi decenni anche quest’area è interessata da un feno-meno di recupero (o di re-invenzione) della propria specificità che si ispira espli-citamente al movimento ladino. Vi porto alcuni esempi di come in questo territorio si conservino degli elemen-ti linguistici caratterizzanti: che qui ‘aratro’ si dica caerìa, o cadrìa, insomma un derivato del latino quadriga e non invece piöf, o arader, o versor, come nel vici-no territorio trentino, veneto e lombardo, ha sicuramente un significato. Non può trattarsi di un fatto casuale: probabilmente ci troviamo di fronte a un brandello di “latinità” che rifletteva una diversa formazione sociale, dotata di specifiche basi materiali e culturali, una civiltà che verosimilmente aveva il suo baricentro a nord, in un’area oggi sommersa da lingue di altro ceppo. Tra le tante, citerò un’altra denominazione singolare sopravvive nelle Dolomi-ti: in Fassa e Badia per ‘luglio’ si dice ancora messèl, ovvero ‘il mese delle mes-si’, e non lui, o luio, dal latino Julius. È inusuale che per la serie dei mesi dell’anno una lingua romanza rinunci alla classica denominazione di origine latina, deriva-ta in gran parte dai nomi di dèi e imperatori, per sostituirla con termini ricavati dal calendario agricolo: per quanta poca importanza avessero dèi e imperatori nel mondo rurale della bassa latinità o del Medioevo, queste denominazioni resistono pressoché ovunque. Oltre alle Dolomiti, soltanto la Svizzera romancia presenta un caso analogo, dove per i mesi di giugno e luglio troviamo il sursilvano zercladur ‘il mese della sarchiatura’ e rispettivamente fenadur ‘il mese della fienagione’. Al di

l’areale ladino nella storia

peculiarità linguistichecaratterizzanti

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là delle diverse forme di realizzazione, siamo di fronte ad uno stesso meccanismo motivazionale: qui si manifesta la spinta creativa, innovativa, di un popolo molto radicato sul proprio territorio, che ad un certo punto “decide” di rinominare i me-si dell’anno secondo il proprio habitus culturale. Ma torniamo al tema che caratterizza questa giornata, la “lingua madre”. Abbia-mo visto come le Dolomiti possano essere considerate scrigno e baluardo della lingua. Se consideriamo valida l’equazione “lingua madre = madre terra”, è com-prensibile come una popolazione che abbia sviluppato un rapporto così stretto con il proprio territorio possa aver unito in modo altrettanto stretto l’amore per la propria lingua con l’attaccamento alla propria terra. “N bon fascian dalonc da ciasa prest l mer”, dicono i versi del poeta: “lontano dalla sua terra un vero fassa-no muore”. Pastori abituati a frequentare le alte quote, radicati in questi territori alpini nonostante le loro transumanze stagionali, nonostante la scarsità delle ri-sorse e il clima rigido, comunità che su queste rocce in qualche modo hanno co-struito la loro identità, elaborato i loro simboli, fondato le loro aspirazioni: sono questi gli elementi costitutivi di una civiltà fatta di uomini e di donne che ritrova-no in questo territorio le ragioni della propria vita, della propria storia, il proprio humus, conservando, ma anche innovando forme culturali e linguistiche di no-tevole originalità, definendo persino – in epoca più recente – con i colori del ter-ritorio la loro propria bandiera: il verde dei prati, il bianco delle rocce più o meno innevate e l’azzurro del cielo. La bandiera ladina nacque circa intorno al 1920: fu la stessa che sventolò impe-riosa sul Passo Sella nel 1946, quando di fronte alla nuova era che la democrazia sembrava dovesse annunciare anche per le piccole popolazioni, tremila ladini si raccolsero per richiedere non tanto il passaggio da una regione all’altra, quanto per rivendicare il diritto a condividere lo stesso destino. Purtroppo l’appello restò inascoltato, ma su questa lunga storia di divisioni, di conflitti, di confini e di riven-dicazioni, si venne a costituire l’identità presente della comunità ladina.Questo è un problema ancora del tutto attuale: come temperare le esigenze dello sviluppo con la difesa del territorio e della lingua. A mio avviso i due termini del-la questione non sono scindibili né inconciliabili. Non escludo che la candidatura delle Dolomiti a patrimonio naturale dell’umanità possa portare ulteriore presti-gio alla minoranza ladina, a patto che attraverso un dibattito partecipato i valo-ri insiti in quest’operazione possano radicarsi nelle coscienze degli individui, nei programmi delle organizzazioni culturali e nell’attività delle istituzioni: ciò po-trebbe tradursi nella costruzione di un progetto complessivo per l’intera area do-lomitica, un progetto di sviluppo sostenibile in grado di contemplare rispetto per l’ambiente, cura del territorio, valorizzazione del patrimonio culturale, promozio-ne della lingua e rispetto dell’identità della popolazione locale. Se poi la candidatura avesse successo, se davvero le Dolomiti dovessero essere dichiarate patrimonio naturale dell’umanità, allora si tratterebbe davvero di una chance non soltanto per i progetti di valorizzazione della minoranza ladina, ma per la sua stessa sopravvivenza.

il rapporto inscindibiletra territorio e lingua

la bandiera ladina

difesa della terra,difesa della lingua

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Damir DijakovicSe non sbaglio, c’è anche una seconda parte del seminario nel pomeriggio, pe-rò in questa eccezionale sessione di presentazione trovo originale legare l’aspet-to della proposta della nomina delle Dolomiti ad un aspetto linguistico. Diciamo che da dieci anni che io sono in UNESCO, non ho mai visto un esempio così chiaro di concetti legati uno all’altro. Credo che la dichiarazione di un legame intrinseco tra uno e l’altro di questi aspetti sia molto valida. Il successo della candidatura è legato all’esistenza della minoranza ladina e viceversa l’esistenza della minoranza ladina (come anche delle altre) possono contribuire al successo della proposta di nomina della Dolomiti a patrimonio mondiale. Io comunque lascerei da parte per il momento l’aspetto linguistico. I fatti sono i seguenti: il paese membro, l’Italia, ha già presentato la candidatura delle Dolomiti sulla lista cosiddetta “propositi-va”, che è un primo passo, secondo la convenzione del Patrimonio Mondiale, per essere valutata per la nomina. Io devo dire che il vero lavoro sta per iniziare solo adesso, perché la procedura per la nomina vera, la preparazione del dossier per la nomina è effettivamente un grande lavoro ed è molto complesso. Io ho appena letto adesso questo documento dell’Ufficio Stampa della Provincia di Trento, dove vedo che la procedura è già avviata.Addirittura mi sono detto mentre venivo qui, visto che le province coinvolte che condividono la zona delle Dolomiti sono tre, la prima cosa sarebbe effettivamen-te di stabilire un gruppo di lavoro. Il coordinamento dei portatori di interesse fra di loro è essenziale, allora mettendo insieme un gruppo, non solo costituito dalle province ma soprattutto gli abitanti in questa zona, si avrebbe un coordinamen-to chiaro e ben gestito. Questo sarebbe dal mio punto di vista essenziale per una buona preparazione del dossier. Dossier che poi è essenziale per l’esame da parte del Comitato per la valutazione del patrimonio mondiale; devo essere molto chia-ro su questo punto, perché ogni tanto mi arrivano delle considerazioni del tipo “è l’UNESCO che decide sulla nomina?”. Non è così, è il Comitato composto dai paesi membri che decide. Perciò in questo caso la comunicazione con altri membri del Comitato è una parte importante della presentazione, e addirittura viene prima della presentazione stessa.Durante la preparazione del dossier di candidatura, è molto importante chiarire qualche punto; il primo passo è la denominazione del territorio: bisogna definire esattamente quali sono i confini del territorio proposto per la nomina, perché da questo vengono definite tutte le altre esigenze del processo di nomina. Noi og-gi, sfortunatamente, dopo 30 anni di esistenza della Convenzione del Patrimonio Mondiale, ci siamo accorti che le prime candidature, proprio per motivi di delimi-tazione del territorio, oggi hanno grossi problemi. Come esempio vorrei portare una risorsa, naturale e anche culturale, della Ma-cedonia: il lago di Ohrit. È stato nominato patrimonio mondiale nel 1976, se non sbaglio, e praticamente, proprio per motivi di mancata delimitazione, oggi si pon-gono grossi problemi di sviluppo dentro il territorio, presupposto di quello che è stato scritto sul patrimonio mondiale, legato alla delimitazione, ai confini del ter-

la candidaturaa patrimonio naturale

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ritorio. Vedo inoltre due altri punti: la sostenibilità del territorio proposto, quali sono le attività economiche in questa zona, che poi definisce anche l’aspetto le-gislativo locale che viene riportato dentro la candidatura, che viene in un certo modo valutata dal comitato. Ovviamente ci sono delle esigenze di sviluppo, ci sa-ranno sempre, però una buona pianificazione può effettivamente, fin dall’inizio, definire quali sono le intenzioni del paese membro sulla località che viene can-didata a patrimonio mondiale. Un altro punto importante, come per tutti i siti iscritti sulla lista del patrimonio mondiale, è il cosiddetto “piano di gestione”. Co-munque, tutto questo comincia con la definizione del territorio e con un buon coordinamento da parte del gruppo di lavoro. Tornando all’aspetto linguistico, la ricchezza culturale di questo territorio, oltre alla bellezza naturale, probabilmente è il punto più forte di questa candidatura e penso che la preparazione del dossier deve mettere un forte accento su questa ricchezza, che è linguistica certo, ma non solo. Io come “non italiano” posso dire che già da giovane (ormai più di trent’an-ni fa) ho sentito parlare del Trentino; allora già si conosceva questa bellezza del-la montagna. Questo è quello che ricordo io, perciò la ricchezza culturale, tramite i meccanismi di valorizzazione e di promozione esisteva già; il fatto è di vedere adesso in quale maniera aumentarli, potenziarli nell’ambito del turismo culturale, perché là con-vergono la sostenibilità e la continuità dell’esistenza di tutte le ricchezze cultu-rali che esistono sul territorio, perché nel momento che questa ricchezza diventa

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mondialmente conosciuta, quando il grande pubblico diventa cosciente e ha vo-glia di venire e passare un periodo qui, non solo per sciare, ma anche per vedere altre specificità di questo territorio, in quel momento questa diventa un’esistenza sostenibile. Questi sarebbero i punti che mi sono venuti durante il mio arrivo qui. Io spero di avere successivamente nella giornata la possibilità di discutere un po’ più in profondità questi aspetti.

Vincenzo PellegriniDesidero portare a tutti i presenti il saluto della Commissione nazionale italiana dell’UNESCO ed esprimere un ringraziamento alla Provincia autonoma di Trento per essersi fatta carico dell’organizzazione di questa manifestazione. Devo dire che questo primo incontro per me è stato, come dire, una proiezione nella realtà di quelli che sono i principi, i momenti forti della riflessione dell’ UNESCO sul te-ma delle minoranze. Mi è piaciuto molto il collegamento con la Madre Terra, collegamento forte che diamo non a caso, perché il discorso della celebrazione dedicata alla lingua madre in un certo senso è collegato fortemente al discorso di una identità. Intendo rife-rirmi all’evento odierno: al contrario di quello che normalmente riguarda le gior-nate UNESCO, questa giornata nasce ispirata da una rivolta avvenuta nel Pakistan orientale (ora Bangladesh) nei confronti del governo centrale, che voleva imporre la soppressione dell’uso della lingua bangla nelle amministrazioni pubbliche, nella scuola, nelle attività giuridiche. Quella rivolta dell’attuale Bangladesh fu purtrop-po sanguinosa e l’UNESCO ha ritenuto di collegare alla celebrazione della lingua madre alle città coinvolte nella rivolta. Questo però permette di sottolineare quel forte senso di identità che si trova in ognuno di noi e credo che in questo senso la tutela delle lingue, che inevitabil-mente può svolgersi in forme estremamente diverse a seconda delle realtà con cui ci si viene a confrontare, debba essere uno dei momenti principali della comunità locale. Si sta verificando un fenomeno, che è molto importante per l’UNESCO, che è quello della assenza dei nodi principali per la maggior parte del patrimonio lin-guistico. Ecco perché l’UNESCO ritiene che uno dei momenti forti della riflessione sulle lingue e sulla lingua madre debba essere appunto rivolto alla presenza del-le lingue minoritarie, in via di scomparsa. Una delle proposte dell’UNESCO sono ad esempio i dizionari informatici multilingue, ma vorrei andare un pochino oltre. Il momento forse principale è prendere esempio dalle proprie esperienze; io pri-ma di intraprendere questo viaggio ho avuto modo di fare una ricerca in Internet per individuare alcune esperienze e ho rilevato una cosa abbastanza interessante e in un certo senso anche preoccupante: non esiste un momento di accesso co-mune alle non poche minoranze e particolarità linguistiche che sono presenti nel nostro Paese. Questo credo che debba essere un momento di riflessione, ma anche un progetto di lavoro per tutte le minoranze linguistiche, per tutte le isole linguistiche diver-se nella nostra realtà. Ho notato anche un’altra cosa piuttosto importante, questa

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mi permetto di sottoporla alla vostra attenzione: è difficile accedere ai non pochi siti che si occupano di queste tematiche, se non si hanno delle chiavi che si riferi-scono a quella lingua, a quell’isola linguistica. Cioè, se qualcuno ad esempio è in-teressato al cimbro, difficilmente troverà dei riferimenti al mòcheno o al ladino. È un discorso abbastanza curioso ma anche abbastanza preoccupante. Credo che qui i segnali che arrivano dall’UNESCO debbano in qualche misura essere ripresi e concretati con un invito a tutta la comunità nazionale. Devo dire che ho trova-to affascinante anche il discorso della contaminazione tra patrimonio materiale – quanto di più solido e materiale delle montagne – e il patrimonio meno materiale e forse più fragile che è quello linguistico; io lo vedo come un elemento di forza della candidatura, anche perché già questo primo incontro con la realtà, mi ha da-to l’idea di una particolare vivacità e peculiarità, ben costruita, dove c’è uno sforzo di riflessione che credo possa essere estremamente importante per questa candi-datura. Credo che vada inoltre sottolineato l’impegno a lavorare insieme: questa è una candidatura che riguarda varie realtà e il fatto di essere iscritti a patrimo-nio dell’umanità, sia esso naturale o culturale, non è solo mettersi un’etichetta di qualità, ma è prima di tutto un grande impegno. Un grande impegno, che chi ha la fortuna di essere conservatore e depositario di questo bene si assume verso l’in-tera collettività nazionale, collettività che diviene però a sua volta anche “proprie-taria” di questo bene. Quindi è importante che i momenti della gestione siano al centro della discussione collettiva.Un ultimo aspetto, che voglio almeno segnalare: tenete presente che l’UNESCO concepisce il patrimonio come un’occasione di sviluppo che deve prendere la di-rezione “sostenibile”. È un’occasione di pensare al proprio sviluppo e di pensarlo in funzione delle generazioni future, che in Trentino, io mi auguro, possa avvenire in piena vitalità anche per i gruppi linguistici che oggi celebriamo.Vorrei concludere con un ringraziamento per la vostra ospitalità e moltissimi complimenti per la struttura e la realtà in cui mi sono venuto a trovare.

Marco ViolaCredo che possiamo considerare concluso il primo momento di questa giornata. Vorrei aggiungere un ringraziamento al dottor Gamper, che rappresenta qui la Re-gione Trentino Alto Adige. Il pensiero con il quale vorrei chiudere lo traggo dalle parole del Presidente della Provincia autonoma di Trento, Lorenzo Dellai che, pre-sentando il nuovo Istituto Cimbro – istituto rappresentativo di riferimento della minoranza più piccola del Trentino, la minoranza di Luserna – ricordava con una felice espressione come a questa splendida ricchezza culturale, a questa sensibilità che la nostra comunità provinciale dedica alle minoranze linguistiche, corrisponda una responsabilità molto pesante sotto il profilo culturale. È vero che, se la Provin-cia di Trento fa molto per le sue minoranze, le minoranze linguistiche hanno fatto moltissimo per la collettività provinciale, per le istituzioni e per la storia, per la cre-scita e lo sviluppo del Trentino. Forse tutto questo è anche un modo per ringraziare le minoranze per la loro esistenza, per la loro lotta per la difesa identitaria.

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La fucina, 1959Bruno FantonOlio su compensato (50 x 60 cm)

Angolo della Val di Fassa con grande e basso edificio al centro macchie d’alberi e montagne sullo sfondo.In primo piano le acque dell’Avisio

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Prima sessione seminarialeSede del Bersntoler Kulturinstitut

Loris MOARSindaco di Palae en Bersntol/Palù del Fersina

Bruno GROFFPresidente dell’Istituto Mocheno/Bersntoler Kulturinstitut

Giuseppe DETOMASparlamentare ladino alla Camera dei Deputati

Damir DIJAKOVICProgramme Specialist in Culture UNESCO Venice Office

Vincenzo PELLEGRINIResponsabile Commissione italiana UNESCO

Marco VIOLADirigente del Servizio per la Promozione delle Minoranze Linguistichedella Provincia autonoma di Trento

Renato TRONCONCoordinatore Laboratorio di Cultural Planning & Aesthetics in Practice, Progetto Minoranze Linguistiche Storiche – Università degli Studi di Trento

“Politiche culturali e politiche di rinascita linguistica per le comunitàper le comunità di minoranzad di minoranza linguistica storica”

Bruno DALLAGOdirettore del Master internazionale sullo sviluppo locale dei Balcani Università degli studi di Trento

“Globalizzazione e sviluppo locale nelle comunità di minoranza”

Capitolo 2

“…An bellan schon as ist voter, as de echern sai’ puckt in dru’, barn sa nicht ins!’’ Der voter hòt aro zouchen, oar garupft zboa echern: “Schau de doin echern as puckt sai’, de sai’ schbar ont en de sel as kachea strea’ hòt ‘s nicht drinn!’’

“…Che danno, padre, così tante spighe sono piegate a terra! Il padre sgranò due spighe e rispose: Guarda le spighe piegate a terra come sono pesanti e piene di grano, mentre quelle in piedi so-no vuote!”

Racconto mòcheno

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Loris MoarAn schea’n gruas en òlla de lait as kemmen sai’ za lisnen ont za schaung zua ont en òlla de sèlln as enteressiarn se za learnen za kennen s inser Tol.Un cordiale saluto a tutti i presenti, intervenuti per ascoltare e per approfondire la conoscenza della nostra realtà.Sono felice di avervi qui ospiti. e aprire questa sessione della giornata mondiale della Lingua Madre. Credo che il fatto che ci troviamo qui oggi, in questa nostra realtà, sia una cosa importante e significativa, e credo che un ringraziamento lo dobbiamo anche al Servizio per la promozione delle Minoranze della Provincia che ha accettato di promuovere questo incontro.Ci troviamo in una realtà costituita da Palù, Fierozzo e Frassilongo, tre piccoli co-muni in cui si parla la nostra lingua madre mòchena; è una grande soddisfazione trovarci qui con l’UNESCO, che si occupa della salvaguardia delle minoranze di lin-gua madre a livello mondiale. Noi nello specifico, siamo una piccola realtà di cir-ca duemila persone in tutto che parlano il mòcheno; è significativo e importante per noi mantenere questa nostra tradizione. Io stesso ho parlato solo il mòcheno fino a sei anni, fino alla scuola elementare, e così anche i miei figli, e quasi tutti qui nella nostra realtà parlano il mòcheno. Abbiamo l’Istituto Culturale che si oc-cupa della salvaguardia della lingua, abbiamo la scuola elementare, il polo scola-stico di Fierozzo, dove si sta cercando di far imparare il tedesco e il mòcheno. La volontà dell’Istituto, che vi illustrerà il nostro Presidente, è importante per porta-re avanti questa nostra lingua. Noi vogliamo che in futuro si possa continuare a parlare la nostra lingua mòchena. Vi ringrazio della partecipazione e delle relazio-ni che saranno presentate.

Bruno GroffUn grazie anche da parte mia a nome di tutta la comunità, come sempre è im-proprio focalizzare sul presidente il rappresentante della comunità: la comunità è fatta di persone, di tante persone. Io mi trovo al vertice insieme ad un gruppo di persone che fanno parte e dell’amministrazione e del comitato scientifico che an-drà a formarsi proprio stasera e che cercherà di fare del suo meglio per la comu-nità. Il mio intervento è concentrato sulle misure di salvaguardia, un po’ per fa-re il quadro della situazione soprattutto alle persone esterne, poi volevo appunto lasciare più che altro spazio ai tecnici per sentire da loro anche quali sono le te-matiche.Subito e con grande piacere abbiamo accolto la delegazione della commissione nazionale italiana di un grandissimo ente internazionale qual è l’UNESCO. I pae-si di Frassilongo Fierozzo e Palù, complessivamente circa 850 persone su un mi-gliaio di persone hanno come lingua madre il mòcheno; questo semplice dato non ci può comunque lasciare tranquilli, circa il 20% solo di bambini in età scolare ha come lingua madre il mòcheno, un’altra parte poi è conoscente passiva della lin-gua. Le cause e i fattori di questo sono i soliti, lo scarso prestigio del mòcheno (anche se adesso c’è una certa inversione di tendenza), i matrimoni mistilingui,

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la povertà lessicale, il rapporto meno diffuso con la lingua tedesca, la pressione esercitata dalla lingua di maggioranza, dai mass media, dalle istituzioni civili, ecc. L’istituto Culturale Mòcheno Cimbro, (che adesso si chiama solo Istituto mòcheno, dopo la recente separazione dall’Istituto cimbro che visiterete domani a Luserna) è nato nel 1987, ha operato nei vari campi attribuitigli dallo statuto, che spaziano dall’attività di tipo museale alla redazione di mostre e seminari, allo studio e rea-lizzazione di strumenti in campo linguistico.È in quest’ultimo settore che le nostre attività si sono maggiormente concentra-te, anche grazie al sostegno della Provincia autonoma di Trento e della Regione Trentino Alto Adige, e anche adesso con questi nuovi progetti sulla legge 482/99, pian piano siamo riusciti a predisporre iniziative e strumenti, fra questi innanzi-tutto la “Grammatica della lingua mòchena”, che fornisce le principali nozioni in campo fonetico, morfologico e sintattico per chi intende usare la lingua mòchena per la scrittura. L’Istituto applicherà tutto lo sforzo possibile affinchè sia questo lo strumento per la scrittura unificata della lingua mòchena in tutti i settori del-la vita pubblica in Valle, dai Comuni alla scuola, al privato, all’attività commercia-le. Si sta poi lavorando intensamente per predisporre ulteriori strumenti tra i quali spicca il dizionario interattivo consultabile in Internet a partire dal mese prossi-mo, che costituisce una topografia precisa del lessico mòcheno in questo inizio millennio.Una svolta epocale si è avuta nella scorsa estate, quando è stata capovolta la re-gia della complessa problematica della toponomastica, passata dalla commissione toponomastica provinciale al nostro Istituto Culturale. In pratica siamo stati tito-lati del diritto di dire come vanno scritti i nostri toponimi e nella circostanza mi scuso con i professori che fino ad allora li decidevano. Un apposito progetto che prevede finalmente la predisposizione di adeguati strumenti cartografici nonché l’approfondimento delle indagini finora svolte è già stato finanziato e inizierà al più presto. Ulteriori progetti, molti dei quali coinvolgono diverse discipline e che non sono finalizzati all’esclusivo settore linguistico, si sono svolti o sono in corso di svolgimento: è proprio qui che la situazione è delicata.Gli amministratori e la popolazione premono sempre affinchè gli interventi di sostegno rivestano anche la caratteristica della pertinenza, non siano destinati esclusivamente al settore culturale- linguistico, ma coinvolgano anche altri cam-pi nei quali la Valle purtroppo è estremamente debole. Cito ad esempio gli alti co-sti che tutti devono sostenere per vivere in montagna, la necessità di un raffor-zamento delle infrastrutture con risvolti di carattere economico ad esempio nel campo turistico.L’adeguamento delle reti di alta tecnologia, TV e reti telematiche, purtroppo ab-biamo una mezza linea ISDN che arriva fino all’Istituto ed è un grosso handicap, perché quando vorremmo fare delle video conferenze soprattutto ad esempio sul progetto del vocabolario, non possiamo farlo. Questo per la Valle, la possibili-tà di avere l’accesso al mondo informatico sarebbe un grosso vantaggio, oltre al mantenimento almeno agli standard attuali dei servizi essenziali. L’attivazione di

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strumenti in grado di unificare tendenze in atto e innovazione potrebbe prendere spunto proprio da una realtà come la nostra e costituire, soprattutto per noi, un modello anche per le altre realtà del Trentino, sofferenti per la scarsità di risorse economiche, in grado di supplire almeno parzialmente alle esigenze locali.

Vincenzo PellegriniLa ringrazio, Signor Sindaco e a tutti gli intervenuti il saluto della Commissio-ne internazionale che io rappresento, un saluto particolarmente caloroso da par-te della Commissione italiana per l’UNESCO, che ritiene importante dare in que-sta giornata dedicata alla lingua madre una testimonianza ad una realtà, anzi ad un complesso di realtà all’interno della provincia di Trento, che hanno elaborato un modello particolarmente significativo e attivo di tutela degli aspetti linguisti-ci. Giornata della lingua madre…che cosa si propone, che cos’è questa celebra-zione?Le giornate sono degli strumenti di lavoro, se così mi posso esprimere, che molte realtà, e tra questi il sistema delle Nazioni Unite, utilizzano per riuscire a concen-trare, non solo ad attirare l’attenzione del pubblico, dei media e dando per scon-tato quello per gli addetti ai lavori, ma anche per riuscire a sviluppare una rifles-sione, per riuscire a centrare momenti rilevanti di determinate problematiche che l’Organizzazione ha assunto come proprie.La giornata della lingua madre viene da una serie di considerazioni che sono col-legate al fatto che nella realtà che tutti siamo chiamati a vivere in questo momen-to, il patrimonio linguistico dell’umanità va rapidamente impoverendosi. Pratica-mente ogni due settimane, ci spiegano i linguisti, un qualche idioma sulla faccia della terra cessa di avere parlanti.Oggi ci si confronta con una realtà di circa seimila lingue ancora vive se non vitali e di queste, sempre secondo quanto ci spiegano i cultori di queste materie, oltre tremila sono a rischio di estinzione, cioè non sono ormai parlate da un numero sufficiente di ultime generazioni tale da assicurare la conservazione di questo pa-trimonio linguistico. Per l’UNESCO questa situazione è estremamente seria e gra-ve perché come è intuitivo, la lingua è lo strumento attraverso cui, non solo si co-munica, non solo si trasmette, non solo si vive, ci si appropria di un certo modo di vivere e si rendono noti agli altri, ma sono soprattutto lo strumento attraverso cui una cultura si esprime, si trasmette, si conosce.L’UNESCO si muove quindi nella direzione di uno sforzo di tutela delle lingue, sforzo che deve essere in particolare accentuato in questa fase, in cui ulteriori ele-menti concorrono alla riduzione del ventaglio delle lingue che trovano spazio. Se voi pensate che quasi il 90% della popolazione nel mondo parla sostanzialmente otto lingue, e che tra queste otto lingue non ci sono, oltre alla nostra, delle lingue che tutti siamo abituati a considerare rilevanti, non fosse altro per l’enorme pa-trimonio culturale che rappresentano quali il francese o il tedesco. Se voi pensate che quello che è diventato il veicolo comunicativo per eccellenza, cioè Internet, è al 90% patrimonio di una dozzina di idiomi, vi rendete conto come gli spazi che

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restano per determinate culture e per la loro forma espressiva siano sempre più modesti. Ecco quindi che come espressione delle diversità di cui ogni cultura è portatrice, l’UNESCO svolge una battaglia in cui la “giornata” è uno degli elementi portanti e di visibilità per la tutela delle minoranze. La lingua madre va soprattut-to rilevata sotto l’ottica del diritto di ciascuno di apprendere dalla propria lingua, di conoscere e rapportarsi con le istituzioni, che è forse il momento più impor-tante per la collettività. L’UNESCO punta fortemente su questo tipo di discorsi, su questo tipo di obiettivi, che nella realtà in cui ci troviamo, trovano dei modelli di tutela francamente molto interessanti e significativi. Ringrazio ancora i nostri gentili ospiti ed organizzatori e a questo punto lascerei la parola a chi ne sa più di me su queste tematiche.

Marco ViolaGrazie Signor Sindaco, buona sera a tutti e grazie per essere intervenuti ed aver accettato l’invito a partecipare a questo incontro. La Provincia e l’UNESCO, acco-gliendo la proposta della Provincia autonoma di Trento, hanno voluto dedicare questa giornata della lingua madre del 2005 alle lingue di minoranza del Trentino. È un gesto simbolico, di celebrazione, è un piccolo gesto per dire alle comuni-tà linguistiche di minoranza del Trentino “un grazie” da parte della Provincia di Trento, della comunità provinciale, per quello che le comunità di minoranza fan-no. Perché mantengono la loro identità, mantengono viva la loro lingua e questo non è facile, ma con questo arricchiscono e contribuiscono in maniera determi-nante allo sviluppo della comunità provinciale.Stamattina in Val di Fassa, oggi in Val dei Mòcheni, domani mattina a Luserna, questo momento di celebrazione vuole avere proprio questo significato di ricor-dare e celebrare la lingua minoritaria in quanto lingua madre. Diceva questa mat-tina l’Onorevole Beppe Detomas, che è qui con noi e che ringrazio per questa sua particolare attenzione, che nel nostro contesto la Provincia autonoma di Trento ha fatto molto, soprattutto negli ultimi anni per le comunità di minoranza, ma al-trettanto le comunità di minoranza hanno fatto per lo sviluppo e l’affermazione dell’autonomia trentina. Credo che i due percorsi di autonomia in qualche modo siano due percorsi analoghi, quello della Provincia in quanto istituzione e quello delle comunità e della loro affermazione.Quindi molta attenzione per quello che ci diranno i nostri relatori, ancora grazie a voi e ad una prossima occasione. Grazie.

Giuseppe DetomasCome dicevo stamattina alla sessione di Vigo di Fassa, il percorso delle minoranze linguistiche del Trentino è iniziato non da molto tempo ma ha già fatto dei passi significativi grazie alla caparbietà delle comunità stesse, grazie anche alle diverse sensibilità, a volte strumentali ad esigenze al di fuori di quelle precise della comu-nità. Riteniamo però di avere un ruolo: le minoranze vogliono avere un ruolo per-ché nessun’ altra comunità, come quella delle minoranze linguistiche, è portatrice

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e vive sulla propria pelle, il fatto di vivere in una società che vuole essere diversa, vuole essere composta di più componenti. Il contributo che possono dare le co-munità di lingua minoritaria alle nostre comunità, è un contributo a costruire una società pluralista, democratica, aperta al popolo e che vuole mettere insieme le diversità e non omologare, e questi credo siano dei valori importanti non soltan-to per il Trentino ma per società che si vanno allargando sempre più e sempre più sono oggetto e soggette a fenomeno di omologazione, alla morte di comunità.Voi sapete che la lingua fa parte del DNA, si dice da qualche parte, dell’identità stessa delle persone e allora quando noi rinunciamo a una cosa importante co-me la lingua, rinunciamo a una parte importante di noi e questo noi non lo vo-gliamo fare. Grazie per quello che la Provincia fa, proprio questa mattina dicevo che siamo stati fortunati a trovare sempre persone che si sono appassionate alla questione delle minoranze linguistiche, perché non è facile trovare delle persone che si appassionano a delle problematiche che in fondo possono anche non inte-ressare direttamente.Grazie alla Provincia che è riuscita a mettere in questi posti persone motivate, rin-grazio per quello che riescono a fare anche le comunità diverse dalla mia, perché sono contributi all’azione di tutte le minoranze. Grazie naturalmente all’UNESCO che si preoccupa di queste piccole minoranze, di questa piccola zona marginale dell’Italia, che però in questa specifica materia, rappresenta oggettivamente l’ec-cellenza e quindi grazie e buon lavoro anche all’Università e al mondo accademico a cui chiediamo un’attenzione particolare. Spesso noi vediamo i risultati delle ri-cerche scientifiche lontano dalla realtà delle minoranze, a volte si dice: ma perché questi investimenti non vengono diretti a questioni che sono, come dire, l’emer-genza, perché noi viviamo giorno dopo giorno l’emergenza, l’erosione che noi su-biamo come comunità, l’erosione linguistica. A volte l’emergenza viene dimenti-cata e si danno più spazi a ricerche che sono scientificamente e oggettivamente importanti, ma non rispondono all’immediato. Ecco, è questo che chiediamo al mondo accademico, augurando anche a loro un buon lavoro, perché tutti insieme

dobbiamo costruire un progetto per il futuro delle nostre comunità.

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Politiche culturali e politiche di rinascita linguistica per le comunità di minoranza linguistica storica

Renato Troncon – Università degli Studi di TrentoIl discorso che segue presenta, obbligatoriamente in via sommaria, spunti di ri-cerca e di azione che mirano a fare delle politiche culturali un caposaldo delle po-litiche linguistiche. Si tratta, in altri termini, di operare affinché alcune tradizioni e prospettive di azione culturale divengano il vettore principale di quelle misu-re che – in considerazione dell’urgente necessità di arrestare la consunzione delle lingue di minoranza e la loro sparizione – intendono avviare il processo della lo-ro rinascita.

1. Il concetto di lingua madreMa veniamo ora a una brevissima presentazione di concetto e senso di ciò che è una lingua madre. Cosa diciamo quando parliamo di “lingua madre”? Quali sono le implicazioni possibili di ciò che pensiamo con esso? Il concetto di lingua madre è un concetto solo in apparenza ovvio.Esso è in realtà relativamente ambiguo e non è neppure presente negli usi delle diverse lingue europee con il medesimo significato. L’ambiguità del termine è tale che la sua difesa non sarebbe neppure, ipso facto, da considerarsi la difesa del più forte bastione contro la crisi delle lingue di minor diffusione. Se per esempio con lingua madre si dovesse intendere una sorta di lingua familiare, degli affetti, ecc., questa lingua verrebbe fin da subito resa minoritaria dal confronto con le molte altre lingue che potrebbero in un certo senso dirsi – per analogia – lingue “padre” se non addirittura “matrigne” o “patrigne”. In questo stesso senso nonostante la piacevolezza della battuta, di certo non aveva ragione quell’anonimo francese il quale diceva che “la langue maternelle c’est celle qui sort quand vous vous tapez les doigts avec un marteau”.Questa riflessione trova supporto nella letteratura. Due autori, Georges Ludi e Bernard Py,1 si oppongono al concetto di lingua madre per il fatto stesso che que-sto concetto rinvia in maniera piuttosto equivoca alla lingua parlata dalla madre, in un certo senso indebolendola e circoscrivendola quanto meno temporalmen-te invece di rinviare – come sarebbe invece legittimo – alla lingua che si apprende per prima e che dovrebbe essere considerata la lingua “forte”. Questi stessi autori propongono la sua sostituzione con il termine “prima lingua”, una proposta che ricalca la scelta compiuta in ambito anglosassone nel quale si distingue tra “nati-ve speaker” e “non-native speaker”.

1 G. Ludi, B. Py, Etre bilingue, Berna 1986, p. 26

ambiguità del termine“lingua madre”

lingua viva e lingua dotta

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In realtà, al di là di questa discussione sulla terminologia, quando si parla di lingua madre bisogna considerarne una doppia rilevanza. La lingua madre, anzitutto, è il termine con il quale agli inizi dell’età moderna si contrappone la lingua viva di un popolo o una comunità alla lingua dotta – il latino – di una comunità assai più ri-dotta, e quindi si fa riferimento a una lingua che viene introdotta gradualmente nei più diversi ambiti della vita ai suoi più diversi livelli con evidenti conseguenze sociali e politiche per la vita religiosa, giuridica, scientifica.Lingua madre è però anche il termine con il quale si fa riferimento alle peculiari relazioni che una lingua intrattiene con la propria comunità di riferimento in ordi-ne alla creazione degli oggetti culturali, ma anche con le parti più profonde della cultura in ordine alla percezione dei valori più profondi dell’esistenza e del mon-do. Questi aspetti si trovano chiaramente espressi nella formula proposta da Leo Weisgerber (1899-1985), grande linguista e filosofo del linguaggio, il quale dice-va che la lingua madre è il processo del cosiddetto “Wortens der Welt” – la “mes-sa in parola” – che una comunità compie.2 In questo processo si può distinguere la duplice azione di ogni lingua madre, ovvero anzitutto la sua azione produtti-va (propria di ogni singola lingua) che consiste nel dare forma all’intera attività produttrice e creatrice di una comunità, ma anche si può distinguere il processo di disegno dell’Essere che è altrettanto unico per quella cultura.3 Le conseguen-ze di questa duplice azione della lingua madre, che a chi conosca qualche cosa di filosofia del linguaggio apparirà con tutta evidenza basata sulla concezione del-la lingua che fu di Wilhelm von Humboldt (1767-1835), si mostrano in quelle di-scussioni che oggi vanno a tematizzare il contributo dato dalla lingua madre, e non dai linguaggi speciali, alla costruzione spirituale degli ambiti più diversi del-la cultura umana.Cosa abbiamo espresso in questi pensieri? È evidentemente impossibile, qui e ora, darne una esposizione più completa. Possiamo appena fare menzione della circo-stanza che nell’opera di Weisberger riecheggiano i pensieri di quello che è certa-mente stato il più grande studioso del linguaggio del XVIII secolo, il citato Wilhelm von Humboldt. Tra le sue idee si trovava quella, centrale, per la quale le lingue non sono un puro e semplice mezzo utile alla reciproca comprensione, come pure tal-volta gli stessi linguisti sembrano ancora oggi supporre.

2 Johann Leo Weisgerber è una figura di assoluto rilievo della linguistica, e a lui si devono a tutt’oggi lavo-ri tra i più interessanti sul concetto di lingua madre. Di lui ricordiamo Joh. L. Weisgerber, Die Stellung der Sprache im Aufbau der Gesamtkultur, Heidelberg 1933-1934; Joh. L. Weisgerber, Die volkshaften Krafte der Muttersprache, Frankfurt a. M. 1939; Joh. L. Weisgerber, Muttersprache und Geistesbildung, Göttingen 1939; Joh. L. Weisgerber, Das Bretonentum nach Raum, Zahl und Lebenskraft, Halle 1940; Joh. L. Weisger-ber, Die Entdeckung der Muttersprache im europaischen Denken, Lüneburg 1948; Joh. L. Weisgerber, Die Muttersprache im Aufbau unserer Kultur, Düsseldorf 1950; Joh. L. Weisgerber, Das Tor zur Muttersprache, Düsseldorf 1951; Joh. L. Weisgerber, Die sprachliche Erschliessung der Welt, Düsseldorf 1954; Joh. L. Wei-sgerber, Die sprachliche Gestaltung der Welt, Düsseldorf 1962; Joh. L. Weisgerber, Das Tor zur Mutterspra-che, Düsseldorf 1963.

3 E. Rothacker, Ontologische Voraussetzungen des Begriffs Muttersprache, in Sprache, Schlüssel zur Welt, Fe-stschrift L. Weisgerber, a cura di H. Gipper, Düsseldorf 1959, pp. 39-46.

duplice azione produttivadella lingua

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Le lingue sono invece la premessa del pensiero umano e con ciò di ogni conoscen-za e financo del comportamento, laddove affinché ciò possa avvenire è necessario che ogni lingua sappia “mettere in parola” e portare al concetto il mondo secondo modalità specifiche. In una sua famosa citazione V. Humboldt, riassunse ciò scri-vendo che «la reciproca dipendenza tra il pensiero e la parola mostra assai bene che le lingue non sono mezzo per la rappresentazione di verità già note, ma sono molto di più, e cioè lo strumento che permette di scoprire le verità ancora ignote. La diversità che separa le lingue le une dalle altre non è una diversità di suoni o di segni, bensì una diversità di visioni del mondo. Questa è la premessa e questo è anche lo scopo di ogni studio sul linguaggio. La somma di ciò che può essere conosciuto, in quanto è anche il campo che lo spiri-to umano deve coltivare, si trova per così dire collocato tra tutte le lingue e, indi-pendentemente da esse, si trova messa al centro.L’uomo non può avvicinarsi a questo ambito interamente obiettivo che attraver-so il proprio modo di conoscere e di sentire, dunque per vie soggettive»4. In que-sto senso il lessico di una lingua non coincide con il semplice elenco alfabetico delle parole del suo dizionario, mentre è a disposizione delle necessità dei parlanti che devono poter finalizzare a queste ultime un numero in qualche modo limita-to di parole, frasi, costruzioni, usi, ecc. È abbastanza evidente che, in questa ma-niera, il pensiero del parlante viene orientato in direzioni più o meno predetermi-nate che, nel confronto con altre lingue, si presentano in peculiari profili. Non vi è dubbio che i problemi di traduzione offrano le migliori prove di ciò, laddove essi sono tanto più rilevanti quanto più le lingue sono distanti l’una dall’altra e laddo-ve essi possono condurre fino all’intraducibilità.

2. L’idea di immaterialità e le lingueQuanto detto possiede assoluta evidenza, ma il senso complessivo di ciò che è una lingua madre può ulteriormente risaltare se le suddette considerazioni vengono arricchite di altri profili, forse meno usuali in una filosofia del linguaggio ma in ogni modo concettualmente redditizi, e, secondo noi, della massima importanza.5 Non si tratta di invenzioni speculative o di introduzioni forzose. Alcune idee han-no anzi già cittadinanza da alcuni anni nelle scienze della cultura, e valgono ricer-ca e attenzione fino alla loro applicazione alle lingue.Tra le menzionate idee, utili a rendere evidente il senso di una lingua vi è quel-la di patrimonio immateriale. Ci riferiamo a questa idea per ragioni specifiche, ma anche perché proprio l’Unesco ha fatto di essa il proprio concetto guida6 lad-dove, nonostante tale alto impiego, il concetto di immaterialità risulta essere un

4 Wilhelm von Humboldt, Gesammelte Schriften, a cura della Königlich Preussische Akademie der Wissen-schaften, Abth. 1-4, voll. 1-17, Berlin 1903-1936, vol. 4.

5 Ho compiuto il tentativo di proporre un punto di vista tendenzialmente unitario circa le lingue ispirandomi alla fisiognomica in R. Troncon, Philosophie und Politik der Mehrsprachigkeit, in AAVV, Perspektiven zwei-sprachiger Erziehung und Bildung, Atti del 15° Europäischer Volksgruppenkongress, 15-17 ottobre 1998, Klagenfurt 1999.

la linguacome rappresentazionedi verità note e ignote

la cultura moderna pretendepiena visibilità e trasparenza

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concetto tutt’altro che ovvio e di larga condivisione. Il perché di questa carenza è consiste nella circostanza che la cultura moderna opera con un concetto di og-getto assai discutibile ma di assoluto successo, quello dell’oggetto come forma, nella quale dovrebbe essere completamente leggibile la sua funzione. La pretesa moderna è la pretesa di una piena visibilità.Tutti i dispositivi della cultura moderna – tanto pratici e teorici quanto tecnolo-gici, pressoché in tutte le loro filiere – rispondono a questo concetto di una per-fetta visibilità e trasparenza. Ma è proprio vero che tutto quello che rappresenta il contenuto di una cosa si può anche vedere emergere nella sua forma? L’azione del tempo, dello spazio e delle culture sulle cose dimostra con tutta evidenza il con-trario. La stessa usura a cui il tempo sottopone le cose trasformandole in reperti e rovine – “Der Zahn der Zeit”– così come la vastità degli spazi e dei territori che una cosa attraversa subendo adattamenti, trasformazioni e inventivi rifacimen-ti, e infine la stessa costituzionale difficoltà dell’uomo a comprendere e a ricorda-re obbliga a supporre tutt’altro concetto di ciò che è un oggetto. Gli oggetti non sono forme trasparenti pienamente disponibili, ma “oggetti cometa” che tengo-no alcune cose nel loro nucleo visibile ma molte altre nella loro coda, una vera e propria nebulosa di significati eterogenei e sfumati, non facilmente percepibili e formalizzabili, che si danno non frontalmente e tutti in una volta, ma prospettica-mente e attraverso rinvii simbolici e, in ultima istanza, estetici.Nonostante questa evidenza i cosiddetti valori immateriali, gli impercettibili, i sottotesti, le parti più allusive, quotidiane, spontanee, emotive, specifiche di una cultura sono espulse dalla concettualizzazione e discussione. Questi fattori subi-scono una sorta di damnatio intellectus, una sorta di condanna che li obbliga al-la minorità e alla conseguente collocazione fuori e oltre l’orizzonte della ricerca. Quando noi, nella vita delle comunità intellettuali, siamo indotti a distinguere tra “fratelli maggiori” e “fratelli minori”, ovvero troviamo degli oggetti di prestigio che coincidono con oggetti espressi dalle grandi culture centrali, e altri oggetti vaga-bondi, espulsi dalle culture centrali o a esse asserviti, che sono poi gli oggetti tra-dizionali, quotidiani, o le stesse memorie e aspettative delle culture minori, dob-biamo sapere che ci troviamo al centro del dispositivo culturale più moderno, di cui abbiamo sopra riferito.In realtà, un viaggio nei nostri paesaggi porta a contatto con una quantità di ele-menti immateriali e minoritari. Nulla come il letto di un torrente che viene im-

6 Tra le pubblicazioni ispirate da questo concetto si possono considerare Atlante del Lingue del Mondo in Peri-colo di Estinzione (2001); Traditional Music of the World (2003); Masterpieces of Oral and Intangible Heritage (2001-2003); Terzo Rapporto sulla Cultura Immateriale, pubblicato in seguito al corrispondente forum inter-nazionale di Instanbul, Turchia, nel 2002, con la partecipazione di 110 Paesi a cui hanno partecipato 72 Mi-nistri della Cultura, infine Recommendation on the Safeguarding the Traditional Culture and Folklore, 1989.

i valori immaterialidella lingua

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provvisamente incubato e addomesticato, nulla come il disordine paesaggistico e urbanistico che distrugge l’incanto dei piccoli paesi senza peraltro regalare per questo autentici vantaggi economici, nulla come lo svuotamento e la relativiz-zazione di antiche soluzioni ancora ricche di suggerimenti per possibili soluzio-ni, nulla come le lingue minoritarie lasciate al proprio destino, perché considerate solo familiari e “non adulte”, dimostra ciò che intendiamo quando diciamo del-la propensione moderna a servirsi solo di ciò che accede a una completa eviden-za funzionale in una forma. Non vi è invece dubbio che le lingue madri, anzitutto le lingue di minoranza, siano un deposito straordinario di valori immateriali e so-prattutto rappresentino un simile valore.Quando l’associazione “Chambra d’òc” ottenne l’inserimento dell’occitano tra le lingue ufficiali dei Giochi olimpici invernali che si svolgeranno in Piemonte nel 2006, essa addusse tra le motivazioni di un simile atto la circostanza che in tal modo si sarebbe potuto rammentare al mondo che le tre parole chiave della civil-tà occitana diffuse dai trovatori in tutte le corti d’Europa – paratge (lealtà), pretz (valore) e larguessa (generosità) – ancora oggi sanno indicare valori indispensabili al progresso umano. Ebbene, anche lingue meno diffuse e certamente meno let-terariamente coltivate sanno dare importantissimi contributi in tal senso. La lin-gua mòchena, per esempio, ha una capacità non molto diversa, e dovrebbe essere preservata al mondo e praticata già solo per tre sue parole: wrait (gioia di vivere), gaduld (pazienza) ed éar (senso dell’onore). Un esempio principe, questo, di come una lingua si relaziona a una cultura, e cioè così che quest’ultima non ha in realtà altro modo di essere preservata se non at-traverso la lingua stessa. Più in generale però una lingua madre è una lingua gene-rosa, che accompagna e costruisce ambientazioni anche comportamentali, sociali, sonore. È vero che le lingue sono un patrimonio culturale, ma ancor più vero è che esse sono un patrimonio culturale attivo, che esorbita il linguaggio nel senso più stretto e usuale. Una lingua è esattamente come un arredo, una tecnica di costru-zione, una costituzione gastronomica, un abito, un gesto, ecc. Dal punto di vista filosofico, relativo al suo senso, una lingua non è solo il veicolo del quale mi servo per dire una cosa piuttosto che un’altra, ma è anche una coloritura, un sapore, una sonorità. Sopprimere le sonorità dell’inglese parlato dagli afroamericani per sosti-tuirlo con quello british, o rimpiazzarlo con l’inglese internazionale significherebbe intaccare, a catena, le più diverse diramazioni concettuali e comportamentali.7

7 Una prospettiva di parte linguistica sulla lingua madre contenente numerose osservazioni compatibili con quelle che qui presentiamo si trova in R. Pugliese, Studiare in L2 e valorizzare le L1, in L’italiano e le altre lingue, Atti del 7° Convegno Nazionale dei Centri Interculturali, Modena, 5-6 novembre 2004 (in corso di stampa).

le lingue minoritariedepositi straordinaridi valori immateriali

coloritura, sapore, sonoritàdella lingua

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3. Metodo e contributo delle politiche culturaliQueste considerazioni sul valore di immaterialità della lingua madre non appar-tengono soltanto alla vicenda teorica della lingua, ma sono il disegno delle lin-gue così come praticamente e concretamente vivono, nella vitalità di ambiti che non sono interamente linguistici né interamente extralinguistici. Il quadro dise-gnato non è solo statico, ma anche dinamico, e se avessimo la possibilità di oc-cuparcene qui più a lungo ne risulterebbe l’ immagine di ciò che una lingua ma-dre mette in opera.Tale immagine sarebbe una ricca riserva di suggerimenti delle misure che possono essere prese per accudire, irrobustire o semplicemente accompagnare le lingue. In questo senso, e proprio in nesso alla problematica che dà occasione ai contributi raccolti in questo volume e che il titolo del presente saggio esplicitamente solle-cita, non è necessario cercare fuori della lingua madre e della sua azione né fuo-ri dei suoi stessi problemi ciò che può produrre benefici effetti su di essa. Tutto è in realtà contenuto nella sua cerchia, e il concetto basilare di ogni progettazio-ne, per il quale l’analisi dettagliata di un problema ne contiene anche la soluzio-ne, vale qui più che mai.Certo, bisognerà scegliere il metodo giusto alla risoluzione dei problemi che ogni anno conducono centinaia di lingue a scomparire. È ora nostra convinzione che un ruolo strategico – e di benefica innovazione – in questa assunzione della pro-blematicità di una lingua con lo scopo della sua rinascita, e secondo le linee ap-pena considerate, possa essere svolto da quella disciplina e metodologia che vale sotto il nome di cultural planning.Con questo nome si intende un insieme di principi concettuali e di esperienze pro-gettuali il cui scopo è la presa in cura e lo sviluppo, la rinascita e la rigenerazione, in genere la crescita e il progresso di un’azione (organizzazione, istituzione, luogo, comportamento) umana attraverso mezzi e strumenti che appartengono almeno prima facie all’ambito dell’azione culturale e artistica. Più precisamente, il cultu-ral planning (che non coincide per nulla con il cosiddetto management delle isti-tuzioni culturali) si qualifica come un’attività di resimbolizzazione che fa estesa-mente ricorso alla creatività, all’indagine e alla progettazione artistica, laddove si tratta anche di semplicemente compiere azioni generose e disinteressate a favore di un qualche cosa con lo scopo di ridonare energia, vigore, dignità.Entro questa cornice ancora altri principi sono in grado di illustrare il cultural planning. Tra questi vi è il principio di eccellenza al servizio della comunità, per il quale figure di altissimo livello e prestigio professionale e artistico vengono messe

8 Una bibliografia minima intorno al cultural planning prevede la considerazione di P. Hall, Cities for Tomorrow, Blackwell, Oxford 1988; W. Keens, ecc., a cura di, Arts and the Changing City: An Agenda for Urban Regenera-tion, British American Arts Association, London 1989; M. Miles, Art For Public Places, Winchester School of Art Press, Winchester 1989; K. Worpole, Towns for People, Open University Press, Buckingham 1992: F. Bianchini, M. Parkinson, a cura, Cultural Policy and Urban Regeneration-The West European Experience, Manchester Uni-versity Press, Manchester 1993; D. Hill, Citizens and Cities, Urban Policy in the 1990s, Harvester Wheatsheaf, Hemel Hempstead 1994; L. Greenhalgh, Worpole, K., Park Life-Urban Parks & Social Renewal, Comedia/Demos,

dinamicitàdella lingua madre

ruolo strategicodel cultural planning

Lingua madre, madre terra38 Lingua madre, madre terra 39

al servizio di tutta la comunità secondo regole e obiettivi, lo sviluppo di progetti partecipati che prevedano una valorizzazione completa della comunità e in gene-rale lascino i loro segni e intreccino le loro radici, come uno splendido rampican-te, in tutti i suoi reparti della comunità, ecc.8

Per queste e altre ragioni ancora il metodo delle politiche culturali è il metodo che abbiamo scelto nell’ambito del Laboratorio di Aesthetics in Practice & Cultural Planning, dell’Università di Trento. Proprio la capacità del cultural planning di in-vestire creatività e ingegno nei reparti anche più marginali di ciò che una lingua e sollecita ci ha persuaso della sua potenzialità. Il vocabolario, la standardizzazio-ne, l’insegnamento nelle forme più tradizionali della lingua sono importanti, ma è soprattutto fondamentale progettare la rimessa in moto della lingua attraverso anche le sue parti apparentemente meno “linguistiche”. Il Laboratorio, che collabora in particolare per questo con un’analoga istituzione dell’Università di Leicester, ha assunto coerentemente i principi suddetti e con la necessaria gradualità e concretezza si è proposto con specifici progetti o di valo-rizzare o di più propriamente agire sugli aspetti più extralinguistici della lingua per favorirne però la rinascita. Un esempio di questo intreccio tra aspetti linguistici e aspetti apparentemente più marginali di essa crediamo di averlo dato in un pro-getto avviato presso la comunità di lingua cimbra e quella di lingua mòchena del Trentino, consistente nell’affidare a riconosciuti esperti (docenti universitari) di L2 la formazione di insegnanti di lingua che però non sono necessariamente preleva-ti dalle fila degli insegnanti o dei laureati, ma da quella dei parlanti nativi, quindi direttamente dall’interno della comunità. Attraverso questo progetto dimostriamo la necessità di trattare la lingua di minoranza come una materia duttile e viva che deve ricevere il proprio valore, per esempio, da una ridiscussione (tipicamente po-litico-culturale) dei confine tra specialisti e non-specialisti, ecc.Ai criteri del cultural planning ci stiamo ispirando però anche per un altro progetto di grande importanza. Questo progetto si fa carico dei problemi di prestigio della lingua minoritaria sviluppando strategie utili a rilanciarne l’immagine grafica. Sen-za poter riassumere qui i contenuti risolutivi del progetto, nel suo contesto abbia-mo però osservato che tra i più rilevanti problemi inerenti al profilo deficitario del-le lingue di minoranze si trova la loro assenza dal paesaggio visivo (in senso stretto e in senso lato) delle comunità di minoranza e oltre. La parola scritta è scomparsa dal paesaggio, la lingua è mostrata molto poco, mancano “punti di raccolta” della lingua e non vi sono punti di forza che permettano tanto al residente quanto al vi-sitatore di apprezzare e fare uso dell’immagine grafica della lingua minoritaria.

London 1995; C. Landry, F., Bianchini, The Creative City, Demos, London 1995; F. Matarasso, Regular Marvels, A Handbook for Animateurs, Practitioners and Development Workers, C.D.M.F, Leicester 1995; J. Urry, Consuming Places, Routledge, London 1995; Ch. Landry, L. Green, F. Matarasso, F. Bianchini, The Art of Regeneration: Urban Renewal Through Cultural Activity. Comedia, The Round, Bournes Green, Stroud, Glos. Mi permetto qui di rin-viare anche a R. Troncon, Aesthetics in Practice and Cultural Planning: The Perspective of ‘Festiveness’, in Jour-neys of Expression III: Tourism & Festivals as a Transnational Practice, “Review of Tourism Research”, Electronic Resources for Tourism Professionals, Texas A&M University, Vol. 2, Issue 3, giugno 2004.

l’esperienza dell’universitàdi Trento

formazione dei formatoriin lingua minoritaria

rilancio dell’immaginegrafica della lingua

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4. ConclusioniNon abbiamo potuto diffonderci molto, ma speriamo di aver sollecitato l’interes-se per un metodo, quello delle politiche culturali, che riteniamo possa dare otti-mi risultati al servizio della comunità di minoranza linguistica storica anche nel riguardo della loro rinascita linguistica e non solo di quella culturale o economi-ca. L’idea che proponiamo di assumere è semplice, e consiste nella considerazione che una lingua madre è una sorta di dispositivo che regola molto di molti ambiti che, di per sé, non sono strettamente linguistici. Se questo è vero, ancora in som-ma sintesi, deve anche essere vero che le lingue per rinascere non hanno biso-gno solo di vocabolari. Questi ultimi debbono beninteso esistere, e anche ben più di quanto non sia finora, ma in ultima istanza sarà decisiva una concezione del-la lingua madre più articolata, una percezione più chiara di quale sia la sua vasta azione oltre se stessa, in direzione delle relazioni umane e sociali, e una disponi-bilità a investire questi profili con buoni progetti. Se questo sarà fatto, non dubi-tiamo che le lingue di minoranza possano rinascere.

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le minoranze linguistiche:costo o risorsa?

la disomogeneità culturaleè la regola nel mondocontemporaneo

Globalizzazione e sviluppo locale nelle comunità di minoranza

Bruno Dallago – Università di TrentoIn termini economici, le minoranze rappresentano indubbiamente un costo per le società e le amministrazioni che ne vogliano difendere e affermare i diritti e vo-gliano conservarne tradizioni e particolarità. La “globalizzazione” che ha caratte-rizzato lo sviluppo economico mondiale da un paio di decenni ha del resto ap-parentemente attenuato, se non eliminato, le possibilità per l’esistenza di assetti economici diversi da quelli capitalistici (di mercato) dominanti e per competenze e capacità che non siano confacenti al sistema produttivo e commerciale domi-nante. Questi stessi sviluppi hanno esaltato la forza della potenza economica, sia a livello di paese, sia di impresa. Il mondo è indubbiamente dominato dai grandi paesi capitalistici altamente sviluppati e dalle loro imprese transnazionali. Si par-la sempre più spesso di mondo unipolare anche al di fuori della politica interna-zionale e del campo militare.Le cose stanno davvero così? O quella sopra è piuttosto una visione semplicisti-ca di processi molto più complessi e differenziati? Davvero non c’è più posto per le differenze? Le minoranze, almeno dal punto di vista economico e delle finanze pubbliche, possono essere viste solamente come un costo, o piuttosto anche – e sempre più – come una risorsa? Se è così, in che modi e a quali condizioni questo può avvenire? Quando una politica per le minoranze è sostenibile economicamen-te e può essere vista come un investimento a lungo termine?Il mio obiettivo in questo scritto è di dimostrare che le differenze, e segnatamen-te le minoranze, non solo hanno ancora un posto nel mondo moderno, ma pos-sono averne uno addirittura più ampio e importante che nel passato. Si tratta pe-rò di individuarlo e di utilizzarlo per raggiungere risultati più elevati e stabili che in passato. L’obiettivo è di far sì che le minoranze abbiano non un ruolo tollera-to o finanziato dalle maggioranze, ma un ruolo intrinseco e cruciale allo svilup-po generale.

1. La diversità culturale (linguistica ed etnica)La maggioranza degli economisti, anche quelli che si occupano di economie rea-li, ritiene o suppone che le economie – e le società – siano omogenee. Raramente gli economisti analizzano il ruolo economico delle minoranze e, se lo fanno, è so-litamente per valutare i costi del finanziamento dei programmi per le minoranze. Eppure l’importanza della diversità culturale (linguistica ed etnica) continua a es-sere il tratto dominante delle società odierne.Essa è stata inoltre il combustibile, se non la causa, di gran parte dei conflitti che caratterizzano le società moderne. Secondo Kymlicka (1995) all’inizio degli an-ni Novanta vi erano 184 paesi indipendenti al mondo che includevano oltre 600 gruppi linguistici e circa 5.000 gruppi etnici. Sono molto pochi i paesi che pos-sono essere considerati culturalmente omogenei, quali, ad esempio, l’Islanda e le due Coree. Questa situazione è pertanto in forte e netto contrasto con la visione

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idealizzata e semplificata della maggior parte degli studiosi che ritengono le so-cietà, le strutture politiche e ancor più le economie come culturalmente omoge-nee. Di conseguenza, gli studiosi hanno ampiamente trascurato ciò che avviene in realtà nel campo delle minoranze. Non così, ovviamente, per i governi e la politi-ca operativa. È questa una discrepanza che non può che essere foriera di risultati deboli. I modelli economici (e politici e sociali) e l’analisi delle realtà risultano in-completi e quindi indeboliti nella loro capacità analitica e predittiva. La politica e i governi prendono decisioni e agiscono in mancanza di un supporto conoscitivo e analitico forte e realistico.I governi, naturalmente, si sono tradizionalmente occupati delle minoranze in va-ri modi. Questi includono riforme e autonomie fino alla stipula di trattati inter-nazionali per la gestione delle minoranze. Le minoranze sono state talvolta perse-guitate e distrutte, altre volte sono state tollerate o protette o hanno anche visti riconosciuti ampi e importanti diritti. In qualche caso le minoranze sono state protette, anche attraverso l’intervento di paesi protettori o di riferimento, in cui la minoranza del paese in questione è invece maggioranza. Si hanno casi diver-si di uso “virtuoso” di questo ruolo, di solito concordato a livello internazionale, ad esempio nel caso dell’Austria in relazione all’Alto Adige/Sud Tirolo. In altri ca-si questo ruolo è stato giocato in senso “perverso”, per acquisire vantaggi a livello internazionale o per dominare o intromettersi negli affari interni dei paesi in cui la minoranza vive. Un esempio di questo tipo è stato l’uso dei trattati internazionali per la “difesa” delle minoranze tedesche come arma nei confronti dei paesi confi-nanti (Cecoslovacchia e Polonia) da parte della Germania nazista.

2. Diritti individuali e diritti di minoranzaNel periodo postbellico vi è stato un radicale mutamento nella concezione e nella gestione dei diritti. In particolare, nel campo che ci interessa, si è passati da una concezione e da politiche incentrate sui diritti delle minoranze a concezione e po-litiche volte ai diritti umani (Kymlicka 1995). L’idea guida dietro questo cambia-mento è stata la convinzione che ogni individuo avesse e dovesse vedersi ricono-sciuti gli stessi diritti e quindi la stessa protezione degli stessi, indipendentemente dalla sua cultura o dalle sue credenze e convinzioni.Nella convinzione dei proponenti e sostenitori, questo mutamento di accento e di pratica avrebbe risolto automaticamente i problemi della protezione delle mino-ranze. Questa convinzione era così profonda e radicata, che la Dichiarazione uni-versale dei diritti umani delle Nazioni Unite, adottata e proclamata dall’Assemblea Generale nella risoluzione 217 A (III) del 10 dicembre 1948, non contiene alcun ri-ferimento alle minoranze linguistiche, etniche o nazionali. Con la parziale ecce-zione delle azioni affermative, gli stati e le agenzie che hanno accettato questa visione si sono astenuti dall’intervenire a favore delle minoranze o perfino dal ri-conoscerle come entità o tema degno di rilievo in sé. La convinzione era che il ri-spetto dei diritti umani fosse sufficiente a risolvere ogni problema relativo al-le minoranze. Il tempo ha dimostrato che questa convinzione non era una base

disinteressedelle scienze economiche

verso le minoranze

interesse (virtuoso e perverso)della politica

tutela dei diritti umani

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sufficientemente forte e che i diritti delle minoranze non coincidono con i diritti umani. Questi ultimi, infatti, non danno risposte convincenti e sufficienti ai molti temi e problemi che sono cruciali nel caso delle minoranze. Si pensi, ad esempio, alla questione dell’uso delle lingue delle minoranze, alla tassazione e al trasferi-mento di reddito, all’istruzione e al suo contenuto, ai confini e alle competenze amministrative all’interno di un paese, all’uso del territorio popolato da minoran-ze, all’accesso al mercato del lavoro. Molti di questi temi e questioni hanno acqui-sito un’importanza centrale a livello internazionale, ed europeo in particolare, sul finire degli anni ottanta e soprattutto all’inizio degli anni novanta, soprattutto in riferimento al rapido e grave deterioramento della situazione nei Balcani. In que-sto caso la comunità internazionale ha anche teorizzato e praticato il diritto-do-vere all’intervento internazionale armato al fine di proteggere le minoranze mi-nacciate dai governi centrali o dalle maggioranze.Il parziale mutamento di approccio e di azione ha condotto alla Dichiarazione sui diritti della persone appartenenti a minoranze nazionali o etniche, religiose e lin-guistiche, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite con la risoluzione 47/135 del 18 dicembre 1992. La Dichiarazione è complessivamente prudente e restrittiva nella definizione dei diritti delle minoranze, che non possono indeboli-re la sovranità degli stati (art. 8). Coerentemente, essa parte dall’affermazione che uno degli obiettivi fondamentali delle Nazioni Unite è promuovere e incoraggiare il rispetto per i diritti umani e per le libertà fondamentali di tutte le persone, sen-za discriminazioni di razza, sesso, lingua o religione.La Dichiarazione afferma il dovere degli stati di proteggere l’esistenza e promuo-vere l’identità delle minoranze all’interno dei territori tradizionali con l’adozione di misure e strumenti appropriati a promuovere tale identità (art. 1). Essa arriva poi ad affermare i diritti delle persone che appartengono alle minoranze a godere della loro cultura, a usare il loro linguaggio, sia in privato sia in pubblico, ad as-sociarsi, ad avere contatti con altri membri della loro e di altre minoranze, a par-tecipare alla vita culturale, religiosa, sociale e pubblica, in un modo non incom-patibile con la legislazione nazionale (art. 2). Viene ribadito anche il dovere delle politiche nazionali di tenere in considerazione i legittimi interessi delle persone appartenenti a minoranze (art. 5). La Dichiarazione, pertanto, adotta una conce-zione restrittiva di minoranze e diritti delle minoranze. Queste non compaiono mai in quanto tali nella dichiarazione. Il riferimento è infatti sempre alle persone appartenenti alle minoranze, che sono i depositari di tutti i diritti e i destinatari delle azioni basate sui principi sostenuti dalla Dichiarazione. Una parziale eccezio-ne è forse costituita dal riconoscimento che le persone appartenenti a minoranze possono esercitare i diritti loro riconosciuti sia individualmente, sia “in comunità con altri membri del loro gruppo” (art. 3). Gli attori sono quindi sempre le persone, anche se in condizioni particolari (appartenenti a minoranze): ad essi sono rico-nosciuti i diritti di godere, la capacità di agire e la libertà di fare, mentre l’esisten-za delle minoranze – pur indirettamente riconosciuta dal fatto che ad esse appar-tengono delle persone – è ancora negata nei fatti.

tutela delle minoranze:dichiarazione ONU sui dirittidelle persone appartenentia minoranze nazionali

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3. Vantaggi e svantaggi della diversità culturaleLa diversità linguistica ed etnica ha sia vantaggi, sia svantaggi per un paese e una società (Alesina e La Ferrara 2004). Gli svantaggi comprendono sia i costi e le dif-ficoltà, sia l’eventuale impossibilità di trovare una soluzione a problemi normali, quali la pace sociale e la cooperazione fra le varie componenti di una società. Ci sono due tipi principali di svantaggi, che è opportuno menzionare.Primo, la diversità linguistica ed etnica può accrescere i costi economici, politici e sociali per organizzare e gestire le attività. La diversità culturale può causare il sorgere di obiettivi, di scelte e di azioni conflittuali fra i diversi gruppi linguistici ed etnici. Essa può anche essere causa del sorgere o della creazione di segmenta-zione e di barriere all’interno dell’economia, della politica e della società. Segmen-tazione e barriere possono essere dovute, ad esempio, a razzismo o a pregiudizi che possono mettere a rischio la comunicazione fra le varie componenti econo-miche, politiche e sociali e la libera circolazione delle idee, della conoscenza e del-l’informazione. Esse possono anche causare la duplicazione costosa delle strut-ture e delle funzioni di governo o l’aumento dei costi per elaborare e realizzare le politiche e per gestire barriere e conflitti.Secondo, la diversità linguistica ed etnica può distorcere le politiche, mettere a ri-schio i loro risultati e sfociare nell’oppressione delle minoranze. Sotto la pressio-ne di gruppi linguistici o etnici forti, la realizzazione di politiche socialmente van-taggiose può risultarne ostacolata o impedita. Al loro posto possono essere scelte politiche che finiscono per favorire un gruppo linguistico o etnico particolare a svantaggio dei gruppi minoritari e della società nel suo complesso. Questa situa-zione, a sua volta, crea costi addizionali, dovuti alla necessità di controllare e pro-babilmente di reprimere i gruppi minoritari. Essa causa anche costi opportunità dovuti alla perdita del contributo che i gruppi discriminati avrebbero potuto dare all’economia e al benessere sociale.La diversità culturale, tuttavia, ha anche vari e importanti vantaggi. Questi risie-dono in primo luogo nei vantaggi della varietà. Questa, infatti, può generare spe-cializzazione e diversificazione del rischio. La varietà può risiedere nella cultura, nei rapporti internazionali, nel possesso di conoscenze e informazioni esclusive, di competenze e abilità particolari, di esperienze uniche. Tutti questi fattori pos-sono essere importanti a sostenere la creatività e l’innovazione economica, poli-tica, sociale e tecnica.

4. Minoranze e assetti istituzionali: le conseguenze della globalizzazionePer quanto il bilancio fra vantaggi e svantaggi dipenda anche dalle caratteristi-che dei gruppi linguistici ed etnici, sono il contesto istituzionale, economico, poli-tico e sociale e le politiche attuate a rivestire un’importanza critica. In particolare, la qualità delle istituzioni è fondamentale per indirizzare diversità ed eterogenei-tà verso usi produttivi, generalizzando la ben nota dimostrazione del ruolo fonda-mentale che le istituzioni hanno nel determinare l’allocazione delle risorse umane (Baumol 1990, 1993). Un aspetto importante è costituito dal regime commerciale

costi di gestionedelle diversità culturali

costi di tutelae di controllo sociale

delle minoranze

vantaggi conseguentialla varietà

Lingua madre, madre terra44 Lingua madre, madre terra 45

internazionale vigente. Quando il commercio internazionale è sottoposto a severe restrizioni, le dimensioni del paese sono molto importanti. Infatti, lo sfruttamen-to delle economie di scala e di scopo dipende in larga misura dalla dimensione del paese. Questo potrebbe essere visto come un fattore a sostegno del ruolo produt-tivo dell’eterogeneità, compresa la diversità linguistica ed etnica.Con un regime di commercio internazionale libero (globalizzazione), invece, i be-nefici della varietà (eterogeneità) nella produzione e nel consumo possono esse-re ottenuti attraverso il commercio internazionale. In questo caso una maggio-re omogeneità può essere favorevole alla fornitura di beni pubblici. Infatti, paesi più piccoli e linguisticamente ed etnicamente più omogenei potrebbero risultare economicamente sostenibili ed efficienti. Anche in questo caso di commercio in-ternazionale libero, tuttavia, la diversità etnica può avere effetti positivi sul com-mercio. Ciò avviene, in particolare, quando una minoranza linguistica o etnica in un paese agisce da nesso commerciale con un paese in cui quella minoranza sia maggioranza.

5. L’identificazione (endogeneità) delle minoranzeLa trattazione del tema delle conseguenze economiche delle minoranze richie-de preliminarmente che si raggiunga una definizione incontrovertibile delle mi-noranze, cosa niente affatto semplice o scontata. Ci sono infatti due temi cru-ciali che rimangono aperti: l’endogeneità della diversità linguistica e soprattutto etnica e la sua misurazione. I gruppi linguistici e soprattutto quelli etnici, infatti, non sono categorie oggettive nelle quali gli individui possano essere facilmente e chiaramente classificati.È possibile che non ci siano dei confini chiari e indiscutibili dei gruppi linguistici ed etnici in questione all’interno dei quali gli individui possano essere classifica-ti da altri. Inoltre, la diversità e la frammentazione culturale (linguistica ed etnica) possono non essere indipendenti dalle scelte economiche, sociali, legali, ammi-nistrative e politiche. In particolare, l’autoclassificazione degli individui secondo i raggruppamenti linguistici e etnici può essere in parte endogena alle politiche governative e al clima sociale o politico di un paese o di una regione. Ciò è pro-babile soprattutto quando il governo sia conosciuto per favorire (o ostacolare) un gruppo linguistico o etnico particolare o quando vi sia pressione sociale nello stesso senso. Ci sono vari esempi di persone che hanno un incentivo a dichiararsi (o non dichiararsi) membri di un particolare gruppo anche in assenza di pressioni o minacce politiche in tal senso. Un caso storicamente importante era quello del-la conversione, spesso formale, all’Islam nell’impero arabo al fine di ottenere van-taggi economici, sociali, legali e amministrativi (ad esempio nella tassazione) che erano legati a tale condizione (Cahen 1969).Infine, l’endogeneità della diversità linguistica o etnica può derivare dalla mobilità individuale in risposta a opportunità, vantaggi o pressioni. Molti studi e ricerche illustrano l’importanza di questo fatto per la composizione etnica delle città ame-ricane. In periodi più recenti, il fenomeno ha acquisito dimensioni rilevanti an-

il mercato globalee i benefici della eterogeneità

difficoltà di classificazionedella diversità linguistica

endogeneitàdella diversità linguistica

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che in Europa, in seguito all’immigrazione da paesi terzi. In precedenza, era stata l’emigrazione dall’Europa a causa di vicende e fattori religiosi, economici, sociali o politici a contribuire alla diversità linguistica ed etnica in Nord America.Vi è comunque una relazione importante tra frammentazione linguistica o etnica e formazione endogena delle comunità. La diversità e la frammentazione lingui-stica o etnica può infatti influenzare la formazione e la composizione di comunità e di paesi in modi diversi. Come descritto sopra, il libero commercio internaziona-le può rendere economicamente sostenibili anche paesi molto piccoli, in quanto diminuisce i benefici che la dimensione del paese ha per la crescita. In questi casi il prezzo da pagare per la frammentazione risiede piuttosto nel peso politico del paese, che diviene più piccolo e debole. Questo fatto può aumentare la probabi-lità che i paesi si possano dividere in entità politiche più piccole e più omogenee, poiché forze politiche centrifughe possono accompagnare l’integrazione econo-mica internazionale.La frammentazione linguistica e soprattutto etnica è spesso considerata – assie-me a differenze di reddito e disparità distributive (Bolton and Roland 1997) e a variabili politiche (Dallago and Uvalic 1996) – come un importante fattore per la determinazione di confini, secessioni e altre forze centrifughe (Buchanan 1991). L’effetto centrifugo sembra essere rafforzato dalle dimensioni della popolazio-ne (popolazioni numerose sono meglio in grado di superare i problemi di coor-dinamento), dalla situazione politica internazionale (mano a mano che il mondo diventa più pacifico – o mano a mano che la percezione sociale della situazione politica mondiale va in questa direzione – si dovrebbe osservare il rafforzarsi e il prevalere di forze centrifughe) e dalla diffusione della democrazia (i dittatori pre-feriscono paesi di grandi dimensioni).Naturalmente queste osservazioni possono diventare degli assiomi, nel senso che spesso trascurano di considerare la possibilità che i processi abbiano luogo anche in senso inverso o che vi siano dei processi circolari. Fra i vari contributi a questo tema a livello regionale è opportuno menzionare la crescente letteratura teorica ed empirica sulla formazione di reti interpersonali, sui gruppi d’imprese e sui si-stemi commerciali a rete, particolarmente nei paesi in via di sviluppo. Un’osserva-zione comune a questa letteratura è che la maggior parte dei gruppi e delle reti tendono a formarsi lungo linee etniche, inclusi i ben noti casi della “imprendito-rialità etnica” (Brundin et al. 2005, Salaff et al. 2003, Stiles Galbraith 2003, Val-dez 2002 e 2003).

6. Le conseguenze microeconomicheLe conseguenze delle minoranze e della diversità linguistica ed etnica sulla per-formance economica, politica e sociale sono state studiate da diversi autori. Per quanto alcuni autori trovino che diversità e minoranze non abbiano alcuna in-fluenza sui livelli di fiducia e di reciprocità in una società (Bouckaert and Dhaene 2004) – variabili attraverso le quali solitamente si sostiene che diversità e mino-ranze agiscano – la maggior parte degli studi hanno raggiunto risultati diversi. Ci

effetto centrifugodella diversità

etnico-linguistica

Lingua madre, madre terra46 Lingua madre, madre terra 47

sono tre tipi di conseguenze economiche delle minoranze (della diversità linguisti-ca ed etnica) che è interessante considerare(Alesina e La Ferrara 2004). Queste so-no le conseguenze per: a) gli assetti microeconomici, b) la produttività e i livelli di reddito e c) le politiche pubbliche. A livello microeconomico, il modo principale in cui la diversità linguistica ed etnica influenza le scelte economiche è entrando di-rettamente nelle preferenze individuali. Un secondo modo è attraverso l’influenza sulle strategie che gli individui perseguono, nel senso che può essere vantaggioso, dal punto di vista dell’efficienza e nel caso di imperfezioni di mercato, instaurare transazioni preferibilmente con i membri del proprio gruppo. In questo caso l’affi-liazione linguistica ed etnica può essere di aiuto nel sostenere meccanismi basati sulla reputazione in presenza di informazione asimmetrica.Un altro caso si verifica quando, non essendovi la possibilità di imporre legalmen-te il rispetto dei contratti, questa si debba “auto-imporre”. In questo caso, l’essere parte di un gruppo linguistico o etnico amplia l’insieme delle strategie cooperati-ve che possono essere utilizzate. Un terzo modo si verifica quando la diversità en-tra nel processo di produzione. In questo caso è stato identificato un trade-off tra i benefici produttivi della diversità e i potenziali costi che possono derivare dal-le difficoltà di comunicazione tra persone con un differente retroterra linguisti-co e culturale. La ricerca empirica in questo caso ha messo in luce che maggiore diversità conduce a più conflitti e meno comunicazione. Tuttavia, a parità di co-municazione, la diversità si traduce in maggiore produttività. Altri studi hanno di-mostrato che nelle squadre e nei gruppi in cui le mansioni sono complementari, l’omogeneità ha effetti positivi e viceversa.

7. Le conseguenze macroeconomicheIl secondo gruppo di conseguenze riguarda la produttività e i livelli di reddito. A partire dal fondamentale lavoro di Easterly e Levine (1997), si è accumulata una notevole letteratura scientifica che dimostra come i paesi etnicamente frammen-tati crescono meno dei paesi più omogenei, a parità di altre condizioni. Altri au-tori hanno dimostrato che questa frammentazione può spiegare la mancanza di capitale sociale, di beni pubblici produttivi e di infrastruttura, nonché la realizza-zione di politiche di stimolo alla crescita.Un altro risultato importante di questa letteratura è che la frammentazione ha ef-fetti più negativi a livelli di reddito bassi. Poiché il reddito pro capite e gli indici di democrazia sono fortemente correlati positivamente, è molto difficile separare gli effetti della democrazia dagli effetti del livello di reddito su ogni variabile dipen-dente che sia influenzata dall’uno o dall’altra. Più in generale, la qualità delle isti-tuzioni è molto importante e l’intento di indirizzare la diversità verso usi produt-tivi può richiedere un insieme di istituzioni particolare.Un altro risultato importante della letteratura sulla produttività riguarda il finan-ziamento con credito delle imprese dei paesi in via di sviluppo. Secondo questa letteratura e per un dato livello di credito, maggiore è il numero dei gruppi lingui-stici ed etnici nella comunità degli affari, minori sono le probabilità che l’offerta di

conseguenze a livellodi preferenze individuali

conseguenze sulla produttivitàe sul reddito

Lingua madre, madre terra48 Lingua madre, madre terra 49

credito sia allocata efficientemente, se il criterio è esclusivamente quello dell’af-filiazione linguistica o etnica. Questo fatto probabilmente danneggia la produtti-vità. L’eterogeneità linguistica o etnica sembra influenzare anche l’organizzazione della produzione. I membri dei gruppi linguisticamente o etnicamente più etero-genei hanno meno probabilità di specializzarsi in mansioni differenti e maggiori probabilità di fare tutti lo stesso lavoro. Sembra esserci anche una conseguenza per gli incentivi: I gruppi linguisticamente o etnicamente frammentati adottano più spesso schemi remunerativi in cui ciascun lavoratore riceve lo stesso ammon-tare fisso, piuttosto che essere pagato sulla base del lavoro svolto.

8. Minoranze e politiche pubblicheIl terzo gruppo di conseguenze riguarda gli effetti della frammentazione lingui-stica ed etnica sulle politiche pubbliche. La letteratura dimostra che nella mag-gior parte dei paesi la frammentazione linguistica ed etnica, benché non sia l’uni-ca causa, può essere alla base di processi governativi di scarsa qualità. Vi è una correlazione negativa della frammentazione linguistica ed etnica con varie misure di qualità delle infrastrutture, con l’analfabetismo e la frequenza scolastica e una correlazione positiva con la mortalità infantile. Vi è anche una relazione inversa tra frammentazione linguistica ed etnica e la quota del PIL che i governi spendo-no per fini e per trasferimenti sociali.La situazione nelle città, tuttavia, è apparentemente differente, almeno negli Sta-ti Uniti. La maggior parte degli studi dimostrano che nelle città americane etnica-mente più frammentate la fornitura di beni pubblici è più bassa o meno efficien-te. La ragione di questa situazione può essere che in queste città la partecipazione e il capitale sociale sono più bassi. La situazione nei paesi in via di sviluppo è po-co chiara: per quanto un certo livello di diversità linguistica o etnica abbia proba-bilmente conseguenze negative per l’efficienza delle politiche pubbliche, la pola-rizzazione estrema del governo nelle mani di un unico gruppo linguistico o etnico può avere conseguenze positive per l’efficienza.Questo avviene, in particolare, quando una buona definizione dei compiti e un’at-tenta progettazione degli interventi compensino la frammentazione e forniscano supporto all’azione collettiva. Vi sono vari e interessanti esempi di soluzioni isti-tuzionali e di politiche che sono state individuate e definite per risolvere i proble-mi causati da tensioni e conflitti etnici. Queste possono essere classificate in due gruppi: la divisione del potere in una prospettiva di integrazione, come nel caso dei neri negli Stati Uniti, e la sepa-razione basata su diritti e doveri chiaramente predefiniti, come nel sistema del-l’apartheid sudafricano (Davenport and Saunders 2000). In Europa, ambedue i ca-si hanno rilevanza nei Balcani, ove si possono ritrovare esempi di ambedue i tipi di assetti istituzionali e di politiche. Ambedue le situazioni hanno dimostrato di funzionare, benché con risultati differenti. Ciascuna soluzione ha tuttavia biso-gno di un insieme particolare di condizioni istituzionali, economiche, sociali, poli-tiche, legali e amministrative.

conseguenzesulle politiche pubbliche…

… in ambito urbano

separazione ed integrazione

Lingua madre, madre terra48 Lingua madre, madre terra 49

9. ConclusioniLa conclusione principale è che la diversità linguistica ed etnica non preclude in sé la possibilità dello sviluppo locale, né necessariamente la favorisce. Essa crea invece un insieme di condizioni e circostanze particolari che devono essere prese in attenta considerazione per definire le politiche. Un’attenzione particolare deve essere rivolta all’ambiente esterno in cui le minoranze si trovano a vivere e ope-rare. In un mondo globalizzato la diversità linguistica ed etnica offre opportuni-tà addizionali per lo sviluppo economico, che però possono essere compensate da svantaggi e problemi sul lato sociale e politico. Quali dei diversi aspetti, delle op-portunità e degli svantaggi prevalga, dipende in ultima analisi dalle caratteristi-che delle minoranze, dal modo in cui esse si rapportano ad altre minoranze e alle maggioranze e dalle caratteristiche del contesto esterno. Date queste variabili, so-no la natura e le caratteristiche specifiche delle politiche e il modo in cui queste si rapportano alle variabili di cui sopra che decidono se le opportunità possano es-sere effettivamente sfruttate, o se siano invece gli svantaggi a prevalere.

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gli effettidelle minoranze linguistichesullo sviluppo locale:opportunità e svantaggi

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Discussione

Damir DijakovicCome al solito, quando arrivo alla fine, tutto quello che ho preparato non lo pos-so più utilizzare; poi non sono di madre lingua italiana, e tutti hanno spiegato le cose meglio di quanto io potrei mai fare. Io vengo dall’ufficio UNESCO di Venezia. La struttura dell’UNESCO è costituita da una sede centrale a Parigi e da vari uffi-ci cosiddetti fuori sede in tutto il mondo. Uno più vicino a noi si trova a Mosca e l’altro a Venezia. L’ufficio UNESCO di Venezia è l’unico ufficio nazionale che si tro-va sul territorio italiano, poi in ogni paese membro l’UNESCO è l’unica organizza-zione delle Nazioni Unite che ha un’interfaccia nazionale, che si chiama proprio “Commissione nazionale”. In questo modo esiste in Italia la Commissione nazio-nale italiana, che è nostro primo partner.A parte questo discorso, ho pensato molto durante questi interventi e ho cercato di mettermi là dalla parte vostra e invece di sviluppare un discorso su vari testi nor-mativi internazionali sulle diversità culturali, salvaguardia del patrimonio, dei beni culturali, ecc., ho pensato di portare una testimonianza. Nella mia carriera in UNE-SCO ho lavorato in vari paesi, tra cui anche quattro anni in Africa australe, dove mi sono anche sposato. Mia moglie infatti è africana, così la nostra famiglia è diven-tata multilingue e proprio per questo motivo spero di poter capire la vostra realtà, anche provenendo da una realtà d’Europa, la Croazia, in cui si parla una lingua che non è tra le più diffuse del mondo, ed è così che siamo tutti esposti ad una situa-zione dove dobbiamo imparare altre lingue. Questa è una testimonianza.La seconda è un po’ più forte, perché prima di iniziare con l’UNESCO, nell’inizio anni ’90, ho vissuto una guerra, dove fortunatamente non ero in condizioni di do-ver sparare, però ho lavorato nel settore della salvaguardia e salvataggio dei be-ni culturali. Diciamo che proprio là ho capito che, una volta perso qualcosa che io considero come una parte importante, come un bene culturale che rappresen-ta me stesso – potrebbe essere un libro, un quadro, un chiesa…qualsiasi altra co-sa sia – solo in quel momento ci accorgiamo effettivamente della perdita. La stes-sa cosa è con la lingua.Perciò considero tutti i discorsi validi senz’altro, addirittura ci danno tanti stru-menti per proteggere, per poter promuovere e valorizzare i nostri elementi cul-turali, la nostra lingua, però questo non andrà avanti se voi non parlate questa vostra lingua. Tutto questo si fermerà quando non parlerete più questa lingua ai vostri bambini. Chiudiamo su una nota più positiva; in questa giornata passata in questo ambiente ho capito che, proprio sull’esperienza che ho avuto negli altri paesi, in questo ambiente la cultura vive e continua a vivere. Io l’ho sentita molto forte, molto più forte che in varie parti del mondo e perciò penso che, con que-sto atteggiamento e con tutti gli strumenti presentati dal governo e dalle autori-tà locali, questo è quasi un paradiso. Non è perfetto, lo sappiamo, ci saranno mol-te difficoltà, però io sono profondamente convinto che in questo ambito il futuro c’è, per le minoranze e per le lingue.

Lingua madre, madre terra50 Lingua madre, madre terra 51

Bruno GroffPenso che non ci siano da aggiungere altre parole, l’intervento è stato molto chia-ro, quindi io volevo solo fare un appunto al professor Dallago. È vero che le po-litiche per le minoranze hanno vantaggi e svantaggi. Io mi chiedo poi quali po-litiche abbiano portato reale vantaggio, tra quelle che ho visto, e non solo per le minoranze.Il rappresentante UNESCO ha centrato proprio quello che è il cuore del proble-ma delle minoranze, la consapevolezza di avere queste fortune, la fortuna di ave-re (anche da parte mia) amici che sanno la lingua mòchena e che la parlano. La fortuna di avere persone che ancora credono in quello che vanno dicendo, che si vestono in una determinata maniera, la gente che ancora suona, i bambini che si sforzano di portare avanti un certo discorso, in una certa lingua. E quindi, capisco l’intervento da parte di un economista; Lei Dallago ha detto subito “mai gli eco-nomisti si sono occupati di minoranze, adesso se ne occupano” e allora le cose sono due: adesso o ci sono le risorse per occuparsene o c’è l’interesse. Questa è la constatazione, lo sanno anche gli amministratori, che se noi mettiamo sempre la questione sul lato economico o dei numeri saremo sempre perdenti in partenza, però questo è la nostra anima, la nostra vita, il nostro credo. Abbiamo la fortuna di avere ragazzi giovani che hanno incominciato un certo percorso, gente che tiene duro, anche qualcuno che ha già mollato, ma finché c’è questa vivacità anche all’interno degli ambiti delle minoranze linguistiche penso che l’importante è dar battaglia. La minoranza mòchena è dall’anno 1300 che esi-ste, ma sono solo dieci anni che la Provincia di Trento e il governo italiano si stan-no occupando di minoranze, quindi secondo me è merito proprio della caparbie-tà di certe persone che ci credono. Se c’è il credere ci sarà anche il futuro, e credo che ci sia ancora speranza.

Bruno DallagoÈ quella parola “ancora” che a me non piace. È quello il problema. Lei ha detto “fin-chè riusciamo ad andare avanti, finchè c’è ancora qualcuno”, è questo che biso-gna combattere. Io ho posto il problema sugli aspetti economici, non perché vo-glia negare gli altri, perché io condivido le cose che sono state dette. Molto meglio avere le cose che sono state fatte negli ultimi anni, che non avere niente. Sto so-lo dicendo che quello che è stato fatto negli ultimi anni non è sufficiente. Non è sufficiente perché c’è il rischio che ritardi la sparizione.La strada che io cerco è esattamente l’opposto, cioè quella di cercare, se c’è una possibilità, di far sì che una minoranza che ha le proprie tradizioni, che ha la pro-pria lingua, la propria cultura non sopravviva solo fisicamente finchè sopravvivo-no gli anziani, ma che si riproduca, che crei occasione per i giovani, non di conti-nuare a zappare la terra come cento anni fa, ma di vivere in un mondo moderno restando immersi nella propria cultura. Il telelavoro secondo me può offrire gran-di opportunità; in Finlandia la gente va a vivere nelle foreste ed è al centro del mondo, è collegata con il mondo. Ora la Provincia non mi sembra che abbia mai

Lingua madre, madre terra52 Lingua madre, madre terra 53

pensato a programmi di questo genere per esempio, confesso la mia ignoranza, sono molto contento se ci ha già pensato. Benissimo, questa può essere una stra-da, ce ne possono essere molte altre. Io vorrei che quella parola “ancora” sparis-se, vorrei che attraverso le politiche si creassero delle occasioni e per fare questo bisogna che le politiche siano sostenibili, vale a dire che non rappresentino sem-pre solo un peso per gli altri, perché se cambia il vento politico prima o poi queste cose saltano e allora quello che mi chiedo è: “è possibile far sì che agli altri, alle maggioranze non convenga eliminare quelle politiche?”.Chiudo dicendo una cosa: abbiamo parlato di politiche, qualcuno ha detto “la Pro-vincia dovrebbe fare questo e quello”, io dico è giusto però voi per primi dovete farlo, perché se non siete voi la Provincia cosa può fare…vi dà questo, vi dà quello e che risultati ci sono? È per questo che dico allora l’esistenza delle politiche del-la Provincia è la condizione fondamentale secondo me, ma se non c’è un’autoco-scienza della persone che si organizzano, chiedono ma anche progettano e usano bene quelle risorse, si può ritardare il processo di sparizione e di emigrazione (per-ché è questo poi il modo in cui da noi le minoranze scompaiono). E siamo molto fortunati perché qui i giovani dove vanno?Al limite a Pergine, Trento, non è che debbano attraversare l’Oceano, però comun-que dal punto di vista delle minoranze il risultato è lo stesso. Il futuro delle mino-ranze secondo me richiede prima di tutto che siano le minoranze che lo prendono nelle proprie mani, perché ne hanno le capacità, che poi siano sostenute dagli or-gani politici, ma anche che vengano create le condizioni perché ad esempio anche investitori privati, perché no, trovino la convenienza a fare degli investimenti qua, non sempre l’ente pubblico. E questo richiede sostanzialmente che la minoranza trovi un ruolo nella società moderna, altrimenti l’unico modo per far sopravvivere le minoranze è di pagarle o che so io, pur di far restare in giro qualcuno per allie-tare i turisti, ma non è questo che vogliamo.

Lingua madre, madre terra52 Lingua madre, madre terra 53

Autunno nel Fersina, 1972Mario CoraiolaOlio su compensato (45.2 x 45.2 cm)

Veduta del letto del Fersina con corrente spumeggiante tra le grandi pietre e sulle rive vegetazione in parte ingiallita. Sullo sfondo il profilo delle montagne dominate dal monte Fravort

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Camauz, 1981Romedio Cappelletti

Olio su tela (70 x 49 cm)

Profonda veduta dall’altodei fienili di Camauz in Valle dei Mocheni,chiusa sul fondo delle montagne innevate

Lingua madre, madre terra54 Lingua madre, madre terra 55

Primavera in Palù, 1950Giovanni MainoOlio su cartone

Veduta della chiesa di Palù sulla crestadell’altura verde e contro il Fravort coperto di neve

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Lingua madre, madre terra56 Lingua madre, madre terra 57

II sessione seminarialeSede del Kulturinstitut Lusérn

Luigi Nicolussi CASTELLANSindaco di Luserna

Annamaria TRENTIPresidente dell’Istituto Cimbro/ Kulturinstitut Lusèrn

Vincenzo PELLEGRINIResponsabile Commissione italiana UNESCO

Luca PANIERILibera Università di Lingue e Comunicazione IULM di Milano

Salvatore ABBRUZZESEUniversità di Trento

Capitolo 3

“An hoachan baitn perge,bisan, etzan un balt,groas di sunn in hümblhat ditza khlumma lånt;Is vintze gånz vort bait vo alnun hat no a zung vor is;da biar ren di tzimbar zung,da stata måi Lusern.

I grüaste måine huamat,i grüaste liabes måi Lusern,haüt moche bidar gian vort,bartede bidar segn?ma i gedenkte hertabobral bode bart gian,ia ‘s is nindart sümmaas be ka diar…”

”Una montagna alta e vasta,Prati, pascoli e boschi,grande il sole in cieloha questo piccolo paese;si trova molto lontano da tuttie possiede ancora una sua lingua;qui parliamo il Cimbro,qui si trova la mia Luserna.

Ti saluto patria mia,ti saluto cara Luserna,oggi devo andarmene di nuovo,potrò di nuovo vederti?ma io ti ricordo sempreovunque andrò,si da nessuna parte è bellocome da te…”

Canzone cimbra

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Luigi Nicolussi CastellanI grüasas, pit gånz herz, bolkhent at’z Lusern ditza khlumma lentle bo bar ren ünsar alta zung vo vor 800 djar. Buona giornata e ben venuti a Luserna, questo piccolo paese dove si parla ancora questa antica lingua che ha almeno 800 anni.Ci sentiamo onorati che l’UNESCO abbia scelto il Trentino in questa occasione particolare (e poi oggi Luserna) per commemorare e valorizzare la lingua madre, in questo caso la nostra lingua materna, parlata da poche persone che però ha una radice molto lontana.Non voglio dilungarmi troppo, saluto tutti, il professor Pellegrini, il dottor Panie-ri, la presidente dell’Istituto Cuturale Cimbro, salutiamo anche i Mòcheni che ieri hanno avuto l’onore della vostra visita, abbiamo il dott. Gamper (che proprio ieri è stato nominato presidente del comitato scientifico) in rappresentanza dei nostri cugini mòcheni, c’è il professor Abbruzzese che in questo periodo ha frequenta-to e approfondito un po’ gli aspetti delle minoranze linguistiche e naturalmente il dirigente del Servizio minoranze linguistiche, nominato l’anno scorso, Marco Vio-la, che con entusiasmo e con passione si è buttato in questa avventura, in questo nuovo Servizio. Si sente subito dal calore che non è un lavoro burocratico come uno dei tanti, è carico di entusiasmo e questo senz’altro porterà dei buoni frutti. Credo che la riunione sia un occasione importante per riflettere.

Annamaria TrentiIa, guatn tage aln, un Vorgels-Gott zo soina khent at’z Lusern. Buongiorno a voi tutti, e vi ringrazio di essere venuti a Luserna. Luserna è la più piccola e l’ultima delle isole cimbre, appartiene ad un’area molto più vasta, dove si parlava il cimbro, che è quella dei Sette Comuni di Asiago e dei Tredici Comuni veronesi e si spinge-va a Lavarone, Folgaria fino ad arrivare a Terragnolo.Tutto questo in termini positivi, nel senso che forse può essere giusta quell’idea secondo la quale le lingue si comportano un po’ come i fiumi, sono imprevedibili nel loro andamento, possono modificare il loro percorso, possono scomparire ma possono anche mantenersi. Allora Luserna in questo senso è emblematica, per-ché, mentre tutta la zona circostante con l’andare del tempo ha perso la lingua cimbra, Luserna invece l’ha mantenuta e forse non è solo il fatto che fosse limi-trofa rispetto alle altre zone perché Luserna in fin dei conti ha avuto un altissimo livello di diaspora, un altissimo livello di emigrazione nel corso degli anni. E allora voglio pensare in positivo che probabilmente uno degli elementi di mantenimen-to della lingua non possa essere solo il fatto dell’isolamento, ma che concorrano a questi molti altri fattori.Che cosa è stato fatto nel corso degli anni, almeno recenti, per mantenere e pro-muovere la lingua cimbra? La cosa va vista da due prospettive: una giuridico-am-ministrativa, l’altra legata invece agli interventi di promozione della lingua e della cultura cimbra e di rafforzamento del senso di appartenenza della comunità cim-bra alla propria minoranza. I due aspetti sono diversi tra di loro ma strettamen-te interconnessi e uno determina l’altro. Non a caso il massimo della produzione

interventi di tutelae promozione

della lingua cimbra

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normativa amministrativa di salvaguardia e di difesa e di valorizzazione della cul-tura e della lingua cimbra la si è avuta alla fine degli anni 80-90 e vorrei ricorda-re solo alcuni dei provvedimenti legislativi più importanti che sono stati adotta-ti. La legge 482 del 1999, che ha dato attuazione all’articolo 6 della Costituzione, che prevede che la Repubblica tuteli le minoranze linguistiche. Ma anche la leg-ge istitutiva dell’Istituto Mocheno-Cimbro, cioè la Legge provinciale 18 dell’87 e la Legge provinciale 4 del ’99 e da ultimo la Legge 7 del 2004, che ha modificato la Legge costitutiva dell’Istituto mocheno-cimbro e, come ha detto il dottor Viola, ha istituito il Cultur Institut di Luserna.Evidentemente tutta questa produzione, che è solo una parte delle norme che so-no state adottate, è stato il prodotto di anni di lavoro intenso di promozione verso l’esterno della nostra minoranza, come dire che il riconoscimento di una minoran-za molto spesso è l’ultimo atto o comunque il risultato di un’azione di sensibiliz-zazione verso l’esterno, verso l’opinione pubblica. Ricordo che probabilmente 20 anni fa, nella nostra stessa Provincia, erano molto poche le persone che sapevano che cosa volesse dire “essere cimbro”: bastava andare a Rovereto e parlavano di “slambròt”, ma non sapevano esattamente né cosa fosse l’origine, né da dove ve-nisse e in che cosa consistesse.Allora, in questo senso vedo i due momenti interconnessi perché la promozione della cultura e della lingua cimbra si è manifestata attraverso le azioni dell’Isti-tuto Mocheno-Cimbro prima, del Kulturverein di Luserna, del Centro Bellotto che è un’associazione culturale di Luserna e da ultimo dal Centro Documentazione. I risultati stanno nelle pubblicazioni che sono state prodotte, e nel fatto che per esempio sia stato prodotto un primo libro per i bambini delle elementari, una co-sa significativa così come il fatto che da circa cinque anni a Luserna viene fatto il giornale che avete davanti il “Dar Foljo”, nel quale sono contenuti sia dei testi in cimbro che in italiano e in tedesco; questo perché il nostro obiettivo è quello di sensibilizzare la nostra comunità all’interno, ma andare anche verso gli oriun-di, non solo in Italia ma anche oltre i confini, perché purtroppo o per fortuna, ci sono tantissimi Cimbri che stanno nei paesi di lingua tedesca, per le note vicen-de delle opzioni.Da ultimo credo che uno degli interventi importanti da sottolineare sia il fatto che, con una periodicità mensile, viene garantita una pagina in cimbro sul gior-nale locale “Il Trentino” e inoltre sono state fatte delle trasmissioni radiofoniche, difficili da condurre, perché evidentemente è uno sforzo continuo e di messa in gioco in una tradizione che fino a pochi anni fa è andata avanti sostanzialmen-te solo su base orale e quindi c’è da fare questo ulteriore sforzo di trasmissione su base scritta.Sicuramente però diciamo che lo strumento fondamentale per la valorizzazione della lingua rimane l’ambito scolastico, per il quale però ad oggi solo la scuola materna prevede garantito l’insegnamento della lingua cimbra, mentre perman-gono scarse le garanzie dell’insegnamento della lingua e della cultura cimbra per quanto riguarda le elementari e le medie. Allora come si è sopperito a questo? Su

l’istituto culturale cimbro

pagina in cimbrosu quotidiano locale

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base volontaria, sostanzialmente attraverso i nostri insegnanti locali, che nel cor-so degli anni hanno volontariamente insegnato il cimbro una-due volte alla setti-mana ai bambini delle elementari e nelle medie con la collaborazione di una pro-fessoressa, la dottoressa Cavasin di Lavarone, che si è fatta portatrice di progetti specifici di insegnamento del cimbro alle medie. Un altro degli interventi che sono stati fatti, sempre per valorizzare e salvare la lingua cimbra, è stato quello di ac-cogliere un progetto proposto dalla Provincia, di insegnamento veicolare del te-desco nelle scuole elementari.Questo può sembrare strano, però in realtà noi l’abbiamo accolto favorevolmente per due motivi: il primo perché abbiamo ritenuto che il tedesco possa essere una buona opportunità professionale per i nostri ragazzi nel domani dal punto di vi-sta professionale, il secondo per lo stretto rapporto e connessione che esiste tra la lingua cimbra e il tedesco. Quindi che attraverso l’insegnamento della lingua tedesca nascesse o si sviluppasse nei nostri ragazzi la consapevolezza del valo-re aggiunto che dà il cimbro nell’imparare una lingua straniera, e non mi riferisco soltanto al tedesco, ma ad esempio anche all’inglese, al fatto che comunque una persona bilingue ha una conformazione mentale tale per cui è da ritenere che ab-bia più facilità ad imparare le lingue straniere. Ecco, questo è stato quello che nel-l’ambito scolastico è stato seguito come progetto.Ovviamente poi, sempre in questo contesto, con l’aiuto della Regione, abbiamo cominciato da anni dei corsi estivi di tedesco presso l’università di Innsbruck e presso il “Goethe Institut”. Sul piano della socializzazione è stata attuata una lu-doteca e una colonia cimbra (di tre settimane estive) nelle quali i ragazzi oriundi arrivano e restano con un duplice obiettivo, di avere un momento di socializzazio-ne e di conoscersi, ma anche quello di usare la lingua cimbra.Naturalmente c’è un aspetto, che è quello economico che non è indifferente, per-ché evidentemente il fatto che non ci sia sviluppo economico, ci sia una situazione tale in cui la gente se ne deve andare, diventa un elemento determinante sul man-tenimento della lingua e allora su questo debbo dire che da alcuni anni il Centro di Documentazione di Luserna ha fatto un lavoro egregio, cioè ha condotto un lavoro scientifico e metodico di costruzione di un “turismo culturale”, attraverso la pro-mozione di mostre, la pubblicazione di testi, anche di autori locali, per promuovere la nostra minoranza verso l’esterno, sensibilizzare l’opinione pubblica e la popola-zione trentina sull’esistenza della nostra minoranza e della sua peculiarità.Concludo il mio intervento dicendo quali sono gli obiettivi a breve termine del-l’Istituto, che sono sostanzialmente due importanti: il primo è quello della valida-zione della grammatica e del vocabolario cimbro che sono stati attuati dal pro-fessor Hans Tyroler, che per noi sono essenziali per andare verso una unitarietà di scrittura del cimbro ed una standardizzazione, perché oggi le cose che vengono scritte…come dire, noi cerchiamo di seguire il tipo di scrittura di Hans Tyroler pe-rò molto spesso (lo vediamo anche nel giornale che facciamo) non essendo stato standardizzato ognuno mette qualcosa di proprio. Il secondo obiettivo è quello di individuare azioni specifiche per dare un’immagine positiva e di modernità della

insegnamento del cimbroe del tedesco veicolare

lo sviluppo localeelemento determinante

per la conservazionedella lingua

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nostra lingua, farla uscire dalla realtà familiare sensibilizzando l’opinione pubbli-ca, ma anche i nostri oriundi per mantenere il cimbro con i propri figli e far capire loro quale valore aggiunto costituisca il fatto di parlare la lingua cimbra.

Vincenzo PellegriniSono lieto di rinnovare e portare il mio saluto al Comune di Luserna, al suo Sin-daco, al Presidente dell’Istituto che ci ospita, a tutti i presenti e di rinnovare il mio ringraziamento all’amministrazione della Provincia autonoma di Trento, che ha voluto organizzare questo pellegrinaggio tra le comunità linguistiche di minoran-za del Trentino. A questo se permettete, vorrei aggiungere un ringraziamento non istituzionale ma personale: non solo e non tanto per la simpatia e l’affabilità che mi hanno accompagnato durante queste due giornate, ma perché questo viaggio tra le comunità non solo mi ha fatto imparare molte cose, ma mi ha permesso di venire a contatto con due aspetti che ritengo importantissimi. Uno è l’applicazio-ne sul territorio di un modello di cui la Provincia di Trento e il nostro Paese deve essere molto orgoglioso.Un secondo elemento, ne parlavo ieri con una certa ammirazione con il collega del-l’UNESCO (del saluto del quale sono peraltro portatore), è stata la profonda parte-cipazione delle comunità che abbiamo incontrato: quanto si avverta che esse per-cepiscono l’aspetto linguistico come elemento fondamentale, non solo per la loro identità, ma anche per la loro crescita, il loro sviluppo, il loro proiettarsi verso il fu-turo, che mi sembra un discorso di grande solidità ed importanza. La giornata della lingua madre è ormai una delle tante celebrazioni, è la prima che in Italia viene rac-colta dalla Commissione nazionale e sulla quale la Commissione ha sperimentato, anche grazie all’iniziativa della Provincia di Trento, una proiezione sul territorio.L’Italia, al contrario di quanto nella percezione comune si rivela, è un paese che è ricco di un mosaico di piccole e piccolissime realtà linguistiche ed è una pae-se che in molte di queste realtà è riuscito a creare delle buone pratiche di tute-la e di occasione di sviluppo che l’UNESCO guarda con attenzione. Negli incontri che abbiamo avuto in questi giorni, il mio collega ed io, abbiamo avuto una per-cezione un pochino curiosa di quella che è –scusate il gioco di parole– la perce-zione dell’UNESCO. L’UNESCO è nota al grande pubblico prevalentemente per quel che riguarda i momenti di tutela del patrimonio culturale, ma curiosamente, dia-logando con alcuni rappresentanti ed esponenti delle comunità, sembrava ci si aspettasse dall’UNESCO anche una serie di azioni pratiche sul territorio.Non che manchi una progettualità anche concreta dell’UNESCO, però un tipo di approccio del genere non è né coerente con quello che è il mandato dell’organiz-zazione delle Nazioni Unite per l’educazione alla scienza, alla cultura, alla comu-nicazione e francamente un tributo si inserirebbe in maniera curiosa anche dal punto di vista ordinamentale. Allora che cos’è che fa l’UNESCO, in che contesto si colloca la giornata della lingua madre e che senso ha la sua celebrazione?Quest’anno, tutti ci auspichiamo, in occasione della Conferenza Generale assu-merà la valenza di una convenzione internazionale, che al momento della 20a ra-

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tifica diventerà obbligatoria, attiva e operativa, dichiarazione e poi convenzio-ne sulla diversità culturale che contiene ampi riferimenti agli aspetti linguistici. Aspetti linguistici come diritto all’uso della propria lingua madre, come promo-zione del multilinguismo, considerato la strada del futuro ed anche soprattutto nella direzione della tutela dei patrimoni linguistici delle varie comunità e infine sotto l’aspetto, che a me sembra estremamente rilevante, della garanzia dell’equo accesso al cyber-spazio (quindi alle discipline ormai del futuro) alle varie forme linguistiche. Ieri credo di aver dato qualche segnale sulla diversità della presenza delle lingue per esempio su Internet, uno degli aspetti che sarà vincolante, a cui faccio riferimento è proprio questo: dell’accesso al cyber-spazio e dell’utilizzo del-lo stesso come strumento di tutela delle lingue. Ecco, in questo quadro si inserisce la giornata della lingua madre che è uno stru-mento di lavoro, un momento di riflessione comune, di sollecitazione di manife-stazione non necessariamente di produzione scientifico-culturale, ma soprattutto di coinvolgimento delle comunità interessate alla tutela linguistica e, ci si augura, il coinvolgimento dell’opinione pubblica su queste problematiche.Io a questo punto concluderei con un ulteriore ringraziamento per i numerosi contributi che gli accademici hanno dato in questi giorni come spunti di riflessio-ne e che credo potranno essere anche una traccia di questa operazione culturale che, pur nelle sue valenze celebrative, credo possa restare sia come testimonianza, sia come momento di provocazione per ulteriori riflessioni e per ulteriori esiti.

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omologazione globalee cultura minoritaria

differenziazione locale a fronte di una cultura globale

La dimensione locale–globale delle minoranze come opportunità di riproduzione culturale

Salvatore Abbruzzese – Università di TrentoIl fenomeno della globalizzazione, richiamato qui in una delle forme più eviden-ti, è riconducibile alla crescita delle interdipendenze conseguenti all’abbattimento dei costi della comunicazione e più precisamente alla “compressione dello spazio” che ne consegue. La vulgata ideologica e retorica che tempesta costantemente le scienze sociali, demonizza rapidamente un tale fenomeno riducendolo alle diverse forme di omologazione culturale, postulando così la fine delle diversità e, in pri-mo luogo, delle diversità linguistiche. Il dominio dell’inglese veicolare, negli scam-bi commerciali e nelle comunicazioni di massa, sembra essere l’icona linguistica con la quale si apre realmente il terzo millennio.Le lingue e le culture minoritarie, da parte loro, sembrano avviarsi a costituire una sorta di riserva culturale, buona solo per allestire musei e realizzare escursioni. Questo quadro, per quanto plausibile, è in realtà molto meno scontato di quan-to non si creda. I processi di omologazione culturale aprono sempre e comunque dei percorsi di differenziazione. Ogni volta che le società locali si sono omologate intorno ad una cultura globale si è sempre creato un processo di differenziazio-ne interna nel quale le specificità locali hanno continuato ad agire e ad influen-zare la cultura globale. Quest’ultima, conseguentemente a ciò non si è mai affermata per intero, ma solo come cornice comprensiva delle culture locali, cioè come spazio giuridico e nor-mativo dove queste avevano il loro spazio.Sono queste le conclusioni che è possibile trarre sul piano storico analizzando sul piano comparativo le vicende dei diversi Stati europei, con la sola eccezione, for-se, del caso francese. Qui la formazione dello Stato nazione ha comportato un impegno sistematico di costruzione della lingua nazionale attraverso il College Royale, oggi noto come Collège de France. Un centro burocratico–razionale si im-poneva su tutto il resto della nazione schiacciando le variabili regionali così co-me eliminando i corpi intermedi della società civile. Ma proprio l’illustrazione del caso francese ci permette di comprendere come oggi, il nuovo processo di globa-lizzazione non sarà assolutamente in grado di operare un omologazione forzata di questo tipo. Non ha un centro, né una cultura reale, né un profilo omogeneo al fine da riuscire ad impedire la differenziazione che accompagna tutti i norma-li processi di crescita.Il problema è di capire (ma anche di scegliere) se questa differenziazione si pro-durrà semplicemente sul piano economico, come realizzazione delle specificità d’area e delle vocazioni produttive, o se si affermerà anche come differenziazio-ne delle culture, cioè come riconoscimento delle differenze di lingue e di valori. Il problema è di comprendere se si sarà capaci di fermarsi ai riassetti del merca-to globale, oppure se si avrà la capacità e la volontà di far convivere la necessa-ria omologazione di superficie (rappresentata dall’inglese veicolare che tutti dob-

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biamo conoscere) con la crescita delle consapevolezze identitarie (rappresentata dalle lingue madri) là dove ancora esistono e sono riconoscibili grazie al lavoro dei linguisti.Scopo di questa relazione è comprendere a quali condizioni una tale scommes-sa – quella delle consapevolezze identitarie e del recupero della lingua come for-ma di un tale consapevolezza – possa essere vinta. Appare infatti evidente come sia proprio la varietà delle culture regionali a fare la ricchezza culturale (non solo paesaggistica) di un’area nazionale.Appare anche altrettanto evidente come una società ricca di profili identitari rie-sca a conservare un tessuto di appartenenze e di relazioni che rendano realmen-te possibile lo sviluppo di una reale democrazia, mentre al contrario, una società omologata e priva di differenze, finisca per attendersi tutto dal governo centrale e si incammini per una strada di pericolosa dipendenza. Affinché la ricchezza dei profili identitari possa dare i suoi risultati occorre anche che venga adeguatamen-te percepita, cioè solo a condizione di una coscienza condivisa – e la lingua costi-tuisce, a tal proposito, la dimensione più chiara attraverso la quale la cultura lo-cale si rende esplicita – è possibile trasformare la minaccia di omologazione nello sviluppo delle differenze.

1. Uscire dal passato recenteA tal fine un primo passo da compiere è quello di tagliare con un passato recen-te, dove le difficoltà economiche e la precarietà degli assetti produttivi, vedeva-no nell’adeguarsi, e nell’adattarsi a standard ed a criteri decisi altrove, il principio fondamentale della crescita. Quest’ultima peraltro finiva con il coincidere con la categoria dell’emancipazione, intesa qui come il crescente disimpegno dai lega-mi e dalle espressioni linguistiche territorialmente situate. Esattamente come gli emigrati degli anni venti, che parlavano la loro lingua a voce bassa per non sen-tirsi squadrati ed etichettati per la loro estraneità e la loro marginalità rispetto alla società maggioritaria di immissione. Diversi elementi hanno messo in crisi un ta-le assetto societario. Questi possono essere riassunti nella triplice crisi: di un mo-dello politico (quello centralistico), di un modello economico (quello della centra-lità dell’impresa industriale) di un modello etico valoriale (fondato sul possesso di beni materiali). Al posto del centralismo si è imposta l’autonomia, al posto della centralità dell’impresa industriale il suo legame fondamentale con il terziario. Al posto del possesso materiale dei beni quello di una qualità della vita delle perso-ne e dei gruppi sociali.La nuova realtà è certamente policentrica e città come Trento, Innsbruck, Pado-va, Venezia, Treviso, costituiscono altrettanti poli in costante interazione. Ora non c’è policentrismo che non indichi anche una nuova riformulazione dei rapporti tra centro e periferia. Le periferie cessano di essere tali, ma diventano aree speci-fiche in un contesto di continuo attraversamento di flussi di comunicazione non solo produttiva, ma anche linguistica e culturale. La loro marginalità, fino a poco tempo fa iscritta, quasi come inevitabile conseguenza, nella centralità di un po-

consapevolezza identitariae recupero

delle lingue minoritarie

emancipazione linguisticacome disimpegno

dagli standard etico-valoriali

Lingua madre, madre terra64 Lingua madre, madre terra 65

lo di attrazione, viene ora messa completamente in discussione. In realtà è il cen-tro ad avere perso peso in una realtà policentrica, mentre le periferie si vanno di-stinguendo tra semplici aree residenziali, luoghi di transito e, all’opposto, luoghi pieni in senso antropologico, cioè capaci di espressione identitaria, relazionale e storica.Anche il crescente ridimensionamento della centralità dell’industria e l’avanzata del terziario dei servizi modificano ulteriormente la geografia dei luoghi. La mon-tagna, a lungo penalizzata nell’epoca industriale, è destinata a giocare un ruolo completamente diverso in una società industriale avanzata, giudicata sempre di più per le reti di servizi che sa offrire, sia ai privati, sia alle aziende.Alla tradizionale risorsa turistica e paesaggistica, alle potenzialità dell’artigiana-to, dell’agricoltura e dell’allevamento si aggiungono – ripeto si aggiungono e non si sostituiscono – tutte le dimensioni produttive rese accessibili dalla rivoluzio-ne informatica. Dalle aziende addette alla produzione di software per il terziario di valle, per l’Università e per i centri di ricerca, ai call center, alle banche dati, al-le funzioni di elaborazione e controllo delle procedure assicurate attraverso il te-lelavoro. Per di più, vale appena il caso di dirlo, la rivoluzione informatica è per-fettamente coerente con la pluralità dei centri e, paradossalmente, aprendo in simultanea su centri diversi, cioè su poli produttivi e commerciali molteplici, es-sa consente alla minoranza culturale di non dipendere dal mercato di uno solo di questi. Infine anche il passaggio dal possesso di beni materiali a quello di ele-menti di qualità della vita disarticola e sconvolge l’equilibrio centro periferia che ha caratterizzato ed anche condizionato tutto lo sviluppo industriale tradizionale. La qualità della vita si misura sempre di più sugli equilibri piuttosto che sulle per-formances. Dal momento in cui l’unica velocità che serve è quella della trasmis-sione delle informazioni e questa oramai si realizza su via telematica è la qualità dell’esistenza della vita delle persone che costituisce la vera scommessa ed il vero obiettivo di tutte le strategie dei singoli come dei nuclei famigliari.Certamente la presenza di questi fattori non indica assolutamente che il problema della marginalità delle aree di montagna e delle culture che vi abitano sia risolta. Al contrario può costituire una pericolosa illusione quella di confidare negli auto-matismi del policentrismo, della telematica e della qualità della vita senza tradur-re queste – che non sono fino a questo momento che delle opportunità struttura-li – in progetti a medio termine in grado di coglierle. Al fine di evitare di mancare l’obiettivo diviene necessario operare una trasformazione pesante nelle coscien-ze, penalizzate per decenni, se non per secoli, da una lontananza tradotta e fatta pagare come marginalità culturale, economica e politica.

2. Il recupero delle matrici identitarie ed il ruolo delle lingueIntrodurre il problema della lingua quando si è appena finito di accennare ai pro-blemi del territorio e del suo inserimento negli attuali trend di sviluppo può ave-re un senso solo se si ritiene che il collante identitario, e il sigillo linguistico che lo veicola, non siano momenti marginali di questo processo, ma anzi ne costitui-

decentramento culturalee linguistico e nuovo ruolodella periferia

l’identità minoritariapremessa del nuovo processodi sviluppo locale

Lingua madre, madre terra66 Lingua madre, madre terra 67

scano la premessa. I processi fin qui descritti convergono tutti su di un punto che è quello della crescente perdita di peso di qualsiasi squalifica verso periferie geo-grafiche che, di fatto, non sono più individuabili, o comunque sono diversamen-te collocate una volta che si è prodotto il riassetto territoriale e produttivo appe-na descritto.Il problema diviene qui quello del recupero e della restituzione di una lingua e quindi dell’identità linguistica che vi è connessa. Occorre cioè comprendere in che misura una tale operazione non sia necessaria solamente a fini di pura conser-vazione, ma costituisca una premessa essenziale per reggere le nuove dimensioni policentriche appena descritte. In effetti, nella vecchia polarizzazione tra centro e periferia, si era sviluppata una convivenza al ribasso che, se da un lato relegava ai margini la lingua minoritaria, per l’altro verso la riteneva come una specificità locale e, in tal senso, non era ostile al suo mantenimento in vita. La prova è da-ta dalla crescente attenzione degli organi provinciali e regionali nelle diverse ini-ziative di sostegno della cultura delle minoranze. Ma attualmente questo quadro sta cambiando.Gli stessi processi di riassetto territoriale e produttivo che abbiamo appena de-scritto possono funzionare anche come altrettanti produttori di indifferenza cul-turale. La sinergia tra Trento, Padova, Innsbruck, Venezia, Treviso, si produce anche ad un livello linguistico meta – territoriale, dove le diverse lingue veicolari (italia-no, tedesco, inglese) sono sostanzialmente indifferenti alle lingue locali e, in parti-colare a quelle delle minoranze. Il recupero della lingua madre diviene così sempre di più una scelta degli attori sociali, delle famiglie e delle comunità, più che una necessità. Se prima, collocati in una zona di periferia, la lingua madre coincideva con l’universo delle relazioni private e comunitarie; ora, in una zona di transito e nell’accelerazione dei processi di comunicazione, può rapidamente essere perce-pita come un peso inutile e quindi un costo sempre meno sostenibile.Per evitare un simile errore occorre essere convinti in primo luogo del rapporto che esiste tra il recupero della lingua e quello dei processi identitari. Così come occorre essere convinti dell’importanza di questi ultimi ai fini della costituzione della società civile: cioè di quel segmento sociale intermedio tra soggetto e istitu-zioni senza il quale alla democrazia si sostituisce la demagogia. Il problema fon-damentale risiede qui nel fatto che i processi identitari, poiché si danno in forma automatica, a loro volta, non sono percepiti nella loro importanza fino a quando non se ne percepisce la potenziale messa in crisi, cioè quando sono in via di scom-parsa. Una messa in crisi che questa volta non viene più dalla squalifica operata dal centro, bensì dal disinteresse naturale, dall’indifferenza congenita di una so-cietà fondata sulla comunicazione, e quindi sui linguaggi veicolari e l’assoluta tra-sparenza delle differenze culturali.Parlare in cimbro (e, ovviamente, in mocheno o in ladino) diviene allora essenzia-le non solo per conservare una lingua, ma anche per un recupero di una dimen-sione del proprio sé, di fatto indispensabile quando al posto di un centro che rea-lizza una transazione tra l’identità della lingua minoritaria con quella della lingua

il recupero della lingua madreè strettamente connesso

al processo auto-identitario

volontà auto-identitariee scelte politico-istituzionali

Lingua madre, madre terra66 Lingua madre, madre terra 67

trentina, si ha a che fare con un universo policentrico che, di fatto, è indifferen-te alle identità, così come queste sono trasparenti rispetto ai processi produttivi e comunicativi.Vale appena la pena di segnalare quanto tutto questo sia decisivo ai fini di uno sviluppo equilibrato e sostenibile. Solo la chiara e salda percezione di una propria identità culturale, avvalorata e, in qualche modo, legittimata da una lingua colta, cioè coltivata, pensata, elaborata e restituita ad un tessuto coerente di vocaboli e ad una chiara struttura sintattica, può consentire di sostenere il dialogo, la co-municazione e l’interazione con una società esterna che non distribuisce più che identità di superficie.Ciò implica tanto una volontà sociale quanto una precisa scelta di indirizzo istitu-zionale. Occorre che nella famiglie si recuperi lentamente l’uso di vocaboli cimbri, ma questo si può fare solo nel quadro di una collettività che recupera la dignità della cultura e della lingua cimbra. A tal fine sono indispensabili alcuni passaggi intermedi che, sotto l’aspetto sociologico, ci sembra opportuno segnalare.

3. Per un recupero dell’identità linguistica e culturale Se ad un’Europa dei centri si va sostituendo un’Europa delle comunicazioni e de-gli scambi, allora le espressioni identitarie diventano elementi tanto più preziosi quanto più sono minacciati dai processi di compressione dello spazio e di perdita dei riferimenti territoriali, ma anche tanto più preziosi quanto più possono fun-zionari da elementi ponte, cioè da momenti di mediazione culturale tra universi linguistici fino ad oggi rimasti profondamente separati l’uno dall’altro.C’è quindi da predisporre in primo luogo un’operazione di sensibilità culturale verso la rete di lingue madri esistenti in Europa, incentivando momenti di incon-tro culturale, capaci di coinvolgere e interessare in special modo i giovani, che so-no la categoria che ha maggiormente bisogno di strutturare la propria identità. Il Cimbro viene così a percepirsi accanto ad una rete di lingue di minoranza che hanno fatto e fanno l’Europa, recuperando così il suo contesto culturale proprio, ed uscendo dall’isolamento. Ed è in questo senso che va iscritta l’iniziativa già av-viata dal Comune di Luserna con la costituzione del “Comitato Unitario delle isole linguistiche germanofone d’Italia”.In secondo luogo, intorno al Cimbro va proseguito lo sforzo già iniziato di defini-zione linguistica e vanno attivati momenti di esternazione culturale di alto livel-lo, dove vengono riconosciuti e premiati lavori scritti in lingua cimbra. Infatti so-lo avendo la percezione di una lingua colta, oggetto di un lavoro di elaborazione e di definizione linguistica è possibile che essa continui ad essere adottata dalla comunità di Luserna.Ma una lingua si difende anche dall’esterno di sé stessa. E questo avviene non solo difendendo la popolazione che la veicola, ma anche la qualità della vita che questa conduce e la capacità di autonomia del territorio nel quale è insediata. È indispensabile che degli standard di autosufficienza siano comunque garantiti e questi non riguardano più solo i beni di prima necessità, ma anche servizi secon-

promozionedella lingua minoritariain ambito transnazionale

esternazione culturalelinguistica di alto livello

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dari come una biblioteca organica ed autosufficiente per supportare gli studi delle scuole medie superiori e magari fornire quelle poche grandi opere di base di fatto indispensabili nella consultazione del primo triennio universitario.Così come è indispensabile che la comunità cimbra promuova e sviluppi le vo-cazioni culturali e scientifiche esistenti tra i suoi concittadini anche con borse di studio per la frequenza di università italiane e straniere qualificate, assicurandosi dell’esistenza di una buona tutorship.

Si tratta allora di lavorare su almeno tre fronti:a. quello del recupero colto di una lingua e della sua esternazione in tutti i mo-

menti di vita collettiva;b. quello della collocazione identitaria di Luserna non solo nel quadro delle lingue

germanofone, ma anche nel consesso più ampio delle minoranze linguistiche europee;

c. quello della crescita sociale globale stessa di Luserna, sia attraverso il reperi-mento di attività produttive compatibili con l’area e con le nuove tecnologie, sia attraverso una crescente capacità di sostegno e di incentivazione ai percor-si culturali e scientifici dei propri cittadini.

4. ConclusioniOccorre non pensarsi più come marginali, perché in una società globale tutti lo sono e nessuno lo è, in quanto la società globale non ha un centro, né identità che non sia strumentale e collegata alle semplici sinergie commerciali e produt-tive. Occorre non pensarsi più come penalizzati dal numero, quando in realtà è la qualità di capitale culturale e di capitale sociale a definire le capacità concrete di una collettività. Occorre anche rendersi sempre più conto di come, nella misura in cui la qualità della vita aumenta, presentando una rete sempre più vasta di op-zioni, diventa sempre più necessario avere legami ed ancoraggi che permettano di situarsi e di operare delle scelte. La lingua madre è l’icona della dignità cultura-le di una collettività. Parlarla bene, recuperare la memoria identitaria che reca con sé, costituisce un tassello ed una ricchezza da non dissipare, se non si vuole cade-re nel supermercato delle identità a prestito e soprattutto se non si vuole cadere nell’illusione moderna, di un soggetto che si creda sufficiente a sé stesso e che si crogiola nella pia illusione che gli basti avere una buona collocazione professio-nale per poter vivere senza identità e quindi senza memoria.

promozione delle vocazioniculturali endogene

rilevanza e dignità socialedella minoranza linguistica

nel policentrismodella società globale

Lingua madre, madre terra68 Lingua madre, madre terra 69

Il cimbro come patrimonio storico-linguistico

Luca PanieriLibera Università di Lingue e Comunicazione IULM di Milano

“Chi crederebbe! In un angolo de’ Sette-Comuni, dove attesa la situazione, il linguaggio tede-sco potrebbesi conservare e più puro e più a lungo che in altri luoghi, gli abitanti sono venuti da qualche tempo a tale riscaldamento di fantasia, che odiano e vilipendono la propria lingua ver-gognandosi di parlarla quasi fosse un disonore e una infamia il servirsene. Non basta: proibi-scono ai figli di apprenderla e agli ospiti di parlarla nelle loro case a fine di abolirla ed annien-tarla. E non è questa una barbara ed inaudita crudeltà detestare il linguaggio che succhiarono col latte: che fu si caro ai loro antenati: che caratterizza e distingue la nostra privilegiata na-zione dalle vicine, e ch’è l’argomento più decisivo che abbiamo della nostra antichità ed origi-ne: Argumentum originis?”

(D. Agostino Dal Pozzo, n. 1732 – m. 1798, Memorie istoriche delle Popolazioni alpine dette Cimbriche e Vocabolarj de’ loro dialetti, Vicenza, 1820†, 408 quart.)

Dovendo approfondire la questione della posizione del cimbro nel panorama delle lingue europee è inevitabile l’approccio storico-linguistico, cioè occorre ripercor-rere a ritroso nel tempo quella lunga sequenza di mutamenti linguistici genera-zionali che riconducono il cimbro attualmente parlato alla sua matrice origina-ria. Le relazioni di questa tradizione linguistica con le altre lingue d’Europa infatti risultano sempre più chiare a mano a mano che ci spingiamo nel passato. I ter-mini di paragone che dobbiamo cercare, per capire a pieno la posizione assunta dal cimbro, più che le lingue ufficiali attualmente dominanti nelle realtà nazionali moderne, devono essere le realtà dialettali che una volta fiorivano in tutto il pa-norama linguistico europeo, producendo una situazione linguisticamente sfuma-ta, senza brusche interruzioni, poiché generalmente il dialetto del vicino era ab-bastanza simile a quello proprio e quindi le differenze linguistiche erano graduali. Il regredire dei dialetti, ai giorni nostri, ci ha condotti invece ad una situazione in cui i confini degli stati segnano effettivamente anche bruschi cambiamenti di lin-gua. Ciò è dovuto in gran parte alla scolarizzazione di massa, che ha imposto a tutti i cittadini di uno stato lo stesso modello linguistico di riferimento: la lingua letteraria nazionale. Essa stessa storicamente non è che una delle tante varian-ti dialettali originariamente circoscritta ad un ambito geografico ben più limita-to dell’attuale territorio dello stato che l’ha adottata come lingua ufficiale. Così la lingua italiana, ad es., è storicamente parlando, una variante linguistica di matrice toscana che la fortuna della storia ha fatto diventare lingua nazionale di uno sta-to la cui estensione geografica è assai più vasta, sia verso sud che verso nord, del territorio in cui originariamente si parlava.All’epoca di Dante Alighieri, invece, questo modello linguistico era una realtà par-lata solo in Toscana, mentre altrove si usavano correntemente varianti dialettali sempre meno simili al toscano a mano a mano che ci si allontanava dal quel ter-ritorio. Vi era quindi tutta una gamma di sfumature dialettali che gradualmente,

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per fare un esempio, conducevano dal toscano al francese, passando attraverso i dialetti liguri, poi al provenzale fino alla lingua d’oil, che può essere considera-ta l’antenata diretta dell’attuale lingua nazionale francese. Mentre la situazione odierna, per le giovani generazioni che, sia in Francia che in Italia, hanno perso il dialetto originario, si traduce in una contrapposizione linguistica netta al di qua e al di là del confine. Naturalmente ciò è dovuto in massima parte al fatto che nelle rispettive scuole dei due paesi si inculca ai bambini un solo modello linguistico di riferimento culturale, appunto il francese da una parte e l’italiano dall’altro. Senza nulla togliere all’importanza, sul piano della crescita intellettuale e culturale del-la scolarizzazione di massa delle nazioni moderne, viene però da chiedersi se essa debba necessariamente tradursi nell’annientamento delle realtà linguistiche tra-dizionalmente parlate a livello locale. Certamente la radicalizzazione delle differenze linguistiche conseguente alle po-litiche culturali delle nazioni moderne non ha giovato alla comprensione recipro-ca fra popoli, tagliando letteralmente i ponti che le sfumature dialettali forniva-no naturalmente nel passaggio da un territorio ad un altro. Si sono enfatizzate le differenze tra popolazioni vicine, polarizzando il senso di appartenenza etnica at-torno al concetto di cittadinanza politica…Ma tornando all’argomento principe di oggi, è indubbio e arcinoto che il cimbro, in tutte e tre le sue varianti attuali, sia una lingua strettamente affine al tedesco. Ciò emerge in tutta chiarezza dal confronto sul piano fonologico, lessicale, mor-fologico, ecc. tra le due lingue. Ma questa semplice constatazione dà luogo a tut-ta una serie d’interrogativi sulle ragioni di questa parentela linguistica, ai quali si può rispondere soltanto attraverso una spiegazione di ordine storico, poiché dallo stato attuale delle cose non è possibile ricavare alcuna risposta in tal senso. Cer-cando di sintetizzare al massimo il modello di ricostruzione storica generalmente accettato per descrivere e comprendere la formazione della minoranza linguistica cimbra in territorio italiano e sgomberando il campo da tutte quelle supposizio-ni e leggende storicamente indimostrabili,1 l’origine della lingua cimbra risale al flusso migratorio di coloni bavaresi che al meno dal 1000 circa, ad ondate succes-sive, s’insediarono sui territori montani del veronese e del vicentino, incoraggia-ti dalle autorità locali, per dissodare terreni boschivi, fino a quel momento pres-soché improduttivi. Dobbiamo quindi necessariamente supporre che la lingua che questi immigrati germanici recarono con sé, assieme al loro bagaglio culturale, fosse allora del tutto simile a quella bavarese dell’epoca, della quale vi sono fortunatamente attestazioni storiche. In altre parole il punto di partenza della storia linguisti-ca del cimbro è sufficientemente conosciuto ed è costituito dai dialetti bava-resi dell’XI sec., il cui stato linguistico è ancora quello del tardo antico-alto-te-

1 Le ipotesi storico-linguistiche sulla provenienza originaria dei coloni tedeschi che formarono il nucleo sto-rico della comunità cimbra sono schematizzate in: Maria Hornung, “L’origine dei cosiddetti «cimbri»/Die Herkunft der sogenannten «Zimbern»”, Le isole linguistiche germaniche nell’italia settentrionale, a cura di G.B. Pellegrini – S. Bonato – A. Fabris, Roana, Istituto di Cultura Cimbra, 1984, pp. 47-61.

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desco.2 La storia successiva della comunità linguistica cimbra ci mostra come essa abbia legato il suo destino politico a quello delle varie signorie italiane (scaligeri 1311-87, visconti 1387-1404) che si succedono nel medioevo fino al-l’inserimento nell’ambito della Repubblica di Venezia (1404-1797). Durante questo lungo periodo secolare la comunità riesce comunque a mantenere una sua autonomia di governo, fondata su tradizioni giuridico-istituzionali germa-niche, che, assieme alla particolare situazione linguistica, fanno di queste contrade un territorio assolutamente originale e culturalmente specifico nel panorama etnico dell’Italia settentrionale. Dal punto di vista delle relazioni socio-economiche la co-munità cimbra ebbe nei secoli i suoi scambi più significativi con il mondo di lingua neolatina in cui si trovava immersa e ciò naturalmente ebbe ripercussioni sulla sua storia linguistica. D’altro canto, almeno durante i primi secoli di vita della comunità, la politica ecclesiastica locale, prendendo atto della diversità linguistica e culturale di questo territorio, cercò di mantenere stretti legami con il clero tedesco dell’Austria e della Baviera, ed anche ciò non mancò di avere ripercussioni sull’evoluzione della lingua cimbra. Credo quindi che la vicenda linguistica del cimbro sia da comprendere soprattutto in virtù di questa duplice dinamica di relazioni socio-culturali.Tenendo in mente ciò accingiamoci ad illustrare con esempi linguistici quanto appena affermato. In primo luogo occorre chiarire quale fosse la situazione delle parlate tede-sche all’epoca della prima colonizzazione bavarese dei territori storicamente cimbri. A quel tempo la lingua tedesca era caratterizzata, dal punto di vista fonologico, da una maggior ricchezza di vocali desinenziali, un po’ come ancora avviene nella lingua ita-liana, che conserva piuttosto bene l’antica varietà di vocali in sillaba finale propria del latino. Anche le lingue germaniche originariamente avevano una notevole ricchezza di vocali desinenziali, che con il loro variare concorrevano a segnalare morfologicamen-te le distinzioni grammaticali della flessione nominale e verbale. Con l’andare del tem-po, però, durante la storia di tutte le lingue germaniche, le sillabe finali sono andate ad indebolirsi, trovandosi in posizione atona; dato che in queste lingue l’accento è fis-so sulla sillaba radicale. Questo processo secolare di progressiva riduzione delle sillabe desinenziali si è tuttavia realizzato con modalità e velocità diversa a seconda della lin-gua considerata. Ad es., nella lingua inglese questa tendenza è stata molto forte con la conseguenza di una quasi totale scomparsa dell’apparato desinenziale originario, ancora in grande misura conservato nell’inglese antico di 1000 anni fa.Ciò spiega anche la drastica semplificazione del sistema flessionale dell’inglese moderno, che per fortuna di chi studia questa lingua, facilita notevolmente l’ap-prendimento della sua grammatica. Ma, storicamente parlando, questa caratteri-stica morfologica dell’inglese è un tratto linguistico innovativo acquisito nel tem-po, che originariamente non gli appartiene. Valgano questi pochi esempi della flessione del verbo ‘legare’ in anglosassone (antico inglese VIII-XI sec.):

2 Per il lettore italiano che si accosta alla storia della lingua tedesca dalle origini ai giorni nostri si segnale la recentissima: Sandra Bosco Coletsos, Storia della lingua tedesca, Torino, Rosenberg & Sellier, 2003.

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La grammatica originaria dell’inglese era quindi ben più complessa e molto si-mile a quella del tedesco attuale. Ma, anche rimanendo nell’ambito ristretto del-l’esempio citato, i conoscitori della lingua tedesca moderna noteranno già che la morfologia dell’anglosassone poteva realizzare opposizioni distintive fonologica-mente impossibili nel tedesco attuale, che ne rivelano l’aspetto arcaico. Mi riferi-sco alla distinzione tra ags. binden e ags. bindan, che nel tedesco moderno va a cadere nell’unica forma fonologicamente possibile ted. binden, la cui vocale de-sinenziale, pronunciata con un timbro indistinto, è storicamente parlando, il ri-sultato della confluenza fonetica di antiche vocali desinenziali distinte, che tro-vandosi fuori accento, col tempo si sono confuse. Ma qual era allora la varietà di vocali desinenziali originariamente presente nel tedesco?Nelle sue prime attestazioni d’epoca carolingia l’antico alto tedesco, presentava un sistema vocalico in cui, grosso modo, tutte le vocali, sia lunghe che brevi, po-tevano ricorrere sia in sillaba accentata che in sillaba atona; quindi il panorama desinenziale era assai vario e molto diverso da quello del tedesco moderno, in cui l’unica vocale desinenziale impiegata nel sistema flessionale è la vocale indistinta scritta <e>, delle terminazioni nominali e verbali uscenti in –e, -en, -em, -er, -es, -et, -est. Storicamente possiamo dire, schematizzando un po’, che nel tedesco at-

aat. cim. ted.

sunu/sun ‘figlio’ N.A.sg. sun Sohn

gesti ‘ospiti’ N.A.pl. géste Gäste

tage ‘giorno’ D.sg. taghe Tage

hano ‘gallo’ N.sg. hano Hahn

erda ‘terra’ N.A.sg. èerda Erde

zungun ‘lingue’ N.A.pl. zunghen Zungen

hohi ‘altezza’ höoghe Höhe

guoter ‘buono’ N.sg. mas.forte guutar guter

mahhon ‘fare’ inf. machan machen

taga ‘giorni’ N.A.pl. taghe Tage

ags binde 1.sg. ind. pres./1.2.3.sg. cong. pres.

binden 1.2.3. pl. cong. pres.

bind 2.sg. imp

bindan infinito

paragonati al loro esito in inglese moderno:

ingl bind (assolve a tutte le funzioni grammaticalidelle forme antiche)

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aat. cim. ted.

mano ‘luna’ = maano =/ Mond

tuttavia

gamahho t ‘fatto’ =/ gamach(e)t = gemacht

tuale è sopravvissuta solo l’impalcatura consonantica delle desinenze originarie, mentre tutti gli elementi vocalici si sono ridotti all’unica vocale indistinta <e>, il punto d’incontro articolatorio in cui a mano a mano si fusero tutte le diverse vo-cali desinenziali atone originarie. La consapevolezza di questa dinamica dello svi-luppo linguistico del tedesco, come vedremo, ci consentirà di collocare corretta-mente il cimbro nell’ambito delle lingue germaniche. Forniamo ora degli esempi della varietà vocalica desinenziale originaria:Anche da un esiguo campione di dati linguistici come questo si evince facilmente che il cimbro settecomunigiano si trova, relativamente alla situazione desinenzia-le, in una posizione intermedia tra la fase altomedievale del tedesco e quella mo-derna, dato che non è ancora avvenuta la completa confusione delle vocali finali fuori accento. Il cimbro distingue ancora tre diverse vocali desinenziali <e>, <a>, <o>, laddove il tedesco moderno le ha ridotte tutte alla sola vocale indistinta <e> e in qualche caso ha perduto anche quest’ultimo resto, con la caduta completa della vocale originaria.Considerando che già nel basso medioevo il tedesco raggiunge generalmente lo stadio linguistico detto medio alto tedesco, in cui la situazione delle vocali atone desinenziali è già molto vicina a quella moderna, la situazione del cimbro rivela in tutta chiarezza la sua diretta connessione con la fase più antica della lingua tede-sca, appunto il cosiddetto antico alto tedesco di epoca altomedievale. In altre pa-role, voci cimbre attuali, quali: haano, okso, nakhont, khércha, èerda, pintan, ecc. derivano direttamente dalle rispettive forme aat. hano, ohso, nakhot, khirihha, erda, pintan, confermando l’antichità dei primi insediamenti cimbri nel territorio dell’Altipiano, che per ragioni linguistiche non possono esser successivi all’XI sec., dal momento che dopo quest’epoca le parlate tedesche della madrepatria andaro-no soggette alla menzionata confluenza delle vocali desinenziali, dando luogo alla fase linguistica del medio alto tedesco d’epoca cavalleresca, che costituisce il pre-supposto storico-linguistico delle corrispondenti forme tedesche moderne Hahn, Ochse, nackt, Kirche, Erde, binden.La varietà di antico bavarese che i primi coloni portarono sull’Altopiano non rimase tuttavia completamente isolata dagli influssi linguistici dell’area tedesca meridio-nale e questo si spiega almeno in due modi: prima di tutto è probabile che gli stes-si flussi migratori dei coloni tedeschi che s’insediarono sull’Altopiano fossero di-stribuiti nel tempo e che gli ultimi arrivati parlassero ormai dialetti giunti alla fase medio-alto-tedesca. Ciò potrebbe anche spiegare la mancata conservazione delle vocali desinenziali finali in numerose categorie flessionali del cimbro, dove si regi-stra un esito <e> laddove ci aspetteremmo una <o> o una <a>; come ad es. in:

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Vi sono poi dei mutamenti linguistici che il cimbro condivide con il resto dell’area dialettale austro-bavarese, la cui relativa recenziorità attesta duraturi legami con l’antica madrepatria. Si tratta soprattutto d’innovazioni linguistiche del sistema vocalico in posizione accentata che devono essersi diffuse nel cimbro in epoca posteriore ai primi insediamenti. Si allude al vistoso dittongamento delle antiche vocali lunghe /i/ e /u/, caratteristico di tutti i dialetti tedeschi sudorientali e dello stesso tedesco letterario moderno:3

aat. cim. ted.

sita ‘lato’ saita Seite

hus ‘casa’ haus Haus

Anche il trattamento dell’antico dittongo aat. /ei/ mostra di aver seguito lo svilup-po della restante area austro-bavarese, caratterizzata da esiti di tipo <oe>, <oa>; come anche in cimbro, ma diversamente dal tedesco letterario:

aat. cim., bav, ted.

stein ‘pietra’ =/ stòan = Stein

Si tenga inoltre presente che, al di fuori dell’Altopiano d’Asiago, le altre varietà di cimbro non conservano l’antica <o> e si mostrano nel complesso morfologica-mente e fonologicamente meno conservatrici. Solo nel cimbro settecomunigiano si mantiene generalmente il numero delle sillabe originarie della parola; mentre nel tedesco letterario moderno e spesso nelle altre ‘isole’ cimbre le vocali suffissali e desinenziali subiscono varie riduzioni. Si vedano gli esempi seguenti:

aat. cim. ted.

desemo ‘questo’ D.sg. disame diesem

bes(a)mo ‘scopa’ pèsamo Besen

ahto ‘otto’ achte acht

zehan ‘dieci’ zègan zehn

umbi ‘attorno’ umme um

aba ‘da, giù’ abe ab

fihu ‘bestia’ biighe Vieh

3 Al riguardo occorre precisare che il fenomeno del dittongamento, pur essendosi affermato definitivamen-te nell’uso scritto soltanto in fase moderna, esso si manifesta nei dialetti di Stiria e Carinzia già a partire dal 1200, donde poi si diffuse a mano a mano in tutta l’area bavarese e poi ancora più a nord.

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Un’altra peculiarità del cimbro è quella di suffissare il pronome personale encliti-co, retto dal verbo, con la desinenza verbale in -t della 2.pers.pl., come in: schöpfa-mar-t ‘versatemi’, come se in italiano dicessimo “versamite”! Un’innovazione mor-fologica di diffusione ben più ampia, sia nei dialetti italiani settentrionali che in quelli tedeschi meridionali, è la scomparsa della forma sintetica preteritale, corri-spondente al passato remoto italiano, che in queste parlate viene sostituito dalla forma perifrastica del passato prossimo. Quindi il cimbro ha ormai da secoli per-duto le forme originariamente corrispondenti al ted. ich sah ‘vidi’, ich sang ‘cantai’, ich legte ‘misi’, ecc., che vengono sempre espresse con il tempo composto: ich han gasècht (cf. ted. ich habe gesehen) ‘ho visto’, ich han gasunghet (cf. ted. ich ha-be gesungen) ‘ho cantato’, ich han galé(ghe)t (cf. ted. ich habe gelegt) ‘ho mes-so’.4 Dal punto di vista semantico e aspettuale, in cimbro, la semplificazione para-digmatica in questione è giunta a conseguenze drastiche, di portata superiore a quella dei dialetti veneti circostanti, dato che le forme composte cimbre vengono impiegate anche con la funzione dell’imperfetto italiano; quindi:

4 Tuttavia le forme preteritali antiche non composte sono ancora ricordate nelle descrizioni delle lingua cim-bra di un secolo fa, dove appaiono molto confuse e in evidente decadenza. Già nella prima metà del sec. XIX lo Schmeller osservava: “Das einfache Präteritum der Indicativform ist diesem Dialekt wie allen süddeu-tschen ausgegangen. Es besteht blos noch in conjunctiver oder vielmehr conditionaler Weise; denn wenn die indicative, besonders von Verschmachern, noch mitunter gebraucht wird, so geschieht es blos, in dem sie auf noch dunkle Erinnerung bauen“; cfr. Andreas Johann Schmeller (1811, 1838, 1852, 1855†), Über die so-genannten Cimbern der VII und XIII Communen auf die Venedischen Alpen und ihre Sprache, Herausgege-ben von “Curatorium Cimbricum Bavarense”, Landshut, 1985, pp. 142.

cf. aat.

sainta dèrdar ba… ‘ci sono di quelli che…’ dero ‘di quelli’+ dar ‘là’

ich bill net dèssen, àndarsen ‘non voglio di quello, dell’altro’

alle habantara ‘tutti ne hanno’ iro ‘di essi’

Questi ultimi mutamenti linguistici descritti devono essersi verificati nel tardo me-dioevo e potrebbero essere un ulteriore indizio degli stretti legami tra la comuni-tà cimbra e il clero austro-bavarese, che con la sua predicazione in lingua tede-sca diffondeva anche la pronuncia dittongata delle antiche vocali lunghe e le altre particolarità dello sviluppo dei dittonghi originari. Anche sul piano morfologico il cimbro si distingue per una situazione generale di conservazione dell’impianto flessionale originario, pur manifestando talvolta inaspettate innovazioni ad esso peculiari, quali ad esempio la scomparsa della distinzione desinenziale tra il geni-tivo e il dativo. Quest’ultimo caso della flessione viene infatti usato anche a sup-plire il genitivo originario, come in espressioni del tipo: an pòan me sbaine cf. ted. ein bein des Schweines ‘un osso del maiale’. Vi sono tuttavia sopravvivenze residuali dell’antico genitivo in certe forme pronominali, come negli esempi seguenti:

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cim. it.

ich han gamacht = ho fatto/feci/facevo.

Ciò è dovuto al fatto che nelle lingue germaniche non esiste un’opposizione mor-fologica tra passato remoto e imperfetto. Entrambe queste categorie sono espres-se morfologicamente dal preterito germanico, ridottosi nel cimbro alla sola for-ma composta. Tuttavia il cimbro ha conservato vestigia delle originarie forme preteritali semplici germaniche nella morfologia dell’ottativo, che, come in gene-re nel germanico assolve alla duplice funzione di condizionale e congiuntivo. La morfologia dell’ottativo preterito cimbro sembra derivare da diverse formazioni germaniche, forse anche reciprocamente contaminate. Tra queste tuttavia si rav-visa ancora abbastanza chiaramente il riflesso degli antichi preteriti forti germa-nici ad apofonia radicale; come in:

ich gönghe ich ginge ‘andrei /andassi’

du gönghest du gingest ecc…

èar gönghe er ginge

bar göngan wir gingen

ar gönghet ihr ginget

se göngan sie gingen

Mentre nella forma hötte, höttest, ecc… (cf. ted. hätte, hättest, ecc…) ‘avrei/avessi, ecc…’ pare rispecchiarsi la tipologia del preterito debole dell’ottativo; anche se la vocale radicale ö, che si osserva, oltre che nella già citata forma gönghe, anche in tönghe ‘farei/facessi’, in bör(t)e ‘sarei, fossi’, in möche (machate) ‘farei/facessi’ e in lömma(ta)te ‘prenderei/prendessi’, sembra costituire una sorta di “marchio” di-stintivo del preterito ottativo cimbro, diffusosi per analogia in formazioni origi-nariamente del tutto diverse. È probabile che il modello di diffusione della ö nella radice verbale dei preteriti ottativi sia costituito da forme quali börte < aat. wur-ti, in cui la vocale mostra di essere il regolare esito della forma antica. Mentre più difficilmente si potrà pensare che la vocale radicale di gönghe si sia sviluppata di-rettamente dal dittongo originario dell’aat. giengi; per non parlare di tönghe, che in aat. suona tati, onde discende direttamente il ted. täte, mentre la forma cimbra appare completamente rimodellata su gönghe, che, come abbiamo appena osser-vato, è a sua volta parzialmente rimodellata su börte, per ciò che concerne il voca-lismo. Dalla forma möche (Costantina Zotti) si evince come la diffusione analogica della vocale ö, quale morfema radicale caratterizzante l’ottativo abbia influenzato anche verbi il cui paradigma originario escludeva l’alternanza vocalica della radice (verbi deboli). Per questo verbo la forma originaria aat. di ottativo preterito 1.sg. era infatti mahhoti, che sembra continuare nella variante più comune cimbra ma-

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chate. Il caso di lömma(ta)te è ancora più complesso, considerando che la forma aat. suonava nami, diretta antenata del ted. nähme. A mio giudizio la forma cim-bra è il risultato della contaminazione di due modelli di formazione diversi. Uno è quello già illustrato in cui la vocale ö assume analogicamente il valore di morfe-ma caratteristico del preterito ottativo e l’altro è quello in cui la stessa funzione morfologica è assunta dal suffisso –(ta)te, la cui diffusione va ben oltre l’ambito dei verbi deboli originari. Ritengo probabile, che almeno in parte, il suffisso cimbro derivi da antichi costrutti perifrastici, secondo il seguente modello:

cim. aat.

vriisa-tate ‘avrei/avessi freddo’ < friosan + tati

quindi una perifrasi costituita dall’infinito del verbo (aat. friosan ‘aver freddo’) ret-to dalla vera e propria forma di ottativo preterito del verbo aat. tuon ‘fare’. Co-strutti perifrastici del genere sono presenti in altre lingue germaniche, tra cui l’in-glese, che usa la forma finita del verbo to do ‘fare’ come ausiliare dell’infinito in espressioni enfatiche, quali: I do know him ‘conosco lui’, I did answer her ‘risposi a lei’; oppure nelle frasi negative e interrogative: does he work there? ‘lavora là?’, we did not listen ‘non ascoltavamo’. Ma ancora più rilevante è il fatto che peri-frasi simili siano in uso anche nelle arcaiche parlate alemanne note come dialetti Walser, diffuse in isole linguistiche della Svizzera e dell’Italia alpina nordocciden-tale, dove ad esempio il congiuntivo si può esprimere così: das ich tüaji erniwwru ‘che io rinnovelli’ (Alagna, Val Sesia). Ma accanto a questi aspetti più o meno in-novativi, ciò che colpisce nel cimbro settecomunigiano è il generale stato di con-servazione fonetica dell’apparato desinenziale originario, se confrontato con la si-tuazione offerta dal tedesco letterario moderno. Si osservi ad es. la flessione del verbo ‘venire’ al pres. ind.:

aat. cim. ted.

qhuimu khimme komme

qhuimis khimmest kommst

qhuimit khimmet kommt

qhuemames khèmman kommen

qhuemet khèmmet kommt

qhuemant khèmment kommen

Da questo esempio, oltre alla maggior conservazione delle antiche desinenze per-sonali, si nota anche la fedeltà totale del cimbro al modello flessionale originario aat. per ciò che concerne l’alternanza di i/e nella sillaba radicale, tra le tre forme

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aat. cim. ted.

nimu limme ≠ nehme

nimis limmest nimmst

nimit limmet nimmt

Nella flessione del sostantivo, anche se, come già notato, il caso genitivo originario è stato assorbito dal dativo, lo stato di conservazione morfologica di quest’ultimo è ben maggiore che nel tedesco moderno. Sono ancora vitali meccanismi morfolo-gici antichissimi, del tutto dimenticati in tedesco. Valgano i seguenti esempi:

aat. cim. ted.

N.A.sg. hant hant ≠ Hand

G.D.sg. henti hénte

del sg. e le tre del pl. A tal riguardo occorre sottolineare che nel tedesco letterario moderno, anche nei casi in cui l’alternanza sussista, le forme in i radicale si limi-tano alla 2. e alla 3. sg., mentre la 1.sg. mostra sempre la vocale e, analogamente alle persone plurali e all’infinito del verbo, come ad es. nel verbo ‘prendere’ (ted. nehmen, cim. lèmman, aat. neman):

Nel cimbro, come già anticamente in tedesco, il D.sg. può essere caratterizzato, ol-tre che da una desinenza vocalica, anche da l’Umlaut della vocale radicale; mentre in tedesco moderno l’Umlaut è usato solo per distinguere il plurale dal singola-re ed è stato eliminato nelle forme flesse del singolare, come ted. Hand, che nella lingua moderna è ormai divenuta una forma invariabile di sg. in cui la distinzione del caso è segnalata solo dagli articoli o dagli aggettivi che la precedono:

ted cim.

die Hand = de hant ‘la mano’ N.A.

von der Hand ≠ bon dar hénte ‘dalla mano’ D.

Si registrano numerosi altri esempi di conservazione di antiche alternanze morfo-fonologiche, che in tedesco letterario moderno sono state livellate e quindi can-cellate per analogia. Tra questi anche la flessione del sostantivo ‘neve’:

aat. cim. ted.

N.A.sg. sneo snèa ≠ Schnee

D.sg. snewe snéebe

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Naturalmente i conservatorismi del cimbro riguardano anche l’ambito lessicale, do-ve accanto ai numerosi prestiti romanzi, dal dialetto veneto e dall’italiano, si osser-vano elementi del lessico germanico originario, talvolta caduti in disuso nel tedesco letterario. In certi casi tali elementi risultano casualmente conservati anche in altre lingue germaniche, al di fuori del tedesco standard, come negli esempi seguenti:

cim. cf. ingl.

paitan ‘aspettare’ (a)bide

lüsen ‘ascolta!’ listen

luukh ‘guarda!’ look

Qui le concordanze con l’inglese moderno sono dovute alla conservazione di ele-menti lessicali un tempo comuni a tutte le lingue germaniche.Talvolta però soltanto il cimbro sembra aver mantenuto intatto un elemento les-sicale per lo più dimenticato nelle lingue germaniche moderne, come nel caso del verbo khödan ‘dire’, che trova riferimenti precisi solo nelle lingue germaniche più antiche, nelle quali esso era impiegato comunemente e con lo stesso generico si-gnificato. Deriva da questo antico verbo germanico anche la forma preteritale ar-caizzante dell’inglese letterario moderno quoth ‘disse’.Concludo con un monito scherzoso verso chi, conoscendo il cimbro settecomuni-giano e sopravvalutandone l’affinità col tedesco standard moderno, intenda ga-lantemente fare un apprezzamento estetico ad una giovane donna di lingua te-desca, dicendole: schööna dìirna. L’incauto è scivolato su uno dei più infelici casi di differenziazione semantica tra le due lingue: infatti in tedesco standard Dirne significa ‘prostituta’, mentre la forma altomedievale che sta all’origine di entram-be era diorna e significava ‘fantesca’.

Luigi NicolussiRingrazio il prof. Panieri, che dimostra l’importanza di avere vicino dei cultori lo-cali della lingua, degli studiosi, che dall’esterno, con degli strumenti intellettua-li idonei, siano in grado di analizzare le cose. Credo che siano risorse ecceziona-li, non sono molte le persone che hanno approfondito la conoscenza, anche dal punto di vista storico-giuridico, del cimbro e quindi noi avremmo bisogno di ave-re anche dall’esterno dei contributi scientifici.Ho apprezzato moltissimo anche la relazione del Professor Abbruzzese. Anche questa molto profonda e con moltissimi spunti di riflessione, perché ci indica le potenzialità per valorizzare anche le specificità, le identità locali, cosa che noi cer-chiamo di fare così, con il buon senso, però avendo dei riferimenti un po’ più ra-zionali, può consolidare la nostra battaglia per contenere un fiume (quello della globalizzazione) che va in una certa direzione, ma ci si può navigare sopra, sal-vando la propria barchetta, la propria identità. Sorgono alcune domande per me da questo convegno: una è quella del rapporto della lingua nostra, il cimbro, con

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l’esigenza di modernizzazione della lingua; la nostra è una lingua che fino ades-so è rimasta abbastanza arcaica, legata alla vita rurale, dell’agricoltura; mancano quasi completamente tutti i termini tecnici, amministrativi. Qui bisogna fare evi-dentemente uno sforzo per aggiornarla; la cosa più semplice per noi naturalmen-te è quella di prendere il termine in italiano, mettere la desinenza in cimbro, però non è corretto, anche perché abbiamo visto che con un po’ di volontà è possibi-le ricavare la radice tedesca anche per i termini tecnici. Bisognerebbe tentare di fare un’opera di adeguamento, perché è meglio recuperare le radici di parole si-mili che ci sono per inserirle e fare così un aggiornamento della lingua. Io perso-nalmente credo che sia opportuno fare uno sforzo di questo tipo. Istintivamente non ho la risposta, però credo che sia opportuno vedere se nelle radici delle no-stre parole che derivano dal cimbro ci sono dei termini che consentono di stare più vicino possibile al cimbro e quindi prendere in prestito piuttosto dal tedesco che non dall’italiano.Un altro dei grossi problemi per la sopravvivenza della nostra lingua è quello del-la scuola: qui i bambini sono pochi, in più c’è il problema del senso, del valore che la famiglia dà al mantenimento della lingua, e sono molte le famiglie mistilingue. Un tempo la comunità era più isolata, le distanze facevano sì che i giovani con-trassero matrimonio tra di loro, adesso invece lo studio avviene fuori, il lavoro an-che, così le coppie mistilingue sono sempre di più e se uno non è cimbro la sensi-bilità è ovviamente diversa. Questo influisce sulla politica linguistica della famiglia, costituendo un proble-ma. Si tratta forse di trovare anche nuovi modelli scolastici. Siamo andati a sen-tire tempo fa la sovrintendenza scolastica di Bolzano, dove anche lì sono presenti pluriclassi molto piccole. Qui c’è un po’ questo problema della socializzazione dei bambini, siamo ancora alla ricerca di un modello, stiamo sostituendo un piccolo gruppo di lavoro, per ragionare un po’ su una soluzione che possa andare bene. Noi puntiamo a mantenere, per quanto possibile, le istituzioni scolastiche nella comunità, perché è in quegli anni che si forma il senso di comunità, di apparte-nenza. C’è anche il problema di consolidare le istituzioni prevedendo istituzional-mente la presenza dell’insegnante; quest’anno non c’è nemmeno un insegnante che può insegnare il cimbro.Diamo un segnale chiaro, un insegnante viene messo a tempo pieno, (il restante orario verrà eventualmente completato a Lavarone) in modo che i bambini pos-sano avere un codice di riferimento chiaro e costante: come per il modello speri-mentato anche in Germania, entra un insegnante che parla in una lingua, poi en-tra l’altro che parla in un’altra lingua.Diventano così bilingui. Anche alla scuola elementare il problema è lo stesso: ave-vamo proposto un modello come quello ladino dell’insegnamento paritario: l’in-segnamento avviene in entrambe le lingue, i bambini imparano una settimana in italiano, una settimana in ladino. L’insegnamento del tedesco non ha indebolito mai il cimbro, anzi lo ha sempre rafforzato. Ringrazio la Provincia perché in que-sti ultimi anni abbiamo ottenuto molti riconoscimenti, seguendo la linea del dia-

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logo con tutte le forze politiche. Ci troviamo in una fase in cui si può avere una speranza; anche l’opinione pubblica si riferisce a noi con simpatia, è un momento buono favorevole e bisogna approfittare prima che magari cambi.

Annamaria TrentiSolo due parole perché il Sindaco ha già detto tutto. Sono rimasta assolutamen-te e favorevolmente impressionata da questa giornata. Credo che sia molto im-portante, ho trovato degli spunti molto interessanti e vorrei rimanere in contatto con voi, perché è molto importante per una realtà come la nostra. Noi come Isti-tuto Culturale Cimbro di fatto partiamo ex novo dopo la scissione con l’Istituto Mòcheno, quindi ci troviamo veramente davanti a una sfida, come diceva prima il Presidente, nel senso che ci hanno dato gli strumenti, e ora noi dobbiamo lavo-rare al meglio, perché non rimanga una lettera morta. Quindi tutti gli spunti che sono stati portati oggi, dobbiamo vedere di svilupparli, quindi ringrazio tutti per il contributo interessantissimo che è uscito oggi.

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Costume ladino della Val di Fassa, 1984Rinaldo CigollaBronzo, fusione

Donna in costume tipico, con braccia conserte e libro

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Marugena, 1983Rinaldo CigollaLegno, intaglio

Contadina con largo grembiule di lavoro, un falcetto nella mano destra ed altra mano al fianco sinistro

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la lingua madre:strumento di conservazione

culturale

tremila linguea rischio nel mondo

La Giornata Internazionale della Lingua Madre – UNESCO

La Giornata Internazionale della Lingua Madre è stata istituita durante la XXX ses-sione della Conferenza generale dell’UNESCO che, con le risoluzioni n.12 e 37 del 1999, ha auspicato la creazione di una politica linguistica mondiale basata sul multilinguismo e garantita dall’accesso universale alle tecnologie informatiche. In quella occasione l’UNESCO, su proposta del Bangladesh e con il sostegno di al-tri 28 Paesi, proclamò il 21 febbraio “Giornata Internazionale della Lingua Madre”. La data intende ricordare la sollevazione avvenuta nel 1952 nell’allora Pakistan orientale in difesa del Bangla, madre lingua di quella parte del Paese.Elemento base della missione dell’UNESCO è, in questo campo, la protezione del-l’insieme delle lingue mondiali perché ogni lingua rappresenta il piu’ potente stru-mento di conservazione del patrimonio materiale e immateriale di ogni cultura. L’iniziativa mira a risvegliare la coscienza civile nei confronti del valore del patri-monio linguistico che è quotidianamente messo in pericolo dalla globalizzazione e dai suoi flussi omologanti, con una progressiva estinzione o marginalizzazione delle lingue minori. Sin dal 1999 L’UNESCO, quindi, lavora per creare le condizio-ni ambientali, sociali, intellettuali e mediatiche utili allo sviluppo del plurilingui-smo, inteso come strumento di accesso democratico al sapere per tutti gli uomini, a prescindere dalla loro lingua madre. La promozione delle lingue materne deve essere sostenuta non solo per salva-guardare la diversità culturale e l’educazione multilingue, ma anche soprattutto per costruire una cultura solidale che sia sensibile alle tradizioni linguistico-cul-turali e aperta al dialogo e alla tolleranza. Per comprendere la portata dell’iniziati-va, basti osservare il panorama delle 3000 lingue a rischio sul pianeta, un nume-ro che rappresenta circa la metà delle 6000 lingue oggi parlate. La scomparsa di una lingua è una irrimediabile perdita per il patrimonio ereditario dell’umanità. L’ “Atlante delle Lingue in via di estinzione”, pubblicato per la prima volta nel 1996 e poi in altre due edizioni fino al 2002, mostra una drammatica lista delle lingue in pericolo accanto ad una sintesi della allarmante situazione linguistica mondiale. Il testo presenta una mappatura delle varie aree geografiche da cui è facile indivi-duare i punti caldi di maggiore rischio per la diversità linguistica. Una lingua vie-ne ritenuta in pericolo solo quando una percentuale inferiore al 30% dei minori della comunità linguistica cessa di parlarla. Emerge, per esempio, che nel solo continente europeo vi sono circa 50 lingue mi-nacciate o quasi prossime alla scomparsa. In Asia le lingue sembrano, al contrario, dimostrare una maggiore capacità di resistenza, ad eccezione di alcuni idiomi hi-malayani e del Pamir. In Siberia, invece, quasi tutte le 40 lingue locali sono in via di estinzione. Lo scenario diventa piu allarmante nella regione del Pacifico che da sola racchiude piu’ di un terzo del patrimonio linguistico mondiale: basti pensa-re che la Papuasia racchiude almeno 820 lingue vitali. In Australia dei 400 idiomi parlati fino a qualche anno fa ne sono rimasti 25 a causa del divieto nazionale di utilizzare le lingue aborigene, divieto perdurato fino agli anni ’70.

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Un patrimonio di 1400 lingue diverse è invece presente in Africa, zona meno nota dal punto di vista linguistico, dove 250 lingue sono minacciate e 600 in forte de-clino. L’America del Nord mostra solo 150 lingue indiane sopravvissute, a fronte delle varie centinaia parlate prima dell’arrivo degli europei. Nell’America Centrale e Meridionale la diversità linguistica è meno marcata che in altre aree geografiche a causa dello stermino di intere popolazioni in Brasile, Ar-gentina, Uruguay. L’abbandono progressivo di una lingua può nascere da molteplici cause come: la migrazione delle comunità, l’omologazione di una cultura debole alla cultura do-minante sul piano economico, lo sfruttamento di alcuni territori per fini lavorati-vi, lo sterminio di popolazioni sottomesse.Di fronte a questo amaro panorama linguistico mondiale, l’UNESCO ha sottoli-neato l’importanza di intraprendere delle azioni concrete per promuovere la di-versità culturale e il multilinguismo sui networks dell’informazione globale. Nel-la risoluzione n.37 della XXX Conferenza Generale, l’UNESCO ha invitato gli Stati membri, le organizzazioni non governative, la comunità intellettuale e le istituzio-ni scientifiche a rafforzare ogni azione di sostegno del patrimonio linguistico-cul-turale mondiale nel settore pubblico. Le azioni da intraprendere sono, quindi, garantire l’accesso telematico a musei, archivi, librerie; incoraggiare la raccolta di risorse per il pluralismo linguistico at-traverso i networks informatici; formulare politiche nazionali e internazionali che permettano lo sviluppo del multilinguismo e la cooperazione per il benefico ri-spetto dei diritti umani in campo linguistico. In seguito alla Raccomandazione, l’ UNESCO ha dato il via a molteplici progetti nel settore linguistico-culturale, tra cui si ricorda “B@bel”, un progetto intersettoria-le avente l’obiettivo di sviluppare e incoraggiare la creazione di nuovi mezzi me-diatici e informatici, su diversi livelli, in modo da preservare e migliorare la diver-sità culturale e linguistica. Ad esempio, all’interno di ?B@bel? sono stati realizzati motori di ricerca multilingue o un portale Internet basato su una condivisione di conoscenze nel settore dell’educazione, scienza, cultura e comunicazione da un punto di vista multilinguistico e multiculturale. Nel Progetto di programmazione e budget per il biennio 2004-2005 (documento 32C-5), l’UNESCO ha previsto un budget ordinario di $ 1.839.100, per promuove-re l’espressione della diversità linguistica e culturale attraverso 2 Assi di azione: il primo teso ad appoggiare le risorse linguistiche e culturali diverse; il secondo teso a preservare il patrimonio audiovisivo e documentaristico. In particolare nel pri-mo asse di azione si sottolinea la necessità di azioni progressive per rafforzare la produzione e la diffusione dei contenuti culturali delle comunità locali attraver-so conferenze, nuove pubblicazioni, studi e ricerche, contributi finanziari, soste-gni economici alle ONG, borse di studio e formazione. I progetti pilota verteranno quindi sulla ricerca legata alla creazione sia di mezzi informatici e nuove tecno-logie applicate nel campo linguistico, che di piattaforme in rete per lo scambio di contenuti ed esperienze in materia.

le cause alla basedell’abbandono di una lingua

politiche dell’UNESCOper la conservazionedelle lingue minoritarie

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Panoramica sulle politichedelle principali istituzioni europeea favore delle lingue minoritarie

Nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea è espressamente previsto il rispetto della pluralità linguistica e il divieto alla discriminazione dovuta a motivi linguistici, sebbene l’UE non abbia a disposizione, di fatto, nessun mezzo concreto per far rispettare questi principi né per so-stenere le lingue regionali e minoritarie. Tra i diversi obiettivi dell’Unione fissati nella Costituzione, l’articolo I-3 cita: l’Unione “rispetta la ricchezza della sua diversità culturale e linguistica e vigila sulla salvaguardia e sullo sviluppo del patrimonio culturale europeo.”In relazione ai diritti dei cittadini dell’Unione, l’articolo I-10 della Costituzione fissa “il diritto di presentare petizioni al Parlamento europeo, di ricorrere al mediatore europeo, di rivolgersi alle isti-tuzioni o agli organi consultivi dell’Unione in una delle lingue della Costituzione e di ricevere una risposta nella stessa lingua.” Tra le altre cose, questo include anche il diritto a contattare le isti-tuzioni dell’UE in lingua irlandese, basca e galiziana. L’articolo II-81 approfondisce il divieto alla discriminazione vietando “qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la reli-gione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, l’inabilità, l’età o l’orientamento sessuale.” L’ar-ticolo II-82 arriva a fissare anche il rispetto per “la diversità culturale, religiosa e linguistica” e col-loca quindi nuovamente la pluralità linguistica in un contesto positivo.

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La Commissione Europea

La tutela e la promozione delle lingue regionali e minoritarie sono state individuate della Commis-sione europea come obiettivo rilevante fin dal 1983. A partire da questa data a tutt’oggi, la Com-missione ha perseguito questo fine tramite il finanziamento di progetti incentrati sulla promozio-ne e la salvaguardia delle Lingue regionali e minoritarie, in particolare nei settori della formazione e della didattica, della produzione e diffusione di beni culturali, dei media, dell’elaborazione e la diffusione di materiali per la rivitalizzazione linguistica, della cooperazione transfrontaliera tra lin-gue minoritarie; altri progetti hanno riguardato lo sviluppo di nuove tecnologie dell’informazio-ne e della comunicazione, la creazione di reti e il trasferimento di conoscenze specifiche e infine la promozione di una dimensione e di una consapevolezza europea nel campo delle LRM e delle questioni correlate.Nel contempo, la Commissione Europea ha sostenuto l’istituzione della rete MERCATOR e dell’Uf-ficio EBLUL (v.). Nel 1996 ha pubblicato EUROMOSAIC, uno studio scientifico sulla situazione del-le lingue regionali e minoritarie negli Stati dell’Unione, studio che è in corso di aggiornamento a seguito dell’ingresso dei nuovi paesi membri. Nel luglio 2003 la Commissione Europea ha pubbli-cato la comunicazione “Promuovere l’apprendimento delle lingue e la diversità linguistica: Piano d’azione 2004-2006”. La creazione di un ambiente più favorevole dal punto di vista linguistico è una delle tre principali aree di azione individuate da questo documento. Secondo il Piano, promuovere la diversità linguistica significa incoraggiare attivamente l’insegna-mento e l’apprendimento della gamma più ampia possibile di lingue nelle nostre scuole, universi-tà, centri d’istruzione per adulti ed imprese. Le lingue proposte dovrebbero comprendere le lingue europee minori al pari delle principali, quindi anche le lingue regionali, minoritarie già accessibili a tutte le comunità linguistiche.Il piano prevede che nella nuova generazione dei programmi Socrates e Leonardo da Vinci, sia enfatizzata la promozione della diversità linguistica finanziando progetti intesi a sensibilizzare i cittadini alle lingue cosiddette ‘regionali’ e ‘minoritarie’, e ad incoraggiarli allo studio di queste lingue, a migliorare la qualità dell’insegnamento di queste lingue e a facilitare l’accesso alle pos-sibilità di apprendimento delle stesse; a incoraggiare la produzione, l’adattamento e lo scambio di materiali di studio e lo scambio di informazioni e buone pratiche in tale ambito. Il termine “nuova generazione dei programmi” indica la riorganizzazione dei programmi della DG Istruzione e Cul-tura della Commissione Europea a partire dal 2007.Nel quadro della nuova impostazione per il finanziamento dei progetti relativi alle lingue regionali e minoritarie la Commissione è intenzionata a sostenere i programmi di carattere generale piutto-sto che i programmi specifici dedicati a tali lingue. A più lunga scadenza, tutti i relativi program-mi comunitari e i Fondi strutturali dovrebbero prevedere un maggiore sostegno alla diversità lin-guistica, fra l’altro alle lingue regionali e minoritarie, qualora si ritenga opportuno avviare azioni specifiche in tal senso. Le autorità nazionali e regionali sono incoraggiate a prestare particolare attenzione a misure intese a favorire le comunità linguistiche il cui numero di parlanti diminuisce da una generazione all’altra, in conformità con i principi della Carta europea delle lingue regionali e minoritarie (v.). Gli Stati membri sono invitati a prestare particolare attenzione alle misure intese ad aiutare le comunità linguistiche il cui numero di parlanti diminuisce da una generazione all’al-tra, conformemente ai principi della Carta.Da segnalare che nel 2005, la Direzione Generale Educazione e Cultura dellla Commissione euro-pea, a seguito delle indicazioni contenute nella “risoluzione Ebner” del Parlamento Europeo (v.), ha commissionato uno studio di fattibilità concernente la creazione di una “Agenzia europea per la Diversità linguistica e l’apprendimento delle lingue”.Il piano d’azione 2004-2006 “Promuovere l’apprendimento delle lingue e la diversità linguistica” può essere consultato al seguente indirizzo Internet:

http://europa.eu.int/comm/education/doc/official/keydoc/actlang/act_lang_it.pdf

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Il Parlamento Europeo

Dall’inizio degli anni Ottanta, in seguito a forti prese di posizione da parte di diverse forze politi-che, il Parlamento europeo ha votato una serie di risoluzioni a favore delle lingue meno diffuse. La prima risoluzione (detta “Risoluzione Arfè”, dal nome dell’europarlamentare italiano che l’ha pro-posta), risale al 16 ottobre 1981, e simboleggia la prima tappa di questa politica, seguita due anni dopo dall’attivazione da parte del Parlamento europeo di una dotazione specifica per la promozio-ne e la salvaguardia delle culture e delle lingue minoritarie e regionali, destinata a sviluppare una politica comunitaria in questo campo. La “risoluzione Arfè” esortava i governi degli Stati membri a tutelare e promuovere le lingue regionali e minoritarie, particolarmente nei settori dell’istruzione e delle comunicazioni di massa nonché nell’ambito della vita pubblica e degli affari sociali. La commissione parlamentare europea competente per le questioni linguistiche è attualmente la Commissione Cultura, Gioventù, Istruzione, Media e Sport. Essa si occupa, tra l’altro, degli aspet-ti culturali dell’Unione Europea, delle politiche dell’Unione Europea nel campo dell’istruzione delle politiche giovanili dell’Unione (ad es. gli scambi giovanili) e dell’industria audiovisiva nonché degli aspetti della società dell’informazione legati alla cultura e all’istruzione.All’interno del Parlamento Europeo opera anche, da diverse legislature, un “Intergruppo per le lin-gue regionali e minoritarie”, che si occupa specificamente delle lingue europee meno diffuse. Si tratta di un gruppo interpartitico formato da 40 parlamentari, incaricato delle problematiche re-lative alle lingue europee meno diffuse nell’Unione. Si riunisce regolarmente a Strasburgo per di-scutere questioni che interessano le comunità linguistiche minoritarie e per confrontarsi sulle esperienze più significative e innovative. L’Intergruppo opera in stretta collaborazione con EBLUL per promuovere all’interno dell’UE politiche a favore delle lingue regionali o minoritarie, per sal-vaguardare tali lingue e difendere i diritti linguistici dei parlanti.Il 4 settembre 2003, il Parlamento europeo ha adottato un rapporto molto articolato redatto dal-l’europarlamentare sudtirolese Michl Ebner.Con l’approvazione della relazione Ebner, il Parlamento ha denunciato l’assenza di disposizioni giuridiche a livello comunitario sulle lingue europee meno diffuse e regionali. In base a stime uf-ficiali, 40 milioni di cittadini dell’UE usano regolarmente una lingua minoritaria o regionale, nella stragrande maggioranza dei casi assieme alla lingua ufficiale o alle lingue ufficiali dello Stato ri-spettivo; con l’allargamento, tale cifra aument di circa 6 milioni di persone.I parlamentari formulano inoltre una serie di raccomandazioni alla Commissione, chiedendo la realizzazione di uno studio di fattibilità sulla creazione di un’agenzia europea per la pluralità lin-guistica e l’apprendimento delle lingue. La Commissione viene inoltre inviatata ad elaborare un programma pluriennale accompagnato da misure finanziarie concrete per la promozione di pro-getti volti a creare un contesto favorevole alle lingue, ovvero alla coesistenza di lingue ufficiali e minoritarie.

Risoluzione del Parlamento Europeo sulle raccomandazioni alla Commissione sulle lingue europee regionali e meno diffusele lingue delle minoranze nell’UEin considerazione dell’allargamento e della pluralità culturale(Risoluzione Ebner – 4 settembre 2003)

Il Parlamento europeo,– visto l’articolo 192, paragrafo 2 del trattato CE,– visti gli articoli 149, 150, 151 e 308 del trattato CE,– visti gli articoli 21 e 22 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea,

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– vista la sua risoluzione del 14 gennaio 2003 sul ruolo dei poteri regionali e locali nella costru-zione europea e il riferimento in essa contenuto alla diversità linguistica in Europa,

– vista la decisione n. 1934/2000/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 luglio 2000, che istituisce l’Anno europeo delle lingue 2001,

– vista la risoluzione del Consiglio del 14 febbraio 2002 relativa alla promozione della diversità linguistica e dell’apprendimento delle lingue nel quadro dell’attuazione degli obiettivi dell’An-no europeo delle lingue 2001,

– vista la Carta europea del Consiglio d’Europa per lingue regionali o minoritarie entrata in vi-gore il 1° marzo 1998,

– vista la Convenzione quadro del Consiglio d’Europa per la tutela delle minoranze nazionali en-trata in vigore il 1° febbraio 1998,

– visti gli articoli 59 e 163 del suo regolamento,– vista la relazione della commissione per la cultura, la gioventù, l’istruzione, i mezzi d’informa-

zione e lo sport,

A. considerando che attualmente a livello dell’UE non esistono disposizioni giuridiche sulle lingue europee meno diffuse e regionali,

B. considerando che attualmente non viene elaborata alcuna proposta ai sensi dell’articolo 59, paragrafo 2 del regolamento interno,

C. considerando che il Parlamento europeo e il Comitato delle Regioni si sono occupati più volte dell’importanza delle lingue meno diffuse,

D. considerando che il rispetto della pluralità linguistica e culturale costituisce uno dei princi-pi dell’UE, sancito nell’articolo 22 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE con i seguenti termini: “L’Unione rispetta la pluralità culturale, religiosa e linguistica”,

E. considerando che nella sua risoluzione summenzionata del 14 gennaio 2003 si chiedeva di aggiungere al trattato CE un nuovo articolo del seguente tenore: “Nell’ambito dei suoi settori di competenza, la Comunità rispetta e promuove la diversità linguistica in Europa, comprese le lingue regionali o minoritarie quali espressione di detta diversità, incoraggian-do la cooperazione tra Stati membri e utilizzando altri idonei strumenti per favorire questo obiettivo”,

F. considerando che la diversità culturale ha come obiettivo quello di porsi come elemento di coesione sociale e non può operare in una logica di maggioranza/minoranza,

G. considerando che nell’UE vi sono aree in cui risiedono comunità linguistiche minoritarie autoctone e che, in base a stime ufficiali, 40 milioni di cittadini dell’Unione usano regolar-mente una lingua minoritaria o regionale tramandata di generazione in generazione, nella stragrande maggioranza dei casi assieme alla lingua ufficiale o alle lingue ufficiali del ri-spettivo Stato,

H. considerando che, in alcuni Stati membri, tali lingue regionali o minoritarie costituiscono un veicolo di comunicazione importante nella rispettiva comunità e sono anche ricono-sciute come lingua ufficiale o coufficiale a livello regionale,

I. considerando che vi sono lingue ufficiali degli Stati membri che non sono state inserite fra le lingue utilizzate nelle istituzioni dell’Unione europea, nonostante siano le lingue più diffuse nelle rispettive regioni, in tutti i settori della società, nei mezzi d’informazione, nel settore dell’istruzione e anche a livello universitario,

J. considerando che, stando a quanto indicato dalla Commissione, sono note nell’UE oltre 60 comunità linguistiche regionali o minoritarie autoctone e che nell’ambito dell’allargamen-to tale cifra verrà più che raddoppiata;

K. considerando che, nel quadro dell’allargamento dell’UE, un gran numero di nuove comuni-tà linguistiche regionali e minoritarie arricchirà ulteriormente la pluralità linguistica e cul-turale dell’Unione europea,

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L. considerando che le conclusioni della Presidenza del Consiglio europeo di Copenaghen, del 21 e 22 giugno 1993, stabiliscono che il rispetto e la tutela delle minoranze sono un requi-sito per l’appartenenza all’Unione europea,

M. considerando che la consueta definizione di lingua regionale o minoritaria della Carta eu-ropea per le lingue minoritarie o regionali abbraccia tradizionalmente le lingue parlate da parti della popolazione di uno Stato, tralasciando i dialetti della(e) lingua(e) ufficiale(i), le lingue degli immigrati o le lingue artificiali,

N. considerando che la definizione delle lingue regionali e delle lingue minoritarie non deve essere influenzata dall’importanza dell’appoggio che queste lingue ricevono dalle rispetti-ve amministrazioni locali e/o regionali,

O. considerando che il sostegno alle lingue regionali e minoritarie deve essere costante e in-dipendente dai mutamenti del clima politico,

P. considerando che tra le lingue regionali e minoritarie europee, malgrado le situazioni di partenza a volte assai diverse sotto il profilo sociale, economico e politico, vi sono nume-rosi punti di contatto in tutto il territorio dell’UE e che esse presentano una dimensione europea, il che le rende d’interesse paneuropeo,

Q. considerando che in alcune di queste comunità le lingue regionali o minoritarie si esten-dono al di là dei confini degli Stati membri, mentre altre hanno da sempre legami culturali e storici,

R. considerando che tali legami sono indubbiamente importanti e continuano a venir pro-mossi a livello interregionale, che quasi tutte queste comunità linguistiche minoritarie e regionali condividono un profondo interesse per il mantenimento e lo sviluppo della loro lingua e cultura, nonché per la piena realizzazione delle loro potenzialità nell’UE,

S. considerando che, nella misura in cui, le lingue regionali e minoritarie costituiscono un’im-portante fonte di ricchezza culturale e che – in quanto patrimonio culturale comune – se ne dovrebbe pertanto promuovere un sostegno costante e a ogni livello,

T. considerando che i mezzi di comunicazione svolgono una funzione importante nel salva-guardare e nel promuovere la conoscenza e l’uso delle lingue regionali e meno diffuse,

1. invita la Commissione a presentare al Parlamento sulla base degli articoli 149, 150, 151 e 308 del trattato CE entro il 31 marzo 2004, conformemente alle allegate raccoman-dazioni e ai progetti di misure cui all’Allegato, proposte legislative sulla diversità lin-guistica e sull’apprendimento linguistico – comprese le lingue europee meno diffuse e regionali;

2. chiede alla Commissione di fornire, basandosi su fondamenti scientifici, i criteri per de-finire il concetto di una lingua minoritaria o regionale ai fini dell’eventuale programma per la diversità linguistica;

3. ritiene che, da quando l’Unione europea ha adottato una strategia di “mainstreaming” nella sua politica di finanziamento, la promozione e la tutela delle lingue regionali e minoritarie siano un obiettivo che dovrebbe essere definito con chiarezza quale parte degli obiettivi almeno di tutti i programmi linguistici e dell’industria di contenuto;

4. ritiene che l’impatto di bilancio delle azioni e dei programmi chiesti nelle raccomanda-zioni in allegato debba essere compatibile con il massimale del titolo 3 escludendo una riprogrammazione delle attuali politiche;

5. chiede alla Commissione di accompagnare la sua futura iniziativa con una valutazio-ne del possibile raddoppiamento delle attività a livello centrale e periferico, e con una proposta volta a trasferire dal centro alle agenzie interessate le risorse umane e ammi-nistrative appropriate;

6. rileva che le raccomandazioni sopra menzionate sono conformi al principio della sus-sidiarietà e ai diritti fondamentali dei cittadini;

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7. propone, nel quadro della procedura annuale di bilancio, di creare una nuova voce di bilancio sotto l’articolo B3-100 e di stanziare le relative risorse di bilancio;

8. incarica il suo Presidente di trasmettere sia la presente risoluzione sia le raccomanda-zioni dettagliate, accluse in Allegato, alla Commissione, al Consiglio, alla Conferenza Intergovernativa, al Consiglio d’Europa e all’Ufficio europeo per le lingue meno diffuse.

Allegato

Raccomandazioni dettagliate sul contenuto della proposta richiesta

A. Principi e obiettivi della proposta

Dopo il successo dell’Anno europeo delle lingue 2001, la Commissione prevede la pubblicazione, nell’estate 2003, di un piano d’azione in materia di apprendimento delle lingue e pluralità lingui-stica, basato sulle risorse disponibili nel quadro degli attuali programmi e misure comunitari.Il Parlamento europeo ritiene che la suddetta iniziativa costituisca un passo importante verso un approccio globale per promuovere l’apprendimento delle lingue e per aumentare la sensibilizza-zione nei confronti del nostro patrimonio linguistico e culturale.In tale contesto il Parlamento europeo esige ulteriori misure. Parallelamente all’approccio dell’An-no europeo contro il razzismo 1997, in seguito al quale è stato creato l’Osservatorio europeo con-tro il razzismo e la xenofobia, ed è stato varato il programma d’azione contro la discriminazione, il PE chiede che venga istituita un’Agenzia europea per la pluralità linguistica e l’apprendimento del-le lingue, nonché venga elaborato un programma pluriennale sulla pluralità culturale e l’apprendi-mento delle lingue, prendendo lo spunto dall’Anno europeo delle lingue 2001. L’agenzia per la pluralità linguistica e l’apprendimento delle lingue dovrebbe seguire attentamen-te gli sviluppi in tale ambito e l’attuazione del piano d’azione, nonché varare misure concrete per contribuire, tra l’altro, a promuovere un’Europa delle lingue e un ambiente favorevole alle lingue, nonché a realizzare una rete per promuovere la pluralità linguistica – comprese le lingue europee minoritarie e regionali.Al contempo si dovrebbero adottare disposizioni adeguate per garantire che una parte delle risor-se finanziarie venga utilizzata in maniera mirata per le misure concrete e per le lingue europee re-gionali e meno diffuse. L’obiettivo perseguito da queste misure consiste nel consolidare la dimen-sione europea per promuovere e tutelare le lingue e le culture regionali e minoritarie. È importante sottolineare, al riguardo, che tale obiettivo non può essere efficacemente persegui-to senza un adeguato coordinamento con i meccanismi esistenti nell’ambito del Consiglio d’Euro-pa, evitando al tempo stesso duplicazioni o interferenze di competenze e/o azioni. In particolare, il monitoraggio svolto nell’ambito della Carta europea delle lingue regionali o minoritarie, che co-stituisce la norma giuridica europea di riferimento in materia, consente, principalmente attraver-so l’opera del Comitato indipendente incaricato di sorvegliare l’attuazione della Carta ma anche grazie ai rapporti biennali presentati dal Segretario Generale del Consiglio d’Europa, di individuare quali sono le aree problematiche, spesso trasversali nel senso che concernono diversi paesi, e nel-le quali occorre quindi intervenire prioritariamente. Di conseguenza, l’azione dell’agenzia e della Commissione dovrebbero tener conto dei risultati di tale minitoraggio in sede di determinazione di obiettivi, orientamenti finanziari e priorità in mo-do da assicurare interventi adeguati e tempestivi nelle suddette aree problematiche (considera-zioni analoghe valgono anche per quanto riguarda il monitoraggio svolto nell’ambito della Con-venzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali, nella misura in cui concerne anche

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i profitti linguistici). In considerazione del fatto che, soprattutto in un’Unione allargata, il nostro patrimonio linguistico e culturale svolgerà un ruolo importante da non sottovalutare, le iniziative proposte appaiono giustificate.

B. Misure proposte

(Raccomandazione 1) Agenzia europea per la pluralità linguistica e l’apprendimento delle lingueI. Atto giuridico: Proposta di atto giuridico per creare un’agenzia europea per la pluralità lin-

guistica e l’apprendimento delle lingue tenendo debitamente conto delle lingue minoritarie e regionali europee;

II. Contenuto: Attuazione delle misure proposte nel piano d’azione della Commissione eu-ropea, tenendo conto dei risultati dello studio di fattibilità che dovrà essere eseguito dalla Commissione su un’Agenzia europea per la pluralità linguistica e l’apprendimento delle lin-gue; promozione di un’Europa multilingue e di un ambiente favorevole al multilinguismo; rea-lizzazione di una rete per la promozione della pluralità linguistica, con inclusione delle lin-gue europee minoritarie e regionali; rilevamento e raccolta di dati sulla situazione delle lingue minoritarie nell’UE allargata, nel pieno rispetto delle disposizioni degli Stati membri in materia di insegnamento nella lingua ufficiale o lingue ufficiali.

(Raccomandazione 2) Programma a favore della pluralità linguistica (comprese le lingue europee minoritarie, re-gionali e i linguaggi gestuali) e dell’apprendimento delle lingueI. Atto giuridico: Proposta di un atto giuridico per varare un programma pluriennale a favore della

pluralità linguistica (comprese le lingue europee minoritarie, regionali e i linguaggi gestuali) e del-l’apprendimento delle lingue;

II. Contenuto: Introduzione di misure finanziarie concrete per promuovere progetti tesi a creare un contesto favorevole alle lingue, segnatamente uno scambio di esperienze tra i comuni e le regio-ni multilinguistiche, e a diffondere i vantaggi dell’apprendimento delle lingue, nonché per sostene-re le reti europee operanti in questo campo, tenendo conto, in sede di determinazione di obiettivi e priorità per quanto riguarda le lingue regionali o minoritarie, dei risultati del monitoraggio svolto nell’ambito della Carta europea delle lingue regionali o minoritarie del Consiglio d’Europa.

Oltre a queste due misure centrali, il Parlamento europeo ritiene che per promuovere la pluralità lin-guistica e l’apprendimento delle lingue, nonché per preservare il nostro patrimonio culturale lingui-stico – comprese le lingue europee regionali e minoritarie -, siano opportune le seguenti misure.In tale contesto, il Parlamento europeo considera adeguato

– che la Commissione: 1. sancisca, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera q) trattato CE, la promozione della plu-

ralità linguistica, comprese le lingue regionali o minoritarie, e l’apprendimento delle lingue quale parte integrante degli obiettivi dei programmi culturali ed educativi dell’UE;

2. tenga conto anche in altri programmi dell’UE, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, lette-ra q) trattato CE, della promozione della pluralità linguistica, comprese le lingue regionali o minoritarie, ad esempio indicandola in modo inequivocabile quale gruppo bersaglio nel programma d’azione contro la discriminazione o nei fondi strutturali;

3. renda accessibili tutti i programmi, ai sensi dell’articolo 149 trattato CE, a proposte per progetti riguardanti tutte le lingue, a prescindere dalla loro maggiore o minor diffusione;

4. sia tenuta, nel caso in cui tali lingue siano ufficiali e siano usate nelle università, ad inclu-derle nell’attuazione del programma Socrates;

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5. adotti tutte le misure necessarie affinché in futuro l’interpretazione degli articoli 149, 150 e 151 trattato CE si fondi su un modello globale di pluralità linguistica;

6. s’informi regolarmente e ufficialmente presso la Segreteria della Carta europea per le lin-gue regionali o minoritarie, ai sensi degli articoli 149, paragrafo 3, e 151, paragrafo 3 trat-tato CE, sulla situazione relativa alla ratifica e agli sviluppi nell’attuazione della Carta negli Stati membri dell’UE;

7. s’informi ufficialmente e regolarmente presso la Segreteria della Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali del Consiglio d’Europa, ai sensi degli articoli 149, paragrafo 3 e 151, paragrafo 3 trattato CE, sulla situazione relativa alla ratifica e agli svi-luppi dell’attuazione della Convenzione quadro negli Stati membri;

8. promuova, ai sensi dell’articolo 149 trattato CE e ai fini della promozione della mobilità de-gli studenti, la formazione di docenti di lingue regionali o minoritarie;

9. riferisca regolarmente alla commissione per la cultura, la gioventù, l’istruzione, i mezzi d’informazione e lo sport del PE sugli sviluppi del piano d’azione concernente l’apprendi-mento delle lingue e la diversità linguistica e sulla sua attuazione;

10. non tenga conto della tutela dei diritti umani in generale e delle minoranze in particolare solo nelle relazioni esterne, ma anche all’interno degli Stati membri, ai sensi dell’articolo 6 trattato UE;

11. assicuri, ai sensi dell’articolo 6 trattato UE, un monitoraggio regolare della tutela dei diritti umani, compresa la tutela delle minoranze;

12. continui a sostenere e utilizzi le risorse dell’Ufficio europeo per le lingue meno diffuse (EBLUL), rete che rappresenta le comunità linguistiche meno diffuse in tutti i 15 Stati membri dell’UE, e i tre centri di ricerca accademica Mercator, che sono organismi di interesse europeo generale e reti che operano a favore delle lingue regionali e minoritarie, e aumenti l’aiuto fi-nanziario per creare le condizioni necessarie per ampliare le competenze dell’Ufficio;

13. promuova la cooperazione tra comunità linguistiche regionali o minoritarie nella misura in cui essa presenta una dimensione europea e costituisce una forma di cooperazione tran-sfrontaliera (per esempio, MIDAS, EEBA, ecc.)

14. tenga debitamente conto, nel rispetto dell’equilibrio politico, per le campagne pubblicitarie delle politiche UE, dei quotidiani pubblicati in una lingua regionale o minoritaria;

15. promuova attività culturali – ad esempio reti culturali, manifestazioni culturali, traduzioni, eccetera – in cui siano coinvolte lingue regionali o minoritarie;

16. appoggi la realizzazione di reti per la pluralità linguistica e l’apprendimento delle lingue a cui partecipino autorevoli istituzioni politiche, accademiche, eccetera, segnatamente quelle impegnate a usare nuove tecniche di apprendimento linguistico, ad esempio, la tecnica co-siddetta di immersione linguistica totale, e organizzi annualmente un seminario informa-tivo su bandi dove le comunità linguistiche rappresentano un possibile gruppo bersaglio; l’Ufficio europeo per le lingue meno diffuse potrebbe fungere da segreteria di tale rete;

17. tenga conto, in sede di determinazione di obiettivi, orientamenti finanziari e priorità, dei risultati del monitoraggio svolto nell’ambito della Carta europea delle lingue regionali o minoritarie del Consiglio d’Europa e, nella misura in cui concerne anche i profili linguisti-ci, della Convenzione-quadro del Consiglio d’Europa per la protezione delle minoranze na-zionali; all’uopo dovrebbe essere istituita una cooperazione regolare tra i competenti uffici della Commissione e del Consiglio d’Europa;

18. sostenga i forum delle amministrazioni locali e regionali implicate nella pianificazione lin-guistica allo scopo di scambiare informazioni sui metodi più efficaci per attuare le politi-che linguistiche;

19. applichi i principi e gli obiettivi della Carta quale punto chiave di valutazione del modo in cui i paesi candidati ottemperano agli obblighi di tutela delle minoranze definite nelle Conclusioni del Consiglio europeo di Copenaghen, del 1993;

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– che la Conferenza intergovernativa: 20. includa nelle disposizioni riguardanti l’azione UE nel settore della cultura un riferimento

esplicito alla promozione della diversità linguistica incluse le lingue regionali e minoritarie quale espressione della diversità culturale e linguistica;

1. Nell’ambito dei suoi settori di competenza, la Comunità rispetta e promuove la diversità linguistica in Europa, comprese le lingue regionali o minoritarie quali espressione di detta diversità, incoraggiando la cooperazione tra Stati membri e utilizzando altri strumenti ap-propriati per favorire questo obiettivo.

2. L’azione della Comunità dovrebbe comprendere in particolare:– la promozione dello scambio di esperienze e di buone prassi;– l’agevolazione della cooperazione e di progetti comuni fra autorità statali, regionali e locali;– la promozione, ove opportuno, della cooperazione transfrontaliera;– il sostegno alla cooperazione fra organismi della società civile.

3. La Comunità e gli Stati membri sostengono la cooperazione con le organizzazioni inter-nazionali competenti per la promozione della diversità linguistica, in particolare con il Consiglio d’Europa.

4. L’Unione europea dovrebbe sforzarsi di garantire che nessuna politica o misura dell’UE sia adotta-ta o applicata in modo tale da avere ripercussioni negative sulla diversità linguistica in Europa.

5. Al fine di contribuire al raggiungimento degli obiettivi di cui al presente numero, il Consiglio deve:– adottare misure adeguate, fatta salva qualunque armonizzazione delle leggi e dei re-

golamenti degli Stati membri, ai sensi della procedura di cui all’articolo 251 del tratta-to CE e previa consultazione del Comitato economico e sociale e del Comitato delle re-gioni;

– adottare raccomandazioni, su proposta della Commissione e a maggioranza qualificata.

21. garantire che l’articolo 13 trattato CE tenga conto anche della discriminazione per motivi linguistici;

22. garantire l’introduzione, nel settore cultura (articolo 151 trattato CE) l principio della mag-gioranza qualificata;

23. garantire l’elaborazione annuale di una relazione sul rispetto della clausola sulla diversità di cui all’articolo 151, paragrafo 4 trattato CE, che esamini gli effetti del diritto seconda-rio e il “rispetto della pluralità linguistica, delle peculiarità nazionali e regionali, nonché del patrimonio culturale” degli Stati membri;

24. garantire l’aggiunta di un nuovo articolo 151 bis al trattato CE, del seguente tenore: “Nell’ambito dei suoi settori di competenza, la Comunità rispetta e promuove la diversità linguistica in Europa, comprese le lingue regionali o minoritarie come espressione di ta-le diversità, incoraggiando la cooperazione fra Stati membri e utilizzando altri idonei stru-menti per il raggiungimento di questo obiettivo”;

– che il Parlamento europeo si assicuri che: 25. nelle relazioni del PE sui diritti dell’uomo si tenga conto della tutela delle minoranze in un

punto a sé o in relazioni specifiche;26. la commissione per la cultura, la gioventù, l’istruzione, i mezzi d’informazione e lo sport del

PE s’informi ufficialmente e regolarmente presso la Segreteria della Carta europea per le lingue regionali o minoritarie sulla situazione relativa alla ratifica e agli sviluppi nell’attua-zione della Carta europea per le lingue regionali o minoritarie negli Stati membri dell’UE;

27. la commissione per gli affari esteri, i diritti dell’uomo, la sicurezza comune e la politica di difesa del PE s’informi ufficialmente e regolarmente presso la Segreteria della Convenzione

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quadro per la tutela delle minoranze nazionali del Consiglio d’Europa sulla situazione rela-tiva alla ratifica e agli sviluppi dell’attuazione della Convenzione quadro negli Stati mem-bri dell’UE;

– che gli Stati membri e i paesi candidati: 28. gli Stati membri e i paesi candidati all’adesione ratifichino al più presto, qualora non l’ab-

biano già fatto, la Carta europea delle lingue regionali o minoritarie del Consiglio d’Europa e la Convenzione-quadro del Consiglio d’Europa per la protezione delle minoranze nazio-nali;

29. raccolgano, quale base per ulteriori misure, dati affidabili su minoranze etniche, linguisti-che e religiose, compresi immigrati e profughi, sul loro peso economico e sociale, nonché sullo status giuridico e pratico delle lingue regionali e minoritarie, inviandoli all’Osservato-rio europeo contro il razzismo e la xenofobia di Vienna;

– che il Consiglio: 30. inserisca nella relazione annuale sulla situazione dei diritti dell’uomo, di concerto con la

Commissione e come richiesto nel parere sulla relazione del Consiglio sui diritti umani 1999, l’analisi dell’evoluzione dei diritti dell’uomo, compresi i diritti delle minoranze nazio-nali nei singoli Stati membri e tenendo conto dei risultati delle azioni del Consiglio d’Euro-pa in materia, il che consente di definire strategie per aumentare la coerenza delle politi-che nazionali ed europee in questo settore.

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Il Consiglio dell’Unione Europea

Nel febbraio 2002 il Consiglio europeo dei ministri per l’istruzione ha esortato gli Stati membri a fare passi concreti per promuovere la diversità linguistica e l’apprendimento delle lingue, e ha in-vitato la Commissione Europea a delineare proposte in tali settori. La risposta della Commissione a questa richiesta si può dire che sia costituita dal Piano d’azione “Promuovere l’apprendimento delle lingue e la diversità linguistica: Piano d’azione 2004-2006”. Il Consiglio dell’UE, il 12 ed il 13 dicembre 2003, ha deciso di estendere il mandato dell’Osservatorio europeo dei fenomeni razzi-sti e xenofobi, con sede a Vienna, per trasformarlo in “Agenzia europea dei diritti fondamentali”. La Commissione europea ha aderito pienamente a questa decisione, che è in linea con gli impe-gni espliciti dell’Unione di rispettare i diritti fondamentali, tra cui, ricordiamo, vi è anche il dirit-to alla diversità linguistica. La decisione di creare un’Agenzia dei diritti fondamentali si situa evi-dentemente nel solco degli obiettivi assegnati all’Osservatorio di Vienna, il cui ruolo è già quello di dare alle istituzioni comunitarie i mezzi per adempiere l’obbligo di rispettare i diritti fondamenta-li nell’elaborazione e l’attuazione delle politiche e degli atti adottati nel loro settore di competen-za. Nondimeno, l’ipotesi di istituire questa Agenzia solleva problemi delicati come quelli della base giuridica (essendo le competenze comunitarie in materia di diritti fondamentali limitate), delle ri-sorse finanziarie di cui sarà dotata, come pure delle questioni legate alla definizione del suo setto-re d’azione, alle missioni che potrebbe vedersi attribuire ed alle relazioni con il Consiglio d’Europa (v.) ed altre istituzioni internazionali.

RISOLUZIONE DEL CONSIGLIO del 14 febbraio 2002relativa alla promozione della diversità linguistica e dell’apprendimento delle lingue nel quadro dell’attuazione degli obiettivi dell’Anno europeo delle lingue 2001

IL CONSIGLIO DELL’UNIONE EUROPEA,(…)SOTTOLINEA QUANTO SEGUE:(1) La conoscenza delle lingue è una delle competenze di base necessarie ad ogni cittadino per po-

ter partecipare effettivamente alla società europea della conoscenza e favorisce pertanto sia l’integrazione nella società che la coesione sociale; la conoscenza approfondita della o delle lingue materne può facilitare l’apprendimento di altre lingue;

(2) la conoscenza delle lingue assume un ruolo importante per favorire la mobilità sia nel conte-sto educativo sia a fini professionali ma anche culturali o personali;

(3) a conoscenza delle lingue favorisce altresì la coesione europea, tenuto conto dell’allargamen-to dell’Unione europea;

(4) tutte le lingue europee sono, dal punto di vista culturale, uguali in valore e dignità e costitui-scono parte integrante della cultura e della civiltà europee;

RICORDA QUANTO SEGUE:– l’anno europeo delle lingue 2001, organizzato in cooperazione con il Consiglio d’Europa, sta

dando impulso alla consapevolezza della diversità linguistica e alla promozione dell’apprendi-mento delle lingue;

– la relazione del Consiglio “Istruzione”, del 12 febbraio 2001, sugli obiettivi futuri e concreti dei sistemi di istruzione e di formazione, che include esplicitamente tra tali obiettivi l’apprendi-mento delle lingue straniere, dovrebbe essere attuata in base a un programma di lavoro det-tagliato da definire in una relazione comune che il Consiglio e la Commissione presenteranno al Consiglio europeo di Barcellona;

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RIBADISCE:gli obiettivi di cui all’articolo 2 della decisione n. 1934/2000/CE del Parlamento europeo e del Con-siglio, del 17 luglio 2000, che istituisce l’Anno europeo delle lingue 2001, ai fini delproseguimento dell’attuazione di tali obiettivi,

INVITA gli Stati membri, nel quadro ed entro i limiti nonché nell’ambito delle priorità dei rispettivi sistemi politici, giuridici, finanziari, d’istruzione e di formazione, a:(1) adottare le misure che ritengono appropriate per offrire agli studenti, nella misura del possi-

bile, l’opportunità di apprendere due lingue o, se del caso, più lingue oltre alla lingua madre e promuovere l’apprendimento delle lingue straniere da parte dei non studenti nel contesto della formazione permanente e, tenendo conto delle diverse esigenze dei destinatari di tali misure e della necessità di fornire pari accesso alle opportunità di apprendimento. Al fine di promuove-re la cooperazione e la mobilità in tutta l’Europa, l’offerta, per quanto concerne le lingue, dovrà essere il più possibile diversificata e includere le lingue dei paesi e/o delle regioni limitrofi;

(2) far sì che programmi di studio e obiettivi pedagogici promuovano un atteggiamento positivo nei confronti delle altre lingue e culture e stimolino le competenze di comunicazione intercul-turali sin dall’età precoce;

(3) promuovere l’apprendimento delle lingue nell’insegnamento professionale tenendo conto in questo modo dell’impatto positivo che la conoscenza delle lingue ha sulla mobilità e sull’occu-pabilità;

(4) facilitare l’integrazione delle persone di lingua diversa nel sistema di istruzione e nella società in generale, mediante, tra l’altro, misure volte a migliorare la loro conoscenza della lingua o del-le lingue ufficiali di insegnamento, nel rispetto delle lingue e delle culture del paese di origine;

(5) favorire l’applicazione di metodi pedagogici innovativi, in particolare anche attraverso la for-mazione degli insegnanti;

(6) incoraggiare i futuri insegnanti di lingue straniere ad avvalersi dei pertinenti programmi eu-ropei per compiere una parte dei loro studi in un paese o in una regione di un paese in cui sia lingua ufficiale la lingua che essi insegneranno in futuro;

(7) istituire sistemi di convalida delle competenze linguistiche, sulla base del quadro comune eu-ropeo di riferimento per le lingue elaborato dal Consiglio d’Europa, tenendo sufficientemente conto delle competenze acquisite attraverso l’istruzione informale;

(8) stimolare la cooperazione europea per promuovere la trasparenza delle qualifiche e la garan-zia della qualità dell’insegnamento delle lingue;

(9) tener presente, nel contesto degli obiettivi summenzionati, la ricchezza rappresentata dalla di-versità linguistica all’interno della Comunità europea e incoraggiare tra l’altro la cooperazione tra centri ufficiali o altre istituzioni culturali per la diffusione delle lingue e delle culture degli Stati membri;

INVITA la Commissione a:(1) sostenere gli Stati membri nell’attuazione delle raccomandazioni precitate;(2) tenere conto, a questo proposito, del principio della diversità linguistica nelle sue relazioni con

i paesi terzi e i paesi candidati;(3) elaborare entro i primi mesi del 2003 proposte riguardanti azioni volte a promuovere la diversi-

tà linguistica e l’apprendimento delle lingue, garantendone al tempo stesso la coerenza con l’at-tuazione della relazione sui futuri obiettivi concreti dei sistemi di istruzione e insegnamento.

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Il Comitato delle Regioni

Il 13 giugno 2001, il Comitato delle Regioni ha adottato, di propria iniziativa, un Parere sulla pro-mozione e salvaguardia delle lingue regionali e minoritarie. In questo testo il Comitato delle Regio-ni chiede alla Commissione Europea di includere specifiche disposizioni sulla diversità linguistica in tutte le politiche e i programmi dell’UE.

PARERE del Comitato delle regioni del 13 giugno 2001 sul tema “Promozione e salvaguardia delle lingue regionali e minoritarie”

Il Comitato delle regioni, VISTA la decisione del proprio Ufficio di presidenza, presa il 13 dicembre 2000, conformemente al

disposto dell’articolo 265, quinto comma, del Trattato che istituisce la Comunità europea, di ela-borare un parere sull’argomento e di assegnare la preparazione di tale parere alla Commissione 7 “Istruzione, formazione professionale, cultura, gioventù, sport, diritti dei cittadini”,

VISTE le risoluzioni del Parlamento europeo sulle minoranze linguistiche e culturali Arfe (1991,1993), Kuijpers (1987), Reding (1990) e Kililea (1994),

VISTI la risoluzione del Consiglio del 20 gennaio 1997 concernente l’integrazione degli aspet-ti culturali nelle azioni della Comunità1 (97/C 36/04) e il proprio parere del 16 gennaio 1997 in merito alla “1ª relazione sulla presa in considerazione degli aspetti culturali nell’azione della Comunità europea”,

VISTO il proprio parere del 17 febbraio 2000 sul tema “2001 Anno europeo delle lingue” (CdR 465/99 fin)2,

VISTO il proprio parere del 14 dicembre 2000 sulla “Proposta di decisione del Consiglio che adotta un programma comunitario pluriennale inteso ad incentivare lo sviluppo e l’utilizzo dei contenuti digitali europei nelle reti globali e a promuovere la diversità linguistica nella società dell’informazione” (CdR 316/2000 fin)3,

VISTA la Carta europea delle lingue regionali o minoritarie del Consiglio d’Europa, VISTO l’articolo 22 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, VISTO il progetto di parere (CdR 86/2001 riv. 1) adottato dalla Commissione 7 il 23 aprile 2001

(Relatori: Tony McKENNA (IRL/AE) e José MUÑOA GANUZA (E/AE), CONSIDERANDO che il preambolo del Trattato CE esprime il desiderio di intensificare la soli-

darietà tra i popoli rispettandone la storia, la cultura e le tradizioni nonché la determinazione a promuoverne il progresso economico e sociale nel contesto della realizzazione del mercato interno;

CONSIDERANDO che l’articolo 151, paragrafo 4, del Trattato che istituisce la Comunità euro-pea stabilisce che “la Comunità europea tiene conto degli aspetti culturali nell’azione che svol-ge a norma di altre disposizioni del presente trattato, in particolare ai fini di rispettare e pro-muovere la diversità delle sue culture”;

CONSIDERANDO che le conclusioni della Presidenza del Consiglio europeo di Copenaghen del 21 e 22 giugno 1993 affermano il rispetto per la tutela delle minoranze come requisito per l’appartenenza all’Unione europea;

CONSIDERANDO che le conclusioni del Consiglio del 12 giugno 1995 sulla diversità linguisti-ca e sul multilinguismo in Europa hanno sottolineato che “la diversità linguistica deve essere mantenuta e il multilinguismo promosso nell’Unione, con pari rispetto per le lingue dell’Unio-ne e debito rispetto per il principio della sussidiarietà”;

CONSIDERANDO che il Consiglio europeo riunitosi a Lisbona il 23 e 24 marzo 2000 ha spe-cificamente riconosciuto il potenziale derivante dalla diversità culturale europea nel creare la competitività delle industrie che producono contenuti informativi,

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ha adottato il 13 giugno 2001, nel corso della 39a sessione plenaria, il seguente parere:

Considerazioni del Comitato delle regioni sulla promozione e la tutela delle lingue regio-nali e minoritarie: Il Comitato delle regioni– definisce “lingue regionali o minoritarie” (i) le lingue tradizionalmente utilizzate nel territo-

rio di un determinato Stato, oppure in una regione dell’Unione europea, dai cittadini di quello Stato formanti un gruppo numericamente più ridotto rispetto al resto della popolazione dello Stato; la definizione (ii) non comprende i dialetti o (iii) le lingue dei migranti;

– ritiene che le lingue minoritarie (meno utilizzate) e regionali siano parte essenziale della diver-sità linguistica e culturale dell’Unione europea e un elemento vitale per il nostro patrimonio comune europeo, il cui rispetto è foriero di una migliore reciproca comprensione fra la gente e approfondisce l’integrazione europea;

– ritiene che l’identità regionale esca rafforzata dalla salvaguardia e dalla promozione delle lin-gue minoritarie (meno utilizzate) e regionali;

– considera la diversità culturale e linguistica come un ambito adeguato nel quale promuovere la coesione territoriale europea, trattandosi di un fattore di moltiplicazione che conferisce va-lore aggiunto ai progetti di sviluppo regionale e locale;

– ritiene che qualsiasi azione dell’Unione europea nel settore della politica linguistica debba es-sere improntata agli obiettivi di conservazione, trasmissione intergenerazionale, utilizzo, pro-mozione e qualità delle lingue regionali e minoritarie;

– ritiene che la disponibilità di merci e servizi nelle lingue minoritarie (meno utilizzate) e regio-nali e l’accesso alle nuove tecnologie dell’informazione e comunicazione siano fattori essen-ziali nella promozione linguistica;

– reputa che il linguaggio permei ogni aspetto della vita umana. Le questioni linguistiche sono di natura globale e onnicomprensiva e in quanto tali dovrebbero essere presenti in tutti gli am-biti di elaborazione e attuazione delle politiche;

– ritiene che la Carta europea per le lingue regionali o minoritarie contribuisca a mantenere e sviluppare le tradizioni e la ricchezza culturale europea, il che sottolinea il valore dell’intercul-turalità e del multilinguismo secondo il dettato della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali;

– condivide le aree prioritarie d’intervento identificate nella Carta: istruzione, ordinamento giu-ridico, servizi pubblici, mezzi di comunicazione, servizi culturali, vita economica e sociale e scambi transfrontalieri; accoglie inoltre con favore la promessa degli Stati firmatari d’intro-durre l’insegnamento nelle lingue regionali e minoritarie a tutti i livelli; l’impegno ad adot-tare una serie d’interventi per promuovere la conoscenza e l’utilizzo delle lingue regionali e minoritarie nel campo dei servizi pubblici; l’agevolazione dei contatti transfrontalieri nei set-tori della cultura, dell’istruzione e della formazione professionale e continua;

– auspica che il Consiglio contempli l’estensione del voto a maggioranza qualificata all’art. 151 (cultura) del Trattato che istituisce la Comunità europea, esclusa l’armonizzazione delle regole amministrative e delle norme giuridiche degli Stati membri e delle regioni, e fermi restando il rispetto della ripartizione interna delle competenze e la garanzia dell’applicazione del princi-pio di sussidiarietà nelle iniziative comunitarie.

– esorta la Commissione europea ad applicare i principi e gli obiettivi della Carta quale parame-tro per valutare il rispetto da parte dei paesi candidati degli obblighi di tutela delle minoranze, come indicato nelle conclusioni del Consiglio europeo di Copenaghen del 1993.

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Raccomandazioni del Comitato delle regioni

Il Comitato delle regioni– ritiene che l’Unione europea sia in una posizione di privilegio per operare, entro la propria sfe-

ra di competenza e nel rispetto dell’importanza della sussidiarietà, a favore della sopravviven-za e dello sviluppo di oltre quaranta lingue storiche che costituiscono una parte sostanziale dell’eredità culturale europea, per esempio

– sensibilizzando alla conoscenza del nostro patrimonio culturale, – sviluppando impostazioni innovative, promuovendo lo scambio di esperienze e conoscenze

specialistiche, come pure – creando reti fra persone attive nel settore e applicando le migliori pratiche; – sollecita gli Stati membri, ad eccezione dell’Irlanda e del Lussemburgo, che hanno rispettiva-

mente come prima lingua l’irlandese e il lussemburghese, a firmare e ratificare senza riserve la Carta europea per le lingue regionali e minoritarie (meno utilizzate) allo scopo di sostenere i principi e gli obiettivi ivi definiti, di innalzare il livello di protezione di tali lingue e soprattutto di promuoverne l’utilizzo nel campo dei servizi pubblici. Quanto alle opzioni relative al grado di protezione delle minoranze, si invitano gli Stati firmatari ad adottare disposizioni che garan-tiscano un elevato grado di protezione e che prevedano impegni concreti. Essi devono evitare che, scegliendo un numero ridotto di disposizioni vincolanti, si finisca per compromettere la salvaguardia delle lingue e delle minoranze alla quale la Carta aspira e per ridurre la firma ad un’operazione di marketing da parte degli Stati firmatari.

– esorta la Commissione europea a rispettare l’articolo 22 della Carta dei diritti fondamenta-li contemplando norme specifiche per la diversità linguistica, soprattutto quelle volte a tener maggiormente conto delle lingue minoritarie (meno utilizzate) e regionali in tutte le politiche e in tutti i programmi dell’Unione europea, in particolare in quelli riguardanti i campi della tec-nologia dell’informazione, della politica audiovisiva, dell’istruzione, della cultura, dell’appren-dimento delle lingue, della cooperazione transfrontaliera, del turismo culturale, della tecnolo-gia del linguaggio, dello sviluppo regionale e della pianificazione territoriale;

– raccomanda alla Commissione d’istituire un programma pluriennale che avrà come obiettivo la pro-mozione e la salvaguardia delle lingue minoritarie (meno utilizzate) e regionali dell’Unione europea;

– invita la Commissione a intervenire immediatamente affinché le lingue minoritarie (meno uti-lizzate) e regionali figurino nelle attività di tutti gli attuali programmi dell’Unione europea: in particolare il Quinto programma quadro per la ricerca e lo sviluppo, il Programma quadro cul-tura 2000, i programmi MEDIA Plus, un piano d’azione nell’ambito di programmi preesistenti, quali Socrates, Leonardo e Gioventù, l’azione dell’Unione europea a sostegno dell’istruzione e delle PMI, i fondi strutturali e di coesione, il piano d’azione e-Europe, il programma e-Content e il piano d’azione sul capitale di rischio;

– ritiene necessario che la Commissione europea intensifichi le proprie campagne di informazio-ne e sensibilizzazione volte a informare i cittadini dell’Unione europea sulla ricchezza e diversità della sua cultura, ivi compresa la ricchezza linguistica e culturale delle regioni, e sostenga anche un’organizzazione rappresentativa delle comunità linguistiche a livello dell’Unione europea;

– propone che la Commissione europea consulti gli organismi europei competenti in materia di politiche linguistiche e/o le associazioni rappresentative delle comunità linguistiche in merito al finanziamento e alla strategia a lungo termine per le lingue regionali e minoritarie

– ritiene necessario che la Commissione dia un costante sostegno a un progetto di ricerca volto a raccogliere informazioni precise, affidabili e periodicamente aggiornate sull’evoluzione socio-linguistica in Europa, identificando i fattori che hanno contribuito alla crescita o al declino delle lingue, ivi compresa l’attività della pubblica amministrazione in questo campo. L’iniziativa por-terà avanti la ricerca, fisserà mete e obiettivi, formulerà politiche e terrà sotto controllo il proce-dere delle iniziative e del coinvolgimento istituzionale nel campo della promozione linguistica;

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– in questo modo si dovrebbe compiere una valutazione dei risultati dell’Anno europeo delle lin-gue che ne precisi gli effetti sulle lingue minoritarie (meno utilizzate) e regionali;

– evidenzia che il programma quadro che da ultimo scaturirà dagli accordi raggiunti dovrebbe essere applicato in base al principio della sussidiarietà, secondo il quale l’Unione europea, gli Stati membri, gli enti regionali e locali, le parti sociali e la società in genere hanno un ruolo at-tivo da svolgere attraverso varie forme di collaborazione e coordinamento;

– raccomanda alla Commissione di istituire una task force interistituzionale (con il CdR come membro a pieno titolo) per la sicurezza e la promozione delle lingue minoritarie (meno utiliz-zate) e regionali;

– esorta gli enti locali, regionali e nazionali a promuovere l’utilizzo delle lingue minoritarie (me-no utilizzate) e regionali nella produzione culturale, nei mezzi audiovisivi, nella stampa e nel-la produzione editoriale, che costituiscono i mezzi più idonei per diffondere modelli linguistici vivi e pluralistici insieme alla disponibilità di una gamma completa di materiali didattici e alla formazione lungo tutto l’arco della vita;

– raccomanda di inserire quanto prima la questione delle lingue minoritarie (meno utilizzate) e regionali all’ordine del giorno della Conferenza intergovernativa del 2004, nell’ottica di dare a queste lingue il dovuto riconoscimento nei trattati dell’Unione europea.

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Il Consiglio d’Europa (COE)

Il Consiglio d’Europa con sede a Strasburgo, è stata l’istituzione che ha promosso il 2001 come An-no europeo delle lingue, con l’obiettivo generale di favorire l’apprendimento delle lingue da parte di tutti i residenti in Europa. Ben 45 paesi europei hanno partecipato all’iniziativa, la cui attuazio-ne negli Stati membri dell’UE rientrava nell’ambito di responsabilità della Commissione europea. L’esperienza dell’Anno europeo ha dimostrato che tutte le lingue presenti nell’ambito delle varie comunità possono essere promosse in modo integrato. Le lingue “ufficiali” hanno avuto un po-sto di rilievo, ma sono stati finanziati e realizzati decine di progetti relativi alle lingue regionali e minoritarie. Inoltre, l’inserimento di tutte le lingue parlate in Europa nelle iniziative dell’Anno eu-ropeo ha dato un importante sostegno ai cittadini che parlano lingue raramente utilizzate al di fuori dell’ambiente domestico e incrementato il loro orgoglio per le rispettive eredità culturali.Il Consiglio d’Europa ha da sempre un ruolo importante in relazione alle lingue meno diffuse, poiché controlla l’attuazione di politiche in favore delle lingue regionali e minoritarie da parte degli Stati che hanno ratificato la Carta Europea delle lingue regionali e minoritarie (ECRLM). Il Consiglio d’Europa ha adottato la Carta nel 1992 per tutelare e promuovere le lingue europee regionali e minoritarie co-me strumento per meglio conservare e sviluppare le tradizioni e il patrimonio culturale dell’Europa e per sottolineare il diritto a usare le lingue minoritarie nella vita privata e pubblica.Nella Carta sono illustrati in primo luogo gli obiettivi e i principi che le parti devono impegnarsi a rispettare in riferimento alle Lingue regionali e minoritarie parlate nei loro territori: il rispetto per l’area geografica di ogni lingua; la necessità di promuovere e facilitare e/o incoraggiare l’uso delle lingue regionali o minoritarie nell’uso parlato e scritto, nella vita pubblica e privata (tramite ade-guati provvedimenti nell’ambito della didattica e dell’apprendimento nonché scambi transnazio-nali nel caso di lingue usate in forma identica o simile in altri Stati). Inoltre, la Carta individua una serie di provvedimenti specifici per promuovere l’uso delle lingue regionali o minoritarie nella vita pubblica. Tali provvedimenti riguardano i seguenti settori: istruzione, giustizia, autorità ammini-strative e pubblici servizi, media, attività e servizi culturali, attività economiche e sociali e scambi transfrontalieri. Un comitato di esperti esamina periodicamente i resoconti presentati dalle parti e verifica l’osservanza dei requisiti stabiliti dalla Carta.

Carta Europea delle Lingue Regionali o Minoritarie29 giugno 1992

PREAMBOLO Gli Stati membri del Consiglio d’Europa firmatari della presente Carta, Considerato che il fine del Consiglio d’Europa a tra i suoi membri, in particolare per salvaguardare

e promuovere gli ideali che sono loro comune patrimonio; Considerato che la tutela delle lingue storiche regionali o minoritarie d’Europa, alcune delle qua-

li col tempo rischiano di scomparire, contribuisce a mantenere e a sviluppare le tradizioni e la ricchezza culturale dell’Europa;

Considerato che il diritto ad usare una lingua regionale o minoritaria nella vita privata e pubblica costituisce un diritto inalienabile in conformità ai principi contenuti nel Patto Internazionale sui diritti civili e politici delle Nazioni Unite e in conformità allo spirito della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali;

Tenuto conto del lavoro realizzato nell’ambito della CSCE e in particolare dell’Atto Finale di Helsinki del 1975 e del Documento della Riunione di Copenhagen del 1990;

Sottolineato il valore dell’interculturalismo e del plurilinguismo e considerato che la tutela e l’in-coraggiamento delle lingue regionali o minoritarie non dovrebbero risolversi a detrimento del-le lingue ufficiali e della necessità di apprenderle;

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Coscienti del fatto che la tutela e la promozione delle lingue regionali o minoritarie nei diversi pae-si e regioni d’Europa rappresentano un contributo importante per l’edificazione di un’Europa fondata sui principi della democrazia e della diversità culturale, nel quadro della sovranità na-zionale e dell’integrità territoriale;

Prese in considerazione le condizioni specifiche e le tradizioni storiche proprie di ciascuna regio-ne dei paesi d’Europa,

Hanno convenuto quanto segue:

PARTE I – DISPOSIZIONI GENERALI

Articolo 1 – DefinizioniAi sensi della presente Carta: a. con l’espressione “lingue regionali o minoritarie” si intendono le lingue

i. tradizionalmente parlate nell’ambito di un territorio di uno Stato da cittadini di quello Stato che costituiscono un gruppo numericamente interiore al resto della popolazione del-lo Stato, e

ii. diverse dalla/e lingua/e ufficiale/i di quello Stato; tale espressione non comprende né i dialetti della/e lingua/e ufficiale/i dello Stato né le lingue de-gli immigrati; b. per “territorio nel quale una lingua regionale o minoritaria viene usata” si intende l’area geografica

nella quale questa lingua costituisce il modo di esprimersi diun numero di persone tale da giustifi-care l’adozione delle diverse misure di tutela e promozione previste dalla presente Carta;

c. con l’espressione “lingue sprovviste di territorio” si indicano le lingue usate dai cittadini dello Stato, le quali differiscono dalla/e lingua/e usata/e dal resto della popolazione dello Stato, ma che, benchè tradizionalmente parlate nell’ambito del territorio di tale Stato, non possono es-sere identificate con una particolare area geografica dello stesso.

Articolo 2 – Impegni 1. Ciascuna delle parti si impegna ad applicare le disposizioni della Parte II a tutte le lingue regio-

nali o minoritarie parlate nell’ambito del proprio territorio e rispondenti alle definizioni dell’ar-ticolo 1.

2. Per quanto riguarda ogni lingua indicata al momento della ratifica, accettazione o approvazio-ne, in conformità all’articolo 3, ogni Parte si impegna ad applicare un minimo di trentacinque paragrafi scelti tra le disposizioni della Parte III della presente Carta, di cui almeno tre scelti da ciascuno degli articoli 8 e l2 e uno da ciascuno degli articoli 9, 10, 11 e 13.

Articolo 3 – Modalità 1. Ciascuno Stato contraente dovrà specificre nell’atto di ratifica, accettazione o approvazione,

ogni lingua regionale o minoritaria o ogni lingua ufficiale, meno parlata su tutto o su parte del proprio territorio, a cui si applicheranno i paragrafi scelti in conformità al paragrafo 2 dell’ar-ticolo 2.

2. Qualsiasi parte può, in qualsiasi momento successivo, notificare al Segretario Generale che es-sa accetta gli obblighi derivanti dalle disposizioni di qualsiasi altro paragrafo della Carta non ancora specificato nello strumento di ratifica, accettazione o approvazione, o di applicare il paragrafo 1 del presente articolo ad altre lingue regionali o minoritarie, o ad altre lingue uffi-ciali meno parlate su tutto o su parte del proprio territorio.

3. Gli impegni previsti nel paragrafo precedente saranno ritenuti parte integrante della ratifica, accettazione o approvazione ed avranno uguale effetto a partire dalla data della loro notifica.

Lingua madre, madre terra104 Lingua madre, madre terra 105

Articolo 4 – Attuali norme di tutela 1. Nessuna delle disposizioni della presente Carta può essere intepretata in senso limitativo o in

deroga ai diritti garantiti dalla Convenzione europea sui Diritti dell’Uomo. 2. Le disposizioni della presente Carta non avranno alcuna incidenza sulle disposizioni prioritarie

o lo stato giuridico delle persone appartenenti alle minoranze e che già esistono in una Parte o sono previsti da specifici accordi internazionali bilaterali o multilaterali.

Articolo 5 – Obblighi esistenti Nulla di quanto è contenuto nella presente Carta potrà essere interpretato a sostegno di un

qualsiasi diritto ad intraprendere un’attività o a svolgere un’azione che si contrapponga ai fini della Carta delle Nazioni Unite o ad altri obblighi del diritto internazionale, compreso il princi-pio della sovranità e dell’integrità territoriale degli Stati.

Articolo 6 – Informazioni Le parti si impegnano ad assicurare che autorità di governo, organizzazioni e persone interes-

sate siano informate riguardo ai diritti e doveri stabiliti dalla presente Carta.

PARTE II – OBIETTIVI E PRINCIPI PERSEGUITI IN CONFORMITÀ AL PARAGRAFO 1 DELL’ARTICOLO 2

Articolo 7 – Obiettivi e principi 1. Per quanto riguarda le lingue regionali o minoritarie, nei territori nei quali queste lingue sono

parlate e secondo la situazione di ciascuna lingua, le Parti fondano la loro politica, la loro le-gislazione e la loro prassi sui seguenti obiettivi e principi: a. il riconoscimento delle lingue regionali o minoritarie in quanto espressione della ricchezza

culturale; b. il rispetto dell’area geografica di ciascuna lingua regionale o minoritaria in modo da assi-

curare che le ciscoscrizioni amministrative esistenti o nuove non costituiscano un ostaco-lo alla promozione di questa lingua regionale o minoritaria;

c. la necessità di una decisa azione di promozione delle lingue regionali o minoritarie al fine di salvaguardarle;

d. l’agevolazione e/o l’incoraggiarnento all’uso orale e scritto delle lingue regionali o minoritarie nella vita pubblica e privata;

e. il mantenimento e lo sviluppo dei rapporti, nei settori previsti dalla presente Carta, tra i gruppi parlanti una lingua regionale o minoritaria ed altri gruppi dello stesso Stato parlan-ti una lingua usata in forma identica o simile, oltre alla instaurazione di rapporti culturali con altri gruppi dello Stato parlanti lingue diverse;

f. la previsione di forme e mezzi adeguati di insegnamento e studio delle lingue regionali o minoritarie a tutti i livelli;

g. la previsione di mezzi che permettano ai non locutori di una lingua regionale o minoritaria che abitino nell’area dove questa lingua viene usata, di apprenderla, qualora lo desiderino;

h. la promozione di studi e di ricerche sulle lingue regionali o minoritarie nelle università o presso istituti equivalenti;

i. la promozione di forme appropriate di scambi transnazionali, nei settori previsti dalla presente Carta, per le lingue regionali o minoritarie usate in forma identica o simile in due o più Stati.

2. Le Parti si impegnano ad eliminare, qualora non l’avessero ancora fatto, qualsiasi ingiustifi-cata distinzione, esclusione, restrizione o preferenza relative all’uso di una lingua regionale o minoritaria, intese a scoraggiare o a danneggiare il mantenimento e lo sviluppo della stessa. L’adozione di provvedimenti speciali a favore delle lingue regionali o minoritarie destinati a

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promuovere l’uguaglianza tra i locutori di queste lingue e il resto della popolazione e miran-ti a tenere nella dovuta considerazione le loro specifiche situazioni, non è considerata un atto discriminante nei confronti di locutori di lingue diffuse.

3. Le Parti si impegnano a promuovere con misure appropriate la mutua comprensione fra tutti i gruppi linguistici del loro paese, in particolare facendo in modo che il rispetto, la compren-sione e la tolleranza nei confronti delle lingue regionali o minoritarie figurino tra gli obiettivi dell’istruzione e formazione date nel loro paese, e ad incoraggiare i mass-media a perseguire lo stesso obiettivo.

4. Definendo la loro politica nei confronti delle lingue regionali o minoritarie, le parti si impegna-no a prendere in considerazione le esigenze e i desideri espressi dai gruppi che parlano tali lin-gue. Essi vengono incoraggiati a creare, se necessario, degli organi incaricati di consigliare le autorità di governo su tutte le questioni riguardanti le lingue regionali o minoritarie.

5. Le parti si impegnano ad applicare, mutatis mutandis, i principi enumerati nei precedenti pa-ragrafi da 1 a 4, alle lingue sprovviste di territorio. Tuttavia, per quanto riguarda queste lingue, la natura e la portata delle misure da adottare per rendere effettiva la presente Carta saran-no determinate in modo flessibile, tenendo conto delle esigenze e dei desideri e rispettando le tradizioni e le caratteristiche dei gruppi che parlano le lingue in questione.

PARTE III – MISURE ATTE A PROMUOVERE L’USO DELLE LINGUE REGIONALI O MINORITARIE NELLA VITA PUBBLICA CONFORMEMENTE AGLI IMPEGNI SOTTOSCRITTI IN VIRTU’ DEL PARAGRAFO 2 DELL’ARTICOLO 2

Articolo 8 – Istruzione 1. Quanto all’istruzione, le Parti si impegnano, nell’ambito del territorio nel quale queste lingue

sono parlate, a seconda della situazione di ciascuna di dette lingue e senza pregiudizi riguardo all’insegnamento della/e lingua/e ufficiale/i dello Stato, a: a. I. assicurare l’istruzione prescolare nelle relative lingue regionali o minoritarie; oppure

II. assicurare una parte rilevante dell’istruzione prescolare nelle relative lingue regionali o minoritarie; oppure

III. applicare una delle misure previste nei precedenti punti i) e ii) almeno agli alunni le cui famiglie lo desiderino e il numero dei quali sia ritenuto sufficiente; oppure

IV. qualora l’amministrazione pubblica non avesse competenza diretta nel campo del-l’istruzione prescolare, favorire e/o incoraggiare l’applicazione dei provvedimenti pre-visti nei precedenti punti da i) a iii);

b. I. assicurare l’istruzione primaria nelle relative lingue regionali o minoritarie; oppure II. assicurare una parte rilevante dell’istruzione primaria nelle relative lingue regionali o

minoritarie; oppure III. prevedere, nel quadro dell’istruzione primaria, che l’insegnamento delle relative lingue

regionali o minoritarie costituisca parte integrante del curriculum; oppure IV. applicare una delle misure previste nei precedenti punti da i) a iii) almeno agli alunni le

cui famiglie lo desiderino e il cui numero sia ritenuto sufficiente; c. I. assicurare l’istruzione secondaria nelle relative lingue regionali o minoritarie; oppure

II. assicurare una parte rilevante dell’istruzione secondaria nelle lingue regionali o minoritarie; oppure

III. prevedere, nel quadro dell’istruzione secondaria, l’insegnamento delle lingue regionali o minoritarie come parte integrante del curriculum; oppure

IV. applicare una delle misure previste nei precedenti punti da i) a iii) almeno agli alunni che lo desiderino – o, dove si presenti il caso, le cui famiglie lo desiderino – in nume-ro ritenuto sufficiente;

Lingua madre, madre terra106 Lingua madre, madre terra 107

d I. assicurare un’istruzione tecnica e professionale nelle relative lingue regionali o minoritarie; oppure

II. assicurare una parte rilevante dell’istruzione tecnica e professionale nelle relative lingue regionali o minoritarie; oppure

III. prevedere, nel quadro dell’istruzione tecnica e professionale, l’insegnamento delle rela-tive lingue regionali o minoritarie come parte integrante del curriculum; oppure

IV. applicare una delle misure previste nei precedenti punti da i) a iii) almeno agli alunni che lo desiderino – o, dove si presenti il caso, le cui famiglie lo desiderino – in nume-ro ritenuto sufficiente;

e. I. prevedere l’istruzione universitaria e altre forme di istruzione superiore nelle lingue regionali o minoritarie; oppure

II. prevedere lo studio di queste lingue come discipline dell’insegnamento universitario e superiore; oppure

III. se, a causa del ruolo dello Stato nei confronti degli istituti di istruzione superiore, gli alinea I e II non possono essere applicati, incoraggiare e/o autorizzare l’attuazione di un insegnamento universitario o di altre forme di insegnamento superiore nelle lingue regionali o minoritarie, o mettere a disposizione dei mezzi che permettano di studiare queste lingue all’università o in altri istituti superiori;

f. I. provvedere affinchè siano assicurati corsi di educazione per adulti o di istruzione permanente principalmente o totalmente nelle lingue regionali o minoritarie; oppure

II. proporre queste lingue come discipline per l’istruzione degli adulti e per l’educazione permanente; oppure

III. qualora l’amministrazione pubblica non avesse competenza diretta nel campo del-l’istruzione degli adulti, favorire e/o incoraggiare l’insegnamento di queste lingue nel quadro dell’istruzione degli adulti e dell’istruzione permanente;

g. provvedere affinchè sia assicurato l’insegnamento della storia e della cultura di cui la lin-gua regionale o minoritaria è espressione:

h. assicurare la formazione iniziale e permanente degli insegnanti necessaria a mettere in at-to quanto detto ai paragrafi da a) a g) accettati dalla Parte;

i. creare uno o più organi di vigilanza incaricati di controllare le misure adottate e i risulta-ti raggiunti nell’istituzione o nello sviluppo dell’insegnamento delle lingue regionali o del-le minoranze e di redigere delle relazioni periodiche sulle loro indagini, che saranno rese pubbliche.

2. Per quanto riguarda l’istruzione, e rispetto ai territori diversi da quelli nei quali le lingue re-gionali o minoritarie sono tradizionalmente usate, le Parti si impegnano ad autorizzare, in-coraggiare o attuare, qualora il numero dei locutori di una lingua regionale o minoritaria lo giustifichi, l’insegnamento nellaodella lingua regionale o minoritaria a tutti i relativi livelli di istruzione.

Articolo 9 – Autorità giudiziarie 1. Le parti si impegnano, riguardo alle circoscrizioni delle autorità giudiziarie dove il numero dei

residenti parlanti le lingue regionali o minoritaria lo giustifichi le misure specificate sotto, a seconda della situazione di ciascuna di queste lingue e a condizione che l’utilizzo delle possi-bilità offerte dal presente paragrafo non sia considerato dal giudice un ostacolo alla corretta amministrazione della giustizia: a. nelle procedure penali:

I. a prevedere che i giudici, su richiesta di una delle parti, conducano la procedura nelle lingue regionali o minoritarie; e/o

II. a garantire all’imputato il diritto di esprimersi nella propria lingua regionale o minori-taria; e/o

Lingua madre, madre terra108 Lingua madre, madre terra 109

III. a prevedere che istanze e prove, scritte o orali, non siano considerate inaccettabili per il solo motivo che sono formulate in una lingua regionale o minoritaria; e/o

IV. a esibire, su richiesta, gli atti legati ad una procedura giudiziaria nella relativa lingua regionale o minoritaria.

se necessario facendo ricorso ad interpreti e a traduzioni che non implichino spese ulteriori per gli interessati: b. nelle procedure civili:

I. a prevedere che i giudizi, su richiesta di una delle parti, conducano la procedura nella lingua regionale o minoritaria; e/o

II. a permettere, qualora una parte in causa debba comparire di persona davanti ad un tribunale, che questa si esprima nella propria lingua regionale o minoritaria senza per questo dover sostenere ulteriori spese; e/o

III. a permettere l’esibizione di documenti e prove nelle lingue regionali o miroritarie, fa-cendo ricorso, se necessario, ad interpreti e a traduzioni;

c. nelle procedure davanti a tribunali competenti in materia amministrativa: I. a prevedere che i giudici, su richiesta di una delle parti, conducano la procedura nelle

lingue regionali o minoritarie; e/o II. a permettere, qualora una parte in causa debba comparire di persona davanti ad un

tribunale, che questa si esprima nella propria lingua regionale o minoritaria senza per questo dover sostenere spese ulteriori; e/o

III. a permettere l’esibizione di documenti e prove nelle lingue regionali o minoritarie se necessario, facendo ricorso ad interpreti e a traduzioni;

d. a prendere dei provvedimenti, affinchè i precedenti paragrafi b) e c) e l’eventuale impiego di interpreti e di traduzioni non comportino ulteriori spese per le persone interessate.

2. Le Parti si impegnano: a. a non negare la validità di atti giuridici redatti nello Stato per il solo fatto che non sono

formulati in una lingua regionale o minoritaria; oppure b. a non negare la validità, tra le parti, di atti giuridici redatti nello Stato per il solo fatto che

sono formulati in una lingua regionale o minoritaria e a provvedere affinchè non siano lo-cutori di queste lingue a condizione che il contenuto dell’atto sia portato loro a conoscen-za da colui che lo fa valere; oppure

c. a non negare la validità, tra le parti, di atti giuridici redatti nello Stato per il solo fatto che essi sono formulati in una lingua regionale o minoritaria.

3. Le Parti si impegnano a rendere accessibili, nelle lingue regionali o minoritarie, i testi legislati-vi nazionali più importanti e quelli che riguardano i locutori di queste lingue, a meno che tali testi non siano già disponibili in altro modo.

Articolo 10 – Autorità amministrative e servizi pubblici 1. Nelle circoscrizioni amministrative dello Stato dove risieda un numero di locutori di lingue re-

gionali o minoritarie tale da giustificare i provvedimenti specificati sotto e secondo la situa-zione di ciascuna lingua, le Parti si impegnano, nella misura in cui ciò sia più o meno possibile, a: a. I. assicurare che le autorità amministrative usino le lingue regionali o minoritarie; oppure

II. assicurare che i funzionari in contatto col pubblico usino le lingue regionali o minoritarie nei rapporti con le persone che si rivolgono a loro in tali lingue; oppure

III. assicurare che i locutori di lingue regionali o minoritarie possano presentare domande orali o scritte e ricevere risposta in tali lingue; oppure

IV. assicurare che i locutori di lingue regionali o minoritarie possano presentare domande orali o scritte in tali lingue; oppure

Lingua madre, madre terra108 Lingua madre, madre terra 109

V. assicurare che i locutori di lingue regionali o minoritarie possano validamente presen-tare un documento redatto in tali lingue;

b. mettere a disposizione moduli e testi amministrativi di uso corrente per la popolazione nelle lingue regionali o minoritarie o in versioni bilingui:

c. permettere alle autorità amministrative di redigere documenti in una lingua regionale o minoritaria.

2. Per quanto riguarda le autorità locali e regionali sui cui territori il numero dei residenti parlan-ti lingue regionali o minoritarie sia tale da giustificare i provvedimenti sotto specificati, le Parti si impegnano a permettere e/o ad incoraggiare: a. l’uso delle lingue regionali o minoritarie nel quadro dell’amministrazione regionale o loca-

le; b. la possibilità per i locutori di lingue regionali o minoritarie di presentare domande orali o

scritte in tali lingue; c. la pubblicazione da parte delle autorità regionali dei documenti ufficiali anche nelle rela-

tive lingue regionali o minoritarie; d. la pubblicazione da parte delle autorità locali dei documenti ufficiali anche nelle relative

lingue regionali o minoritarie; e. l’uso da parte delle autorità regionali delle lingue regionali o minoritarie nei dibattiti delle

assemblee, senza escludere, tuttavia, l’uso della/e lingua/e ufficiale/i dello Stato; f. l’uso da parte delle autorità locali delle lingue regionali o minoritarie nei dibattiti delle as-

semblee, senza escludere, tuttavia, l’uso della/e lingua/e ufficiale/i dello Stato; g. l’uso e l’adozione, se necessario insieme alla denominazione nella/ e lingua/e ufficiale/i, del-

le forme tradizionali e corrette della toponomastica nelle lingue regionali o minoritarie. 3. Per quanto riguarda i servizi pubblici assicurati dalle autorità amministrative o da altri aventi

la loro funzione, le Parti si impegnano, nell’ambito del territorio nel quale le lingue regionali o minoritarie sono parlate, secondo la situazione di ciascuna lingua e nella misura in cui ciò sia più o meno possibile, a: a. assicurare che le lingue regionali o minoritarie siano usate in occasione della presentazio-

ne del servizio; oppure b. permettere ai locutori delle lingue regionali o minoritarie di formulare domande e ricevere

risposte in tali lingue; oppure c. permettere ai locutori delle lingue regionali o minoritarie di formulare una domanda in tali

lingue. 4. Al fine di rendere effettive le disposizioni di cui ai paragrafi 1, 2 e 3 che esse hanno accettato,

le Parti si impegnano a prendere uno o più dei seguenti provvedimenti: a. l’utilizzo di traduzioni o di interpreti eventualmente richiesti; b. l’assunzione e, dove ciò non fosse possibile, la formazione di funzionari e di altri impiegati

pubblici in numero sufficiente; c. l’accettazione, per quanto possibile, delle richieste di impiegati pubblici con conoscenza di

una lingua regionale o minoritaria di essere nominati nel territorio dove questa lingua sia parlata.

5. Le Parti si impegnano a permettere, su richiesta degli interessati, l’uso o l’adozione di cognomi nelle lingue regionali o minoritarie.

Articolo 11 – Mass Media 1. Le Parti si impegnano, nei confronti dei locutori delle lingue regionali o minoritarie nei territori

dove queste lingue sono usate, secondo la situazione di ciascuna, nella misura in cui l’ammini-strazione pubblica abbia, in maniera diretta o indiretta, competenza, potere o un ruolo in questo campo e rispettando i principi di indipendenza e di autonomia dei mass media: a. nella misura in cui la radio e la televisione abbiano una funzione di servizio pubblico:

Lingua madre, madre terra110 Lingua madre, madre terra 111

I. ad assicurare la creazione di almeno una emittente radiofonica e di un canale televisi-vo nelle lingue regionali o minoritarie, oppure

II. a incoraggiare e/o facilitare la creazione di almeno una emittente radiofonica e di un canale televisivo nelle lingue regionali o minoritarie, oppure

III. a prendere adeguati provvedimenti affinchè gli enti radiotelevisivi programmino delle trasmissioni nelle lingue regionali o minoritarie;

b. I. a incoraggiare e/o facilitare la creazione di almeno una emittente radiofonica nelle lingue regionali o minoritarie, oppure

II. a incoraggiare e/o facilitare la trasmissione di programmi radiofonici regolari nelle lin-gue regionali o minoritarie.

c. I. a incoraggiare e/o facilitare la creazione di almeno un canale televisivo nelle lingue regionali o minoritarie, oppure

II. a incoraggiare e/o facilitare la diffusione di programmi televisivi regolari nelle lingue regionali o minoritarie;

d. a incoraggiare e/o facilitare la creazione e la diffusione di produzioni audio e audiovi-sive nelle lingue regionali o minoritarie;

e. I. a incoraggiare e/o facilitare la creazione e/o il mantenimento di almeno un organo di stampa nelle lingue regionali o minoritarie, oppure

II a incoraggiare e/o facilitare la pubblicazione regolare di articoli per la stampa nelle lin-gue regionali o minoritarie;

f. I. a coprire i costi supplementari di quei mezzi di comunicazione che usino le lingue regionali o minoritarie dove la legge prevede un’assistenza finanziaria in generale, ai mass media, oppure

II. ad estendere i provvedimenti di assistenza finanziaria in vigore alle produzioni audio-visive nelle lingue regionali o minoritarie.

2. Le Parti si impegnano a garantire la libertà di ricevere direttamente le trasmissioni radiofoniche e televisive dei paesi vicini in una lingua parlata in forma identica o simile ad una lingua regionale o minoritaria, e a non opporsi alla ritrasmissione di programmi radiofonici o televisivi dei paesi vicini in tale lingua. Esse si impegnano inoltre ad assicurare che nessuna restrizione alla libertà di espressione e alla libera circolazione dell’informazione in una lingua usata in forma identica o simile a quella di una lingua regionale o minoritaria sia imposta alla stampa. L’esercizio del-le sopraccitate libertà, comportando doveri e responsabilità, può essere soggetto a determinate formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni previste dalla legge, che costituiscono delle misure necessarie, in una società democratica, alla sicurezza nazionale, all’integrità territoriale o alla si-curezza pubblica, alla tutela dell’ordine e alla prevenzione della criminalità, alla tutela della sa-lute o della morale, alla tutela della reputazione o dei diritti di altri, per impedire la divulgazione di informazioni riservate o per garantire l’autorità e l’imparzialità del potere giudiziario.

3. Le Parti si impegnano ad assicurare che gli interessi dei locutori di lingue regionali o minoritarie siano rappresentati o presi in considerazione nel quadro delle strutture eventualmente create-si secondo la legge ed aventi il compito di garantire la libertà e la pluralità dei mass media.

Articolo 12 – Attività culturali e loro strutture 1. Per quanto riguarda le strutture e le attività culturali – in particolare biblioteche, videoteche,

centri culturali, musei, archivi, accademie, teatri e cinema, oltre alla produzione letteraria e ci-nematografica, all’espressione culturale popolare, agli spettacoli, alle industrie culturali, che includono fra l’altro l’uso delle nuove tecnologie – le Parti si impegnano, nell’ambito del ter-ritorio in cui tali lingue sono usate e a seconda della competenza, del potere o del ruolo delle autorità pubbliche in questo campo, a: a. incoraggiare i tipi di espressione e le iniziative proprie delle lingue regionali o minoritarie

e a favorire i diversi mezzi di accesso alle opere prodotte in queste lingue;

Lingua madre, madre terra110 Lingua madre, madre terra 111

b. favorire i diversi mezzi di accesso in altre lingue alle opere prodotte nelle lingue regiona-li o minoritarie promuovendo e sviluppando le attività di traduzione, doppiaggio, postsin-cronizzazione e uso di sottotitoli;

c. favorire l’accesso in lingue regionali o minoritarie ad opere prodotte in altre lingue, pro-muovendo e sviluppando le attività di traduzione, doppiaggio, postsincronizzazione e uso di sottotitoli;

d. assicurare che gli organismi incaricati di organizzare o di sostenere diverse forme di atti-vità culturali includano in misura adeguata la conoscenza e l’uso delle lingue e culture re-gionali o minoritarie nelle attività che essi promuovono o sostengono;

e. favorire dei provvedimenti per assicurare che gli organismi incaricati di organizzare o so-stenere le attività culturali abbiano a disposizione del personale con piena padronanza del-la lingua regionale o minoritaria oltre che della/e lingua/e del resto della popolazione;

f. favorire la partecipazione diretta, per quanto riguarda le strutture e i programmi delle at-tività culturali, di rappresentanti dei locutori di lingue regionali o minoritarie;

g. incoraggiare e/o facilitare la creazione di uno o più organismi incaricati di raccogliere, ar-chiviare e presentare al pubblico opere prodotte nelle lingue regionali o minoritarie;

h. se necessario, creare e/o promuovere e finanziare servizi di traduzione e di ricerca termi-nologica, soprattutto allo scopo di mantenere e sviluppare in ciascuna lingua regionale o minoritaria una appropriata terminologia amministrativa, commerciale, economica, socia-le, tecnologica o giuridica.

2. Per quanto riguarda i territori diversi da quelli in cui le lingue regionali o minoritarie sono tra-dizionalmente usati, le Parti si impegnano ad autorizzare, incoraggiare e/o prevedere, qualo-ra il numero dei locutori della lingua regionale o minoritaria lo giustifichi, adeguate attività o strutture culturali in conformità al paragrafo precedente.

3. Le Parti si impegnano, nella loro politica culturale all’estero, a dare un posto adeguato alle lin-gue regionali o minoritarie e alla cultura di cui esse sono l’espressione.

Articolo 13 – Vita economica e sociale 1. Per quanto riguarda le attività economiche e sociali, le Parti si impegnano, in tutto il paese, a:

a. escludere dalla loro legislazione qualunque disposizione che proibisca o limiti senza moti-vi giustificabili l’uso delle lingue regionali o minoritarie nei documenti concernenti la vita economica o sociale e particolarmente nei contratti di lavoro e nei documenti tecnici quali istruzioni per l’uso di prodotti o di impianti;

b. proibire l’inserimento nei regolarnenti interni delle imprese e negli atti privati di clauso-le che escludano o limitino l’uso delle lingue regionali o minoritarie, almeno tra i locutori della stessa lingua;

c. opporsi a norme che tendano a scoraggiare l’uso delle lingue regionali o minoritarie nel quadro delle attività economiche o sociali;

d. facilitare e/o incoraggiare con mezzi diversi da quelli previsti nei precedenti alinea l’uso delle lingue regionali o minoritarie.

2. Quanto alle attività economiche e sociali, le Parti si impegnano, a seconda della competen-za dell’amministrazione pubblica, nel territorio nel quale le lingue regionali o minoritarie sono usate e per quanto ciò sia più o meno possibile a: a. includere nei loro regolarnenti finanziari e bancari, delle clausoleche permettano, con con-

dizioni compatibili con la pratica commerciale, l’uso delle lingue regionali o minoritarie nelle emissioni di ordini di pagamento (assegni, tratte, ecc.) o di altri documenti finanziari o, all’occorrenza, assicurare che tale processo sia reso effettivo;

b. nei settori economici e sociali direttamente sotto il loro controllo (settore pubblico), orga-nizzare attività per promuovere l’uso delle lingue regionali o minoritarie;

c. assicurare che le strutture sociali quali ospedali, case di riposo e pensionati offrano la pos-

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sibilità di ricevere e trattare nella loro lingua i locutori di una lingua regionale o minorita-ria i quali necessitino di cure per motivi di salute, per vecchiaia o per altri motivi;

d. assicurare, con adeguate modalità, che le segnalazioni di sicurezza siano redatte anche nelle lingue regionali o minoritarie;

e. rendere accessibili nelle lingue regionali o minoritarie le informazioni fornite dalle autorità competenti riguardo ai diritti dei consumatori.

Articolo 14 – Scambi transfrontalieri 1. Le Parti si impegnano:

a. ad applicare gli accordi bilaterali e multilaterali che le legano agli Stati in cui venga usata la stessa lin-gua in forma identica o simile, o a cercare di concluderli se necessario, in modo da favorire i contatti tra i locutori della stessa lingua negli Stati interessati, nei campi della cultura, dell’educazione, dell’in-formazione, della formazione professionale e dell’educazione permanente;

b. nell’interesse delle lingue regionali o minoritarie a facilitare e/o promuovere la cooperazio-ne transfrontaliera, in particolare tra le amministrazioni regionali o locali nel cui territorio la stessa lingua venga usata in forma identica o simile.

PARTE IV – APPLICAZIONE DELLA CARTA

Articolo 15 – Rapporti periodici 1. Le Parti presenteranno periodicamente al Segretario Generale del Consiglio d’Europa, in forma

da determinarsi dal Consiglio dei Ministri, un rapporto sulla politica perseguita in conformità con la Parte II della presente Carta e sulle misure adottate per attuare le disposizioni della Parte III che esse hanno accettato. Il primo rapporto deve essere presentato l’anno dopo 1’entrata in vigore della Carta per la Parte interessata, gli altri rapporti a intervalli di tre anni dopo il primo.

2. Le Parti renderanno pubblici i loro rapporti.

Articolo 16 – Verifica dei rapporti 1. I rapporti presentati al Segretario Generale del Consiglio d’Europa previsti dall’articolo 15 sa-

ranno vagliati da un comitato di esperti costituito in conformità all’articolo 17. 2. Organismi e associazioni legalmente costituite in una Parte potranno far presente al

Comitato di esperti questioni relative agli impegni presi da questa Parte in virtù della Parte III della presente Carta. Dopo avere consultato la parte interessata, il Comitato di esperti potrà tener conto di tali informazioni nella stesura del rapporto previsto al paragrafo 3 del presente articolo. Questi organismi o associazioni potranno inoltre presentare delle dichia-razioni concernenti la politica perseguita da una Parte in conformità alla Parte III.

3. Sulla base dei rapporti previsti al paragrafo 1 e delle informazioni previste al paragrafo 2, il comitato di esperti preparerà un rapporto per il Comitato dei Ministri. Questo rapporto sarà accompagnato dalle osservazioni che le Parti saranno invitate a formulare e potrà essere reso pubblico dal Comitato dei Ministri.

4. Il rapporto previsto al paragrafo 3 conterrà in particolare le proposte del comitato di esperti al Comitato dei Ministri in vista della preparazione di eventuali osservazioni di quest’ultimo ad una o più Parti.

5. Il Segretario Generale del Consiglio d’Europa presenterà un rapporto biennale dettagliato al-l’Assemblea parlamentare sull’applicazione della Carta.

Articolo 17 – Comitato di esperti 1. Il comitato di esperti sarà composto da un membro di ciascuna Parte che il Comitato dei

Ministri designerà da una lista di persone di alta levatura morale e di riconosciuta competen-za nelle questioni trattate dalla Carta, le quali saranno proposte dalla Parte interessata.

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2. I membri del comitato saranno nominati per un periodo di sei anni e il loro mandato è rinno-vabile. Qualora un membro non potesse completare il suo mandato, questi sarà sostituito con-formemente alla procedura prevista al paragrafo 1 e il membro nominato in sua vece comple-terà il periodo del mandato del suo predecessore.

3. Il comitato di esperti adotterà un suo regolamento interno. I suoi servizi di segreteria saranno assicurati dal Segretario Generale del Consiglio d’Europa.

PARTE V – DISPOSIZIONI FINALI

Articolo 18 La presente Carta è aperta alla firma degli Stati membri del Consiglio d’Europa.Essa sarà sotto-

posta a ratifica, accettazione o approvazione. Gli strumenti di ratifica, di accettazione o di ap-provazione saranno depositati presso il Segretario Generale del Consiglio d’Europa.

Articolo 19 1. La presente Carta entrerà in vigore il primo giorno del mese successivo al termine di un perio-

do di tre mesi dopo la data in cui cinque Stati membri del Consiglio d’Europa avranno espres-so il loro consenso ad essere legati alla Carta in conformità alle disposizioni dell’articolo 18.

2. Per qualsiasi Stato membro che esprimerà successivamente il suo consenso ad essere legato dal-la Carta, questa entrerà in vigore il primo giorno del mese successivo al termine di un periodo di tre mesi dopo la data del deposito dello strumento di ratifica, accettazione o approvazione.

Articolo 20 1. Dopo l’entrata in vigore della presente Carta, il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa po-

trà invitare qualsiasi Stato che non sia membro del Consiglio d’Europa ad aderire alla Carta. 2. Per ogni Stato aderente, la Carta entrerà in vigore il primo giorno del mese successivo al ter-

mine di un periodo di tre mesi dopo la data del deposito dello strumento di adesione presso il Segretario Generale del Consiglio d’Europa.

Articolo 21 1. Ogni parte può al momento del deposito del suo strumento di ratifica, di accettazione, di ap-

provazione o di adesione, formulare una o più riserve ai paragrafi da 2 a 5 dell’articolo 7 della presente Carta. Non si ammette nessuna riserva.

2. Ogni Parte che abbia formulato una riserva in virtù del paragrafo precedente può ritirar-la del tutto o in parte inviandone notifica da parte della ricezione della notifica da parte del Segretario Generale.

Articolo 22 1. Ogni parte può, in qualsiasi momento, denunciare la presente Carta inviandone notifica al

Segretario Generale del Consiglio d’Europa. 2. La denuncia avrà effetto il primo giorno del mese che segue il termine di un periodo di sei me-

si dopo la data della ricezione della notifica da parte del Segretario Generale.

Articolo 23 Il Segretario Generale del Consiglio d’Europa notificherà agli Stati membri del Consiglio e ad

ogni Stato che abbia aderito alla presente Carta: a. ciascuna firma; b. il deposito di ciascuno strumento di ratifica, accettazione, approvazione o adesione; c. ciascuna data in entrata in vigore della presente Carta in conformità ai suoi articoli 19 e 20; d. qualsiasi notifica ricevuta concernente l’applicazione delle disposizioni dell’articolo, paragrafo 2; e. ogni ulteriore atto, notifica o comunicazione relativa alla presente Carta.

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EBLUL (European Bureau Lesser Used Languages)

L’Ufficio europeo per le lingue meno diffuse (EBLUL), con sede a Dublino, è un’organizzazione non governativa indipendente (ONG) per la promozione delle lingue regionali e minoritarie e della di-versità linguistica, basata su una rete di Comitati degli Stati membri con sede nei singoli Stati del-l’UE. I Comitati degli Stati membri sono organismi autonomi in forma di ONG su base nazionale e rappresentano le lingue meno diffuse nei relativi Stati. Sono costituiti da organismi per la pro-mozione della lingua ufficiale, organizzazioni culturali, istituzioni scientifiche e organizzazioni che promuovono genericamente la diversità linguistica in relazione alle lingue meno diffuse. Attual-mente EBLUL sta istituendo propri Comitati nei Paesi di nuova adesione. Il Comitato italiano è il CONFEMILI (Comitato Nazionale Federativo minoranze linguistiche d’Italia), con sede a Roma.EBLUL coopera con organizzazioni europee e con il Consiglio d’Europa per le questioni attinenti al-la Carta Europea delle lingue regionali e minoritarie.Dal 1983 l’Ufficio ha ricevuto gran parte delle proprie risorse dall’Unione Europea ed è anche finan-ziato da una serie di autorità regionali e locali. L’Ufficio collabora intensamente con le istituzioni UE, gode dello status di partecipazione consultiva presso il Consiglio d’Europa e presso il Consiglio Economico e Sociale ONU (ECOSOC) e intrattiene rapporti operativi con l’UNESCO e l’OSCE. L’Ufficio agisce in stretta cooperazione con il Parlamento Europeo e partecipa agli incontri dell’Intergrup-po per le lingue regionali e minoritarie, collaborando attivamente con il Comitato delle Regioni e il Comitato Economico e Sociale dell’Unione Europea. L’Ufficio è considerato un elemento di centrale importanza nell’attività di rete per la promozione linguistica a livello europeo.EBLUL è un’organizzazione di rete che fornisce collegamenti e servizi alle comunità linguistiche nonché alle autorità locali e regionali negli Stati membri UE, sostenendone l’attività di promozio-ne e tutela delle lingue regionali e minoritarie.L’Ufficio fornisce informazioni sulle politiche e i programmi UE ai cittadini, alle comunità lingui-stiche e alle autorità locali e regionali. EBLUL offre inoltre sostegno nelle procedure amministra-tive di richiesta e nella ricerca di adeguate partnership all’interno del suo progetto “Partnership for Diversity”. Il suo obiettivo è creare una piattaforma per le autorità regionali e locali, le istitu-zioni linguistiche e le fondazioni private al fine di promuovere e tutelare più efficacemente le lin-gue regionali e minoritarie. EBLUL consente a tali organizzazioni e alle autorità regionali e locali di formare reti, collaborare, condividere esperienze, adottare posizioni comuni e favorire la coopera-zione. Attraverso una newsletter diffonde informazioni sulle possibilità di finanziamento a favore delle lingue meno diffuse e fornisce assistenza nella procedura di richiesta, rendendo noti gli invi-ti a presentare proposte, trovando partner per i progetti ecc. Inoltre organizza un forum annuale per facilitare questi contatti e migliorare la cooperazione.EBLUL diffonde informazioni sulle questioni linguistiche in Europa tramite il Centro di documen-tazione e l’agenzia di informazione on-line EUROLANG, attraverso pubblicazioni, seminari e con-ferenze nonché con un’attiva produzione di opuscoli dedicati alla situazione delle comunità lin-guistiche nell’UE. Fin dalla sua istituzione, nel 1982, l’Ufficio europeo per le lingue meno diffuse ha intensificato i contatti e la cooperazione reciproca tra le comunità di parlanti delle lingue meno diffuse, inter-venendo anche per facilitare i loro collegamenti e comunicazioni con le istituzioni UE. Da un lato EBLUL fornisce alle istituzioni UE informazioni, documentazione o redige documenti per svilup-pare attività finalizzate alla tutela e promozione delle lingue regionali e minoritarie; dall’altro la-to diffonde informazioni alle comunità linguistiche minoritarie riguardo alle politiche e alle azioni realizzate dalla Commissione Europea, dal Parlamento Europeo e dal Consiglio Europeo.

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La rete MERCATOR

MERCATOR è nato da un’iniziativa della Commissione Europea in considerazione del crescente in-teresse per le lingue regionali e minoritarie e la sempre maggiore necessità di condividere espe-rienze e favorire la cooperazione tra le comunità linguistiche nel contesto europeo. La rete Merca-tor ha reso possibile l’accesso alle informazioni e il loro sistematico scambio.La rete Mercator sia articola in tre centri di ricerca e documentazione. Ognuno di essi ha un proprio programma tematico e un proprio ruolo specifico in relazione alle lingue regionali e minoritarie:– MERCATOR Education, con sede presso la Fryske Akademy di Ljouwert (NL), si occupa dell’uso

delle lingue minoritarie nel settore dell’istruzione;– MERCATOR Legislation, con sede presso la Fondazione CIEMEN di Barcelona (SP), studia i di-

ritti linguistici, la legislazione e l’uso delle lingue minoritarie nella pubblica amministrazione;– MERCATOR Media, con sede presso l’Università del Galles ad Aberystwyth (UK), si occupa del

rapporto tra le lingue minoritarie e i mass media.L’obiettivo principale di MERCATOR è raccogliere, conservare e diffondere informazioni tramite una rete di documentazione e informazione sulle lingue regionali e minoritarie all’interno dell’UE. Un’altra funzione dei centri Mercator è la consultazione con le organizzazioni locali nelle regio-ni. I centri d’informazione Mercator sono a disposizione di responsabili politici, insegnanti, stu-diosi e ricercatori.

Progetto grafico:Pio Nainer Design Group, Trento

Impaginazione:Stefania Gasperi – Artimedia, Trento

Alcune illustrazioni di questo volume riproducono opere artistiche ispirate ai paesaggi e alle culture delle minoranze linguistiche trentine, tratte dalla collezione della Regione Autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol e del Centro di Documentazione Lusérn.

Fotografie:Provincia autonoma di TrentoSoprintendenza per i Beni Storico-Artistici pagg. 29, 32, 34, 37, 40, 42Istitut Ladin “Majon de Fascegn” – pagg. 16, 17, 18, 19European Commission – pagg. 86, 88, 108, 110-112European Parliament – pagg. 89-92Council of European Union – pagg. 97-99Council of Europe – pagg. 103-107Commitee of the Regions – pagg. 99, 100

Si ringraziano:la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol per le riproduzioni delle opere della propria collezione, pagg. 11, 24, 53, 54, 55, 82, 83;il Centro Documentazione di Luserna per le riproduzioni delle opere di R. M. Pedrazza,pagg. 66, 67, 71, 72il Kulturinstitut Lusérnper le riproduzioni dei disegni di G. Piccinini, pagg. 40, 62, 81 Giorgio Moser per la foto di copertina

Stampa:Tipografia Alcione

Finito di stampare:novembre 2005

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